ART APP arte | cultura | nuovi appetiti

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arte | cultura | nuovi appetiti

numero 1 - giugno 2009

Edizioni Archos srl - Anno 1 - Numero 1 - Giugno 2009 - Quadrimestrale - â‚Ź 12,00

ARTE PUBBLICA le brioches di maria antonietta i dolci mediterranei di love difference gli interventi urbani di medellin le sculture sonore di paul fuchs i monumenti provvisori l’arte dialoga con il mondo



sommario 2

Editoriale di Edoardo Milesi

arte

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Love difference: Premiate Pasticcerie “Open Source” a cura di Federica Cerutti

8 Dal comune denominatore al comune multiplo

scultura 10

di Paolo Naldini

Paul Fuchs, la “musica materiale” di Lorenza Sanna

14

Giochi d’immaginazione di Barbara Catalani

16

Architettura pubblica, ”Il caso Medellin”

urbanistica 20

di Edoardo Milesi

L’architetto e le regole del gioco di Anna D’Apice

23

Sogno e visione nella Spagna di Goya di Fabrizio Dentice

arte

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Castelli di carta

Interventi urbani di Josephine Sassu e Gianfranco Setzu di Sonia Borsato

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Arrivano i Dadadang: effetto Hamelin Appunti di marcia di Vito Panza

38

Clusone, trent’anni a ritmo di jazz di Livio Testa

42

musica

Note di Genti in viaggio di Gessica Costanzo

45

Ecce Homo – Le formelle di Graziano Gregori di Daniele Abbado

teatro 49

Il teatro e la necessità del rito Elena Rossi intervista Fabio Sonzogni

52

Dialogando di Alfredo Padovano

54

Cronache

Arte – Architettura e Design - Fotografia


editoriale

Art|App Numero uno - Anno I Registrazione al Tribunale di Bergamo del 29/01/2009 n. 3/2009 Direzione, Redazione, Amministrazione Via Valle del Muto 25 24021 Albino (Bg)

Public art

Tel +39 035 772499 Fax +39 035 772429 redazione@archos.it www.artapp.it

“Pratiche artistiche partecipate tra opera e pubblico”

DIREZIONE Direttore editoriale Edoardo Milesi Art Director e direttore responsabile Aurelio Candido

(Lorenza Perelli, 2006)

Coordinamento Elena Rossi Segreteria di redazione Elena Cattaneo

di Edoardo Milesi

REDAZIONE Comitato scientifico Franca Bertagnolli, Sonia Borsato, Barbara Catalani, Arialdo Ceribelli, Giuseppe Chigiotti, Giovanni Cutolo, Marco Del Francia, Donato Di Bello, Salvatore Ligios, Alfredo Padovano, Gianriccardo Piccoli, Carlo Pozzi, Dino Satriano, Silvana Scaldaferri, Angelo Signorelli, Livio Testa

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Hanno collaborato a questo numero Daniele Abbado, Sonia Borsato, Barbara Catalani, Federica Cerutti , Gessica Costanzo, Anna D’Apice, Fabrizio Dentice, Alessandra Ferrari, Paolo Naldini, Alfredo Padovano, Vittorio Panza, Lorenza Sanna, Livio Testa Si ringraziano per le immagini Studio Donato Di Bello, EDU – Empresa Desarollo Urbano, Cittadellarte - Biella, Enrico Amici, Fabrizio Lava, Ruben Bena, Aurelio Candido, Lubrina Editore, Gianfranco Rota, Tommaso Lepera, Marco Michetti, Maurizio Buscarino, Massimo Agus, Museo Man e Confinivisivi, Triennale di Milano, Mart di Rovereto, 24 Ore Motta Cultura, Davide Caporaletti, Zsolt Bata, Ingo Maurer GmbH, Tom Vack, Moroso, Sara Munari, Federico Garolla, International Center of Photography, Atelier Italiano

STAMPA CTS Grafica Via Vito Vincenti n. 23 Città di Castello – Perugia e-mail: cts@ctsgrafica.it ©copyright 2009 Edizioni Archos È vietata la riproduzione totale o parziale del contenuto della rivista senza l’autorizzazione dell’Editore

uando, negli anni ’90, ho incontrato questo termine, la cui novità è associare il luogo pubblico a un vero e proprio modo di operare culturalmente, in forma partecipativa e collaborativa, portando l’arte fuori da gallerie, musei e spazi privati, non ho potuto fare a meno di collegare questo movimento con quello che per me – almeno nel mio immaginario scolastico – è stato uno dei più incredibili atti sociali della storia dell’unità d’Italia: le 5 giornate di Milano.

ARTE PUBBLICA le brioches di maria antonietta i dolci mediterranei di love difference gli interventi urbani di Medellin le sculture sonore di paul fuchs i monumenti provvisori l’arte dialoga con il mondo

In copertina: Gianfranco Setzu “Mariantoinette” Il gioco estetico di Gianfranco Setzu nasconde riflessioni agrodolci che richiamano direttamente la quotidianità. La sua macro-Mariantonietta – presentata in questa veste grafica appositamente per Art App ironizza sulla situazione della società occidentale in cui, nonostante la crisi innegabile, continuano a offrirci – e forse continuiamo a cercare – brioches fantasma.

Nel 1848 i milanesi, prigionieri in casa loro, inermi e sottomessi al potentissimo impero asburgico che dal Castello Sforzesco, cannoni spianati, li controlla a vista, senza alcuna verosimile possibilità di liberarsi dallo spietato Radetzky, in 5 giorni si disfano dell’odiato tiranno rovesciando nelle strade, nelle piazze, nel luoghi pubblici, tutti gli oggetti più privati e personali, con una spontanea e immediata iniziativa collettiva che ha coinvolto dal più povero al più ricco cittadino. Le case si sono svuotate per costruire contro gli austriaci barricate fatte da tavoli da cucina, sedie da ciabattino e carrozze decorate in oro. Tutto questo ha avuto un unico legante propedeutico, la narrazione di un’aspettativa attraverso l’arte, la musica, il melodramma, il teatro; un unico linguaggio per preparare una macchina che si è rivelata di efficienza inaudita, di gran lunga superiore all’esercito più potente e armato d’Europa. Le barricate milanesi sono la prima grande opera di public art dove si è resa possibile la coprogettazione collettiva e sociale tra architettura, arte, landscape e interaction design, perché la forza del pubblico sul privato è soprattutto creativa. Art App si vuole occupare dell’arte da questo punto di vista. Lavorerà con le arti per vincere la dittatura della cronaca. Forte del suo essere quadrimestrale con uno spirito più narrativo


Barricate a Milano durante le “Cinque giornate” in una stampa d’epoca

che progettuale, crede in ciò che l’arte, in tutte le sue espressioni, riesce a far accadere tra la gente a patto che non si cancelli il concetto di storia, ma al contrario lo si coltivi. Caratteristica di Art App vuole essere soprattutto il rifiuto dell’agenda (ormai settimanale) che riempie molte riviste di architettura con toni sempre più da noir e da gossip, inseguendo in modo sempre più superficiale il bisogno di paura e di adulazione insito nell’uomo, che solo con l’arte si può superare. E poi Art App crede nell’arte che ci permette di uscire dalla gabbia nella quale le regole della natura a volte ci costringono, nell’arte come mezzo di crescita, mai dogmatico, mai definitivo: “La stupidità – diceva Flaubert – consiste nel voler concludere”. Crede nell’arte razionale e in quella che sta nel mondo del sogno, intendendo per sogno la sintesi delle sensazioni mediate dalla cultura e dalla sensibilità personale. Crede nell’arte come mezzo di comunicazione tra le culture, arte in tutte le sue forme, arte come sistema garante della democrazia e dell’equità sociale. Il corpo umano, così come la città e la società, non è un insieme di diversi “sistemi funzionali” la cui armonia garantisce la salute dell’organismo, bensì, come sostengono poco gli architetti e molto di più gli antropologi, frutto di un sistema basato soprattutto sui conflitti. La città vitale è fatta da un’infinita sovrapposizione di funzioni necessariamente in conflitto fra di loro perché la città è prima di tutto un insieme eterogeneo di persone che convivono. Ludwig Hilberseimer – padre dell’urbanistica americana – era naturalmente consapevole della necessità di “unire le parti”, ma la metodologia adottata, facilmente condivisibile da un pragmatico, separa – disinfetta – riunisce, perdendo nell’operazione l’aspetto conflittuale

che è il vero motore della nostra esistenza. Se vuoi alienare un uomo devi sezionare le sue attività, separare il lavoro dal tempo libero: otterrai uno specialista alienato e ferito. Se vuoi alienare una città devi zonizzarla per attività e destinazioni d’uso: zona commerciale, zona del tempo libero, zona produttiva. Abbiamo visto che non è un problema di distanze, di mezzi di comunicazione, nemmeno di decoro urbano. La gente socializza sul posto di lavoro, dove ha dei conflitti, non dove non ne ha. Si associa, si coalizza, si conosce, si frequenta soprattutto quando ha dei problemi, per risolverli e andare avanti. L’organismo umano è abituato a combattere, reagisce alle sollecitazioni sacrificando anche alcune parti se necessario, ma sceglie da solo all’interno della sua complessità e noi pressoché sconosciuta. Direi che il più grande difetto delle nostra epoca è lo sviluppo della specializzazione che ci fa perdere di vista l’insieme. Vale per la medicina: grandi specialisti che risolvono egregiamente patologie specifiche senza sapere da dove nascono. Questa idea di scomporre per poi riunire in modo armonico perché nessuna parte danneggi l’altra è così infantile! L’uomo non sa creare e allora smonta il giocattolo per poi rimontarlo, ma i pezzi che gli avanzano sono assolutamente vitali e il giocattolo è lì, magari più bello ai suoi occhi, ma non funziona più. Art App vuole riunire nell’armonia ma anche nel conflitto, per impedire la segregazione delle arti e quindi dell’uomo; il suo compito è raccontare quello che è accaduto, che accade, che accadrà, con una visione complessiva, mai superficiale ma mai specialistica, con un linguaggio forte ma sintetico, lasciando parlare le immagini spesso senza commentarle.

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Premiate pasticcerie “Open Source” “L’arte può essere fatta con gli occhi, ma anche con il palato che ha una propria sensibilità, storia, razionalità; il rapporto tra arte e sensi è molto forte. La pasticceria Love Difference considera meno la parte direttamente nutrizionale del cibo, per esaltarne quella immaginativa e celebrativa. La pasticceria è come una chat, un luogo senza confini, dove ci si scambiano percezioni gustative. Dolci così particolari creano meraviglia. La comprensione dell’altro può passare tramite un aroma, un gusto, un’esperienza fatta con le papille. Il “rischio” allora è di imbattersi in un gusto non convenzionale, che fa pensare. Il mondo oggi vive di trasformazioni veloci, il palato è un elaboratore di queste, e anche la gola può favorire il cambiamento sociale”. Michelangelo Pistoletto (in occasione dell’evento “Gelati e Dolci Love Difference come passaporto culturale”, CAMeC – Centro Arte Moderna e Contemporanea della Spezia, 22-23-24 febbraio 2008)

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una vetrina piena . di dolci colorati e invitanti, . una squadra di chef . di paesi diversi che mette . in comune la sua arte . per provocare meraviglia, . dialogo e amicizia .

a cura di Federica Cerutti i potrebbe parlare all’infinito del rapporto tra arte e cibo e di come si è espresso attraverso le epoche storiche e le mode, dalla Compagnia del Paiuolo nella Firenze del XVI secolo di cui parla Vasari ai pranzi futuristi riproposti ancora oggi. In fondo ogni chef è un artista e il cibo è cultura, mezzo per condividere tradizioni ed emozioni; sedere alla stessa tavola è conoscersi, stabilire un rapporto personale, dividere qualcosa di essenziale alla nostra sopravvivenza come il cibo. Love Difference ha scelto i dolci per comunicare il suo messaggio e ha scelto un punto di partenza da cui diffonderlo: il bacino del Mediterraneo, culla di civiltà, di scambi culturali, di antiche tradizioni culinarie, di mille spezie e sostanze aromatiche, dall’halva, la pasta di sesamo diffusa dalla Turchia ai Balcani, alla più rara mastika, una resina ricavata da una varietà di pistacchio tipica dell’isola di Chios. E poi il cibo è messaggio, è la ricetta tramandata di bocca in bocca, la preparazione collettiva, la conoscenza trasmessa di generazione in generazione. E in un’epoca che mai come altre ha aperto le frontiere della comunicazione, Love Difference sceglie il patrimonio della tradizione dolciaria per metterlo in condivisione e ridefinirlo attraverso la relazione e il dialogo. Un po’ come il

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Una riunione di Love Difference intorno al Tavolo Mediterraneo. foto di Enrico Amici

che gusto ha il latte? ha il sapore della buona salute graziella, 103 anni, italia

software libero, distribuito gratuitamente perché ognuno possa apportarvi dei miglioramenti. “Se crediamo che la gastronomia determini l’identità di un individuo, per promuovere il dialogo tra le culture dobbiamo fare opera di destrutturazione. I cibi sono caricati di sovra-strutture, legami d’appartenenza a un’identità culturale. Fare opera di de-strutturazione significa non tanto ricercare le radici tradizionali di un piatto, ma il percorso storico-culturale che ha portato all’evoluzione di un cibo fino all’odierna, momentanea contestualizzazione culturale” dice l’antropologo Fabio Pettirino. La pasticceria quindi diventa il mezzo per un’evoluzione creativa, il parlamento, inteso come luogo d’incontro e dialogo, dove l’arte e la creatività possano contribuire allo sviluppo aa responsabile della società. G

di che cosa sa lo yogurt? mi ricorda la prima yogurtiera che ha comprato mia mamma, non mi aspettavo che ne uscisse una cosa così acida! juan esteban sandoval, 36 anni, colombia

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Un dolce cuore verde

A Palazzolo sull’Oglio i proprietari dell’Osteria la Villetta, Maurizio e Grazia, aprono il primo Circolo Love Difference.

www.lovedifference.org

Il gelato Love Difference Un passaporto culturale per mettere in relazione e avvicinare, attraverso il gusto, le culture del Mediterraneo

“[...] il gelato Love Difference vuole diventare un passaporto culturale, una lingua non parlata, ma assaporata. Abbiamo creato questo gelato usando l’halva, prodotto tipicamente arabo, e vogliamo che questo gusto diventi il software libero della lingua fisica. Il gelato Love Difference vogliamo che venga ricreato, riprodotto, anche ricombinato con altri ingredienti, liberamente da tutti. Bisogna partire dall’idea di libertà e non di chiusura.” Michelangelo Pistoletto, Tunisi 2005 Michelangelo Pistoletto e Love Difference–Movimento Artistico per una Politica InterMediterranea hanno presentato alla 51a Biennale d’Arte di Venezia e al World Summit on the Information Society (WSIS) di Tunisi un nuovo gelato al gusto di halva – pasta di sesamo molto diffusa nei paesi arabi del Mediterraneo e nell’area balcanica nelle diverse varianti di pistacchio, noci, cioccolato – la cui ricetta viene condivisa secondo la logica del free knowledge, cioè della libera diffusione della conoscenza.

“Conosciamo Michelangelo e Maria Pistoletto da alcuni anni”, dicono Grazia e Maurizio. “Il privilegio di stringere con loro un rapporto di conoscenza e di amicizia ci ha avvicinati all’arte e all’idea dei dolci e del cibo in generale come pretesto, come occasione di incontro e di dialogo tra le differenze, tema caro a Michelangelo tanto da averne fatto un progetto artistico. Love Difference è per noi un modo per porsi interrogativi, per riflettere, per sperimentare intorno a uno dei grandi temi in cui ci imbattiamo quotidianamente: quello del dialogo. La via del dialogo ci piace, è la via che preferiamo, è quella che anche a fatica può consegnare a noi e ai nostri figli un futuro migliore; in questo solco stiamo lavorando per creare a Palazzolo il luogo di Love Difference, quello che chiameremo “Circolo Love Difference”. Un luogo che parta dall’esperienza di Biella, un luogo per scavare dentro le domande che ci poniamo e per trovare le risposte ai grandi interrogativi del nostro tempo. Un luogo dove possano trovare casa i temi della salvaguardia del nostro pianeta, anche attraverso l’esperienza di Terra Madre, nata per la tutela delle biodiversità e l’unione delle culture contadine, toccando i temi della solidarietà, dei diritti delle persone al di là delle loro condizioni sociali, religiose, di razza, di sesso. Un luogo dove attraverso la parola, la musica, la letteratura, l’arte, la convivialità, ci si possa liberamente confrontare, conoscere. Un luogo che nasce dall’esigenza – che noi sentiamo forte – di andare oltre noi stessi per pensare un mondo migliore”.

