M A N IFAT T UR E
MOSTRA
MIKA NINAGAWA
Everlasting Flowers ©�Mika Ninagawa
Hôtel d’Évreux – 19, place Vendôme – 75001 Parigi dal 10 settembre al 14 novembre 2021
Inspiration is around the corner
Signe Emdal ©Kristine Funch
Do you want to discover the best craftsmanship across Europe? Explore 32 countries of craft on the Homo Faber Guide.
homofaberguide.com
Curated by
“LET TIME FLY. YOU MIGHT GET TO AN EXCEPTIONAL PLACE.” YIQING YIN,
HAUTE COUTURE CREATOR, WEARS THE VACHERON CONSTANTIN ÉGÉRIE.
MENTE, MANO, MACCHINA Un excursus trasversale tra le eccellenti manifatture del made in Italy, produttrici di capolavori senza tempo. Né botteghe né atelier né imprese, le manifatture affermano la centralità dell’alto artigianato che deve essere costantemente preservato e tramandato. di Alberto Cavalli
Nel 2021 si è celebrato il cinquecentenario di Josquin Desprez, sommo polifonista fiammingo, che compose i suoi mottetti più celebri e raffinati proprio in Italia, tra Roma, Ferrara e Milano. La Milano che accolse Josquin era evidentemente un luogo speciale: presso la corte ducale poteva accadere di imbattersi in Leonardo da Vinci, le botteghe della città creavano i panni auroserici più belli del mondo, le manifatture di armi e gioielli non avevano rivali in tutta Europa. Di questa eccellenza produttiva, comune non solo a Milano ma a moltissime città italiane del Rinascimento, restano ancora oggi i segni vitali e le alte artigianalità, espresse ogni giorno grazie al lavoro degli ideali prosecutori di quella fortunata stagione: le manifatture. Eredi di un illustre passato o di recente creazione, le manifatture (ricorda Franco Cologni nel suo Ri-sguardo) non sono né botteghe né atelier né imprese: sono un’espressione produttiva del tutto particolare, e che per noi diventa il paradigma di un made in Italy contemporaneo, consapevole e creativo. La storia ci ha consegnato un’eredità importante, che da sempre richiede un’attenzione speciale per essere non solo tutelata, ma anche tramandata. Ai tempi della Serenissima, per esempio, i Maestri vetrai godevano di importanti privilegi, ma erano anche obbligati a non lasciare mai la Repubblica, perché i segreti del loro mestiere non attraversassero le acque di Murano. Nel XVIII secolo, a Firenze, il marchese Carlo Ginori – contagiato dalla febbre dell’oro bianco, la porcellana, che divampava tra le case reali europee – creò una scuola all’interno della sua fabbrica di porcellane, dove i Maestri erano gli stessi artisti e gli allievi erano le maestranze più valide e volenterose. E gli esempi potrebbero moltiplicarsi, portandoci a riflettere sull’evoluzione delle manifatture italiane, mai scorporata
dal contesto socio-culturale dei distretti artigiani. Il presente ci consegna quindi un’idea di manifattura legata a un passato splendido e avventuroso. Ma come possiamo immaginare le manifatture del futuro? Dal Rinascimento a oggi il loro valore, articolato in un costante equilibrio tra la mano e la macchina, continua a essere un punto cardine del sistema economico italiano: riflettere sul loro futuro significa quindi investire su un’idea di Italia come “manifattura resiliente”, capace di assorbire i colpi, rimettersi in gioco e produrre costantemente bellezza. Questo numero di Mestieri d’Arte & Design. Crafts Culture vuole così celebrare compleanni speciali, anniversari ultracentenari e nuove prospettive di queste officine del fare; ma vuole anche raccontare i gesti attenti, frutto di un know-how prezioso, e la qualità nelle lavorazioni dei migliori Maestri artigiani, le cui mani sono le indiscusse protagoniste dei processi all’interno di ogni manifattura. Dall’oro e dalle pietre preziose sapientemente lavorati da Buccellati, ai dialoghi tra Ginori 1735 e i grandi architetti e designer che ne hanno interpretato l’eccellenza; dai cento anni della leggendaria Venini all’alchimia del metallo di De Castelli; dagli intarsi di Promemoria agli organi dei Ruffatti e ai segreti di Cartier, ricercati e pregevoli sono gli esempi che abbiamo selezionato, da leggere attraverso il punto di vista di Ugo La Pietra. E per finire, anche la natura abbraccia l’idea del fatto a mano. Con orgoglio e soddisfazione presentiamo infatti la rosa “Mestieri d’Arte”, poetica metafora della rivitalizzazione del made in Italy, fragile ma potente allo stesso tempo, ibridata per Fondazione Cologni da una realtà manifatturiera unica nel suo genere: Rose Barni, che a Pistoia crea rose d’autore dal 1882. Buona lettura! • MESTIERI D’ARTE & DESIGN
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indice 9
66 FRATELLI RUFFATTI La maestà della musica Giuditta Comerci
EDITORIALE
Mente, mano, macchina Alberto Cavalli
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Manifatture ieri & oggi Ugo La Pietra
N°23 SEMESTRALE DELLA FONDAZIONE COLOGNI
30 di meraviglia C E N T ’A N N I
72 ROSE BARNI Il fiore all'occhiello della bellezza Franco Cologni
Qui, Amarcord, mogano grigio chiaro e teak, design Romeo Sozzi, Promemoria. Il disegno crea una texture geometrica che conferisce una profondità tridimensionale a questo mobile contenitore componibile. A destra, Amaranth, amaranto e acero,
L’arte del vetro si trasmette
design Lars Beller Fjetland, Bottega
attraverso la memoria
da un’antica tradizione matrimoniale
e i gesti dei suoi grandi
che dura per tutta la vita.
Ghianda. Le anatre, prendendo spunto coreana, sono il simbolo di un’unione
artefici. I capolavori di Venini raccontano un sogno, una passione, una lunga
Dalla parte
del cuore
UNA G R A N DE STOR I A I TA L I A NA ,
di Marina Jonna fotografie di Daniele Cortese
storia di maestria veneziana.
made in Milano
di Jean Blanchaert fotografie Archivio Venini Quando nasciamo, il buon Dio distribuisce più o meno equamente a ognuno di noi pregi e difetti. C’è chi è calmo, magari anche buono e vive serenamente. La sua intelligenza sarà stata di intuire che i doni ricevuti andavano curati come piante, non potevano rimanere senz’acqua. C’è invece chi è irrimediabilmente pigro e si lascia trasportare dalle onde. Gli auguriamo di essere almeno molto attraente perché avrà bisogno di aiuto. Potremmo andare avanti all’infinito con questi esempi e riusciremmo a mettere insieme centinaia di combinazioni: simpatico e incapace (pericoloso per un medico), colta e buona (ideale per una maestra elementare), educato ma distratto (non grave per un pittore, criminale per un autista di scuola bus). Alcune combinazioni però sono rarissime (un paio ogni cento anni) e se si verificano sembra di essere a Las Vegas quando sullo schermo di una slot machine compaiono tre cammelli, tre cactus e tre elicotteri. Accade all’incirca ogni cinquant’anni. Tutto si blocca, le slot cominciano a suonare all’impazzata, il direttore del casinò viene personalmente a controllare che ogni cosa sia in regola e a consegnare al fortunato giocatore un assegno esentasse di quindici milioni di dollari. Il 12 gennaio 1895, a Cusano Milanino (Milano), nacque Paolo Venini. Nevicava. Il 18 febbraio 1898, a Modena, nacque Enzo Ferrari. Nevicava. Fu così che la natura decise di salutare l’arrivo di due grandi geni italiani. Era uscita la combinazione cammelli-cactus-elicotteri, cioè imprenditore-artista-visionario. Se Ferrari è sinonimo della più bella automobile del mondo, Venini significa il più bel vetro del mondo. Diceva il grande banchiere Jacob Safra: «If you choose to sail upon the seas of banking, build your boat, with the strength to sail safely through any storm». Ferrari e Venini hanno saputo attraversare un mare di difficoltà e di tempeste finanziarie rimanendo 30
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Album Stefania Montani
30 VENINI Cent'anni di meraviglia Jean Blanchaert 36 DE CASTELLI Alchimia del metallo Alessandra Quattordio 42 PROMEMORIA Dalla parte del cuore Marina Jonna 48 BONOTTO Elogio della lentezza Simona Segre Reinach 54 BUCCELLATI Una grande storia italiana, made in Milano Alba Cappellieri 60 KITON Normalità straordinaria Sofia Catalano 10
di Alba Cappellieri
Una giornata nella falegnameria di Promemoria a Valmadrera,
Qui, collana Elettra
dove sapienti artigiani creano arredi unici. Un viaggio
con lavorazione tulle e diamanti, collezione
all’insegna della passione attraverso i materiali, con la guida
Buccellati Cut-Diamond.
d’eccezione di Romeo Sozzi.
A destra, anello Gelsomino con topazio e tormaline Paraiba, collezione Il Giardino di Buccellati, Haute Couture 2021. Foto: Archivio Buccellati.
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76 FONDAZIONE SCUOLA BEATO ANGELICO L'arte di rinnovare i simboli Federica Sala 82 MAISON DES MÉTIERS D'ART CARTIER La Maison degli antichi gesti e dei nuovi mestieri Grégory Gardinetti 88 GINORI 1735 Una storia artistica fiorentina Maria Pilar Lebole e Silvia Ciappi 94 SERAPIAN Trame di pelle Andrea Guolo 100 FORNACE ORSONI La ricetta segreta del colore Susanna Pozzoli 106 CHEF PAOLO LOPRIORE Ficcanaso di manufatti Andrea Sinigaglia 114 English Version
LE OPINIONI
14 Buon uso o cattivo uso delle macchine Ugo La Pietra 16 Manifattura: una collaborazione tra artigianato e design Claudio Gambardella 112 Riscoprire il valore delle manifatture Franco Cologni
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Qui, una fase della marqueterie florale, tecnica inedita in orologeria, composta da une serie di operazioni minuziose e delicate finalizzate a creare quadranti dai decori spettacolari. Foto: Eric Bidou © Cartier. A destra, eterea come il pizzo, la filigrana è una tecnica di oreficeria che utilizza fili d'oro o d'argento fusi insieme per
Tecniche orafe del mondo antico si
creare un motivo traforato.
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La Maison
Per Cartier, la sfida non è
rinnovano e si elevano grazie all’estro
Una storia artistica
fiorentina
DEGLI ANTICHI GESTI E D E I N U OV I M E S T I E R I
di Maria Pilar Lebole e Silvia Ciappi fotografie Ginori 1735
di Grégory Gardinetti
solo quella di adattarla alle piccole dimensioni della
creativo e alla visione imprenditoriale
cassa di un orologio, ma anche di andare oltre
dei Buccellati. Gioiellieri d’arte da
i limiti optando per materiali come l'oro,
quattro generazioni, creano capolavori
il platino e il diamante. Foto: Eric Bidou © Cartier.
di raffinata bellezza con un’impronta inconfondibile.
che custodisce, tramanda e rinnova mestieri d’arte ancestrali nell’universo infinitamente piccolo dell'orologeria.
Collezione Ether, design Constance Guisset, 2020: il movimento dinamico del disegno grafico sembra evaporare nella commistione di luci e ombre che rende i piatti una sorta di cornice. A destra, vaso Donne e Architetture, collezione Arte di Gio Ponti, design Gio Ponti, 1925.
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MESTIERI D’ARTE & DESIGN. CRAFTS CULTURE Semestrale – Anno 12 – Numero 23 - Settembre 2021 mestieridarte.it DIRETTORE RESPONSABILE
MESTIERI D’ARTE & DESIGN. CRAFTS CULTURE
Alberto Cavalli
è un progetto della Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte
DIRETTORE EDITORIALE
Franco Cologni DIREZIONE ARTISTICA
Lucrezia Russo CONSULENTE EDITORIALE
Ugo La Pietra
Via Lovanio, 5 – 20121 Milano fondazionecologni.it © Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione, seppur parziale, di testi e fotografie.
il successo della storica Manifattura di porcellane italiane, in continua evoluzione ed espansione.
MESTIERI D’ARTE & DESIGN
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M ANI FAT T UR E
IN COPERTINA:
Collezione per il centenario Venini
REDAZIONE
Susanna Ardigò Alessandra de Nitto Lara Lo Calzo Francesco Rossetti
Ginori 1735: un moto perpetuo tra tradizione e innovazione. Dal genio di Gio Ponti alla collaborazione con designer, si consolida
MANIFATTURE
la Maison des Métiers d'Art di Cartier, un laboratorio all’avanguardia
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Una fattoria svizzera del XVII secolo completamente rinnovata ospita
MESTIERI D’ARTE & DESIGN. CRAFTS CULTURE
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I.P.
e gioielleria d’arte”. Il successo fu immediato e nel 1921 partecipò alla sua prima esposizione internazionale, a Madrid, dove i suoi gioielli furono acquistati dalla regina madre Maria Cristina d’Asburgo e Lorena, dal principe Pio di Savoia e dalla marchesa de Casa Irujo, suoi primi clienti reali. Un anno più tardi, a Milano, nel pomeriggio del 2 agosto 1922, avvenne un incontro che cambiò per sempre la sua vita: quello con Gabriele D’Annunzio che, passeggiando per Largo Santa Margherita, “provò immediata simpatia per quel giovane gioielliere, dall’estro creativo e innovativo.” Da quel giorno il Vate intrattenne con l’orafo un rapporto costante, attestato da un corpus di 83 lettere scritte dal 1922 al 1936, in cui lo definì “il principe degli orafi”, per la sua abilità nel creare oggetti mirabili e la capacità di interpretare e soddisfare le sue più insolite richieste. Tra i gioielli più significativi realizzati per lo scrittore ricordiamo il sautoir del 1923 con berillo giallo e rubini e i tre esemplari di portasigarette del 1929; il bracciale snodato con lapislazzuli del 1928, o la piccola scatola commemorativa con il motto dannunziano “Io ho quel che ho donato” del 1930. Dalla presenza immutata dello storico punzone “15 MI”, il quindicesimo di Milano rilasciato dalla Zecca nel 1934, i gioielli Buccellati sono simbolo di creazioni di impareggiabile qualità che attingono, rinnovandolo, al patrimonio di
FONDAZIONE COLOGNI DEI MESTIERI D’ARTE
Quella dei Buccellati è una bella storia che dell’Italia simboleggia la creatività, la bellezza, l’artigianalità, l’innovazione, la centralità della famiglia tra affetti e affari. Buccellati è l’unica maison orafa ad aver dato il nome a uno stile del gioiello, riconosciuto nel mondo, grazie a quattro generazioni che, dal 1919 a oggi, hanno saputo innovare le migliori tradizioni orafe italiane, facendole rivivere in gioielli dall’eleganza contemporanea e inconfondibile. Mario Buccellati nasce ad Ancona il 29 aprile 1891, ma la prematura scomparsa del padre spinge la madre, Maria Colombani, a trasferire Mario e i suoi fratelli Melchiorre, Margherita e Carlo, nella “grande Milano” nel 1903. Se agli inizi del Novecento Parigi era la Itaca delle arti in Francia, Milano lo era dell’Italia e la storia dei Buccellati ha il suo incipit proprio qui. Il capoluogo lombardo ha avuto, e ha tuttora, un ruolo importante per i Buccellati, che dal 1919 a oggi hanno qui il centro delle loro attività e che sono eccellenti interpreti di quella “milanesità” dal garbo raffinato e dall’eleganza sobria. A Milano, Mario ottenne un apprendistato presso gli orafi Beltrami-Besnati: anni intensi, in cui Mario imparò avidamente il mestiere, fino allo scoppio della Prima guerra mondiale, dove combatté, fu ferito sul Carso e ricevette una croce al merito. Nel 1919, rilevò l’attività e si dedicò completamente al lancio della sua “ditta di lavori in argenteria
(1921-2021): Monofiori Balloton,
PUBBLICITÀ E TRAFFICO
Veronese, Battuti/Canoe e
Mestieri d'Arte Srl Via Statuto, 10 - 20121 Milano
Clessidra. Cent'anni di arte, bellezza e made in Italy. Foto: Archivio Venini.
TRADUZIONI
Traduko Giovanna Marchello (editing e adattamento) PRESTAMPA E STAMPA
Grafiche Antiga Spa MESTIERI D’ARTE & DESIGN
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Artigiani della parola
Sofia Catalano
Jean Blanchaert
Gallerista, curatore, critico d’arte e calligrafo, da più di trent’anni conduce la galleria di famiglia fondata dalla madre Silvia nel 1957 e da sempre specializzata in materiali contemporanei. Dal 2008 è collaboratore fisso del mensile Art e Dossier (Giunti Editore). Nel 2018 è stato curatore della sala Best of Europe di "Homo Faber", alla Fondazione Cini di Venezia.
Siciliana di nascita, milanese di adozione. Freelance da sempre, collabora con quotidiani e periodici, spaziando dalla moda alla bellezza, dal lifestyle alla cultura. Ama incondizionatamente gli animali, Leone dalla criniera grigia (ma non per questo spelacchiata!) vive con il leggendario gatto Arancino.
Grégory Gardinetti
Giuditta Comerci
Ricercatrice e curatrice di eventi culturali, è direttore artistico dell’Associazione Noema per lo studio e la promozione della cultura musicale. È cultore della materia Mestieri d’arte e bellezza italiana al Politecnico di Milano dal 2015 e coautrice de Il valore del mestiere (Marsilio, 2014).
Esperto e storico dell'orologeria, curatore di mostre internazionali, autore di libri specializzati, conferenziere e docente universitario, ha offerto i suoi servizi alle più importanti marche e istituzioni orologiere.
Marina Jonna
Giornalista e architetto ha lavorato in diverse redazioni (La Mia Casa, Casaviva, Panorama.it, Icon Design) con una parentesi come autrice e corrispondente di R101. Dal 2019 collabora come free lance con Interni, Domus, AD, The Good Life, Home Italia e Home USA. Segue anche come design consultant il nuovo inserto sul design di Grazia, oltre a sviluppare progetti di interior design.
Andrea Guolo
Silvia Ciappi
Alba Cappellieri
Professore Ordinario di Design del Gioiello e dell’Accessorio Moda al Politecnico di Milano. Dal 2014 è direttore del Museo del Gioiello, all’interno della Basilica Palladiana di Vicenza, il primo museo italiano dedicato al gioiello.
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Laureata in Storia dell’Arte Medievale e Moderna, è docente presso la Scuola di Specializzazione Beni Storici e Artistici a Firenze. Si occupa di ricerche sulla storia del vetro. Dal 2010 collabora con Osservatorio dei Mestieri d'Arte.
Claudio Gambardella
Professore di Disegno Industriale presso l'Università della Campania "Luigi Vanvitelli”, lavora e scrive da anni sul rapporto design/artigianato. Suo il progetto “Handmade in Italy” che è anche il nome di una Commissione Tematica ADI da lui fondata (2017) e di cui è coordinatore.
Giornalista professionista, specializzato in economia della moda, cibo e design. Scrive per Mf Fashion, Pambianco, The Drinks Business, Corriere Vinicolo e altre testate nazionali e internazionali. È autore di libri (ultima pubblicazione: #Iosiamo per Edizioni San Paolo) e di spettacoli teatrali.
Ugo La Pietra
Artista, architetto, designer e soprattutto ricercatore nella grande area dei sistemi di comunicazione. La sua attività è nota attraverso mostre, pubblicazioni, didattica nelle accademie e nelle università. Le sue opere sono presenti nei più importanti musei internazionali.
Maria Pilar Lebole
Giornalista, dirige la rivista OMA ed è responsabile di Osservatorio dei Mestieri d’Arte per Fondazione CR Firenze. Da oltre venti anni è impegnata nella ricerca e promozione dell’artigianato artistico con iniziative e progetti culturali, tra cui mostre, contest dedicati alle giovani promesse dell’artigianato artistico, esperienze di didattica e di formazione per i mestieri d’arte.
Federica Sala
Susanna Pozzoli
Fotografa cosmopolita residente a Parigi, si è specializzata nel ritrarre il mondo dell’artigianato, che racconta con immagini e parole. La sua ricerca personale è pubblicata ed esposta internazionalmente con continuità. Nel 2018 ha presentato a “Homo Faber” una mostra, a breve un libro, dedicata alle eccellenze del saper fare a Venezia e in Veneto.
Federica Sala è una curatrice indipendente e un design advisor. Negli ultimi anni ha curato con Patricia Urquiola “ACastiglioni” alla Triennale di Milano e la recente mostra su Giulio Castelli per il neonato ADI Design Museum. Collabora con alcune testate e ha un libro in pubblicazione con Rizzoli International.
Andrea Sinigaglia
Laureato in Lettere alla Cattolica di Milano, ha conseguito un Master in Cultura dell’Alimentazione a Bologna e un MBA presso il MIP. Ha pubblicato: La cucina Piacentina (Tarka, 2016), Gusto Italiano (Plan, 2012) e Il vignaiolo. Mestiere d'arte (Il Saggiatore, 2006). Dal 2004 insegna Storia della Cucina italiana presso ALMA, dove, dal 2013, è direttore generale.
Simona Segre Reinach Stefania Montani Alessandra Quattordio
Giornalista, ha pubblicato tre guide alle botteghe artigiane di Milano e una guida alle botteghe artigiane di Torino. Ha ricevuto il Premio Gabriele Lanfredini dalla Camera di Commercio di Milano per aver contribuito alla diffusione della cultura e della conoscenza dell'artigianato.
Laureata in Storia dell’Arte all’Università Statale di Milano, ha svolto a lungo attività giornalistica presso AD Architectural Digest. Oggi collabora con il Corriere della Sera e alcune riviste culturali, occupandosi di arte e design. Insegna Storia del Design del Gioiello all’Istituto Europeo di Design.
Professoressa associata all’Università di Bologna, dirige la rivista Zonemoda Journal. Ha scritto saggi sulla globalizzazione e sulla curatela della moda, ha curato mostre e allestimenti. La sua più recente pubblicazione si intitola Biki. Visioni francesi per una moda italiana (Rizzoli, 2019).
I caratteri tipografici fanno parte della collezione della Tipoteca Italiana. (www.tipoteca.it)
MESTIERI D’ARTE & DESIGN
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OPINIONI
la piet
È nel processo di trasformazione della materia, anche attraverso gli strumenti, che l’artista artigiano riesce a cogliere i possibili interventi creativi per l’invenzione e
FATTO AD ARTE
la realizzazione dell’opera.
Buon uso o cattivo uso delle macchine Oggi, come e più di prima, le piccole aziende artigiane fanno buon uso delle nuove apparecchiature. Queste ultime (come le macchine a controllo numerico), da una parte consentono la moltiplicazione seriale degli oggetti e dell’altra garantiscono lavorazioni ancor più sofisticate di quelle che venivano realizzate a mano, eliminando le possibili imperfezioni di certi procedimenti. È pur vero che per molti anni quelle “piccole imperfezioni” hanno fatto il valore aggiunto della produzione seriale, ma è anche vero, e sempre più riscontrabile, che l’uso delle nuove macchine e delle nuove attrezzature sta stimolando la fantasia dell’artigiano, interagendo con il suo gesto “carico di azzardo”, nella costruzione dell’opera. È proprio in questa fase che “la macchina” aiuta, anzi si potrebbe dire stimola, la fantasia dell’artefice. Basterebbe vedere come un artigiano ceramista riesce a “inserire” elementi lavorati manualmente, durante il processo di costruzione di un oggetto con una stampante per ceramica 3D. Un percorso innovativo apre alla possibilità, per l’artigiano, di trovare un giusto rapporto tra la sua manualità e l’uso delle macchine. Purtroppo non è sempre così! Storia di una manifattura. Per diversi decenni la piccola azienda alla periferia di Milano ha sempre lavorato e trasformato il metacrilato per fare opere d’eccezione: prototipi di lampade, modelli scultorei, pezzi straordinari disegnati da famosi designer, oggetti luminosi per gli spazi collettivi e poi opere di giovani artisti che negli anni Sessanta e Settanta “sperimentavano” con i nuovi materiali. L’artigiano faceva uso di pochi strumenti, trapani e seghe per la lavorazione a freddo, forni, stampi e stampanti per la realizzazione di opere tridimensionali. Gli oggetti eccezionali che uscivano dal suo laboratorio erano frutto delle sue capacità manuali unite al saper usare le poche attrezzature, proprio come da secoli il ceramista realizza le proprie opere usando il tornio, gli stampi, il forno. Negli anni sono cresciute le macchine e il giovane artigiano, esperto nella lavorazione del metacrilato, ha inaugurato un nuovo padiglione, ha installato nuove macchine a controllo numerico, nuove stampanti per la realizzazione più veloce degli oggetti. La piccola struttura artigiana un tempo realizzava pochi pezzi alla settimana, e con una certa fatica guadagnava il giusto per sostenere l’attività famigliare (ci lavoravano il titolare, due figli e due dipendenti): guadagno giusto ma non sicuro, in quanto basato su un rapporto occasionale con una clientela sempre diversa. Oggi, una “grande azienda” che produce oggetti in plastica in grande serie (e che li vende attraverso centinaia di punti vendita in tutto il mondo) commissiona al piccolo artigiano “attrezzato” (come unico cliente) semilavorati, garantendogli così l’acquisto di un numero elevato di elementi al mese e quindi un guadagno sicuro. L’artigiano pensa a una svolta positiva per la sua azienda, ma dopo un po’ di tempo si accorge che i margini di guadagno sono relativi, deve lavorare con tempi sempre più stretti di consegna, ha perso tutta la sua capacità creativa, non ha più la sua clientela selezionata e trema al pensiero che un giorno la “grande azienda” lo possa sostituire con un altro artigiano disposto a lavorare a prezzi inferiori. È la lunga e faticosa storia del nostro artigiano d’eccellenza, che ci racconta come non sempre l’introduzione di nuove tecnologie rappresenti un passaggio positivo per la trasformazione della piccola impresa. Purtroppo, manifatture che, nel tempo, hanno saputo far buon uso delle nuove tecniche e delle nuove strutture, di fronte alla possibilità di grandi numeri, vengono spesso attratte dal mercato globale rendendosi disponibili a sostenere parte della produzione delle grandi aziende, con la “fatale” perdita del loro valore e della loro identità. •
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REVERSO DUETTO
Jae ge r - Le Co u l tre B o u ti q u e Mi l a n o - Ro m a + 39 02 3 6 04 2 8 3 3
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OPINIONI
Gamba
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L’equilibrata relazione tra saperi e talenti diversi, si è dimostrata nel tempo capace di esaltare il valore delle qualità italiane.
Manifattura: una cooperazione tra Artigianato e Design Con il termine “manifattura” si intende il complesso dei lavori e delle operazioni, eseguite a mano o a macchina, per le quali una materia prima viene trasformata in oggetto di consumo, cioè in manufatto (Treccani). Manifattura è anche sinonimo di fabbrica, industria, officina, opificio, stabilimento. Se poi si parla di manufatto (manu factus), denominazione generica di prodotti, non necessariamente fatti a mano, derivati dalla lavorazione di materie prime, aumenta l’incertezza sui confini di senso di queste parole.
PENSIERO STORICO
Manifattura è un tipo di cooperazione che per Marx rappresenta un grado superiore di organizzazione del lavoro rispetto a quello artigianale, ne costituisce la naturale evoluzione. Dal suo pensiero possono essere estrapolate tre principali novità: a) la manifattura riunisce singoli e diversi mestieri artigianali sotto la direzione di un unico imprenditore; b) il mestiere individuale viene decomposto “nelle sue operazioni particolari, isolandole e rendendole indipendenti fino al punto che ognuna di esse diviene funzione esclusiva d’un particolare operaio”, da una parte generando “il virtuosismo dell’operaio parziale” e, dall’altra, rendendo “ la merce prodotta frutto di un lavoro sociale”; c) il lavoro viene concentrato in un unico luogo, l’officina. Questa è un’altra innovazione che accentua le distanze tra manifattura e botteghe artigiane del Medioevo che a loro volta, come scrive Le Goff, avevano sostituito i laboratori delle grandi proprietà dell’età antica, conferendo alla città medievale un importante ruolo produttivo ancora oggi testimoniato dalla persistenza, nella toponimia di quelle attuali, di denominazioni come via dei Tintori, dei Drappieri, degli Orefici. A queste prime tre novità ne andrebbero aggiunte altre due: d) l’introduzione della figura dell’artista e, quindi, di una specifica attività progettuale di oggetti d’uso affidata a uno specialista, l’art manufacturer, espressione usata nel 1849 da Henry Cole nel suo Journal of Design and Manufacture, qualche anno prima della Great Exhibition. Questo è un concetto decisivo nella storia del design già introdotto da chi, come Wiliam Morris, parla di “arte applicata” che poi, più avanti, diventerà “arte applicata all’industria”; e) la graduale familiarizzazione dell’artigiano-operaio con le macchine. Questo tipo di cooperazione, la manifattura, è già presente nella seconda metà del secolo XVI e maturerà con le iniziative di Jean-Baptiste Colbert alla corte di Luigi XIV, le Roi Soleil. Paradigmatico il caso delle Manifatture dei Gobelins, specializzate nella tessitura di arazzi e ancora attive a Parigi. Autorevoli i nomi di artisti, come Cézanne, Léger, Calder, che hanno lavorato nel corso del tempo per questo brand. Tra le manifatture storiche si segnalano quelle sorte, ancor prima, nella Milano visconteo-sforzesca (di tessuti, gioielli, arredi, armi, strumenti musicali), quelle della porcellana, create in Europa nel secolo XVII a Meissen, Sèvres, Vienna, Doccia, Capodimonte, o la colonia manifatturiera e agricola di San Leucio, specializzata nella produzione delle sete, regolamentata da un apposito statuto, il Codice leuciano, firmato da Ferdinando IV di Borbone. Questa produzione “lenta” che convive con la fabbrica contemporanea, come testimoniato da un’azienda come la Brunello Cucinelli, sopravviverà anche alla Fabbrica 4.0 perché è in grado, in una equilibrata relazione tra management, artigiani e progettisti, di esaltare il valore delle qualità italiane. • 16
IWC PILOT. ENGINEERED FOR ORIGINALS.
