Artigianato 42

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42 lug/set 2001

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ARTIGIANATO tra arte e design NUMERO 42 Luglio/Settembre 2001 Trimestrale Anno XI L. 12.000

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Spedizione in abb. post. 45% art. 2 comma 20/b legge 662/96 Filiale di Milano

ARTIGIANATO tra arte e design

artigianato artistico della majella

museo della ceramica di nove gian maria colognese gioielli e argenti di sicilia l’uomo e la pietra ceramica romolo apicella vincenzo dino patroni wanda fiscina materiali e tecniche ceramica di lenci vasi elettrici ad arte il volto del legno

Edizioni Imago International


COMITATO PROMOTORE

COMITATO TECNICO E CORRISPONDENTI PER LE AREE ARTIGIANE

Luigi Badiali (Presidente BIC Toscana) Giacomo Basso (Segretario Generale C.A.S.A.) Camilla Michelotti (L’Arte del Quotidiano) Giorgio Pozzi (Assessore all’Artigianato Reg. Lombardia) Bruno Gambone Francesco Giacomin (Segretario Generale Confartigianato) Demetrio Mafrica

Alabastro di Volterra Sergio Occhipinti (Presidente Euralabastri) Irene Taddei Bronzo del veronese Gian Maria Colognese Ceramica campana Eduardo Alamaro Ceramica di Caltagirone Francesco Judica Ceramica di Castelli Vincenzo Di Giosaffatte Ceramica di Albisola Massimo Trogu Ceramica di Deruta Nello Zenoni (Resp. Artig. Regione Umbria) Nello Teodori Ceramica di Grottaglie Giuseppe Vinci (Sindaco Grottaglie) Ciro Masella Ceramica di Palermo Rosario Rotondo Ceramica umbra Nello Teodori Ceramica di Vietri sul Mare Massimo Bignardi Ceramica faentina

Giancarlo Sangalli (Segretario Generale C.N.A.)

Vivandiera in maiolica, manifattura P. Antonibon, fine sec.XVIII.

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Maria Concetta Cossa (Pres. Ente Ceramica Faenza) Tiziano Dalpozzo Ceramica piemontese Luisa Perlo Ceramica sestese Stefano Follesa Ceramica di Nove Katia Brugnolo (Dir. Museo delle Ceramiche di Nove) Ceramica di Laveno Marcello Morandini Cotto di Impruneta Stefano Follesa Cristallo di Colle Val d’Elsa Giampiero Brogi (Pres. Consorzio Crist. Colle Val d’Elsa) Ferro della Basilicata Valerio Giambersio Ferro di Asolo Stefano Bordignon Gioiello di Vicenza Maria Rosaria Palma Intarsio di Sorrento Alessandro Fiorentino Legno di Cantù Aurelio Porro

Legno di Saluzzo Elena Arrò Ceriani Legno della Val d’Aosta Franco Balan Marmo di Carrara Antonello Pelliccia Marmi e pietre del trapanese Enzo Fiammetta Marmo veronese Vincenzo Pavan Mosaico di Monreale Anna Capra Mosaico di Ravenna Gianni Morelli Elisabetta Gonzo Alessandro Vicari Mosaico di Spilimbergo Piergiorgio Masotti (E.S.A. Friuli Venezia Giulia) Paolo Coretti Oro di Valenza Lia Lenti Pietra di Apricena Domenico Potenza Pietra di Fontanarosa Mario Pagliaro Pietra di Lavagna

Alfredo Gioventù Marisa Bacigalupo Pietra lavica Vincenzo Fiammetta Pietra leccese Luigi De Luca Davide Mancina Pietra piperina Giorgio Blanco Pietra Serena Gilberto Corretti Pietra Vicentina Maria Rosaria Palma Pizzo di Cantù Aurelio Porro Tessuto di Como Roberto De Paolis Travertino romano Claudio Giudici Vetro di Altare Mariateresa Chirico Vetro di Empoli Stefania Viti Vetro di Murano Federica Marangoni



editoriale di Ugo La Pietra

La cultura del fare

Nella nostra scuola ad indirizzo

artistico e progettuale è ormai un fatto riconoscibile la caduta, sempre più precipitosa, del valore della cultura del fare. La seconda grande lacuna di cui tutti siamo consapevoli e vittime è la caduta sempre più precipitosa del valore della cultura del fare nelle nostre scuole. Già dalla Riforma Gentile la nostra scuola ha visto privilegiare la cultura del pensiero e del progetto nei confronti della cultura del fare. Ora, da tempo, gli Istituti d’arte hanno smantellato i propri laboratori (le ragioni sono molte e non è questa la sede per elencarle tutte), e anche le Accademie con un numero sempre maggiore di allievi hanno perso quel rapporto docenteallievo secondo il modello dello studio/ bottega che da sempre rappresentava il carattere di queste scuole. Così, chi ancora conserva l’idea che per imparare uno strumento occorre tempo sono le Accademie di musica, mentre ormai i corsi per la lavorazione di mosaico, ceramica, cartapesta, vetro ecc. sono spesso appannaggio di brevi corsi estivi in luoghi ameni, per signore di mezza età con tanto tempo libero e voglia di fare “qualcosa di creativo”! È incredibile pensare che fuori dalla scuola esistono ancora tanti luoghi (laboratori) dove è possibile poter vedere e imparare come si “fa a fare”. “La cultura del fare”, quella che non si impara nelle nostre scuole, quella

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che i giovani designer non vedono nelle aziende che frequentano, in quanto quasi tutte fanno realizzare la propria produzione all’esterno dell’azienda da tante piccole imprese, è ancora fortunatamente presente nel nostro territorio. Certamente va scoperta e frequentata! Se si pensa che nei primi anni ’80 tutta la produzione del mobile e dell’oggettistica cosiddetta “in stile” veniva condannata come una pratica da falsario, capirete quanto sforzo c’è voluto per far rivolgere l’attenzione della cultura ufficiale, dei designer e delle scuole nei confronti di quella miriade di strutture produttive che ancora conservavano la cultura del fare! Nel film che realizzai per la Federlegno nel 1984 mettevo a confronto il Flautista Gazzelloni che, riproponendo un’opera del passato, veniva considerato un portatore di cultura (e quindi apprezzato!), con l’artefice che riproponeva un mobile del ’700 e veniva invece considerato un falsario (e quindi disprezzato). Ho dovuto organizzare decine di mostre con il coinvolgimento di centinaia di designer abbinati alle aziende del cosiddetto “mobile classico” o di tradizione, per riproporre la frequentazione del progettista o artista con ciò che era rimasto del nostro grande patrimonio legato alla cultura del fare. Così ad Abitare il Tempo a Verona le mostre “Genius Loci” e “Progetti e Territori”, ad Abitare con Arte a

Milano le mostre sulle varie tecniche e materie sono state, negli anni Ottanta, l’occasione per scoprire ciò che la scuola e la nostra cultura progettuale stava dimenticando. Ciò che ritengo importante è che la scuola dovrebbe mantenere rapporti con i laboratori convenzionandoli con la scuola stessa. Questa soluzione avrebbe permesso a molti bravissimi artigiani di sostenere le spese per mantenere aperte le proprie botteghe e, nello stesso tempo (con le convenzioni), dare alle scuole veri laboratori di ricerca e sperimentazione.

Nella pagina a fronte: centrotavola “Vasi scaramantici” di Ugo La Pietra realizzati da Ceranima, Sesto Fiorentino.


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Storia di Anty Pansera

Ludus est nobis constanter industria

Le ceramiche Lenci segni maliziosi di un’epoca figurine realizzate con un linguaggio aneddotico, salottiero, bamboleggiante entrate nella storia e con alcuni nuovi “ritrovati” recentemente ripresentate a Castellamonte alla mostra dedicata ai “Maestri del ’900”

Un acronimo la parola Lenci, la

cui origine hanno però tutti dimenticata – “Il gioco è per me un costante lavoro”, si traduce un po’ forzosamente dal latino, il termine “industria” sapientemente scelto, a sottolineare l’attività creativa dell’azienda – , così come il marchio di fabbrica, il disegno di una trottola a una certa distanza dalla quale è avvolto elicoidalmente un filo “il tutto compreso nella disposta secondo un cerchio”, come recita il documento del Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato (Ufficio Centrale Brevetti, del 15/3/1921, n. 17955 (Reg. dei Marchi vol. 168, N. 38), destinato a contraddistinguere “giocattoli in genere, mobili, utensili per falegname, arredi e corredi per bambini”. Lenci, in Italia e in Europa, si identifica con ceramica (negli Stati Uniti con le bambole: numerosi i club dei collezionisti): un mito che persiste e che si è, per certi versi, consolidato nel tempo, un ruolo ancora da studiare/ ridefinire, forse, quello di Helenchen (Elena) Scavini, moglie di Enrico, nata Koning a Torino, da padre tedesco e madre austriaca e poi in Germania, a Dusseldorf, per seguire gli studi alla Scuola d’Arte Applicata, uno studio aperto anche per superare l’abbattimento e la demoralizzazione che l’avevano colpita, intorno al 1917, per la perdita di una figlioletta. E avrebbe utilizzato gli stracci di casa per realizzare le sue prime

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Nella pagina a fronte: Lenci - Gigi Chessa, “Arlecchino”, 1928.

A lato: Lenci - Golia Coppa, “Addio alla pace”, 1937 (Foto: Giulia Coluzzi).

sotto: Lenci - Sandro Vacchetti, “La primavera”, 1931

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Lenci - Giovanni Grande, “San Cristoforo”, 1928.

rozze poupées, un giocattolo mimetico, profondamente legato al mondo psicologico femminile. Le bambole, allora come inizio di questa “industria artistica”, Nicolas Dudovich ad incoraggiarla ad eseguirne altre e lo scultore Riva a modellare la testa di una nuova bambola, una cucitrice chiamata ad aiutare: un inizio artigiano, dunque, con il laboratorio nel salotto buono. Elena, legata al gusto e al mondo figurativo nordico e austrotedesco, avrebbe poi ricoperto un ruolo di grande importanza nella definizione e nella crescita dell’ “impresa”: donna manager ante litteram, a lei si deve la chiamata in azienda di tanti nomi di famosi – o “saranno famosi” – personaggi, per collaborazioni saltuarie e/o continuative ma sempre su commissione, a rispettare e valorizzare la “linea” dell’intera produzione, l’immagine (e la mission) aziendale – la corporate image - diremmo oggi. Ma disegnava e modellava anche: icnel la sua “firma” , a volte anche “Signora Lenci”, come per il bel vaso tronco conico dalla decorazione a fondo ferro ferruginoso, con macchie verdi e gialle a rilievo acquistato dall’attento Guido Marangoni per le collezioni del Castello Sforzesco di Milano alla IV Triennale di Monza, nel 1930, tra le prime uscite con un nuovo “prodotto”, quello ceramico, da parte dell’azienda. È una “riconversione industriale” infatti, un cambiamento di rotta, che

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porta l’Ars Lenci nel mondo della ceramica, dopo successi e difficoltà riscossi nel mondo del giocattolo, dell’arredamento e dell’abbigliamento infantile. Patrimonio acquisito un raffinato “parco pittori” che si dedicavano alla decorazione dei visi delle bambole, o che ne modellavano i visi, ma anche una “banca” schizzi e bozzetti preparatori dei numerosi artisti già coinvolti nella variegata attività: Dudovich ad esempio, e i suoi disegni felicemente traducibili anche in ceramica, così come Gigi Chessa mentre Sandro Vacchetti - “direttore artistico” alla Lenci e a fianco degli Scavini fin dal suo ritorno dagli

Stati Uniti - aveva già fatto delle esperienze in campo ceramico proprio durante quel suo soggiorno oltreoceano, così come Teonesto de Abate - nel team dell’azienda dal 1926 - , aveva precedentemente collaborato, dal 1920 al 1925, alla Manifattura Ceramica Galvani di Pordenone. Materiale per non perdere quel raffinato “sapore” che gli oggetti di panno avevano diffuso e fatto apprezzare, un impasto di caolini nazionali mescolati, per renderli più plastici, a terre d’Olanda, cotto a 1000 gradi, smaltabile con colori ed in termini netti e brillanti, che andava poi rifinito con una verniciatura trasparente,


individuato da Enrico Scavini, che aveva già ben saputo cogliere le possibilità offerte dal feltro tirolese per mettere a punto con l’aiuto del cognato Harald Koning, il progettista dei carrelli ferroviari - uno stampo che, a vapore, aveva ben pressato quelle falde compatte di fibra di lana che prenderanno poi il nome di Lenci dal marchio di fabbrica – arrivando ad essere poi quasi sinonimo di panno. Punto di riferimento, ancora una volta, come per la precedente attività, il mondo figurativo nordico, quello delle ceramiche danesi e tedesche che tanto successo - e gli Scavini ne sono consapevoliriscuotevano su ogni mercato: un occhio rivolto anche agli oggetti della Wiener Werkstatte e all’austriaca Goldscheider … Nascono così le prime ceramiche Lenci “…tra il Gozzano e il Casorati, di un’ispirazione caratteristicamente torinese, acute, frigide e signorili nell’espressione e nella caricatura, di castigata malizia nell’invenzione, più tese verso l’eccezione che verso una pienezza decorativa che ci delizi riposatamente e definitivamente” come le avrebbe descritte Gio Ponti sulle pagine di “Domus”. Oggetti slegati da una visione di insieme dell’habitat, ben lontani dal volersi integrare – nonostante il trend del momento - con l’architettura, concretizzavano , per certi versi, lo Stile 1925, proponendosi come spiritose se non intellettualistiche trascrizioni di modelli a volte anche già consueti e si imposero ben presto sul mercato anche di casa nostra, che pur continuava ad apprezzare, e a privilegiare, il pezzo unico o l’oggetto di lusso. Occasione per la presentazione dei primi pezzi in ceramica, l’Esposizione internazionale di Torino, nell’estate 1928, celebrazione e del quarto centenario di Emanuele Filiberto e del decennale della Vittoria,

Dall’alto: Lenci - Elena Scavini, “Nella”, 1931; Lenci - Giovanni Grande, “Gli sposi”, 1928.

un insieme di manifestazioni al Valentino. Segni maliziosi di un’epoca, le figurine della Lenci, da allora, hanno goduto di un immediato e contemporaneo successo verso un ampio pubblico per la facilità d’approccio che offrivano, per il loro linguaggio “aneddotico, salottiero, bamboleggiante… quasi sempre riscattato dall’ironia” (Enzo Biffi Gentili), fresco e accattivante: “ … un’intera progenie di figure e figurette, di vasi e scatole decorate, di madonnine dalle labbra dipinte sotto veli turchini e di bimbe bionde e paffutelle…” ( così nel 1980 enumerava Angelo Dragone in una recensione

su “La Stampa”), dalla Nella, signorina alla moda (bambola in panno prima e in ceramica poi, sempre firmata da Elena) , ai bambini , da soli o in gruppo, dalle madonnine a scene mitologiche dagli animali alla Piccola italiana, dai nudi alle Veneri, dalle bagnanti a “quadretti” di quotidianità ….- ceramiche smaltate dai colori netti e brillanti si sono inserite così senza pretesa nelle case di tutti (e in moltissime delle case dei nostri nonni o genitori sono entrare come dono di nozze). Qualche centinaio i pezzi (possiamo azzardare tra i cinque e i seicento, forti di una campagna fotografica realizzata nei primi anni Ottanta?!?) che sono sopravvissuti a

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dimenticanza e disattenzione, dai quali li ha tratti, forse, soprattutto la loro lettura più “colta”: la loro consacrazione critica è infatti stata tardiva e la riscoperta di questo contributo progettuale e creativo degli anni tra le due guerre si è concretizzato solo nell’ultimo scorcio di questo “secolo breve”, in saggi critici d’insieme e in articolate manifestazioni d’insieme, oltre che in mostre tematiche e rassegne monografiche. Ma è ancora possibile qualche sfizioso “ritrovamento”: l’ultimo presentato l’estate scorsa a Castellamonte, in occasione di una manifestazione dedicata ai “Maestri del 900. Un secolo di scultura ceramica d’arte italiana”, dove una raffinata selezione Lenci è stata curata da Norma e Antonino Rigano, da sempre – e fra i primi - amorevoli e intelligenti ricercatori e collezionisti (con un testo di riflessione critica, in catalogo, di chi scrive). Si tratta di un piatto dipinto dal caricaturista, grafico e illustratore Eugenio Colmo, torinese

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anch’egli, in arte Golia, firmato e datato 1937: sul tondo, le femminili incarnazioni di Spagna e Germania sono avvinte ad italico giovane in camicia nera mentre un’avvenente Francia è strappata da un rosso cosacco ad un’Inghilterra che si incarna in Churchill e la Pace, sotto le sembianze di un angioletto, saluta dall’alto sventolando fronde d’ulivo…. Un pezzo unico nell’ambito di una raffinata produzione di “piccola serie” di “artigianato artistico” che si svolgeva comunque in una “impresa” che annoverava, a chiusura del decennio Venti, seicento maestranze - per le quali , modernità e/o attenzione illuminata, era presente in azienda l’assistenza medica – e che soprattutto aveva saputo ben organizzare la propria distribuzione, anche oltralpe e oltreoceano e che vantava a Milano un negozio di rappresentanza aperto già nel 1923, di poco posteriore a quello torinese, all’insegna entrambi dell’ “Ars

Lenci”. Una produzione che il “cenacolo” d’artisti di Elena – perfino l’enfant prodige Umberto Mastroianni - ha modellato, esplicitamente consapevoli dell’opportunità che veniva qui loro offerta di cimentarsi comunque con la serie (purché piccola) anche se il clima del tempo non l’apprezzava. Lenci, dunque, non soltanto “strumento puntuale per meglio comprendere il gusto quotidiano della borghesia degli anni Trenta… (per) cogliere il polso della cultura diffusa di un’epoca… tra gli elementi più caratterizzanti la microstoria di parte del Ventennio” – come scrivevo a conclusione del mio saggio su Lenci nel 1983, pubblicato su Faenza – ma anche interessante “caso” di rinnovamento dell’artigianato artistico, di rielaborazione della tradizione nelle arti decorative e di un interessante, sinergico rapporto/ricongiungimento arte/produzione (arte/industria), in questo caso anche con l’italica “arte del gran fuoco” .


Nella pagina a fronte, dall’alto: Lenci - Elena Scavini, “Piccola italiana”, 1935; Lenci - Gigi Chessa, “Nuda con lenzuolo”, 1930.

Sotto : Lenci - Mario Sturani, “Scodella quattro cavalieri”, 1930.

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Musei di Katia Brugnolo

Il museo della ceramica Giuseppe de Fabris a Nove Alla scoperta di un museo che raccoglie importanti testimonianze della cultura ceramica novese dal ’700 a oggi e che può vantare il grande “Vaso con figure femminili” di Pablo Picasso realizzato a Vallauris

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a volontà di creare un Museo Civico a Nove (Vicenza) fu esplicita fin dalla metà del secolo XX e difatti i novesi raccolsero per anni ceramiche di pregio per formare un primo nucleo di collezione museale all’interno del fabbricato ottocentesco sede della Scuola di Disegno poi Regia Scuola d’Arte e quindi Scuola d’Arte di secondo grado, eretta secondo la volontà testamentaria di un generoso mecenate, il famoso scultore Giuseppe De Fabris. Quando nel 1961 la Scuola d’Arte passò a totale carico dello Stato, anche la collezione di ceramiche divenne di proprietà statale. Allora l’Amministrazione Comunale si impegnò a fondo, negli anni Ottanta, per dar vita al Museo Civico, offrendo l’opportunità alla popolazione di aver chiara e concreta testimonianza della propria storia. Il Parroco, Don Sante Grego, Presidente dell’Opera Pia Giuseppe De Fabris, e i Consiglieri d’amministrazione della stessa, nel 1986 decisero di donare al Comune il fabbricato ottocentesco già sede della Scuola d’Arte, al fine di ospitare il Museo Civico. Gli abitanti di Nove e di Bassano del Grappa si impegnarono generosamente a donare al Museo molti pezzi in ceramica di eccezionale valore. Il Museo fu inaugurato nell’aprile del 1995 e tutt’oggi conta circa settecento oggetti, mentre un centinaio ne furono concessi in deposito e circa trecento furono offerti in deposito permanente

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In questa pagina, dall’alto: vasca a forma di nave in terraglia, manifattura Agostinelli Dal Prà, Nove, inizio sec. XX; Salvatore Cipolla, grande vaso a lucignolo, 1950, dono di Claudio Martini e Remigio Tonelli. Nella pagina a fronte: vivandiera in maiolica, manifattura P. Antonibon, fine sec.XVIII.