Il Circolo Love Difference a Palazzolo ripropone, riadattandolo, il dolce Love Difference Torta di Pane “Cuore Verde”, ideato da Enrica Borghi e Asilo Bianco

Ricetta Torta di Pane ingredienti 150 gr di pane raffermo 250 gr di latte 3 uova 70 gr di zucchero 50 gr di uvetta ammollata 50 gr di pinoli rum 3 mele a fettine sottili cannella (poca)

Preparazione: togliere la crosta del pane, far bollire il latte e versarlo sul pane, schiacciarlo con una forchetta e farlo riposare per 20 minuti. Montare gli albumi a neve. Unire tutti gli ingredienti al pane, per ultimo gli albumi. Imburrare e passare nel pane gli stampini,versare il composto e cuocere in forno caldo a 170°per 40 minuti.

invia la tua ricetta e i tuoi consigli a info@lovedifference.org

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che gusto ha la cannella? ha il gusto della terra di un paese mediterraneo… madeline fairhurst, 21 anni, inghilterra

che gusto ha il pane? ha il sapore della natura toyin omodayo, 39 anni, nigeria

che gusto ha il cacao? il cacao è scuro e sabbioso, a volte un po’ triste

Ricetta Dolci Salati

La Pasticceria Franco di Palazzolo invece realizza per Love Difference i DolciSalati, biscotti con arachidi e pistacchi, che diventano squisiti simboli dell’unione tra le differenze.

chiara strigini, 36 anni, italia

ingredienti 400 gr di burro 550 gr di zucchero semolato 250 gr di gocce di cioccolato fondente di Modica 450 gr di farina biscotto 2 uova 200 gr di pistacchi di Bronte 100 gr di cacao scuro di Modica 400 gr di arachidi Marocco 6 gr di sale Preparazione: impastare come una frolla e lasciar riposare per una notte in frigorifero, tagliare a quadri 4x4 cm, h.1,5.

che gusto ha l’halva’? l’halva è forte e pastosa, calda e sorprendente chiara strigini, 36 anni, italia

di cosa sa lo yogurt? sa di crema marta averof, 6 anni, grecia

e l’uvetta? sa di uva anna averof, 8 anni, grecia

che gusto ha il chalvas? ha il sapore della sabbia

Pane Terzo Paradiso “Terzo Paradiso significa il passaggio a un nuovo livello di civiltà planetaria, indispensabile per assicurare al genere umano la propria sopravvivenza. Il Terzo Paradiso è il nuovo mito che porta ognuno ad assumere una personale responsabilità in questo frangente epocale.” (Michelangelo Pistoletto). Con il “Nuovo Segno d’Infinito” si disegnano tre cerchi: quello centrale rappresenta il grembo generativo del Terzo Paradiso.

maura strigini, 37 anni, grecia

di cosa sa il pane? fresco nicola fabbrica, 2 anni, italia

che gusto ha il pane? è dolce mila ogryzko, 38 anni, russia

che gusto ha il cioccolato? ha il sapore dell’amicizia ada, 93 anni, italia

Pane terzo paradiso foto di Fabrizio Lava

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www.cittadellarte.it

Il paradigma . della partecipazione . a un progetto collettivo . in cui il cittadino . è creatore di civiltà . e non fruitore passivo .

Una veduta del complesso di Cittadellarte-Fondazione Pistoletto (Biella) foto di Ruben Bena

Dal comune denominatore al comune multiplo di Paolo Naldini rendiamo 3 numeri, ad esempio 2, 4 e 10. Poniamo che ci interessi stabilire che cosa hanno in comune, su che cosa fondare una relazione di gruppo, la loro identità comune. Una possibile risposta è che sono tutti numeri pari. Oppure che sono numeri interi. Una risposta un po’ più elaborata, ma comune per chi sia educato nel sistema culturale occidentale, è: “definiamo il loro massimo comune denominatore”, cioè quel numero che è contenuto in ciascuno e per cui ciascuno è divisibile. Nel nostro caso è 2. Immaginiamo ora che qualcuno proponga, come relazione e patrimonio comune a questi tre numeri, un altro concetto: il minimo comune multiplo, ossia quel numero che contiene ciascuno dei tre numeri ed è divisibile per essi. Nel nostro caso è 20. Che cosa è avvenuto? Un cambiamento di paradigma. Ipotizziamo che i tre numeri siano persone che intendono stabilire le basi per la loro convivenza. Nel caso prevalga il paradigma del comune denominatore, il capitale comune di cui possono disporre è rappresentato da 2. Nel caso in cui il

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paradigma prevalente sia invece il comune multiplo, il capitale comune del gruppo diventa 20. Nel primo caso, due individui su tre si riconoscono solo parzialmente nell’appartenenza identitaria al gruppo: il 4 e il 10, evidentemente, possiedono elementi ulteriori rispetto al patrimonio comune. Questi elementi, qualità e caratteristiche che definiscono l’identità individuale, sono “eliminati” dal paradigma del comune denominatore. Il risultato è che il gruppo “perde” un patrimonio di 18. Se si assume l’ipotesi che le qualità individuali possano apportare un contributo di sviluppo alla comunità, è evidente che il primo paradigma esprime un potenziale di sviluppo pari a un decimo rispetto al secondo. La nostra tesi è che l’arte come “trasformazione sociale responsabile attraverso idee e progetti creativi”, la mission di Cittadellarte, rappresenta e comporta il “paradigma del multiplo” in ogni ambito di interazione umana: dall’organizzazione di una piccola impresa ai sistemi socio politici nazionali e internazionali. Nel 2007 l’Unione Europea dichiara il 2008 “anno del dialogo interculturale”.

Cittadellarte e Love Difference partecipano alla Piattaforma Europea della Società Civile per il Dialogo Interculturale, promossa dall’European Cultural Foundation e dall’European Forum for the Arts and Heritage, a cui aderiscono numerose istituzioni culturali europee. A settembre la Piattaforma si ritrova a Cittadellarte per una sessione di 3 giorni. Negli stessi mesi, il Parlamento Culturale Europeo (di cui Pistoletto è senatore e chi scrive membro) è convocato per la VI assemblea annuale a Sibiu, Romania, capitale culturale europea del 2007. Entrambi gli organismi intendono impegnarsi in relazione al fallimento dei modelli di integrazione sociale prevalenti in Europa, messi particolarmente in discussione dagli attentati di Londra del 2005 e dalle rivolte nelle periferie francesi. La sessione rumena del Parlamento Culturale Europeo si chiude con un’articolata dichiarazione che viene diramata agli organi di stampa e agli organismi politici europei. Cittadellarte ottiene che in tale documento venga sancito il principio per cui la costruzione dell’Europa è un progetto collettivo aperto, cui sono chiamati tutti i cittadini con la loro creatività e con la ricchezza irriducibile delle loro differenze, in una parola attraverso la cultura. Riprendendo lo schema dei paradigmi,


Arte al Centro di una Trasformazione Sociale Responsabile 2008: Architettura di Svolta. Rassegna annuale di mostre, convegni, performance, proiezioni e dibattiti per la diffusione di una cultura sostenibile foto di Enrico Amici e studio La Spezia

si promuove una visione ispirata al “paradigma del multiplo” (dove per multiplo si intende il grande progetto collettivo, l’Europa appunto, che accomuna e fonda il riconoscimento identitario) rispetto all’adozione del paradigma riduzionista che avrebbe portato a cercare i “minimi” elementi comuni alle diverse individualità e gruppi etnici in gioco. Si era detto che il paradigma del multiplo, che potremmo anche descrivere come il paradigma della partecipazione creativa, si applica ugualmente alle organizzazioni minime, come le piccole imprese o come Cittadellarte stessa. L’identificazione tra il destino di Cittadellarte e quello dei suoi cittadini si compie: ciascuno ne diventa proprietario e posseduto, artefice e nello stesso tempo prodotto. Cittadellarte passa da “minimo denominatore”, cioè organo che concede e distribuisce incarichi e responsabilità, alla co-creatività del “comune multiplo”. Come il “cittadino dell’arte” trova nella partecipazione cre-attiva la propria identità individuale e la propria appartenenza comunitaria, così Cittadellarte promuove, nelle sedi di dibattito politico europeo, il principio per cui il cittadino è un creatore di civiltà, non un fruitore passivo di un progetto preconfezionato. In un sistema in cui l’affermazione della propria identità sociale è regolata dalle logiche del

All'interno di una suggestiva architettura lignea, la Tendopoli Informatica è una moderna "polis" incentrata sulle nuove tecnologie per la comunicazione a vasto raggio

Una riunione dei residenti di UNIDEE. L'Università delle Idee è un polo aperto a gruppi eterogenei e multidisciplinari di artisti, professionisti, studenti e laureati provenienti da ogni paese del mondo

modello consumistico, chi non partecipa al consumo non partecipa al sistema. Lo subisce. Lo agogna. Ma lo odia. E in ogni caso assume ogni sua istanza come estranea, artefatta da altri, irraggiungibile, in-condivisibile. Occorre spostare il senso e le coordinate del sistema di riferimento da questa dimensione di accettazione-rifiuto a una condizione di “progettualità aperta”. Le comunità capillari come i grandi consessi nazionali e sovranazionali devono oggi compiere una svolta decisiva e da organizzazioni a definizione chiusa evolvere

foto di Ruben Bena

verso forme progettuali in cui l’individualità trovi piena possibilità di impegnarsi creativamente e responsabilmente. L’appartenenza alle comunità e il riconoscimento della propria identità, quindi, siano basati non più sulle minime necessità che abbiamo in comune (reali o artefatte da agenzie speculative), bensì sul grande sogno che possiamo realizzare insieme. Passare, cioè, dal comune denominatore al comune multiplo. Questo è, dunque, il messaggio che vorremmo comunicare: la società “comune multiplo” di tutte aa le nostre singole irriducibili individualità. G

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scultura paul fuchs

L’artista suona il suo Fuchshorn - “corno di Fuchs” (1970), uno strumento in bronzo alto 64 cm

Bianco e sinuoso, Fumo che sale (2005) si innalza per 16.50 metri stagliandosi sullo sfondo del cielo

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Paul Fuchs, la “musica materiale” Una lunga ricerca nella lavorazione del legno e del metallo, unita . alla passione per la musica, ha portato l’artista tedesco a trovare le sue radici . nella campagna grossetana, dove le sue sculture si fondono . in un concerto con la natura nella suggestiva cornice del Giardino dei Suoni . di Lorenza Sanna fotografie di Aurelio Candido

e qualcuno ha creduto da sempre in un’arte a disposizione di tutti, calata nella vita e nell’ambiente circostante, questi è proprio Paul Fuchs; basta vedere i titoli degli album e dei tour giovanili – Musik füür alle [Musica per tutti], It’s up to you [Sta a te] – quando, verso la fine degli anni 60, fonda il gruppo di ricerca musicale Anima insieme alla compagna di allora, Limpe. Ma è solo a partire dal 1975 che l’altro grande amore della sua vita, la scultura, si fonde con la passione musicale dando vita alle prime sculture sonore e agli strumenti utilizzati in musica-terapia. Da allora è un susseguirsi di installazioni, concerti e iniziative pubbliche con partner d’eccezione, che lo rendono famoso dalla Germania natale fino alla Nuova Zelanda e alle Hawaii. L’amore per la materia che lo accompagna fin dai primi lavori come artigiano del metallo a Monaco di Baviera, la magia con cui sanno cogliere la realtà gli occhi dei bambini, sono presenti sia che progetti un parco giochi che la riqualificazione di un vecchio centro minerario. É stata una lunga strada sempre ai confini della sperimentazione artistica quella che lo ha portato più di vent’anni fa a contatto

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con la campagna grossetana e qui, in un casolare immerso in una macchia ancora selvaggia, a stabilire insieme alla moglie Gaby la sua casa-laboratorio dove è cresciuto gradualmente il Giardino dei Suoni. Al visitatore che oggi percorra a piedi i settecento metri di strada sterrata che si snoda tra la macchia mediterranea e un bosco di querce, le sculture che punteggiano l’aia e la collina appaiono come creature che prendono vita dall’ambiente in cui sono immerse, oscillando al vento e producendo suoni sia per intervento della natura che dell’artista. Sono forme sinuose o svettanti in ferro, bronzo, pietra e legno, dagli aerei mobiles al massiccio tronco di quercia modellato in figura umana. Alle due imponenti sculture Crescendo e Visitatore Extraterrestre, primi abitatori del Giardino, si sono aggiunte nel 2007 altre opere realizzate nell’ultimo decennio ed esposte precedentemente in Germania. Sono il Grande Indicatore (Berlino 1996), Spirale Eolica (Memmingen 2004), High B. (Monaco 1995), Segno nel vento (Moers 2000), Tra la Lente (2002 Grimma); nate per essere collocate in contesti urbani, sorgono a nuova vita in questa cornice naturale. Con questi giganti dai nomi suggestivi,

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In primo piano, sullo sfondo del Giardino dei Suoni, spicca la scultura in bronzo Hand - "mano” (1993), h 3,25 m

A sinistra, alcune bozzette; a destra, altre sculture in pietra, bronzo e acciaio: Quellennymphe, Copia, Gemelli

“Ho scavato la terra e l’ho osservata a lungo. Soltanto allora, sotto trenta centimetri di terra, dove le radici si impossessano del terreno, ho davvero compreso quale fosse la mia vocazione e che l’arte che cercavo non stava in cima a una scala ma sotto la terra”

che insieme ai recenti Occhio e Fumo che sale costituiscono il nucleo delle opere sonore, si incomincia a intravedere più compiutamente il progetto del Giardino, che si inserisce tra le opere più significative ai confini tra arte ambientale e arte ambientata, come sottolinea Barbara Catalani che ha conosciuto Fuchs in occasione di un seminario della Scuola di Specializzazione in Beni Storici Artistici dell’Universita di Siena e che da allora promuove la sua figura artistica sul territorio. Il percorso artistico di Fuchs, imprescindibile dalla dimensione umana della vita di tutti i giorni, dal legame con i materiali e con la natura, l’ha portato in contatto con le millenarie tradizioni di questa terra, legate alle fonderie e alla lavorazione artistica del ferro, e gli ha fatto sentire la forza che ancora vi risiede. “Scelsi di frequentare l’Accademia a Monaco perché pensavo che lì risiedesse tutta l’arte del mondo” racconta in un’intervista rilasciata a Barbara. “Guardavo l’imponente scalinata con le due sculture ai lati e credevo che soltanto lì avrei compreso il vero significato di fare arte. Poi sono venuto in Italia, ho scavato la terra

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e l’ho osservata a lungo. Soltanto allora, sotto trenta centimetri di terra, dove le radici si impossessano del terreno, ho davvero compreso quale fosse la mia vocazione e che l’arte che cercavo non stava in cima a una scala ma sotto la terra.” Non esiste un vero confine tra il lavoro di Paul come scultore e quello di musicista. “La musica è dappertutto” sostiene: in un bicchiere, in una foglia, in un sasso, in un tronco di legno. Per questo ama concludere la visita al giardino con performance musicali cui partecipano spesso artisti di fama internazionale. “Musica materiale” la chiama Fuchs; i suoi strumenti sono anch’essi sculture – lastre di pietra sottili che compongono un litofono, lunghi tubi, sfere, strane macchine, timpani sospesi, percussioni – da cui escono suoni inediti. E altrettanto importanti sono quelli provenienti dall’ambiente, la voce umana, la luce e l’atmosfera dei luoghi. Che si tratti di una chiesetta sconsacrata di Grosseto, di un teatro di Berlino o delle rive del Danubio, i suoi concerti sono eventi unici e irripetibili che riflettono la complessità dell’intera situazione e momenti aa intensamente emotivi per il pubblico che vi partecipa. G


Le sculture che punteggiano l’aia e la collina appaiono come creature che prendono vita dall’ambiente in cui sono immerse. Baum (1992) è un “albero” d’acciaio di 9 metri, in mezzo agli alberi

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Il percorso artistico di Fuchs, imprescindibile dalla dimensione umana della vita di tutti i giorni, dal legame con i materiali e con la natura, l’ha portato in contatto con le millenarie tradizioni di questa terra, legate alle fonderie e alla lavorazione artistica del ferro, e gli ha fatto sentire la forza che ancora vi risiede

Giochi d’immaginazione di Barbara Catalani n un’epoca sempre più caratterizzata dalla sofisticata tecnologia e da un rapporto sempre meno fisico con gli oggetti e la natura, il lavoro di Fuchs permette a ciascuno di noi di riscoprire alcune dimensioni che potrebbero andare perdute per sempre. Parlo del vagare senza un preciso itinerario all’interno del bosco, del riscoprire una natura poco invasa dall’antropizzazione e dal ‘comfort’ urbano; della fatica che si manifesta nelle mani di Fuchs; della meccanica che aziona le sue macchine, senza computer che ne gestiscano la regia. Si resta affascinati dal lavoro artistico di Paul e dalla sua filosofia di vita, ci si convince del fatto che non poteva trovare ragione e fondamento se non nella terra in cui ha scelto di vivere. Per chi non è mai stato al di là delle colline che sovrastano il mare, occorre immaginare cosa riservano il paesaggio, le tradizioni e le genti di quei paesi. Un salto nel tempo, in cui le strade sono ancora curve e i segnali pochi, il costruito al suo posto. Qui Paul e Gaby vivono e lavorano realizzando opere che poi raggiungeranno paesi lontani e destinazioni molto diverse dalla Maremma. Ma il lavoro di Fuchs è sempre stato di natura internazionale e quello che stupisce ogni volta è l’assoluta sintonia che si crea tra la scultura e l’ambiente. Fuchs è uno di quelli che ama ancora percepire lo spirito della terra in qualsiasi posto si trovi ad agire. Il suo modo di operare nel formulare un progetto comincia sempre dall’osservazione dello spazio e da come questo interagisce con i cambiamenti fisici e atmosferici. Ogni volta le sue installazioni sono accuratamente meditate e mai casuali. Lo stesso dicasi per i concerti. Sebbene a un primo sguardo risultino performance improvvisate, dietro c’è un lavoro di lunga preparazione dove si cerca di evocare il luogo che ci ospita, quindi di impostare una precisa scelta degli strumenti e infine definire la durata dei brani da eseguire. Con i prestigiosi partner con i quali ha lavorato in questi anni, Fuchs riesce a stabilire un contatto molto diretto e allo stesso tempo estremamente profondo, coniugando perfettamente quel contrappunto che nasce dal suo modo di interpretare la musica e il metodo, sempre diverso, di chi lo accompagna in concerto. Si alternano così figure di spicco nell’ambito della sperimentazione sonora come il figlio Zoro Babel, affermato percussionista e lui stesso inventore di fantasmagorici strumenti; oppure figure di fama mondiale come il violinista classico Hariolf Schlichtig e l’amico regista Achim Freyer. E ogni volta l’emozione è forte perché in tutta questa opera a lungo preparata e studiata il pubblico riesce ancora a godere di quell’aspetto che sempre meno viene richiesto agli artisti: ovvero invenzione e immaginazione. Ecco, il lavoro di Paul è proprio questo: un equilibrato connubio tra progettazione, invenzione e immaginazione; mix, aa questo, capace di evocare emozioni intense e durature. G

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Il Giardino dei suoni si trova in località Boccheggiano, comune di Montieri (GR) ed è visitabile su appuntamento.