Big Pilot’s Watch 43.
u n l o o k d i c a r a t te r e a d u n c o m f o r t s e n z a p r e -
R e f. 3 2 9 3 : I l d e s i g n f u n z i o n a l e, c o n q u a d r a n te
cedenti. Un orologio spor tivo incredibilmente
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Manifatture
IERI & OGGI Le creazioni seriali sono il frutto del connubio tra tradizione, matrice artigianale, nuovi modelli creativi e operativi. L’evoluzione della manifattura made in Italy è il fruttuoso incontro tra il lavoro manuale e quello delle macchine.
di Ugo La Pietra Con la meccanizzazione di alcuni reparti e alcune lavorazioni, oggi “manifattura” è un termine che in modo sintetico e un po’ brutale parla dell’unione (o se si vuole della conflittualità) tra arte e industria, tra arte e tecnica, tra il fatto a mano e l’uso della macchina. Manifattura, ieri, era la definizione di una struttura produttiva che raccoglieva il fare di tanti. Tanti artigiani o tanti operai? Quante volte abbiamo visto le foto di gruppo delle maestranze di una manifattura: centinaia di donne e uomini in posa guardando l’obiettivo. Quelle foto oggi un po’ ingiallite, con la firma del fotografo stampata sul bordo, ci parlano di tante persone che alimentavano con il loro lavoro l’economia di un territorio. Persone che, con l’introduzione delle macchine, spesso hanno visto scomparire il proprio lavoro: erano “la mano d’opera” che alimentava l’impresa; più che artigiani depositari di un saper fare erano operai, operai che lavoravano a cottimo. Maestranze che in tempi molto rapidi sono scomparse: prima le macchine, poi la perdita d’identità; la fine di molte manifatture ha voluto dire spesso anche la fine di un’economia e di una popolazione di lavoratori. È ben noto ormai a tutti che con l’introduzione delle macchine, molti artigiani (operai) hanno perso il loro lavoro, mentre si sono conservati e hanno mantenuto la loro funzione gli “artigiani specializzati”. Nella Londra del Settecento c’erano tredicimila specializzazioni di lavoro artigianale (ad esempio: l’addetto che decorava il bordo di una piastrella da pavimento con gli ornati, certamente non dipingeva le figure o i cesti di frutta delle nature morte…). Rimangono oggi da osservare con attenzione, e spesso ammirazione, diversi modelli di manifatture ancora molto 18
attive e vitali dove è riconoscibile, in diversi modi e procedimenti, il ruolo dell’artefice (figura intermedia tra l’artista e l’artigiano) e dove l’impresa riesce a coniugare il lavoro manuale con l’uso delle macchine, garantendo eccellenza anche nella produzione seriale. Il modello più diffuso, e ancora capace di dare notevoli contributi, è quello della manifattura a grande produzione artigianale di serie, come gli esempi rilevabili nel territorio di Vietri sul Mare. Produzione fatta da notevoli artisti ma anche produttori di oggetti facilmente replicabili. Già negli anni Cinquanta, la manifattura “Tirrena” di Gambone e D’Arienzo, trasferitasi da Vietri a Firenze, produceva piatti decorati, se ne facevano tanti, tantissimi quotidianamente; si trattava di una produzione seriale, ma ogni esemplare era diverso dall’altro. A questo modello, praticato in aree di produzione consolidata da una radicata storia nell’economia del territorio, se ne aggiunge un altro sempre più vicino alle necessità e aspettative del nostro mercato “made in Italy”. In questo tipo di manifatture esiste la figura dell’artefice che lavora con delle “basi”, dei “tipi”, dei “moduli”, dei “sistemi di ornati”, degli “stampi”. Un grande bagaglio sedimentato, una sorta di campionatura di base che, man mano, si organizza e struttura rispetto al lavoro e alla committenza. In queste “fabbriche” caratterizzate da modelli, numeri di contrassegno, migliaia di decalcomanie, l’artefice partecipa alla produzione lavorando nella, e per la, serie. È una manifattura, questa, che vanta una qualità che si basa sulla sua storia, sull’essere riuscita a mantenere in vita i caratteri originari del suo fare, garantendo così anche la possibilità di aggiungere nuovi modelli a quelli della sua tradizione (un esempio è la
Massimo Monini (in primo piano) è il titolare della Rometti Ceramiche dal 2010. Insieme al direttore artistico Jean Christophe Clair (in camicia blu) e alle maestranze dell’azienda ha rivitalizzato la produzione di questa storica manifattura. Foto: Monica Spezia.
“È una manifattura, questa,
che vanta una qualità che si basa sulla sua storia, sull’essere riuscita a mantenere in vita i caratteri originari del suo fare, garantendo così anche la possibilità di aggiungere nuovi modelli a quelli della sua tradizione.”
Richard Ginori). Ma, accanto a questi esempi, è possibile riconoscerne altri, come le grandi manifatture (vedi i cristalli di Colle Val D’Elsa) che producono industrialmente i loro oggetti di qualità ma cercano contemporaneamente di tener viva la loro matrice artigianale conservando quella che in gergo si definisce “una nicchia” di oggetti, dove esiste la partecipazione di artigiani che caratterizzano la produzione con vari decori (ad esempio le incisioni “a freddo” realizzate a mano con piccoli trapani su cristalli di serie). Oggi, a questi esempi storicamente consolidati e apprezzati, si aggiungono tante imprese che sono riuscite a coniugare la qualità del prodotto attraverso il duplice apporto, quello della mano e quello della macchina. Ogni giorno sempre più numerosi sono i giovani artisti/artigiani che sperimentano questi procedimenti, che portano a sempre nuovi percorsi capaci di dare valore e autenticità all’opera. Sono i “percorsi della trasformazione della materia” che consentono all’artefice di immaginare nuovi modelli operativi e creativi. • MESTIERI D’ARTE & DESIGN
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Album di Stefania Montani
MANIFATTURE
parte rarissime, provengono da tutte
fratelli Ganci, rimasti senza eredi, la
Aquaflor
le parti del mondo, frutto di incessante
manifattura passò nel dopoguerra al
ricerca. Con sapienza qui vengono
loro socio Giuseppe Morandino. Oggi
create eau de parfum, acque di colonia,
a guidare questa realtà di eccellenza ci
acque idratanti, profumi per l’ambiente,
sono i suoi nipoti Giovanna, Giuseppe,
incensi, saponi, sali da bagno e
Giorgio e Gianluca, figli di Giovanni,
candele. Di che perdere la testa. Oltre
che hanno dato vita a nuove linee
all’ampia selezione di profumi presenti
che integrano il repertorio storico.
nell’opificio, che si possono scegliere
Nell’ampio laboratorio all’interno di un
a seconda dei gusti, qui è anche
palazzo vicino a Porta Romana, il ciclo
possibile far confezionare un profumo
di produzione alterna i gesti dell’antica
personale, su misura. «I profumi, si
tradizione manuale alle lavorazioni più
sa, sono evocativi e devono suscitare
sofisticate. La manifattura continua a
emozioni,» asserisce il Maestro
produrre posate, sottopiatti, zuppiere,
profumiere. «Ognuno di noi predilige
ciotole, candelieri, vassoi, portagioie,
un fiore, una spezia, un aroma, che non
vasi e complementi d’arredo in tutti
solo riconosce come affine, ma che
gli stili, grazie anche a un patrimonio
lo fa sentire bene. Per questo dedico
di modelli, disegni e schizzi, alcuni dei
molta attenzione a chi desidera un
quali risalgono agli anni Trenta del
profumo personalizzato. L’olfattorio
secolo scorso. Nell’argenteria lo spazio
racchiude una importante collezione di
è suddiviso su diversi piani. Al piano
oltre mille essenze, tra estratti naturali
terra, all’interno dell’area espositiva,
e molecole aromatiche. Importante
si possono ammirare tanti pezzi delle
A pochi passi dalla Basilica di Santa
saper scegliere gli abbinamenti giusti
collezioni storiche affiancati dalle
Croce, nel cuore di Firenze, c’è
e, per me, essere in grado di aiutare
nuove creazioni: piatti, cesti, vassoi
un opificio straordinario, sia per
nella scelta.» Tanti ormai i punti vendita
in argento specchiato, cornici dalle
la suggestiva eleganza dei locali
di Aquaflor nel mondo, da Dubai a
linee essenziali e minimaliste, vasi
rinascimentali di palazzo Corsini
Dusseldorf, dalla Corea a Toledo e a
con superfici impreziosite da piccoli
Antinori Serristori, sia per la ricerca
Marina di Pietrasanta. Visto il crescente
interventi decorativi, caraffe dalle
olfattiva che qui viene elaborata.
interesse per l’opificio, la Maison ha
forme un po’ retró che si ispirano al
È Aquaflor, una Maison di profumi
pensato di mettere a disposizione
dopoguerra. Non mancano interi servizi
artigianali che ha sviluppato i suoi
dei suoi visitatori a Firenze una serie
da tè e da caffè e neppure monili
laboratori nelle sale all’interno del
esclusiva di esperienze nel variegato
dalle forme originali. Nel laboratorio
cortile della nobile dimora e nelle
mondo delle fragranze: visite guidate
cantine che si snodano al piano
dell’atelier e del magico magazzino
inferiore. Oggi è Nicola Bianchi il
delle essenze, workshop di profumeria
“naso” che grazie alla preparazione
tradizionale e creativa. Aprendo le porte
scientifica e all’appartenenza a una
di questa speciale e fascinosa eccellenza
famiglia di essenzieri, riesce a scegliere
artigiana italiana anche ai bambini.
Borgo Santa Croce 6, Firenze tel. +39 055 2343471 www.aquaflor.it
le fragranze più straordinarie per dare vita a profumi emozionanti. L’ingresso ricorda lo studio di uno speziale dei secoli passati: qui, tra antichi mobili da farmacia, pieni di cassetti, credenze dai vetri liberty colme di ampolle e
Ganci Argenterie Via Altaguardia 8, Milano tel. +39 02 5831 4323 www.ganciargenterie.com
di boccette, sembra di entrare nella stanza segreta di un mago, con
Con all’attivo una tradizione familiare
filtri, alambicchi e pozioni. Anche le
giunta ormai alla terza generazione,
etichette sono evocative: mirra, ambre
Ganci si colloca tra le fabbriche
orientali, rosa dell’Oman, oud, incensi,
artigianali di argenterie più importanti
osmanto. Le essenze, per la maggior
di Milano. Fondata nel 1926 dai
Cappellificio Cervo
alcuni Maestri artigiani, abili nella
Edoardo precorse i tempi e mandò il
minuziosa cura dei dettagli, seguono
figlio René Fernando a studiare design
il ciclo completo della produzione:
della moda a Londra e a Parigi. E fu così
dalla modellatura delle lastre di
che nel 1934 nacque la René Caovilla,
argento, al tornio, alle operazioni di
un’azienda volta a creare prodotti di
sbalzo e alle incisioni. Con l’aiuto di
lusso, che iniziò a impreziosire i suoi
Una tipica fabbrica ottocentesca,
una nutrita raccolta dell’archivio, che
modelli con inserti e decorazioni.
con i classici capannoni industriali,
contiene ancora documenti dell’epoca
E a dedicare attenzione alle collezioni
i macchinari originali dei primi del
liberty e déco, da Ganci è possibile
dell’alta moda: un’intuizione che
Novecento, l’alta ciminiera e una
far riprodurre anche pezzi mancanti,
gli guadagnò la stima delle sartorie
vecchia insegna che ne ricorda la
identici ai servizi del secolo scorso. Il
dagli anni Sessanta.
storia. È il Cappellificio Cervo, che
laboratorio fornisce inoltre un servizio
Il primo a iniziare un sodalizio con
prende il nome dal vicino torrente
di restauro e pulizia, nonché di stima e
René Caovilla fu Valentino, che gli
che attraversa il biellese e il piccolo
valutazione degli argenti di famiglia.
affidò la creazione delle scarpe per le
borgo di Sagliano Micca. Nato nel 1897
sfilate delle sue modelle: una “prima
come “Società Anonima Cooperativa
linea” preziosa e scintillante che fece
tra i cappellai nel Biellese”, il
subito scalpore. Altre case di moda
cappellificio diventa in breve tempo
vennero ad aumentare il numero
una delle manifatture più importanti
dei clienti della Haute Couture, e tra
della regione, radunando mastri
questi Chanel, Christian Dior, John
cappellai esperti nella lavorazione
Galliano. Di successo in successo, in
manuale e nel finissaggio. Oggi, a
Italia e all’estero, fino alla decisione
150 anni di distanza, la fabbrica ha
di aprire negozi monomarca nelle
mantenuto tutte le tradizioni e, grazie
maggiori città. Nel 2001 René Caovilla
all’esperienza e all’abilità dei suoi
è stato insignito dell’appellativo di
artigiani, continua a tenere viva l’arte
Cavaliere del Lavoro dal Presidente
della trasformazione del feltro. Negli
della Repubblica per il suo grande
anni Ottanta ha anche acquisito le
impegno professionale e la statura
aziende Bantam e il marchio Barbisio,
imprenditoriale. Oggi, dopo una
integrando la sua produzione con
ristrutturazione interna, allo storico
questi modelli, celebri nel mondo per
team composto ancora in parte dai figli
la loro leggerezza, e continuando a
dei primi artigiani, è stata affiancata
innovare attraverso la ricerca.
una collaborazione stilistica esterna
Negli ampi spazi del capannone
con la quale sono stati realizzati
sono conservate oltre 650 forme in
Caovilla Via Paradisi 1, Fiesso d’Artico (VE) tel. +39 049 9801300 www.renecaovilla.com
progetti inediti. Spiega René Caovilla: «Nell’archivio dell’azienda, a Fiesso d’Artico, conserviamo oltre tremila modelli di scarpe dal 1934 a oggi, tra
Tra meno di due anni l’azienda
le quali l’iconico sandalo Cleo/Snake
festeggerà i cento anni dalla sua
progettato da mio padre nel 1969. Per
fondazione: era infatti il 1923 quando
dare un’idea del lavoro manuale che
Edoardo Caovilla aprì a Fiesso
c’è a monte, basti pensare che ogni
d’Artico, sulla Riviera del Brenta, il
singolo sandalo richiede due giorni
suo laboratorio per produrre a mano
di lavoro con almeno 20 passaggi.
calzature di grande qualità. Aveva
Ancora oggi questo è uno dei modelli
un’aiutante formidabile: sua moglie
più amati del nostro brand. La nuova
Rita, imbattibile nel realizzare le tomaie
collezione di impronta contemporanea,
mentre lui seguiva il fondo e il taglio.
con il sandalo flat o le friulane, sempre
“Rita” fu il nome che diede al suo
impreziositi da pietre, arricchirà il
primo modello di scarpe. Artigiano non
nostro percorso.» Sempre all’insegna
solo abile ma anche molto intelligente,
della sperimentazione.
Via della Libertà 16, Sagliano Micca (BI) tel. +39 015 473661, +39 015 473635 www.cappellificiocervo.it
legno e 430 in metallo per costruire ogni singolo cappello, mentre per le tonalità di colore vi è un archivio con più di 90 ricette. Le mani esperte dei
Barettoni
oggi siamo in grado di riprodurre i
Via Molini 3, Nove (VI) Tel. +39 339 6661961, +39 0424 590013 www.barettoni.com
La varietà delle creazioni è grande:
modelli di tutte le epoche.» si spazia dalle prime maioliche con motivi monocromatici blu o verdi
cappellai passano dalla soffiatura di alcune tipologie di pelo, all’imbastitura,
È la più antica fabbrica di ceramiche
alle decorazioni “persiane” o a
per dare una prima forma al cono,
del Veneto, la più importante all’epoca
“ponticello” con disegni esotici, sino
alla follatura. Seguono poi la tintura
della Repubblica di Venezia.
al decoro con fiori recisi, oggi tipico
e successivamente i passaggi di
Fu Giovanni Battista Antonibon
della produzione di Nove. Tanti pezzi
modellatura, rifinitura e finissaggio
nel 1727 a decidere di aprire nel
unici, decorati completamente a mano
che danno al feltro caratteristiche
quattrocentesco palazzo di famiglia,
e riconoscibili dalla firma sul retro,
specifiche. L’ultimo passaggio è la
a Nove di Bassano, un laboratorio
originariamente un asterisco blu, che
guarnizione, durante la quale vengono
per la produzione di ceramiche.
poi negli anni ha assunto le fattezze di
applicate le fodere, i nastri, i preziosi
Supportato dalla Serenissima, che
una stella cometa.
marocchini e la cinta. Tutto cucito a
voleva contrastare il commercio
mano per ottenere dei punti invisibili.
delle porcellane del Nord Europa
Spiega Attilio Borione, uno dei
con una produzione locale, l’abile
proprietari che dirige l’azienda:
ceramista diede il via a una delle più
«Nel nostro Cappellificio vengono
importanti realtà manifatturiere della
realizzati modelli in feltro in qualsiasi
zona. I presupposti c’erano tutti:
colore e foggia, da quelli classici ai
l’argilla eccellente ricca di caolino, la
più contemporanei e personalizzati,
vicinanza col fiume Brenta, perfetta
oltre ai cappelli in paglia e ai panama.
per la lavorazione e per il trasporto,
Abbiamo anche l’esclusiva della
l’abilità manuale e la grande creatività,
produzione dei cappelli per i generali
ereditate dal padre. Questo il pedigree
degli alpini, i Super Bantam. Grazie
della manifattura, che per quasi
all’archivio e alla creatività dei nostri
due secoli produsse una varietà di
mastri cappellai, collaboriamo con
pezzi davvero straordinari. Nel 1907
diverse case di moda per le quali
la fabbrica divenne proprietà di
mettiamo a disposizione il nostro
Lodovico Barettoni, che ne continuò
studio di ricerca e di sperimentazione.
l’attività ereditandone le forme,
Tra queste Hermès, Zegna, Loro Piana.»
i disegni e i decori. Oggi alla guida
Un bell’esempio di eccellenza artigiana
c’è il nipote, Lodovico come il nonno,
italiana che esporta in Europa, Stati
che con la sua famiglia continua la
Uniti e Giappone.
tradizione tenendo alta la qualità della produzione. Racconta il proprietario: «La nostra manifattura negli anni ha realizzato pezzi e servizi da tavola per ambasciate e case reali di mezzo mondo, modelli in esclusiva per brand del lusso come Tiffany, Christian Dior, Gucci, Pierre Cardin. Abbiamo anche
Lanificio Leo Via Cava 43, Soveria Mannelli (CZ) tel. +39 0968 662027 www.lanificioleo.it
collaborato con importanti musei quali il Victoria and Albert Museum,
È la più antica fabbrica manifatturiera
Ca’ Rezzonico a Venezia, il Palazzo
della Calabria e dal 1873, anno della
del Topkapi a Instanbul, il Museo
sua fondazione, è rimasta sempre in
della Ceramica di Nove. Grazie a un
famiglia. La particolarità di questa
archivio con centinaia e centinaia
azienda e dei suoi proprietari sta
di stampi, alcuni del Settecento
nell’essere riusciti a preservare il
e dell’Ottocento, utilizzati con
sapere della tradizione e la manualità,
colaggio a mano come una volta,
insieme agli antichi telai, e di averli
affiancati a progetti altamente
Houses of Parliament di Londra. I suoi
innovativi, sia per la realizzazione,
eredi ne continuarono la produzione
sia per la forma e il design. Il “parco
all’insegna della creatività.
macchine” del Lanificio Leo è
Le collaborazioni con gli artisti e i
composto da macchinari datati
designer si intensificarono continuando
dal 1890 al 1965 e rappresenta uno
fino ai nostri giorni: ai mosaici e ai
dei più significativi esempi di azienda-
vetri si affiancano anche i progetti
museo della Calabria, radicata in
di illuminazione, con la creazione di
un piccolo paese della Sila. Sono
lampadari e vetrate fonoassorbenti.
tutti funzionanti e alcune operazioni
Nel 1962 un ennesimo riconoscimento:
del processo produttivo vengono
il Compasso d’Oro assegnato da ADI
ancora effettuate sui telai dell’epoca.
per il vaso Marco disegnato da Sergio
All’interno della struttura il ciclo
Asti. Alcune opere uscite dalla vetreria
della lana inizia dalla trasformazione
sono esposte nei musei di varie città
dei filati e prosegue fino alla tessitura e alla confezione dei capi. Qui nascono sciarpe, plaid, tappeti, runner, tessuti che contengono
Salviati Fondamenta Lorenzo Radi 16, Venezia Tel. +39 041 5274085 www.salviati.com
anche elementi semantici innovativi.
del mondo, tra le quali New York, Hannover, Tel Aviv. L’Azienda oggi punta al rilancio dell’industria vetraria attraverso la difesa e la valorizzazione della
Racconta Emilio Leo, quarta
Antonio Salviati era un avvocato
tradizione artistica e dell’originalità
generazione di questa famiglia
visionario di Vicenza che, ammaliato
della produzione, continuando a
di artigiani/imprenditori illuminati,
dai mosaici della Basilica di San
essere una punta di diamante dell'arte
architetto per vocazione e
Marco e dell’arte vetraria muranese
muranese, ambasciatrice nel mondo
imprenditore per destino: «La nostra
in generale, decise di fondare una
della grande bellezza italiana.
filosofia aziendale è centrata sulla
vetreria a Venezia.
rivalutazione di risorse archetipiche
Il suo scopo era ridare linfa all’arte
in grado di creare manufatti in cui
vetraria, in crisi di idee da alcuni
l’identità territoriale, integrandosi
decenni. Inizia così, nel 1859, la storia
con il design contemporaneo, genera
di una delle eccellenze artigiane di cui
collezioni innovative che raccontano
l’Italia può essere fiera. Supportato
una storia. Abbiamo partecipato a
dall’Abate Zanetti, virtuoso fondatore
numerose fiere di settore, e molte
nel 1861 del Museo Vetraio e poi della
volte siamo stati selezionati tra i
prima scuola per vetrai e dall’allora
migliori espositori: il Salone del
sindaco di Murano, Colleoni, Salviati
Mobile di Milano, Maison et Object,
inizia l’avventura che lo porta in breve
Triennale Milano, la fiera di Oporto...
ad aggiudicarsi premi internazionali e a
Nel 2020 il progetto Punto Pecora,
trovare sponsor stranieri, per ampliare
nostra icona, è stato inserito nella
l’attività, fino a vincere l’Esposizione
IV edizione de Le Vie del Compasso
Universale di Parigi nel 1867, con
d’Oro, l’evento promosso da ADI che
medaglia d’oro.
invita luoghi speciali ad aprire le porte
Imprenditore illuminato, rese
a oggetti di design altrettanto unici.
obbligatorio per i suoi artigiani la
A Corridonia, in provincia di Macerata,
Io sono convinto che l’unico vero
frequentazione della scuola di disegno
ha sede uno stabilimento modernissimo,
modo per andare avanti conservando
e l’apprendimento della scrittura,
autosufficiente per la fornitura di
un codice riconoscibile sia la
creando una vera e propria didattica
energia elettrica grazie ai pannelli
trasformazione. A me piace molto
interna alla vetreria.
solari, e per quanto riguarda l’acqua,
citare Gustav Mahler che diceva: ‘La
In breve tempo la produzione si
proveniente dal recupero di quelle
tradizione non è il culto della cenere
arricchì di bicchieri, coppe, vasi, anfore,
piovane. È il calzaturificio Santoni,
ma la custodia del fuoco’. E il modo
piatti, e i suoi mosaici abbellirono il
fondato nel 1975 da Andrea, grande
per conservare la tradizione è la
Teatro dell’Opera di Parigi, la cupola
Maestro d’arte da poco scomparso: un
trasformazione.»
della Cattedrale di Saint Paul e la
vero esempio di eccellenza italiana. È
Santoni Via Enrico Mattei 59, Corridonia (MC) tel. +39 0733 281904 www.santonishoes.com
qui che vengono create le scarpe dalla
LIBRI
pelle morbidissima, quelle in cuoio lucido sfumato, le sneakers e le tennis, gli stivali, i sandali e i mocassini, ormai celebri in tutto il mondo. Tutti modelli particolari, frutto di continuo studio e ricerca. «Io sono nato e cresciuto qui e ho iniziato a lavorare in azienda con mio padre Andrea quando avevo 19 anni, ma
UGO LA PIETRA
Terre Artigianato artistico italiano nella ceramica contemporanea a cura di Fondazione Cologni Marsilio Editori
già a 6 anni mi divertivo a scegliere le
La collana Mestieri d’Arte si è arricchita
pelli,» racconta Giuseppe Santoni, oggi
di un nuovo volume, uscito alla fine
alla guida dell’azienda. «In questi ultimi
di giugno di quest’anno, a firma di
dieci anni abbiamo lavorato su più
Ugo La Pietra. Afferma il presidente
fronti, non solo per rendere confortevoli
della Fondazione, Franco Cologni,
oltre che belle le nostre calzature, ma
che ha fortemente voluto questa
anche per avere una produzione in linea
pubblicazione: «Si tratta di una
personale. Artigiani che con gesti
con la sostenibilità. Nelle Marche, la
preziosa immersione nel mondo della
arcaici, ancestrali, trasformano il
regione dove la mia famiglia ha le sue
ceramica, che l’eclettico architetto,
materiale più comune e familiare
origini, siamo circondati dalla bellezza
in qualcosa di straordinario. Come
e questo sicuramente ha formato il
straordinario è il nostro Paese, le cui
nostro gusto e il desiderio di rispettare
“città della ceramica”, con i musei a
l’ambiente, oltre a ricercare il bello.
essa dedicati e le ricche collezioni,
Nella realizzazione delle calzature è
parlano di una storia d’amore fra la
necessario attenersi a regole base:
mano e la materia, fra il pensiero e
comodità, qualità e stile,» ci spiega.
la forma, fra il desiderio e la tecnica.
«La moda può giocare un ruolo per una
Per dare vita a questo interessante
stagione, forse due, ma se chi porta
volume, riccamente illustrato e denso
le scarpe, uomo o donna, non le sente
di approfondimenti, Ugo La Pietra si è
confortevoli, non c’è investimento in
avvalso della collaborazione di alcuni
marketing e comunicazione che tenga.»
tra i più autorevoli storici e critici
Il prodotto, da sempre artigianale,
specializzati in questo settore, quali
è affiancato dalle più moderne
Enzo Biffi Gentili, Flaminio Gualdoni,
tecnologie per gestire l’organizzazione.
Anty Pansera. Con l’intento non solo
«Abbiamo 700 dipendenti, di cui 80
di illustrare agli appassionati della
artigiani specializzati nell’anticatura
designer, artista, ricercatore, ha voluto
ceramica una storia ricchissima e
della pelle, altri nella velatura (tecnica
realizzare per illustrare la grande
non sempre messa adeguatamente
rinascimentale che abbiamo ripreso
tradizione italiana della ceramica
in valore, ma anche di illuminare il
dalla nostra storia), 15 ingegneri per
d’autore, interpretata in ogni regione
cammino dei Maestri di domani.
l’organizzazione e la digitalizzazione e
d’Italia in maniera diversa.» Maestri
30 calzolai che seguono il “su misura”,
d’arte che ogni giorno, da Nord
spostandosi all’estero. Un servizio
a Sud, da Est a Ovest del nostro
che offriamo da anni ai nostri clienti.