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In questa pagina, dall’alto: piatto con decoro blu in maiolica, manifattura G.B. Antonibon, sec.XVIII; piatto con il mese di febbraio, manifattura Todescan, Monticello Conte Otto, sec.XIX. Nella pagina a fronte: specchiera in terraglia, manifattura Antonibon, fine sec.XIX.

dall’Ente Fiera di Vicenza. L’Amministrazione Comunale decise inoltre di affidare la gestione del Museo ad una società privata, sulla base delle opportunità offerte dalla legge Ronchey. Nel 1983 fu varato il primo atto istituzionale di fondazione del Museo della Ceramica. La benemerita Associazione Nove Terra di Ceramica donò al Museo tra i primi pezzi inventariati: una “Tazza da Brodo” con coperchio e piatto in porcellana di fine ’700 e un “Grande centrotavola in maiolica”, datato 1755, entrambi della manifattura Antonibon che, con il suo celebre imprenditore Gio Batta Antonibon, diede avvio dal 1727 alla prestigiosa produzione di maioliche con decoro blu che riuscirono a far fronte alla concorrenza olandese. La manifattura Antonibon divenne in breve la più importante fabbrica di ceramiche della Repubblica Veneta, ottenendo dal Senato nel 1732 il privilegio dell’esenzione da tutti i dazi per vent’anni. Sono nel Museo, di seguito esposte, numerose ceramiche del periodo di Pasquale Antonibon che successe al padre dal 1738, dando spazio a varietà di modelli e decori con motivi a cineserie, al passo con lo stile Rococò, gazebi, frutta in cartoccio, e soprattutto riuscendo nel 1762 a riprodurre la “ricetta” della porcellana. La collezione museale mostra infatti numerose raffinate sculture, tazze

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Nella pagina a fronte dall’alto e da sinistra: “Bacco ebbro”, porcellana, manifattura Antonibon, metà sec.XVIII; zuppiera zoomorfa in terraglia, manifattura P. Antonibon, fine sec.XVIII, dono Nadir Stringe e Anna Cortese; grande centrotavola in maiolica, manifattura P. Antonibon, 1755.

della puerpera, teiere o tazzine con piattino da caffè in porcellana. Interessanti, ad esempio, per la cultura vicentina, il gruppo scultoreo del Bacco ebbro in bisquit, a ricordo della famosa pittura di Baccanali dell’illustre Giulio Campioni in terra vicentina, o le graziose figure in costume dell'epoca da rapportare alla celebre pittura di Giambattista e Giandomenico Tiepolo. Attorno al 1770 si diffuse in Italia l’uso della terraglia, e la fabbrica Antonibon, condotta dal Baccin nel 1786, riuscì ad ottenere un impasto simile a quello inglese, come testimoniano alcune opere del Museo. Tipiche della produzione novese tra ’700 e ’800 sono le zuppiere zoomorfe, realizzate in terraglia e riproducenti animali da cortile. La varietà tipologica delle opere presenti nel Museo è davvero straordinaria: dai servizi da tè e caffè a quelli di posate, dagli strumenti musicali a esemplari unici come la preziosa Vivandiera e la Veilleuse a forma di torre, donate dalla Fondazione Cariverona. Durante l’Ottocento, nonostante la grave crisi politico-economica, alcune manifatture novesi riuscirono a mantenere un prospero mercato grazie alla terraglia che fu adottata sia per creare oggetti in stile neorococò sia per la produzione cosiddetta di “gusto popolare”.

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Il Museo offre un’ampia rassegna di preziose ceramiche anche di grandi dimensioni (specchiere, vasi, oggetti d’arredo) create dalle manifatture Antonibon, Viero e Passarin, in stile Aulico o Neorococò, con bellissime decorazioni floreali, arricchite da paesaggi e figure, a testimonianza dell’aggiornata partecipazione delle manifatture novesi alle Esposizioni Internazionali. Tale sezione museale è arricchita da vetrine didattiche che mostrano le diverse fasi di lavorazione dei vari materiali o le tecniche di decorazione, e ancora la presenza dei marchi. Segue un’ampia rassegna dedicata al piatto popolare ottocentesco, che incontra il favore del pubblico per quella spontaneità e immediatezza che caratterizza la sua decorazione, solitamente dedicata ai mesi dell’anno o ad eventi storici. Splendida è ad esempio la serie recentemente donata al Museo da Mons. Bigarella, della mani-fattura Todescan di Monticello Conte Otto (Vicenza). La collezione del ’900 mostra oggetti sia di manifatture locali (Agostinelli, Dal Prà, Zen, Cecchetto, Antonibon, ZanolliSebellin-Zarpellon, Primon), del territorio veneto e di altri ambiti regionali (Liguria, Lombardia, Toscana), opere locali di notevole talento (Parini, Petucco, Tasca, Pianezzola, Sartori, Lucietti, Bonaldi e altri) o importanti ceramisti di altre regioni (Guido

Cacciapuoti, Mariano Fuga, Salvatore Cipolla e molti altri). Fiore all’occhiello della sezione novecentesca è il grande Vaso con figure femminili, realizzato da Pablo Picasso nella fornace di Madoura a Vallauris (Cannes) nel maggio del 1950. Il Museo ha organizzato, nel corso degli anni, diverse mostre sia di carattere storico, sia rassegne di artisti contemporanei e viventi, concorsi a livello europeo o indirizzati alle Accademie di Belle Arti. Ogni anno si svolge la tradizionale cerimonia delle donazioni, in cui vengono presentate al pubblico le ceramiche generosamente donate da collezionisti, enti privati o associazioni. Il servizio didattico offerto alle scuole e le visite guidate per il pubblico, hanno negli anni garantito un ottimo afflusso di persone anche di provenienza extraregionale.


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didattica di Fernando Pignatiello

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raspare, dalla tecnica di lavorazione della tarsia lignea, una predilezione all’incontro con l’esaltazione della bellezza trasmessa dalla materia legno. Di là dagli stili e dalle forme elaborate nelle varie epoche, questa tecnica ci permette la costruzione di singolari manufatti proposti per infinite varietà ornamentali e a volte per motivi e situazioni realistiche. Nell’impiego tradizionale dell’intarsio ligneo è evidente che le oscillazioni dei toni cromatici delle superfici sono definite dal sapiente accostamento di diverse essenze. Infatti, l’uso di essenze pregiate e l’accordo delle singole direzioni delle impiallacciature apportano al disegno preparatorio la caratteristica unica delle rappresentazioni e nel caso specifico dei mobili impiallacciati la qualità estetica espressa dal diverso tipo del legno, dal vibrante colore naturale e dalle venature. Nel passato questi accorgimenti hanno determinato prodotti pregevoli che testimoniano il virtuosismo esecutivo e il valore estetico aggiunto al disegno dall’artigiano esecutore. Oggi, con l’impiego di impianti laser, si è reso possibile il taglio del legno massiccio con grande precisione e la riproducibilità dei pezzi in serie, secondo disegni molto complessi. Con la tarsia volumetrica tornita, l’organizzazione del procedimento esecutivo richiede una coordinazione di diversi

Il volto del legno

Un’esperienza didattica condotta dal docente Fernando Pignatiello con gli studenti della sezione Arte del Legno dell’Istituto d’Arte di Cantù con la partecipazione del tornitore Alessandro Sala e delle ditte Campostori e Priori di Cantù

operatori per la preparazione e la lavorazione dei materiali. E’ necessaria una consapevolezza delle caratteristiche fisiche e del comportamento del legno massello, partendo dalla stagionatura fino alle successive fasi di lavorazione. L’antica arte dell’intaglio acquista una nuova variabile tecnica che permette, attraverso la costruzione di oggetti a tutto tondo,

una maggiore esaltazione cromatica del legno naturale. Si tralascia quindi l’impiego di impiallacciati per tagli tangenziali e radiali, e si utilizza il legno massello per somme di pezzi orientati a un’asse, predisposti a generare la forma a tutto tondo per coerenze coniche e quadriche. La forma e il decoro di superficie del

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Nella pagina precedente: di Samuele Montorfano e Fernando Pignatiello, “Piccolo tavolo” realizzato da Campostori, Elli, Priori (Cantù).

In questa pagina, dall’alto: di Fernando Pignatiello, “Porta spezie” e “Vaso” realizzati da Elli, Campostori (Cantù).

singolo manufatto è in relazione ai materiali di partenza e alla coerente metamorfosi geometrica delle essenze assemblate. La lavorazione al tornio per tagli sottrattivi, ci svela, di fatto, il disegno del decoro ricercato, la mutevole cadenza predisposta e le varianti cromatiche della singola essenza, gli occhi e il volto del legno. Ogni oggetto può assumere, per chi lo osserva, un significato evocativo rilevato dalla forma e dall’uso dei materiali. Abbiamo cercato di cogliere questo significato attraverso l’effettiva costruzione di piccoli oggetti di legno. Più che inventare insoliti profili o nuove tipologie, la ricerca si è basata sul modo di “pensare” la forma degli oggetti in relazione all’uso della tornitura del materiale. Si sono ricercate diverse modanature e soluzioni di oggetti rispondenti a semplici funzioni, selezionando le qualità intrinseche del legno. Il carattere della forma-funzione del singolo manufatto è stato rafforzato con l’invenzione di matrici volumetriche orientate all’asse di lavorazione dei pezzi, che hanno restituito, con diverse varianti, la metamorfosi delle superfici delle tarsie volumetrche. Nella nostra storia, l’origine dei profili e quindi la sinuosità del singolo oggetto è l’elaborazione di semplici tracce e il risultato di azioni essenziali o elaborate del taglio del materiale.

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Oltre al decoro, “il volto” delle tarsie rivela, per contrasto degli elementi assemblati, la natura simultanea delle essenze (noce, acero, ciliegio, faggio). Ogni motivo esibisce una triplice identità dei prospetti e altri racconti. Singole storie, identità che rievocano precisi contesti. Evidente la disposizione dell’equilibrio simmetrico, la cadenza e il dinamismo che rimandano a

superfici cinetiche fluttuanti, l’evocazione di colori e odori di antiche feste, armonie mutevoli di forme, il ricordo di chiostri lontani ... Questo progetto di tornitura del legno, come dicevamo, è nato dalla volontà di cogliere alcune dinamiche operative e verificare un diverso approccio di conoscenza del legno. Affinché l’attività didattica di Progettazione non fosse provvisoria intenzionalità e un abbozzo di idee funzionali a un ambito scolastico, si è cercato un incontro con il mondo della produzione, sviluppando delle affinità collegata ad alcune realtà produttive artigiane. Si è creato così un ausilio di specificità, inerente alla cultura del fare, necessaria alla ricerca e alla determinazione precisa dei manufatti. Per gli allievi è stata un’esperienza formativa di


Dall’alto e da sinistra: di Fernando Pignatiello, “Base per tavolo” realizzata da Boccadamo (Cantù) e “Modanature incontro-forme” realizzati da Elli (Cantù); di Campostori Davide e Fernando Pignatiello, “Porta profumi” realizzato da Elli e “Alzata” realizzata da Campostori, Elli, Priori; di Giorgio Tarussello e Fernando Pignatiello “Tartufo nero, tartufo bianco” realizzato da Campostori, Elli; di Fernando Pignatiello, “vaso” realizzato da Boccadamo.

“progettazione compartecipata”, vissuta come “laboratorio continuo”. Stimolati dal processo di trasformazione del legno e dal riscontro continuo delle proposte, hanno migliorato attitudini personali con maggiore motivazione e interesse. Per l’abile tornitore Alessandro Elli, è stato una continua sorpresa, entusiasmandosi a ogni rivelazione dei decori e al variabile gioco cromatico che il volto del legno comunica e la qualità intrinseca della materia presenta. Qualità che nella riproducibilità in serie sono praticamente trascurate e non messe in risalto. Si sono realizzati così un numero rilevante di tavoli, alzate, vasi, piccoli contenitori e altri oggetti corrispondenti ai seguenti approcci costruttivi: oggetti definiti per coerenza d’uso del materiale e del disegno esecutivo; prototipi definiti per materiali non omogenei, per forma e colore precostituiti; tipologie di oggetti non usuali ( le alzate) realizzati con varianti strutturali e materiali diversi; compenetrazioni di modanature (positivo / negativo e pieno / vuoto); oggetti elaborati recuperando i residui di lavorazione.

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PROGETTI E TERRITORI di Domenico De Masi

Sul doppio registro - del materiale e dell’immateriale - Roma e il Lazio hanno sempre giocato ai massimi livelli, genialmente trattando il più materiale dei materiali (la pietra) e imperativamente egemonizzando il più importante degli immateriali (il soprannaturale). Sicchè oggi, nella torrenziale irruzione della virtualità, delle risorse intangibili, dell’informazione e dell’estetica, Roma e il Lazio si trovano a dominare con pari disinvoltura la più tangibile e la più intangibile delle realtà. Gli opposti esercitano su di noi un fascino intrigante. Tra le varie associazioni di idee - per contiguità, per somiglianza, per lontananza - quelle per opposizione

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L’uomo e la pietra

In una mostra promossa dalla Regione Lazio curata da Giovanna Talocci all’ultima edizione di Abitare il Tempo a Verona diversi autori hanno reinterpretato la pietra con progetti di arredo urbano o di oggetto quotidiano


Nella pagina a fronte: due sezioni della mostra ad “Abitare il Tempo”.

In questa pagina dall’alto: Manolo De Giorgi, “Scatola Abitabile” (per bambini) travertino, Leopoldo Mazzoleni, “Fontana” in travertino, Paolo Rizzatto, “Panca” di forma semiellittica in travertino.

sono di gran lunga le più frequentate dalla nostra mente. Costringerci, dunque, a riflettere sulla pietra nell’epoca di Internet, significa costringerci a ripercorrere a ritroso tutta la nostra storia, significa ricostruire la filogenesi della nostra specie attraverso l’ontogenesi di una sola città e di una sola regione. La sfida che Roma e il Lazio si sono dati nel corso dei secoli è stata quella di coniugare il materiale e l’immateriale, di dare al materiale un’anima e un senso che lo trascendessero: attraverso la pietra celebrare Dio e lo Stato, il singolo e la comunità, il sole e la notte, il mercato e la famiglia. Si prendano certe antiche muraglie ciclopiche e certe antiche abbazie

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Dall’alto: Antti Nurmesniemi, “Soft Stone”, panchina in travertino a forma di cubo smussato; Piero Lissoni con Patricia Urquiola e Shane Schneck, “Sedute basse e chaiselongue” realizzate in tufo con piani in peperino smaltato; Massimo Pica Ciamarra, “Scultura” realizzata in tufo con pavimento in peperino.

ciociare, si respiri intensamente tutta la maestosa compattezza dei loro materiali e si scoprirà il significato profondo della fatica sottesa ad opere così imponenti, la necessità degli antichi costruttori di attingere la sicurezza urbana o la dimestichezza con Dio, sempre però costringendo la pietra entro i canoni della bellezza. Ogni capitello, ogni ricciolo di marmo, di cui il Lazio è disseminato in tutte le sue contrade, raggruma in sé giorni di fatica umana: scalpellini che hanno piegato la schiena nella perizia della scultura; operai che hanno torto i muscoli nello sforzo del trasporto; architetti che hanno spremuto la mente nello spasimo dell’invenzione. Ogni reperto risuona ancora dei canti sacri che ha ascoltato, degli inni militari di cui è imbevuto, degli sguardi che lo hanno fissato quando ancora era vivo al suo posto e sprigionava stimoli per la fantasia degli ammiratori. Meno nobili, ma testimoni altrettanto esperte, sono le pietre destinate da secoli a rendere agevoli i percorsi dei cittadini, dei soldati, dei nomadi,dei pellegrini: selciati imponenti come quelli dell’Appia Antica; sampietrini dissestati e ormai inconcludenti come quelli del centro storico; vecchie strade ormai sepolte sotto i palazzi e asfalti posteriori ma ancora leggibili attraverso residui emergenti. C’è la pietra rubata: quella esotica delle colonne possenti che Adriano portò al Pantheon da tutte le regioni dell’impero; quella orientale degli

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Dall’alto: una sezione della mostra ad “Abitare il Tempo”; Hiroshi Naito, “Seduta bassa” realizzata in perlato royal; Andrea Mazzoli e Danilo Stravato, “Dune”, seduta realizzata con pietre laziali di diversa essenza.

obelischi barbaramente sottratti ai loro contesti, ai loro significati e ai loro credenti; quella preziosa degli altari e delle nobildonne, sottratte alla povertà del Brasile, dell’Africa, dell’Asia. C’è la grande epopea scritta con la pietra nei palazzi classici, rinascimentali, barocchi, liberty, razionalisti, firmati dai grandi architetti della Roma imperiale, dai Bramante e dai Michelangelo, dai Coppedè e dai Libera. Tutto questo immenso concetto di pietre, convenute dall’intero pianeta per fare belle e grandi una regione e una città, non sono che impasti chimici di atomi e molecole, classificati dai geologi, scrutati dagli ingegneri, curati dai restauratori, insidiati dagli automobilisti. Ma la loro modernità, la loro perennità, risiede nei bit che abitano nei loro atomi, fornendo senza tregua informazioni e sentimenti, emozioni e stimoli, vibrazioni e paure. Come il Verbo si fece carne, così tutti i giorni, a Roma e nel Lazio le pietre si fanno Verbo.

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PROGETTI E TERRITORI di Anna Cottone

Essere designer oggi non è cosa

semplice, perché se fino a qualche anno fa il mercato, principale referente della produzione industriale e quindi delle proposte progettuali del designer, offriva un panorama facilmente identificabile dei gruppi sociali che lo caratterizzavano, oggi che le tradizionali classificazioni di categorie sociali sono state messe in discussione, essere designer significa filtrare attraverso la propria sensibilità le trasformazioni epocali della nostra società. L'interesse convergente della cultura del progetto verso un materiale come l’argento ritenuto fino a pochi anni fa troppo nobile ed elitario per assolvere alle finalità sociali e democratiche che da sempre hanno caratterizzato obiettivi e intenti della disciplina del design, trova le sue ragioni in una trasformazione in atto della cultura del consumo con cui il design si deve ormai confrontare. Questa infatti affida all’argento, al di là della sua preziosità, frutto di una lavorazione artigiana altamente specializzata e ad alto valore aggiunto, nuovi valori d’identità che sono propri del progetto contemporaneo. Infatti proprio perché l’argento fonda la sua natura su un passato storico di grande stabilità e valore, in esso non può non identificarsi la qualità della durata essenziale nella nuova dimensione ecologica del progetto: l’oggetto d’argento si tramanda, non si butta, in più è facilmente riciclabile, il suo valore non si perde nell’uso come invece accade a molti oggetti della contemporaneità.

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Gioielli e argenti di Sicilia Progetti e prototipi elaborati per il corso di Disegno Industriale alla Facoltà di Architettura di Palermo frutto di una ricerca condotta da Anna Cottone con la collaborazione di undici ditte della provincia di Palermo


Nella pagina a fronte: candelabro "Millennium" a quattro bracci (modello in legno verniciato). In questa pagina, dall'alto e da sinistra: servizio da thè "Qui Quo Qua" in argento; alzata polifunzionale "Servetta" in argento; caffettiera del servizio da caffè "Perseo" in argento; calice "Koinonia" in argento e oro; calice "Scyphy" in argento e oro.

L’argento non ha la durezza dell’acciaio, è un materiale facile e malleabile da lavorare; anche a mano e con l’uso di pochi strumenti gli si può dare la forma che si vuole, e inoltre si presta ad essere decorato e la decorazione, come si sa, gode, rispetto alla stabilità della forma in cui si afferma il valore della “permanenza”, di un valore d’informazione superiore che agisce sull’identità stessa del prodotto. Il termine identità individua oggi, come si sa, un parametro progettuale con cui confrontarsi anche se definire l’identità si configura apparentemente come operazione di chiusura e limite nei confronti di una dimensione universale della cultura. Il parametro dell’identità trova il suo naturale terreno nell’esigenza di lavorare con le risorse del territorio. Dobbiamo agli studi di storici come Maria Accascina e Maria Concetta di Natale e degli allievi della loro scuola, se il nostro patrimonio orafo e argentiero è stato approfonditamente studiato ed è con questo patrimonio che ci siamo confrontati nell’intraprendere la nostra esperienza progettuale; ma non solo, fondamentale è stato confrontarci con la produzione contemporanea degli argentieri e orafi siciliani che si caratterizza a livello mondiale, specie quello argentiero, per l’unicità della lavorazione dove, nel ciclo di lavorazione, anche in fabbriche di dimensione industriale con più di cento addetti, il controllo del pezzo è padroneggiato da ciascuno degli addetti alla catena di montaggio in ogni sua fase.

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ciondolo "Hirz" in argento con pergamena; girocollo "Barche" in argento.