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Spirale eolica (2004), h 16,60m, acciaio e inox

chi è | Zoro Babel Di formazione jazzistica, nei primi anni 80, insieme al chitarrista Nick Didkovsky, è tra i fondatori dell’ensemble Dr Nerve, che si afferma come gruppo d’avanguardia sulla scena americana ed europea. Risale a quegli anni anche la lunga collaborazione con il musicista e compositore Markus Stockhausen, con il quale firma due dischi tra il 1987 e il 1989 (Beings, Così Lontano… Quasi Dentro). Il primo incontro con il teatro avviene a Berlino, dove appare come interprete e compositore per Metamorphosen di Achim Freyer, Urs Troller e Dieter Schnebel. Dagli anni novanta fino a oggi è una copiosa produzione che lo vede a fianco di musicisti come Dieter Schnebel, Joseph Anton Riedl, Michael Lentz, Alexej Sagerer, Edgar Guggeis. Nel 1993 esce Pyromaniax, il primo Cd del gruppo Focus Pocus, che lo vede insieme a Werner Puntigam e a Gabriele Mirabassi. Ormai giunto alla piena maturità artistica, Zoro Babel prosegue la sua attività con concerti e partiture sia per il teatro che per orchestra; con il gruppo Occhio-Quartet, fondato nel 2006, ha prodotto il Cd Momente.


Il suo modo di operare nel formulare un progetto comincia sempre dall’osservazione dello spazio e da come questo interagisce con i cambiamenti fisici e atmosferici. Le sue installazioni, come pure i concerti, sono accuratamente meditate e mai casuali

Si resta affascinati dal lavoro artistico di Paul e dalla sua filosofia di vita, ci si convince del fatto che non poteva trovare ragione e fondamento se non nella terra in cui ha scelto di vivere

In questa casa Paul e Gaby vivono e lavorano realizzando opere che poi raggiungeranno paesi lontani

Il lavoro di Paul è un equilibrato connubio tra progettazione, invenzione e immaginazione

Info: paul.fuchs@tiscalinet.it | www.paulfuchs.com | tel. 0566 998221

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urbanistica Architettura pubblica, “Il caso Medellin” di Edoardo Milesi

ergio Fajardo, sindaco di Medellin dal 2003 al 2007, mediante l’architettura di opere pubbliche è riuscito a mettere in campo politiche urbane che hanno in pochi anni riportato alla normalità la città della paura al punto da fare dedicare al New York Times un lungo articolo elogiativo sulla città, fino allora famosa solo per i narcotraffici, come meta turistica. Fajardo in poco più di 4 anni ha dimostrato come sia possibile migliorare la qualità della vita urbana di una grande metropoli attraverso l’architettura, uno strumento tanto antico quanto rivoluzionario, attivando una coscienza progettuale sensibile che per essere attuata deve passare dalla pratica solidale della cura dei luoghi in quanto occasione di comportamento. L’architettura, la vera architettura, è quella che è in grado di far accadere, di compiere delle trasformazioni tra la gente nella vita quotidiana e tra i popoli. La storia e la cultura delle grandi civiltà ci arriva tramite la loro architettura, che non solo è in grado di affrontare le grandi questioni dell’umanità ma ne è sempre protagonista. Nelle favelas di Medellin, il luogo forse più pericoloso al mondo, gli omicidi toccavano la cifra annuale di 380 ogni centomila abitanti. Dopo 4 anni di opere pubbliche per edifici e infrastrutture che hanno cambiato radicalmente il significato della città, gli omicidi sono scesi a 29 ogni centomila abitanti.

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In un’intervista rilasciata alla rivista Abitare, Fajardo spiega che l’asse principale del progetto politico è consistito nel realizzare interventi sociali, culturali, educativi nelle zone più sfavorite. “Era già chiaro che l’architettura avrebbe giocato un ruolo fondamentale - dice -perché era nostra intenzione dare visibilità all’inclusione sociale che vogliamo raggiungere e quindi far realizzare i migliori progetti nei luoghi più umili. Vogliamo che l’architettura cambi

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Fajardo in poco più di 4 anni . ha dimostrato come sia . possibile migliorare la qualità . della vita urbana di una grande . metropoli attraverso l’architettura, . uno strumento tanto antico . quanto rivoluzionario .

Medellin: vista panoramica del quartiere periferico di Santo Domingo Savio; sullo sfondo s’innalza il Parco Biblioteca España

Medellin: biblioteca pubblica nel quartiere di San Javier

Tutte le immagini sono state gentilmente concesse da EDU - Empresa Desarrollo Urbano


Medellin: vista aerea sul Parco Explora

Medellin: vista esterna del parco delle scienze e tecnologie Explora

Medellin: 107 street, uno dei viali principali del quartiere di Santo Domingo Savio, con il capolinea del metrocable

Sergio Fajardo (Colombia 1956) matematico. Vive a Medellin, Colombia. Accademico a livello internazionale, nel 2003 a seguito di una campagna elettorale svolta in prima persona con un piccolo gruppo critico, Compromiso Ciudadano, viene eletto sindaco di Medellin. Nel 2007 è stato nominato dal Financial Times personaggio latino-americano dell’anno.

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urbanistica Alcuni luoghi, alcuni ambienti possiedono un senso di energia, di vitalità che altri non hanno. Pare che la forma di un corpo crei un campo di forza (o campo di forma) in grado di modificare la qualità (e forse la sostanza) di elementi biologici. Forse questa energia sottile e inspiegabile è un permanere di tensione “artistica” dovuta a qualcosa che va oltre la semplice ricerca del risultato

la percezione e la natura dei luoghi che sono stati tra i più carichi di dolore della città, che contribuisca a generare nuovi punti d’incontro e di scambio. ... Non abbiamo scelto i luoghi in base al calcolo elettorale o politico, che non necessariamente coincide con le vere necessità... l’investimento nei settori più poveri e violenti non solo ne avrebbe migliorato le condizioni puntuali di vita, ma sarebbe stato anche un investimento sociale che avrebbe generato benessere per tutta la città, cambiandone l’immagine a livello nazionale e internazionale”. Cambiare l’immagine di una città attraverso la realizzazione di progetti pubblici di qualità proprio là dove la lacerazione e l’isolamento sono maggiori crea negli abitanti un senso di appartenenza; nasce una nuova dignità, un’autostima a volte mai provata. Ma quale architettura ha questo compito e con quale architettura si può raggiungere un qualche cambiamento sociale? Certamente un’architettura che parli della propria funzione con una forte connotazione contemporanea. In realtà, come sostiene Alvaro Siza, la vera architettura pubblica è quella che riesce, dopo aver soddisfatto pienamente e rigorosamente la funzione richiesta, a trascenderla per dichiararsi disponibile a usi diversi; progettare una città è per un architetto prima di tutto un atto di solidarietà e tolleranza, solo così può stimolare la convivenza. L’architetto deve continuamente assumere più identità per capire il bambino, l’anziano, il lavoratore e il disoccupato, l’emarginato e lo sportivo e può farlo solo mediante la partecipazione attraverso un animo libero e un atteggiamento sempre curioso. L’architetto deve prima di tutto saper ascoltare e poi deve saper comunicare affinché l’idea sia di dominio pubblico: questo è il fondamento stesso della solidarietà. Postulato fondamentale dell’opera urbanistica di Le Corbusier è stato il rispetto della libertà individuale o meglio la restituzione della libertà perduta. Secondo Le Corbusier soltanto l’architettura e l’urbanistica possono colmare aa questa aspirazione profondamente umana. G

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Medellin: vista dall’interno del Parco Biblioteca España

Medellin: rispondendo all’esigenza di allargare l’accesso alla cultura e di nuovi spazi di aggregazione, negli ultimi anni sono stati costruiti 5 parchi con biblioteca pubblica e altri 5 sono in progetto, da realizzare entro il 2011


“L’urbanistica è l’espressione, rappresentata nelle opere dell’ambiente costruito, della vita di una società. Di conseguenza, l’urbanistica è lo specchio di una civiltà. Non si tratta di una scienza limitata, troppo strettamente specializzata e specificatamente tecnica, ma di una manifestazione di saggezza che si propone come oggetto ed effetto di discernere i fini utili ed enunciare i programmi corrispondenti” Le Corbusier, 1946

Medellin: Parco Biblioteca del quartiere di Belen

Medellin: Parco Biblioteca del quartiere di La Quintana

Medellin: Parco Biblioteca Tomás Carrasquilla

Medellin: Parco Biblioteca nel quartiere La Ladera

Medellin: scuole nel quartiere Las Independencias

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urbanistica

Siamo attori in un grande “gioco della vita”, dove è la scena in cui ci muoviamo a condizionare il nostro modo di essere

L’architetto e le regole del gioco di Anna D’Apice

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o sempre pensato che nelle mani degli architetti ci fosse la capacità di condizionare il corso di vita delle persone. Come creatori di spazi pensati in un determinato modo, con ripercussioni sullo svolgersi della vita di ogni singolo individuo, a loro spetta pertanto l’obbligo di soddisfare appieno le esigenze di chi usufruisce di questi spazi. È diffusa la convinzione che sia l’uomo a determinare le cose che lo circondano. Al contrario è dimostrato da studi nei più diversi settori dell’attività umana che siamo noi a essere dominati dallo spazio, inconsciamente sopraffatti da condizionamenti sensoriali e percettivi. Il concetto di spazialità è imprescindibilmente legato al concetto di spazio antropologico. A seconda della propria natura e della propria disposizione, ogni spazio è capace di avviare processi relazionali tra coloro che ne fruiscono grazie alla sua capacità intrinseca di indurci a scegliere una linea di comportamento. Uno spazio, percepito tramite alcune attività sensoriali, mette in moto una serie di avvenimenti entro i quali si determinano le capacità di relazione o di esclusione del singolo individuo nei confronti della collettività. Secondo questa interpretazione l’uomo veste inconsapevolmente i panni di un attore che agisce su una scena e si comporta secondo le regole imposte da quest’ultima. Autore di questi studi è il sociologo canadese E. Goffman, che attraverso i suoi scritti affronta il discorso secondo cui l’individuo, in qualità di attore, agisce su una scena seguendo schemi comportamentali dettati dal contesto in cui si esibisce. Tutta la sua teoria si sviluppa attorno alla tematica del teatro. Appropriandosi della terminologia scenica, Goffman ne fa un mezzo attraverso il quale interpretare le persone. Una sorta di gioco della vita, in cui ogni individuo sceglie la propria maschera e il proprio abito di scena e si lancia nella realtà della “circostanza” appartenente al mondo esterno, nella quale ad assumere importanza sembra essere la coerenza espressiva propria del “personaggio” scelto, attraverso i differenti palcoscenici sui quali è chiamato a “esibirsi”. La metafora della maschera, che è stata sin dal passato tema di discussione per filosofi, sociologi e letterati, prende corpo nell’influenza che subisce l’uomo quando si mostra in pubblico. L’abito di circostanza lo aiuta nell’affermare una sorta di identità sociale all’interno del contesto in cui si trova. Un comportamento individuale con una chiave di lettura detta del “frame”, ovvero la cornice sociale entro la quale avvengono i fenomeni di relazione. È dunque lo spazio che influenza il modo comportamentale delle persone; quanto agli architetti, sono loro a determinare le regole aa secondo le quali “giocare”. G 20 Art|App

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Medellin: Colegio Llanadas due delle dieci scuole costruite da Las Empresas Públicas di Medellin in quartieri carenti di strutture educative

Medellin: Colegio Las Mercedes:

Medellin: Colegio Llanadas


Cosa ne sa uno studente di pittura della filosofia che da sempre è compagna delle tecniche artistiche che utilizza? E uno studente di filosofia è in grado di realizzare una velatura ad olio, la cui trasparenza è in tutto simile al significato luminoso che il termine verità ha in filosofia? Nei secoli le tecniche artistiche hanno trovato il loro complemento nelle filosofie a loro contemporanee, entrambe si sono accompagnate a ciò che ci si porta dietro, nell'intimo dello stomaco, nell'ideale del ventre, a ciò che si mangia. Non diceva forse Feuerbach che l'uomo è ciò che mangia? Due artisti e insegnanti dell'Accademia di Belle Arti di Brera, Nicola Salvatore e Aldo Spoldi e un grande chef, Gualtiero Marchesi, uniscono le loro riflessioni per formare l'identità di un insegnante ideale: Angelo Spettacoli, che sa di tecnica pittorica, di filosofia dell'arte e di cucina. Quasi fosse una corporazione pensare, dipingere e cucinare. Si arricchiscono l'un l'altro nello stare assieme, in un'unica identità. Pensiero, arte, cucina, uniti in una joint venture, riprendono, elaborandolo in guerriglia armata, il piacere del pensiero, dell'arte, del gusto contro la contabilità e il commercio della fine della storia.


italiastraordinaria not ordinary = extraordinary

una guida alle realtà più creative e innovative italiastraordinaria, pubblicata dalle Edizioni dell’Ambrosino, è una collana editoriale unica nel suo genere che ricerca le realtà e i protagonisti più rappresentativi delle realtà metropolitane per offrire al lettore una città diversa, innovativa, stimolante, tutta da scoprire.

edizioni dell’ mbrosino b p a r t - v i a G i a n n o n e , 4 - 2 0 1 5 4 M i l a n o - t e l 0 2 8 9 6 9 0 1 4 3 - f a x 0 2 3 4 5 3 6 9 5 2 - w w w. i t a l i a s t r a o r d i n a r i a . i t - i n f o @ b p a r t . i t


mostre

Altre leggi per il popolo acquaforte, acquatinta e puntasecca 240 x 350 mm dalla serie Disparetes (Proverbi)

Nell’ultima fase della sua vita, , il grande pittore spagnolo , che fu protagonista e spettatore , di una svolta grandiosa e atroce , della storia ci regala la sua opera , più visionaria e tormentata ,

Sogno e visione nella Spagna di Goya di Fabrizio Dentice

Le battaglie di Goya Un’occasione per ammirare una selezione delle incisioni di Goya, da molti critici ritenute più importanti della sua produzione pittorica, è offerta dalla mostra allestita al Bopo Bocciodromo di Ponteranica (Bg) - Francisco Goya. Tauromachie e altre battaglie – che riunisce oltre trenta lavori del grande artista spagnolo. La mostra è accompagnata da due

cortometraggi di Luciano Emmer, restaurati per l’occasione, che accompagnano lo spettatore in un viaggio suggestivo attraverso tutta la produzione Goya, dalle opere più spensierate agli orrori della guerra, alle drammatiche sequenze dello scontro tra tori e toreri, con immagini incalzanti e improvvisi cambi di tono sottolineati dalla chitarra di Andrès Segovia.