Paese, sperimentano con coraggio e
Siamo consapevoli dell’importanza
consapevolezza diverse tecniche di
della tradizione e della trasmissione
lavorazione, materiali, cotture, smalti,
del sapere, indispensabile oggi più che
spessori, elaborando sempre idee
mai: per questo, oltre a collaborare con
nuove. Sfogliare questo libro significa
alcune scuole tecniche e università,
rendersi conto delle opportunità
abbiamo creato all’interno della
che ancora oggi la lavorazione della
manifattura una scuola di formazione
ceramica, con i suoi mille rivoli legati
di Maestri calzolai, per assicurare il
alle tecniche dei diversi territori, può
passaggio del know how.»
offrire come espressione di creatività
SUSANNA POZZOLI, FOTOGRAFIE E TESTI
Foundation, che mette in risalto il
dei manufatti, ma anche il fascino delle
Venetian Way
valore storico e il patrimonio vivente
botteghe e i volti dei Maestri artigiani
che queste realtà rappresentano
che quotidianamente producono con
per Venezia e la regione Veneto.
passione e talento l’eccellenza. Un vero
Contributo fondamentale quello
e proprio viaggio tra i canali, i sestieri
Un progetto di Michelangelo Foundation for Creativity and Craftsmanship in collaborazione con Fondazione Cologni Marsilio Editori
di Federica Muzzarelli, Professore
e le isole della laguna veneziana, fatto
Si tratta della pubblicazione del
Ordinario di Storia e idee della
di suggestive immagini di fasi di lavoro
magnifico lavoro fotografico di
fotografia presso l’Università di
e ritratti. Tradizione e saper fare delle
Susanna Pozzoli realizzato su incarico
Bologna, che ci offre un’approfondita
mani che spesso si intrecciano con lo
di Michelangelo Foundation per la
e raffinata chiave di lettura dell’opera
studio delle nuove tecnologie per dare
mostra “Venetian Way”, presentata
della fotografa.
vita a opere straordinarie.
durante la prima edizione di Homo
Un vademecum agile e accattivante
Faber nel 2018. Una scelta importante
alla scoperta della realtà artigiana della
perché questo patrimonio di
Laguna, accompagnato da poetiche
immagini del saper fare veneziano
immagine scattate dall’occhio esperto
e del Veneto non vada perduto
e sensibilissimo del fotografo Dario
e viva oltre i tempi delle esposizioni,
Garofalo, che ha saputo mettere in luce
come uno straordinario omaggio
anche alcuni segreti delle tecniche,
alla città lagunare e alle sue migliori
immortalandoli con il suo obbiettivo,
realtà produttive.
da sempre attento al lavoro artigiano.
Fotografa e giornalista di grande
Dai gioielli agli argenti, dai tessuti alla
sensibilità, Susanna Pozzoli ha
sartoria, dal décor al mobile, dalle
sempre dato un posto preferenziale
vetrerie alle ceramiche, dalle calzature
all’artigianato e al valore del saper
alla pelletteria, dai mosaici alle
fare e del tramandare in epoca
maschere: accompagnano le immagini
contemporanea. In questo libro ricco
notizie utili e informazioni pratiche per
di immagini poetiche, di piccoli segni
conoscere e raggiungere ogni luogo
di esistenze trascorse, di ambienti
e artigiano citato. Il testo è in lingua
carichi di suggestione, si trovano tanti
italiana e in inglese. La guida sarà
racconti brevi delle sue esperienze,
distribuita a partire da ottobre nei più
professionali e umane, vissute nel
prestigiosi hotel e nelle migliori librerie
tempo trascorso all’interno delle
di Venezia, oltre che nei bookshop delle
botteghe e delle imprese artigiane di eccellenza, protagoniste speciali di questo lavoro, dove l’artista ha colto di volta in volta aspetti diversi. Il racconto si snoda attraverso le immagini di 21 realtà attentamente selezionate, seguendo i ritmi del cuore
Venezia su misura Craft shopping guide Un progetto di Gruppo Editoriale in collaborazione con Michelangelo Foundation for Creativity and Craftsmanship e Fondazione Cologni
e i tempi del lavoro manuale, della
Luoghi straordinari del saper fare,
sua sacralità e moralità, in un poetico
laboratori di ricerca dell’eccellenza,
omaggio alla bellezza di mestieri,
creatori di pezzi unici, da sogno.
persone, territori. Susanna Pozzoli
Dopo il successo editoriale di Firenze
è insieme artefice delle immagini e
su misura, Milano su misura e Italia
autrice dei testi, scritti con passione e
su misura, il Gruppo Editoriale, con
insieme immediatezza.
la preziosa collaborazione della
Aprono la pubblicazione una nota
Fondazione Cologni dei Mestieri
di Michelangelo Foundation, la
d’Arte e il supporto di Michelangelo
prefazione di Franco Cologni, e un
Foundation, ha selezionato 50 atelier
testo introduttivo di Toto Bergamo
della città di Venezia mettendo in luce
Rossi, direttore di Venetian Heritage
non solo le lavorazioni straordinarie
principali città d’Italia, e disponibile nei portali di acquisto online.
MOSTRE
Mediterraneo) è legata alla lavorazione
Tanti i nomi noti, quali Amaaro
della ceramica. Una cultura che si è
(Martino Pompili e Claudia Torricelli),
Fittile.
sviluppata nei secoli, fino ai giorni
Sandra Baruzzi, Chiara Berta, Rosanna
L’artigianato artistico nella ceramica contemporanea
nostri, descrivendo e rappresentando
Bianchi Piccoli, Bottega Vignoli, Linde
le abitudini e le ritualità, in rapporto
Burkhardt, Roberto Cambi, Ceramiche
ai diversi comportamenti sociali:
Gatti 1928, Ceramiche Rometti (Jean-
Quadreria Triennale Milano 4 settembre-31 ottobre 2021 a cura di Ugo La Pietra
espressioni formali e decorative,
Christophe Clair), Matteo Cibic,
sempre cariche di un alto quoziente di
Antonella Cimatti, Giovanni Cimatti, Guido De Zan, Pablo Echaurren, Elica
A seguire “Mirabilia” e “Vitrea” si
(Elisabetta Bovina e Carlo Pastore),
inaugura “Fittile”, la terza esposizione
Candido Fior, Fos (Piero Mazzotti),
di artigianato artistico del ciclo
Evandro Gabrieli, Bruno Gambone,
“Mestieri d’arte. Crafts Culture”, nato
Alfredo Gioventù, Lucio Liguori,
dalla collaborazione tra Triennale
Federica Marangoni, Ugo Marano,
Milano e Fondazione Cologni dei
Antonietta Mazzotti, Tullio Mazzotti,
Mestieri d’Arte, per sostenere e
Giovanni Mengoni, Ignazio Moncada,
promuovere l’eccellenza artigiana in
Nicoló Morales, Mirta Morigi, Matteo
Italia. La mostra, curata da Ugo La
Nasini, Simone Negri, Tonino Negri,
Pietra, è un’occasione per conoscere
Ugo Nespolo, Marta Pachon Rodriguez,
le migliori produzioni artistiche di
POL Polloniato, Karin Putsch Grassi,
alcuni Maestri artigiani e artisti,
Francesco Raimondi, Alessandro Roma,
esponenti importanti dell’arte
Gabriella Sacchi, Andrea Salvatori,
ceramica italiana, che torna da
artisticità. Oggi, in Italia, la ceramica
Giancarlo Scapin, Luigi Serafini,
protagonista in Triennale, come
si esprime attraverso un sempre più
Tarshito, Nello Teodori, Luca Tripaldi,
osserva il Presidente Stefano Boeri,
ampio numero di artisti e artigiani
Ferdinando Vassallo, Silvia Zagni.
ponendosi su una linea di ricerca
quasi sempre legati, direttamente o
Il catalogo italiano/inglese, offerto in
che affonda le sue radici nelle prime
indirettamente, alle aree di tradizione.
omaggio al pubblico, presenta una ricca
Esposizioni alla Villa Reale di Monza,
Le opere presentate in questa
documentazione fotografica dei pezzi
prodromi della futura Triennale.
mostra sono una non completa
esposti, corredati da esaurienti schede
«La più antica espressione di cultura
rassegna rappresentativa di Autori
che illustrano le opere dei singoli
materiale italiana (come anche
che esprimono la capacità di creare
Maestri, come pure la versione web.
quella di ogni Paese bagnato dal
attraverso un’abilità nella lavorazione
www.fittilemilano.it
e un indubbio linguaggio espressivo personale. Tecnica e poetica i due valori che con la loro duplice presenza danno significato alla mostra. Concettualità e spettacolarità sono i due parametri che troviamo spesso presenti in identiche proporzioni negli oggetti esposti. Oggetti che si rifanno al principale archetipo di uso comune, ma anche dotato di una forte carica simbolica: il vaso.» Con queste premesse Ugo La Pietra ha selezionato su tutto il territorio italiano una cinquantina di Maestri d’arte chiamati a esporre le loro opere in ceramica, negli stili e con le tecniche più disparate, con un minimo comun denominatore: la grande creatività e il sapere della mano.
Doppia Firma. Il Giardino Talentuoso Palazzo Morando, Milano 5-12 settembre 2021
opere uniche, originali, specchio di
Dimensione Marmo. C’è poi la coppia
una cultura attuale capace di fare
formata dalla designer concettuale
tesoro della propria storia. I materiali
milanese Elena Salmistraro e dai
scelti sono vari: ceramica, tessuto,
mosaicisti di Udine Laura Carraro e
legno, metallo, terracotta, mosaico,
Mohamed Chabarik. Da Rotterdam
marmo. Queste sono le coppie di
lo studio Odd Matter, dell’olandese
Doppia Firma 2021: Adam Nathaniel
Els Woldhek e della bulgara Georgi
Furman, giovane pluripremiato
Manassiev, ha affidato il suo progetto
creativo londinese, eclettico e
alla bottega sarda Bam Design,
amante del colore, ha elaborato il
artigiani dei metalli, fondata da Tonino
suo progetto con Bottega Nove di Christian Pegoraro, imprenditore veneto specializzato in mosaici in ceramica e porcellana. Barnaba Fornasetti, erede del padre Piero, non solo dell’azienda di famiglia ma anche della sua genialità e libertà creativa, dialogherà con Giovanni Bonotto, quarta generazione di una manifattura Un nuovo, atteso appuntamento per
tessile che sostiene il lusso
una mostra sull’eccellenza manuale e
dell’artigianalità. Dorothée Mailichzon,
progettuale: in occasione del Salone
artista e decoratrice francese che ama
del Mobile di Milano si svolgerà la
creare atmosfere, affida ai Morelato,
quinta edizione di “Doppia Firma,
grandi ebanisti del veronese, la sua
dialoghi tra pensiero progettuale e alto
visione in legno. C’è poi Destroyers/
artigianato”, un progetto presentato da
Builders, studio fondato dalla giovane
Bruno con i figli Vittorio e Andrea.
Michelangelo Foundation for Creativity
designer belga Linde Freya Tangelder,
Marcin Rusak, artista multidisciplinare
and Craftsmanship, nato da Fondazione
che presenterà il suo progetto con la
nato a Varsavia con studio a Londra,
Cologni dei Mestieri d’Arte e Living,
storica Fonderia Artistica Battaglia di
ha sviluppato il suo progetto insieme
il magazine del Corriere della Sera.
Milano. Tutto italiano invece il team
alla nota manifattura romana Poignée.
Ancora una volta, dopo ormai quattro
composto dal designer fiorentino
Dal Regno Unito Philippe Malouin
edizioni, si potrà ammirare il talento
Duccio Maria Gambi con il Maestro
ha scelto Daniele Mingardo, Maestro
dei grandi Maestri d’arte che daranno
ceramista Poggi Ugo. Così come
del metallo, per dar vita al suo design.
vita alle idee di artisti e designer, in uno
quello formato da Federica Elmo,
L’olandese Sabine Marcelis ha infine
scambio creativo fruttuoso e reciproco
designer industriale romana, con
affidato alla manifattura veneta
Le opere saranno esposte nello storico
Stylnove la realizzazione del suo
Palazzo Morando, magnifico edificio
disegno in ceramica.
seicentesco nel cuore di Milano, più
Ospite speciale della mostra sarà
precisamente nel Cortile d’Onore,
Ugo La Pietra, che presenterà un suo
messo generosamente a disposizione
storico progetto di vasi contenitori
della Fondazione dal Comune
per il verde in ceramica e terracotta, in
di Milano. Tema dell’edizione del 2021
una speciale installazione. Un omaggio
sarà il giardino e il vivere all’aperto.
al grande designer e mentore delle
Le coppie di espositori sono 10: i
arti applicate. Il progetto è stato
designer coinvolti provengono da
coordinato da Alessandra Salaris,
diversi Paesi europei, mentre gli
l’allestimento dal suo Studio.
artigiani sono tutti italiani. Scopo della
Le foto di Laila Pozzo e il video
manifestazione è quello di mostrare
realizzato da Emanuele Zamponi
quanto la creatività e il saper fare
documentano con magnifiche
della mano, unite alla tradizione e
immagini il lavoro dei Maestri artigiani.
all’innovazione, possano dare vita a
www.doppiafirma.com
C E N T ’A N N I
di meraviglia di Jean Blanchaert fotografie Archivio Venini Quando nasciamo, il buon Dio distribuisce più o meno equamente a ognuno di noi pregi e difetti. C’è chi è calmo, magari anche buono e vive serenamente. La sua intelligenza sarà stata di intuire che i doni ricevuti andavano curati come piante, non potevano rimanere senz’acqua. C’è invece chi è irrimediabilmente pigro e si lascia trasportare dalle onde. Gli auguriamo di essere almeno molto attraente perché avrà bisogno di aiuto. Potremmo andare avanti all’infinito con questi esempi e riusciremmo a mettere insieme centinaia di combinazioni: simpatico e incapace (pericoloso per un medico), colta e buona (ideale per una maestra elementare), educato ma distratto (non grave per un pittore, criminale per un autista di scuola bus). Alcune combinazioni però sono rarissime (un paio ogni cento anni) e se si verificano sembra di essere a Las Vegas quando sullo schermo di una slot machine compaiono tre cammelli, tre cactus e tre elicotteri. Accade all’incirca ogni cinquant’anni. Tutto si blocca, le slot cominciano a suonare all’impazzata, il direttore del casinò viene personalmente a controllare che ogni cosa sia in regola e a consegnare al fortunato giocatore un assegno esentasse di quindici milioni di dollari. Il 12 gennaio 1895, a Cusano Milanino (Milano), nacque Paolo Venini. Nevicava. Il 18 febbraio 1898, a Modena, nacque Enzo Ferrari. Nevicava. Fu così che la natura decise di salutare l’arrivo di due grandi geni italiani. Era uscita la combinazione cammelli-cactus-elicotteri, cioè imprenditore-artista-visionario. Se Ferrari è sinonimo della più bella automobile del mondo, Venini significa il più bel vetro del mondo. Diceva il grande banchiere Jacob Safra: «If you choose to sail upon the seas of banking, build your boat, with the strength to sail safely through any storm». Ferrari e Venini hanno saputo attraversare un mare di difficoltà e di tempeste finanziarie rimanendo 30
L’arte del vetro si trasmette attraverso la memoria e i gesti dei suoi grandi artefici. I capolavori di Venini raccontano un sogno, una passione, una lunga storia di maestria veneziana.
eccellenze assolute perché i fondatori hanno costruito le loro fabbriche come la barca di Safra. Se Enzo Ferrari aveva l’orecchio assoluto di un musicista che gli permetteva di entrare nell’anima di un motore e capirlo, Paolo Venini aveva l’occhio assoluto grazie al quale ha portato nella tradizione millenaria del vetro grandi capolavori, immagini concrete di un pensiero nuovo. La scintilla, la passione fra Paolo Venini e il vetro di Murano scoppiò durante la prima guerra mondiale. Era ufficiale di Artiglieria-Trasporti a Cavallo di stanza sull’Isonzo (lo stesso reggimento di Umberto Boccioni). Durante una licenza, nel 1915, capitò a Murano. Fu un colpo di fulmine. In questo mondo ancora medievale dove la straordinaria abilità di alcuni Maestri vetrai si tramandava di generazione in generazione, a volte per centinaia di anni, l’imprenditore-artista-visionario capì che la sua vita sarebbe stata lì. Aveva sete di vivere e di realizzare il suo sogno. Nel 1919 tornò a Milano, fece un po’ l’avvocato (era laureato a Pavia), un po’ il notaio ma, già nell’aprile del 1921, con l’antiquario veneziano Giacomo Cappellin aprì una fornace a Murano. Avevano anche un negozio prospicente la Basilica di San Marco. Come direttore artistico scelsero il pittore Vittorio Zecchin, che aveva già molta pratica di vetreria e che fu uno dei primi a valorizzare due caratteristiche essenziali del vetro muranese: la limpidezza e la leggerezza. Inventò il vaso Veronese. Nel frattempo, Paolo Venini divise la società con Cappellin, 32
si sposò con Ginette Gignous e si trasferirono a Venezia. Col passare degli anni, a Murano rimasero i foresti, a Venezia divennero i nuovi dogi. Il vetro Venini, già negli anni Cinquanta, era in tutto il mondo. Silvia Damiani, Presidente di Venini, racconta: «Nel corso di questi cent’anni di storia e passione, Venini ha custodito e interpretato un patrimonio artistico unico, che affonda le proprie radici nella cultura veneziana del 1200, dando vita a opere inconfondibili capaci di fondere insieme i profondi saperi della tradizione con il fascino dell’estetica contemporanea». Fin dalla sua fondazione, i Maestri vetrai sono sempre stati il cuore, la memoria e la forza della fornace: nel mondo del vetro non esistono scuole, solo insegnamenti che si tramandano a voce, con i gesti e i movimenti. Questi nobili artigiani hanno dedicato e dedicano all’arte del vetro gran parte della vita perfezionando sempre di più le proprie abilità. Se fossimo in Giappone alcuni di loro sarebbero Tesori Nazionali Viventi. Il loro grande merito è stato quello di comprendere i desiderata degli artisti che venivano in Venini, mettendosi anche in comunicazione telepatica con loro, obbedendo alle indicazioni ricevute ma, inevitabilmente e fortunatamente, mettendoci del proprio. Ecco alcuni nomi mitici dei Maestri ai tempi di Paolo Venini: Arturo Biasutto (Boboli), Oscar Zanetti (Saor), Ferdinando Toso (Fei), Giacomo Toffolo, Oreste Toso, Mario Tosi (Grasso), Mario Coletti (Farai) e Checco Ongaro. È grazie a loro che Vittorio Zecchin, Napoleone Martinuzzi, Tomaso Buzzi, Tyra Lungren, lo stesso Paolo Venini, Carlo Scarpa, Gio Ponti, Ken Scott, Tobia Scarpa, Ludovico De Santillana, Fulvio Bianconi, Thomas Stearns, Toni Zuccheri, Tapio Wirkkala hanno visto tradursi in vetro le loro idee. Negli ultimi cinquant’anni, nonostante i numerosi cambi di proprietà, lo spirito di ricerca e innovazione è rimasto vivo. Laura de Santillana, Alessandro Diaz de Santillana, Gae Aulenti, Fratelli Campana, Philip Baldwin e Monica Guggisberg, Ettore Sottsass, Tadao Ando, Alessandro Mendini, Giorgio Vigna, Emmanuel Babled e Peter Marino sono soltanto alcuni fra gli artisti e i designer che hanno contribuito grazie alla loro collaborazione con Venini a mantenere alto il nome di Murano. Oggi la Venini è più viva che mai! La direzione artistica è affidata a Michela Cattai, artista, che continua la tradizione della ricerca di nuove tecniche, nuovi colori e degli incontri e dei progetti eccellenti. Venini ha 100 anni, ma non li dimostra! •
In apertura, Bolle, design Tapio Wirkkala, 1966. Vetro, colore e aria: i vasi sono realizzati con la tecnica ad incalmo, che consiste nell’accoppiare a caldo due forme soffiate, così da ottenere in uno stesso oggetto zone differenziate di colore diverso. A sinistra, Pyros, design Emmanuel Babled, 2017. L’opera raccoglie in sé tutta la spontaneità di un gesto pittorico interpretata dai bolli di colore delicatamente appoggiati sulla superficie vitrea. Qui, Riflessi, design Michela Cattai, 2019. L’opera nasce da una profonda sensibilità e ricerca per l’arte vetraria del vetro soffiato di Murano: l’eredità della manifattura accostata alla creatività ha potuto, con l’abilità dei Maestri vetrai, creare una canna vitrea composta da riflessi cromatici unici.
A sinistra, Crinoline, design Gio Ponti, 1947: dal genio dell’eclettico designer nasce questa bottiglia realizzata in vetro soffiato con un prezioso decoro in vetro applicato a caldo. In questa pagina, Veronese, design Vittorio Zecchin, 1921. In occasione del primo centenario, Venini ha realizzato un’edizione limitata di cento pezzi, in due diverse dimensioni, della sua opera più emblematica: il Veronese. La creazione è riproposta in rosa cipria con dettagli rosso sangue di bue. Nel dettaglio, una fase di lavorazione all’interno della fornace.
Alchimia
D E L M E TA L L O di Alessandra Quattordio
Dalla sfida tra l’uomo e la materia, dall’incontro tra manualità, tecnologia e design, il metallo diventa protagonista di progetti d’arredo scultorei. Albino Celato, erede della Manifattura De Castelli, è l’alchimista custode di un’arte ardua, tra concretezza e sperimentazione.
La Galleria all’interno dello showroom De Castelli, a Milano, disegnato da Cino Zucchi. Scandita da archi incompleti, con elementi frontali a T in rame DeMaistral brunito, ospita alcune novità della produzione. Da sinistra, tre proposte 2021: panca Wave, design Lanzavecchia + Wai; tavolino Alpha, design Martinelli Venezia; tavolo da gioco Burraco, design di Zanellato/Bortotto. Foto: Marco Menghi.
Tavolo da gioco Burraco, design Zanellato/ Bortotto, 2021. Piano in rame naturale con finitura DeErosion e quattro piccoli vassoi estraibili; sgabelli con base in rame e seduta in velluto. Foto: Alberto Parise. A destra, mobile bar Barista, design Adriano Design, 2021. Rame naturale con bacchette di diverso diametro saldate sulle superfici, interno a specchio. Foto: Alberto Parise.
Fuoco e incudine furono nei tempi più remoti gli attributi dell’homo faber che plasmava potenti utensili in ferro: armi o attrezzi d’uso quotidiano. Scriveva lo storico Mircea Eliade, cultore dell’intreccio fra arti del metallo e alchimia, alludendo al dio Efesto: “La cooperazione tra il Fabbro divino e gli Dei non si limita alla sua partecipazione al grande combattimento per la sovranità del mondo. Il Fabbro è anche l’architetto e l’artigiano degli Dei”. Trasponendo questa metafora ai giorni nostri, quanto la tradizione fabbrile si leghi mirabilmente all’ars aedificandi si conferma nella complicità tra manifatture e progettisti. Prova ne è, nel Trevisano, la manifattura di arredi e superfici in metallo De Castelli, giunta alla quarta generazione con Albino Celato, che a Crocetta del Montello tutela l’eredità del bisnonno Luigi, Maestro del ferro. Qui i monti asolani giganteggiano e il Piave scorre maestoso a est, diramandosi in canali tra cui il Brentella. Celato racconta: «Erano le sue acque, ‘motore’ della ruota che dava vigore al maglio, ad aiutare il bisnonno a forgiare il ferro 38
trasformandolo in badile o vomero». Con l’ingresso di Albino in azienda, negli anni Ottanta, le cose mutarono: per la realizzazione di componenti d’arredi conto terzi, a fianco delle lavorazioni manuali, furono introdotti programmazione digitale e taglio laser. Ma presto si avvertì l’esigenza di imprimere un carattere più personale al prodotto, e la contaminazione fra artigianalità, tecnologia e design parve la carta vincente. La gamma dei materiali si configurava con precisione: a ferro e acciaio si aggiungevano rame e ottone, metalli prìncipi sia per la produzione a catalogo – studiata con architetti, come Aldo Cibic e Michele De Lucchi, e messa a punto internamente all’azienda – sia per quella realizzata via via in partnership con marchi affini per eccellenza – Boffi o Paola Lenti –, sia per il custom – su disegno di interior designer e architetti di fama internazionale come Pezo von Ellrichshausen e Cino Zucchi. Quest’ultimo è, tra l’altro, autore nel 2014 del “portale” del Padiglione Italia all’Arsenale, per la 14a Biennale d’Architettura di Venezia: ad arco, a doppia curvatura, modellato come un grande orecchio per
raccogliere segnali cosmici e convogliare suggestivamente i visitatori all’interno dell’edificio, Archimbuto (divenuto permanente) esprime la visionarietà di chi l’ha progettato e l’alta manifattura di De Castelli, che con sapienza l’ha modellato in acciaio corten. Analoghe le scansioni ad arco ideate da Zucchi per lo show room De Castelli a Milano, in via Visconti di Modrone. All’ingresso, le absidi – in ottone spazzolato e ossidato, a doppia formatura manuale – denotano l’attitudine sperimentale anche nelle qualità sonore, che profumano di antichi riti fabbrili. Negli interni, le articolazioni degli spazi e gli arredi della sala centrale sono sempre giocati da Zucchi sull’armonia di sontuose cavità. A lato, nella Materioteca, campioni di lastre come piccole pale d’altare profano, testimoniano la duttilità dei metalli. Spiega Albino: «Il concetto di manifattura si esplica in prodotti realizzati con macchine ad alta tecnologia, ma trattati artigianalmente quanto a finiture delle superfici: saldatura, ossidazione, erosione, satinatura, spazzolatura, brunitura, ma anche formatura della lastra stessa. Una volta era eseguita
dai ‘battilastra’, figure oggi presenti solo nel settore dell’auto d’epoca. Noi le stiamo reintroducendo grazie alle attività di formazione che da sempre perseguiamo». Novello alchimista, Albino Celato ha dunque molte frecce al suo arco. Esplicite le denominazioni attribuite alle finiture metalliche ideate dall’azienda. Fra le tante: DeLabré: ossidazione manuale a nuvolature; DeOpale: ossidazione con effetti cromatici tipici dell’opale di fuoco; DeMarea: effetto marea, simile a quello lasciato dalle onde sulla battigia; DeErosion: a erosione controllata; oppure DeMosaic: a tessere componibili. Tutti sono utilizzati nell’ambito dei tre rami di produzione: Surfaces (rivestimenti), Architectural (custom), Collection (arredi). Fra le proposte eclatanti, la panca in rame di 4 millimetri Wave di Lanzavecchia + Wai; il mobile Barista effetto canneté di Adriano Design; il tavolo Burraco di Zanellato/Bortotto. Infine, l’intramontabile cabinet Celato, con cassetti invisibili, rivestiti di ferro, acciaio, ottone, rame: micro architettura e summa di mitici saperi, tramandati in una manifattura che custodisce il bello e lo proietta nel futuro. • MESTIERI D’ARTE & DESIGN
39
La “Materioteca” si apre all’interno dello showroom De Castelli, inaugurato in via Visconti di Modrone 20, a Milano, nell’aprile scorso. Qui sono custoditi i campioni di metalli come acciaio inox e corten, alluminio, ferro, ottone, rame, caratterizzati da diverse finiture: ossidazioni, spazzolature, bruniture, erosioni, texture, pattern. Foto: Marco Menghi.
MOSAICO Collection handcrafted in Italy
serapian.com
Qui, Amarcord, mogano grigio chiaro e teak, design Romeo Sozzi, Promemoria. Il disegno crea una texture geometrica che conferisce una profondità tridimensionale a questo mobile contenitore componibile. A destra, Amaranth, amaranto e acero, design Lars Beller Fjetland, Bottega Ghianda. Le anatre, prendendo spunto da un’antica tradizione matrimoniale coreana, sono il simbolo di un’unione che dura per tutta la vita.
D a l l a p a r t e
del cuore
di Marina Jonna fotografie di Daniele Cortese
Una giornata nella falegnameria di Promemoria a Valmadrera, dove sapienti artigiani creano arredi unici. Un viaggio all’insegna della passione attraverso i materiali, con la guida d’eccezione di Romeo Sozzi.