Ma a queste qualità degli artigiani siciliani fa da contraltare una formazione culturale di scarso livello che si basa solo su una formazione legata al tradizionale apprendistato di bottega. Quale ruolo deve assumere il progetto nei confronti di questa specifica produzione argentiera? Un lavoro capillare di preparazione è stato quello di censire e indagare sulla consistenza produttiva degli argentieri dell’area palermitana, che in Sicilia è la più significativa rispetto ad altre aree geografiche dell’isola. Gli argentieri siciliani appartengono ad una casta ancora molto chiusa ed elitaria, gelosa del proprio lavoro, infatti, dei 20 argentieri individuati solo 11 hanno dato la loro disponibilità a collaborare nella realizzazione del prototipo e ci hanno promesso di rilevare e indagare fotograficamente sull’organizzazione della fabbrica, sulle potenzialità tecniche, sul ciclo di lavorazione di un prodotto. La ricerca ha messo in luce come il panorama produttivo ha consistenze ben diversificate. Infatti si va da superfici di fabbrica di 87 mq con 2 operai, nel centro storico, a superfici di 5000 mq. con 80 operai (Di Cristofalo), con 110 operai (Stancampiano) o ancora di 11000 mq delle Argenterie Cusimano con 40 operai. Una volta impadronitisi delle tecniche di lavorazione, si è ritenuto necessario individuare le tipologie specifiche prodotte da ogni argentiere, estrapolandone in particolare una o due su cui poter sviluppare delle

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riflessioni progettuali. Candelabri, caraffe, jàtte, centritavola, servizi da caffè, piatti, posate, calici per la messa, sono gli oggetti che nella ritualità domestica e sacra svolgono ancora un ruolo determinante. Certo ad essi è ancora affidata una valenza simbolica che li fa slittare verso una dimensione legata più all’aspetto rappresentativo e di status symbol che non verso una dimensione di oggetti d’uso quotidiano da usare al pari di

altri oggetti, dove il peso della preziosità della materia, ma soprattutto della storia, non grava. È abbastanza difficile stravolgere alcune tipologie consolidate nell’abitare e proporne di nuove. Tali operazioni di progetto a volte sono delle forzature, spinte dalla moda del momento, che si risolvono in maniera fallimentare anche sul piano commerciale. Non abbiamo voluto prendere una posizione dissacratoria rispetto alla


Dall'alto: candelabro "Variabile", ad altezza variabile, in argento; centro tavola "Mariner" in argento; candelabro "Luce/Ombra/Tempo" a quattro fuochi, in argento.

produzione corrente, bensì riuscire a dialogare con essa, inserendoci delicatamente, giocando prevalentemente su uno svecchiamento delle forme e una ricchezza delle variabili d’uso degli oggetti. Il progetto del gioiello invece è andato incontro ad altre riflessioni, in quanto solo da poco tempo anche il design come disciplina del progetto ne ha fatto oggetto di ricerca: il gioiello infatti ha affidato da sempre il suo valore alla unicità. Diventato nel ’900 oggetto di sperimentazione artistica, poco affine alle metodologie scientifiche messe a punto dal design moderno, solo negli ultimi anni, in un ampliamento dei confini della disciplina del design, è diventato oggetto di ricerca e sperimentazione linguistica da parte di quest’ultima. La produzione orafa e dei gioielli a Palermo non ha avuto mai soluzioni di continuità, anche se già fin dagli anni ’20 si registra un cambiamento nei laboratori del centro storico di Palermo, collegati al radicale fenomeno di revisione linguistica e tecnica operata dalla gioielleria francese. Il progetto del gioiello, in questa esperienza, ha avuto come riferimento non solo la produzione storica siciliana, ma anche un’attenzione tutta contemporanea nei confronti del corpo, sia come oggetto da decorare che come elemento con cui dialogare in maniera ironica o dissacratoria.

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schede dei prodotti realizzati per il corso di design informale

PROGETTI DI ARGENTI Alzata L’alzata “Servetta” progettata da Raffaele Messina, Barbara Biondo, Francesca Palermo, per la ditta Stancampiano, s’inserisce in una produzione abbastanza consistenze della ditta, organizzata con metodi di produzione industriale, a cui associa lavorazioni artigianali particolaris-sime; Stancampiano ha infatti una produzione vastissima e articolata: posate, jatte,piatti,centritavola,ma anche oggetti eccezionali prodotti in un unico pezzo e commissionati da ricchi newyorchesi. Le alzate per dolci rilevate si pongono come oggetti impreziositi da una lavorazione a traforo. Il prototipo, realizzato dalla stessa ditta, utilizza dei piatti in produzione di linea sobria (stile inglese), stravolgendone la fissità compositiva, riprogettando il supporto in cui i piatti s’inseriscono e da cui possono essere agevolmente staccati per essere usati singolarmente. Servizi da thè o da caffè Il servizio da thè “Qui Quo Qua”, di Antonella Caleca e Giuseppe Palermo, prodotto dalla Di Cristofalo, è stato lavorato al tornio con forme spaccate e si configura con sembianze vagamente antropomorfe. La rotondità dei contenitori e dei beccucci, fa l’occhiolino a una tendenza in atto nel progetto degli oggetti quotidiani, che si fonda su una simpatia delle cose, dove la ritualità della tavola perde anche nei momenti eccezionali di festa la sua seriosità, diventando gioco e ironia. Nel servizio da caffè “Perseo” progettato da Giacomo Di Salvo, Danilo Inserillo, Enrico Licitra e realizzato dalla ditta Marchesini, la ricerca progettuale diventa sperimen-tazione formale di elementi morfo-logici tra di loro strettamente correlati.Così il coperchio subisce uno slittamento assiale che disorienta l’osservatore e accentua la distinzione delle parti che normalmente godono di una continuità percettiva. La tecnica utilizzata è quella della tornitura. Il progetto di caffettiera “Hovo” di Vivian Celestino e Antonio di Chiara, che hanno indagato la produzione della ditta L.A.F.A., è stato realizzato in legno.La semplificazione della forma è arricchita in questo caso da fasce orizzontali che ne accentuano la rotondità. Candelabri “Flex” progettato da Giuliana Torre e Sebastiana Visconti e prodotto da Caruso Argenti, parte da una analisi morfologica

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degli elementi che abitualmente lo compongono, ma arricchendone le valenze d’uso, propone un sistema che permette di variare l’altezza secondo tre misure. Esso sfrutta una caratteristica costruttiva di molti oggetti in argento che si fonda sulla possibilità di montarsi per avvitamento. Il candelabro “Millennium” di Diego Cuttone e Gaetano Capodicasa, prodotto da Fabbrica Argentaria De Carli, è molto intrigante sul piano della ricerca formale, anche se rispetta alcune costanti morfologiche di questo intramontabile oggetto. Il corpo che sostiene i bracci mantiene ancora alcuni elementi decorativi caratteristici dello stile neoclassico di partenza, ma la sua pacata eleganza viene contraddetta dalla grintosa forma delle coppette che sorreggono le candele, forma accentuata da un piccolo segno triangolare sotto ognuno di esse. Il candelabro “Luce, ombra, tempo” di Sergio Sanna e Manuela Spera, realizzato da Antonino Amato, nega la forma del candelabro tradizionale: infatti si compone di tre pezzi distinti che possono autonomamente vivere e illuminare l’ambiente secondo le necessità. Il processo che ha condotto a questa forma è stato dettato da riflessioni sull’uso stesso dell’oggetto, ponendo al centro della riflessione la luce come elemento guida del progetto. Centrotavola “Mariner” di Francesca Abbruscato e Monica Caltabiano, indaga criticamente la produzione dei Fratelli Morana, che propone oggetti di fattura splendida, ma con un linguaggio semanticamenbte superato. Lavorato al tornio il centro tavola “Mariner” si compone di un solo pezzo trattato opaco all’interno e lucido all’esterno. I piedi sono ricavati tagliando la la coppa e si ripiegano aggressivamente verso il piano. Oggetti sacri Progettare un oggetto per la ritualità del sacro non è facile per un architetto contemporaneo, infatti la dimensione laica in cui è cresciuta la modernità, impedisce di affrontare il progetto di un oggetto sacro con la giusta angolazione; lo dimostra il panorama veramente deludente di arte sacra che la modernità ha contribuito a banalizzare e a cui oggi si richiede un rinnovamento anche da parte della stessa gerarchia ecclesiastica. Pochi segni ma di intensa comunicazione simbolica investono il progetto del calice “Scyphy” progettato da Francesco Di Girolamo e Bice Mazzara.

La costruzione per parti che si avvitano tra loro, tipica di questa produzione è stata fedelmente rispettata nel prototipo realizzato da Antonino Amato proprietario di una delle fabbriche argentiere più antiche del centro storico di Palermo. Un secondo calice “Koinonia” è stato progettato da Elisabetta Chimento e realizzato da Pietro Accardi, unico lavorante in uno dei laboratori più piccoli tra quelli indagati. Qui la forma del calice si allontana da quella antica e propone come elemento guida il simbolo della tralce di vite (lavorato in fusione e poi applicato) che si attorciglia diventando supporto della coppa. PROGETTI DI GIOIELLI L’approccio progettuale al tema del gioiello è stato diverso; fondamentale ci è sembrato indagare il suo rapporto con il corpo. “Barche”, progettato da Giuseppina Morsellino e Cinzia Palumbo, è una collana con ciondolo, si rifà a segni propri della ricerca artistica siciliana, in particolare alle barche di Maurilio Catalano, che nel loro ripetersi ossessivo sono diventate quasi un marchio. Il produttore ancora una volta è Antonino Amato. Il ciondolo in argento con pergamena di Marinella Tuminello e Adriano Strano, “Hirz”, prodotto da Maniscalco, si rifà all’antica tradizione araba che definisce le antiche pergamene con trascrizioni coraniche: Hirz. I ciondoli dalle forme più inconsuete diventano veri e propri amuleti come molti gioielli della cultura mediterranea della costa nord-africana. Il ciondolo in oro e brillanti, “Riccio” di Ivan Minioto, prodotto da Franco Cuppari, è anche un amuleto: protegge con i suoi lunghi aculei chi lo indossa.



AUTORI di Florinda Gaudio

I giardini della memoria di Alik Cavaliere

La ricostruzione dell’opera verrà presentata al pubblico con la partecipazione di Umberto Eco Gustavo Pietropolli-Charmet ed Emilio Tadini

L’

opera I giardini della memoria di Cavaliere é stata presentata per la prima volta nella grande retrospettiva dell’ artista a Palazzo Reale di Milano nel 1992 ed è un’installazione complessa, formata da circa 40 pezzi di una grande varietà di forme, dimensioni e materiali.  Il motivo di fondo è costituito da una teoria di 11 vetri, parte dei quali concavi, dipinti con colori acrilici, che si snodano delimitando un percorso articolato e ricco di suggestioni. Come hanno dimostrato i gestalisti negli anni Trenta, la traccia mnestica tende con il tempo a modificarsi e il ricordo si fa sempre più regolare, le eventuali contraddizioni vengono eliminate, i possibili vuoti colmati... Eppure nel lavoro di Alik Cavaliere sembra possibile individuare una cosciente negazione di questa regola.  Tra i vetri dipinti si snodano pezzi di ceramica, pietra, specchio, legno, polistirolo, bronzo, stoffa, rame, ottone, che si susseguono portando in più luoghi, conducendo ad altre opere, percorrendo vie diverse, contraddicendosi l’un l’altro, sovrapponendosi e contestandosi reciprocamente. Il percorso della memoria attraverso cui ci conduce Cavaliere é incerto e incoerente, tortuoso e complesso. E tuttavia non è un flusso ingenuo, irriflesso, primordiale di ricordi nella loro scompostezza originaria.  Il contradditorio è inseguito, ricercato, accompagnato affinchè non si perda, il precario accettato con

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delicatezza, l’asimmetrico e il dissonante ammessi tra gli altri senza pregiudizi.  Quella di Cavaliere si direbbe una memoria tollerante che produce coscientemente l’alteralità: “naufragare, scrive l’artista nei suoi taccuini, nella rappresentazione del reale per immergersi nella memoria

dove precipita l’illusione di un altro reale”.  Questo carattere dell’opera di Cavaliere, si giustifica almeno in parte nel richiamo alle tradizioni differenti e armonicamente dissonanti che variamente confluiscono nelle sue opere. Da una parte, certamente é presente,


immagine e concetto, memoria e intelligenza, è saldo e ineludibile. Le immagini, sono aiuto per la memoria, ma sono soprattutto simboli complessi di una verità velata, la chiave per penetrare il segreto ultimo delle cose.

nelle due pagine: “I giardini della memoria” 1990, ceramica, pietra, legno, bronzo, vetro, specchio, polistirolo, rame, ottone, colori acrilici. Immagini dalla grande retrospettiva tenutasi a Palazzo Reale di Milano nella primavera 1992.

e non poteva non esserlo, il retaggio, ormai per la generazione di Cavaliere quasi “classico”, della filosofia della memoria di matrice bergsoniana, che accompagna l’arte delle avanguardie. Come scriveva Proust (Memoria involontaria e resurrezione poetica, 1909) “quel che l’intelligenza ci restituisce sotto il nome di passato, non è tale. In realtà, come accade alle anime dei trapassati in certe leggende popolari, ogni ora della nostra vita,

appena morta si incarna e si nasconde in qualche oggetto materiale; e vi resta prigioniera per sempre, salvo che noi non ci imbattiamo in quell’oggetto”. Sul versante opposto, tuttavia, la cifra stilistica di Cavaliere appare sempre profondamente contaminata dal suo incontro intellettuale con il pensiero del Rinascimento e di Bruno (ma si pensi anche all’Orlando Furioso) in particolare. In questo caso, il legame che connette

La presentazione, preceduta da un breve seminario in memoria dell’artista, si terrà sabato 29 settembre 2001 alle ore 18.00, presso il Centro Artistico Alik Cavaliere di Via De Amicis 17 a Milano.

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autori

di Bruno Bandini

Situazioni

Una mostra personale di Gianmaria Colognese a cura di Rolando Bellini alla Galleria dello Scudo di Verona propone dal 22 giugno al 28 luglio lavori polimaterici sculture in terracotta e bronzo, quadri

Il principio dell'unità nel molteplice

è uno dei cardini della sensibilità barocca. La molteplicità, la differenza, la discretezza, costituiscono elementi che, lungi dal disperdere la pienezza dell'esistenza, ne esaltano l'umanità; che, lungi dal dissipare la qualità della vita, conferiscono alle forme stesse della vita una pienezza ed una concretezza prima insondate. Ma la complessità strategica della sensibilità barocca, con la sua esaltazione dell'esprit de finesse, dell'agudeza, della dissimulazione, primo autentico veicolo della modernità, che ci lascia intendere quanto gravoso sia cedere al ricatto degli stili, alla loro normatività, alla tendenza omologatrice, ricompare anche all'interno di quella singolare fase storica inauguratasi verso la metà degli anni Settanta e che - pur variamente definita - si potrebbe qualificare come “crisi della modernità”. All'interno di questo clima culturale, che cerca di aggiornare i paradigmi della progettualità in termini di “gioco", “decostruzione”, “metonimia”, “desiderio”, “ironia”, “indeterminazione”, “traccia”, “assenza” “forma disgiuntivava”, prende corpo la ricerca di Gianmaria Colognese. Architetto, designer, pittore, scultore, attraverso i percorsi delle proprie opere, attraverso la loro molteplicità e la loro differenza, Colognese scandaglia la possibilità di rendere plurale la Stimmung, vale a dire l'umore, l'espressività, il milieu che investe la creatività artistica:

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Nella pagina precedente: Maya, 2000, terracotta in materiale semirefrattario rosso.

inventando ”intonazioni” sempre originali, capaci di spezzare il codice generale di una narrazione che si concentra nei generi, per far emergere invece il carattere polimorfo, mutante, androgino, di ogni pratica progettuale. A dispetto della loro mutevolezza, dell'incostanza che è propria delle cose di questo nostro universo, le apparenze, il campo di ciò che si manifesta e che si appalesa alla nostra visibilità, sono tutt’altro che ”mostruose”, bensì sono il veicolo attraverso il quale prendiamo coscienza del mondo. Una coscienza che non sarà mai data una volta per

In questa pagina: “Struttura architettonica”, 1998, terracotta in materiale semirefrattario rosso e nero con parti a smalto bianco, nero e cristallina.

tutte, che l'esperienza, di volta in volta, sarà costretta a correggere: un labirinto o un arabesco. Questa sensibilità che opera sulla frammentazione e che è essa stessa capace di frammentarsi, duplicandosi, ma che è in grado di ripresentare un continuum spaziale, dunque di “rappresentare” il progetto, emerge nelle opere di Colognese ed è la stessa che nell’età barocca sgretola i “canoni” rinascimentali, esaltando la geometria proiettiva, la curva, la voluta, il ripiegamento, la compresenza, la torsione, la pluralità dei soggetti che abitano uno spazio

tutto da inventare, ne è elemento astratto ma anche problema concreto da risolvere, che non è più omogeneo ma invaso e complicato dagli oggetti, dalla materia, dalla concretezza empirica. Una sensibilità che si presenta come "mosaico" di lingue, sperimentazione vertiginosa, originale meditazione sullo spazio e sui volumi che lo investono. Una capacità, un "abito" che ci consente di citare il classico per inserirlo in contesti sempre differenti; una disposizione in virtù della quale la relazione tradizionale tra forma e funzione viene sconvolta


In questa pagina da sinistra a destra: “Elementi in equilibrio”, 2000, bronzo patinato; Forme coartate, 2000, bronzo patinato; ambedue realizzati dalla Fonderia Artistica “Arte Bronzo”.

per essere reinventata; dove la distanza tra le "arti belle" e le "arti applicate" viene colmata, se non addirittura risolta. Se il sentire si presenta anche frutto di una decisione, che si consolida con la pratica concreta e che comporta un continuo lavorio su se stessi, un esercizio disincantato e selettivo, non sfuggirà allora la centralità che, nelle opere di Colognese, giocano le nozioni di tattilità e di ritmo. L'opera, liberata dai vincoli della contemplazione estetica, cosi come

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Nella pagina a fronte: “Trio”, 2000, bronzo patinato, realizzato dalla Fonderia Artistica “Arte Bronzo”.

dall'orgia dell'empatia vitalistica, si dispone come "recettore" capace di cogliere le connessioni che nello spazio si determinano e si definiscono, di esibire il senso di pienezza, unitaria, continua, che, nella realtà si manifesta, senza per questo escludere la possibilità dell'accoglienza, della commistione dei corpi tra di loro. Il sentire selettivo e plurale di Colognese è infatti percorso da un movimento continuo che tuttavia non ricorre a fratture o a balzi, bensì a quel modo

particolare di scorrere, a quel transito fluido - simile ad una veste che si dispone a piacimento - che chiamiamo ritmo.