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el 1746 nasceva in un villaggio dell’Aragona uno dei massimi pittori d’ogni tempo. Francisco Goya y Lucientes non fu come Raffaello una rapida e seducente cometa, o come Rubens un trionfale gestore del proprio genio. E neppure, come Velasquez – da lui tanto ammirato – un pittore legato per la vita a un sovrano e alla sua corte. Goya fu uomo complesso che compendiò tutti gli umori, le passioni, i disgusti e gli incubi del suo tempo; e che dall’esperienza sofferta del proprio vivere in una svolta grandiosa e atroce della storia, trasse immagini rivelanti dell’eterna tragedia umana ed emblemi di asservimenti e paure antiche quanto il mondo. Le centotrenta tele del Prado, a Madrid, offrono un’abbagliante rassegna della sua opera, illustrata con massimi esempi in ogni sua fase e aspetto: dai primi cartoni per gli arazzi della Real Fabbrica, consegnati nel 1775, alla celeberrima Lattaia di Bordeaux, che è l’estrema radiosa immagine della femminilità percepita nell’ultimo spezzone di vita da un Goya ottantaduenne e sfocato nella vista. Goya non fu eccelso pittore religioso: era laico nello spirito e incline nelle commesse per la chiesa a dare quel che i preti volevano, senza grandi sussulti di novità. Con la natura morta, poi, l’incontro fu marginale e poco significante. Non così per il “genere” e l’immaginario. Se

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Pioggia di tori, acquaforte, acquatinta e puntasecca 245 x 350 mm dalla serie Disparetes (Proverbi)

Come suo nonno, Acquatinta, 215 x 150 mm, dalla serie Capricci

come osservatore del costume Goya ci regala alcuni dei suoi capolavori nella freschezza dei ritratti e delle scene di vita a corte, nell’opera più tarda esibisce un genio senza confronti come custode degli abissi che sono in noi e sotto di noi. La malattia che lo colpì a Cadice nel 1792 e lo rese sordo rappresenta uno spartiacque nella vita dell’artista; incupito e isolato dal non sentire, Goya si addentrò nella riflessione sulle crudeltà, ipocrisie e incongruità del mondo e nelle dimensioni dell’orrore e del sogno. A questo periodo appartengono le incisioni realizzate a partire dal 1799 con la tecnica dell’acquaforte e dell’acquatinta. Alla feroce satira dei Capricci, seguirono I Disastri della guerra, che illustrano in termini crudi l’occupazione napoleonica in Spagna, l’imponente ciclo della Tauromachia (1816) e i Disparetes, i “Proverbi”. A trecento metri dal Prado c’è l’Accademia di San Fernando, dove si possono vedere gli incubi dell’opera grafica per intero, e salendo un piano, trovare anche La sepoltura della sardina, Il cortile dei pazzi e altre due pitture di quelle che Goya faceva “no por encargo” (non per commissione), ma per sé; come e quando il suo umore glielo dettava. Molte di quelle “stregonerie” e scene di vita sono perdute, ma rimangono per fortuna le pitture “nere” della Quinta del Sordo, ridisposte come lo erano nella dimora sul Manzanares, dove il vecchio Goya visse con la compagna Leocadia Weiss prima di ritirarsi in esilio in Francia, dal 1824 fino alla morte, avvenuta a Bordeaux nel 1828. Bopo Bocciodromo Via Concordia 6a - Ponteranica (Bg) 20 giugno – 26 luglio 2009 mar-mer-ven 16-20; gio 16-22; sab-dom 10-20

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A caccia di denti acquaforte, acquatinta e bulino 218 x 151 mm dalla serie Capricci

Non scapperai, acquaforte e acquatinta 216 x 151 mm, dalla serie Capricci


La canaglia sgarretta il toro con le lance, mezzelune, banderillas e altre armi acquaforte, acquatinta e puntasecca, 248 x 353 mm, dalla serie La Tauromaquia

Che guerriero! acquaforte e acquatinta 245 x 350 mm dalla serie Disparetes (Proverbi)

Una regina del circo, acquaforte, acquatinta e puntasecca 245 x 350 mm dalla serie Disparetes (Proverbi)

CHI È/ Luciano Emmer Considerato a pieno titolo uno dei protagonisti del cinema e della televisione italiana del secondo dopoguerra, tra gli anni 50-60 Emmer ha realizzato diversi lungometraggi basati su storie di gente comune, da Domenica d’agosto (1950) a La ragazza in vetrina (1960), per passare poi alla televisione come regista di sceneggiati, documentari e pubblicità; sua la prima sigla di Carosello e molto celebri spot dell’epoca. Emmer aveva iniziato la carriera di regista alla fine degli anni ’30, ancora studente, con una serie di “Racconti dell’arte”, realizzati insieme a Enrico Gras, in cui raccontava alcune delle grandi opere d’arte presentandole con originali montaggi musicali. Di questa produzione fanno parte i due cortometraggi dedicati a Goya, che risalgono alla fine degli anni ’40. Nel catalogo di Lubrina Editore, è lo stesso Emmer a raccontare il modo singolare in cui sono nati. “Igor Stravinski era venuto a sapere che avevo utilizzato la sua musica per Petruska per sottolineare le immagini del mio film sul dipinto di Hyeronimous Bosch – nel quale raccontavo la storia di Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre. Ma, terminata la guerra, l’avevo sostituita con un’altra musica composta appositamente da una musicista italiano, per non incorrere in problemi di diritto d’autore. Stravinski andò su tutte le furie perché avevo sostituito la sua musica. Trovandosi in presenza di Andrés Segovia – il più grande chitarrista spagnolo di tutti tempi – gli disse: quando vai a Roma gli dici che deve farti incidere i più bei pezzi di musica spagnola, da Albeniz a Tarroba, accompagnando alle immagini le incisioni di Goya. Così sono nati i miei film La pradera de San Isidro e I disastri della guerra. Invece di seguire le immagini con la musica, quella volta ho seguito la musica con le immagini. Quando mi è stato chiesto di presentare i miei due cortometraggi a Ponteranica ho pensato di realizzare una nuova versione inserendo le immagini dei dipinti a colori. Questo insolito accostamento al bianco e nero delle incisioni ne ha esaltato il valore di testimonianza della realtà tragica dell’epoca nella quale Goya ha vissuto.”

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GRAZIANO GREGORI Ecce Homo bassorilievi

GALLERIA CERIBELLI

8 marzo - 21 maggio 2009 via S. Tomaso 86 - 24121 Bergamo tel. 035 231332 - fax 035 4137007 Orario 10-12.30 - 16-19.30 chiuso domenica e lunedĂŹ www.galleriaceribelli.com - galleriaceribelli@tiscalinet.it


CENTRO CULTURALE SAN BENEDETTO

SETTIMANA DELLA CUSTODIA DEL CREATO Convegni Concerti Mostre d'arte Incontri di preghiera Siloe|Poggi del Sasso dal 29 agosto al 6 settembre 2009

Il monastero di Siloe si inserisce nello straordinario contesto naturalistico e storico della Maremma: non ha ancora compiuto dieci anni ma è diventato riferimento per il cammino di ricerca di tanti, luogo di preghiera, di arte, di cultura. L’architettura contemporanea per una comunità animata dall’antica regola di Benedetto è anche una sfida: dire la fede con il linguaggio di oggi. Il progettista ha saputo cogliere il genius loci e insieme la storia quasi bimillenaria del monachesimo, inserendosi in un percorso che segna il Novecento e va da St. Marie de la Tourette di Le Corbusier a Mount Angel di Alvar Aalto al monastero di Vals di Hans Van der Laan

CANTI DI PIETRA

Architettura monastica: il Novecento e oltre, da St.Marie de la Tourette al Monastero dell’Incarnazione

CONVEGNO

con Enzo Bianchi, Mario Botta, Maria Antonietta Crippa, Edoardo Milesi, Giovanni Gazzaneo, Giuseppe Russo

MONASTERO DELL’INCARNAZIONE Poggi del Sasso (Grosseto), 29-30 AGOSTO 2009 ideazione “Luoghi dell’Infinito” e Fondazione Crocevia organizzazione Artapp e Centro Culturale San Benedetto


arte Castelli di carta

interventi urbani di josephine sassu e gianfranco setzu di Sonia Borsato

Tra gioco e seduzione, . due giovani artisti . realizzano suggestioni . effimere .allo scopo . di costruire un patrimonio . di emozioni collettivo .

Sonia Borsato è critica d’arte e cura la direzione artistica di Su Palatu - Spazio culturale per la fotografia di Alghero.

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egli anni ’60 una nuova concezione urbana aveva motivato modalità di intervento artistico che scoprivano nel concetto di “pubblico” sfumature ampie, non limitate alla sola dimensione geografica ma che germinavano nel sociale e nel politico, divenendo strumento per la promozione del patrimonio locale. In Italia quella che, con termine vago e polisemantico, possiamo definire “arte pubblica” conosce consapevolezza di azione e attenzione solo negli anni ’90, periodo in cui, per paradosso, la diffusione di Internet cambia radicalmente la società e il concetto stesso di “spazio”. Il World Wide Web ha non solo arricchito il nostro vocabolario, ma ha aggiunto sfumature nuove a parole “vecchie” con un imprevisto restyling di termini che, de-fisicizzati e ricontestualizzati, organizzano un’agenda quotidiana con sempre più impegni e incontri, la maggior parte dei quali assolutamente virtuali. Se la piazza non esiste più e il luogo deputato agli incontri è la rete, ci si può chiedere se parlare di arte pubblica possa avere ancora senso. Ne ha. Forse ancora di più proprio perché meno fondamentale può sembrare il suo intervento. La necessità di animare il sociale è reale, contemporanea, e richiede maggiore consapevolezza e responsabilità. Lavorare sul pubblico, infatti, non è solo una questione di luogo. Se è vero che una collocazione all’aperto è, per rigor di logica, fondamentale, altrettanto lo è lo slittamento concettuale che avviene passando dall’interno all’esterno, dal privato al pubblico, dal singolo al collettivo. Lo scopo è quello di costruire un patrimonio, non fisico ma emotivo; sollecitare un bagaglio culturale reale ma appesantito dalla stratificazione delle informazioni che ogni giorno si ammassano nella nostra memoria. L’intervento artistico in una dimensione pubblica si muove in questa direzione di decostruzione e ri-sintonizzazione attraverso un’ovvia modificazione del tessuto urbano ma soprattutto attraverso una metamorfosi dell’idea della prestazione artistica, in questo modo assolutamente esposta e non tutelata, e del pubblico, sottoposto più che in altre occasione all’effetto sorpresa, alla scoperta, al coinvolgimento e sconvolgimento del sentirsi parte di un evento senza averlo previsto. Nella dimensione pubblica, l’opera recupera la magnificenza delle grandi dimensioni senza la supponenza della lunga durata. Si fa gioco del tempo puntando tutto sull’esplosione del-

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Gianfranco Setzu M. Antoinette “S’ils n’ont plus de pain, qu’ils mangent de la brioche!”


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Unire gli opposti in una divertita ambiguità è la matrice del lavoro di Setzu

interventi urbani di josephine sassu e gianfranco setzu Dudley sticker invasion. Grandi poster realizzati dall’assemblaggio di A4 stampati in casa; ricercatezza da designer del lusso per un prodotto che vuole essere prima di tutto colloquiale e alla portata della gente

Chi è | Gianfranco Setzu (Oristano, 1975). Dopo l’Accademia di Belle Arti di Sassari, si specializza alla Domus Academy di Milano. La sua produzione si muove tra il design più ricercato e un’ironica e irriverente ricerca artistica che, negli esiti più recenti, ha scelto la dimensione urbana come luogo preferenziale di attuazione. www.gianfrancosetzu.com

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arte l’istante: ignora l’eterna memoria, conquista il qui e adesso! Rispondendo a queste premesse, Gianfranco Setzu e Josephine Sassu realizzano interventi urbani che oscillano dal gioco alla seduzione e affrontano lo spazio con materiali deperibili, momentanei, che hanno la loro forza nella possibilità di interagire con l’ambiente, modificarsi con l’azione degli agenti atmosferici, essere suggestione temporanea. Josephine Sassu attua una contraddizione in termini con i suoi Monumenti Provvisori. Se “monumento” deriva da monere, ricordare, e aspira alla lunga durata, l’aggettivo “provvisorio” è un inno alla temporaneità. La Sassu, dunque, priva il monumento di tutto ciò che istituzionalmente lo renderebbe tale: non marmo e orgoglio nazionale ma precarietà e bellezza della povertà. Realizza su superfici urbane degli enormi disegni naïf; con solo carta e matite, si insinua tra le pieghe cittadine ingigantendo i protagonisti di un ipotetico bestiario medievale, florescenze nate dall’incrocio di foreste tropicali con favole dei fratelli Grimm. Creature zoologicamente improbabili invadono marciapiedi, cascate di fiori di carta velina si arrampicano sui muri. In bilico tra ingenuità e purezza, i suoi lavori incantano come inni all’inadeguatezza e permettono di perdersi in uno spaccato onirico-letterario che costringe i passanti a confrontarsi con la loro preziosa fragilità.

Chi è | Josephine Sassu (Emsdetten, 1970). Studia all’Accademia di Belle Arti di Sassari. Alla fine degli anni ’90 la sua pratica artistica si rivolge al cucito, concentrandosi sul tema della mutazione genetica e del contagio. I Monumenti provvisori sono l’esito più recente della sua ricerca attualmente concentrata sulla dimensione pubblica del fare artistico.

interventi urbani di josephine sassu e gianfranco setzu Gianfranco Setzu, invece, si impossessa della città, la aggredisce realizzando site specific di invasione che esplodono sulle superfici in una macro-narrazione urbana che della città utilizza i codici e i dettami. Immagini evocative, riconoscibili e identificabili; icone prelevate da un immaginario collettivo che fanno breccia in tutti quelli che, dagli anni ’70 in poi, sono cresciuti a pane e piccolo schermo. Appaiono nell’arco di una notte e, con le prime luci del giorno, colgono di sorpresa la città che riprende il suo ritmo. Stupiscono. Spiazzano. Insinuano dubbi. Il sorriso e l’ironia lasciano lentamente il posto alla memoria, alla considerazione, all’agrodolce. Conquistano lo spazio urbano trasformandolo in un mausoleo in onore della possibilità eletta a stile di vita, un eden pop dove tutti possono ritrovarsi rappresentati… in un modo o nell’altro. Josephine Sassu e Gianfranco Setzu, pur nella differenza delle personali ricerche, si muovono accomunati dalla sobrietà di mezzi espressivi per abitare poeticamente uno spazio espressivo che sentono loro di diritto, una frazione di mondo dove tentare di avvicinarsi all’essenza delle cose, realizzando castelli di carta che diaa ventano la traccia di una storia collettiva. G

Con i suoi Monumenti provvisori Josephine Sassu lancia una sfida precisa: ottenere il massimo partendo dal minimo. Partendo dal disegno - che lei considera il minimo sindacale della tecnica - affronta pareti, spazi architettonici complessi che vengono gestiti senza proiezioni o disegni già preparati, ma solo con grafite e mano libera

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interventi urbani di josephine sassu e gianfranco

Josephine Sassu. Monumenti provvisori Creature zoologicamente improbabili invadono marciapiedi, cascate di fiori di carta velina si arrampicano sui muri

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I Monumenti provvisori sono pensati – e realizzati – anche e soprattutto in ambienti esterni, dove la materia è ancor più messa alla prova e crea stimolanti occasioni di dialogo

interventi urbani di josephine sassu e gianfranco setzu Le foto in questo servizio mostrano l’esposizione realizzata al MAN di Nuoro: DNA Dal Novecento ad oggi. È severamente vietato dare da mangiare ai coccodrilli

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musica Arrivano i Dadadang: effetto Hamelin

a loro Parata per Percussioni in Movimento ha toccato le maggiori città europee con oltre cinquecento repliche; invitati nei principali festival e in occasioni di celebrazioni pubbliche insieme ad artisti famosi, da Dave Brubeck ad Astor Piazzolla, da Prince a Joe Cocker, i ddd hanno attirato l’attenzione di registi come Tonino Guerra, Jean Paul Goude, Luc Petit, Jerome Savary, Vittoria Ottolenghi, e di musicisti e compositori come Paolo Fresu, Michel Risse, Jean Luc Masne, Pierre Sauvageot. Il rocker inglese Gary Numan, dopo averli notati a Londra, li ha voluti come interpreti del suo videoclip per il brano Like A Refugee (I Won’t Cry). Definita “spettacolo itinerante”, “rito sonoro”, “macchina futuristica di ritmo e movimento”, la Parata colpisce l’occhio e l’udito con un’eplosione di suoni e di emozioni. Spesso applauditissima, anche nei pochi casi in cui suscita reazioni negative lo fa sempre in misura forte, mai tiepida; impossibile restare indifferenti. Ma quest’esercito di guerrieri medioevali o del futuro che attraversa le strade d’Europa come il pifferaio magico dei fratelli Grimm, trascinando dietro di sé una coda di topolini, che cosa vede dietro le maschere che indossa? Art App ha chiesto a Vittorio Panza di raccogliere per noi qualche ricordo aa del gruppo, qualche frammento della loro storia. G

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Bilbao, foto Leslie Artamonow

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Appunti di marcia di Vittorio Panza Carta d’identità del ddd Il ddd deve saper suonare le percussioni bene e leggere la musica con disinvoltura, ma deve anche possedere quelle doti di coordinazione globale che gli permettono di muoversi a ritmo. I ddd non ballano ma ritmano passi. In effetti uno dei nostri primi recensori parlò di un rito urbano, nel 1985, e io ho sempre trovato molto importante questa definizione. Per il reclutamento non parto da danzatori. Cerco percussionisti con le qualità di cui sopra: spesso si pensa che un batterista abbia, per definizione, una buona coordinazione ritmica a livello globale. Niente di più falso. Ho visto batteristi molto bravi, da seduti, non riuscire a eseguire il secondo dei nostri esercizi base... Bambini Eravamo in Francia, non ricordo sinceramente in quale città, forse Tours: il bandone, la Parata, stava percorrendo una strada che passava sotto un arco. Evidentemente sopra c’era una scuola e ho visto una classe di bambini con il viso schiacciato sulla vetrata, sbalorditi e affascinati; alle loro spalle vedevo la maestra che urlava, inutilmente, per farli tornare al posto. La cosa è durata un paio di minuti, il tempo per passare sotto e andare oltre, ma quelle facce non le dimenticherò mai.