MESTIERI D’ARTE & DESIGN
43
Un luogo profumato, rassicurante. Siamo nella sede di Promemoria, a Valmadrera, a due passi dal lago di Como, che influenza e ispira parte dei lavori che qui prendono vita. Ci sono gli artigiani che lavorano con la cura e la dedizione che merita un materiale nobile e vivo come il legno. Ci sono le macchine computerizzate che li accompagnano, migliorando la qualità dei lavori meccanici e diminuendo i costi, permettendo ai Maestri di risparmiare le forze per le lavorazioni più complesse: validi collaboratori che preparano al meglio le basi di un’opera che si esprimerà con la passione che dalla testa si trasferisce alle mani. Un amore che pervade tutto e permea le parole e i gesti di Romeo Sozzi, instancabile patron, che racconta la bellezza del legno e delle pelli e di come tutto sia fatto con impegno e dedizione. La storia inizia nell’Ottocento, quando la famiglia Sozzi gestisce una bottega che restaura le carrozze dell’aristocrazia: da qui l’origine di una passione sfociata nel 1988 con la fondazione di Promemoria, oggi alla quarta generazione. Un’immagine, quella della rana, che identifica il brand, ed è emblema di metamorfosi, trasformazione a cui segue una liberazione, dal punto di vista simbolico: è la strabiliante capacità di adattamento, la versatilità, che permette alla rana di evolversi pur restando sempre se stessa nella sostanza. Come accade a Promemoria, che nella sua recente riacquisizione da parte della famiglia Sozzi sottolinea un punto fermo della filosofia imprenditoriale alla base dei suoi successi: il fare bene, mantenendo le origini italiane di una tradizione artigianale impeccabile, volta a realizzare prodotti che portino con sé una storia, dalla scelta della materia prima fino allo sviluppo del prodotto, seguendone le inclinazioni naturali e le sfumature. Traendo forza e ispirazione da tutto ciò che ci circonda. «Gli spunti per creare arrivano da molte parti e, soprattutto, quando meno te lo aspetti. Da una lettura, da un incontro: l’importante è lasciare la mente aperta e libera di far entrare nuovi stimoli. La radice non cambia: è la nostra storia, la conoscenza, la cultura» racconta Romeo Sozzi. «L’idea gira in testa di notte e di giorno fino a quando si concretizza: da lì nasce la forma dell’oggetto o del mobile. A volte arriva con il dialogo: quando realizziamo dei progetti tailor made, ci confrontiamo con i clienti. Ascoltiamo i loro sogni e 44
impariamo a conoscerli. Fondamentale è anche l’incontro con la casa che li accoglierà: i materiali con cui è fatta, l’incidenza della luce naturale, il luogo dove è costruita. Da qui poi nascono le nostre idee per riuscire a realizzare ciò che loro desiderano ma a cui non riescono dare una forma» spiega Romeo Sozzi. Un percorso in continua evoluzione sospinto dalle emozioni e dall’impegno di voler far sempre meglio, ideando arredi concepiti sul benessere, sul piacere delle forme e della fruizione, connessi con una produzione industriale che esalta l’artigianalità delle lavorazioni. «Una cosa che ho sempre amato nel rapporto con i mobili è l’emozione che trasmettono con il tatto. Quando abbiamo avuto la fortuna di acquisire la bottega di Pierluigi Ghianda, sono entrato nel suo laboratorio: toccare i suoi capolavori mi ha trasmesso la storia di chi li ha realizzati.» Accanto alle lavorazioni di alta ebanisteria si affiancano quelle di altri materiali, come il marmo, il vetro o il nichel, che donano contemporaneità alle lavorazioni artigianali. E i tessuti raffinati o le preziose pelli che rivestono gli arredi di Promemoria arrivano da una ricerca ad hoc che nulla lascia al caso. Una sapienza che, nei progetti futuri di Romeo Sozzi, potrebbe dar vita a una scuola, per riuscire a tramandare l’importanza di un mestiere artigianale che non si deve perdere. Visitando la falegnameria di Promemoria è possibile ritrovare una radice antica e autentica, guardando le mani abili degli artigiani comporre arredi come Amarcord, il mobile contenitore nato dalla matita di Romeo Sozzi, caratterizzato dagli intarsi delle ante realizzati con maestria. O anche Eloise, una sedia la cui struttura è il risultato di un sapiente equilibrio tra vuoti e pieni, tra forme avvolgenti e rigore geometrico. Equilibri, appunto. Che definiscono un’eleganza gentile, non urlata, che coinvolge diversi sensi: dalla vista al tatto, passando anche per l’olfatto, che rimanda a profumi antichi. Su uno scaffale, la silhouette elegante di Amaranth, una piccola anatra realizzata dagli artigiani di Bottega Ghianda: all’interno del suo corpo un comparto segreto, accanto al cuore, per custodire oggetti preziosi. Mi avvicino, l’accarezzo e mi accorgo che sì, è vero: il legno è così morbido che mentre lo sfiori pare restituirti la carezza. Basta questo per capire la differenza. Al di là delle parole. •
Un dettaglio della tecnica dell’intarsio utilizzata per le ante del mobile Amarcord in essenze varie come l’amaranto, il mogano grigio e il teak. Realizzato a mano negli atelier di Promemoria a Valmadrera, sulle sponde del lago di Como. Foto: courtesy Promemoria.
In alto, mobile Onde, palissandro,
A destra, dettaglio di Mademoiselle
design Romeo Sozzi, Promemoria.
Tecla, ebano Macassar, design Romeo
L’immagine è tratta dal libro Romeo
Sozzi, Promemoria. Il prezioso cabinet
Sozzi & Promemoria - la Manifattura
de curiosité è decorato con onde di
dei sogni, edito da Rizzoli.
bronzo e stelle ottenute da piccoli frammenti di bronzo, incastonati nel legno grazie a una tecnica inedita.
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Alla fine del processo di filatura, tutti i tessuti Bonotto sono meticolosamente verificati e ogni piccola imperfezione sistemata per soddisfare le più alte esigenze. Qui, un'artigiana ritocca un filato sull'apposita tavola luminosa dove la bobina di tessuto scorre a comando dall'alto verso il basso.
ELOGIO
DELLA
LENTEZZA di Simona Segre Reinach fotografie di Susanna Pozzoli
Competenza manifatturiera, sperimentazione, i tempi lunghi del lavoro artigiano. Fabbrica Lenta realizza manufatti unici, dove arte e perizia si fondono in un’officina creativa e produttiva, sostenuta da un’etica controcorrente.
Il testo che segue è la sintesi di una conversazione con Giovanni Bonotto su Fabbrica Lenta e sul rapporto tra arte, design e manifattura. Fabbrica Lenta è nata nel 2017 per mettere ordine in cose che erano successe nella vita della mia famiglia. Il mio papà Luigi cominciò a ospitare gli artisti negli anni Settanta in casa e in fabbrica. In quegli anni tutto si mescolava, nascevano video arte, happening e performance. Essendo la nostra una manifattura c’erano l’officina, gli elettricisti, il tornio e tutto ciò che poteva servire agli artisti per sperimentare. Conserviamo duecento poster autografati delle azioni di Joseph Beuys, a testimonianza dell’opera. Ricordo ancora John Cage e Philip Corner che catturavano i suoni sequenziali della fabbrica in produzione – così è nata la techno music. Da questa biodiversità, dall’ospitare persone molto diverse da noi, si è creato un humus culturale che ci ha destrutturato il pensiero. Gli artisti, oltre trecento sono passati di qui, ci hanno regalato un atteggiamento mentale, ci hanno messo gli “occhiali
della fantasia”. Abbiamo visto i veri grandi artisti, noi siamo piccolissimi artisti che vorrebbero lavorare a regola d’arte per produrre oggetti d’arte. Una fabbrica d’arte. Siamo in duecento – non è mai rose e viole, non basta l’idea, ci vogliono le persone che abbiano l’amore per eseguire i prodotti, altrimenti resta un fatto teorico. Fabbrica Lenta mette al centro le persone e il fare. È la cultura delle mani, una cosa non viene mai fuori subito, bisogna provare e riprovare, ricominciare da zero. I telai degli anni Cinquanta richiedono maestria e sensibilità manufatturiera. Regolandoli a mano riesci a tessere degli intrecci che le macchine standardizzate non sanno più fare. Bonotto è una manifattura che dà reddito e stipendio, ma è anche un’industria culturale dove formalizziamo delle idee, che sono il nostro vero tesoro. È dura lavorare in fabbrica otto ore al giorno, ma se vedi il tuo prodotto nelle vetrine di Chanel, Gucci, Balenciaga, Louis Vuitton e sai che l’hai fatto tu perché ti sei incaponito nel trovare una soluzione, è una soddisfazione che non ha pari. Senza le mani intelligenti sostenute dalla passione e dall’amore noi non riusciremmo a produrre. I più anziani sono MESTIERI D’ARTE & DESIGN
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A sinistra, con un gesto veloce un'artigiana
A destra, dopo un lento procedimento
annoda le trame tessute a macchina.
di lavatura e un calcolato trattamento per infeltrire leggermente il tessuto,
orgogliosi di insegnare ai giovani e i giovani sono bravissimi perché si appassionano. Ho passato tanti anni della mia vita a viaggiare in cerca di materie prime autentiche e originali. Per esempio, ho imparato a tessere le coperte di lana da una tribù berbera sui Monti Atlas. Rick Owens se ne è innamorato e ne ha fatto una collezione. Non siamo solo una fabbrica che sa fare cose complicate, siamo un organismo intellettuale e produttivo “in wifi” con il mondo. Benissimo i telai del 1956, ma non siamo Mastro Geppetto, abbiamo anche il telaio digitale. Tu da New York mi chiedi una lavorazione speciale, noi dopo due ore te la mandiamo per email – oppure condivido lo schermo e la costruiamo insieme. La Bonotto attrae clienti e designer del lusso da tutto il mondo. Vengono a vedere come vediamo la moda noi. Con il mio team condivido l’ambizione di credere che qui nascano molti trend. Abbiamo storie meravigliose che raccontiamo in un linguaggio contemporaneo. Dobbiamo far sì che anche i nuovi ricchi del mondo si innamorino del nostro DNA. La Bonotto spa è l’entrata industriale. A pari merito c’è la Fondazione Bonotto nata nel 2013: due entrate separate che si uniscono e si sostengono reciprocamente. Il lato intellettuale 50
Sopra, ritratto del direttore creativo
l'artigiano verifica a mano il filato
di Fabbrica Lenta, Giovanni Bonotto.
di lana morbido, sodo e compatto.
e culturale diventa progettuale. La Fondazione ospita artisti e si proietta all’esterno: con il Centre Pompidou di Parigi abbiamo lanciato un premio per nuove forme di letteratura contemporanea; al Palais de Tokyo siamo stati ospiti per tre mesi, lo stesso a Londra alla White Chapel. In occasione delle prossime Olimpiadi di Tokyo stiamo organizzando un evento straordinario. Nel 2017 Zegna è entrato come azionista nella Bonotto portando in dote la disciplina industriale internazionale, che è oro per duecento persone che fanno i Maestri artigiani e producono tessuti con spirito artistico. Nel 2019 Bonotto Fabbrica Lenta è stata insignita del Green Carpet Award come Sustainable Producer dalla Camera Nazionale della Moda Italiana: abbiamo ricoperto il colonnato della Scala di Milano con l’arazzo di un giardino tropicale di plastica interamente riciclata. Nel 2020 abbiamo ricevuto il premio Première Vision Fabrics Fashion Smart Creation per aver tradotto i codici del lusso nella cultura del riciclo e della tracciabilità. Questo siamo oggi. Siamo qui con tanta fatica, ma anche con tanta voglia di portare avanti questa storia. Per noi fare arte e lavorare è la stessa cosa. Vogliamo essere una comunità di persone. •
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Close up di uno dei telai meccanici
la creazione di tessuti unici, resistenti,
storici che in Bonotto sono ancora
elaborati e dal sapore antico.
pienamente a lavoro permettendo
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UNA G R A N DE STOR I A I TA L I A NA ,
made in Milano
di Alba Cappellieri
Qui, collana Elettra con lavorazione tulle e diamanti, collezione Buccellati Cut-Diamond. A destra, anello Gelsomino con topazio e tormaline Paraiba, collezione Il Giardino di Buccellati, Haute Couture 2021. Foto: Archivio Buccellati.
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Tecniche orafe del mondo antico si rinnovano e si elevano grazie all’estro creativo e alla visione imprenditoriale dei Buccellati. Gioiellieri d’arte da quattro generazioni, creano capolavori di raffinata bellezza con un’impronta inconfondibile.
Quella dei Buccellati è una bella storia che dell’Italia simboleggia la creatività, la bellezza, l’artigianalità, l’innovazione, la centralità della famiglia tra affetti e affari. Buccellati è l’unica maison orafa ad aver dato il nome a uno stile del gioiello, riconosciuto nel mondo, grazie a quattro generazioni che, dal 1919 a oggi, hanno saputo innovare le migliori tradizioni orafe italiane, facendole rivivere in gioielli dall’eleganza contemporanea e inconfondibile. Mario Buccellati nasce ad Ancona il 29 aprile 1891, ma la prematura scomparsa del padre spinge la madre, Maria Colombani, a trasferire Mario e i suoi fratelli Melchiorre, Margherita e Carlo, nella “grande Milano” nel 1903. Se agli inizi del Novecento Parigi era la Itaca delle arti in Francia, Milano lo era dell’Italia e la storia dei Buccellati ha il suo incipit proprio qui. Il capoluogo lombardo ha avuto, e ha tuttora, un ruolo importante per i Buccellati, che dal 1919 a oggi hanno qui il centro delle loro attività e che sono eccellenti interpreti di quella “milanesità” dal garbo raffinato e dall’eleganza sobria. A Milano, Mario ottenne un apprendistato presso gli orafi Beltrami-Besnati: anni intensi, in cui Mario imparò avidamente il mestiere, fino allo scoppio della Prima guerra mondiale, dove combatté, fu ferito sul Carso e ricevette una croce al merito. Nel 1919, rilevò l’attività e si dedicò completamente al lancio della sua “ditta di lavori in argenteria
e gioielleria d’arte”. Il successo fu immediato e nel 1921 partecipò alla sua prima esposizione internazionale, a Madrid, dove i suoi gioielli furono acquistati dalla regina madre Maria Cristina d’Asburgo e Lorena, dal principe Pio di Savoia e dalla marchesa de Casa Irujo, suoi primi clienti reali. Un anno più tardi, a Milano, nel pomeriggio del 2 agosto 1922, avvenne un incontro che cambiò per sempre la sua vita: quello con Gabriele D’Annunzio che, passeggiando per Largo Santa Margherita, “provò immediata simpatia per quel giovane gioielliere, dall’estro creativo e innovativo.” Da quel giorno il Vate intrattenne con l’orafo un rapporto costante, attestato da un corpus di 83 lettere scritte dal 1922 al 1936, in cui lo definì “il principe degli orafi”, per la sua abilità nel creare oggetti mirabili e la capacità di interpretare e soddisfare le sue più insolite richieste. Tra i gioielli più significativi realizzati per lo scrittore ricordiamo il sautoir del 1923 con berillo giallo e rubini e i tre esemplari di portasigarette del 1929; il bracciale snodato con lapislazzuli del 1928, o la piccola scatola commemorativa con il motto dannunziano “Io ho quel che ho donato” del 1930. Dalla presenza immutata dello storico punzone “15 MI”, il quindicesimo di Milano rilasciato dalla Zecca nel 1934, i gioielli Buccellati sono simbolo di creazioni di impareggiabile qualità che attingono, rinnovandolo, al patrimonio di MESTIERI D’ARTE & DESIGN
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straordinarie tecniche orafe che l’Italia ci ha donato. Portare l’intreccio rarefatto del tulle veneziano sulla lastra d’oro fu una delle maggiori sfide che il giovane Mario Buccellati affrontò e che il figlio Gianmaria ha poi raffinato nel tempo, al punto che il tulle o il nido d’ape contraddistinguono tuttora lo stile Buccellati. Dai primi capolavori di Mario come la spilla del 1925 o la tiara del 1929, passando per le sontuose coppe di Gianmaria fino alle raffinate creazioni di Andrea Buccellati, la Maison ha elevato ad arte le tecniche orafe del mondo antico con un savoir-faire unico. Ma l’elemento distintivo è la ricca qualità materica, raggiunta grazie alla caparbia determinazione di Mario e dei suoi eredi nel voler innovare la tecnica dell’incisione, donandole effetti di morbidezza e tridimensionalità, che la Maison ha creato con texture originali come il rigato, il telato, il segrinato, l’ornato, il modellato. Dopo i negozi di Milano, Roma e Firenze, nell’immediato dopoguerra Mario Buccellati fu tra i primi a comprendere le potenzialità del mercato internazionale e nel 1951 aprì il suo primo negozio sulla 51st Street, nel cuore di New York, e, tre anni più tardi, una seconda boutique sulla 5th Avenue e un punto 56
vendita stagionale sulla celebre Worth Avenue di Palm Beach. Quando Mario morì nel 1965, quattro dei suoi cinque figli ne continuarono l’opera: Lorenzo si occupò degli aspetti amministrativi, dell’archivio e del coordinamento generale, Federico dirigeva i negozi di Roma e Firenze, Gianmaria, che seguiva con il padre la parte creativa e produttiva, quello di Milano, mentre Luca si occupò dell’avventura americana. Solo Giorgio si dedicò a un altro ambito, quello dell’archeologia. Nel 1966 Gianmaria assunse la direzione dei laboratori artigianali e della parte creativa, con la volontà di potenziare il brand e renderlo sinonimo di alta gioielleria a livello mondiale. Unico creativo tra i fratelli, da cui si separò nel 1969, raccolse l’eredità progettuale del padre e, forte della medesima visione imprenditoriale, costruì un gruppo internazionale puntando sulla qualità del prodotto e su una rete distributiva in tutto il mondo. Nell’azienda lavorano oggi la terza e la quarta generazione: Andrea come direttore creativo coadiuvato dalla figlia Lucrezia, la sorella MariaCristina come direttore della comunicazione, il cugino Luca come responsabile dei clienti. Una grande famiglia riunita per suggellare un sodalizio affettivo e professionale fondato sulla bellezza. •
A sinistra, orecchini Cnosso, collezione Buccellati Cut-Diamond. In alto, dettaglio dell’incastonatura del diamante taglio Buccellati di 0,85 carati, novità assoluta e degna celebrazione dei cento anni della Maison dalla sua fondazione, nel 1919. A destra, anello a fascia Aura con lavorazione tulle e diamanti, collezione Buccellati Cut-Diamond. Foto: Archivio Buccellati.
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Qui, Coppa della Regina, Gianmaria Buccellati, 2008, Fondazione Gianmaria Buccellati. Oro giallo, cristallo di rocca, zaffiri sfaccettati multicolore. L’opera deve il suo nome alla particolare forma della montatura, traforata, modellata e incisa a bulino in modo da evocare la corona gemmata di una regina. Foto: Fondazione Gianmaria Buccellati.
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In alto, portasigarette in argento per Gabriele d’Annunzio, Mario Buccellati, 1929, Fondazione Gianmaria Buccellati. I tre esemplari fanno parte di un consistente gruppo di portasigarette: il poeta nutriva particolare passione per questi oggetti, decorati con la sua firma e gli emblemi a lui prediletti. In basso, bracciale snodato con lapislazzuli, Mario Buccellati, 1930, Fondazione Gianmaria Buccellati. Argento e lapislazzuli cabochon montati in castoni con cornice a torsadé. L’opera è firmata “Mastro Paragon Coppella Orafo del Vittoriale”, titolo coniato da Gabriele d’Annunzio per Mario Buccellati. Foto: Fondazione Gianmaria Buccellati.
L’artigianalità e la creatività di Kiton esaltano, giorno dopo giorno, il privilegio di piacere a se stessi. La maison si rivolge a una élite d’innamorati dell’eleganza in grado di apprezzare un abito d’alta sartoria indicativo di un’indole, di un modo di vivere: indossare un buon gusto innato e sciolto dal fluire del tempo.
NORMALITÀ
straordinaria
di Sofia Catalano fotografie di Crescenzo Mazza
La nobiltà si misura in centimetri di autentica sapienza ispirata a una lunga tradizione e all’eccezionale qualità di abiti cuciti a mano. Kiton, uno dei nomi propri dell’alta sartoria partenopea, veste le élite mondiali grazie all’attenzione ai dettagli e al “su misura”: lusso intramontabile fatto a regola d’arte.
«Tutto quello che per alcuni è straordinario, per noi è normalità. Tutto quello che altri esaltano come caratteristica unica fa parte del nostro DNA da cinquanta anni.» Lo afferma con più di una (giusta) punta di orgoglio Antonio De Matteis, amministratore delegato di Kiton, marchio partenopeo che vanta una bella storia di famiglia basata da sempre sull’eccellenza del fatto a mano, da sempre. Nel 1956 il fondatore Ciro Paone, commerciante di tessuti, decide di misurarsi con la confezione: a quei tempi in ogni palazzo di Napoli c’era un sarto, e Ciro inizia con una piccola produzione di cappotti con il nome CiPa, le sue iniziali. È un successo che travalica le aspettative e che arriva addirittura all’estero. Ed è allora che Ciro si rende conto che il nome non va bene: troppo simile a cheap nella pronuncia... e i suoi capi sono tutt’altro che cheap: trasmettono chiaramente autenticità e artigianalità da ogni millimetro. Decide quindi di cambiare e mira in alto: pensa all’abito storico più prezioso che esista, a quel Chitone che gli antichi greci indossavano per salire al Monte Olimpo, simbolo di nobiltà
Ogni giacca è concepita come una struttura architettonica realizzata in tessuto pregiato, un progetto corale che coinvolge non meno di 25 persone, attraverso ben 1800 diversi passaggi. 100 pezzi al giorno, tagliati e imbastiti a mano, in 25 ore di lavoro per garantire la massima qualità e la cura maniacale di ogni dettaglio.
d’animo. Nel 1968 CiPa diventa così Kiton. Un’azienda che negli anni seguenti si ingrandisce e investe su se stessa, passando a comprendere via via anche la produzione sartoriale di giacche, abiti, camicie... fino ad arrivare alla Kiton di oggi: una manifattura che racchiude ogni fase di lavorazione legata alla confezione di capi sartoriali. Tutto sempre, solo e rigorosamente su misura, esclusivamente realizzato a mano secondo il motto di Ciro, ovvero: “il meglio più uno”. Una frase che ben riassume la ricerca incessante della qualità, la spinta a non adagiarsi mai, ad andare oltre i traguardi raggiunti. La produzione avviene nelle luminose stanze dei laboratori di Arzano, autentiche oasi del savoir-faire alle porte di Napoli, dove mani, ago e filo sono gli “strumenti” necessari e indispensabili per un lavoro che ancora oggi rispetta la più pura tradizione partenopea, sempre con lo sguardo rivolto al futuro. «Già vent’anni fa ci siamo accorti che i nostri sarti stavano invecchiando, che non c’era una generazione futura che ambisse a un mestiere che richiede dedizione, sacrificio, costanza e pazienza. Per questa ragione abbiamo creato la nostra prima
scuola di Alta Sartoria – racconta De Matteis – Dopo il primo corso i dieci partecipanti sono stati assunti in azienda. Già al secondo corso, con un volano di passaparola, avevamo moltissime richieste, sino ad arrivare all’ultimo, prima della pandemia, con quattrocento domande per venticinque posti, per ragazzi di età compresa tra i 16 e i 25 anni.» Talento, volontà e impegno assicurano a questi giovani un futuro, e l’ottanta per cento di loro rimane nella Maison napoletana o viene assunto da terzi. L’intento della proprietà è quello di dare la priorità ai giovani locali, per contribuire allo sviluppo della Campania e rafforzare il senso di appartenenza a una manifattura specifica che lì è nata e lì trova ancora la sua linfa vitale: «Se Kiton vuole mantenere prospera la tradizione sartoriale napoletana è giusto che i suoi interpreti e artefici siano figli del territorio» suggella Antonio De Matteis. E quando i ragazzi saranno pronti potranno cimentarsi anche nei lavori più impegnativi, che sono uno dei fiori all’occhiello di Kiton: volare da un cliente speciale che, in qualunque parte del mondo, richiede quell’inconfondibile “tocco” sartoriale, in un’atmosfera
privatissima. O riuscire a prendere le misure a un cliente VIP, come è realmente accaduto, senza sfiorarlo. O ancora tagliare, imbastire, cucire, stirare uno smoking per un attore che a Los Angeles lo indosserà per ritirare l’Oscar. Vita straordinaria per una manifattura contemporanea. «Abbiamo sempre fatto tutto questo, ma una delle nostre caratteristiche è la discrezione: non riveliamo mai i nomi dei nostri clienti più illustri per farcene vanto,» sottolinea l’Amministratore Delegato. Chapeau! Anche questo fa parte di un patrimonio di nobile tradizione che prevede su ogni capo un pallino rosso, simbolo della Maison, assolutamente ricamato a mano; così come l’omaggio, per ogni abito, di un fazzoletto in lino bianco con orlo a giorno, ovviamente realizzato a mano; e infine l’etichetta personalizzata (su richiesta), naturalmente cucita artigianalmente. «Se penso alla nostra azienda penso alle mani, strumento unico e insostituibile della nostra eccellenza. Tanto più adesso che la qualità, la manifattura, l’artigianalità sono quello cui il cliente ambisce, e il simbolo di una reale rinascita e ripartenza.» •
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Punto di partenza di ogni collezione,
privilegiate le fibre naturali, le uniche
di Biella di proprietà della Maison
passaggio obbligato, è la qualità
idonee a dare vita ad abiti di grande
per creare capi longevi e resistenti,
dei tessuti, da sempre caposaldo
raffinatezza. Nuove texture e fibre
con una particolare attenzione alla
della filosofia di Kiton. Vengono
innovative sono sviluppate nel lanificio
sostenibilità e alla tutela dell’ambiente.
MASTERPIECES IN GLASS SINCE 1921
VERONESE, Vittorio Zecchin LIMITED EDITION
Venini Fondamenta Vetrai, 50 - 30141 Murano Venezia - I - www.venini.com
di Giuditta Comerci fotografie Archivio Fratelli Ruffatti
L A MAESTÀ
DELLA MUSICA
Da tre generazioni la famiglia Ruffatti progetta, restaura e costruisce maestosi organi a canne la cui musica risuona nelle chiese di tutto il mondo. Un incessante percorso di ricerca e innovazione tra passione, dedizione e grande vocazione al dettaglio.
La collocazione dell’organo a canne, nelle chiese e spesso anche negli auditorium, consente raramente di vedere il modo in cui viene suonato, tra tastiere multiple e pedaliera; ancora più raro è che chi ascolta possa addentrarsi nella sua articolata cassa o scoprirne il complesso funzionamento che, col suono di un accordo sulla tastiera, attiva contemporaneamente anche più di cento canne. A questo strumento e a tutti i suoi aspetti artistici e costruttivi si dedica dal 1940 la famiglia Ruffatti di Padova. Nasce sulle solide basi di una prestigiosa scuola veneziana del XVIII secolo e continua come trasmissione di passioni e competenze, passate dai fondatori Alessio, Giuseppe e Antonio ai figli di quest’ultimo, Francesco e Piero, e ora allargata alla terza generazione con Michela, figlia di Piero. Francesco e Piero, nel corso degli anni, hanno affinato le loro vocazioni: la progettazione strutturale per Piero, e la parte più legata alla musica per Francesco, ovvero la costruzione fonica dello strumento, la progettazione dimensionale dei registri di canne e l’intonazione delle stesse dopo l’installazione dell'organo. L’attenzione dei Ruffatti viene posta su ogni momento del processo progettuale e produttivo che, diversamente da gran parte delle ditte organarie italiane ed estere, avviene quasi interamente nel loro laboratorio padovano. Si tratta di una scelta di coerenza e controllo che fonda la qualità del loro lavoro e la garanzia di una manifattura made in Italy pienamente intesa: scelta dei materiali – con impiego e immobilizzazione delle risorse per il deposito del legno per cinque anni di stagionatura –, lavorazione di tutte le componenti principali dell’organo, canne ad anima e MESTIERI D’ARTE & DESIGN
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ad ancia, di legno e di metallo, somieri, consolle, mantici. La costruzione di un organo a canne Ruffatti è caratterizzata da un’altissima incidenza di mano d’opera, stimata al 75-80% del totale, che raggiunge il 90-95% nel caso di restauri di organi antichi. I macchinari utilizzati sono annoverati tra i più comuni per la lavorazione del legno – quindi nella costruzione di somieri che contengono i meccanismi di azionamento delle canne, della cassa dello strumento, delle canne lignee, dei mantici e di altre parti – e per la piallatura delle lastre di metallo (fuse in ditta anch’esse), ma anche macchinari spesso realizzati su disegno o con modifiche degli stessi utilizzatori. Questo perché il campo dell’organaria, differentemente da quello di molti altri strumenti musicali, è quasi totalmente privo di standardizzazione: «ogni organo – spiegano Piero e Francesco Ruffatti – è diverso dall’altro; dunque è aperto a nuove soluzioni tecniche che via via si presentano e si rendono disponibili, oltre che, dal punto di vista fonico, 68
alle mode del momento, per repertori e per sonorità e possibilità combinatorie.» Ciò che sorprende particolarmente di questa ditta è la ricerca scientifica. La stabilità è un problema costante per gli organi a canne, beni durevoli realizzati soprattutto in legno, soggetti a cambiamenti climatici, usura, inquinamento, che incidono sull’aspetto estetico quanto più su quello funzionale dello strumento: i Ruffatti, nella loro espansione internazionale, affrontano climi differenti unendo al gusto artistico per un tipo di suono e di architettura, una ricerca costante sui materiali. Hanno adottato dunque il mogano “sipo” per la sua inferiore capacità di contrazione ed espansione, scelto personalmente all’arrivo dall’Africa per la garantita certificazione di provenienza; la lega di carbonio per i fili di collegamento interni, materiale che non subisce alcuna alterazione dal clima; le pelli conciate in modo tradizionale, costose e difficili da reperire, ma che garantiscono la durata
per tempi molto superiori ad altri trattamenti. Un approccio fortemente moderno che affianca strumenti, procedimenti e formazione con fortissime radici nella tradizione. «Ci sono parametri indiscutibili: i materiali utilizzati, il modo in cui si lavora, sono legati strettamente al prodotto e su questo si è molto poco flessibili» spiegano. L’apertura è invece ampia nell’ottica generale dello strumento e delle richieste del committente; la relazione è fondamentale e stimolante, sviluppa ricerca, apertura, innovazione: tratti del made in Italy che sembrerebbero stranamente applicabili a una casa organaria, mentre i Ruffatti li sposano pienamente. Nel loro sviluppato rapporto con l’estero, il modo italiano è segno di disponibilità nell’ascolto delle esigenze, di flessibilità nel trovare soluzioni a problematiche e richieste, e al contempo di severità nel mantenere i tratti qualitativi e artistici del proprio lavoro. È la miglior firma italiana: la più grande agilità e un virtuoso rigore. •
In apertura, Spivey Hall, Clayton State College, Morrow, Georgia. Organo a tre tastiere installato nel 1992. La storia della famiglia Ruffatti inizia a Padova, città veneta che ha ospitato costruttori d’organi fin dal Medioevo. A sinistra, intaglio di parti decorative del prospetto di un organo. In alto, la delicata fase dell’intonazione delle canne determina le sfumature di timbro e il colore del suono, ovvero il carattere e l’unicità dello strumento.