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AUTORI di Vincenzo Tomasello

L

a sua presenza, rispetto agli artisti precedenti, ci sembra assumere un significato diverso, infatti egli colloca la propria attività creativa tra i poli del “fare” e del “pensare”, dove il “fare” ha una confidenza particolare con la storia del mondo. Vincenzo Dino Patroni possiede quel sorriso interiore che spezza la presunta serietà del reale, eppure contemporaneamente cristallizza il reale nelle emergenze che per l'uomo diventano importanti; il reale preso di nuovo sul serio diventa storia, ovvero esperienza che appare degna di essere raccontata perchè si conservi: ecco la medaglistica accanto alla produzione artistica; il fare legato alla sensibilità storica ed il pensare dell'esperienza artistica in cui tuttavia si conserva la struttura formale del cerchio che troviamo nella medaglia. Si manifesta nell'opera di Patroni, quell'idea del cerchio di cui ci siamo già occupati, ma come in una sorta di trasfigurazione di “pranzo di Babette”, in cui questi tondi, contenitori di condivisione d'idee, fuoriescono dall'idea di piatto per adagiarsi in quella di disco che, dallo sport all'immaginario scientifico, contiene la potenza del lancio, del gioco, del contatto con l'ignoto e con l’esperienza del cosmo. Ci gusta qui dedicarci all'esame della struttura della configurazione narrativa del cerchio che, nella proposta di Patroni, coniuga disco e medaglia, producendo una sintesi tra esperienza storica e respiro universalistico. In particolare, nella medaglia che ha prodotto in occasione del Giubileo del 2000, egli fuoriesce dal puro intento

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Omaggio alla materia

Vincenzo Dino Patroni ospite alla “saletta TRAM.sito artecontemporanea” della libreria “L’Almanacco” di Acireale dal 4 al 24 luglio

celebrativo (proprio nel contenuto simbolico) per affondare simbolicamente nel futuro quando aggiunge una terza, alle due stelle dei due millenni passati. Dobbiamo evidenziare la forza simbolica presente nell'esperienza dei dischi che crea la disponibilità a contenere - nei modi della sintesi artistica - la proiezione dell'esperienza storica in un tempo fiabesco, che naturalmente va considerato nella sua serietà, come serio è il gioco dell'arte che permette nell'opera la gestione di grandi significati di riferimento la cui ricezione - grazie a questo - è possibile anche alla grande diversità di culture e di sensibilità. Ricordiamo come sia frequente l'uso dell'espressione “chiudere il cerchio”, anche dei significati, come dire: estraiamo la morale della favola. Ma come si manifesta questo in un tempo diventato “indescrivibile”? Proprio attraverso la ricerca espressiva nell'arte contemporanea, che fa anche del piacere sensibile legato alla bellezza cromatica, della ricerca degli equilibri dinamici dello scorrere e cristallizzarsi delle sensazioni fisiche legate alle facoltà dell'occhio e della mente, un luogo privilegiato di ricerca di senso. Ma c'è una ulteriore indicazione nell'opera di Patroni; essa è legata alla convergenza, nella struttura simbolica del cerchio, di vita quotidiana e storia cosmica in un modo che il cerchio sembra stabilire -contemporaneamente - la certezza della leggibilità del mondo, ovvero la sua conoscibilità, ma anche l'inquietudine del mutamento che ci mette davanti

all'improbabile, secondo una felice espressione di Y. Bonnefoy. Se è vero che “l'ordine non c'è, ma si vede”, ovvero che siamo noi, dentro all'imperversare di fatti anche contrastanti, ad imparare ad orientarci; se è vero che noi siamo immersi nella esperienza di quell'improbabile che prende forma spazio-temporale; ebbene, è questo di cui i “dischi” di Patroni raccontano. Che noi siamo un miracolo; una provvisoria, ma forse per questo decisiva, esperienza di coscienza all'interno di quello scenario del reale oggi interpretato come “caos deterministico”. La presenza dell'uomo e dell'articolarsi del suo viaggio di coscienza nella storia “decide” del senso di ciò che ci circonda. Naturalmente - oltre che un privilegio - è questa una grande responsabilità che ci fa capire come noi stessi siamo precari e a rischio d'estinzione. Vincenzo Dino Patroni nasce e si forma in una famiglia campana di scultori in marmo ed in bronzo. Frequenta l'Istituto d'Arte di Salerno e l'Accademia di Belle Arti di Napoli, dove, alla fine degli anni Sessanta, diventa allievo prediletto d'insigni maestri, in quel tempo operativi nella metropoli mediterranea. Presto Patroni godrà a Napoli della stima di alcuni intellettuali partenopei di primo piano: Ugo Piscopo, Vitaliano Corbi, Michele Prisco, Aldo Trione e Francesco D'Episcopo, i quali furono primi tra coloro che scrissero sulle opere del poliedrico artista. Al suo attivo ha numerose mostre


Dall’alto: “transiti segnici di una storia vissuta” e “Sublimazione della materia tra tensione ed equilibrio”, dischi in cretacotta maiolicati, dipinti e graffiti, Ø mm 340, anno di produzione 2000.

personali e, per invito, ha partecipato in Italia e all'estero ad importanti esposizioni collettive, a simposi di scultura (Lituania, 1994) ed a premi, ricevendo spesso consensi di critica e riconoscimenti ufficiali. La critica d'arte militante, da Filiberto Menna a Francesco Carbone ed infine a Pierre Restany, si è occupata delle sperimentazioni e dei progetti dello scultore e pittore salernitano. Vincenzo Dino Patroni è titolare di cattedra di Plastica Ornamentale presso l'Accademia di Belle Arti di Catania. Risiede a Salerno in via Costantino l'Africano, 5/A.

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autori di Massimo Bignardi

Racconti nascosti nella pelle dello smalto Un rinnovato valore del colore caratterizza le ultime ceramiche di Wanda Fiscina

una scia di cielo impronta le pareti

dell'antica cappella nascosta nelle mura della Salerno longobarda: è l'impronta di angeli dai colori dei sogni, perlacei, ovattati nelle pieghe della terracotta, affinati nei margini, dai bordi levigati dalla luce. Wanda Fiscina ha scelto il terzo fuoco per donare alle sue nuove ceramiche il profumo dell'incenso, il riflesso dell'oro la mistica magia della mirra. In un angolo dell'antica città la ceramica celebra la nascita del figlio di Dio e al tempo stesso, giocando sulla metafora, la redenzione della materia. Ricordo che per l’allestimento dei suoi cento “Angeli di terra”, sulla parete d’ingresso alle Scuderie di Palazzo Reale a Napoli, Wanda preferì rinunciare all’impaginato aereo e sognante, così come aveva sistemato le piccole “piastrelle” nel suo studio. La scelta di vincolare al piano della parete, addizionando materia colorata su materia, era dettata da un desiderio di articolazione dello spazio che trovava il suo referente nel basso rilievo. Era, quindi, ancora la seduzione della pittura a tenere l’ordito immaginativo, era ancora la decisa affermazione del dettato iconico a sobillare l’artista, anche se quegli spessori volutamente sottolineati davano già l’impronta di nuove direzioni di ricerca. Da quell’allestimento Wanda Fiscina ha tratto lo spunto per la sua nuova esperienza creativa che, nel giro di

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pochi anni, l'ha portata ad essere una delle principali interpreti della ceramica d'arte in area campana. Un indirizzo di scelta oggi maggiormente sottolineato dall'attenzione rivolta al valore immaginativo che lo smalto

assume e, quindi, alle possibilità che esso offre di riprendere, con maggiore incisività e passione, l'analisi sul testo del decoro, considerato all’interno dello sviluppo plastico. In quest'ambito di sperimentazione linguistica,


Nella pagina a fronte: “Formella” Sotto, da sinistra: “Mylitta”; “Vaso”, terracotta, ossidi, smalti.

si iscrivono alcune opere realizzate negli ultimi anni, penso ad esempio ai vasi esposti nella personale tenutasi lo scorso dicembre a Palazzo Genovesi a Salerno o ai vasi conici (con i quali poeticamente raffigurava i Magi), della suggestiva "Natività" allestita nella cappella sconsacrata oggi sede salernitana del FAI. Ho già avuto modo di rilevare come la ricerca di Wanda Fiscina fosse, sin dai lavori eseguiti nel 1998, decisamente orientata verso l'accentuazione del dettato emotivo; ora scegliendo la strada di animare la superficie di colori accesi, resi maggiormente vivi da gangli di borace che esaltano la materia cromatica, ora giocando sulla forza del segno, su quei contorni incisi che esasperano il modellato degli angeli, ora inserendo nella texture riflessi d'oro ottenuti con il terzo fuoco. È una linea che oggi giunge alle forme di questi ultimissimi vasi, attentamente calibrate dal chiaro scuro degli ossidi, opachi, sui quali risaltano tessere di smalti colorati, lasciando affiorare la porosità della terracotta che esalta, al tempo stesso, i contrasti dei valori luminosi. In precedenza v’erano stati, sia nell’esperienza legata alla ceramica sia nelle sperimentazioni pittoriche, alcuni segnali importanti. Il lavoro di ricerca intorno alla forma-vaso, poi al corpo come definizione di un tutto rilievo, ed è il caso delle Melitte, esposte in occasione del terzo Premio Nazionale di Ceramica, tenuto a Vietri sul Mare nel 1996, indicava già il desiderio di lasciare la superficie, o meglio di

spostare l’attenzione dall’idea di pittura, nella quale l’artista faceva convergere e sovrapporre l’interesse per il decoro. Questo in virtù di un approccio con la scultura, sentita come forma-oggetto che vive lo spazio, capace, cioè di attivare una più ampia gamma sensitiva. Uno spostamento che Wanda Fiscina sembra affidare dapprima all’ornamento o, meglio, al “primo alfabeto - annota Focillon - del pensiero umano alle prese con lo spazio”, per poi manovrare sulla seduzione delle linee dei contorni, di quelle che trattengono la materia, con l'attenzione rivolta alle simmetrie, ai giochi di alternanze con i vuoti. È, dunque, un modo di riattivare la vitalità narrativa insita nella materia, della quale l'artista si serve per strutturare il "corpo" dell'oggetto, avvolto, però scriveva a tal proposito Menna intervenendo nel dibattito fra scultura e

oggetto e peinture e tableau - di una sorta di “impenetrabilità semantica”. Per Wanda Fiscina il passo verso l’approdo ad una sentita forma della ceramica e dello spazio da destinare ad essa, è stato breve: voglio dire che l’artista, dopo le Melitte e gli Angeli di terra ed oggi i Vasi conici, ha posizionato il suo fare creativo entro i registri di una maggiore astrazione dei piani, sobillata dalla ricchezza del fantastico. In questa direzione si collocavano, ampiamente, già i vasi, i piatti, le brocche esposte nella personale al Palazzo Della Guardia a Vietri sul Mare del 1998: in esse la superficie si vivifica di improvvise presenze, in pratica di gangli di smalto, di pietre, di granelli, di cristalli ferrosi, di materie che trasformano l’ “oggetto” in un territorio sensibile dell’immaginario.

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Dall’alto: “Lunaria”; “Coppa scultura”, terracotta, ossidi, smalti.

Se qualche anno fa Wanda Fiscina aveva rinunziato alla tessitura strutturale del racconto, azzerando così ogni compiacimento formale del modellato, in virtù di aprire un dialogo con la materia, vale a dire attraverso le declinazioni di un dettato formativo che è già implicito nel processo tecnico, nella sperimentazione di reazioni chimiche, oggi sembra essere tornata sui suoi passi. La pratica della pittura, soprattutto l'assiduo ricorso all'acquerello, ha qualche responsabilità sia nella "scompaginata" architettura della composizione formale, animata dal ricorso al gesto per segnare i piani o sagomare le forme degli angeli, sia nella scelta dei colori. Non è certo questa, la misura della rinunzia, anzi segna l'inizio di una stagione posta sotto il segno di una libertà ideativa profondamente sentita che porta ad annodare i fili della narrazione, con il desiderio di raccontare il suo presente.

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AZIENDE di Massimo Bignardi

L’atelier del pittore sospeso sul mediterraneo

A Vietri sul Mare la ceramica Romolo Apicella apre al pubblico la sua collezione di ceramiche eseguite da artisti contemporanei Una grande sezione dedicata al pittore Mario Carotenuto Fra i giovani il "nuovo barocco" di Mario Francese

“Non è dimostrabile - scrive Cees

Nooteboom - eppure io ci credo: nel mondo ci sono luoghi in cui un arrivo o una partenza vengono misteriosamente moltiplicati dai sentimenti di quanti nello stesso luogo sono arrivati o da là sono ripartiti”. È un'avvertenza, questa, che per chi s'incammina oggi in direzione di Vietri sul Mare, diviene un'immagine manifesta, vale a dire un segnale immediato che affiora, quale radicata presenza, dai decori, dalle forme delle maioliche che perimetrano tutte le stradine e le piazze di questo "magico" angolo del Mediterraneo. È l'articolata rete di segni, di colori a scandire il ritmo della vita, fra esterno ed interno, vale a dire fra le vetrine accese dai contrasti dei gialli, luminosi come limoni, e dei blu o dei verde ramina e le ombre che avvolgono le botteghe degli artigiani, le faenzere ove la luce zenitale scolpisce le forme d'argilla per offrirle agli occhi del torniante o al racconto "scritto" dal decoratore. Chi non ha mai lavorato in una “faenzera vietrese” non sa, né può intuire la pregnante atmosfera che, al calare del sole, invade la bottega. La luce color malva si dispone sui piani che accolgono le brocche, le anfore, i vasi ed i piatti dipinti nel corso della giornata. La fantasia accende il racconto narrato dalla tradizione che, nel corso del novecento, ha accolto i segni lasciati da viaggiatori, da artisti comparsi sulla scena vietrese nei primi anni venti: è la presenza di

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Nella pagina precedente, dall’ alto: il pittore Mario Francese al lavoro; Ceramica Romolo Apicella, vetrina della collezione di ceramiche vetriesi degli anni ’30 e ’50; Mario Carotenuto, “Piatto”, 2000, Ceramica Romolo Apicella, Vietri sul Mare (foto E. D’Antonio).

Sotto: Mario Carotenuto, “Vasi”, 1999; “Piatto”, 1996, Ceramica Romolo Apicella.

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Nella pagina a fronte: Mario Francese “Fiaschetta”, 2000, Ceramica Romolo Apicella (foto E. D’Antonio)

artisti europei, soprattutto tedeschi, a portare nelle faenzere di Vietri sul Mare la capacità della sintesi espressionista, di farsi misura ideale di un riscoperto "animismo" da parte della cultura moderna. Nelle botteghe di oggi le tracce di questi "passaggi" sono ancora vive: esse sono nei gesti del pittore decoratore che segna di manganese il profilo della capretta, nei racconti degli anziani e, soprattutto nelle collezioni private delle botteghe artigiane, delle aziende, divenute nel tempo veri e propri "archivi dell'immaginario". Fra queste v'è la Ceramica Artistica di Romolo Apicella che, da qualche anno, ha destinato l'intero primo piano della sua bottega all'esposizione di una delle più articolate collezioni di ceramiche vietresi. In tre sale, ritmate da dieci grandi vetrine v'è il racconto di due secoli di storia. Oggetti, vasi, piatti disposti a narrare una fugace presenza, o il sogno colorato affidato a mani che animano la quotidianità domestica: è un percorso che dalle brocche dei primi anni dell'Ottocento, va alla produzione realizzata dagli artisti del periodo tedesco, Riccardo Doelker, Irene Kowaliska, dall'inquieto Guido Gambone all'irriverente Procida; dai piatti "siciliani" o dalle anforette destinate agli arredi della vicina Badia della SS. Trinità di Cava de' Tirreni, ai decori appena incisi da Riccardo Licata, alle forme plastiche di Renato Barisani, ai piatti da tavola disegnati da Carotenuto. È un percorso senza sosta che giunge sino ai nostri giorni, accogliendo i venti della fervida congiuntura che vive la ceramica contemporanea. Fra le vetrine si fa largo, prepotentemente, la linea compositiva di Doelker, al suo fianco gli oggetti, le tazzine soprattutto, disegnati da Cossa negli anni Sessanta. Alla geometria di quest'ultimo contrappone il "primitivismo" di Procida, o il dettato "classico" di Gambone. Sono questi artisti che Romolo ha conosciuto da ragazzo, quando lavorava nelle faenzere.



Infatti, quando parla degli anni trascorsi nelle vecchie fornaci, una smorfia disegna una linea di entusiasmo sulla sua fronte: il “tempo”, dice sorridendo, “porta sempre nuovi entusiasmi, nuovi amici con il desiderio di rincorrere nuovi sogni”. Con il gesto della mano accompagna il racconto di questi ultimi dieci anni, indicando i lavori dei tanti artisti che hanno frequentato la sua bottega; in primo luogo Mario Carotenuto che ha rinnovato l’intera produzione dando un carattere di modernità al decoro ‘vietrese’, poi Renato Barisani, Ignazio Moncada, Riccardo Licata, Errico Ruotolo, Matteo Sabino, Franco Marrocco, designer come Gelsomino D’Ambrosio, Susanna Doelker e non ultimo il giovane pittore Mario Francese. La bottega di Romolo Apicella, per chi la guarda dall’interno verso l’esterno, dà l’idea di una terrazza slanciata sul magico spettacolo che è la Costiera Amalfitana; è una terrazza sulla quale il tempo deposita i segni narrati dalla solarità di una luce che lo smalto imprigiona sulle vive forme della ceramica. La parte centrale della collezione di Romolo Apicella è dedicata alle opere di Mario Carotenuto: poco meno di quaranta lavori realizzati nell'arco di cinquant'anni, tracciando, in pratica, una linea di continuità che, dalle piccole piastrelle ed oggetti maiolicati realizzati nella fabbrica Tre Felci fra il 1953 e il '54, giunge ai grandi vasi, alle ciotole eseguite presso la Rifa di Molina di Vietri, la vecchia faenzera messa su da Matteo Rispoli, all'alba degli anni Settanta nel pieno di una crisi che segnò profondamente la ceramica. È una linea espositiva che continua con i lavori realizzati presso la Ceramica Fornelle di Salerno, la fabbrica Terraviva di Montecorvino Rovella, nel laboratorio artigiano di Ruocco a Minori fra gli anni Settanta e Ottanta, fino ai grandi piatti e vasi eseguiti nel corso degli ultimi due decenni nella bottega di Romolo.

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È quest'ultima certamente la parte più consistente di questa sezione: essa presenta un vasto repertorio di opere, di oggetti, segnalandosi, ciascuno, quale pagina di un'intensa e frenetica sperimentazione, di uno studio degli smalti (che l'artista conduce con l'ausilio di Gaetano Aceto e Franco Cassetta), dei reagenti e, soprattutto, della possibilità di spingere la pittura oltre la soglia della compiacente immagine, di lambire la vitalità del decoro per mirare ad una rinnovata funzione del testo pittorico all'interno della composizione plastica e, in modo particolare, dell'oggetto. Nella vasta esperienza creativa di Carotenuto la ceramica occupa, da qualche decennio, un posto di primo piano, anche se l'interesse è scandito da lunghe pause che non traducono nessun disinteresse o distanza, bensì segnano tempi di riflessione, di dialogo fra la pittura, quella dei dipinti, delle grandi tele che l'artista ha realizzando di recente, penso ad opere quali "Novecento", "Eclisse lunare", e il desiderio di ridurla a cifra di un oggetto, abito di una forma, di un corpo che l'argilla rende visibile. Una riflessione che aveva trovato già una sua prima, se pur provvisoria, definizione pratica nelle prime esperienze: si vedano ad esempio le ceramiche eseguite negli anni Settanta alla Rifa. I segni neri e gialli "incisi" dal pennello sul bianco dello smalto satinato, seguono lo schema dei piani di una fruttiera a "coppa" larga: il decoro è legato agli elementi compositivi (le geometrie) che articolano la forma. Tale scelta trova una sua corrispondenza in quei dipinti di matrice (più che altro suggestione) surrealista. Se in pittura i riferimenti potevano spaziare in più direzioni, in ceramica tali scelte guardavano unicamente alle esperienze di Mirò, alla sua libertà ideativa. È quanto accade anche nei grandi

vasi eseguiti nel corso degli anni novanta: la citazione, propria della cultura post-moderna, è assunta non come meta di narrazione, bensì quale parametro di una "visitazione" della storia, della sua vitale energia di sollecitazione immaginativa. Nel clima della cultura postmoderna, in particolare nell'ambito sollecitato dal citazionismo, si è formato Mario Francese, giovane pittore che da anni ha orientato il suo interesse verso la ceramica. Nei primi del decennio ottanta frequenta l'Accademia di Belle Arti di Napoli, ove si iscrive al corso di pittura tenuto da Armando De Stefano: la pittura è il suo primario interesse anche se non rinuncia al giornaliero esercizio del disegno. Sarà proprio questo esercizio ad avvicinare, dieci anni fa, Francese alla ceramica. Dapprima il suo interesse è stato per il decoro, inteso come trasporto estremo della pittura: è una scelta condotta accelerando il dettato di una composizione sovraccarica, attingendo ad un impianto di matrice barocca, che frammenta i piani, scompone la figurazione per affidarla alla serpentina linea che sostiene, come un'invisibile architettura, la forma dei vasi o fa esplodere i piani di piccoli teatrini, a mo' di acquasantiere. “Mi attraevano le immagini - confida Francese - piene di linee, di spirali avvolte su se stesse, che trascinano le figure in una sorta di movimento che anima la superficie degli oggetti”. Su questa traccia nascono una serie di opere, di oggetti che il giovane artista non firma, anzi affida all'anonimato della produzione. Il passo verso una rinnovata "idea" di pittura, proposta cioè quale vitale "anima" di un nuovo decoro, lo fanno registrare le opere realizzate in questi ultimi anni: sono grandi piastrelle, in buona parte conservate nella prima sala della collezione di Romolo Apicella, ove il testo narrativo racconta le "storie" di donne sorprese nella vita quotidiana. Un velo bianco, quasi


Dall’alto: Mario Francese “Tre donne”, 2001, piastra, Ceramica Romolo Apicella, Vietri sul Mare (Foto E. D’Antonio); suggestiva immagine dell’atelier, sullo sfondo la Costa d’Amalfi; l’atelier con la collezione del maestro Carotenuto (foto E. D’Antonio).

una livida luce rococò, ammanta i corpi, le vesti; schiarisce il dettato cromatico, riducendo notevolmente l'acceso trionfo dei colori vietresi. “Le donne - dice ancora l'artista sono tutto, il nostro insistente sogno, ma anche le figure che scandiscono il tempo. Sono la chiave di quella spirale nella quale sperdiamo il nostro orizzonte”. La ceramica, conclude Francese “diviene, dunque, metafora del desiderio di creare, di dar vita con le mani ad un corpo di luce”.