Un gruppo di musicisti unico nel suo genere risveglia le strade e le piazze d’Europa marciando al suono delle percussioni. Un cocktail di emozioni sonore e visive che non può lasciare indifferenti

L’omaggio dello chansonnier Mi piace, vanitosamente, ricordare Jacques Higelin - solo dopo lo conobbi per chi era - che mentre il bandone arrivava, si inchinò platealmente (grande e grosso, sempre vestito con un cappottone) davanti a noi. Higelin non è molto conosciuto in Italia, ma in Francia è popolarissimo; è stato uno degli artisti che ha promosso Youssoun ‘Dour quando era ancora sconosciuto. Disse che la nostra era una delle cose più moderne che avesse visto/ascoltato, e non sapeva nemmeno lui se avesse più visto o ascoltato. Effettivamente la relazione fra gesti - da vedere - e suono - da ascoltare - è alla base di tutta l’esperienza ddd. Lo spettatore, che guarda e ascolta, riceve dalla “percussione visiva” un insieme di stimoli. Questo, a detta di molti, è stato il motivo del nostro successo. Cocktail mistero Jo Dekmine, il direttore del Theatre 140 di Bruxelles, dove siamo stati più volte, diceva che il nostro fascino era il mistero e raccomandava di non svelarlo mai; concordava con me che la miscela di vedere/sentire era una componente di quella qualità, nella misura in cui gesti e suoni si realizzano non sempre nello stesso momento e quindi si apre una serie di combinazioni molto ampia (un movimento può essere solo di spostamento per noi e non genera alcun suono, così come un suono può essere eseguito, ovviamente, da fermi).


Certaldo, all’interno del Festival Mercanzia, foto Massimo Agus

Ulm, 1997, con i costumi della seconda fase, foto Massimo Agus

Genova 1992, in occasione delle Celebrazioni Colombiane, foto Maurizio Buscarino

Liverpool 2008

scheda | dadadang Nato da un’idea di Vittorio Panza, il gruppo muove i primi passi nel 1985, a Bergamo, dove viene ripreso ancora giovanissimo in un video dell’amico Davide Ferrario. Da allora ha ospitato un’ottantina di percussionisti; alcuni hanno collaborato per una sola esibizione, altri per anni. Quasi da subito è iniziata la collaborazione con musicisti di altre città, fra cui Torino, che ha dato per anni un rifornimento storico di ddd. Ormai i senatori della prima ora sono rimasti in pochi, tre e mezzo per la precisione; dei 12 elementi presenti, 6 sono di Bergamo; gli altri vengono da Brescia, Torino, Milano, Firenze, Parma. “Una delle difficoltà nel tenere insieme la compagnia è quella di gestire le prove”, dice Vittorio Panza; “anche per questo motivo stiamo cercando di ottimizzare al meglio, ad esempio spedendo in anticipo le parti via e-mail. Il lavoro da svolgere è tanto; bisogna memorizzare musica e movimenti di un’ora di spettacolo, che è poi da eseguire indossando costumi che sono sì stati apprezzati dappertutto, ma non possono certo dirsi comodi e nemmeno leggeri. Alcuni portano fra 7 e 10 kg di peso e in fin dei conti, come dice uno dei nostri ‘vecchi’, non ce ne sono altri disposti a fare la fatica che facciamo noi...” Tra gli altri spettacoli dei Dadadang, la performance elettronica Percussioni Verticali, con il brano EPS 1-2 che ha celebrato la fine del millennio al Theatre du Crochetan (Monthey, CH); Oraritmòs, pensato per il teatro, in cui vengono illuminate solo le mani dei musicisti, e la coreografia itinerante Bolèro Rue, realizzata per il X-Trax Manchester Festival (maggio 2000).

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musica

Grenoble Festival Europeo del Teatro

Alla corte degli zar Siamo stati una settimana a Mosca per una convention di una società russa, organizzata dalla compagnia di Slava Polunin, una mega produzione per la quale era stata affittato per un mese e mezzo il parco Kolomenskoje, l’ex residenza estiva degli zar, e a cui erano state invitate, così recitava la presentazione, le migliori compagnie di teatro di strada europee. L’ultima sera è arrivato Prince direttamente dagli USA, si è esibito per 4/500 funzionari dell’azienda e poi è ripartito con l’aereo...

Sopra: lo spettacolo Oraritmòs in un in teatro di Bergamo, foto Franco Zaina

All’interno di un discoteca di Bergamo; gli elementi neri sono due ballerine che hanno lavorato con il gruppo per una tournée, su coreografie di Nadia Pellegrini, foto Gianfranco Rota

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Fase IV Adesso il programma è di lavorare a quella che abbiamo chiamato la Fase IV. Uno dei nostri obiettivi è allargare l’attività ai paesi dell’Europa del Nord, del Nord America, dell’Australia e dell’Asia, in particolare al Giappone. Abbiamo studiato nuove maschere e nuovi costumi e stiamo lavorando a una sintesi di tutte le esperienze maturate finora con una performance, Trugdesiti, dove il tema della percussione visiva verrà sviluppato ed enfatizzato aa da una serie di dispositivi scenografici. G


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musica

Torna l’atteso appuntamento estivo con un programma ricco di band famose e “incontri inediti”

Clusone, trent’anni a ritmo di jazz Jenny Adejayan al violoncello nel 2006

a prima edizione del Clusone Jazz Festival risale al lontano 1980: tre giorni di concerti nella splendida cornice della Piazza dell’Orologio di Clusone, la città da cui prende nome, voluti dall’allora Sindaco Sergio Balduzzi, che videro la presenza di alcuni dei protagonisti della tradizione jazzistica americana – Don Pullen, George Adams, Art Blakey, Johnny Griffin. Dopo un anno di assenza, il festival venne riproposto nel 1982 su iniziativa di un gruppo di amici appassionati di jazz, costituitisi in forma associativa, e da allora è stato un crescendo ininterrotto, con una manifestazione capace di proporre un calendario di concerti stimolante e corposo che ha pochi eguali in Italia.

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La XXIX edizione, che prenderà il via il 20 giugno 2009 per proseguire fino al 2 agosto, toccherà cinque province (Bergamo, Brescia, Lecco, Milano, Savona) e una ventina di comuni, con un totale di oltre trenta concerti e la partecipazione di un centinaio di musicisti. Bastano queste cifre per comprendere la dimensione di un festival che, oltre a essere tra i più longevi, deve la propria fortuna alla scelta di indagare la scena jazzistica a tutto campo, senza

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Il concerto a Finale Ligure nel 2007 di Rita Marcotulli al pianoforte, Palle Danielsson al contrabbasso e Peter Erskine alla batteria.

Gianmaria Testa nel 2007

We Three con Dave Liebman al sax soprano e tenore, Steve Swallow al basso elettrico e Adam Nussbaum alla batteria sul palco del Clusone Jazz Festival dell’edizione 2007

di Livio Testa

fotografie di Gianfranco Rota

fermarsi esclusivamente ai musicisti affermati ma lasciando ampio spazio a progetti speciali, produzioni originali e nuovi talenti. Come non ricordare a questo proposito il mitico Trio Cluson (Bennink – Reijseger – Moore), la doppia produzione per banda e solisti Sorgente Sonora, le indimenticabili serate nella Piazza dell’Orologio con l’Arkestra di Sun Ra, con Bill Frisell, Paul Motian, Geri Allen, Charlie Haden, Uri Caine, Steve Lacy, Brad Mehldau? Da qui sono passati i grandi protagonisti del jazz europeo, da John Surman a Michel Portal, da Louis Sclavis a John Taylor; Andy Sheppard, Henri Texier, Esbjorn Svensson. Tra gli appuntamenti più recenti ricordiamo quelli con Rita Marcotulli e Gianmaria Testa; l’omaggio di Stefano Battaglia a Pierpaolo Pasolini; l’Adriatic Orchestra; le magiche suggestioni del progetto di Ernst Reijseger con i Tenore e Cuncordu di Orosei e le immagini di Werner Herzog. Ma a fare di questo festival una manifestazione di livello internazionale è anche l’interesse che la programmazione del Clusone Jazz suscita negli organizzatori delle principali

I protagonisti del 2009 Il festival prenderà avvio a Finale Ligure – Finalborgo il 19 e 20 giugno, con un omaggio a Miles Davis in occasione del 40° anniversario dell’uscita del doppio album Bitches Brew. All’inaugurazione della mostra multimediale curata da Enrico Merlin e Veniero Rizzardi, seguiranno la presentazione del libro Bitches Brew – Miles Davis 1969: nascita di un capolavoro e il concerto che vede protagonista il trio di Roberto Tarenzi insieme al sax di Steve Grossman. Dal 26 giugno il festival tornerà in Lombardia; primo appuntamento a Casnigo con la performance in solitario del fisarmonicista Luciano Biondini, che nella serata successiva suonerà insieme alla formazione guidata dal contrabbassista francese Renaud Garcia-Fons. Nelle tappe che segneranno l’avvicinamento a Clusone, ci saranno altri “incontri inediti” tra musicisti, come quello tra il Mickey Finn Quartetto di Zeno De Rossi con il trombettista coreano Cuong Vu o quello tra la chitarra di Domenico Caliri e il vibrafono di Pasquale Mirra in Pascal. Tra gli altri gruppi che si alterneranno sul palco, il quartetto del sassofonista Gaspare De Vito; il trio del batterista Carlo Alberto Canevali; il quartetto del pianista Giovanni Guidi accompagnato dal sax di Michael Blake; Quintorigo; il Man Size Safe Quartet del contrabbassista statunitense Ben Allison e il TriOrchestra del trombettista Giorgio Li Calzi in un omaggio a Ennio Morricone. Altri ospiti stranieri il pianista albanese Markelian Kapedani e i macedoni Georgi Sareski e Dzijan Emin che daranno vita all’inedito The Skopje Connection insieme all’italiano Luca Aquino. Una presenza importante sarà anche la Cosmic Band del trombonista Gianluca Petrella, che con diverse formazioni si esibirà in sei concerti per concludere il festival al gran completo sul palco di Clusone. Il programma completo sul sito: http://www.clusonejazz.it

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musica

Aya Shimura, componente del sestetto di Stefano Battaglia, al violoncello nel 2006

Legnano, 2005. Alberto Mandarini tromba - filicorno con il suo quartetto

Guenter Sommer alla batteria nel 2007

Concerto del Girl Talk Original Saxophone Quintet sotto i portici del centro storico di Clusone (2005)

Greetje Bijma nel 2005

rassegne europee. In occasione del festival, Clusone ospita il board di Europe Jazz Network, una realtà rappresentativa di un centinaio di festival europei, operante dal 1987, che Clusone ha fondato insieme ad altri promoter con l’obiettivo di far crescere l’interesse verso questo genere musicale e diffonderne la conoscenza. Una grande manifestazione quindi, tanto impegnativa sul piano organizzativo quanto gratificante per le opportunità di promozione ed emancipazione che offre. Siamo ormai alle porte della prossima edizione, presentata ufficialmente in occasione del Bergamo Jazz Festival; basta sfogliare il calendario per essere sicuri che saprà offrire motivi di curiosità e di richiamo e che verrà accolta con l’abituale attenzione da appassionati e addetti ai lavori. Ma al di là dei nomi, merita di essere sottolineata la capacità dimostrata da questo festival nel fare sistema, contribuendo a far crescere intorno alla propria entità una sorta di circuito musicale, sostenuto da enti locali e da sponsor privati: un’idea propositiva e vincente sul piano della promozione culturale aa e della valorizzazione del territorio. G

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musica Note di Genti in viaggio di Gessica Costanzo

Soundscape Train LeccoOggiono 2008

Genti in viaggio è la metafora di un percorso costruito insieme a diverse associazioni, un movimento che si allarga come un’onda alla riscoperta di un territorio geografico e sonoro, chiamando il pubblico a un’esperienza creativa e coinvolgente di Gessica Costanzo

scheda | Genti in viaggio 2009 Rassegne, eventi, convegni per un’arte motore di trasformazione sociale Qualche anticipazione sui festival di quest’anno, presentati il 30 maggio a Villa Bertarelli. Le stazioni lungo il percorso del Lecco-Oggiono Express vedranno diversi momenti di performance teatrali, di musica e poesia; intorno al Monte Barro si svolgeranno i progetti artistici di convivenza realizzati con la fondazione Michelangelo PistolettoCittadellarte e una giornata dedicata a Jerzy Grotowsky e al laboratorio L’albero delle genti, proposto trent’anni fa sulle montagne di Lecco. A Grotowsky è dedicato anche il festival Il giardino delle Esperidi, dal 28 giugno al 5 luglio, Scarlattine Teatro, Galbiate. DINDOND’ARTE 2009 - In Viaggio ospiterà mostre e performance artistiche organizzate da RobinD’Art. E poi ancora concerti, stages e laboratori musicali, tra cui il Civate Percussion Festival, il Barriti Festival per strumenti a fiato, il Lecco Voicelab dedicato a Demetrio Stratos e i Tentativi di volo delle bande aa di bambini delle scuole primarie. G Il programma completo verrà pubblicato sul sito www.gentiinviaggio.it

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arà “Genti in Viaggio” il tema che unirà un fitto calendario di eventi previsto per la prossima estate nel territorio del lecchese. Un titolo che richiama l’idea di folle di persone, di movimento, di avventura; ed è proprio un “movimento” quello che si è venuto generando a partire da una riuscita collaborazione dell’anno scorso tra un gruppo di associazioni che ne ha coinvolte altre, fino ad arrivare a una trentina. A dare il via a tutto questo è stato il SOLEVOL (Centro Servizi al Volontariato di Lecco), insieme al CRAMS (Centro Ricerca Arte Musica e Spettacolo), una realtà nata per promuovere la ricerca e la sperimentazione in ambito musicale, che negli anni si è allargata a tutti i settori dell’arte grazie al contributo di educatori, musicisti e specialisti di multimedialità. Strutturato come cooperativa sociale con due sedi, una a Lecco e una a Monticello Brianza, il CRAMS nasce nei primi anni ’80 sull’onda di un movimento giovanile che difendeva la creatività come mezzo di espressione alla portata di tutti, di libertà e di trasformazione sociale. Anche se da allora molte cose sono cambiate e pochi sono rimasti dei soci fondatori, le persone che vi lavorano oggi credono ancora in un’arte per tutti, o meglio in un’arte come coinvolgimento e confluenza di più realtà e di più forze, un’arte che garantisca a tutti l’espressione e la ricerca di un senso che vada oltre l’appiattimento del quotidiano.