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Qui, Christ Cathedral, Garden Grove,
A destra, Church of the Epiphany,
California. L’Hazel Wright Organ,
Miami, Florida. Organo a tre tastiere
dal nome della benefattrice che ne
con doppia consolle, 2002.
ha sostenuto la costruzione, è stato installato nel 1977 e ampliato a più riprese. Dal 2019 è uno dei più grandi organi al mondo con oltre 16.000 canne.
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La rosa Mestieri d’Arte creata a Pistoia da Rose Barni per Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte, i cui fiori presentano un boccio elegante e rilevato, e si aprono rivelando corolle grandi di forma antica, a rosetta.
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Il fiore all’occhiello
DELLA BELLEZZA di Franco Cologni fotografie di Rose Barni
Una metafora, una suggestione, una rosa d’autore dedicata alla fragilità e alla potenza di un mondo che trasforma la materia in bellezza. I Mestieri d’Arte sono il simbolo dell’eccellenza, del talento, dei valori che nei secoli hanno fatto fiorire il made in Italy.
È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante.
— ANTOINE DE SAINT-EXUPÉRY
La rosa Mestieri d’Arte rappresenta in maniera poetica il mondo dell’alto artigianato artistico italiano. Creata per la Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte grazie alla competenza di Rose Barni, ibridatori tra i più importanti al mondo, e in particolare alle cure di Beatrice Barni (nominata nel 2018 MAM-Maestro d’Arte e Mestiere), si tratta di una varietà di rosa a cespuglio a grandi fiori, appartenente alla categoria degli Ibridi di Tea, dal portamento eretto e fogliame largo, verde scuro, molto robusta e resistente nonostante la fragile bellezza. Già questa resilienza, così preziosa e così rara, è un suggestivo elemento che accosta questa rosa al mondo dell’alto artigianato: un mondo fragile ma potente, attaccato da malattie sottili eppure pericolose come l’invisibilità, l’apparente irrilevanza, un distacco istituzionale che lo rende spesso poco visibile.
È un mondo che le istituzioni leggono con fatica e che non sostengono adeguatamente, che la letteratura non celebra abbastanza, che la cultura scientifica osserva da lontano. Ma che, nonostante tutto, grazie alla passione e alla competenza dei Maestri artigiani, sopravvive e fiorisce, trasferendo nel futuro questa capacità tipicamente umana di trasformare creativamente e consapevolmente la materia, per fare in modo che il talento e la destrezza moltiplichino il valore e la bellezza. I fiori presentano un boccio elegante e rilevato, e si aprono molto lentamente, rivelando corolle grandi, assai doppie, di forma antica, a rosetta. Anche questo aspetto richiama il lavoro e la pratica dei Maestri d’arte: la meraviglia che nasce dalle loro mani sapienti, gli oggetti straordinari che escono dai loro atelier non sono mai il frutto di improvvisazioni, ma richiedono tempo, cura, attenzione. Come i boccioli della rosa Mestieri d’Arte si aprono gradualmente, per poi sorprendere coloro che li ammirano con le loro corolle ricchissime e dense di petali, così le opere firmate dai Maestri d’arte prendono vita con lentezza e amore, e sanno sempre suscitare lo stupore ammirato di chi sa riconoscere, oltre alla bellezza delle forme, MESTIERI D’ARTE & DESIGN
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COME NASCE UNA NUOVA VARIETÀ DI ROSA Creare una nuova rosa è un processo lungo, affascinante e ricco di sorprese: il metodo con il quale vengono ottenute nuove varietà attraverso un processo di ricombinazione genetica è l’ibridazione. Questa pratica consiste nel portare sugli organi femminili di un fiore il prodotto – il polline – degli organi maschili di un altro fiore di varietà diversa. Nel fiore scelto come “padre” si procede alla raccolta manuale del polline, che poi verrà trasferito, con un pennellino o semplicemente con un dito, sul fiore “madre”, precedentemente privato degli organi maschili riproduttori del polline. Pronto per la produzione dei semi, il fiore “madre” viene protetto da un cappuccio di carta per evitare polline indesiderato o l’avvicinamento degli insetti. In primavera avvengono le prime fioriture e inizia l’importantissimo lavoro di selezione: dopo svariate eliminazioni, si arriva a individuare le poche piante in cui sono presenti le caratteristiche di novità ricercate, che occorre valutare prima in serra e poi in pieno campo. Le osservazioni in campo durano per almeno 4-5 anni: pertanto si può stimare che dall’anno dell’ibridazione a quello della messa in commercio passino 7-10 anni. La rosa dovrà risultare vigorosa e resistente alle varie malattie, adattabile al clima e pregevole da un punto di vista estetico. La nascita di una rosa comporta quindi perseveranza, esperienza e tanti sacrifici, che vengono però ricompensati non appena una nuova varietà conosce l’apprezzamento e l’ammirazione del pubblico amante di questo poetico e iconico fiore, simbolo dell’amore e della bellezza per eccellenza.
anche il valore del lavoro e la profondità del significato. Il colore è rosa pastello, con sfumature camoscio alla base del petalo e una tonalità rosa più intensa al centro del fiore. Il passaggio graduale da un colore all’altro, la varietà di sfumature che si percepisce in ogni fiore, ricorda la ricchezza simbolica e materiale di ogni oggetto creato dai Maestri artigiani, le cui mani infondono a ogni creazione la patina straordinaria dell’eccellenza. Il talento degli artigiani fa in modo che ogni oggetto da loro immaginato e prodotto abbia un cuore pulsante, la cui intensità è sempre percepibile da chi si lasci incantare dall’unicità di ogni creazione, dalla varietà di tecniche e dettagli che ogni oggetto rivela, dalle storie che ogni Maestro affida alle sue dita, perché colorino simbolicamente ogni artefatto. Il profumo è una delle caratteristiche più rilevanti: intenso e possente, connotato dal tipico sentore di rosa antica. Antica, come la bellezza senza tempo che i mestieri d’arte rappresentano e trasmettono nel futuro. Il cui profumo inebria sempre l’anima di chi sa che la nostra cultura si radica appunto su secoli di bellezza stratificata, che chiede ancora di essere liberata e di essere trasmessa, colta, amata. 74
Rivitalizzare il made in Italy, farlo sempre fiorire, significa preservarne la legittimità, l’autenticità e l’originalità, e trasmetterne nel tempo la durevole bellezza e la straordinaria qualità. Significa facilitare quelle connessioni di filiera che sono naturali e che vanno dall’atelier alla bottega, e dalla bottega all’impresa. Significa aiutare i giovani a essere parte di un mondo, quello dei mestieri d’arte, che è eredità e vanto di ciascuno di noi. Con questa rosa, le cui fioriture si ripetono con continuità da maggio all’autunno inoltrato e che raggiunge un’altezza di circa cm 80-100 e una larghezza di cm 50-60, vorremmo riaccendere una luce di speranza e di passione in chi da sempre garantisce al nostro Paese un primato difficile da espugnare, grazie al lavoro delle proprie mani e alla genialità del proprio estro. Intorno al made in Italy fioriscono tante formulazioni, e da oggi ne fiorisce una in più, sotto le specie meravigliose di una rosa che esprime perfettamente, e sinteticamente, ciò in cui la Fondazione Cologni crede: l’importanza del talento, della bellezza e della passione per l’eccellenza, legata a un territorio e a una storia unici al mondo, dovuti a secoli di bellezza e arte. E di mestiere d’arte, naturalmente. •
Qui, calice disegnato da Paolo Rizzatto per la mostra “Intorno ai vasi sacri” (Museo Diocesano, Milano, 2017), successivamente entrato nella collezione permanente della Triennale di Milano. Una croce di luce scavata nel pieno di una lastra similoro tornita e rifinita con doratura lucida all’interno e satinata all’esterno. Foto: Carlo Gilioli. A destra, Viaticus, calice di piccole dimensioni, quasi da viaggio, disegnato da Antonia Astori in occasione della mostra “Intorno ai vasi sacri”. Foto: Carlo Gilioli.
L’ARTE DI RINNOVARE
i simboli
di Federica Sala
Razionalismo, avanguardia, modernità. Elementi che esprimono una nuova liturgia essenziale, sobria, che eleva l’anima senza distrazioni. La Scuola del Beato Angelico di Milano è un laboratorio che crea oggetti per il culto al passo con lo spirito del nostro tempo.
La Scuola del Beato Angelico, fondata nel 1921 ad opera di monsignor Giuseppe Polvara su consiglio del cardinale Ratti (il futuro Papa Pio XI), nasce a Milano con la precisa volontà di portare all’arte liturgica un aggiornamento stilistico sotto il segno della modernità. Nella capitale stessa del Movimento Moderno, monsignor Polvara istituisce la scuola secondo quelle che erano le tecniche e le correnti delle avanguardie, applicandole poi ai diversi campi d’intervento dell’arte sacra. Incoraggia l’uso del cemento armato e un approccio razionalistico come perfetta espressione di una ritrovata liturgia nella sua essenziale spiritualità e sobrietà; porta avanti le correnti divisioniste nel linguaggio pittorico; affronta l’architettura come la disciplina capace di contenere tutte le altre e di assolvere alla missione sacra dell’arte. Una scuola professionale, e per molti anni anche un liceo artistico, in cui coltivare la bellezza come espressione di verità, moralità e armonia. Nascono quindi i laboratori di cesello, incisione, ricamo, mosaico, smalto ma anche i corsi di scultura, di pittura, di restauro e di adeguamento liturgico diventati poi negli anni il fiore all’occhiello di una produzione moderna, non barocca, lontana dagli stereotipi imitativi – con cui spesso si tende a guardare l’arte liturgica – bensì sempre al passo con l’evoluzione della società e della liturgia. Oggetti fatti per rinnovare la forza dei simboli e spazi ripensati non per stupire, non per distrarre, ma per predisporre l’animo all’elevazione dello spirito. Il tutto all’insegna della coralità e della collettività. Infatti è fondamentale, per monsignor Polvara, il rapporto di sperimentazione tra allievi e Maestri, diceva spesso che «nell’arte sacra l’individualismo è la più grave debolezza e ragione di insufficienza e di decadenza.» Una scuola d’arte 78
e di mestieri dove ancora oggi si ricamano le tiare, le mitre e le casule e dove si cesellano gli oggetti sacri del rituale religioso: pastorali, calici, patene, ampolline, candelieri, croci, anelli episcopali che spesso e volentieri sono realizzati dagli artigiani dei laboratori del Beato Angelico in stretto dialogo, (oggi spesso via WhatsApp), con la committenza. Una realtà milanese molto più vicina al mondo del progetto di quello che ci si aspetti. Basti pensare ai molti reportage fotografici realizzati per il Beato Angelico da Giovanni Chiaramonte, o la mostra sui vasi sacri curata da Marco Romanelli al Museo Diocesano, che vedeva la collaborazione di progettisti profondi come Mendini, De Lucchi, Dalisi, o del progetto grafico di Pierluigi Cerri con Marta Moruzzi per la storica rivista di “Arte Cristiana”, fondata nel 1913 da monsignor Celso Costantini e presto passata a monsignor Polvara, ancora oggi attivo strumento di storia dell’arte edito dalla Scuola Beato Angelico. Come dice infatti don Umberto Bordoni, che dirige anche la Scuola: «Se è lecito pensare alla liturgia come ad un Gesamtkunstwerk (‘opera d’arte totale’), la progettazione degli oggetti per il culto richiede conseguentemente di procedere almeno per insiemi coerenti, di comprendersi in termini di composizione con l’architettura e di espressività nel rito, di ricerca di uno stile e di forme che, nella loro nobile essenzialità, contribuiscano alla creazione di un sistema simbolico coerente. Oggi questa sfida è aperta, il dialogo tra il mondo del design, dell’architettura e dell’arte e quello della liturgia è ancora agli inizi, il contesto postmoderno è frammentario, tuttavia l’altezza del compito, teorico e pratico, affascina e sollecita un nuovo confronto al quale la Scuola Beato Angelico non vuole fare mancare il proprio contributo.» •
A lato, a sinistra, gli artigiani dei laboratorio di cesello della Scuola del Beato Angelico. Foto: Alessandro Nanni. A lato, a destra, gli artigiani dei laboratorio di ricamo della Scuola del Beato Angelico lavorano su una casula. Foto: Alessandro Nanni. Qui, gli artigiani dei laboratorio di cesello della Scuola del Beato Angelico al lavoro sulla riproduzione della tiara di Paolo VI. Foto: Alessandro Nanni.
Vaso sacro disegnato da Michele De Lucchi e Alberto Nason in occasione della mostra “Intorno ai vasi sacri”. Il progetto, ispirato al sacrificio di Cristo sul Calvario, presenta una coppa in lastra similoro tornita, dorata lucida con piede in rame tornito, sagomato e cesellato, poi sabbiato e dorato. Alla base, piccola croce d’ottone saldata in argento, mentre la fodera in ottone è incisa a cesello, sabbiata e dorata. Foto: Carlo Gilioli.
Qui, una fase della marqueterie florale, tecnica inedita in orologeria, composta da une serie di operazioni minuziose e delicate finalizzate a creare quadranti dai decori spettacolari. Foto: Eric Bidou © Cartier. A destra, eterea come il pizzo, la filigrana è una tecnica di oreficeria che utilizza fili d'oro o d'argento fusi insieme per creare un motivo traforato. Per Cartier, la sfida non è solo quella di adattarla alle piccole dimensioni della cassa di un orologio, ma anche di andare oltre i limiti optando per materiali come l'oro, il platino e il diamante. Foto: Eric Bidou © Cartier.
La Maison
DEGLI ANTICHI GESTI E D E I N U OV I M E S T I E R I di Grégory Gardinetti
Una fattoria svizzera del XVII secolo completamente rinnovata ospita la Maison des Métiers d'Art di Cartier, un laboratorio all’avanguardia che custodisce, tramanda e rinnova mestieri d’arte ancestrali nell’universo infinitamente piccolo dell'orologeria.
La Maison des Métiers d’Art è un luogo unico nel suo genere creato da Cartier a La Chaux-de-Fonds, in Svizzera, a pochi passi dalla Manifattura di alta orologeria della celebre casa francese. Antica fattoria bernese della fine del XVII secolo, il sito è stato completamente rinnovato e trasformato ed è ora dedicato alla conservazione, allo sviluppo e alla condivisione di rari savoir-faire. Nato dal desiderio di reinventare, promuovere e perpetuare i mestieri d’arte legati all’orologeria, la Maison è anche uno spazio di accoglienza e di rappresentanza, e uno showroom che unisce tradizione e modernità. Il piano terra dell’edificio, che conserva lo spirito della struttura originale ma i cui spazi interni sono stati totalmente ridisegnati, è composto da diversi saloni in cui è possibile interagire con gli artigiani durante le visite. Il primo piano ospita gli atelier di decorazione e finitura dell’orologio che riuniscono diversi mestieri tradizionali. Tra questi, l’incastonatura e la lucidatura. Maison di gioielleria per eccellenza, Cartier dedica un’attenzione particolare all’incastonatura delle gemme, che qui viene eseguita in tutte le sue forme. La tradizionale e diffusa incastonatura a griffe, l’incastonatura “a grani” destinata alle pietre rotonde, l’incastonatura “chiusa” dove la pietra è interamente circondata dal metallo o l’incastonatura “discendente” che consiste nell’incastonare le pietre su una fascia di metallo della stessa larghezza con l’aiuto di griffe, sono tutte eseguite alla perfezione dagli artigiani. 84
La lucidatura può sembrare un procedimento banale, tuttavia richiede molti anni di esperienza per essere completamente padroneggiata. Conferisce ai pezzi la lucentezza e la brillantezza che li caratterizzano. Se queste tecniche sono relativamente note, alla Maison des Métiers d’Art si praticano e perpetuano altre lavorazioni meno diffuse e più “segrete”. Invenzione attribuita ai Sumeri, la filigrana, i cui primi oggetti risalgono al 3000 a.C., è stata adattata all’orologeria da Cartier nel 2015. La tecnica consiste nel torcere e poi martellare dei fili d’oro o di platino. Questi vengono poi assemblati e modellati per formare i motivi che decoreranno il quadrante dell’orologio. Molto spesso, il quadrante è il prodotto di vari mestieri rari associati che si combinano per dare vita a pezzi la cui eccezionalità risiede proprio in questa felice unione. Un’altra abilità ancestrale applicata da Cartier all’orologeria è la “granulazione”. Un’arte che apparve per la prima volta nello stesso periodo della filigrana e raggiunse l’apogeo con le creazioni etrusche nel XVIII secolo. Anche in questo caso, metalli nobili sono valorizzati dalla minuziosa lavorazione dell’oro. Fili sottili vengono ritagliati e poi passati in polvere di carbone riscaldata per ottenere minuscole palline che sono assemblate, una per una, e fissate con una fiamma su una piastra d’oro. Il quadrante di un orologio può contenere circa 4000 perline e altrettanti passaggi alla fiamma, un lavoro notevole di meticolosità e pazienza.
Il secondo piano della Maison des Métiers d’Art è dedicato alla smaltatura, ai mosaici e all’intarsio. Di tutti i mestieri legati all’orologeria, lo smalto è di certo il più conosciuto e Cartier lo propone in tutte le espressioni possibili: cloisonné, champlevé, plique-à-jour, “grisaglia” o anche “pittura in miniatura”. Tutte queste diverse tecniche sono caratterizzate dalla minuzia d’esecuzione e da molteplici passaggi al forno. Totalmente inedito in orologeria e praticato da Cartier dal 2014, l’intarsio floreale consiste nell’intaglio meticoloso di petali che una volta assemblati creano sontuose opere d’arte. È necessario circa un mese e mezzo di lavoro rigoroso per completare tutte le fasi d’intaglio e composizione del quadrante. Per quanto riguarda il mosaico applicato all’orologeria, alla Maison des Métiers d’Art si praticano due tecniche complementari. Il fondo del quadrante è coperto da quadrati in miniatura, a cui si aggiungono tessere irregolari. Questo particolare assemblaggio richiede diverse settimane di lavoro perché il quadrante dell’orologio si materializzi nelle mani dell’artigiano. La Maison des Métiers d’Art è un luogo di grande prestigio che ci trasporta nel cuore della rinascita di mestieri dimenticati e rari grazie ai quali vengono creati oggetti straordinari. È dunque un ponte tra conservazione e innovazione che qui dialogano in maniera costruttiva. Due concetti chiave per un’evoluzione ricca di senso e valore. •
A lato, a sinistra, le microsfere d’oro
In alto, lo smalto “grisaglia” è una
che compongono i motivi a rilievo,
tecnica di smaltatura dei quadranti
tipici della tecnica antichissima della
altamente sofisticata che permette di
“granulazione”. Foto: Eric Bidou
dare al disegno un particolare rilievo
© Cartier.
grazie a un sottile gioco di sfumature. Foto: Eric Bidou © Cartier.
A lato, a destra, l’arte del mosaico applicata all’orologeria: a seconda
Sopra, la Maison des Métiers d'Art ospita
£del motivo, fino a 400 tessere
un laboratorio modernissimo in cui
possono essere collocate
antiche tecniche e mestieri rari vengono
manualmente su ogni quadrante,
perpetuati, rinnovati e applicati all'alta
una per una. Foto: Cartier.
orologeria. Foto: Cartier.
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A destra, il quadrante dell’orologio Ronde Louis Cartier del 2018 è realizzato in intarsio di legno e foglia d'oro. Questa tecnica inedita si basa sulla sovrapposizione di foglie di legno prezioso che racchiudono una foglia d'oro 24 carati. La superficie è incisa e levigata fino a ottenere il disegno desiderato. Foto: Cartier. In basso a sinistra, la filigrana trova la sua massima espressione sul quadrante del Ronde Louis Cartier, 2015. Foto: Photo 2000 © Cartier. In basso a destra, orologio Rotonde de Cartier, 2013. Il disegno della pantera è realizzato con la tecnica della “granulazione”. Foto: Vincent Wulveryck © Cartier.
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Per ottenere la coppia di pantere che impreziosiscono il quadrante del Ronde Louis Cartier, è stato necessario più di un mese di lavoro. Il manto laccato nero delle due fiere è intessuto di elementi in filigrana d’oro e platino con diamanti incastonati. Foto: Eric Bidou © Cartier.
Collezione Ether, design Constance Guisset, 2020: il movimento dinamico del disegno grafico sembra evaporare nella commistione di luci e ombre che rende i piatti una sorta di cornice. A destra, vaso Donne e Architetture, collezione Arte di Gio Ponti, design Gio Ponti, 1925.
Una storia artistica
fiorentina
di Maria Pilar Lebole e Silvia Ciappi fotografie Ginori 1735
Ginori 1735: un moto perpetuo tra tradizione e innovazione. Dal genio di Gio Ponti alla collaborazione con designer, si consolida il successo della storica Manifattura di porcellane italiane, in continua evoluzione ed espansione.
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Vasi della collezione Volière: la maestria Ginori 1735 si esprime nei decori raffiguranti delicati uccelli ed elementi floreali. A destra, collezione Oriente Italiano, 2014. Da Oltre 280 anni Ginori 1735 è l’icona che ha segnato per sempre la tradizione di stare a tavola.
Piene di grazia, sofisticate e audaci, colorate ed eleganti sono oggi le collezioni di Ginori 1735, azienda che rappresenta da quasi tre secoli uno tra i principali marchi mondiali nel settore del lusso e del lifestyle, espressione dell’eccellenza italiana nella porcellana pura e nel design di altissima qualità. Le collezioni della Manifattura costituiscono un perfetto punto d’incontro tra tradizione e innovazione con proposte per la tavola, oggetti d’arte e per il living, gift, posate, cristalli e articoli tessili, espressione di una passione per la cultura, i colori, l’arte e l’ospitalità tipicamente italiani. La storia inizia nel 1735 a Doccia, a due passi da Firenze, quando il marchese Carlo Andrea Ginori, ispirato dalla passione per l’oro bianco, avvia una fabbrica di porcellana destinata a diventare un’icona di stile in tutto il mondo. Fin dagli esordi è evidente il profondo legame con la cultura fiorentina, tanto da tracciare un ideale collegamento tra la sperimentazione cinquecentesca, l’innovazione del XVIII e XIX secolo e l’attuale indirizzo produttivo. Carlo Ginori fu un attento riformatore che, con lungimiranza, si ispirò alle manifatture europee, come la viennese Du Paquier o la tedesca Meissen, o alle fabbriche francesi, soprattutto quella di Sèvres. Nello slancio verso la modernità, che anticipava il rinnovamento illuminista introdotto a Firenze dai Lorena, il marchese Ginori conciliò le innovazioni delle manifatture transalpine con la tradizione ceramica toscana. Favorì l’innesto di maestranze straniere per migliorare le materie prime, i colori, le strutture di cottura, ma non trascurò il ruolo svolto dagli artigiani per l’abilità manuale e la capacità di ideare soluzioni adeguate ai canoni estetici del periodo. L’Ottocento, con il passaggio dal secolo della ragione a quello del sentimento, segna un nuovo capitolo nel gusto artistico e della fabbricazione della porcellana. Nel 1806 la direzione della Manifattura passa a Leopoldo Carlo Ginori Lisci e il giovane erede dimostra immediatamente di avere una visione imprenditoriale ampia, avviando un processo di profondo rinnovamento. 90
Nel 1896, dalla fusione con la Società Ceramica Richard, di origine lombarda, nasce la Società Ceramica Richard Ginori. La tradizione dei Maestri artigiani incontra in questo modo nuove tecnologie e le creazioni si perfezionano grazie all’impiego di nuovi brevetti. La svolta decisiva nella produzione è legata a Gio Ponti, direttore artistico della Manifattura dal 1923 al 1930. In quegli anni di grande fermento culturale, la Ginori si trasformava in fabbrica e si adeguava alle novità del nascente design industriale, che imponeva nuovi ritmi: dalla progettazione alla realizzazione, affidata all’abilità degli “artieri”, capaci di rinnovarsi assimilando i nuovi principi dello stile déco. La preferenza accordata a forme essenziali, architettoniche, le decorazioni geometriche imposero la Manifattura sul mercato nazionale e internazionale, per la sofistica eleganza ispirata alla classicità. Gli accostamenti cromatici come il “blu Ponti”, rilettura del tradizionale lapislazzulo, e il “gran rosso” che ricordava le lacche orientali, ne accrescevano il fascino. Tale svolta resta confermata ancora oggi nella suggestione
della collezione Labirinto, che ripete in modo simmetrico e modulare il motivo a greca in un rigore ispirato ai repertori architettonici del XVI secolo. Ugualmente i vasi della collezione Arte di Gio Ponti diventano fondali scenici dove i tratti regolari evidenziati dai colori intensi, sono tuttora sinonimo dell’inventiva e della perfezione tecnica e decorativa raggiunta. Negli anni dell’immediato dopoguerra, che segnano la ripresa di consuetudini quotidiane e ludiche, l’attenzione dei designer che lavoravano per la Manifattura fu rivolta ai servizi da tavola, da tè e da caffè che interpretavano le novità diffuse dal design scandinavo, con anse inclinate e manici eccentrici, funzionali ma di insolita bellezza. Artefice di queste novità fu Giovanni Gariboldi che, nel 1953-1954, disegnò oggetti come la teiera Ulpia e la caffettiera Donatella in porcellana bianca o con colori tenui. Queste creazioni, presentate nelle esposizioni internazionali, riscossero il plauso della critica e del pubblico come esempi di innovazione estetica e sociale. Dal 1980 designer italiani di altissimo livello hanno collaborato con Ginori 1735 per creare progetti basati sul concetto
dell’eccellenza. Nel 1985, per le celebrazioni dei 250 anni della Manifattura, fu indetto un concorso per nove progetti per la tavola: i servizi Nuvola di Sergio Asti, Odissea di Marco Albini, Franca Helg e Antonio Piva, i prototipi ergonomici di Angelo Mangiarotti, le soluzioni geometriche e funzionali di Gianfranco Frattini, le forme di assoluta razionalità di Aldo Rossi. Nel 2013, la Manifattura viene acquisita da Gucci e la direzione artistica affidata ad Alessandro Michele. Nel 2016 passa sotto il diretto coordinamento del Gruppo Kering, mentre la direzione creativa viene affidata a un team di designer interno. Oggi la Manifattura torna alle sue radici, diventando Ginori 1735 con l’obiettivo di puntare maggiormente sulla propria legacy, con un’evoluzione verso il settore del lusso e del lifestyle e un respiro sempre più internazionale, che può contare su una rete distributiva composta dai flagship store di Firenze e Milano, dallo store monobrand di Mosca, da una rete di rivenditori autorizzati in Italia, da punti vendita in selezionati Department Store e Specialty Store multimarca di alto livello nel mondo, oltre che da un canale e-commerce che raggiunge ben 31 Paesi. • MESTIERI D’ARTE & DESIGN
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Fasi di lavorazione: Ginori 1735 è espressione d'eccellenza in Italia e nel mondo nell'alta manifattura artistica della porcellana, in grado di coniugare artigianalità, creatività e attenzione al progresso.