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fiere e saloni di Claudia Ferrari

Artigianato artistico della Majella

A Guardiagrele, alle falde della Majella una mostra-rassegna che costituisce la più bella vetrina delle arti applicate d’Abruzzo

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isale all’anno 1971 la prima mostra dell’Artigianato della Majella, che l’Ente Mostra realizzò col sostegno del Comune di Guardiagrele; nell’anno 1981, alla sua 11a edizione, l’Ente ottenne il riconoscimento legale da parte della Regione Abruzzo. L’attività dell’Ente, incentrata inizialmente sulla manifestazione fieristica, in programma tutti gli anni dal 1° al 20 agosto, ha poi raggiunto altri importanti traguardi con iniziative dirette alla riscoperta di antichi valori ed a una attività di carattere promozionale-culturale di grande respiro. Il concorso biennale “L’Arte Orafa in Abruzzo” rappresenta oggi un punto di forza della Mostra-Rassegna, unitamente a un altro concorso, pure biennale, riservato ai settori del ferro battuto, della ceramica, del tombolo, della pietra lavorata. Obiettivi e traguardi che l’Ente si prefigge di raggiungere quanto prima sono : una legge che istituisca l’Ente Mostra con una propria autonomia; la creazione delle “Botteghe scuole”; una Mostra permanente per l’artigianato artistico, che possa usufruire dei numerosi reperti raccolti in trent’anni di attività; la prospettiva di uno status per l’artigianato artistico e per gli allievi, non più “apprendisti”, necessari per il ricambio generazionale. In tutti questi anni il lavoro dell’Ente ha portato innegabili vantaggi, non solo alla categoria

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Nella pagina a fronte: Aceto Massimo, caminetto in pietra della Majella.

In questa pagina, dall’alto e da sinistra: Liberati Giuseppe, Fazzin Lina, Vignoli Italo, piatti e anfora in rame; Verna Giampiero, spilla; Ermete Jacovella, scultura in legno; locandina della mostra; Rosati Paolina, centrino lavorato a tombolo; Scioli Filippo, candeliere; Pasquini Stefania, spilla; Evangelista Italo, collier.

degli artigiani, che hanno visto finalmente rivalutato il loro lavoro, ma anche all’Abruzzo, che, con le grandi risorse dell’artigianato artistico, è riuscito a dare vivacità e vigore alla valorizzazione del suo territorio, fatto di natura, di posti inesplorati, di montagne immacolate e di una grande tradizione artistica. Il paese di Guardiagrele si è posto come punto di riferimento e centro di sviluppo dell’artigianato artistico, che riguadagna in tal modo posizioni nel contesto regionale. Il grande richiamo della Mostra ha inoltre fatto capire a milioni di turisti quali e quanti tesori si nascondono alle falde della Majella: Santa Maria Maggiore, Nicola da Guardiagrele, De Lisio, Nicodemo Giancristoforo, Farina, hanno travalicato i confini d’Abruzzo. La realtà artigianale abruzzese ben rappresenta, in questo caso, la creatività italiana, la qualità delle idee e dei prodotti per cui siamo famosi nel mondo.

Il prossimo appuntamento è a Guardiagrele, dal 1° al 20 agosto, per godere di uno spettacolo dal vivo, sempre nuovo e sempre appassionante.

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fiere e saloni di Sergia Mozzo

Museum Image & Museum Studio

Salone italiano dei prodotti dedicati all’arte Oltre 140 gli espositori e 1500 i visitatori professionali Il merchandising museale è un settore in crescita

Ben 93 aziende, 42 Istituzioni,

9 concessionari si sono incontrati ad Arezzo, dal 25 al 27 maggio, per la seconda edizione di Museum Image & Museum Studio, la manifestazione italiana dedicata al merchandising museale, che ha attirato un pubblico addetto ai lavori interessato e qualificato di oltre 1500 visitatori. Per tre giorni il Centro Affari è divenuto un punto di incontro e di scambio per gli operatori del settore, che hanno stabilito importanti relazioni e promettenti contatti con i responsabili di numerosi musei italiani e stranieri. Anche quest’anno Arezzo ha visto un’ampia partecipazione di musei internazionali, come il Metropolitan di New York, la National Gallery di Washington, la Réunion des Musées Nationaux, la Wallace Collection di Londra e tanti altri, selezionati ed invitati in collaborazione con la Regione Toscana, l’APET, l’Istituto per il Commercio con l’Estero e le sedi competenti per i vari paesi, oltre naturalmente alla partecipazione di importanti musei italiani presenti alla manifestazione sia direttamente, che attraverso i concessionari dei servizi. La rassegna era suddivisa in due filoni: Museum Image, a carattere prevalentemente espositivo, e Museum Studio, con una serie di iniziative culturali tra cui seminari, convegni, workshop e un concorso. Secondo gli organizzatori dalla manifestazione si è avuta la conferma che il merchandising in Italia offre buone opportunità di sviluppo. Si rendono però necessarie

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alcune modifiche del quadro normativo e comportamentale degli addetti ai lavori. Infatti, la comune valutazione positiva scaturita all’introduzione, solo pochi anni fa, della cosiddetta Legge Ronchey, che ha consentito la “privatizzazione” della gestione dei musei, è divenuta oggi una condivisa constatazione del rischio di uno stallo del settore, dovuto a vari fattori: prezzi di vendita troppo alti, mancanza di controlli sull’oggettistica “abusiva” venduta all’esterno dei musei, spazi dedicati ai bookshop troppo angusti, politiche promozionali inadeguate e così via. Di questo si è discusso nel corso della tavola rotonda intitolata “Mercurio e le Muse” nel corso della quale sono stati presentati i risultati della ricerca realizzata da Nomisma su incarico del Centro Affari, tesa ad indagare i comportamenti dei visitatori nei punti vendita dei musei in Italia. Al dibattito, moderato da Michela Bondardo, esperta di comunicazione culturale e ideatrice del Premio Guggenheim Impresa & Cultura, hanno partecipato Enza Grillo, Dirigente Generale Segretariato Generale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Maria Grazia Trenti Antonelli, responsabile Servizi Educativi della Sovrintendenza ai Beni artistici e Storici di Firenze, Patrizia Asproni, direttore relazioni esterne di Firenze Musei, Michele Trimarchi, professore di Economia dei Beni e le Attività culturali presso l’Università di Firenze, e Laura Carlini, curatrice della ricerca Nomisma. Il Salone ha proposto anche occasioni


Dal “concorso per idee” Nella pagina a fronte: III Categoria, Tactile Vison Onlus "Chapiteau Composite", (colonna, immagini in rilievo). In questa pagina, dall’alto e da sinistra: I Categoria, Magnetomania di Marcela Gomez, “Segnalibro magnetico”; II Categoria, Museomuseo & co, "Rocchettino", Portamatite in polipropilene semitrasparente; IV Categoria, Arteingioco, Cartoline "metti il naso nell'arte"; V Categoria, Maria Favilli Gioielli, "Cosma" (paralume) realizzato da Giorgio Pugliese per Maria Favilli.

di confronto di esperienze tra ciò che si fa nel nostro Paese e quello che avviene all’estero: “Il Pubblico dei Musei. Un confronto europeo” è stato il tema del seminario, coordinato da Daniele Jalla, direttore dei Musei Civici di Torino, in cui sono state messe a confronto le dinamiche del rapporto tra un museo e il suo pubblico analizzando diverse realtà su scala europea. Molto interessante è stata la presenza dei sistemi Museali Regionali della Toscana e del

Piemonte, coordinati dalle rispettive Regioni e dall’Associazione Torino Città Capitale, che hanno promosso un seminario sui sistemi integrati di accesso ai musei, in cui sono state descritte le più moderne forme di fidelizzazione e approccio al patrimonio museale. All’edizione di quest’anno di Museum Image era legato un concorso per idee, promosso dal Centro Affari di Arezzo in collaborazione con il Ministero dei Beni e le Attività Culturali e i Concessionari dei servizi aggiuntivi, pensato per stimolare l’interazione tra le imprese produttrici, il patrimonio artistico e storico del nostro Paese e i suoi fruitori, aperto a tutti i produttori italiani e stranieri: singoli soggetti, imprese industriali o artigiane, loro consorzi. Tra i più di 250 prototipi pervenuti, provenienti da tutta Italia (e dall’estero) ne sono stati selezionati cinque, uno per ciascuna categoria di partecipazione al concorso. Per tutti i vincitori, il premio consiste

nella commercializzazione dell’oggetto nella rete dei “negozi d’arte”, presenti in più di 70 musei nazionali. Cinque workshop di approfondimento su temi specifici, curati da aziende espositrici, hanno completato il quadro degli appuntamenti di questa seconda edizione di Museum Image & Museum Studio.

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Fiere e saloni di Osvaldo Valdi

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na mostra diversa. Pensata in modo differente da tutte le altre manifestazioni analoghe. “E’ stata una scelta meditata e obbligata, dice Gabriele Radice, art director di MIA-Ente Mostre di Monza e Brianza e organizzatore della mostra. Meditata perché abbiamo ritenuto esserci spazi commerciali adeguati per un tale evento e obbligata per poter imporre una manifestazione giovane.” La novità sta dunque nel rapporto diretto di pittori e scultori con il

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Arteexpo 2001

Nello scorso mese di giugno presso il polo fieristico di Monza la prima edizione di una nuova manifestazione d’arte

pubblico. Infatti nei padiglioni del Polo fieristico di Monza sono stati ospitati direttamente pittori e scultori, italiani e stranieri, che hanno così avuto una vetrina per rendersi visibili, per mettersi “in mostra”. Questo non vuol dire che i galleristi siano stati esclusi: “Anzi, – continua Gabriele Radice – proprio l’opposto: l’intento è di mettere a disposizione di tutti gli operatori del mercato dell’arte una kermesse dove poter venire e iniziare un dialogo con quei pittori e scultori che ritengono più bravi o più in sintonia con la

propria politica o per qualsiasi altro motivo.” A questa lettura “commerciale” della manifestazione se ne aggiunge un’altra, condensata negli spazi a tema e che hanno come filo conduttore o la continuità di una tradizione o la novità artistica. Emblematico del primo caso è lo Spazio Arte Sacra che accanto a pezzi sette-ottocenteschi del Museo del Duomo ha esposto le icone dell’artista greca Vicky Oikonomou e le opere recenti di un gruppo di giovani artisti che significativamente


Nelle due pagine: salone d’entrata di Arteexpo; immagini di alcune sezioni della manifestazione.

si chiamano Artisti per il Vangelo. Esempio di novità artistica è lo Spazio Arte Digitale, anche in questo caso con le opere di tre giovani, Massimo Cremagnani, Ugo Brancato e Fabio Annunziata, che grazie anche ad alcuni nudi maschili, di notevole qualità artistica, hanno sicuramente suscitato l’interesse del pubblico. I momenti “storici” sono stati sanciti dalla presenza delle sculture di Giacomo Benevelli, da una videoinstallazione dell’artista messicano Raymundo Sesma, dalle grandi tele di Claudio Granaroli e

da una selezione di opere di artisti legati alla Pinacoteca di Lissone, famosa in tutto il mondo per l’informale. Il rapporto arte-artigianato (come si è detto ARTEEXPO è emanazione di MIA) si è sviluppato con una serie di opere in ceramica, tessuto e vetro di maestri lombardi, continuando così la tradizione con la manifestazione maggiore organizzata da Ente Mostre di Monza e Brianza. Infine una nota significativa. Le mostre e le fiere sono sempre concepite come un luogo di esposizione: ARTEEXPO è anche un luogo di

produzione. Infatti sono stati realizzati settanta libretti con opere di poesia e interventi artistici ispirati alle poesie. Una scommessa vinta, dunque, e infatti è già in cantiere l’edizione 2002!


Fiere e saloni di Adriano Gatti

Macef Autunno rilancia in

grande stile il settore oro-argento, si arricchisce di nuovi spazi (vengono acquisiti per la prima volta i tre nuovi padiglioni al Portello); crea nuove sezioni e nuovi servizi, rafforzando così la sua dimensione di grande manifestazione internazionale e di formidabile strumento di business per il trade. E’ un Macef che si rinnova costantemente quello che si presenterà, il prossimo 7 settembre a Fiera Milano, al tradizionale appuntamento semestrale con la

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Novità Macef Autunno 2001 La mostra internazionale del sistema casa articoli per la tavola casalinghi e da regalo argenteria, oreficeria e orologeria rinnovata nell'aggregazione merceologica coi nuovi padiglioni di Fiera Milano al Portello

distribuzione dei settori oro-argento, regalistica, sistema casa, tavola, cucina, complementi d’arredo e oggettistica. Circa 3500 gli espositori previsti e 90.000 i visitatori attesi; al Macef Autunno 2000, gli operatori che hanno visitato il Macef sono stati 85.000. Come afferma Massimo Viviani, amministratore delegato di Fiera Milano International, lo sviluppo di questa grande mostra internazionale, giunta alla sua 68a edizione, ha determinato

l'esigenza di una complessiva riorganizzazione, che, facendo propria l’evoluzione della distribuzione specializzata, rimoduli la mostra con l’obiettivo di proporre all’operatore percorsi di visita ancora più funzionali per facilitare e far crescere i contatti di business con i clienti. Il nuovo layout Macef Autunno 2001 non sarà più strutturato in nove settori ma proporrà agli operatori quattro macroaree indipendenti tra loro, che riaggregheranno i precedenti


Nella pagina a fronte: Vista dei moderni e funzionali padiglioni di Fiera Milano al Portello, per la prima volta utilizzati da Macef.

comparti in funzione delle nuove caratteristiche dei canali distributivi e della domanda finale: l’area oroargento, denominata Red World e contrassegnata dal colore rosso; l’area Tavola & Cucina, denominata Blue World e contrassegnata dal colore blu; l’area Regalo, denominata Green World e contraddistinta dal colore verde; l’area Decorazione della Casa, denominata Orange World e contrassegnata dal colore arancio. I padiglioni al Portello L’acquisizione – per la prima volta – dei tre grandi e funzionali padiglioni al Portello (14, 15 e 16) è l’elemento chiave nella revisione del lay out della manifestazione. Grazie ad esso è stato possibile non solo definire percorsi di visita più funzionali, ma anche affiancare "Oro-argento" e "Cultura della tavola" in una vetrina unica al mondo per qualità merceologica. Inoltre il nuovo lay out consente migliori sistemazioni per tutti gli espositori, essendo stati eliminati nella pianta generale della mostra alcuni dei padiglioni pluripiano usati in precedenza. Verrà anche razionalizzata la partecipazione dei numerosi espositori dell’Estremo Oriente, che saranno concentrati nel padiglione 7 (denominato Asia Pavilion), mentre le occasioni di business per gli operatori del comparto preziosi saranno accresciute dalla presenza a Macef, al padiglione 17, di "Bijoux", il salone autonomo della bigiotteria dedicato alla bigiotteria classica e di tendenza. Come conclude Massimo Viviani:

Sotto: Alcuni aspetti della scorsa edizione di Macef: gli ingressi di Porta Domodossola e di Porta Carlo Magno.

“Non si tratta solo di un aggiustamento degli spazi, ma del primo passo verso una complessiva filosofia di marketing che renderà la manifestazione ancora più efficace e utile al trade. E’ questa la nostra risposta alla concorrenza internazionale – innanzitutto tedesca – con cui dobbiamo confrontarci. E siamo certi che sia la risposta vincente”.

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Le tecniche dei maestri ceramisti di Paolo Coretti

Per mosaico si intende la decorazione ottenuta con la giustapposizione di piccoli elementi colorati (tessere) applicati su superfici appositamente predisposte e preparate. E’ probabile che il termine mosaico abbia origine dalla parola musa (le Muse erano considerate le dee protettrici delle arti e delle scienze) e che faccia riferimento alla definizione latina opus museum o opus musivum (opera delle Muse) o, più specificatamente, a mus(a) eum che, in greco, significa sede delle muse o luogo consacrato ad occupazioni dotte. Cenni storici La tecnica musiva, erede della cultura delle civiltà medio orientali, trova la prima concreta applicazione nel mondo greco-romano nella seconda metà del IV secolo a.C. In origine, il mosaico si utilizzava per decorare spazi esterni e cortili con disegni geometrici realizzati con ciottoli bianchi e neri variamente spaccati; poi divenne un sistema esecutivo che, mediante la posa di tessere derivate da marmi colorati, doveva rappresentare immagini pittoriche di ispirazione mitologica, naturalistica o decorativa (importanti in questo periodo sono senz’altro i mosaici di Delo, Roma, Palestrina, Pompei e Aquileia). Con il cristianesimo, i soggetti principali dell’ispirazione dei musivarii e dei tessellarii (i mosaicisti che decoravano le pareti degli edifici e quelli che realizzavano pavimenti) divennero i simboli della fede, storia sacra e storia dei santi. In quelle regioni legate all’Impero romano d’Oriente, il mosaico, riprendendo i contatti con la cultura d’origine e confondendo quest’ultima con le tecniche che si svilupparono durante il periodo romano, visse una stagione straordinaria che vide aggiungere ai ciottoli ed ai marmi policromi gli smalti vetrosi e le tessere dorate che si possono apprezzare a Ravenna, Venezia e Monreale. Il lungo periodo compreso tra l’alto medioevo e il 1600 costituì una stagione poco significativa, stagione che, nel 1700, tornò a riprendere nuovo vigore nell’area veneta, soprattutto in Friuli, a Spilimbergo e

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Sequals. In questi luoghi vennero introdotte le tecniche moderne del fare terrazzo ed in particolare, grazie alla tecnica del mosaico rivoltato (mosaico rovescio, attribuita all’imprenditore friulano Giandomenico Facchina(1826-1904), il mosaico moderno si diffuse in pochi anni in tutto il mondo. Dopo il periodo del liberty europeo e della secessione viennese, periodo congeniale alla policromia del mosaico per carattere espressivo e per tipologia compositiva, bisogna attendere l’intervento culturale di Gino Severini - nei primi anni del ’900 - per ritrovare valorizzate le capacità di rappresentazione e per vedere riportati alla luce e rivalutati i richiami al mondo classico ed alla cultura mediterranea. È in questo periodo che il mosaico si afferma nuovamente nel gusto architettonico generale ed è in questo periodo che, per dare ordine ad una cultura del fare lasciata alla memoria di pochi artigiani ed artisti, a Ravenna, Spilimbergo e Monreale, si fondano e si fortificano i primi centri per insegnare e tramandare l’arte musiva, centri che, ancora oggi, rappresen-tano esempi inimitabili di cultura materiale e di genialità espressiva. I materiali I materiali fondamentali per la realizzazione del mosaico sono le tessere, i collanti ed i supporti. Le tessere (dal latino tessella che significa pietruzza di forma quadrata per opere di

tarsia o per mosaici), come nei secoli passati, vengono ricavate spaccando ciottoli di fiume, pietre, marmi policromi, smalti, elementi grezzi di pasta vitrea o ceramiche e vengono opportuna-mente sagomate con uno speciale martello a profilo semicircolare in modo da ottenere piccoli cubetti di superficie scabra e di dimensione irregolare generalmente variabile da 2 a 20 mm. di lato. Tra i materiali che vengono utilizzati per formare le tessere, di particolare importanza sono i ciottoli che vengono utilizzati al loro stato naturale o, in alternativa, cotti in fornace con procedimenti che, di volta in volta, favoriscono la modifica del loro colore e/o la trasformazione del loro stato di consistenza. I marmi, che sono rocce metamorfiche a struttura cristallina facilmente lavorabili, a seconda della loro composizione chimica, possono assumere varie colorazioni che variano dal bianco (calcare puro) al giallo, verde, rosa e rosso. Per smalti, infine, si intendono le paste vitree colorate che vengono realizzate mescolando al vetro comune ossidi metallici con funzione di coloranti. Il composto, fuso a circa 1300°-1500° in appositi crogioli, viene pressato per ottenere dischi di pasta vitrea, comunemente chiamati pizze, dai quali, dopo un graduale processo di raffreddamento, possono essere ricavate le tessere mediante taglio, trinciatura o spacco. Accanto ai materiali classici sopra elencati che vengono utilizzati per realizzare la quasi totalità dei


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Le immagini di questo articolo sono tratte dalle pubblicazioni: “Scuola di mosaico & Mosaici”, Scuola Mosaicisti del Friuli 1997 e 1999 e “Dal sasso al mosaico”, Biblioteca dell’Immagine di Pordenone 1994. Nelle due pagine: ricerca, nel greto del torrente Meduna (PN), dei ciottoli necessari alla formazione delle tessere; sassi, ceramiche e materiale sinterizzato industrialmente; Gustav Klimt “La vergine” 1913 (riproduzione), tecnica diretta su rete, smalti veneziani in piastre; Giulio Candussio “Mosaico per piano di tavolo” (particolare dell’originale), marmi e smalti a posa diretta.