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“Non è stato facile all’inizio” spiega Angelo Riva, fondatore e presidente del CRAMS. “Ma noi abbiamo creduto fermamente e continuiamo a credere in quello che facciamo e i risultati raggiunti ce lo dimostrano. Ovvio, ogni tanto le crisi d’identità ci sono, ma le abbiamo sempre superate, riproponendo obiettivi nuovi e nuove sfide che ci hanno portato a collaborare con realtà talmente

eterogenee ma così stimolanti da continuare all’infinito.” Da sempre il CRAMS opera nelle scuole di ogni ordine, dai bambini di 18 mesi agli adolescenti, con i disabili, con le associazioni e con il volontariato locale, organizzando con loro corsi permanenti ma anche festival ed eventi. I corsi di musica, canto e pittura coprono davvero tutte le fasce d’età e le più svariate esigenze: esistono infatti una trentina di corsi per strumenti e canto, le attività di multimedialità e i progetti di animazione collegati ai festival e agli eventi nelle scuole del primo ciclo e nelle superiori e molto altro. La svolta nel pensare e intendere l’arte come movimento di aggregazione che scatena sinergie sorprendenti, si è verificata tra il 2006 e il 2008 in due momenti diversi ma entrambi molto importanti. “Abbiamo cominciato a lavorare con la disabilità dalla fine degli anni ’80 – continua Riva – costituendo uno dei primi centri di arte terapia in Italia. Ma quando siamo stati in Inghilterra nel 2005 e abbiamo visto che l’espressione artistica nella giornata di un disabile era circa l’80 per cento mentre da noi era praticamente zero, ci siamo resi conto che si apriva un orizzonte impensabile con i tradizionali strumenti. Abbiamo così approfondito il tema, creduto nella potenzialità di queste metodologie e seguito da vicino le persone che le sviluppavano e promuovevano. la sorpresa vera c’è stata nel 2007 quando abbiamo ‘promosso’ una maggiore interazione tra i ragazzi disabili (in gruppo) e l’operatore arrivando a risultati sorprendenti come quelli ottenuti nei concerti realizzati con la tecnica del “Soundbeam”. Questo strumento trasforma infatti i movimenti del corpo in suoni, così che ogni persona possa diventare un artista unico e provare un’esperienza creativa e coinvolgente.” L’anno scorso poi, con i 5 festival organizzati tra giugno e settembre, gli operatori del CRAMS hanno capito quale era la nuova sfida da accogliere: l’arte come network, come sinergia di più persone ma soprattutto di più realtà eterogenee che sembrano non avere niente in comune ma che invece hanno molto da scambiarsi per crescere. Il centro fondamentale di questa operazione, che può essere definita di “crossing culturale”, è un tema, ovviamente ampio, che permetta a tutte le parti coinvolte di stimolare degli interventi, di apportare un qualcosa di nuovo che possa arricchire tutti. Nei festival, il CRAMS ha collaborato con diverse associazioni culturali e del volontariato, promotrici di festival e di rassegne, con il Conservatorio di Como, con centri di disabilità e loro istituti di ricerca, creando una spirale di contatti e


influenze forse unica nel suo genere. Una spirale che quest’anno si è allargata ad altre realtà, tra cui Cittadellarte di Michelangelo Pistoletto, che molto sta condividendo dei suoi intenti con quelli di questo movimento. “Genti In Viaggio” è dunque la metafora di un percorso costruito insieme, un percorso aperto e condiviso, un “comune multiplo” (citando

Ritratti d’artista in vaso, ideazione Robindart Factory realizzazione fotografica Sara Munari

Due momenti del Soundscape Train LeccoOggiono 2008

scheda | Soundscape Train Lecco-Oggiono Express 2008 Tra le rassegne dell’anno scorso ha riscosso particolare successo questa iniziativa che ha raccolto diverse performance intorno al tema del treno e dei paesaggi sonori, riprendendo a trent’anni di distanza il Treno preparato di John Cage. Dopo un anno e mezzo di preparazione, a marzo il fischio d’avvio con un convegno sulla didattica del paesaggio sonoro, poi il viaggio vero e proprio, articolato in momenti performativi e formativi con una serie di eventi che si sono svolti su un treno messo a disposizione da Trenitalia intorno a una linea ferroviaria poco considerata. Di tappa in tappa le carrozze si sono riempite per tutto il mese di giugno di bambini, giovani e adulti, coinvolgendo scuole, centri disabili, amministrazioni locali, realtà industriali e manifatturiere che hanno ospitato i festival musicali. Una partecipazione trasversale a diverse realtà sociali del territorio che ha visto cifre altissime: circa 100 classi, 2000 bambini, 50 insegnati, diversi centri di disabili e associazioni di arte visiva, corali, corpi bandistici hanno dato via a questa festa collettiva aa alla riscoperta di un territorio geografico e sonoro. G

l’intervento di Paolo Naldini di Cittadellarte), che guiderà i diversi festival. I momenti di performance si svilupperanno intorno al monte Barro, eletto a “montagna delle genti”, in cui tutti possano riconoscersi così che la gente possa uscire dalle case e condividere i momenti musicali, multimediali, gastronomici e artistici, in uno spazio unico per storia, cultura , natura e spiritualità, che diventerà anche la “marca territoriale “ di questo grande percorso delle comunità, le 8 città che abitano le sue pendici Un interesse quindi che è anche e soprattutto per il proprio territorio e per la propria identità. Perché è il tasso di accoglienza di un territorio che conta, il movimento di scambio, il processo di inclusione, le energie e la ricchezza delle diversità che si genera. Perché forse, in questo primo decennio del XXI secolo, è proprio questa la funzione dell’arte: la possibilità data al bambino, al lavoratore dell’industria (che a Lecco è soprattutto metalmeccanica), al disabile, all’adolescente di prendere parte a processi di cambiamento, uscire da un soporifero stato di raziocinio per potersi esprimere spontaneamente, senza mediazioni; qualcosa che parte dal basso aa e che permette una partecipazione attiva. G

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teatro

Scenografo e costumista . sia di opere teatrali . che liriche, Graziano Gregori . è un vero artigiano . del teatro che mostra . tutta la sua sensibilità . artistica e la forza . di un segno originale . in questo ciclo . di bassorilievi dedicati . alla Passione di Cristo .

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Graziano Gregori ha disegnato scene e costumi per Bella e la Bestia, Teatro Del Carretto, in collaborazione con Teatro del Giglio, 2000

Le formelle di Graziano Gregori di Daniele Abbado onosco Graziano, come scenografo, da circa vent’anni e di esperienze insieme ne abbiamo fatte molte, soprattutto in anni recenti; ma non è probabilmente questa la sede adatta per approfondire quale scenografo e uomo di teatro sia Graziano. Piuttosto mi sembra importante sottolineare il fatto che Graziano è un grande artigiano del teatro – e delle arti figurative in generale. Spesso gli oggetti che crea per il teatro sono delle vere e proprie sculture, così come sono oggetti importanti i modellini degli spettacoli e anche i suoi disegni; che siano bozzetti o story board, emanano sempre una persuasività della bellezza che trascende di molto il dato funzionale del loro utilizzo.

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C’è a questo proposito una leggenda che lo riguarda: si racconta che un giorno di tanti anni fa Graziano venisse trovato sul palcoscenico, da solo e fuori dall’orario delle prove, mentre

dipingeva il retro di un grosso elemento di scena, forse un armadio. Alla domanda sul perché stesse facendo questo lavoro apparentemente inutile (“perché lo dipingi, tanto nessuno lo vede?”), pare che Graziano rispondesse sicuro: “è vero che il pubblico non lo vede, ma lo vedono gli attori prima di entrare in scena, lo vedono i tecnici; anche questo deve far parte del lavoro, è come un unico respiro”. Come tutte le leggende, questa storia non ha alcun fondamento certo, ma a me piace pensare che sia vera, e per lasciarla vivere nell’immaginario non ne ho mai parlato con lo stesso Graziano. Almeno, non fino ad ora. Graziano è un artigiano che sa produrre e regalare momenti di grande leggerezza e comicità, che possono essere trasfigurati dalla sua capacità di “congelare” le situazioni, indice di energia straniante, che lo porta verso l’opposto, a creare segni di grande spessore drammatico, come testimoniano queste formelle. Credo che l’unicità del lavoro di Graziano derivi

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Lavorando sui pieni e i vuoti, Gregori esprime in questo ciclo sentimenti primari come l’odio, la paura, la violenza, il dolore e la solitudine come stati condivisi. Foto di Marco Michetti

Chi è / Graziano Gregori Nato a Castorano (AP), dopo la laurea in architettura si dedica all’attività di scenografo e costumista e nel 1983, insieme alla regista Maria Grazia Cipriani, dà vita al Teatro del Carretto, con sede a Lucca. Da allora ha curato gli allestimenti e disegnato i costumi per tutti gli spettacoli della compagnia, dal Carretto Biancaneve al più recente Pinocchio, passando per Shakespeare, Omero, Dumas. Come scenografo ha collaborato anche con altri teatri, in Italia e all’estero, lavorando con grandi registi teatrali (Luigi Squarzina, Giancarlo Sepe, Giulio Bosetti), e attori come Carla Gravina, Valeria Moriconi, Rossella Falk, Marcello Mastroianni. Numerose anche le scene per opere di Puccini, Donizetti, Verdi, Ciaikovskij, Mozart, con registi quali Lino Capolicchio, Daniele Abbado, Piera Degli Esposti; per il Nabucco all’Arena di Verona ha curato sia scene che regia. I bozzetti e i disegni preparatori sono stati esposti in diverse occasioni.

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dalla forza del suo segno, cosa che aveva perfettamente compreso un altro grande scenografo, Lele Luzzati. Luzzati, diversissimo da lui, lo aveva riconosciuto in pieno, e diceva “tra tutti gli scenografi delle nuove generazioni, Graziano è l’unico che abbia un suo mondo”. Sono partito da questi ricordi di palcoscenico perché solamente così mi è possibile cercare di inquadrare correttamente il senso espressivo di queste formelle sulla Passione di Cristo. Questo ciclo si colloca all’interno di una ricerca più generale, di un mondo su cui Graziano sta lavorando da anni, del quale qui appaiono alcune costanti. Ritrovo in questo ciclo la ricerca di Graziano di una “ritualità”, intesa come modo di conquistare una chiarezza narrativa implacabile da offrire allo sguardo dello spettatore. È evidente che questa ritualità ha bisogno, per diventare segno, di un modo di esprimersi “primitivo”, quasi ancestrale. Da questo derivano probabilmente i ricorrenti elementi della natura – in questo caso, ad esempio, i cavalli –

indispensabili a far risuonare il sentire umano che non può prescindere dal suo essere-natura. E mi sembra altrettanto coerente che la sua ricerca si indirizzi da sempre verso l’utilizzo e la valorizzazione di materiali poveri, ma forse meglio sarebbe dire materiali primigenii o essenziali, perché Graziano non è rinchiuso in una poetica di “arte povera” datata storicamente, e anzi lo si è visto trattare con grande forza espressiva anche i materiali della modernità, vetri e plastiche ad esempio. Vorrei concludere questa essenziale ricostruzione della poetica di Graziano evidenziando quello che mi sembra essere la finalità costante del suo lavoro dal punto di vista narrativo, cioè il racconto dei sentimenti primari dell’essere umano, mostrati al pubblico nella loro verità fisica, quale è ad esempio la terribilità della flagellazione di Cristo. Nel ciclo della Passione è evidente la scansione per blocchi narrativi che vanno dal pieno delle formelle popolate dall’umanità, un’umanità


Immagini di scena di Bella e la Bestia, adattamento e regia di Maria Grazia Cipriani, con Elsa Bossi e Pietro Conversano nel ruolo dei protagonisti, foto di Tommaso Lepera

colta nell’ “impazzimento” dei suoi comportamenti più violenti, all’estremo silenzio della solitudine dell’uomo, violato nella sua identità e integrità. Qui Graziano mostra il coraggio, totalmente laico, di voler rappresentare l’orrore della violenza e della paura che la genera, e di voler cercare la giusta trasfigurazione dei segni che non consegni questo orrore al silenzio o a una sua tacita accettazione. C’è, al contrario, l’ambizione verso una vera, dolorosa, ma piena catarsi. Mi rendo conto di utilizzare dei termini che fanno parte dell’esperienza del teatro. Se mi sforzo di aprire a un diverso linguaggio, più legato all’emozione di queste formelle, allora posso dire che questo ciclo della Passione è interamente basato sulla forza dell’espressione e che procede attraverso l’irruzione di nuovi significati. L’irruenza del segno cerca di ricondurre verso un’origine ancestrale del sentire umano, condivisibile nell’esposizione della sua verità. Mi sembrano importanti, di questo ciclo, il lavoro

sui pieni e sui vuoti, su situazioni e sentimenti primari come l’ odio, la paura, la violenza, l’esplosione dei sentimenti collettivi, l’uomo indifeso che diventa il capro espiatorio, la natura, il calore della natura materna, vibrante e ricettiva, perenne nel suo manifestarsi come capace di “sentire”. Il dolore e la solitudine come stati condivisi. Raccontare queste emozioni in modo rigoroso, attraverso una ricerca di chiarezza narrativa rigorosa, implacabile. Il bianco, il chiarore violento di queste formelle, l’emergere delle figure, a volte indistinte a volte più nette e riccamente voluminose e individuate nella loro espressività. Questo emergere come da una nebbia del sentire. Ambivalenza di questo biancore che è anche, aa certamente, un segno di purezza. G

Chi è / Daniele Abbado Regista e direttore artistico, Daniele Abbado spazia dalla lirica al teatro di prosa, esplorando la contaminazione di diversi linguaggi artistici e le possibilità delle nuove tecnologie con video installazioni e progetti multimediali.

(Tratto dalla Presentazione del volume Graziano Gregori. Ecce Homo. Bassorilievi e sculture, a cura di Daniele Abbado e Franco Marcoaldi, Lubrina Editore.)

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Grossetti Arte Contemporanea Via di Porta Tenaglia 1/3 - Milano - www.grossettiart.it nell’installazione permanente all’in- spessore al variare della dimensione terno dell’aeroporto di Brindisi, in CDKK@ iAQ@ NSSHB@ quella in Piazza Santo Stefano per la “L’ombra e la luce, pur essendo incorcittà di Bologna, e nella più recente poree sono visibili – scrive Bernardini all’interno della Galleria Grossetti a in Ipotesi per la Divisione dell’Unità Milano. Visiva - L’ombra è la proiezione buia Le idee che Carlo Bernardini mette delle cose, occupa l’altro lato di un in moto con queste grandi installa- corpo. Ne aumenta la percezione zioni sono la presenza di un segno e dell’esistenza, rimanendo comunque Con le sue installazioni luminose, i contemporaneamente la sua virtuali- sfuggente, inafferrabile. suoi prismi e i suoi light box, come tà, una presenza tanto più evidente + @KSQN K@SN RH SQNU@ NKSQD HK BNMiMD eiMDRSQDs RT TM LNMCN RO@YH@KD quanto più invisibile è il suo sup- delle apparenze, come un ulteriore Carlo Bernardini crea uno spazio di ONQSN D S@MSN OHË iRHB@ PT@MSN OHË aspetto o dimensione, è la seconda luce architettonico mentale, incor- è immateriale. La sua ricerca visiva condizione visiva propria di ciò che ONQDN L@ UHRHAHKD BGD LNCHiB@MCN KD s’incentra sul concetto di trasforma- stiamo osservando”. coordinate visive dell’ambiente rea- zione percettiva in cui la luce crea un le ne cambia totalmente funzione e disegno nello spazio, un disegno che Sotto in senso orario: Codice Spaziale, Grossetti Arte Contemporanea, struttura. cambia secondo i punti di vista e Milano. Questo spazio reinventato è visibi- secondo gli spostamenti dello spet- Codice Spaziale, Arte Fiera - Art First, Piazza le in particolare nelle grandi instal- tatore che si ritrova a vivere dentro S.Stefano, Bologna. Light Waves, Aereoporto del Salento, Brindisi. K@YHNMH RHSD RODBHiB MDKK@ "HSS· CDK- l’opera. I suoi lavori sono sculture di Permeable Space, Città delle Arti e delle Scienze, la Scienza di Calatrava a Valencia, luce, in cui è il buio ad acquistare Valencia.


interviste fabio sonzogni

Da Shakespeare alla tragedia greca,.. un regista che ama indagare.. sui temi del doppio e del mistero.. per riscoprire la funzione sacrale.. e liberatoria del teatro come argine.. alla violenza e alla paura del diverso..