Trame di pelle di Andrea Guolo fotografie Archivio Serapian
di Andrea Tomasi Manifattura d’eccellenza, “mano milanese”, esclusività su misura, sintetizzano il successo di una grande famiglia di Maestri pellettieri. I Serapian rappresentano l’essenza dell’unicità nella realizzazione di prodotti da sogno, concepiti con materiali preziosi e dettagli esclusivi.
“Mosaico”, lavorazione creata da Stefano Serapian nel 1947. Interamente realizzata a mano da esperti artigiani utilizzando la morbida nappa di agnello, questa tecnica è il simbolo della maestria artigianale di Serapian.
Secret, borsa in nappa, realizzata interamente a mano con la lavorazione “Mosaico”. In questo caso l’intreccio iconico è declinato nella versione “Chiaroscuro”, reso ancora più prezioso attraverso il gioco delle sfumature.
Una vecchia foto, risalente agli anni Cinquanta, ritrae un artigiano di Serapian vestito in maniera impeccabile, con tanto di papillon, mentre lavora una pelle di coccodrillo. Riguardandola, settant’anni dopo, Giovanni Nodari, membro della famiglia Serapian a cui il gruppo Richemont (che nel 2017 ha rilevato la proprietà dell’azienda milanese di pelletteria) ha affidato il progetto bespoke, riconosce in quell’immagine un pilastro della filosofia del brand. «Gli artigiani rappresentano da sempre il nostro valore aggiunto – racconta – e già allora dovevano essere gli interlocutori del cliente finale; pertanto il fondatore pretendeva che fossero vestiti in modo adeguato. Ecco la ragione del papillon». Il fondatore si chiamava Stepan, per tutti Stefano. Era di origine armena, un sopravvissuto al genocidio di inizio secolo, e con il fratello si era trasferito prima a Venezia e poi a Milano, dove aveva iniziato a lavorare come pasticcere ma, tra un dolce e l’altro, si divertiva a cucire borselli e portachiavi. Nel 1939 sposò Gina Flori, una ragazza conosciuta a Montecatini 96
dove si recava a vendere quegli articoli in pelle realizzati in casa, e con lei diede il via alla propria attività di pelletteria. Il successo di Serapian, nella Milano degli anni Cinquanta, fu costruito sulla formula del negozio con manifattura: al bancone c’era lui, a parlare con gli acquirenti, e subito dietro le maestranze che trasformavano i sogni delle signore milanesi in borse impeccabili. Erano le classiche borsette da sera che venivano sfoggiate nelle serate alla Scala o in altre occasioni mondane, esempi di uno stile oggi riconosciuto dal mercato come tipico della pelletteria milanese e che Nodari descrive così: «Linee spigolose, fili sottili, coste mai troppo spesse, costruzione rigida. A fare la differenza è proprio la capacità dell’artigiano, attraverso la tecnica e uno studio accurato sui rinforzi applicati all’interno, di ottenere un prodotto di grande morbidezza e rotondità al tatto. Questo è ciò che chiamiamo la mano ‘milanese’». Il conservare quella capacità, in una Milano che cambiava velocemente da centro manifatturiero a polo di servizi, è stato l’obiettivo principale prima di Stepan e poi
“Mosaico”, palette colori per la proposta uomo. Ciò che contraddistingue da sempre la manifattura è la continua ricerca di nuovi materiali e uno stile tipicamente milanese.
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Atelier Serapian, Villa Mozart, Milano. Anna Gagliardi, artigiana della Maison, ha ricevuto nel 2018 il titolo di MAM-Maestro d’Arte e Mestiere. Oggi l’azienda è entrata a far parte del Gruppo Richemont.
del figlio Ardavast, sostenendo le maestranze e offrendo loro abitazioni e altri servizi a condizioni agevolate pur di non perdere il prezioso know how costruito negli anni. Oggi le creazioni del marchio sono realizzate tra Varese, nella manifattura dedicata alle collezioni uomo, e Scandicci, dove Serapian può far valere la sinergia con Richemont per gestire la piccola pelletteria e gli altri manufatti in pelle. E poi c’è Villa Mozart, capolavoro di architettura déco nel cuore di Milano, divenuta sede di rappresentanza e atelier. Qui operano gli artigiani specializzati nella lavorazione che dà forma all’iconico intreccio in nappa della maison, detto “Mosaico”, con personalizzazioni su richiesta del cliente. Del resto, il bespoke appartiene al DNA di Serapian ed è un servizio disponibile fin dagli anni Trenta del secolo scorso per dar vita a un pannello di mosaico unico nel suo genere: ogni cliente può scegliere il suo motivo personale, applicato poi alla borsa in fase di montaggio, ottenendo così un prodotto diverso da tutti gli altri. «È il nostro concetto di lusso, che si distingue dalla massificazione imperante ed è sempre più apprezzato in ogni parte del mondo» precisa Nodari. La tecnologia? Nel mondo della pelletteria ha fatto breccia, ma solo nelle fasi iniziali, quelle legate alla prototipia e alla definizione del modello. Da qui in poi, contano solo le mani e il sapere degli artigiani, quel “tocco” sapiente di Maestri simili al loro antenato con il papillon. Quanto al digital, in azienda se ne fa uso per superare la distanza dalla clientela, soprattutto in tempo di pandemia. Se prima gli artigiani erano spesso in trasferta per far vedere ai cultori delle loro creazioni come si realizza una borsa («È quel che più appassiona i cultori del made in Italy» aggiunge Nodari), oggi, con gli spostamenti condizionati dal rischio del contagio, in Villa Mozart è stato allestito un vero e proprio studio televisivo connesso online. «Così il cliente entra in contatto con me e con i Maestri pellettieri per creare e personalizzare la sua borsa. Inoltre, stiamo creando un kit di campioni di pelle da consegnare a domicilio affinché, durante la ‘diretta’, possa disporre del materiale che sceglierà per la sua borsa personalizzata. Il confronto con l’artigiano, per noi, è il modo più naturale per far entrare il consumer all’interno del nostro mondo». • MESTIERI D’ARTE & DESIGN
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La ricetta segreta
del COLORE
testo e fotografie di Susanna Pozzoli
Per ogni colore, tutto inizia con una “ricetta segreta” che ha come ingredienti sabbia, soda, opacizzanti e ossidi metallici che si trasformano in vetro. La Fornace Orsoni è l’ultima fornace storica di Venezia che utilizza gli stessi metodi dal 1888 per produrre mosaici a foglia d’oro, oro colorato e smalti veneziani.
Entrare dal grande cancello che nasconde il microcosmo della Fornace Orsoni è come aprire uno scrigno e scoprire gemme e gioielli di mille colori che brillano sotto i nostri occhi. Ultima fornace attiva a Venezia, Orsoni è situata in un luogo incantevole con un cortile alberato e più edifici antichi. È qui che si producono le scintillanti tessere da mosaico in smalto in tutte le cromie, le trentadue varianti di tessere foglia d’oro in tonalità diverse e quelle in vetro, tutte rigorosamente tagliate a mano. Proprio davanti all’ingresso della fornace si trovano grandi casse di legno che contengono gli scarti del taglio, divisi per colore: giallo zafferano, blu Cina, verde bosco, grigio cenere, rosso cardinale... Nel giardino i “crogioli”, i contenitori dove nascono gli smalti di vetro dalla fusione, sono sparpagliati qua e là. Queste grandi forme luccicanti e rotonde sono così belle da sembrare, al primo sguardo, sculture. All’interno del grande locale che ospita la fornace, un forno d’imponenti dimensioni troneggia al centro, proprio accanto alla macchina che dà al vetro incandescente la forma di piastre e al forno di ricottura, dove queste si raffreddano lentamente, diventando solide e resistenti. La fornace si collega a un locale utilizzato per il taglio a mano degli “sbruffi”, MESTIERI D’ARTE & DESIGN
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In apertura, la "Biblioteca del Colore" custodisce oltre 3.500 diverse tonalità di smalti veneziani meticolosamente ordinati per colore e gradazione. In alto, gli "sbruffi" in vetro leggerissimo hanno stravaganti forme irregolari e vengono tagliati a mano subito dopo la soffiatura. Trasparenti, neutri o colorati, sono necessari per la produzione delle tessere a foglia d’oro, eccellenza di Orsoni. A destra, il vetro incandescente viene girato a mano sulla punta della "canna da soffio". L’artigiano, soffiando dentro la canna, gonfia come se fosse un palloncino il grumo di vetro tanto caldo da essere fluido come miele.
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stravaganti forme irregolari soffiate in leggerissimo vetro. Fragilissimo, lo “sbruffo” viene tagliato subito dopo la soffiatura ed è necessario alla produzione delle tessere a foglia d’oro, eccellenza di Orsoni. Dalla fornace si accede alla meravigliosa “Biblioteca del Colore”, un grande locale irregolare con un suolo antico riempito dal pavimento al soffitto di scaffali in legno che ospitano le oltre 3.500 diverse tonalità di smalti veneziani, meticolosamente ordinati per colore e gradazione. Un luogo profondamente evocativo e vivo perché sempre in cambiamento: i colori prodotti vengono sistemati al loro posto e i pezzi venduti partono. I campioni, elementi preziosissimi e ordinatamente numerati permetto la riproduzione identica delle tessere. Il taglio a mano, la catalogazione e preparazione delle tessere divise per colore sono effettuati in un altro edificio sempre all’interno di questo cortile alberato. Le tessere prodotte nella Fornace Orsoni da fine Ottocento, hanno fatto il giro del mondo e reso celebre questa realtà veneziana. Sono impiegate con grande fantasia
da artisti, architetti, restauratori e designer. Il merito di tale successo è legato alla figura leggendaria di Angelo Orsoni. Nato a Murano a metà Ottocento, sin da giovane lavora come operaio in fornace e il celebre mosaicista Giandomenico Facchina lo sceglie come addetto alla fabbricazione di tessere da mosaico nella fornace da lui creata alla Misericordia. L’artista si trasferisce in Francia dove realizza numerosi progetti, lasciando Orsoni a dirigere il laboratorio. Nel 1888 Facchina decide di donare al suo eletto la fornace, permettendogli di realizzare il suo più grande sogno e di puntare tutto sulle nuove vie che negli anni del Liberty si aprono all’arte del mosaico. Dall’utilizzo quasi esclusivo nell’arte sacra si entra infatti con preponderanza nella decorazione d’interni ed esterni privati e pubblici. Nel 1889, all’Esposizione Universale di Parigi, Angelo Orsoni presenta con grande successo un rivoluzionario pannello in mosaico. In quest’opera, numerosi smalti sono organizzati per realizzare un gioco di linee che formano un motivo
geometrico policromo. Da quel momento la fornace lavora a pieno ritmo, migliorando le tecniche di produzione e agli inizi del Novecento si trasferisce a fondamenta di Cannaregio, in una sede più ampia e moderna, dove si trova tuttora. In quegli anni, i tasselli Orsoni sono impiegati in numerosi luoghi di prestigio tra cui l’École des Beaux-Arts, il Trocadéro, l’Hôtel de Ville, l’Opéra Garnier e la Basilica del Sacro Cuore di Parigi, il Santuario di Lourdes, la Cattedrale di Saint Paul a Londra. Alla morte del suo brillante fondatore nel 1921, il figlio Giovanni riprende l’attività che continua a prosperare, passando di padre in figlio. Nel 1969 Ruggero Orsoni eredita la fornace che gestisce insieme al fratello Lucio, ancora oggi direttore artistico della produzione. La proprietà è acquisita nel 2003 da Trend Group, fondato da Pino Bisazza. Ancora oggi da Orsoni la produzione segue gli antichi metodi e si affida al prezioso sapere di artigiani altamente specializzati. Tutto è realizzato con le tecniche millenarie che richiedono molto tempo, esperienza e passione infinita. • MESTIERI D’ARTE & DESIGN
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Una delle operazioni più affascinanti
un campione di riferimento. L'artigiano
in un piccolo cerchio, raffreddato
è il momento di “tirare al colore”.
aggiunge ossidi, soda o opacizzanti
in un secchio d'acqua e spaccato
Stefano Giambino, Maestro di questa
fino a quando campione e vetro
in due. Le due mezze lune sono messe
tecnica sottile, verifica il vetro
in fusione hanno un colore identico.
a confronto tra le mani del Maestro.
incandescente, confrontandolo con
Il vetro fuso prelevato viene schiacciato
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Considerato da molti come irriverente, geniale, precursore, provocatorio, Paolo Lopriore è riconosciuto oggi come uno degli chef più avanguardisti del mondo.
FICCANASO DI MANUFATTI
di Andrea Sinigaglia fotografie di Peter Elovich
Elogio della convivialità, dove l’esplorazione olfattiva svela la manifattura: lo chef Paolo Lopriore, uno dei grandi protagonisti della scena gastronomica contemporanea, propone una cucina rivoluzionaria ma che riflette l’identità naturale del territorio.
“Ciò che si vede è debole, ciò che non si vede è forte e vivo”
— ILDEGARDA DI BINGEN
È innanzitutto un’esperienza olfattiva quella di chi ha il privilegio di andare oltre al liminare. Oltre il terminale, chi ha potuto accedere, anche una sola volta nella sua vita, al luogo della produzione, della realizzazione ovvero della facitura, porta con sé, in primis, una memoria del naso. Sempre i luoghi del fare hanno un sentore, può essere un profumo, può essere un odore o entrambi ma resta il fatto che l’essenza della manifattura ne è l’essenza. Fragranze di olio di meccanismi o di motori, fragranze di materiali che mutano forma o consistenza, polvere di lavorazione. Non è tanto un’esigenza intellettuale quella che ci spinge ad andare oltre e ad andare dentro al processo produttivo, bensì un'esigenza
corporale, direi quasi animale. È il voler assistere a ciò che accade non soddisfatti di ricevere un già accaduto, per quanto perfetto esso possa essere. È voler appunto partecipare di una gestazione. Ciò che accade ha sempre un odore, talvolta una miscela di odori, quelli esterni a noi e quelli dei nostri sentimenti partecipanti. È per questo che tale esplorazione degli ingranaggi è affidata al più ancestrale dei nostri sensi e lì rimane impressa, misteriosamente. Non a caso si chiama mistery il più emblematico degli strumenti che costituiscono un trio nato dalla concezione di Paolo Lopriore, un grande cuoco, il più viscerale dell’Italia attuale, e di Andrea Salvetti, compianto artista, scultore e designer. Farci entrare nella fase generativa del manufatto come dimensione estetica. Questo è quello che s’agitava nell’incontro tra Lopriore e Salvetti fin dal primo momento e che ci ha MESTIERI D’ARTE & DESIGN
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portato all’estremo di un lungo itinerario della tradizione ristorativa dell’ultimo secolo. All’origine, infatti, tutto era segreto in cucina, celato, poi tutto si fece concluso nel piatto, in seguito si misero vetri tra cuoco e ospite per avere uno squarcio sul fare e infine quella parete di cristallo si decise di abbatterla. Ma qui stiamo parlando di altro ancora, di portare la cucina in sala, di fare musica da camera, di togliere la carena, di vivere un labo, insomma di compartecipare. La tavola conviviale. Ed è subito immersione. Strappati dalla nostra condizione di puri spettatori veniamo coinvolti nel momento funzionale. Ci sono vapore e fumo e calore. E poi ci sono le mani che fanno. C’è l’acciaio, la ceramica e il legno. Sono tre dimensioni belle da vedere, da toccare, da semplicemente attendere, ascoltando. Questa è la giostra che il cuoco e l’artista manovrano sapientemente e noi definiamo solo quanto partecipare, ma è impossibile astenersi. Il cuoco che fa con gestualità sapiente. L’artista che riempie 108
il tempo e lo spazio della sua assenza, delegando tutto ai materiali, alle forme e al pensiero intrigante di lui. Una piastra con campana che si chiama mistery, una vaporiera in ceramica a forma di uovo e un affumicatore a piani cilindrici di legno. Come vuole il gergo della contemporaneità artistica due su tre di questi strumenti sono senza titolo, anzi ormai e per sempre si chiamano proprio senza titolo. C’è in questo triangolo il nord e il sud dell’Italia e del mondo, c’è anche l’occidente e l’oriente. C’è un pezzo di cucina che atterra sul tavolo della sala ma contestualmente sfonda un muro. C’è la sorpresa, l’ironia. C’è lo sporcarsi le mani e lo stareattentianonscottarsi. C’è dunque anche la serietà, che come diceva Chesterton non è una virtù poiché è antireligiosa. Mentre questa esperienza è propriamente religiosa nel suo profondo etimo, ha a che fare con tutto ciò che concerne il raccogliere, il legare, il mettere in contatto ma soprattutto il venerare che è la punta estrema del rispettare. Il cuoco
A sinistra, i trucioli di faggio, appena accesi, che andranno inseriti all'interno dell'affumicatore. In alto, l’apertura delle cozze al vapore all'interno dell'uovo di ceramica. A destra, la cucina per Paolo Lopriore è un’esperienza viscerale, che coinvolge il cuoco nel profondo: dal rispetto della materia alla sua valorizzazione in purezza.
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di Appiano Gentile (Como), figlio d’arte di Gualtiero Marchesi e l’artista di Lucca che vogliono ribaltare la prospettiva, azzerare la distanza. Arte e mestiere, a dialogo bellezza e gusto. E poi può anche capitare che passi una bambina, che si affacci alle grandi finestre del ristorante per vedere un uomo vestito di bianco che fa vapore e muove le dita intelligenti ed è chino sugli oggetti: e dentro gli strumenti ci mette il naso appuntito e gli occhi e la faccia tutta, e da quelle strane macchine escono nuvolette di vapore e nuvolette di fumo, ma per lei che guarda sono innanzitutto nuvolette. Quelle sono macchine per fare le nuvole e la magia che vive lei è il massimo premio che cuoco e artista ambiscano dare e ricevere, anche quando si rivolgono a noi adulti. Ma in questa giostra il fumo e il vapore e lo sfrigolio svaniscono sempre presto rispetto all’ipnotica atmosfera a cui ci inducono, troppo presto passano oltre prematuramente: come hai fatto tu, del resto, Andrea. • 110
La bellezza degli strumenti dello chef sta nel connubio tra funzionalità e design. La concezione gastronomica di Paolo Lopriore, prima alla Certosa di Maggiano, poi ai Tre Cristi di Milano e oggi al Portico di Appiano Gentile, è una vera celebrazione della cucina, quella italiana, che trova la sua massima espressione nella convivialità, dove la relazione tra cuoco e cliente viene continuamente messa a tema e reinventata.
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OPINIONI
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Il prezioso patrimonio di storia ed esperienza delle manifatture è frutto del fertile rapporto manomacchina. L’Italia
RI-SGUARDO
intera è costellata di “manifatture del bello”, dove il lavoro sapiente degli artigiani scandisce i tempi meccanici della produzione.
Riscoprire il valore delle manifatture Vi sono parole che trasformano profondamente il senso di una frase: non tanto per il loro significato letterale, intrinseco, quanto più che altro per la forte carica simbolica o emotiva che esprimono. Una carica che può però variare: positiva se riferita al sostantivo, neutra se legata all’aggettivo. È questo il caso della parola manifattura e dell’aggettivo corrispondente, manifatturiero. Questo aggettivo lo sentiamo spesso durante i notiziari televisivi, ogni volta che viene presentato un rapporto sull’andamento della produzione nel nostro Paese: tutto quanto esce dall’industria di trasformazione viene genericamente fatto afferire al settore detto appunto “manifatturiero”, e le immagini mostrano immagini di fabbriche, operai, trasportatori. Una qualifica che quindi non ci dice nulla sul livello della produzione, sulla genesi creativa di ciò che viene fabbricato o sull’impatto che questo settore genera sui nostri territori. Un aggettivo dunque interessante ma freddo, che sembra quasi far parte di quella anti-lingua astratta e burocratica di cui parlava Italo Calvino. Diverso è il caso del sostantivo, “manifattura”. Nella nostra percezione una manifattura non è una fabbrica, non è un’industria, non è un atelier e non è una bottega. È un termine che sentiamo come profondamente italiano, e che immediatamente evoca un’idea di umanità, di calore, di competenza, di eccellenza: e l’idea del “fatto a mano”, con cura e creatività, si associa in maniera generativa e positiva anche a termini apparentemente distanti. Come le “manifatture teatrali” che abbiamo a Milano, o le “manifatture del bello” che in tutta Italia portano avanti la preziosa eredità rinascimentale di quelle realtà produttive che comprendono al loro interno tutti i passaggi della realizzazione, associando al lavoro manuale dei migliori Maestri artigiani anche l’uso di macchine e strumenti sofisticati. Questo numero di Mestieri d’Arte & Design. Crafts Culture ha cercato di dare una rappresentazione articolata e suggestiva di che cosa si intenda oggi per manifattura, con uno sguardo affettuoso alla tradizione: se è indubbio che dai tempi di Colbert queste realtà produttive si sono evolute, è altrettanto palese che il gesto manuale rimane al centro del processo, e che la dimensione meccanica rimane comunque nelle mani degli artigiani che ne padroneggiano ogni fase. La persistenza di queste realtà, di queste “alte manifatture”, deve molto all’eccezionale maestria tecnica degli artigiani; ma non va dimenticato il costante rinnovamento delle produzioni, spesso raggiunto grazie alla collaborazione con artisti e designer che hanno permesso di proporre nuove idee, nuovi soggetti, nuovi stampi, che gli artigiani poi interpretano perfettamente. Forse anacronistiche rispetto al produttivismo “fordista”, le manifatture restano tuttavia risolutamente contemporanee nel loro modo di produzione, ponendo al centro del loro approccio la qualità della lavorazione, i lunghi tempi di lavoro, la tracciabilità e la dimensione del patrimonio, in un tempo in cui i clienti sono ora più che mai alla ricerca di significato e autenticità. E di bellezza. •
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ENGLISH VERSION
C R A F T S C U LT U R E N . 2 3
MIND, HAND, MACHINE Alberto Cavalli The year 2021 marks the 500th anniversary of Josquin Desprez, the great Flemish polyphonist, who composed his most famous and refined motets in Italy, between Rome, Ferrara and Milan. In those days, Milan was clearly a special place: at the ducal court one could run into Leonardo da Vinci, the city’s workshops created the world’s most beautiful gold thread and silk cloths, and the production of weapons and jewellery was unrivalled throughout Europe. Of this productive excellence, common not only to Milan but to many Italian cities of the Renaissance, the vital signs and high craftsmanship still remain, expressed every day thanks to the work of the ideal heirs of that fortunate season: the manufactories. Whether they have inherited an illustrious past or have only recently been established, the manufactories (as Franco Cologni recalls in his Ri-sguardo) are neither workshops nor ateliers, nor even businesses: they are a productive expression in their own right. For us, they have become the paradigm of Italianmade goods, which are contemporary and crafted with creative awareness. History has handed us an important legacy, and one that demands particular attention to ensure it is not just protected, but also passed down through the generations. Back in the times of the Serenissima, for example, master glassmakers in Venice enjoyed important privileges. Yet they were also required never to leave the Republic, because the secrets of their trade had to remain within the waters of Murano. In 18th-century Florence, Marquis Carlo Ginori – infected by the fever for “white gold”, or porcelain, spreading like wildfire through Europe’s royal residences – set up a school inside his porcelain factory, where the teachers were the artists themselves, and the pupils were the most talented and eager shop floor workers. There is no end of examples such as these, prompting us to reflect on the evolution of Italian manufacturing, which has never been separated from the socio-cultural context of artisan districts. The present therefore gives us an idea of manufacturing linked to a splendid and adventurous past. But how can we envisage the manufactories of the future? From the Renaissance to the present time, their value lies in the balance they strive to achieve between hand and machine. This continues to be a cornerstone of Italy’s economic system: reflecting on their future therefore means investing in an idea of Italy as a “resilient manufactory”, capable of absorbing blows, putting itself back into play and constantly producing beauty. This edition of Mestieri d’Arte & Design. Crafts Culture thus aims to celebrate special birthdays, ultra-centenary anniversaries and new outlooks for these manufactories; yet it also sets out to tell the stories of the painstaking work yielded by priceless know-how, and the quality of the workmanship of the finest master artisans whose hands take centre stage in the processes within each manufactory. From gold and gemstones skilfully crafted by Buccellati to joint ventures between Ginori 1735 and the great architects and designers who have interpreted its excellence; from the hundred years of the legendary Venini to the metal alchemy of DeCastelli; from the intarsia of Promemoria to the organs of Ruffatti; the examples we have picked out, which we would invite you to read about in Ugo La Pietra’s opinion piece, are sophisticated and highly prized. And to round up, even nature is embracing the idea of crafting things by hand. We are proud and pleased to present the Mestieri d’Arte rose, a poetic metaphor for the new life being breathed into Italian manufacturing. Fragile and powerful at the same time, the rose was hybridised for Fondazione Cologni by a “manufacturer”, Rose Barni, which is unique of its kind and has been creating original roses in Pistoia since 1882. Enjoy your reading! • 114
USING MACHINES BADLY OR WISELY Ugo La Pietra In the process of transforming matter, also through the use of tools, the artist and artisan senses the possible creative actions that lead to inventing a piece of work and bringing it to life. Today, as much and more than before, small artisan businesses are putting new equipment to good use. This equipment (such as numerical control machines) on the one hand allows objects to be produced in series. But it also allows techniques to be adopted, which are more sophisticated than those performed by hand, eliminating potential flaws in some processes. Whilst it is true that, for many years, those “slight imperfections” constituted added value in flow production, it is also true, and can increasingly be seen, that the use of new machinery and new equipment is stimulating the artisan’s imagination, interacting with his “risk-heavy” actions in producing the work. It is in this very stage that “the machine” comes to his aid. Indeed it can even stimulate the creative juices of the maker. We need only see how a ceramicist manages to “insert” elements produced by hand during the process of building an object with a 3D ceramic printer. For the craftsperson, an innovative process can open up possibilities for striking the right balance between his skill and using machines. But unfortunately this is not always the case! Story of a manufacturer. For several decades, a small business in the outskirts of Milan worked with methacrylate, transforming it into exceptional pieces: prototypes of lamps, sculptural models, extraordinary works created by famous designers, luminous objects for community space and the works of young artists who, in the 1960s and 70s, were “experimenting” with new materials. The artisan used a mere handful of tools: drills and saws for cold-working techniques, furnaces, moulds and printers for making three-dimensional items. The incredible objects produced in the workshop were the fruit of his manual skill, combined with his ability to use those few tools, in much the same way that ceramicists have used the wheel, moulds and kilns to make their pieces in the course of the centuries. Over the years, the machines increased and the young artisan, so skilled at working with methacrylate, inaugurated a new workshop. He installed new numerical control machines and new printers for rapid production of his objects. Once upon a time this small enterprise (where the owner, his two children and two employees worked) only made a handful of items each week, struggling somewhat to make ends meet. Its revenue was just enough but not secure, as it was based on occasional orders for ever-changing customers. Today, a “big company” that mass produces plastic objects (selling them through hundreds of stores the world over) has commissioned the small “well-equipped” artisan business (as its only client) to produce semi-finished products, guaranteeing to purchase a large number of pieces a month, along with a secure income. The owner thinks it is a breakthrough for his enterprise, but he soon realises that the profit margins are only relative and he has to work to increasingly tight deadlines. He has lost his creative capacity, he no longer has his cherrypicked clientele, and he shudders to think what would happen if that “big company” should ever replace him with another business willing to work at lower prices. This is the long, tough story of our fine craftsmanship. It is a story that tells us that the introduction of new technologies does not always herald a turningpoint for transforming small businesses. Sadly, manufacturing companies that have, over time, learned how to adopt new techniques and new structures to positive effect, are lured by the sirens of the global market’s big numbers into producing on behalf of major enterprises, which entails the “fatal” loss of their value and identity. •
ENGLISH VERSION
A JOINT VENTURE BETWEEN CRAFTSMANSHIP AND DESIGN Claudio Gambardella According to the dictionary, the term Manufacture refers to the making of goods or wares by manual labor or by machinery, whereby a raw material is transformed into an object for consumption, i.e. into an artefact. It is also a byword for factory, industry, workshop, mill or plant. If we are talking about a manufactured item (manu factus), a generic word for products not necessarily made by hand, resulting from the processing of raw materials, the uncertainty about the confines of these words merely increases. The manufactory was a type of cooperation, which, for Marx, represented a way of organising work of a higher level than that of the artisan, of which it is the natural evolution. His theory allows us to infer three main ideas: a) the manufactory brings together individual and indeed different crafts under the guidance of a single entrepreneur; b) the individual craft is broken down “into its individual tasks, isolating and rendering them independent, until each of them becomes the sole function of a particular worker,” on the one hand generating “the virtuosity of the partial worker” and on the other yielding “goods produced as the result of societal work”; c) the work is concentrated in a single place, the workshop. This is another innovation that accentuates the distance between the manufactories and the artisan ateliers of the Middle Ages which, as Le Goff writes, in turn replaced the laboratories of the great owners of ancient times, giving the Medieval city an important role in production, to this day witnessed by the existence of street names such as Via dei Tintori (Dyers Street), Via dei Drappieri (Drapers Street), and Via degli Orefici (Goldsmiths Street). Yet these first three new ideas should be added to a further two: d) the introduction of the artist, and accordingly of a specific role for designing objects with a purpose, which was entrusted to a specialist, the art manufacturer (an expression used in 1849 by Henry Cole in his Journal of Design and Manufacture, a few years before the Great Exhibition). This was a decisive concept in the history of design and had already been introduced by those who, like William Morris, talked of applied art, which would later become art applied to industry; e) the gradual familiarisation of the artisanworker with machinery. This cooperation in the form of the manufactory already existed in the second half of the 16th century. It would later develop with the initiatives of Jean-Baptiste Colbert at the Court of Louis XIV, the Sun King. The case of the Gobelins Manufactory was to prove emblematic: it specialised in weaving tapestries, and remains active in Paris to this day. Artists of the likes of Cézanne, Léger and Calder have all worked for the firm over the course of time. Time-honoured manufactories include those which sprang up even earlier, in Milan’s Visconti-Sforza era (producing fabrics, jewellery, furnishings, weapons and musical instruments), those crafting porcelain in Europe in the 16th century in Meissen, Sèvres, Vienna, Doccia and Capodimonte, or the manufacturing and farming estate at San Leucio, which specialised in crafting silks to the standards laid down in the statutes known as the Leuciano Code, signed by Ferdinand IV of Bourbon. This “slow” form of production, which lives alongside the contemporary factory, as proven by companies such as Brunello Cucinelli, will supersede Industry 4.0, because its balanced combination of management, artisans and designers allows it to showcase the value of Italian quality. •
PAST AND PRESENT OF MANUFACTURING Ugo La Pietra With the advent of the mechanisation of certain departments and production processes, “manufacturing” has come to somewhat clumsily sum up the union (or perhaps even the conflict) between art and industry, between art and technology, between making things by hand and using a machine.