mosaici italiani, alcune recenti sperimentazioni hanno consentito di accostare tessere prodotte industrialmente con processi di sinterizzazione, elementi ceramici o metalli di varia natura. I collanti necessari per il fissaggio delle tessere al sottostante supporto, pur nella diversità dei metodi di applicazione (mosaico diretto o rovescio), possono risultare compresi nella tipologia delle malte naturali o nel campo delle resine sintetiche. Verificata la compatibilità chimica, è indispensabile affiancare ai collanti i prodotti necessari alla stuccatura degli interstizi che l’irregolarità delle tessere non riesce ad evitare ed è anche necessario non tralasciare la colorazione di questi ultimi prodotti mediante ossidi o pigmenti adeguati alla policromia delle tessere. Circa i fondi, oltre a quelli naturali e consueti, costituiti da pavimenti o muri intonacati, sempre più diffusa è la tecnica di posare il mosaico su pannelli indeformabili, composti da doppi fogli di vetroresina tra loro irrigiditi con elementi alveolari, costituiti da lamine in alluminio. Questi pannelli, leggerissimi e inalterabili anche in presenza di acqua, ne facilitano il trasporto e rendono più semplici le applicazioni del mosaico all’esterno degli edifici. In ogni caso, la superficie del mosaico, a seconda della tipologia applicativa e dell’effetto richiesto, potrà rimanere aspra e con le tessere in rilievo, o potrà essere levigata o lucidata, a varie intensità, per mezzo di levigatrici ad acqua analoghe a quelle utilizzate per levigare o per lucidare il marmo in lastre o masselli. Per certe lavorazioni è preferibile procedere alla levigatura manuale a mezzo di prodotti abrasivi montati su supporti che vengono costruiti nella forma e nelle dimensioni opportune. Gli attrezzi del lavoro Fondamentali per la formazione delle tessere sono la martellina ed il ceppo, ancora oggi simboli dell’arte musiva. La martellina è uno speciale martello con manico di legno e corpo di acciaio di forma semicircolare affilato su entrambi i lati. Pur rientrando nella categoria dei martelli del tipo pesante é molto bilancia-

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to e adatto a dosare l’intensità del colpo che, battendo sul cuneo fissato sul ceppo, consente di formare le tessere, tagliando o spezzettando con assoluta precisione il materiale lapideo, vetroso o ceramico. Il già citato ceppo è costituito da un tronco d’albero, di circa 30 cm. di diametro, di altezza variabile tra 65 e 75 cm., che mostra conficcato al centro della sua faccia superiore un cuneo di acciaio affilato sul quale la martellina, battendo con maggiore o minore forza, può esercitare la funzione di taglio del materiale. Il mosaicista utilizza anche una cazzuola di dimensioni opportune per la stenditura della malta di sottofondo, un frattazzo per battere in maniera omogenea la superficie in alcune fasi del fissaggio definitivo e, come già sopra riferito, una macchina levigatrice ad acqua o un utensile di tipo abrasivo per la levigatura manuale. A volte, soprattutto in caso di mosaici realizzati con tessere di piccola dimensione, viene utilizzata una pinzetta che sostituisce il pollice e l’indice nel

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posizionamento della tessera sul letto di malta ed eventualmente ne corregge, in maniera molto precisa, l’inclinazione in relazione alla luce richiesta.

I sistemi di lavorazione: il metodo diretto e il mosaico a rovescio Il metodo diretto consiste nell’allettare le tessere in uno strato di malta di calce o di cemento o nell’incollarle ad una rete in fibra di vetro con mastice o con un legante di resina sintetica. La lavorazione diretta su rete in fibra di vetro prevede che il disegno, realizzato su carta, venga sezionato in settori di minore formato e che, per ciascuno di questi, venga ritagliata una sagoma di misura corrispondente sia nella rete in fibra di vetro che in una pellicola di nylon trasparente. La lavorazione prevede che tra la carta e la rete venga posizionata la pellicola di nylon in modo di lasciare trasparire il disegno e impedire l’adesione del collante al disegno stesso. Completata la stesura del collante per uno spessore di pochi millimetri, potrà essere realizzato il mosaico

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collocando le tessere e rispettando, per ciascuna di esse, l’orientamento e l’inclinazione richiesta. Successivamente, si potrà procedere all’unificazione dei settori sezionati all’inizio della lavorazione, ricomponendo l’unità originaria del disegno e provvedendo, con il medesimo collante utilizzato per il fissaggio delle tessere, alla posa dell’intero mosaico sulla superficie parietale o pavimentale alla quale è destinato. Il metodo di lavorazione permette di realizzare in laboratorio pannelli musivi di grandi dimensioni, che, sezionati nel corso delle fasi costrut-

tive iniziali, risultano essere di agevole trasporto e di facile posa anche in presenza di superfici curve, concave o convesse, consentendo di conservare tutti i vantaggi espressivi del mosaico di tipo diretto. Nella lavorazione a rovescio, invece, le tessere vengono incollate su un supporto cartaceo con una colla idrosolubile che, per tradizione, viene realizzata con farina di frumento, la cui lenta essiccazione permette al mosaicista ripensamenti e correzioni nella giustapposizione delle tessere. Il disegno preparatorio, composto dalle linee principali, dalle masse colorate e dai chiaroscuri, deve tenere in considerazione la specularità dell’immagine rispetto al bozzetto e, sezionato in settori di adeguata dimensione, dovrà essere opportunamente contrassegnato in modo

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di rendere possibile la facile ricomposizione delle parti ad opera ultimata. Predisposta la superficie da rivestire con uno strato di malta grezza dello spessore medio di 2 cm., la lavorazione prevede che, sulle tessere, venga stesa con la cazzuola la buiacca (composto di cemento, acqua e calce atto a penetrare in ogni interstizio del mosaico) e che, dopo avere spianato e lisciato la superficie con il dorso della cazzuola, si proceda alla messa in opera del mosaico facendolo aderire alla superficie mediante battitura con il frattazzo. L’ultima operazione

consiste nel bagnare il supporto cartaceo in modo che possa essere completamente rimosso, e nella pulitura degli interstizi dalla colla eccedente con una spazzola robusta che consenta la messa a nudo del cemento sottostante. Anche il metodo del mosaico a rovescio permette di realizzare in laboratorio settori di circa 50 o 60 centimetri di lato, che potranno comporre mosaici di grande dimensione, adattandosi facilmente a ogni genere di superficie rettilinea o curva ma, diversamente dal metodo diretto, il procedimento comporta l’appiattimento delle tessere che non potranno essere favorite dagli effetti provocati dalla luce radente. Reperimento dei materiali e delle attrezzature Se la ricerca dei ciottoli di fiume rientra

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da sempre nelle attività personali del mosaicista che è chiamato ad individuare il materiale più consono al suo progetto musivo ed a sopperire ad un mercato che non offre prodotti significativi, i marmi policromi possono essere facilmente reperiti presso qualunque laboratorio che si occupi della lavorazione di marmi e pietre. I marmi italiani, ampiamente diffusi su tutto il territorio nazionale, coprono l’intera gamma delle colorazioni che vengono richieste nel fare mosaico lapideo e possono essere integrati esclusivamente con le pietre di colore nero compatto (Nero del Belgio) o con pietre variegate orientali o sudamericane. Di più difficile reperimento sono smalti, paste vitree e ori che vanno richiesti direttamente nelle vetrerie produttrici, valutando colorazioni e necessaria pezzatura. Gli attrezzi di lavoro (con l’eccezione del ceppo che è frutto di costruzione individuale) e i materiali d’uso (collanti, malte, rete in fibra di vetro, pannelli alveolari, ecc.) possono essere facilmente reperiti nei centri di vendita di prodotti per l’edilizia. Il laboratorio minimo Può essere anche piccolo e, non provocando inquinamento, può essere collocato in uno spazio non necessariamente specializzato per le attività produttive. Se riservato all’attività di un unico mosaicista, può avere dimensioni di 20 mq. e deve comprendere: banco di lavoro in legno con piano preferibilmente inclinato, ceppo, contenitore per marmi, ciottoli e smalti e uno spazio per lo sviluppo del disegno e per la sua eventuale sezionatura in parti. Le scuole di riferimento Accademia di Belle arti di Ravenna, fondata nel 1827, ove l’insegnamento del mosaico assunse subito grande rilievo ricollegandosi alla grande tradizione musiva della città; Scuola Mosaicisti del Friuli “Irene da Spilimbergo”, fondata nel 1922 con sede a Spilimbergo in provincia di Pordenone; Istituto Statale d’Arte per il Mosaico “M. D'Aleo” a Monreale (PA), nato come scuola d'arte comunale nel 1959 e divenuto Istituto Statale autonomo nel 1968.


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Nelle due pagine: Vilaseca (Catalogna) XII sec. “Vergine con bambino� (particolare della riproduzione), tessere di marmo a posa diretta; varie fasi di lavoro presso la fornace Orsoni a Venezia (estrazione della pasta vitrea, controllo del colore e formazione delle tessere mediante trinciatura); fasi di lavorazione di un mosaico di tipo diretto: preparazione delle tessere, incollaggio delle tessere con colla idrosolubile a rovescio su carta, buiaccatura del foglio prima della posa, posa dei fogli numerati che compongono il mosaico e stacco della carta.


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Galleria d’Arte & Divetro

Atelier produzioni d’arte

Diretta da Caterina Tognon è la prima galleria in Italia che si occupa del movimento internazionale “Studio Glass” che nasce in America nel 1962 ad opera di Harvey Littleton, ma già negli anni ’50, in Boemia, gli artisti cechi René Roubìcek, Miluse Roubìckova, Libensky, Brychtovà, Cigler e Kopecky operavano in quella direzione, considerando il vetro un potente mezzo espressivo, capace di tradurre i propositi espressivi indi-viduali. La scuola d’Arti Applicate di Praga divenne il centro più attivo, in questo campo, durante la seconda guerra mondiale, scuola che tutt’oggi Caterina Tognon frequenta assidua-mente seguendone gli sviluppi e le proposte più interessanti e approfon-dendo la conoscenza di questa particolare materia che da sempre l’affascina. La galleria presenta artisti contemporanei internazionali che scelgono di esprimersi con il vetro, per interpretarne le particolari qualità plastiche all’interno di una ricerca che coniuga ideale artistico e capacità esecutiva (Gaetano Pesce, René Roubìcek, Miluse Roubìckova, Tony Zuccheri...). Oltre al contributo degli artisti, la galleria che porta avanti un continuo e attento lavoro di ricerca in questo settore attraverso la raccolta di documentazione specifica, l’acquisto e la distribuzione di cataloghi, video, CD rom italiani e stranieri, offre anche un interessante opportunità a giovani artisti di talento attraverso esposizioni dal titolo “particolare”, curate da Paola Tognon, nelle quali ognuno presenta un’opera unica creata appositamente per “d’Arte & Divetro” utilizzando una

È uno spazio espositivo creato da Laura Fiume, diviso in due ambienti molto diversi tra loro. Al piano inferiore, in un ambiente molto accogliente, dove un’architettura rustica si sposa con un design moderno, si trovano le sue creazioni. Laura Fiume interseca amabilmente l’attività di artista di successo con quella di designer, dando vita a particolari ceramiche, tessuti e complementi d’arredo. I soggetti, ormai da molti anni, sono soprattutto gli animali, rappresentati immersi in una quiete quasi metafisica. I loro strani sguardi si caricano di valenze simboliche ed ecco che ci appaiono come custodi d’immensa saggezza. I colori predominanti sono le terre, gli ocra, i gialli, i blu, alcune tonalità di grigio, colori caldi e mai squillanti, di una mediterraneità serena e pacata. Al piano superiore, a livello delle vetrine, in un’atmosfera minimalista, sono esposte opere grafiche di autori italiani e stranieri che provengono dalla preziosa collezione di Fiorenzo Fallani, stampatore di prestigio internazionale. Si trovano anche sculture in ceramica, in serie numerata, eseguite da Salvatore Fiume, negli anni ’50 e realizzate oggi da Emilio Romani, suo collaboratore per oltre 40 anni. Di Romani, anch’egli scultore, sono esposte alcune opere in ceramica sul tema “animali preistorici”. Grazie a questo spazio è possibile conoscere ed apprezzare anche altre opere di Fiume non prettamente pittoriche, è Laura a parlarne: “In omaggio a mio padre, che adoravo, ho voluto che ATELIER fosse anche un luogo in cui consultare i suoi testi (poesie, romanzi, drammi e commedie) e apprezzare alcune

“Inverno chaos”, Toots Zinsky, U.S.A. 1998.

“Detergens”, Mariagrazia Rosin, Murano 2000.

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“Untiled”, Miluse Roubickova, Praga 2000.

qualsiasi materia. Vetro, quindi, e non solo: lo dimostra il fatto che da quest’anno la galleria ha iniziato ad interessarsi anche di ceramica; è quindi possibile trovare, esposte all’interno, opere di artisti-ceramisti di rilievo come i celebri Bertozzi e Casoni. via San Tomaso 72 - 24121 Bergamo Tel. 035 243300 S. Marco 2671 - 30124 Venezia (campo S. Maurizio) Tel. 041 5207859

“Do you like me”, Silvia Levenson, Italia 1999.

Show room di Laura Fiume.


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Cambiofaccia sue raffinate opere grafiche difficilmente reperibili altrove”. via Cusani, 8 - 20100 Milano

“Gatto nella ciotola” e “Servizio gatto”, Laura Fiume.

“Sedia pesce”, Laura Fiume.

All’interno di un piccolo cortile, non molto lontano dal centro di Milano, ho scoperto un particolare punto vendita che interesserà tutte quelle persone, come me, curiose e attratte da proposte interessanti e originali nel campo del design e dell’arredamento. Il negozio si chiama “Cambiofaccia” e nasce nel ’98 per volontà di Rezzonica Castelbarco e Cristina Magliano, due creative che fanno del recupero e del rinnovamento la loro filosofia di progetto. Mobili e oggetti che hanno perso il loro fascino originario o il loro utilizzo, magari a causa dell’usura, o semplicemente perché ora “non piacciono più”, vengono sottoposti al “cambiofaccia” cioé ad un intervento di rinnovamento e reinvenzione. Ecco che un filtro d’aria industriale può diventare un tavolino luminoso; una vecchia poltrona, pur mantenendo le sue linee caratteristiche, può rinnovarsi, magari nel rivestimento, con materiali plastici, pelli sintetiche, velluti dai colori accesi o acidi. Ogni pezzo diventa unico, personalizzato sulle esigenze del cliente o reinter-pretato secondo i gusti delle due creatrici, pur conservando la propria memoria. Interessante è che spesso questi oggetti ritrovano vitalità attraverso l’esaltazione dei contrasti tra forme, volumi e materiali: per esempio, l’antico nelle forme si veste di contem-poraneo nei materiali o viceversa. Nell’aprile del 2000 “Cambiofaccia” partecipa al 40° Salone del Mobile di Milano propo-nendo la sedia “Passepartout”, realizzata in ventidue colori con materiali di nuova generazione e il tavolo “Eclisse” in tubolare di acciaio e vetro opaline. Anche quest’anno per il Salone del Mobile le proposte sono state molteplici, tra queste va segnalato il mobile “Tipografia” realizzato in vetro blu. via Giannone, 4 - 20154 Milano Tel. 02 3451780 Dall’alto: “Eclisse”, tavolo in tubolare d’acciaio e vetro opalino; “Passpartout”, sedia in materiale di nuova generazione; “Tipografia”, mobile realizzato in vetro blu; panoramica del punto vendita.

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ziative chiuse nel margine di un localismo spesso mortificante. Come d’altra parte guarda, con senso critico, ai successi di facciata, gonfi di altisonanti traguardi che spesso non trovano riscontro nella realtà, dando la misura di quanto l’atmosfera stagnante della “colonia” spiri ancora sulle terre salernitane. Insomma questa mostra è stata, a detta degli organizzatori, un’azione per ritrovare uno spazio di confronto, vero e non di facciata; in pratica misura del desiderio di disporsi senza l’enfasi di un’ulteriore (inutile) celebrazione. Le opere in mostra hanno tracciato sei itinerari di ricerca: dalle trascrizioni segniche di un immaginario tribale e magico animato dall’idea di una multietnia offerta oggi dalle nostre città, proposte da Mariella Simoni, ai poetici vasi-oggetti realizzati in questi ultimissimi mesi da Daniela Cannela, attenti ad una specifica cifra di design per la quotidianità di interni, ai grandi vasi in terracotta ingobbiata o realizzati con la tecnica del raku da Augusto Pandolfi. In questi ultimi é il mito greco del vaso, della sua forma ancorata strettamente alla quotidianità del territorio, il Cilento, ad interessare l’attenzione del pubblico. In direzione opposta lavora Mariella Siani, attenta ad una produzione segnata da una precisa proposta di nuovo design, lontana nella forma e, soprattutto nel valore immaginativo, dalla radice vietrese. Quest’ultima è invece maggiormente presente, anche se con declinazioni libere e decisamente distanti dalla stilizzazione propria del periodo tedesco (cifra che stancamente è ancora presente nel cosiddetto “stile vietrese”), nelle opere di Nello Ferrigno ed Enzo Caruso. Nei lavori di Ferrigno il testo narrativo svolto dalla forma (dal ricco e raffinato modellato) riprende figurazioni mitiche, proprie dell’immaginario mediterraneo che l’artista avvolge di una patina misteriosa facendo ricorso all’ingobbio o alla luminosità di smalti vetrosi. Caruso in questi ultimi anni ha posto l’attenzione ad un modellato plastico dalla vaga memoria novecentesca, con accenti martiniani, disposto, però, ad un dettato di sintesi compositiva e con un’impronta espressiva. Mariacristina Ferraioli

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travertino Romano CENTRO PER LA VALORIZZAZIONE

Il “Centro per la Valorizzazione del Travertino Romano” è una società consortile a cui fanno capo 32 aziende che operano nei settori estrattivo, di trasformazione, artigianato ed attività indotte; ad esso aderiscono i comuni di Tivoli e Guidonia Montecelio. L’area geografica è quella immediatamente a nord di Roma, lungo le sponde dell’Aniene, le cui acque hanno formato nel tempo i bacini di sedimentazione di questa pietra. Promosso nel 1990 con legge regionale n.47/89 finalizzata alla valorizzazione delle pietre ornamentali, sviluppa attività promozionali ed eroga servizi alle imprese associate e a soggetti terzi interessati alle tematiche del travertino romano. Tra le più importanti attività svolte dal Centro, si possono elencare quelle relative alla formazione, con l’adesione al progetto LAPIS per la formazione di giovani alla professione del taglio e della rifinitura della pietra ornamentale e per l’informazione con la creazione di una banca dati del settore e dell’indotto. Per le attività di promozione, con la pubblicazione della rivista trimestrale “Travertino Romano”, l’adesione al progetto Habitat negli Stati Uniti e la partecipazione alle più importanti fiere del settore, mostre, convegni, ecc. Il Centro ha promosso studi e ricerche cartografiche e topografiche, urbanistico ambientali, geologiche, morfologiche ed idrogeologiche del territorio del travertino e una ricerca sui metodi di riutilizzo dei residui di lavorazione del travertino e uno studio di rivegetazione, riambientamento, ripristino e riuso delle cave. Attualmente è impegnato alla ultimazione dei lavori relativi al bando di concorso “Lapis Tiburtinus” con il titolo “Il Travertino Romano nell’arredo urbano” istituito nell’ottobre del 2000 e destinato agli studenti delle facoltà di Architettura ed Ingegneria, per premiare la migliore realizzazione di un’opera in travertino romano. Claudio giudici

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ORIANA IMPEI Ho conosciuto la scultrice Oriana Impei alle prese con una grande opera in travertino romano. Il sudore e la polvere segnavano il suo volto a dimostrazione di quanta “fatica” fisica occorra per esprimersi al meglio con una materia come la pietra. Incontrandola ultimamente in felice attesa di un bambino, mi ha colpito l’emozione e l’energia con la quale mi illustrava le sue opere, sebbene trapelasse una vena di tristezza per l’immobilità forzata e l’inquietudine per l’attesa di riprendere al più presto il “lavoro”, addolcita un po’ dall’aiuto del compagno scultore Matthias Omahen. Le ultime “fatiche” riguardano gli arredi sacri di una nuova chiesa ad Anguillara Sabazia. Fonte battesimale, altare, tabernacolo, ambone, acquasantiere, diventano frammenti di uno stesso discorso intorno alle simbologie cristiane. È singolare la decisione di Oriana di sposarsi in questa chiesa con il suo Matthias, sicché suo figlio sarà battezzato proprio in quel fonte battesimale che lei stessa ha creato e pensato come una lucerna a simboleggiare gli elementi essenziali della fonte di vita: la luce e l’acqua. “Fatica” e “lavoro” sono le parole chiave che danno il senso della strada che un autore, artista o artigiano, deve percorrere, fuori e dentro di sé, per costruire il suo sogno, così come suggerisce, reinterpretandolo, il titolo dell’opera “La strada della coscienza onirica”. I lavori in travertino della Impei confermano come nel tempo abbia saputo interpretare l’anima profonda di questa materia, cogliendone tutti i segreti plastici e chiaroscurali, esaltandone le vibrazioni di luce e, come scrive A. Masi nell’introdurre una sua mostra, “…appare chiaro come chiaro è in Impei tutto il suo impegno a vivere la scultura come avventura e viaggio nell’insolito e fascinoso mondo delle for me”. Claudio giudici

“La Via Lattea” travertino romano, anno 1999. Collezione privata Trevignano Romano (Rm).