Sopra, in piccolo, a partire da sinistra: Teresa Saponangelo interpreta Agave nelle Baccanti; una scena di Medea, con Caterina De Regibus e Andrea Soffiantini; Giovanni Franzoni nel ruolo di Angelo in Misura per misura

Intervista di Elena Rossi

Il teatro e la necessità del rito Come sai, uno degli intenti di Art App è quello di far dialogare tra loro le arti. Nella tua produzione, il lavoro in cui si coglie più immediatamente questo aspetto è l’installazione sensoriale che hai messo in scena nella chiesa di Santa Maria Maggiore a Bergamo (C’era una nave, 2008), in cui legavi arte, letteratura e Bibbia. Questa esigenza è presente anche quando lavori per il cinema e per il teatro? E come si esprime? Il teatro – e forse ancor più il cinema – è dialogo per definizione; è arte complessa, discorso dispiegato tra posizioni contrapposte, ricerca di sintesi, di relazioni tra punti diametralmente opposti; è realizzazione, rappresentazione del dramma: il conflitto insanabile tra ciò che vogliamo e ciò che si oppone al nostro volere. Per raccontare questo mi servo di strumenti artigianali, attrezzi idonei a costruire

forma ed emozione, utensili in grado di suscitare interrogativi. L’installazione a cui fai riferimento – C’era una nave … – è l’episodio più evidente di un tentativo di commistione tra linguaggi. Tutta la mia produzione è intessuta del confronto tra le diverse grammatiche, è un incontro continuo e inevitabile di mezzi espressivi differenti che reagisce alla presenza omnipervasiva e assordante della comunicazione, che quando è al servizio della pubblicità ha una sua ragione d’essere, ma quando contamina cinema, teatro, arte, è insopportabile. Architetto della scena: è tua questa definizione di te stesso? Che affinità c’è tra il lavoro di architetto e quello di regista? L’affinità è, per me, evidente; l’architetto mette in relazione,

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interviste fabio sonzogni

A destra e in basso, due immagini dell’installazione sensoriale C’era una nave..., spettacolo prodotto da deSidera Bergamo Teatro Festival, 2008

Edipo Re, tratto da Sofocle, vede in scena Franco Pistoni nel ruolo di Edipo e Hal Yamamouchi in quello del profeta Tiresia

“La tendenza a cancellare il sacro, a eliminarlo interamente, prepara il ritorno surrettizio del sacro, in forma non più trascendente bensì immanente, nella forma della violenza e del sapere della violenza.” (René Girard)

chi è | Fabio Sonzogni Insieme alla laurea in architettura frequenta l’Accademia dei Filodrammatici di Milano e per quindici anni calca le scene come attore, lavorando con i maggiori registi italiani, da Luca Ronconi a Gabriele Lavia, da Dario Fo a Massimo Castri. Nel 2000 presenta la prima regia teatrale con Doppio Sogno di A. Schnitzler, seguito due anni dopo dal cortometraggio Foglie di Cemento, che raccoglie prestigiosi consensi internazionali. Nel 2001 fonda la SiparioFilmProduction, con la finalità di promuovere, produrre e diffondere la cultura teatrale e cinematografica. Da allora le regie teatrali si alternano a quelle cinematografiche; dal testo di Shakespaeare Misura per misura nascono un laboratorio teatrale (2003), un documentario e uno spettacolo teatrale (2004); per il teatro seguono Edipo Re tratto da Sofocle (2006), Medea (2007) e le Baccanti (2008), di Euripide.

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sistematizzandoli, elementi apparentemente autonomi per creare una forma in grado di rispondere a delle domande, per esaudire-tentare di risolvere dei desideri; il regista cerca una forma interpretativa in grado di dare il connotato di necessità alla parola. Sofocle, Euripide, Shakespeare, Mc Carthy, Schnitzler, McEwan… Come scegli gli autori a cui ti ispiri? Quali ti assomigliano di più? Sono gli autori, i testi che scelgono me! È un incontro fatto di casualità, di suggestioni, di simpatia che non voglio indagare troppo. La motivazione predominante è quella di trovare nel testo qualcosa che parli di me, qualcosa che mi attraversi, modificandomi. Gli autori sono compagni di viaggio con cui amo confrontarmi, tramite i quali preferisco lottare per affermare una posizione, un’interpretazione, un desiderio di esistenza. Nei tuoi lavori sono spesso presenti il tema del doppio, dello scambio, della metamorfosi e del sogno. In che cosa sogni di trasformarti? Sono attratto dai corpi che si trasformano, che si trasfigurano, che modificano. Kafkaniamente

sogno che i miei personaggi si trasformino in insetti. Amo l’uso che Cronenberg fa del corpo degli attori, metafora del corpo sociale deformato e malato. Ho messo il Creonte della mia Medea su una sedia a rotelle; il re, il capo di una comunità guasta, corrotta, marcia, che evidenzia la sua malattia con la mancanza della deambulazione. Il mio Edipo ha lo stesso corpo scarno, rinsecchito, ossuto, di Franco Pistoni che interpreta anche l’Uomo ipo-vivo nel cortometraggio Foglie di Cemento. Le figure che metti in scena sono spesso tragiche e violente – Medea, Edipo, l’uomo e la bambina di Foglie di cemento, il padre e il figlio della Strada di Mc Carthy; ma quando parli del lavoro dell’attore parli anche di gioco, di improvvisazione. Si può giocare con la tragedia e la violenza? La tragedia è una dimensione della quotidianità, il desiderio mai soddisfatto di raggiungere un obiettivo. È il conflitto la condizione necessaria, generativa di movimento, del qui e ora, quindi del teatro, del cinema. Chi meglio aveva intuito questo è stato Leonardo da Vinci, il più grande regista cinematografico di ogni tempo. Le sue opere infatti


Ogni cosa era più antica dell’uomo e vibrava di mistero con Laura Marinoni

Il Sogno di Shakespeare alla Tenuta Pianelli Dal 27 luglio al 2 agosto 2009, Fabio Sonzogni condurrà un seminario per 12 attori e allievi tra i 20 e i 35 anni su il Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, presso la Tenuta Pianelli (www.tenutapianelli.com) Cortona, Arezzo. Il seminario, con il patrocinio del Teatro Stabile di Firenze, si concluderà con una mise en space aperta al pubblico il 2 agosto e sarà la prima fase di un progetto più ampio che prevede la formazione di una compagnia che metterà in scena il testo scelto, coprodotto dal Teatro Stabile di Firenze, e distribuito nel circuito nazionale nella stagione 2010-11. Gli interessati devono inviare entro il 5 luglio la richiesta di adesione all’indirizzo shakespeare.pianelli@gmail.com allegando curriculum e foto. La conferma di avvenuta accettazione verrà inviata entro il 12 luglio. Costo comprensivo di vitto e alloggio: 780,00 euro.

“L’epifania di Dioniso fa brillare agli occhi degli spettatori il fulgore gioioso e brillante dell’arte, della festa, del gioco, quel gàmos che Dioniso ha il privilegio di dispensare quaggiù.” (Fabio Sonzogni)

Giovanni Franzoni interpreta Dioniso nelle Baccanti

sono permeate dalla vita, ogni centimetro quadrato delle sue tele è in continuo movimento, ogni parte dei corpi che rappresenta non conosce stasi. Il tragico porta con sé l’idea di vendetta, l’umana inclinazione risolutiva del conflitto, che nel sacro trova la propria dimensione rituale. Il teatro, il to play, il jouer, è il gioco che meglio realizza la necessità di espiazione, di sacrificio, di purificazione dalla violenza. Nei tuoi appunti per un laboratorio sul Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare fai riferimento alla teoria del desiderio mimetico di René Girard, identificando nel conflitto la chiave per interpretare il testo. Puoi spiegarmelo in termini semplici? Girard ha ritrovato nel testo shakespeariano il peccato più inconfessabile, l’invidia, motore inesauribile del desiderio mimetico, la voglia di assomigliare fino a sostituirsi all’altro. L’idea del doppio, della sostituzione, dello scambio innerva la struttura del Sogno shakespeariano. Anche qui – come nelle Baccanti di Euripide, il mio ultimo spettacolo – troviamo il tema del bosco, l’ambito, il luogo del disordine dionisiaco, la Zona di tarkovskyana memoria,

dove lo sconvolgimento dell’ordine ammette e permette l’incontro col sublime. Questi sono temi a me cari, verso i quali sono interessato a un’ulteriore indagine. Alcuni dei tuoi spettacoli sono nati da un laboratorio teatrale; le Baccanti è stato proposto in una cornice particolare, quella della masseria fortificata di Torcito (XII sec.) nel Salento, dove il pubblico ha partecipato a un vero e proprio rito collettivo. Lo definiresti un evento di “arte pubblica”? Quanto è importante per te il coinvolgimento degli spettatori? Il Teatro è arte pubblica per necessità. Affinché esso si attui deve opportunamente prevedere la compresenza nello spazio e nel tempo di qualcosa e/o qualcuno che agisca e qualcun altro che assista a quell’azione, il pubblico appunto. Nello spettacolo che hai citato al pubblico ho chiesto una partecipazione attiva, ritualizzata, com’è giusto che sia. Lo spettatore ha bisogno di riconquistare un ruolo dinamico nello scambio tra se stesso e ciò che accade; deve ritrovare il bisogno, il piacere dell’”Incontro” e quando viene chiamato - quasi costretto - a farlo, aa risponde con entusiasmante energia. G

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Dialogando È bello guardare uomini . e donne che discutono di sé.. Non c'è uomo o donna . che nello stesso tempo . non si creda il centro . dell’universo; siamo tutti . delle lucciole, milioni . di lucciole, e crediamo . di illuminare la terra .

li uomini e le donne parlano; anche i meno loquaci sono interessanti perché in altro modo dissertano di se stessi e di quello che fanno, vogliono, sperano; in verità poco con la voce e molto con la postura, nell’attesa dell’argomento di altri, o con la contrazione del volto: un almanacco infinito di accondiscendenza, noia e presunzione, una meraviglia per la fisiognomica; ognuno scruta il volto dell’altro concedendo il proprio. Io sono quello che osserva, a destra in basso, quello che come gli altri si accende e si spegne, quello che nell’attesa dello scoccare dell’illuminazione ricerca, in sé, qualche memoria folgorante da citare.

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Strane vibrazioni nello studio di via Pantelleria, le lucciole non producono ronzii facilmente percepibili; chi con me al tavolo ha le fattezze rassicuranti ed educate di Giovanni Gazzaneo, o le intenzioni cavalleresche e coraggiose nella litania rituale di Edoardo Milesi, chi ha il buzzo patriarcale nell’ecumenico ascolto di Dino Satriano, chi ha il tumulto loquace e sferzante di Giuseppe Chigiotti, o il disincanto di Donato Di Bello, funambolo del silenzio, o la compostezza di Ilaria Rossi Doria, ultima dei delicati, o, ancora, l’imperturbabilità ascetica di Aurelio Candido. Io guardo in alto verso il soffitto dello studio e vedo con me mia figlia

Giorgia, che ha inventato luminose parole senza suono, offerte a me oggi per ridiscutere tutto lo stupore del mondo, per cambiare idoli e pregare altrove, per compiere un artificio dentro di me che favorisca l’ilare, il mostruoso, persino l’abominevole ma che almeno mi dia una ragione. Una nuova rivista d’arte: cerco una ragione che desti violente e deflagranti passioni. Quelle che nascono non si sa come e ci convincono non si sa perché. Quelle che lottano, insieme con la ragione che esalta, contro il «probabile» e l’«utopia». Anch’essi si presentano nello studio di Milano senza la nostra volontà, alla fine si introducono in noi senza il nostro consenso e condizionano i nostri giudizi. Vuol dire che la ragione, forse, ci fornisce di mezzi limitati, quasi isolati, in mezzo a un mare di impulsi, di immaginazioni, di sogni, di illusioni? Crea solo degli strumenti e non dei fini? No. La ragione serve spesso alle energie disgregatrici, bellicose dell’uomo; ma oggi scopro che ha la medesima utilità per le forze appetitive, dove il coraggio conta quanto l’intelligenza; l’avventura, il rischio, l’azzardo, lo slancio sono spiriti guida grandi quanto quelli della ragione. Siamo tutti lucciole garrule, tanti piccoli insiemi di esperienze personali, di percezioni immediate, di rivelazioni intime, di considerazioni spontanee, che ci hanno formato come la scuola e i libri. Ci osserviamo l’un l’altro scoprendo che le migliori possibilità per una nuova rivista nascono da noi stessi.


Ci accendiamo e ci spegniamo,. ci accendiamo e ci spegniamo.. Anche le lucciole illuminano . l’universo quando c’è buio .

Nulla ci pare più certo delle asserzioni di cui siamo sicuri, qualunque sia poi il destino di questi giudizi. Anche se poi troviamo l’asserzione sbagliata, essa si farà testimonianza nella coscienza come il frutto di un ragionamento e di uno studio. Anche quando muteremo di parere resterà nella nostra storia: quella cosa che mi piacque, ora non mi piace; potremmo persino dimenticarla; ma basta un segno, un suono, un sentore per resuscitarla a nuova vita. È così improbabile creare una rivista a soggetto su cui, come nella vita, l’arte promuova un’invasione continua di possibilità? Davanti a noi sorgono dal nostro interno, come da spazi che ci paiono esterni, le più varie immaginazioni. Il mondo delle esperienze artistiche diventa presto vasto e le loro combinazioni raggiungono proporzioni fantastiche; ma quello che più importa è che se ne formano sempre di nuove. Il mondo è unione e disunione, somma e sottrazione, elisir e sedativo di un’infinità di individui di buon gusto e d’intuizione che scrutano le forme, non il dominio dei ragionatori senza cuore. L’uomo compie la sua funzione, gettandosi fuori con tutta l’energia della sua personalità, sognatrice, altruista, eroica e sacrificale. Più importanza dà a se stesso e più dona al mondo. Gli incerti, i semifreddi e i semicaldi, i titubanti e gli ignavi collaborano poco all’opera della collettività. Forse qualcosa di simile sta succedendo a ognuno di noi nello studio. Esploriamo il nostro passato, prevediamo il personale futuro e analizziamo il presente; ogni nostro «interno» condiziona e colorisce la visione del mondo degli altri: il mio artista preferito, i sogni delle mie notti, le relazioni felici o infelici con un autore, l’esperienze con gli amici, le letture che ho fatto e le visioni che ho avuto, le mostre decisive o le musiche annichilenti. L’incanto di questa forma personale ci trasforma in lucciole, piccoli coleotteri che depongono uova da cui nascono larve allungate fornite di leggera luminosità diffusa, che nelle forme alate è intermittente. Proiettiamo luci appena distinguibili su quello che manca: il rito della riconsacrazione a un nuovo appetito, una danza continua in onore dell’arte e della vita. Porgiamo l’orecchio rivolto ai suoni esterni, ricercando quanti ci fanno vibrare quelli intimi.

La nostra percezione deve essere sempre selettiva; questo ci consente di poter imparare allenandoci a osservare aspetti quanto più diversi dell’ambiente dell’arte di cui solitamente non abbiamo consapevolezza. L’arte lotta sempre contro le opere di dissuasione della conoscenza del mondo perché è scienza, utopia, passione e gioco. Il senso dell’ibridazione fra le varie arti, al centro del progetto di questa rivista, pretende di mantenere forte l’aspetto pubblico dell’arte. Ogni performance artistica è un organo della vita collettiva; il mondo stesso è il prodotto di un’arte collettiva. Ortega Y Gasset affermava che l’autentico architetto è un intero popolo: esso fornisce i mezzi per la costruzione, ne indica lo scopo e la rende unitaria. Le arti esprimono sentimenti e preferenze personali, ma anche stati d’animo e intenzioni collettive. I trattatisti politici in Grecia chiamavano «omonoia» il grado di concordia tra i cittadini di una nazione, un ideale comune da ricercare nei fini delle forme dell’arte. Noi promuoviamo il sorgere di una «discordia condivisa» che eviti di lasciare in eredità una cultura malata di presbiopia, che percepisca, cioè, soltanto le cose distanti. Il dialogo tra le arti riduce il rischio di inciampare a ogni passo, di cadere

nel tempo futuro, perché ci ritroviamo ciechi per tutto ciò che è immanente e vicino. Favoriamo allora una cultura che esiga dagli ideali uno slancio più prossimo, l’evidenza, il potere immediato di coinvolgerci e di renderci felici. aa Siamo lucciole che credono di illuminare il mondo.G

Testo di Alfredo Padovano fotografie di Massimiliano Conte Studio Di Bello Milano

Il cercare è la vita intera della nostra coscienza quando è occupata nella trasformazione della nostra realtà: «colui che cerca non cessi dal cercare, finché non trova; ma se non conoscerà se stesso allora sarà nella privazione e sarà esso stesso privazione». (Vangelo apocrifo di Tommaso)

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cronache arte

Dalle avanguardie russe del ‘900 alla Triennale di Milano, vivace palcoscenico del contemporaneo, l’arte è un linguaggio internazionale per dialogare con la natura e con il pubblico

ROMA

TRIENNALE MILANO

MART DI ROVERETO

Di fiore in fiore

I marmi di Itto Kuetani

Futurismo 100

a natura è uno dei percorsi tematici scelti quest’anno dalla Triennale; così, in contemporanea alla bella installazione dell’architetto e designer Fabio Novembre, Il fiore di Novembre (fino al 17 maggio), in coda ai festeggiamenti per il centenario del futurismo i giardini dello spazio milanese si abbelliscono di undici opere ricostruite in scala 1:11 su modello delle sculture floreali che adornavano la casa romana di Giacomo Balla e le case capresi arredate da Depero. Nella loro semplicità di forme geometriche dai colori sgargianti, sono il risultato di un’alta tecnologia italiana, realizzati in pannelli di fibra di legno prodotti dal Gruppo Fantoni sulla base di un’accurata ricostruzione condotta da Anna Scavezzon e Alessandro Ortenzi a partire dalle foto degli originali, di cui rimane qualche esemplare in collezioni private. La Flora futurista, questi fiori stilizzati che nella forma e nel colore suggerisco anche i profumi, saranno visibili fino a settembre 2009 nei giardini della Triennale.