In the past, a factory was a production site that made things by combining the skills of many. Many artisans, or many workers? We’ve all seen those group photographs of factory workers, hundreds of men and women all posing together, looking straight at the camera: a faded photograph with the photographer’s signature embossed on the edge. A photograph that speaks reams of all the people whose work was the powerhouse of a local economy. Yet they were people who, with the arrival of machines, often saw their jobs disappear. They were the “blue collar workers” who kept the business going. More than artisans and custodians of know-how, they were actually pieceworkers. Very soon these workers disappeared: first came the machines, then they lost their identity. And quite often, the end of these manufacturing industries signalled the end of an economy, of a population of workers. It is a well-known fact that, with the advent of mechanisation, many artisans (workers) lost their jobs. Yet the “skilled artisans” managed to maintain their roles. In 18th-century London there were 13,000 craft specialisations (for example, the person who decorated the edge of a floor tile certainly didn’t paint figures or still life fruit baskets). There are still different models of manufacturing businesses that continue to thrive to this day, and they are worth observing with care and even admiration. These businesses often feature the role of “creator” (someone halfway between artist and artisan) where the business manages to combine manual work with the use of machinery, ensuring even mass-produced items are made to excellent standards. The most common model, and one still capable of standing its own ground, is that of manufacturers who make products to artisan standards on a large scale, examples of which can be found in Vietri sul Mare. The factory employs artists of considerable talent as well as making objects that are easy to replicate. As long ago as the 1950s, the “Tirrena” factory of Gambone and D’Arienzo, which moved from Vietri to Florence, was producing decorated plates in huge numbers every day: they were mass-produced items, but each piece was unique. This model, which has been adopted in manufacturing fields grounded by deep roots in local economies, sees the addition of another model, which is even closer to the needs and expectations of our “Made in Italy” market. This type of manufacturing industry features the maker, who works with “bases”, “types”, “modules”, “decorative systems” and “moulds”. These well-established assets resemble a basic range of samples, which are gradually organised and structured to suit the work, and meet the customer’s needs. In these “factories” characterised by models, identification numbers and thousands upon thousands of decals, the maker plays a production role, working within and indeed for the production line. This is a kind of manufacturing plant that can boast quality based on its history, on the fact that it has maintained the hallmark elements of its products, whilst also ensuring it is possible to add new models to its more traditional ones (one example of this being Richard Ginori). But alongside these examples we can also make out others, such as the large-scale manufacturers (see the crystal factory in Colle Val D’Elsa), which manufacture quality goods on an industrial scale at the same time remaining true to their artisan roots. In so doing, they maintain what is sometimes called a “niche” of objects, with craftspeople applying decorative techniques (such as “cold” engraving done by hand, using tiny drill bits on mass-produced crystal) during the production process. Nowadays, these long-standing, consolidated and indeed successful businesses have seen the arrival of many new enterprises, which have achieved quality production through the two-fold contribution of hand and machine. Each day, an ever-increasing number of young artisan-artists become involved in these processes, which in turn foster new processes that give value and authenticity to the piece being made. It is these “processes for transforming matter” that allow the maker to imagine new operative and creative models. •
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ALBUM Stefania Montanari
MANUFACTORIES Aquaflor Borgo Santa Croce 6, Florence – tel. +39 055 2343471 In the heart of Florence, just a stone’s throw from the Basilica of Santa Croce, lies a truly extraordinary business, both for the evocative elegance of the Renaissance halls of Palazzo Corsini Antinori Serristori, and for the olfactory research that is carried out here. It is Aquaflor, a Maison of handmade perfumes that has established its laboratories in the rooms inside the courtyard of the noble residence and in the cellars that wind downstairs. Today, Nicola Bianchi is the “nose” who, thanks to his scientific know-how and his background (he was born in a family of perfumers), manages to develop the most incredible fragrances to create exciting scents. The entrance is reminiscent of the workshop of a spice merchant from past centuries: here, amidst old pharmacy cabinets full of drawers, and sideboards with Art Nouveau glass crammed with bottles and phials, it is like stepping into the secret room of a magician, with filters, stills and potions. Even the labels conjure up evocative images: myrrh, oriental ambers, rose of Oman, aoud, incense and devilwood. Most of the essences used are extremely rare, and are sourced all over the world. Eau de parfum, cologne water, hydrating waters, room fragrances, incense, soaps, bath salts and candles are all skilfully crafted here. It’s enough to blow your mind. In addition to the vast selection of fragrances in the premises itself, which can be chosen according to taste, visitors can also have their own perfume made to measure. “Perfumes are evocative and they must arouse emotions,” the Master Perfumer says. “Each of us has his or her own favourite flower, or a spice, an aroma, which we not only recognise as being like us, but which makes us feel good. So I dedicate a great deal of attention to those looking for a bespoke fragrance. The olfactory is home to a sizeable collection of over 1,000 essences, including natural extracts and aromatic molecules. It is important to know how to choose the right combinations, and for me, to be able to help people choose them.” There are now a number of Aquaflor stores worldwide, from Dubai to Dusseldorf, Korea, Toledo and Marina di Pietrasanta. Given the ever-increasing interest in the Maison, it has decided to offer visitors to Florence a series of experiences in the multi-faceted world of fragrances: guided tours of the atelier and of the magical warehouse of essences, and traditional and creative perfumery workshops. Opening the doors of this special and fascinating Italian artisan business to children, too. aquaflor.it Ganci Argenterie Via Altaguardia 8, Milan – tel. +39 02 58314323 With a family tradition now in its third generation, Argenteria Ganci is one of the most important silverware craft factories in Milan. Founded in 1926 by the Ganci brothers, who had no heirs, after the war the factory was passed on to their partner Giuseppe Morandino. Today, this outstanding business is led by his grandchildren Giovanna, Giuseppe, Giorgio and Gianluca, Giovanni’s children, who represent the third generation and who have created new lines that complement the historical collection. The large workshop near Porta Romana is home to a production cycle that alternates traditional manual crafting with more sophisticated techniques. The manufactory continues to produce cutlery, service plates, tureens, bowls, candlesticks, trays, jewellery boxes, vases and furnishing accessories in all styles, thanks also to a wealth of models, drawings and sketches, some of which date back to the 1930s. The silverware factory spreads out across several floors. On the ground floor, in the exhibition area, one can admire many pieces from the historic collections alongside new creations: plates, baskets, trays in mirrored silver, frames with essential and minimalist lines, vases with surfaces embellished by small
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decorative interventions, jugs with slightly retro shapes inspired by the postwar period. There are also whole tea and coffee services, along with trinkets in original shapes. In the workshop, several master artisans display painstaking attention to detail as they follow the production cycle from start to finish: from modelling the sheets of silver to lathing, embossing and engraving. With the help of a copious archive collection, which still contains documents from the Art Nouveau and Art Deco periods, at Ganci it is also possible to order identical reproductions of missing pieces from 20th-century services. The workshop also provides a restoration and cleaning service, as well as an appraisal and valuation service for family silverware. ganciargenterie.com Caovilla Via Paradisi, Fiesso D’Artico (Venice) – tel. +39 049 9801300 In less than two years the company will celebrate 100 years since its foundation. It was in fact 1923 when Edoardo Caovilla opened his workshop in Fiesso d’Artico, on the Brenta Riviera, to produce high-quality handmade shoes. He had a formidable assistant: his wife Rita was unbeatable when it came to making uppers, whilst he dealt with the sole and the cutting. And “Rita” was the name he gave his first model of shoes. A craftsman as skilled as he was highly intelligent, Edoardo was ahead of his times and sent his son René Fernando to study fashion design in London and Paris. So it was that, in 1934, René Caovilla was born: a company that made luxury products and began embellishing its models with inserts and decorations. It also kept a close eye trained on the haute couture collections: an insight that earned it the respect of tailoring businesses in the 1960s. The first to enter into a joint venture with René Caovilla was Valentino, who asked him to create the shoes for the models of his fashion shows: an exquisitely dazzling “first line” instantly caused a stir. Other fashion houses followed suit, and the number of haute couture customers increased to include Chanel, Christian Dior and John Galliano. The business went from strength to strength both in Italy and abroad, up until the decision to open flagship stores in the largest cities. In 2001, René Caovilla was awarded a Knighthood of Services to Labour by the President of the Italian Republic for his outstanding professional commitment and entrepreneurial stature. Today, following internal restructuring, the time-honoured team (still partly composed of the children of the first artisans) has been flanked by an external design venture for new projects. René Caovilla explains: “In the company archives at Fiesso d’Artico, we still have over three thousand shoe models, made between 1934 and the present day, including the iconic Cleo/Snake sandal my father designed in 1969. To give you an idea of the amount of manual work that goes into them, each individual sandal takes two days of work in at least 20 different phases. To this day, it remains one of our brand’s best-loved models. The new, contemporary collection, with the flat sandal or the friulane, also embellished with gemstones, will further enhance our journey.” A journey that continues to be about experimentation. renecaovilla.com Cappellificio Cervo Via della Libertà, 16, Sagliano Micca (Biella) – tel.+39 015 473661 A typical 19th-century factory, with classic industrial warehouses, original machinery from the early 20th century, a tall chimney and an old sign recalling its history, Cappellificio Cervo is named after the nearby river that runs through the Biella area and the small village of Sagliano Micca. First established in 1897 as Società Anonima Cooperativa tra i cappellai nel Biellese, the hat maker’s soon went on to become one of the region’s largest manufacturers, bringing together master hatters expert in manual crafting and finishing techniques. Today, 150 years on, the factory has preserved its traditions. And thanks to the experience and skill of its craftspeople, it continues to keep the art of felt transformation alive. In the 1980s, it purchased the Bantam companies and the Barbisio brand, incorporating these models, famed the world over for their lightness,
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into its own range whilst continuing to innovate through research. More than 650 wooden and 430 metal hat moulds are stored in the large halls, and there is an archive with more than 90 recipes for colour shades. The expert hatters’ hands move from blowing certain types of pile to tacking, giving the cone its initial form and fulling. This is followed by dyeing and subsequent modelling, refinement and finishing, which give the felt its specific features. The last stage is the detailing during which lining, ribbons, exquisite sweatbands and the outer band are all applied. All of which is sewn by hand to ensure the stitching is invisible. Attilio Borione, one of the owners who runs the company, explains: “Our Hat Factory makes felt models in any colour and style, from the more classic to contemporary bespoke models, not to mention straw and Panama hats. We also have an exclusive contract for producing the hats for the Generals of the Alpine Regiment, the Super Bantams. Thanks to our archive, and the creativity of our master hat makers, we work with a number of fashion houses, putting our research and experimentation studio at their disposal. They include Hermès, Zegna and Loro Piana.” A wonderful example of fine Italian craftsmanship, which exports throughout Europe, the US and Japan. cappellificiocervo.it Barettoni Via Molini 3, Nove (Vicenza) – tel. +39 042 4590013 Veneto’s oldest ceramics factory was also the most important at the time of the Venetian Republic. In 1727, Giovanni Battista Antonibon decided to open a ceramics atelier in the family’s 15th-century palazzo at Nove di Bassano. With the backing of the Serenissima, which wanted to compete with Northern Europe’s porcelain trade with a local product of its own, the skilled ceramicist brought to life one of the area’s most important manufacturing enterprises. It had all the right cards from the outset: excellent clay rich in kaolin, the nearby River Brenta which was perfect for production and transportation, manual skill, and exceptional creativity inherited from his father. This is the pedigree of the manufactory which, for almost two centuries, turned out truly extraordinary pieces. In 1907, the factory passed into the hands of Lodovico Barettoni, who continued the business with the moulds, designs and decorations he inherited with it. Today, his grandson, called Lodovico like his grandfather, is at the helm of the company. He and his family are keeping up the tradition whilst ensuring the quality of the products remains high. The owner explains: “Over the years our business has made pieces and dinner services for embassies and royal families the world over. We make exclusive models for luxury brands such as Tiffany, Christian Dior, Gucci and Pierre Cardin. We have also worked in conjunction with major museums such as London’s Victoria and Albert Museum, Ca’ Rezzonico in Venice, the Topkapi Palace in Istanbul and the Ceramic Museum of Nove. Thanks to an archive containing hundreds and hundreds of moulds, some dating back to the 18th and 19th centuries, used with the original hand-casting technique, today we can reproduce models from many different periods.” The variety of creations is vast, ranging from majolicas with plain blue or green motifs to persiano or ponticello patterns with exotic designs, not to mention cut flowers decorations hailing from Nove itself. A host of unique pieces decorated entirely by hand and identified with the signature hallmark on the back: once a blue asterisk, over time it has assumed the guise of a shooting star. barettoni.com Lanificio Leo Via Cava 43, Soveria Mannelli, Catanzaro – tel. +39 0968 662027 Ever since it was founded, Calabria’s oldest manufacturing company has always remained in the family. This company and its owners have managed to safeguard traditional know-how and manual skill, along with its antique looms, using them in projects that are highly innovative in terms of production techniques, form and design. The machinery used by Lanificio Leo, located in a small village in the Sila area, includes machines dating from between
1890 and 1965, making it an excellent example of one of Calabria’s museumbusinesses. All its machinery is functioning, and some of the production processes are still performed on period looms to this day. The wool processing cycle starts on site with the transformation of the yarns, and concludes with the weaving and sewing of the garments. Scarves, throws, rugs and runners are all made here, with fabrics that also feature innovative semantic elements. Emilio Leo, the fourth generation of this family of enlightened artisans/ entrepreneurs is an architect by vocation and an entrepreneur by destiny: “Our company philosophy revolves around revaluating archetypal resources. These yield crafted items whose local identity, when combined with a contemporary design, results in innovative collections that convey a story. We have taken part in numerous trade fairs and have often been picked out as one of the best exhibitors: the Milan Furniture Fair, Maison et Object, the Milan Triennial, the Oporto fair... In 2020, the Punto Pecora project, which is our icon, was included in the fourth edition of Le Vie del Compasso d’Oro, an event promoted by ADI which invites special businesses to open their doors to equally special design objects. I am persuaded that the only way to move forward whilst preserving an identifiable code of your own is through transformation. I like to quote Gustav Mahler, who once said: ‘Tradition is not the worship of ashes, but the preservation of fire’. And the way to preserve tradition is through transformation.” lanificioleo.it Salviati Fondamenta Lorenzo Radi 16, Venice – tel. +39 041 5274085 Antonio Salviati was a visionary lawyer from Vicenza who fell under the spell of the mosaics in the St. Mark's Basilica, and Murano’s glassmaking arts in general. So much so that he decided to establish a glassworks in Venice. His aim was to breathe new life into the art of glassmaking, which had been short on new ideas for several decades. So it was that, in 1859, one of the outstanding craftsmanship stories of which Italy can feel proud first found its feet. With the support of Abbot Zanetti (a virtuoso who founded the Glass Museum in 1861 followed by the first school for glassmakers) and then-Mayor of Murano, Colleoni, Salviati embarked on an adventure that in no time saw him notching up international awards and foreign sponsors. This allowed him to expand, culminating in 1867 when he won the gold medal at the Paris Universal Exhibition. An illuminated businessman, he made it obligatory for his craftspeople to attend design school and learn to write, creating an educational course within the glassworks. In a short space of time the range of products expanded to include glasses, goblets, vases, amphoras and plates. His mosaics adorned the Opera Theatre in Paris, the cupola of St. Paul’s Cathedral and the Houses of Parliament in London. His heirs continued to foster production with an eye trained firmly on creativity. The partnerships with artists and designers continued to intensify right up to the present with mosaics and glazing with the addition of lighting projects, lamps and sound-absorbing windows. 1962 saw yet another award: the Golden Compass bestowed by ADI for the Marco vase designed by Sergio Asti. Some of the pieces produced by the glassworks are on display in museums worldwide, including New York, Hannover and Tel Aviv. Today the company is aiming to relaunch the glass industry by defending and spotlighting the artistic tradition and originality behind the production process, which continues to be a key glassmaker on Murano, and an ambassador for Italian beauty around the globe. salviati.com Santoni Via Enrico Mattei 59, Corridonia (Macerata) – tel. +39 0733 281904 Corridonia, in the province of Macerata, is home to a cutting-edge manufacturer. It is self-sufficient for its electricity requirements thanks to solar
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panels, and its water needs are met by the rainwater it recovers. The company is Santoni, the footwear manufacturer first founded in 1975 by Andrea Santoni, a master of this craft who recently passed away and a true example of Italian excellence. The factory creates footwear in the softest leather, along with shoes in shaded polished leathers, sneakers, tennis shoes, boots, sandals and loafers with a reputation that precedes them all over the world. All its models are distinctive, and are the result of the company’s tireless research. “I was born and raised here, and I started working with my father Andrea in his company when I was 19. But when I was 6, I was already enjoying myself with choosing the leathers,” Giuseppe Santoni, now at the helm of the company, explains. “In the last decade we have been working on several fronts, not just to make our shoes comfortable as well as beautiful, but also to have a more sustainable production line. In the Marche, the region my family hails from, we are surrounded by beauty. Without a doubt this has helped shape our tastes, and our desire to respect the environment whilst also endeavouring to create beautiful objects. When you are making shoes, you have to stick to a few basic rules: comfort, quality and style,” he explains. “Fashion can play a role for one season, perhaps two, but if the person wearing the shoes, whether man or woman, doesn’t find them comfortable then there’s no point whatsoever in investing in marketing and advertising.” The product has always been handcrafted, and also involves the very latest technologies to manage organisational aspects. “We have 700 employees, of which 80 are craftspeople who specialise in ageing leather, others in velatura (a Renaissance technique which we have revived from our past), and 15 engineers for organisation and digitalisation purposes. Not to mention the 30 shoemakers who handle the made-to-measure orders and travel abroad to do so. It is a service we have been offering our clients for many years now. We are aware of the importance of tradition and of passing on knowledge, which has become more essential now than ever before: for this reason we work with several technical schools and universities, but we have also set up a school for training master shoemakers within our own production site, to ensure know-how is safeguarded and passed on.” santonishoes.com BOOKS Ugo La Pietra Terre. Artigianato artistico italiano nella ceramica contemporanea Edited by Fondazione Cologni Published by Marsilio Editori The Mestieri d’Arte series is seeing the addition of a new volume, penned by Ugo La Pietra, published at the end of June. The Chairman of the Foundation, Franco Cologni, was very much in favour of this publication. He explains: “It is an exquisite voyage through the world of ceramics, and one which this eclectic architect, designer, artist and researcher wanted to publish to illustrate Italy’s incredible tradition in original ceramics, which are interpreted in different ways in every region of Italy.” Master craftspeople from all over Italy who experiment with techniques, materials, firings, glazes and thicknesses with a bold yet skilful approach, bringing form to new ideas on a daily basis. Leafing through this book offers a glimpse of the opportunities that even now, with its countless offshoots linked to all the techniques adopted in different areas, ceramics offers as a means of personal creativity. Artisans whose archaic, ancestral movements transform the most ordinary, familiar material into something extraordinary. As indeed Italy itself is extraordinary; its “ceramic cities”, with their specialist museums and vast collections, illustrate the love affair between the hand and the material, between thought and form, between the desire and the technique. In order to create this sumptuously illustrated volume packed with information, Ugo La Pietra turned to some of the most authoritative historians and critics in the field, including Enzo Biffi Gentili, Flaminio Gualdoni and Anty Pansera. With the aim of not just illustrating a varied yet somewhat overlooked history to ceramics enthusiasts, but also offering a beacon for craftsmen and women of the future.
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Susanna Pozzoli, photographs and texts Venetian Way A project of the Michelangelo Foundation for Creativity and Craftsmanship with Fondazione Cologni Published by Marsilio Editori This publication collates the outstanding photographic work of Susanna Pozzoli, commissioned by the Michelangelo Foundation for the “Venetian Way” exhibition presented during the first edition of Homo Faber in 2018. A decision that aimed to ensure this wealth of images of savoir-fare in the Venice and Veneto area as a whole is not lost, and that it lives beyond the confines of exhibitions as an outstanding tribute to the city on the lagoon, and its finest manufacturers. A truly perceptive photographer and journalist, Susanna Pozzoli has always had a preference for showcasing the skilled craftspeople and the handing down of knowledge in modern times. The book is packed with poetic images, of snippets from past lives, or places with an evocative atmosphere, as well as a host of short accounts of experiences, both professional and human, in outstanding ateliers and artisan enterprises. All are protagonists of the many-faceted work the artist has managed to capture. The account unfolds through the images of 21 hand-picked businesses, following the rhythm and pace of manual work, of its sacred and moral aspects, in a poetic tribute to the beauty of the crafts, its people and its territories. Susanna Pozzoli is both the mind behind the images and the author of the texts, which are written with immediacy and passion. The publication opens with a note from the Michelangelo Foundation, Franco Cologni’s preface, and an introductive piece by Toto Bergamo Rossi, Director of the Venetian Heritage Foundation, highlighting the historical value and the living heritage these enterprises represent for Venice and the Veneto region. A fundamental contribution is provided by Federica Muzzarelli, Full Professor of History and Ideas of Photography at the University of Bologna, who offers an in-depth and refined key for interpreting the photographer’s images. Venezia su Misura Craft shopping guide A Gruppo Editoriale project with the Michelangelo Foundation for Creativity and Craftsmanship and Fondazione Cologni Extraordinary places full of skill, workshops that engage in the quest for excellence, creators of one-off pieces that are the stuff dreams are made of. Following the success of Firenze su Misura, Milano su Misura and Italia su Misura, Gruppo Editoriale has picked 50 ateliers in Venice, with the invaluable help of Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte and the support of the Michelangelo Foundation. In so doing it has placed the extraordinary processes used to create handcrafted pieces in the spotlight, along with the charm of the workshops and the faces of the master craftspeople who turn out outstanding items with passion and talent on a daily basis. A journey through the canals, sestieri and islands of the Venetian lagoon glimpsed in evocative images of the crafting process, and personal portraits. Tradition and manual savoir-faire frequently intertwine with research into new technologies, breathing life into exceptional works. This agile, engaging guidebook takes readers on a voyage to discover the crafting businesses of Venice, accompanied by poetic images shot by the expert, keenly perceptive photographer Dario Garofalo. He sheds light on the secrets of the crafts, immortalising them with his lens, which is sensitive to the work of the master artisan. From gems to silver, from fabrics to tailors, from décor to furnishings, from glassworks to ceramics, from footwear to leather goods, and from mosaics to masks: the images are accompanied by practical information and tips to familiarise readers with every location and artisan mentioned, including how to get there. The texts are in Italian and English. The guidebook is distributed in fine hotels and Venice’s best bookshops, as well as bookstores in Italy’s largest cities. It is also available from online shopping websites.