Ad Arte

La forza è nell’unione delle molteplicità

La ricchezza del patrimonio artistico,

derivante da quelle che si possono definire “arti applicate”, che nascono cioè dal lavoro delle mani dell’uomo che intervengono su un materiale modellandolo, modificandolo, rendendolo malleabile tanto da riuscire ad esprimere un’idea, deriva principalmente, e soprattutto in Italia, dalla varietà e dalle particolarità infinite che i materiali, insieme alle idee, sanno offrire. È un’emozione scoprire come da attività quotidiane, radicate da secoli nella vita di un popolo, scaturiscano forme, decorazioni, colori, oggetti che al di là della loro funzione primaria esprimono un’idea, trasmettono un sentimento, veicolano un messaggio. Tutto ciò è espresso attraverso le innumerevoli espressioni artistiche che fanno parte delle arti applicate, ed è emerso con forza fin dal primo passo che l’Osservatorio ha intrapreso dopo la sua istituzione: la volontà di istituire un archivio che documentasse la realtà di circa 50 aree italiane, dove fosse riconosciuta una forte identità di artigianato artistico. Le aree indagate sono state scelte, fra le numerosissime realtà di artigianato locale italiano, per i segnali dimostrati riguardo ad un rinnovamento della tradizione, cioè a una volontà di non rimanere ancorati alle attività tipiche, ma di lavorare sulle stesse per attualizzarle, pur non dimenticando la forza del sapere radicato nel territorio. Si parla quindi di aree artigiane che operano per la tradizione rinnovata. L’indagine identifica, in ciascuna area, artisti, designer e progettisti che lavorano per il rinnovamento dell’artigianato di questa area; gli artisti/artigiani che esprimono sapere tecnico e culturale del territorio cui appartengono; gli artigiani, che collaborano con i progettisti al rinnovamento delle tipologie; le istituzioni culturali (Musei, Accademie, Associazioni, Scuole) che sul luogo si occupano delle arti applicate; gli enti

(comuni, regione, provincia) che costituiscono un appoggio allo sviluppo delle attività artigianali; i critici e gli storici che si sono occupati della realtà indagata; le gallerie e i punti vendita che con la loro attività commerciale riqualificano i prodotti di arti applicate. Ad ogni area artigiana indagata fa riferimento un Corrispondente, attivo sul luogo, in modo da riuscire ad avere un riscontro più diretto e puntuale degli stimoli che si registrano sul territorio. I Corrispondenti, siano essi proget-tisti del luogo, artigiani, critici particolarmente esperti di una certa area, collaborano con AD ARTE al monitoraggio dell’area e Contenitore per l’olio in ceramica di Grottaglie, disegnato da Ciro Masella e realizzato da Giuseppe De Fazio. Esempio di oggetto progettato per la tradizione rinnovata. AD ARTE conserva l’intera collezione di contenitori per l’olio in ceramica di Grottaglie, realizzata nel 1999.

all’organizzazione delle iniziative, qualora riguardino l’area di cui sono il riferimento. La ricchezza di AD ARTE risiede quindi nella varietà degli stimoli apportati, provenienti da tutto il territorio italiano. La molteplicità è il valore che Ad Arte vuole esprimere anche attraverso la mostra che, a chiusura di questo primo anno di attività, verrà presentata a dicembre e che raccoglierà i lavori delle persone che hanno voluto dare il loro sostegno alla nascita di questa associazione. Gli associati, siano essi artigiani, artisti/artigiani, artisti, progettisti, amanti dell’arte, che con il loro contributo hanno aiutato concretamente l’Osservatorio ad attuare le attività in programma per l’anno 2001, troveranno in questa occasione uno spazio qualificato per mostrare un momento significativo del loro lavoro. Sarà questo un momento ideale perché entrino in contatto diretto con la struttura dell’Osservatorio e perché si instauri un primo momento di scambio che, ci auguriamo, metterà le basi per un sodalizio duraturo, insieme alla volontà di lavorare con programmi importanti rivolti alla valorizzazione delle arti applicate. Per informazioni: Ad Arte Primo Osservatorio Nazionale sulle Arti Applicate Via Matteo da Campione, 8 20052 Monza (Mi) tel.039/2312002 fax 039/2312628 e-mail: adarte@quaser.it

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LA NUOVA TERRITORIALITÀ “Opus incertum”

L’Italia frantumata in tanti territori, luoghi omogenei di attività legate alla cultura materiale.

È sempre più chiara la frantumazione per ragioni etniche, culturali, economiche, filosofiche...; siamo tanti e sempre più diversi, e la diversità non è più privilegio, non è più emarginazione, ma è diritto. Diritto a sviluppare ed esaltare le proprie convinzioni e le proprie appartenenze senza prevaricazioni.

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CERAMICA DI AMALFI EX OVO OMNIA Prosegue con la mostra "Ex Ovo Omnia" della giovane artista salernitana Mariella Simoni la rassegna "Ceramiche ad Arte" promossa dalla Casbah delle Antichità di Amalfi, che mira ad una ricerca delle diverse istanze dell’arte ceramica contemporanea, senza dimenticare la tradizione locale quale è quella vietrese. La Simoni presenta circa ventidue vasi e pannelli e il fil rouge che lega le diverse creazioni è il simbolo-uovo. Questa metafora della oichia, del creare e del creato, della fragilità e della compattezza, della vita dopo la distruzione grazie alla abilità della artista-demiurgo si potenzia, si eleva, viene deformata e frantumata fino a divenire simbolo, totem, paradigma. Nell’uovo è la spirale. Essa è - osserva la Simoni - il simbolo dei ritmi del cosmo, degli astri, della natura, delle stagioni, del percorso interiore: è magica esperienza di unità dell’io e del mondo. In vero è facile perdersi tra le sinuose forme di queste opere che avvolte da un invisibile alone di magia ci spingono verso un qualcosa che di noi è altro, verso un qualcosa di non ben definito, verso una sensazione di vago in cui la stessa vaghezza è virtù senza la quale non potremmo conoscere il vero: verso un sogno di un viaggio. Un viaggio forse verso una dimensione immaginaria dove incontrastata regna la materia, eletta regina attraverso le prove dell’aria dell’acqua e del fuoco. Si potrebbe trovare tutto un continente, tutto un universo primordiale, tutto un inizio e tutta una

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La ricerca della differenza ci porta a leggere un’Italia frantumata in tanti territori, luoghi omogenei di attività legate alla cultura materiale. Vengono qui presentate le aree che, in questi ultimi anni, hanno dimostrato una volontà di affermazione della propria identità e, contemporaneamente, il bisogno di rinnovamento.

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fine di qualcosa se chiudendo gli occhi ci lasciassimo trasportare. Così queste creazioni attraverso uno strano procedimento alchemico-mentale si trasformano in mezzo, chiave per aprire le infinite porte della nostra immaginazione. Si potrebbe trovare qualcosa di sempre diverso, tutto e il contrario di tutto, poiché in questo viaggio non esiste realtà oggettiva. Ma questo è il punto: il mistero o meglio la speranza di una scoperta è il fine di questo viaggio che non ha fine perché non ha un vero e proprio inizio. Tutto è affidato a chi osserva data la fissità dell’opera, rigida materialità, salda nella sua ritrovata veste totemica. Vaso, Mariella Simoni, 1999.

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L’artista-demiurgo questa volta può essere soddisfatto delle sue creature perché riescono ad arrivare al primo obiettivo del fare arte: creare emozioni. Luca Maria Perrone

CERAMICA DI DERUTA LA SCOPERTA DEL “CO” Durante la mostra “Feurfarben”, si è tenuto di recente al “Germanisches National Museum” di Norimberga un colloquio internazionale sulla ceramica rinascimentale italiana, somma stagione dell’arte “di progetto”, base della nostra riflessione critica. A giudizio unanime la vera novità scientifica emersa dal convegno è stata la relazione tenuta da Giulio Busti e Franco Cocchi (BU.CO) di Deruta che hanno messo a fuoco la inedita personalità di Nicola Francioli detto “Co”, un importante pittore maiolicaro derutese della prima metà del Cinquecento. La delineazione del maestro - che in tal modo esce dall’anonimato - si deve sia alle eccezionali ricerche d’archivio di Lidia Mazzerioli e Clara Menganna (le quali hanno ritrovato numerosi e fondamentali documenti dove il maestro compare più volte fra il 1513 ed il 1565 con lo pseudonimo di “Co”); nonché all’attento raffronto stilistico tra alcune opere (alcune firmate) dell’inedito artista maiolicaro. Lo svelamento del “Co”, al secolo Nicola Francioli, nato tra il 1489 ed il 1496 ed attivo almeno fino al 1465, rappresenta


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quindi una delle più rilevanti novità ceramologiche di questi ultimi anni. Nicola Francioli proveniva da una delle più antiche famiglie di vasai derutesi la cui attività è documentata fin dagli inizi del Quattrocento. Inoltre il “Co” è lo zio, per parte materna, di Giacomo Mancini, detto “el Frate”, finora il più noto e celebrato fra i pittori maiolicari derutesi. Varie sono le opere attribuibili al “Co” tra cui anche un piccolo piatto (diam. 21 cm) - oggi in collezione privata - raffigurante Cupido su un delfino. Molto liberamente tratto da un particolare della Galatea di Raffaello, il piatto è firmato sul verso “Co” ed era stato pubblicato di recente da Timothy Wilson in “Italian Maiolica of the Renaissance”, attribuendola genericamente al “Maestro del pavimento di San Francesco” di Deruta, (datandolo nel lasso 1520-35). Fin qui la notizia da Norimberga, via Deruta. Che dire? Esprimo ammirazione e lode per il “laboratorio di Deruta”: un team affiatatissimo, una gioiosa macchina da guerra ceramo-logica che unisce la sistematica ricerca d’archivio - la parte del team che più ammiro (anche perché femminile, la MAME, Lidia Mazzerioli e Clara Menganna) - alla profonda conoscenza “pratica” della materia maiolicara del luogo, alla concezione della ceramica come cosa complessa, ampia, articolata nella bottega, nel lavoro ordinario dal quale esce il capo-lavoro straordinario (BUCO, Giulio Busti e Franco Cocchi); alla capacità di far amministrazione ceramica attuale tra passato e presente, (Mauro Mastice - MA.MA - sindaco). Nicola Francioli detto il "Co", (Deruta, 14901565 c.), piccolo piatto, diam. 21 cm (collezione privata), raffigurante Cupido su un delfino, databile 1520-35. Lo studio del BUCO (Busti - Cocchi) di Deruta, ha permesso di sciogliere in "Co" la sigla C o G letta da Timothy Wilson e dallo stesso pubblicata di recente in "Italian Maiolica of the Renaissance", Bocca Editori, Milano 1996.

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E questo è il motivo per cui una rivista come la nostra che si occupa di “Artigianato tra arte e design”, tra studio e e buona amministrazione, segue da tempo ciò che avviene a Deruta, a partire dalla inaugurazione del regionale Museo della Ceramica. Busti afferma (in privato) che finora per molti versi - si è scritta solo la storia della decorazione ceramica, alias la storia delle “pelle” ceramica. Ma è evidente che la storia della ceramica non coincide con la storia delle decorazione ceramica, con la lettura della ceramica rinascimentale con occhiali all’inglese, “dandy”, la cui fortuna è coincisa con una certa fase della cultura europea, dell’Ottocento. La storia della ceramica è cosa più concreta e materiale, più complessa e complicata, più “sporca” e - forse - “incestuosa”. Busti parla del “Co” del Cinquecento come di “uno” che sta oggi qui con noi, come avviene per gli studiosi partecipi. “Il bel Co s’indebita di sei carlini per utilizzarli come materia prima per fare il lustro, che documento!”, dice. E questa riflessione che emerge dalle carte antiche si coniuga con i cocci, con ciò che restituisce la Terra. Ed - a conferma di tale lettura di “ceramica totale” - si può affermare che la sala più bella del Museo di Deruta è quella iniziale, quella didattica. E’ quella più antropologica e logica (e logioca, ci si diverte), quella ove sono in bella esposizione i cocci ed i frammenti; quella che conserva gli “incidenti di percorso”, quella ove si sentono ancora le bestemmie dei ceramisti di Deruta - “Dio Cane”, “Puttana maiolica!” - per i forni mal riusciti, com’è il caso di quella straordinaria (involontaria) scultura fatta di tante tazze impilate una dentro l’altra per cedimento (e che testimoniano della serialità della ceramica di quel tempo). E proprio grazie a questa logica che Giulio Busti (tutto lustri), e con lui “l’ensembe di Deruta”, può spaziare utilmente tra la Deruta di “el Co” del Cinquecento e quella de “la Cima” del Novecento: la logica di lettura è la stessa, artisticaindustriale e/o industriosa. Eduardo Alamaro

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CERAMICA DI salerno NUOVE TERRE DELL'IMMAGINARIO Dal 20 maggio, fino al 9 giugno, si è tenuta presso il Museo Città Creativa di Ogliara, una frazione alta di Salerno nota per la sua secolare produzione del “cotto”, la mostra “Nuove terre salernitane”. La rassegna proposta nell’ambito della manifestazione “Salerno Porte Aperte”, ha proposto una selezione di ceramisti attivi in città e da tempo ben presenti nelle principali esposizioni nazionali del settore: si tratta di Daniela Cannella, Enzo Caruso, Nello Ferrigno, Augusto Pandolfi, Mariella Siani e MariellaSimoni. La mostra non mira a trovare una cifra di identità, ossia a disegnare margini di distanza dalla tradizione e dalla attuale produzione della ceramica vietrese, dalla quale trae il grande respiro. Bensì essa traccia un primo percorso, all’interno dell’attività del Museo,che guarda ad attrezzare un più concreto rapporto con quanto accade nel mondo del design e delle esperienze creative contemporanee, cioè ad aprire un dibattito sulla specifica relazione che l’immaginario dell’artigianato d’arte ha con la realtà delle città. In pratica tende a superare alcune postazioni di comodo che, sull’onda del successo fatto registrare in questi anni dalla ceramica vietrese, muovono sull’organizzazione di mostre strutturate su temi abusati, falsamente antropologici, cioè su ini“Cavaliere”, Nello Ferrigno, maiolica, 2000.

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a cura di Isabella Taddeo

Atelier • Gallerie • Laboratori • Negozi segnalati dalla nostra redazione

Altai via Pinamonte, 6 20121 Milano Tel. 02/29062472 Art & Craft s.n.c. via Trieste 10/12 Martinengo (BG) Tel. /fax 0363/987265 Artè via Meda, 25 20136 Milano Tel. 02/89401059 Artecotta via Bramante, 22 20100 Milano Tel. 02/34536050 Arter via Fiori Chiari, 9 20121 Milano Tel. 02/72004010 Atelier Produzioni d’arte via Cusani, 8 20100 Milano Atelier degli artisti via delle Battaglie, 36/b 25122 Brescia Tel. 030/3753027 Atribu c.so Garibaldi 3 20121 Milano Tel. 02/867127 Aus18 via Ariberto 19 20100 Milano Show-room via Ausonio, 18 20100 Milano Tel. 02 8375436 Cambiofaccia via Giannone, 4 20154 Milano Tel. 02/3451780 Comunicarte v.le Perata, 28 17012 Albissola Marina (SV) Tel. 019/489872 D’Arte via Riello 1ter Padova Tel. 049/650246 “2link” largo La Foppa, 6 20100 Milano Tel. 02 62690325 Eclectica c.so Garibaldi, 3 320121 Milano Tel. 02/876194 Fallani Best via San Niccolò, 90/r 50125 Firenze Tel. 055/241861

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Fuoriclasse via S. Carpoforo 4 20121 Milano Tel. 02/86995592 Galleria Sargadelos via Volta, 20 20121 Milano Tel. 02/6575899 Galleria dello Scudo via Scudo di Francia, 2 37121 Verona Tel. 045/590144 Galleria Rossella Junk Calle delle Botteghe, 3463 30124 Venezia Tel. 041/5207747 Galleria Colombari via Solferino, 37 20121 Milano Tel. 02/29001551 Galleria Internos via Cappuccio, 21/a 20123 Milano Tel. 02/8900632 Galleria Luisa Delle Piane via Giusti, 24 20154 Milano Tel. 02/3319680 Galleria Marina Barovier San Marco Salizada San Samuele, 3216 30124 Venezia Tel. 041/5226102 Galleria d’Arte & Divetro via S. Tommaso 72 24121 Bergamo Tel. 035/243300 S. Marco 2671 (campo S. Maurizio) 30124 Venezia Tel. 041/5207859 Galleria Ikonos via G. Amendola, 23 87041 Acri (CS) Tel. 0984/941406 Galleria Martano via Principe Amedeo, 29 20123 Torino Tel. 011/8177987 Galleria Novecento vicolo Cavalletto, 4/a 37122 Verona Tel. 045/8036236 Galleria Pallata via Santelio, 59/a 25066 Lumezzane Pieve (BS) Tel.030/8922769 Fax 030/8922769 Galleria Peccolo p.za della Repubblica, 12 57100 Livorno Tel. 0586/888509

Galleria Silva via Borgospesso, 12 20100 Milano Tel. 02/784050 Galleria Magenta 52 c.so Magenta, 52 20123 Milano Tel. 02/4816963 Fax 02 48531666 Giacomo Manoukian Noseda p.zza S. Simpliciano, 2 (ang. c.so Garibaldi) 20121 Milano Tel. 02/8051637 Jairo via Crema, 17 20135 Milano Tel. 0348/3931531 L’Albero del Melograno p.le Baracca, 10 20100 Milano Tel. 02/437215 La Bottega di Maiolica via Maqueda, 90 90100 Palermo Tel. 091/599504 La Porta Rossa via Olmetto, 17/1 20123 Milano Tel. 02/854503 La Sciara del Fuoco p.zza S. Nazaro in Brolo, 3 (Corso di Porta Romana) 20122 Milano Tel./fax 02/58322324 Fax 02/58322324 Louise Lanzi via S. Maria Fulcorina 20 20123 Milano Tel. 02/8692130 Marienza Morandini Design via Veratti, 24 21100 Varese Tel. 0332/235882 Materia Prima Arts & Crafts Piscina S. Samuele, 3436 30100 Venezia Tel. 041/5233282 Mestieri d’arte via Ragno, 11 44100 Ferrara Tel. 0532/767139 Microbrera Gallery via Fiori Chiari, 7 20100 Milano Tel. 02/86461751 Microdesign via Tadino, 6 20124 Milano Tel.02 2940884

Museo Nuova Era via Vallisa 11/12 - 70122 Bari Tel. 080/5054494 Nibe via Camillo Hajech, 10 20129 Milano Tel. 02/740676 Opos c.so Garibaldi, 104 20156 Milano Tel. 02/33404307 Penelopi 3 via Palermo, 1 20121 Milano Tel. 02/72000652 Pit 21 Artearredo & Design via S. Marta, 21 20123 Milano Tel. 02/89013169 Regina Gambatesa via Roberto da Bari, 102 70122 Bari Tel./fax 0805215174 Scultura & Design via Hoepli, 6 - 20121 Milano Tel. 02/801384 Spatia via Barbavara, 4 20144 Milano Tel. 02/89420191 Spaziodigennaro via Boltraffio, 12 20100 Milano Tel. 02/58304749 Spazio S. Carpoforo via S. Carpoforo, 6 20100 Milano Tel. 76008766 Starter onlus via Maroncelli, 15/2 20154 Milano Tel./fax 02/65570081 Talento l.go S. Eufemia, 40 41100 Modena Tel. 059/226547 Terre Rare via Carbonesi, 6 40123 Bologna Tel. 055/221013 360° via Tortona, 12 20100 Milano Tel. 02/8356706 Vetrodesign via Raffaello Sanzio, 1 20149 Milano Tel. 02/48194940 Xenia via Falcone, 2 20100 Milano Tel. 02/8051012