assato e presente si incontrano nella mostra Il Sogno del Bianco e le Pietre del Passato, fino al 31 ottobre in tre luoghi dell’antica Roma: Villa dei Quintili, Mausoleo di Cecilia Metella e Palazzo Massimo. Lo scultore Itto Kuetani è da quarant’anni ambasciatore d’arte e di pace tra Italia e Giappone: all’acropoli in marmo di Carrara che sorge sul Colle della Speranza, vicino a Hiroshima, si aggiungono ora le opere monumentali che punteggiano la via Appia. Nate da una lunga ricerca di armonia con l’ambiente e la natura, le sculture di Kuetani dialogano anche con il pubblico, davanti al quale si pongono con i loro varchi e passaggi, vere e proprie “porte che mettono in comunicazione spazio e materia”, come le definisce lo storico d’arte Enrico Crispolti.L

erita una visita la mostra allestita al Mart di Rovereto: Futurismo 100. Illuminazioni. Avanguardie a confronto: Italia Germania Russia. Non un’esposizione di opere più o meno note, ma un ‘percorso’ mai noiosamente didattico organizzato su basi tematiche e incentrato sui legami e sugli scambi intellettuali tra le avanguardie artistiche italiane, francesi, tedesche e soprattutto russe (raramente visibili in Italia). Gli eventi a corollario come lo spettacolo teatrale tenutosi dentro lo spazio espositivo su: treno/ velocità/ macchina o l’aperitivo con lettura delle ricette futuriste guidano in modo piacevole alla comprensione del ‘movimento futurista’ nelle sue molteplici declinazioni, facendo luce sulla complessità delle contaminazioni tra cubismo espressionismo e futurismo.L

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Giovani designer

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I marmi di Itto Kuetani Roma, 30 aprile/31 ottobre 2009, Villa dei Quintili, Mausoleo di Cecilia Metella Palazzo Massimo Tel. 06.6784496 - Fax. 06.69380179 www.italiagiappone.it

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Triennale e Triennale Design Museum Via Alemagna 6 – 20121 Milano mar-dom 10.20-20.30; gio apertura fino alle 23. www.triennale.it

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Mart ( Rovereto ) 7 gennaio – 7 giugno 2009 mar-dom 10 -18; ven 10 – 21. www.mart.trento.it

PALAZZO REALE MILANO

a mostra Oggetti sonori, La dimensione invisibile del design ha inaugurato un ciclo di sei esposizioni che il Triennale Design Museum dedica ai giovani designer italani. Il MINI & Triennale Creative Set, progettato da Antonio Citterio, è lo spazio in cui ognuno degli autori presenterà il proprio lavoro in piena libertà. In Oggetti Sonori, Marco Ferreri e Patrizia Scarzella esplorano le dimensioni del suono negli oggetti d’uso quotidiano e le possibili applicazioni a oggetti del futuro. Sono suoni che ci circondano per dare un avviso come lo squillo di un telefono o il fischio di un bollitore, suoni che indicano il funzionamento di un oggetto o suoni inventati come il tappeto che cinguetta quando viene calpestato, un universo invisibile che troppo spesso diamo per scontato senza soffermarvi la nostra attenzione.

Flora futurista Triennale di Milano

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Ritratto Fabio Novembre “Il fiore di Novembre” Triennale di Milano

Il tempo delle ninfee uando Claude Monet si ritirò a Giverny, a nord di Parigi, dedicò il resto della sua vita a realizzare un’opera d’arte vivente: il fantastico giardino giapponese che ancora oggi accoglie visitatori da tutto il mondo. Per la prima volta il Museo Marmottan mette a disposizione del Palazzo Reale di Milano venti tele realizzate in quel periodo, tra il 1887 e il 1923, che mostrano la ricerca del padre dell’impressionismo sul continuo fluire della natura così come appare all’occhio che cerca di afferrarla e riprodurla. Accanto alle rose, al glicine e agli iris, protagonista del giardino è lo stagno delle ninfee che, riprodotte in diverse tonalità di luce e di colore, diventano un paesaggio dell’anima, un modo – forse l’unico per l’artista – di sentirsi parte della magia della natura.L

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Itto Kuetani, Arco del cielo, una delle opere in marmo dell’artista giapponese esposte in uno dei siti archeologici più suggestivi di Roma. Foto Massimo Berretta

Render Allestimento Oggetti Sonori, La dimensione invisibile del design Triennale di Milano

Palazzo Reale (Piazza Duomo, 12) Milano 30 aprile – 27 settembre 2009 mar-dom 9.30-19.30; lun 14.30-19.30; gio apertura fino alle 22.30. www.mostramonet.it L.S.

Aristarch Lentulov Mosca, 1913 Futurismo 100 Mart di Rovereto (Tn)


A conclusione del Salone del Mobile di Milano e dei suoi Satelliti, il design si confronta con una nuova sensibilità ambientale e si apre a suggestioni esotiche che riescono ancora a sorprendere

La storia di Bergamo scritta nel sottosuolo dell’antica cattedrale conserva tracce dal paleolitico al periodo rinascimentale e fa luce sui passati rapporti tra potere civile e potere religioso

design

archeologia

SALONE DEL MOBILE MILANO

Quale Salone? robabilmente è da attribuire alla crisi quest’approccio sobrio (troppo?) che ha caratterizzato la maggior parte degli espositori del Salone del Mobile alla sua 48° edizione. Fuori dal gruppo l’approccio di Moroso che ha coinvolto artisti africani a “contaminare” la produzione con risultati sorprendenti, e da tener d’occhio la ditta Lago: arredi e cucine influenzati dai rapporti continui con il mondo dell’arte e della comunicazione. Forse è ancora la crisi che, al contrario, ha scatenato creatività, innovazione, impegno ecologico e riflessione nei giovani del Salone Satellite.

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La tomba ungherese, la culla italiana, il pouf marocchino realizzato recuperando i sacchetti di politene abbandonati nel deserto, i mobili assemblati con strisce di pneumatici riciclati, l’attenzione verso il bambino e i suoi spazi... tutt’altro che il pessimismo e il basso profilo preannunciato.

ma anche quelli che separano i vari componenti – legno, pietra, tessuti, verde e illuminazione – per ripensarli come un insieme armonioso che trasmetta una nuova sensibilità estetica. La struttura in legno lamellare viene così arricchita da piante, sculture, tappeti e preziosi damaschi; elementi di diversa natura che convivono in un equilibrio funzionale, valorizzato da un’illuminazione appositamente studiata per sottolineare ogni componente e dare all’insieme il fascino del lusso.

Euroluce l risparmio energetico è stato il tema che ha caratterizzato la produzione in mostra all’Euroluce di quest’anno: maggior attenzione alla tecnica, dunque, forse un po’ a discapito della ricerca estetica. Non delude mai la produzione di Ingo Maurer sempre curiosamente innovativa: il ‘serpente’ Alizz T. Cooper seduce e diverte. Al contrario la lampada Tab di Barber e Osgerby (prod. Flos), strapubblicata e già premiata (Wallpaper Design Award 2009), affascina per la sua linea equilibrata e rigorosa che ricorda l’illuminazione da scrivania di un poliziesco anni ‘50. A.F.

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Fermento e tensione hanno pervaso anche gli spazi espositivi di Zona Tortona: l’ottima selezione del Temporary Museum of New Design allestito al Superstudio, le case ecologiche di Cibic costruite a dimensione reale, i prototipi delle scuole di design e di giovani sconosciuti, raramente ingenui o banali, hanno trasmesso al visitatore la sensazione di partecipare a un laboratorio aperto. È stata l’occasione (ormai rara) di gustare insieme ai cocktail la soddisfazione prodotta dal coinvolgimento in un progetto che stupisce e convince, e non la finta ammirazione per il nuovo (?) prodotto dei soliti “soloni” del design. Senza confini. Il sogno abitato è il nome del progetto sperimentale per una casa in legno, presentato a Superstudio da Atelieritaliano e Performance in Lighting, che ne hanno affidato la realizzazione all’architetto, designer e artista Angelo Micheli. I confini da abbattere sono quelli mentali che ci fanno associare l’idea di una casa prefabbricata all’uso di materiali poveri, essenziali,

culla “Sinué” Design Giovanni Radicchi Daniela Avaltroni Foto di Davide Caporaletti

Il progetto di Angelo Micheli per Atelieritaliano e Performance in Lighting: una casa in legno che coniughi lusso e sostenibilità ambientale

collezione M’Afrique Moroso Design Tord Boontje

CATTEDRALE BERGAMO

L’antica cattedrale ià dal 2004, quando, su richiesta del Vescovo uscente Mons. Roberto Amadei erano iniziati i lavori di rifacimento del pavimento e del riscaldamento nel Duomo, situato nella parte storica di Bergamo e dedicato al patrono Sant’Alessandro, si era capito che le scoperte fatte scavando nel sottosuolo avrebbero destato molta curiosità.

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Oggi, a conclusione dei lavori, questi ritrovamenti permettono di riscrivere la storia stessa della città. L’aspetto più eccezionale della vicenda è che sia stata ritrovata una sovrapposizione storica molto varia e ricca di elementi ben conservati. I resti trovati infatti fanno riferimento a diverse epoche partendo addirittura dal paleolitico, per passare poi all’epoca romana, di cui si sono ritrovate due domus e un pavimento a mosaico, giungendo al periodo paleocristiano con basamenti di imponenti colonne e pavimento musivo, fino al periodo rinascimentale con pilastri cruciformi. Sono stati anche ritrovati manufatti del XI, XII secolo, due sarcofagi con i relativi scheletri, una tomba murata e l’interessante resto di muro di un’iconostasi con affreschi del XIII secolo. «È una scoperta, questa – ha spiegato Maria Fortunati, della Sopraintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia – che ci obbliga a rivedere la storia intera della città e soprattutto il rapporto passato tra potere civile e potere religioso. Nella zona dove sorge il Duomo coesistono infatti i più importanti centri religiosi e politici della città che da sempre si sono influenzati». «Ovviamente – continua Emanuela Daffra, della Sopraintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici di Milano – le problematiche che scaturiscono sono diverse: dalla datazione dei reperti, all’architettura della cattedrale, agli artisti che ci avevano lavorato. Ma gli studi successivi faranno più chiarezza». E proprio per far conoscere a tutti la centralità di questo monumento e le nuove scoperte, la Parrocchia di Sant’Alessandro Martire e il Museo Adriano Bernareggi hanno organizzato Un anno in Cattedrale, un ciclo di incontri e concerti sulle varie epoche storiche. G.C.

lampada “Alizz T. Cooper” Design Ingo Maurer Foto di Tom Vack

tomba “Seeyou” Design Ákos Maurer Klimes e Péter Kucsera per Ivanka, foto di Zsolt Batá

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cronache

Con un occhio al passato e l’altro alle possibilità aperte dalle nuove tecnologie, la fotografia rimane una preziosa testimonianza della storia recente e uno sguardo attento sul presente

fotografia MILANO

In prima linea l suo nome è una leggenda, molte delle sue foto – basti pensare allo sbarco in Normandia e al miliziano morente della guerra di Spagna – sono negli occhi di tutti, ma ci sono diversi motivi per andare a vedere questa mostra dedicata a Robert Capa. Intanto è la più completa che si sia mai vista, anche se comprende solo le foto di guerra, che furono la gran parte della produzione di Capa ma non l’unica. Quasi trecento immagini di cui alcune mai esposte prima, provini a contatto, documenti e lettere ci mostrano il modo in cui lavorava uno dei fotografi che visse in primo piano gli eventi più importanti degli anni ’30-’50. Un altro elemento di interesse è che per la prima volta accanto alle foto di Capa viene mostrata una retrospettiva dedicata a Gerda Taro, partita con lui per la guerra di Spagna nel 1936 e morta un anno dopo a Madrid, a soli 27 anni. Più conosciuta per essere stata la compagna di Capa, va giustamente ricordata come una delle prime fotoreporter in un’epoca pionieristica dove per la prima volta le guerre venivano coperte dai media e i fotoreporter rischiavano in prima persona pur di avvicinarsi il più possibile all’azione.

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umani e l’attenzione per il mondo che ci circonda. Tra i primi incontri che hanno inaugurato lo spazio, uno slide show di cesuralab, collettivo di fotografi con la direzione artistica di Alex Majoli (MagnumPhotos) e il reportage sulle mafie di Alberto Giuliani; per i prossimi mesi non resta che tenere d’occhio il calendario degli eventi sul sito: http://www.thephotographersroom.com/blog/. the photographer’s room P.za Fidia 3 , 20159 MILANO (entrata in via Medardo Rosso) tel. 02 973 86 077 - fax. 02 999 86 369

PARIGI

“L’oro di Napoli” Istituto italiano di cultura di Parigi dedica tutto il 2009 alle ricchezze artistiche e culturali di Napoli con una rassegna inaugurata a marzo con la proiezione dell’omonimo film di Vittorio De Sica. Oltre alle retrospettive cinematografiche dedicate a grandi autori come Sorrentino, Rosi, Mario Martone, Pappi Corsicato, ci saranno incontri con scrittori, conferenze, concerti e mostre.

L’

Nuove idee

T

Ritratto di Gerda Taro e Robert Capa, Parigi, 1935 ©Gerda Taro / International Center of Photograpy

Institut culturel italien de Paris 73, rue de Grenelle - 75007 Parigi Ingresso libero con prenotazione: + 33 01 44 39 49 39 www.iicparigi.esteri.it/IIC_Parigi

GROSSETO

Appuntamento a Massa Marittima nche quest’anno si svolgerà uno dei più importanti festival italiani, il Toscana Foto Festival, giunto al diciassettesimo appuntamento con la direzione artistica di Franco Fontana. Dal 9 al 18 luglio un fitto calendario di mostre, incontri con fotografi di fama internazionale, proiezioni e workshop che hanno già aperto le iscrizioni Lo stesso Fontana terrà il laboratorio sulla Creatività, mentre la fotografia di moda verrà trattata da Giovanni Gastel e Amedeo M. Turello, il food da Paolo Castiglioni, la postproduzione da Gianluca Catzeddu, il ritratto da Elisabetta Catalano. Giorgia Fiorio guiderà i partecipanti al suo seminario alla scoperta di una visione personale mentre la bellezza è il tema proposto da Antonio Guccione. Due i premi legati all’evento, il concorso Epson Le Logge sceglierà i portfolio più validi mentre Epson Città di Massa Marittima, assegnato nella scorsa edizione al regista Giuseppe Tornatore, è riservato ai “professionisti non professonisti”, vale a dire a talenti di altre professioni che hanno raggiunto un alto livello nell’arte delle immagini. www.toscanafestival.it segreteria: tel. 0566 901526. E.R.

A

Robert Capa e Gerda Taro Dal 27 marzo al 21 giugno Forma. Piazza Tito Lucrezio Caro 1 Tel. 02.58.11.80.67 Orari: 11-21; gio- ven 11-23; lunedì chiuso. www.formafoto.it

he photographer’s room di Lorenza Orlando e Marcello Comoglio è uno spazio aperto recentemente nel quartiere milanese dell’Isola. Laboratorio per la post-produzione, la fine art e la digitalizzazione, è affiancato da due emeroteche aperte al pubblico, una dedicata alla fotografia e l’altra, in costruzione, alla sostenibilità ambientale. Alle spalle c’è il progetto dei suoi fondatori di favorire l’uso condiviso degli strumenti e un percorso di crescita culturale con il contributo di diverse realtà che operano nel mondo dell’arte, del web, della cooperazione europea e dell’ambiente, perché troppo spesso la tecnica prevarica i rapporti

La fotografia è rappresentata da quattro autori napoletani che illustrano la storia della città; ad aprire il ciclo è la “Naples années 50” di Federico Garolla, che nella sua città natale realizzò diversi reportage per le maggiori testate italiane. Nelle sue foto in bianco e nero ci sono la povertà che spinge all’emigrazione, gli scugnizzi, il lavoro, la speranza nel gioco del lotto e quella in San Gennaro e nella Madonna di Piedigrotta, ci sono il carcere e gli orfanotrofi da cui ci fissano gli sguardi commoventi ripresi per un reportage sull’infanzia abbandonata. Fotografo attento al sociale, Garolla sa cogliere nei particolari della vita quotidiana il senso della storia e le sue foto sono una preziosa testimonianza del dopoguerra italiano.

Federico Garolla – Scugnizzi e soldati Nell’ambito della rassegna che l’Institut culturel italien de Paris dedica alle ricchezze artistiche e culturali di Napoli

Ritratto di Robert Capa, fronte di Segovia, Spagna, scattato da Gerda Taro tra maggio e giugno 1937 ©Gerda Taro/International Center of Photograpy

Miliziana repubblicana si esercita sulla spiaggia, Barcellona, Agosto 1936©Gerda Taro/International Center of Photograpy

Morte di un miliziano lealista, Cerro Muriano, fronte di Còrdoba, Spagna, 5 Settembre 1936 Robert Capa©Cornell Capa International Center of Photograpy

56 Art|App

numero 1



24060 ADRARA SAN MARTINO (Bergamo) - Italia - Via Cividini, 20 tel. +39 035 934074 - fax +39 035 934052 web site: www.capoferri.it - e-mail: info@capoferri.it


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