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Internet e artigianato: i risultati dell’indagine Abacus Le aziende artigiane che utilizzano Internet sono appena al di sotto della media nazionale dei ‘navigatori’ (24% contro il 31% di persone della fascia 14-65 anni). Ma l’accesso alla rete da parte delle piccole imprese è in crescita, con un incremento stimato del 40% nell’ultimo anno.L’e-commerce (vendita dei propri servizi) però non decolla ed è praticato solo dal 2%. E’ quanto risulta dall’indagine sull’accesso alla rete da parte delle imprese artigiane commissionata ad Abacus da Confartigianato e presentata alla Convention. La ricerca - illustrata da Stefano Ghezzi,direttore Dipartimento Indagini Media eTlc di Abacus ha riguardato un campione di 600 imprese, la metà delle quali collegate a Internet. Tra quelle collegate, il 72% si rivolge alla rete per avere informazioni utili all’attività aziendale, ma solo il 38% utilizza i servizi on line (la percentuale maggiore, il 20%, interessa quelli bancari). Ampio il ricorso alla posta elettronica Che riguarda l’81% del campione. Solo il 20% comunque fa pubblicità on line (il 15% esprime l’ intenzione di farla a breve) e il 29% dichiara di avere un sito sulla propria azienda (mentre il 18% vuole aprirlo). Tra gli artigiani non collegati a Internet (perlopiù perchè non informati a sufficienza dei vantaggi possibili), il 55% esprime interesse per le informazioni che si possono acquisire in rete, con una netta prevalenza dei temi fiscali (49%). Il 29% si dichiara interessato in prevalenza all’uso della posta elettronica. I servizi on line messi a disposizione degli operatori economici,dal sistema bancario,dalla pubblica amministrazione centrale e locale, dalle aziende fornitrici di energia e dalla società d i telecomunicazioni, sono ancora utilizzati in misura insoddisfacente. Infatti, l’80% degli artigiani utenti Internet ha visitato almeno una volta un sito di una delle aziende sopra menzionate, ma meno del 40% ne ha poi utilizzato i servizi on line. Ad eccezione dei servizi bancari precedentemente citati, tutti gli altri, considerati singolarmente, hanno una penetrazione inferiore al 10%. (Impresa Artigiana n°57 28 maggio 2001)

In mostra a Roma le “Ceramiche d’Italia”, creatività e tradizione famose nel mondo Ceramiche doc, antiche e contemporanee, emblema di tradizioni e culture italiche, di creatività, fantasia, straordinario fervore manageriale. Sono per la prima volta in mostra, a Roma all’interno del Complesso Monumentale di San Salvatore in Lauro, sede del Pio Sodalizio dei Piceni, “Ceramiche d’Italia’’. Un mese di esposizione no stop con 600 opere provenienti da 26 Musei, tre Pinacoteche, 16 collezioni private, da 28 Comuni. Da Castellammonte a Sciacca, da Bassano del Grappa a Nove percorrendo la penisola in lungo e in largo, toccando i centri di Faenza, Montelupo Fiorentino, Deruta, Capodimonte, Vietri, Caltagirone. L’evento capitolino è stato organizzato e promosso dal Consiglio Nazionale Ceramico, in collaborazione con l’Istituto Guglielmo Tagliacarne ed ha l’Alto Patronato del presidente della Repubblica, dei Ministeri dei Beni culturali, dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato. L’obiettivo è quello di promuovere la conoscenza e la diffusione del Marchio “Ceramica artistica e tradizionale’’. La mostra è stata visitata dal Presidente di Confartigianato Luciano Petracchi che era accompagnato dal Coordinatore del Consiglio Nazionale Ceramico, Dante Servadei e dal Presidente della Federazione Attività Artistiche e Culturali di Confartigianato Luciano Bigazzi. L’arte della ceramica costituisce una delle specializzazioni produttive, qualitativamente e quantitativamente, più rappresentative del made in Italy (oggi

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le botteghe d’arte sono circa 3.000 e occupano oltre 9.000 addetti). Soprattutto sui mercati americani ed asiatici. Tra gennaio e ottobre del 2000 sono state esportate ceramiche negli Stati Uniti per un valore di 227.034 milioni di lire, seguivano la Germania (103.272) e il Giappone (44.421). Un appuntamento importante, dunque, quello romano legato alla vastità e alla complessità delle ceramiche italiche. Diversissime tra loro, segno di un attaccamento particolare e profondo ai luoghi, alle tradizioni, alle culture d’origine. Intimamente legate alla storia, alle dominazioni, alle migrazioni di popoli. Come le ceramiche di Gubbio e Bassano del Grappa che affondano le proprie radici nella preistoria, particolarmente apprezzate in epoca romana e tardo imperiale o i celebri laboratori di Caltagirone, città di origine araba, il cui primo nome fu “Qal’at al Ghiran’’, ovvero Rocca dei Vasi. Fabbriche nate in Italia anche per emulazione. E’ il caso di Capodimonte, creato da Carlo III di Borbone con l’intento di competere in Europa con le corti di Vienna, Parigi, Sassonia, in possesso di manifatture private. Stili, colori, disegni, cartoni tecniche raffinate, ma soprattutto decorazioni. Ogni città con i propri modelli e le proprie scuole d’arte. Fiori, uccelli, farfalle per le acquesantiere di Cerreto Sannita (scolpite su antichi modelli, impressi a fuoco, del XVII secolo), art deco e stile liberty per i capolavori firmati dagli artigiani di Deruta e Gualdo Tadino, mentre a Faenza si è consolidata negli anni una tendenza più rivoluzionaria. Ceramiche non confinate esclusivamente ad un ruolo decorativo, ma materia d’arte sulla spinta delle correnti artistiche del dopoguerra, astrattismo, primitivismo, concettualismo. Ceramiche come identità culturali delle comunità di Impruneta. La splendida cittadina toscana si è specializzata, ultimamente, nella produzione di pavimenti e laterizi e nella lavorazione di oggetti di fattura tradizionale (orci, vasellame, pezzi d’arredo). Botteghe legate ad illustri casati e famiglie espongono a Roma le loro opere. La manifattura Richard Ginori di Sesto Fiorentino (anno di nascita 1896), primo esempio in Italia di industrializzazione dei prodotti artigianali. Numerose le testimonianze in mostra nel Complesso Monumentale di San Salvatore in Lauro, specchio di valori distintivi e caratterizzanti di un’azienda. I colori, per esempio. L’azzurro tipico di Albisola, gli smalti grigi e trasparenti di Cerreto Sannita accanto ai bleu, gialli e verdi della acquesantiere, ai bruniti e all’oro delle ceramiche di Gubbio. Nell’ambito della Mostra, il 2 maggio si è svolto un convegno dal titolo ‘’La tutela dell’artigianato ceramico artistico e tradizionale’’. Hanno partecipato, tra gli altri, il ministro Letta, Cesare De Piccoli, Mario Damiani, Stefano Zecchi, Claudio Strinati, Dominique Forest, Anne Leclercq. Per promuovere l’aggregazione tra le città della ceramica e farne conoscere il ricco patrimonio artistico, culturale e produttivo, sono state organizzate quattro giornate di eventi a cui hanno aderito 27 cittadine. In programma dimostrazioni di ceramisti e artisti del luogo, degustazione di vini e prodotti tipici e spettacoli. (Impresa Artigiana n°58 - 30 maggio 2001)

Siglato con i sindacati l’accordo per il primo Fondo per la formazione continua

Confartigianato, Cna, Casartigiani, Claai, Cgil, Cisl e Uil hanno sottoscritto nei giorni scorsi, presso il Ministero del Lavoro, l’Accordo Interconfederale per la costituzione del Fondo per la formazione continua nelle imprese artigiane, previsto dalla legge 388 del 2000. Il Sottosegretario al Lavoro Raffaele Morese ha formalmente preso atto dell’accordo ritenendo conclusa la fase istruttoria. L’ultimo adempimento per l’avvio dell’attività del Fondo consiste quindi nell’approvazione definitiva dello stesso da parte del nuovo Ministro del Lavoro. “Il Fondo per la formazione continua nelle imprese artigiane - sottolinea il Presidente di

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Confartigianato Luciano Petracchi - è il primo costituito in Italia. Grazie ad esso e a progetti specifici e coerenti con la realtà dell’artigianato, sarà possibile restituire ai dipendenti delle nostre imprese (oltre 1.400.000 persone) le risorse contributive pari a circa 80 miliardi annui - finora indistintamente destinate anche a soggetti diversi dall’artigianato”. Il Fondo si articola a livello regionale ed è stato stabilito che le risorse versate dalle imprese delle singole Regioni dovranno essere utilizzate per finanziare progetti nelle Regioni medesime. (Impresa Artigiana n° 63 - 8 giugno 2001)

Le prospettive del settore lapideo Il settore lapideo è di enorme rilevanza nel panorama economico del nostro Paese. Le prospettive del settore marmo sono più che positive: il marmo e la pietra non sembrano avvertire la concorrenza dei prodotti alternativi presenti sul mercato; non preoccupa che questi materiali stiano conquistando fasce di mercato sempre maggiori, perché parallelamente non si registrano perdite di quote di mercato per settore lapideo. Quando i manufatti sono di livello qualitativo alto, il marmo, con la sua tradizione millenaria, riveste un ruolo da protagonista. Nel settore edile, specie nelle pavimentazioni e nei rivestimenti, la ceramica, nella fascia medio inferiore del mercato, trova grande impiego, ma quando il livello del manufatto richiede caratteristiche di qualità, eleganza, di cromatismi ed unicità, il marmo resta l’unico materiale capace di soddisfare la richiesta. Inoltre, le nuove tecniche estrattive e di lavorazione consentono un abbattimento dei costi migliorando notevolmente la resa dei materiali. L’ innovazione tecnologica nella lavorazione dei marmi e delle pietre consente utilizzi sino ad ora impensabili. Lo spessore delle lastre è sempre più sottile, a queste possono essere uniti materiali innovativi che consento di ottenere resistenze all’uso impensabili. Oggi, grazie a queste nuove tecnologie, possiamo trovare pavimenti e rivestimenti in marmo persino sulle navi. I macchinari impiegati nelle lavorazioni sono sempre più sicuri, ma richiedono notevoli investimenti. Se si tiene conto che in Italia la maggior parte delle imprese del lapideo sono a conduzione familiare e che mediamente il numero degli addenti non supera le sei unità, si comprende anche la difficoltà che queste incontrano ad investire. Come tutta l’economia mondiale, così anche il settore lapideo è interessato dalla globalizzazione: gli scambi tra i vari Paesi sono in continuo aumento, anche se questo processo interviene a diverse velocità interessando, come sempre avviene, alcuni Paesi più di altri. L’Italia è ancora tra i primi Paesi esportatori, specie nel settore manifatturiero, anche se qualche segno negativo si va evidenziando, dovuto a diversi fattori, e tra questi non ultimi la scarsa propensione agli investimenti, interessata dalla non facilità di accesso al credito, specie a quello agevolato, e spesso l’assenza di valide infrastrutture: determinante un adeguato sistema dei trasporti terrestri e, soprattutto, marittimi. Non deve inoltre essere sottovalutato il peso che attività promozionali potranno avere nello sviluppo delle nostre imprese, specialmente nei mercati esteri. L’ANAMP si propone, tra l’altro, di incrementare la presenza degli operatori associati nei mercati nazionali ed internazionali. Poiché oggi parlare di mercato globale non ha senso se si prescinde da Internet, l’ANAMP ha voluto mettere a disposizione delle imprese associate questa opportunità di ulteriore sviluppo che è un sito Internet. Augusto Soldà Presidente Anamp

Cosa è l'Anamp

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L’ANAMP è l’Associazione della Confartigianato che rappresenta e tutela gli interessi delle imprese artigiane che operano nel settore dell’estrazione e della lavorazione del marmo e della pietra naturale. Ha tra i suo scopi primari quello della promozione e dello sviluppo delle imprese aderenti, favorendone la presenza sui mercati locali ed internazionali. A tal fine l’Associazione attua politiche per le imprese di accompagnamento al mercato, anche ottimizzando il sistema della trasmissione tra gli operatori, delle informazioni sulle nuove tecnologie, con particolare riferimento alle attrezzature per la trasformazione del materiale grezzo. L’organizzazione della capillare rete delle Associazioni territoriali di Confartigianato veicola le conoscenze, istituendo così una struttura permanentemente al servizio delle impre-se associate. Provvede, localmente, all’aggiornamento professionale dei suoi associati. L’Associazione è inoltre presente ai tavoli istituzionali e partecipa alle trattative per la stipula del contratto collettivo nazionale di lavoro. (Impresa Artigiana n°65 - 13 giugno 2001)

Incontro tra la Presidenza di Confartigianato e di Unioncamere A Roma il 14 giugno, il Presidente di Confartigianato Luciano Petracchi, il Vice Presidente Rosario Carbone, il delegato alle questioni relative alla riforma camerale Giancarlo Grasso, il Segretario generale Francesco Giacomin e il responsabile del settore Regioni e Autonomie Andrea Zampetti hanno incontrato il Presidente dell’Unioncamere Carlo Sangalli ed il Segretario generale Giuseppe Tripoli. Durante l’incontro è stato ribadito il grande interesse che l’artigianato, azionista di maggioranza del sistema camerale, ripone nello sviluppo e nell’affermazione del ruolo attivo delle Camere di commercio, sia come strumenti di animazione dei sistemi economici territoriali, sia come presenza attiva nel rinnovato quadro del governo regionale e locale. In particolare, i temi trattati e sui quali si è registrato un accordo sostanziale hanno riguardato: la necessità di accrescere e riempire di contenuti il rapporto di integrazione tra Camere di commercio ed associazioni, le questioni relative al finanziamento del sistema camerale (principalmente la revisione del sistema di calcolo e il pagamento del diritto annuale); la razionalizzazione dell’Unioncamere e delle società partecipate, per verificarne ed accrescerne la funzionalità e l’utilità nei confronti del sistema delle imprese. In merito a queste tematiche, è stata riscontrata l’opportunità di rendere molto stretto il rapporto con le associazioni delle imprese, sia per quanto attiene alla struttura ed alle strategie dell’Unioncamere, sia per quanto attiene alla verifica dei costi e dei benefici delle società partecipate. Si è inoltre discussa la necessità che alle Camere di commercio sia mantenuto un ruolo attivo nell’ambito delle ridefinizione del sistema di governo delle Regioni e degli Enti locali, stante la loro peculiarità di enti in cui la società economica si rende istituzione e collabora con le politiche pubbliche di sviluppo. È stata, infine, condivisa la necessità di rendere periodici e di arricchire di sempre maggiori contenuti gli incontri istituzionali tra Unioncamere e Confartigianato, oltre che con le altre associazioni imprenditoriali, per vivificare il sistema e rendere effettivo il rapporto di collaborazione tra imprese e sistema camerale. (Impresa Artigiana n°66 - 14 giugno 2001)

La 28a Mostra dell’Artigianato a Erba Sono aperte le iscrizioni per partecipare in veste di espositore alla 28a Mostra Mercato dell'Artigianato che si svolgerà dal 29 settembre al 7 ottobre 2001 presso Lariofiere di Erba. La rassegna,


C A R I C H E

L E G I S L A Z I O N E

conosciuta ormai da tutti, rappresenta da sempre un ricco e qualificato itinerario di stand sempre creativi ed originali, forte richiamo per oltre cinquantamila visitatori annuali La Mostra Mercato dell'Artigianato vanta un successo ormai trentennale e lo dimostrono numeri ed eventi organizzati: seimila metri quadri espositivi; più di 250 espositori annuali; - ventotto edizioni; nove giorni di convegni workshop, spettacoli, mostre a tema; la possibilità di mostrare al pubblico come nasce un manufatto attraverso laboratori costruiti negli stand per le lavorazioni dal vivo; un pubblico appassionato e numeroso che ogni anno non manca di visitare i padiglioni e le iniziative collaterali. La fama della fiera non lascia spazio a dubbi e la gran parte degli espositori che già la conoscono confermano il valore della rassegna. Oggi Lariofiere con la sua rinnovata presenza sente la necessità di compiere un ulteriore passo verso una dimensione di crescita ampliando i confini. Supportato da un territorio che vanta oltre 30.000 imprese artigiane, che ha saputo affiancare negli anni alla tradizione e all'esperienza, la tecnologia, la creatività e l'originalità il polo fieristico invita tutte le aziende artigiane produttrici del territorio nazionale ad essere presenti in mostra per continuare a mantenere viva l'attenzione verso un settore prezioso, unico e fondamentale per la crescita del nostro sistema economico. Uffici Lariofiere: tel. 031.63.76.39 (Sig. Roberto Bonardi) fax 031.63.74.03, e-mail: info@lariofiere.com; sito: www.lariofiere. com (L’Artigianato Comasco n°5 - maggio 2001)

Per promuovere il "Made in Lombardia" in Italia e all’estero

N O T I Z I E

organizzati per dare ancor più concretezza alle iniziative promozionali. "Vogliamo rivitalizzare la rete dei poli fieristici di eccellenza lombardi - ha sottolineato l'assessore Pozzi - e sostenerli nell'ormai indifferibile processo di internazionalizzazione grazie al quale la Lombardia può e deve competere sul mercato globale. La nostra attenzione si è concentrata su ELMEPE (Ente Lariano Manifestazioni Economiche e Provinciali) di Erba e sull'Ente Mostre di Monza, in quanto hanno dimostrato, negli anni, grande professionalità e capacità organizzative, requisiti indispensabili per partecipare a questo genere di iniziative". Di qui la decisione di essere presenti anche al Matsuri, la rassegna in programma dal 28 aprile al 5 maggio nell'ambito di "Italia Giappone 2001", l'expo inaugurata recentemente dal presidente della Regione, Roberto Formigoni, con uno stanziamento di 300 milioni. Fra le manifestazioni sostenute sul mercato "domestico" con i fondi dell'accordo Regione LombardiaUnioncamere, vi sono il Salone del Mobile (360 milioni di lire), l'edizione primaverile della MIA (Mostra Internazionale dell'Arredamento di Monza) finanziata con 120 milioni, e quella autunnale che si aprirà a settembre (250 milioni di lire). All'ELMEPE si svolgeranno invece la Mostra Mercato dell'Artigianato, in settembre (150 milioni), e Altecnologie, in novembre (200 milioni). Dopo l'approvazione del primo stralcio di 2,4 miliardi, la Giunta regionale esaminerà altre iniziative in programmazione che comporteranno investimenti per un miliardo e mezzo. (Lombardia Notizie 7 n°15 - 18 aprile 2001)

Il "made in Lombardia" è un marchio cui si associa, ormai a livello internazionale, il concetto di qualità. Per favorire la promozione di iniziative destinate sia a consolidare la presenza di imprese lombarde a manifestazioni fieristiche di prestigio mondiale sia ad agevolare le opportunità per la commercializzazione dei prodotti, la Giunta regionale, su proposta dell'assessore all'artigianato e alla new economy Giorgio Pozzi, ha approvato un primo stralcio di 2,4 miliardi di finanziamenti pari a 2,4 miliardi nell'ambito della convenzione fra Regione e Unione regionale delle Camere di Commercio che sostengono, ciascuna al 50%, i costi dell'intesa. Fra le attività di maggior rilievo la partecipazione, a livello sperimentale, alla più grande manifestazione fieristica americana dedicata alla qualità del complemento d'arredo in programma a New York (International Contemporary Forniture Fair, ICFF) dal 19 al 22 maggio 2001. La realizzazione di questo evento, finanziata con 180 milioni di lire, è stata curata dal Centro Legno Arredo di Cantù (CLAC). Di grande rilievo anche - in ottobre - l'iniziativa in Polonia, che fa seguito agli accordi presi in occasione della precedente manifestazione fieristica ospitata a Lublino nell'inverno scorso. Coordinate dall'Ente Mostre di Monza e Brianza le imprese lombarde svilupperanno rapporti di partenariato con le aziende polacche attraverso strutture associative di categoria. In particolare sono previste tre iniziative: una dedicata al legno, al complemento d'arredo e al settore tessile, la seconda riservata al comparto agroalimentare, la terza alla metalmeccanica, con un finanziamento di 450 milioni di lire. Il ruolo dell'ELMEPE di Erba e dell'Ente Mostre di Monza e Brianza La differenza che contraddistinguerà la partecipazione delle imprese lombarde a queste rassegne consiste nel fatto che esse non si limiteranno ad esporre i propri prodotti e le tecnologie sviluppate, ma potranno prendere parte anche ad incontri d'affari

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