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EXHIBITIONS Fittile. Artistic craftsmanship in contemporary ceramics Quadreria Triennale Milan 4 September-31 October 2021 by Ugo La Pietra After Mirabilia and Vitrea, Fittile is the third exhibition of artistic craftsmanship in the cycle “Mestieri d’arte. Craft Culture”, born from the collaboration between Triennale di Milano and Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte, to support and promote the excellence of craftsmanship in Italy. The exhibition will be curated by Ugo La Pietra and will offer an up-close look at the artistic work of a number of fine artisans and artists, all of whom are contemporary protagonists of Italy’s ceramic arts. As observed by Chairman Stefano Boeri, ceramics is taking centre stage once again at the Triennale, engaging in a line of research whose roots lie in the first Exhibitions at Monza’s Villa Reale and the precursors of the future Triennale. “The oldest form of Italian material culture (as is the case with every country lapped by the Mediterranean sea) is linked to ceramics. A culture that has developed over the centuries right up to the present day, describing and representing customs and rites in relation to different types of social behaviour, it sees formal and decorative forms of expression steeped in artistry. In Italy, ceramics are currently expressed by an increasingly large group of artists and artisans, almost all of whom are linked, whether directly or indirectly, to traditional areas. The works presented in this exhibition offer an incomplete overview of the men and women who craft items with skill and a personal expressive language. Technique and poetry are the two values whose two-fold presence gives greater depth of meaning to the exhibition, while concept and spectacularisation are the two parameters often found in equal measure in the pieces on show. They are inspired by the archetypal object of everyday usage which is also imbued with symbolism: the vase.” At this, Ugo La Pietra introduces around fifty hand-picked master craftspeople from all over Italy, summoned to display their ceramic works in styles and techniques that are varied but all linked by a single common thread: great creativity and savoir-faire. The names are well-known, including Amaaro (Martino Pompili and Claudia Torricelli), Sandra Baruzzi, Chiara Berta, Rosanna Bianchi Piccoli, Bottega Vignoli, Linde Burkhardt, Roberto Cambi, Ceramiche Gatti 1928, Ceramiche Rometti (Jean-Christophe Clair), Matteo Cibic, Antonella Cimatti, Giovanni Cimatti, Guido De Zan, Pablo Echaurren, Elica (Elisabetta Bovina and Carlo Pastore), Candido Fior, Fos (Piero Mazzotti), Evandro Gabrieli, Bruno Gambone, Alfredo Gioventù, Lucio Liguori, Federica Marangoni, Ugo Marano, Antonietta Mazzotti, Tullio Mazzotti, Giovanni Mengoni, Ignazio Moncada, Mirta Morigi, Matteo Nasini, Simone Negri, Tonino Negri, Ugo Nespolo, Marta Pachon Rodriguez, Karin Putsch Grassi, Francesco Raimondi, Alessandro Roma, Gabriella Sacchi, Andrea Salvatori, Giancarlo Scapin, Luigi Serafini, Tarshito, Nello Teodori, Luca Tripaldi, Ferdinando Vassallo and Silvia Zagni. The Italian/English catalogue, distributed free of charge to visitors, features extensive photographic documentation of the pieces on show, along with in-depth profiles outlining the works of the individual masters and a web-based version. fittilemilano.it Doppia Firma. A Garden of Talent Palazzo Morando, Milan 5-12 September 2021 A new, keenly-awaited appointment for an exhibition that revolves around outstanding craftsmanship and design: the fifth edition of “Doppia Firma, a dialogue between design and artisanal excellence” is set to coincide with Milan’s Salone del Mobile. The project is presented by the Michelangelo Foundation for Creativity and Craftsmanship, and was conceived by Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte together with Living, the magazine of Italian broadsheet Corriere della Sera. Once again, after a number of editions, it will be possible to admire the talent of exceptional craftsmen and women who breathe life in the ideas of
artists and designers, in a creative, fruitful and reciprocal exchange. The works will be displayed in historical Palazzo Morando, a magnificent 17th-century building in the heart of Milan. Housed within the Cortile d’Onore, it has generously been made available by the Foundation of Milan City Council. The topic of the 2021 edition is gardens and open-air living. There are ten duos of exhibitors: the designers taking part are from a number of European countries, whilst the craftsmen and women are all Italian. The aim of the event is to show how creativity and manual skill, combined with tradition and innovation, can bring unique, original works to life. Works that mirror a present-day culture whilst taking their history to heart. A variety of materials have been chosen: ceramics, fabrics, wood, metal, terracotta, mosaic, marble and metal. To follow, then, are the twosomes taking part in Doppia Firma 2021: Adam Nathaniel Furman, a young, multi-award-winning London designer, an eclectic fan of colour who created his design in conjunction with Bottega Nove di Christian Pegoraro, a young entrepreneur from Veneto who specialises in ceramic and porcelain mosaics. Barnaba Fornasetti, who inherited the inspired approach and creative freedom of his father Piero, as well as the family business, will be engaging with Giovanni Bonotto, fourth generation of a textile manufacturer who supports luxury in craftsmanship. Dorothée Mailichzon, a French artist and decorator who loves to create atmospheres, has entrusted her vision in wood to outstanding cabinetmakers Morelato, based in the Verona area. Then there’s Destroyers/Builders, a studio founded by young Belgian designer Linde Freya Tangelder, presenting its project with time-honoured Fonderia Artistica Battaglia of Milan. An all-Italian team sees Florentine designer Duccio Maria Gambi paired with master ceramist Ugo Poggi. Not to mention the duo pairing Federica Elmo, Roman industrial designer, and Dimensione Marmo. Then there’s the twosome of Milanese conceptual designer Elena Salmistrato and Udine-based mosaic artists Laura Carraro and Mohamed Chabarik. From Rotterdam the studio Odd Matter, owned by Dutchman Els Woldhek and Bulgarian Georgi Manassiev, have entrusted their project to Sardinian metal crafting atelier Bam Design, founded by Tonino Bruno with sons Vittorio and Andrea. Marcin Rusak, a multidisciplinary artist born in Warsaw with a studio in London, has developed his project in conjunction with well-known Roman manufacturers Poignée. From the UK, Philippe Malouin has chosen Daniele Mingardo, master metalworker, to breathe life into his design. Last but not least, Holland’s Sabine Marcelis has placed the creation of her ceramic design in the hands of Veneto manufacturer Stylnove. The special guest of the exhibition will be Ugo La Pietra, who will be presenting a past design of his own for plant container vases in ceramic and terracotta, in a special installation that pays tribute to the great designer and mentor of the applied arts. The project is coordinated by Alessandra Salaris and the display is curated by her Studio. Laila Pozzo’s photographs and the video filmed by Emanuele Zamponi document the work of the master craftspeople with beautiful images. doppiafirma.com
ONE HUNDRED YEARS OF WONDER Jean Blanchaert When we come into the world, the good Lord hands out virtues and defects more or less equally to us all. Some people are calm, perhaps good natured, and live a peaceful life. Their intelligence lies in understanding that the gifts they have received need nurturing like plants: they cannot be left to wilt. Then there are those who are irredeemably lazy, and let themselves be carried along by the waves. One hopes they are at least attractive, because they will need all the help they can get. We could carry on for hours with examples like this, and we could put hundreds of different combinations together: pleasant and incapable (dangerous for a doctor), educated and good-natured (ideal for a primary school teacher), polite but distracted (not a serious problem for a painter but potentially life-threatening for a school bus driver). Yet certain combinations are like gold dust (with a couple coming along every century). When they appear,
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it’s like being in Las Vegas and seeing three camels, three cactuses and three helicopters pop up on a slot machine. It happens about once every fifty years. Everything stops, the slot machines go wild and the casino manager comes out in person to check everything is as it should be before handing over a tax-free cheque for fifteen million dollars to the lucky player. Paolo Venini was born on 12 January 1895, in Cusano Milanino (Milan). It was snowing. On 18 February 1898, in Modena, Enzo Ferrari was born. It was snowing. So it was that nature heralded the arrival of two of Italy’s greatest geniuses. The camel-cactus-helicopter combination came up in the form of an entrepreneur-artist-visionary. If Ferrari is a byword for the world’s most beautiful automobile, Venini means the most beautiful glass anywhere. As the great banker Jacob Safra once said: “If you choose to sail upon the seas of banking, build your boat with the strength to sail safely through any storm.” Ferrari and Venini managed to cross a veritable ocean of difficulties and financial storms whilst still being exceptional, because their founders built factories like Safra’s boat. If Enzo Ferrari had the unparalleled ear of a musician, which allowed him to get into the heart of an engine and understand it, Paolo Venini had the unparalleled eye that allowed him to introduce masterpieces and tangible visions of a new approach to the age-old tradition of glassmaking. The spark, the passion between Paolo Venini and Murano glass was first ignited during the First World War. He was an officer of the Artillery (Horseback Transportation) and was based in Isonzo, in the same regiment as Umberto Boccioni. Whilst on leave in 1915, he happened to go to Murano. It was love at first sight. In what was still a medieval world, where the exceptional skill of a few master glassmakers was being handed down through the generations, sometimes even for hundreds of years, the entrepreneur-artist-visionary realised that his life would be there. He hungered to live, and to make his dream come true. In 1919, he went back to Milan, worked as a lawyer for some time (he graduated from Pavia), and a short while as a notary, but in April 1921 he opened a furnace in Murano with Venetian antiquarian Giacomo Cappellin. They also had a shop overlooking St. Mark’s Basilica. They appointed painter Vittorio Zecchin to be their artistic director. He had already notched up a wealth of experience in glass making, and was one of the first to valorise two essential characteristics of Murano glass: its clarity and its lightness. He was the person who invented the Veronese vase. In the meantime, Paolo Venini split the company with Cappellin, married Ginette Gignous and they moved to Venice. With the passing of the years, they remained the outsiders of Murano, but in Venice they became the new kings. And as early as the 1950s, Venini glass could be found all over the world. Silvia Damiani, Chairperson of Venini, explains: “In the course of these hundred years of history and passion, Venini has safeguarded and interpreted a unique artistic legacy. Its roots lie in 13th-century Venetian culture, and it has yielded hallmark pieces that combine extensive knowledge of tradition with the appeal a contemporary aesthetic.” Right from its foundation, the master glassmakers have always been the heart, memory and strength of the furnace: there is no such thing as schools in glass making, only lessons delivered orally, with gestures and movements. These noble craftspeople have dedicated much of their lives to the art of glass, and indeed still do so, honing their skills more and more. If we were in Japan, some of them would be living national treasures. Their greatest achievement is that they can understand the desiderata of the artists who come to Venini, creating a telepathic bond with them, obeying their instructions whilst inevitably, and perhaps fortuitously, adding a touch of their own. Here are just some of the legendary names of these masters, back in the day of Paolo Venini: Arturo Biasutto (Boboli), Oscar Zanetti (Saor), Ferdinando Toso (Fei), Giacomo Toffolo, Oreste Toso, Mario Tosi (Grasso), Mario Coletti (Farai) and Checco Ongaro. It is thanks to them that Vittorio Zecchin, Napoleone Martinuzzi, Tomaso Buzzi, Tyra Lungren, Paolo Venini himself, Carlo Scarpa, Gio Ponti, Ken Scott, Tobia Scarpa, Ludovico De Santillana, Fulvio Bianconi, Thomas Stearns, Toni Zuccheri and Tapio Wirkkala managed to translate their ideas into glass. In the last fifty years, in spite of numerous changes in ownership, the flame of research and innovation has continued to burn bright. Laura de Santillana, Alessandro Diaz de Santillana, Gae Aulenti,
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Fratelli Campana, Philip Baldwin and Monica Guggisberg, Ettore Sottsass, Tadao Ando, Alessandro Mendini, Giorgio Vigna, Emmanuel Babled and Peter Marino are just some of the artists and designers whose joint ventures with Venini have helped fly the Murano company’s flag high. Today, Venini is more alive than ever before. The artistic direction is entrusted to Michela Cattai, an artist who is continuing the tradition of researching new techniques, new colours, with outstanding encounters and projects. Venini is 100 years old, but still young at heart! •
THE ALCHEMY OF METAL Alessandra Quattordio In the distant past, fire and anvil were the attributes of homo faber, who forged strong iron tools, whether they were weapons or everyday implements. Alluding to the god Hephaestus, historian Mircea Eliade, an expert on the interweaving of metal and alchemy, once wrote: “The cooperation between the divine Blacksmith and the Gods is not limited to his participation in the great combat for sovereignty. The Blacksmith is also the architect and craftsman of the Gods.” If we transpose this metaphor into the present day, confirmation of just how much metalworking is firmly welded to the ars aedificandi is afforded by the bond between manufacturing businesses and designers. In the Treviso area, proof of this bond lies at De Castelli, a company producing metal furnishings and surfaces. The business is now in its fourth generation with Albino Celato, who safeguards the legacy left by his great-grandfather Luigi, a master blacksmith, at Crocetta del Montello. The Asolani mountains loom large over the area, and the River Piave flows majestically eastwards before dividing into canals such as the Brentella. Celato explains: “Its waters were the ‘motor’ of the wheel that delivered force to the hammer, helping my great-grandfather to forge the iron and turn it into a spade or ploughshare.” With the arrival of Albino in the company, in the 1980s, things began to change: the business was subcontracted to produce furniture parts alongside its manual production, at which it introduced digital programming and laser cutting. But Albino soon felt the need to give the product a more personal touch, and to his way of thinking, a combination of craftsmanship, technology and design seemed to be the winning approach. The range of materials was carefully chosen: iron and steel were joined by copper and brass, all fine metals for the catalogue products – crafted inhouse with the help of architects of the standing of Aldo Cibic and Michele De Lucchi – as well as the products it gradually started to make in joint ventures with the big names it had an affinity with, such as Boffi or Paola Lenti. The company also embarked on custom projects for interior designers and architects of international standing, such as Pezo von Ellrichshausen and Cino Zucchi. Amongst other things, the latter was the brains behind the 2014 “portal” into the Italian Pavilion at the Arsenale, for the 14th Architecture Biennial of Venice: with its double-curved arch, it was modelled to resemble a huge ear that captures cosmic signals, funnelling visitors into the building. Archimbuto has since become a permanent feature, and it expresses the visionary talent of the designer, as well as the outstanding craftsmanship of De Castelli, who skilfully modelled the work in Cor-ten steel. The same goes for the arch divisions designed by Zucchi for the De Castelli showroom in Milan’s via Visconti di Modrone. At the entrance, the apses – in brushed and oxidised brass, with double manual forming – symbolise the experimental approach in sound qualities, the scent of which is redolent of ancient metalworking rituals. Inside, the furnishings of the main hall and the premises themselves have been divided up by Zucchi in a way that creates a harmonious feeling of sumptuous cavities. Next door, in the Materioteca, samples of sheets resembling small secular altarpieces bear witness to the flexibility of the metals. Albino explains: “The concept of the manufacturing enterprise is fulfilled with products made using high-tech machinery, but which undergo treatment processes by hand to finish the surfaces: welding, oxidation, erosion, satin finishing, brushing and burnishing, not to mention actually
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forming the sheet itself. Once this was done by the ‘panel beater’, a profession that nowadays is only found in the field of vintage cars. We are reintroducing them, thanks to the training work we have always provided.” A new alchemist, Albino Celato has many arrows in his quiver. The names given to the company’s own metal finishes are a clear reference. DeLabré: manual cloud oxidation; DeOpale: oxidation with colour effects that recall fire opal; DeMarea: a tidal effect similar to the one left by waves on the shorefront; DeErosion: a controlled erosion; or DeMosaic with its modular tiles. All are produced by three production units: Surfaces (coverings), Architectural (custom), and Collection (furnishings). The most surprising of the latter include the 4-millimetre copper bench Wave, by Francesca Lanzavecchia+Wai Design Studio; the Barista cabinet in a canneté finish by Adriano Design; and the Burraco card table by Giorgia Zanellato & Daniele Bortotto. Last but not least is the timeless Celato cabinet, with its invisible drawers covered in iron, steel, brass and copper: a piece of micro architecture and the summa of legendary know-how, handed down within a manufacturing business that safeguards beauty whilst looking far into the future. •
STRAIGHT FROM THE HEART Marina Jonna We are in the fragrant, reassuring premises of Promemoria in Valmadrera, close to Lake Como: a place that influences and inspires some of the works brought to life here. There are artisans that work with all the care and dedication that a noble, living material such as wood deserves. There are computerised machines that accompany them, enhancing the quality of the mechanical tasks and cutting costs, thereby allowing the craftspeople to save their energies for more complex techniques. There are talented employees skilfully laying the groundwork for a piece which will express itself with the passion that passes from the head to the hands. A love that permeates everything, including the words and gestures of Romeo Sozzi, the tireless proprietor who talks about the beauty of wood and leather, and about how everything is done with commitment and dedication. It all started in the 19th century, when the Sozzi family ran a workshop that restored the horse-drawn carriages of the aristocracy: it was the start of a passion which saw the foundation, in 1988, of Promemoria, now into its fourth generation. The brand’s emblem is a frog representing metamorphosis, a transformation followed by a symbolic liberation: it is its exceptional ability to adapt, its versatility, which allows the frog to evolve whilst largely remaining unchanged. The same goes for Promemoria, which was recently bought back by the Sozzi family, highlighting the business philosophy behind its success: doing things well and maintaining the Italian origins of flawless traditional craftsmanship, geared towards making products that encompass a story, from the choice of the raw materials to the product’s development, following its natural inclinations and subtleties. Drawing strength and inspiration from everything around us. “Inspiration comes from many places, and above all when you least expect it. It can come from something you’ve read, or from a person you meet. The most important thing is to keep an open mind and be receptive to new stimuli. The roots remain the same: they are our history, knowledge and culture,” Romeo Sozzi explains. “The idea goes round and round in your head, day and night, until it takes form. That’s when the object or piece of furniture takes shape. Sometimes it is the result of dialogue: when we take on a tailor-made project we talk to the clients. We listen to their dreams, and we get to know them. And it’s vital to see the place that will become home to that piece: the materials it is made of, the way natural light affects it, where it is built. This in turn gives us ideas to help us make what they desire but cannot give form to,” Romeo Sozzi says. It is a constantly evolving journey fostered by emotions and the commitment to doing things better and better, creating furniture designed around wellbeing, around the pleasure of form and fruition, combined with an
industrial approach that underscores the craftsmanship that has gone into the work. “One thing I’ve always loved about furniture is the emotions it conveys to the touch. When we were lucky enough to be able to buy Pierluigi Ghianda’s atelier, I went into his workshop, and just touching his masterpieces conveyed all the history of their maker.” The fine joinery work is combined with other materials, such as marble, glass or nickel, lending a contemporary angle to hand-crafted pieces. And the search for the refined fabrics or exquisite leathers used to upholster Promemoria furnishings are the result of in-depth research that leaves nothing to chance. This skill could, in Romeo Sozzi’s plans, give rise to a school one day, so the importance of a craft which must not be lost can be passed on to others. Visitors to the Promemoria joinery find time-honoured, authentic roots as they observe the skilled hands of master artisans making furniture such as Amarcord, a container unit designed by the pencil of Romeo Sozzi himself, featuring exquisite marquetry on its doors. Or Eloise, a chair whose structure is the result of a careful balance between full and empty spaces, between enveloping silhouettes and geometric precision. It is all about this balance, which defines a gentle, low-key elegance involving all the senses, from sight to touch, not to mention smell, which conjures up aromas of days gone by. On one shelf sits the elegant silhouette of Amaranth, a small duck made by the craftspeople of Bottega Ghianda. Inside its body is a secret compartment, next to its heart, for safeguarding precious objects. I approach it, and as I caress it, I realise that it is indeed true: the wood is so soft that as you stroke it, it seems to return the caress. This is all it takes to grasp the difference. Words are superfluous. •
THE ART OF RENEWING SYMBOLS Federica Sala The Beato Angelico School, established in 1921 by Monsignor Giuseppe Polvara on the advice of Cardinal Ratti (the future Pope Pius XI), was founded in Milan with the precise aim of updating liturgical art under the sign of modernity. In the very capital of the Modern Movement, Monsignor Polvara set up the school according to the techniques and currents of the artistic vanguards, applying them to the various fields of sacred art. He encouraged the use of reinforced concrete and a rationalist approach as the perfect means of expressing a new, pared-down spirituality and sobriety in the liturgical arts. He fostered divisionist currents in painting, and he saw architecture as a discipline capable of encompassing all the others, and of fulfilling art’s most sacred mission. It was a professional school, and for many years also an artistic high school, in which beauty was cultivated as a means of expressing truth, morality and harmony. This led to the creation of workshops for chiselling, engraving, embroidery, mosaic and enamel, as well as courses in sculpture, painting, restoration and liturgical adaptation, which over the years have become the pride and joy of a modern, non-baroque production, far removed from the imitative stereotypes often associated with liturgical art, but always in step with the evolution of society and liturgy itself. Objects were created to renew the power of liturgical symbols and spaces were redesigned not to amaze or distract, but to prepare the soul for the elevation of the spirit. All in the name of chorality and community. In fact, for Monsignor Polvara, the experimental relationship between pupils and teachers was fundamental. He often said that “in sacred art, individualism is the most serious weakness and reason for inadequacy and decadence.” A school of arts and crafts where, to this day, tiaras, mitres and chasubles are chiselled, and where the sacred objects of religious ritual are made: crosiers, goblets, communion dishes, ampulla, candelabras, crosses and episcopal rings, which are often made by the artisans of the Beato Angelico ateliers in close contact (today often via WhatsApp) with the customers themselves. The result is a Milanese business that is far closer to the world of design than one might expect. We need only think of the many photographic reportages produced for the Beato Angelico School by Giovanni Chiaramonte, or the exhibition on
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sacred vases curated by Marco Romanelli at the Museo Diocesano, which involved profound designers such as Mendini, De Lucchi, Dalisi, or the graphic project of Pierluigi Cerri with Marta Moruzzi for the time-honoured Arte Cristiana magazine, founded in 1913 by Monsignor Celso Costantini before being handed over to Monsignor Polvara, to this day an active history of art instrument published by the Beato Angelico School. As indeed Don Umberto Bordoni, who also runs the school, says: “It is right to see liturgy as a Gesamtkunstwerk (total artwork), as the design of objects for worship always calls for coherence, for an understanding in terms of composition of architecture and the expressiveness of the ritual. It calls for research into a style and forms that, whilst noble and essential, help craft a coherent set of symbols. Today this challenge is wide open: the bond between the world of design, architecture, art and liturgy has only just ben forged. The postmodern context is a fragmented one. Yet the lofty nature of the theoretical and practical task is appealing, and one that demands a new outlook, in which the Beato Angelico School firmly intends to engage.” •
A MILANESE STORY Alba Cappellieri The fascinating story of the Buccellati family illustrates Italy’s creativity, beauty, craftsmanship and innovation. It tells of the pivotal role of family in both love and business. Buccellati is the only jewellery Maison to lend its name to a style recognised the world over, thanks to four generations that, from 1919 to the present day, have innovated Italy’s finest goldsmithing traditions, reviving them in jewellery of unmistakeable yet contemporary elegance. Mario Buccellati was born in Ancona on 29 April 1891, but his father’s premature death prompted his mother, Maria Colombani, to move Mario and his siblings (Melchiorre, Margherita and Carlo) to “Milan, the big city”, in 1903. If Paris in the early 20th century was the Ithaca of the arts in France, Milan was the same for Italy, and this is where the Buccellati story first began. The Lombard capital played an important role for the Buccellatis (indeed it continues to do so). From 1919 to the present day, the family members have made the city the centre of their business. They are the perfect representatives of that quintessential “Milanese-ness”, with its refined and understated elegance. In Milan, Mario won an apprenticeship with goldsmiths BeltramiBesnati: these were intense years, during which Mario eagerly learned the trade until the First World War broke out. He went off to fight and was wounded in Carso, for which he received a war merit cross. In 1919 he took over the business, dedicating himself entirely to launching his “silversmith and artistic jewellery business.” Success was immediate, and in 1921 he took part in his first international trade fair in Madrid, where his jewels were bought by the Queen Mother, Maria Cristina of Hapsburg-Lorraine, by Prince Pio of Savoy, and the marchioness of Casa Irujo, his first royal clients. A year later in Milan, on the afternoon of 2 August 1922, a chance encounter with Gabriele D’Annunzio would change the course of his life. The writer was walking along Largo Santa Margherita when he “immediately felt a liking for the young jeweller with his creative and innovative flair.” From that day onwards, D’Annunzio’s relations with the jewellery maker continued uninterrupted, a fact borne out by no less than 83 letters, written between 1922 and 1936, in which he referred to him as “the master of all goldsmiths”, owing to his ability to create exceptional objects and his skill at interpreting and satisfying even the most unusual request. The most significant pieces he made for D’Annunzio include the 1923 sautoir with ruby and yellow beryl and three cigarette cases in 1929; a flexible bracelet with lapis lazuli in 1928, and a small commemorative box bearing D’Annunzio’s motto “I have what I have donated” (from 1930). With its ever-present, historical “15 MI” hallmark, the fifteenth issued by the Milan Mint in 1934, Buccellati’s jewellery has become a symbol of creations of unparalleled quality, which draw on and renew the heritage of Italy’s extraordinary goldsmithing techniques.
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Replicating the rarefied weave of Venetian tulle to gold sheet was one of the greatest challenges the young Mario Buccellati tackled, and one which his son Gianmaria later honed over the course of time, to the point that tulle or honeycomb patterns remain defining features of Buccellati’s style to this day. From Mario’s first masterpieces, such as the 1925 brooch or the 1929 tiara, to the sumptuous goblets made by Gianmaria and Andrea Buccellati’s refined creations, the Maison has elevated time-honoured goldsmithing techniques to a true art with a unique savoir-faire. But the most distinguishing feature of the house is the exceptional texturing, achieved thanks to the stubborn determination of Mario and his heirs to innovate the engraving technique, giving it softness and three-dimensional effects, creating original textures such as rigato (stripe), telato (cross-hatch), segrinato (engraved in many directions), ornato (a nature-inspired texture) and modellato (reproducing several designs in three dimensions). After opening boutiques in Milan, Rome and Florence after the war, Mario Buccellati was one of the first to grasp the full potential of the international market. In 1951, he opened his first store on 51st Street in the very heart of New York, followed a year later by a second boutique on 5th Avenue, and a seasonal store on the renowned Worth Avenue on Palm Beach. When Mario passed away in 1965, four of his five children continued his work: Lorenzo handled the administrative aspects, the archive and general coordination, Federico ran the stores in Rome and Florence, Gianmaria, who supervised the creative and productive aspects with his father, ran the Milan boutique, whilst Luca took care of the American venture. Only Giorgio devoted himself to another sphere, that of archaeology. In 1966, Gianmaria took over the management of the artisan workshops and the creative side of the business, with the aim of strengthening the brand and making it synonymous with high jewellery worldwide. The only designer amongst his siblings, he broke away from them in 1969 and picked up his father’s design legacy where he had left off. He also inherited his business vision, and built an international group whose strengths were product quality and its international distribution network. The third and fourth generations work in the business to this day: Andrea is the Creative Director, helped by his daughter Lucrezia, sister MariaCristina as Communications Director, whilst his cousin Luca is in charge of customer relations. A large family, united to seal an emotional and professional bond founded on beauty. •
EXTRAORDINARY NORMALITY Sofia Catalano “What seems extraordinary to others is normal for us. Things that other companies extol as unique characteristics have been part of our DNA for fifty years.” Antonio De Matteis, CEO of Kiton, (rightly) says this with more than a touch of pride, for the Neapolitan brand can boast a long family history of exceptional handmade garments reaching back to its very outset. In 1956, founder Ciro Paone, a textile salesman, decided to make his first foray into clothing. In those days there was a tailor in every building in Naples, and Ciro set out with a small coat-making business under the brand name CiPa, from his initials. It was a success far beyond his expectations, even abroad. And that’s when Ciro realised that the name wasn’t right: too similar to cheap in pronunciation... and his clothes are anything but cheap: they clearly convey authenticity and craftsmanship in every millimetre. So he decided to change, and aim high: his thoughts turned to the most priceless garment of all, namely the Chiton the ancient Greeks once wore to climb Mount Olympus, symbolising a noble soul. So in 1968, CiPa became Kiton. In the years that followed, the company expanded and invested in itself, gradually moving on to include the tailoring of jackets, suits, shirts... until we arrive at today’s Kiton: a factory that encompasses every stage of production linked to the manufacture of sartorial garments. All of which are exclusively bespoke, made by hand in keeping with Ciro’s motto: “The best plus one”. A phrase that neatly sums up the tireless quest for quality, the determination
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never to rest on their laurels, to go beyond goals already achieved. The garments were made in the bright rooms of the Arzano atelier, a veritable oasis of savoirfaire just outside Naples, where hands, needle and thread are necessary, indeed essential, “tools” for a craft that continues to respect the long-standing tailoring tradition of Naples, with one eye firmly trained on the future. “As long as twenty years ago, we realised our tailors were getting older and there wasn’t a future generation waiting to go into a line of work that demands dedication, sacrifice, perseverance and patience. This is why we set up our first Fine Tailoring school,” De Matteis explains. “After the first course, we hired the ten trainees to work in the company. By the time the second course came around, word had spread, so we were submerged with applications. The last course before the pandemic, we had four hundred applications for twenty-five places, for young people aged 16 to 25.” Talent, determination and commitment give these young people a future, and eighty per cent of them remain with the Neapolitan Maison or are hired by third parties. The aim of the owners is to give local young people priority, to contribute towards development in the Campania region whilst heightening a sense of belonging to the tailoring business, which was born there, and continues to source its talent there. “If Kiton wants to ensure that traditional Neapolitan tailoring continues to prosper, it’s only right that its workforce, the people who interpret it, should be local,” Antonio De Matteis states. And when these young people are ready, they can also tackle some of the more challenging tasks, such as Kiton’s flagship service: flying out to a special customer who, somewhere in the world, has asked for that unmistakeable sartorial touch in a private setting. Or managing to take the measurements of a VIP client without actually touching them (yes, this really did happen). Or even cutting, tacking, sewing and ironing a tuxedo for an actor in Los Angeles, who will be wearing it to collect an Oscar. An extraordinary life for a contemporary manufacturer. “We have always done it. but one of our hallmarks is discretion: we never reveal the names of our most illustrious customers just for the sake of namedropping,” stresses the CEO. Hat’s off! This, too, is part of a legacy of noble tradition which dictates that the Maison’s red dot must be stitched (entirely by hand) on every single garment. Or that Kiton gifts those buying a suit with a white linen handkerchief with a visible hem, made by hand of course. And lastly the customised label (by request) which is, of course, hand-crafted. “When I think of our business, I think of hands, the one and only instrument of our excellence. All the more so now that quality and craftsmanship are the things clients look for most, and are the symbol of a rebirth, of a new start.” •
THE MAJESTY OF MUSIC Giuditta Comerci The way pipe organs are positioned in churches, and often in auditoriums, only seldom allows the public to see how they are played, with their multiple keyboards and pedal board. It’s even rarer for listeners to be able to get a look inside the complex case, or learn more about the intricate mechanism which, when a chord is played on the keyboard, activates more than one hundred pipes simultaneously. The Ruffatti family of Padova has poured its energies into this instrument, and all its artistic and constructive aspects, since 1940. The business was first established on the sound foundations of a top-flight 18th-century Venetian school, and continues to hand down passion and skill, from founders Alessio, Giuseppe and Antonio to the latter’s sons, Francesco and Piero, expanding on to the third generation with Michela, Piero’s daughter. Over the years, Francesco and Piero have honed their vocations: structural design work for Piero, and more musical aspects for Francesco, involving the phonic construction of the instrument, the dimensional design of the pipe registers, and their intonation once the instrument has been installed. The Ruffattis focus on every moment of the design and production process, which, unlike most businesses in Italy and abroad, takes place entirely in the Padova workshop. It is a choice dictated by coherence and the need for control,
and one which combines the quality of the work with the guarantee of a fullyfledged Italian craftsmanship: the choice of materials – starting from the wood which is seasoned for five years –, production of each of the organ’s parts, from the smallest wood or metal pipes to the wind chests, from the automatic control systems to the keys on the console. Construction of a Ruffatti pipe organ involves a very high percentage of manual work, which they put at 75-80% of the total, reaching 90-95% in the restoration of antique organs. The tools are of the kind most commonly used for woodworking– for the construction of wind chests containing the pipe-mechanisms to the instrument’s case, wooden pipes, bellows and other parts – and for planing the metal sheets (which are also cast on site). Yet the company also uses machines that are often made to order, and adjusted to the requirements of the artisans themselves. This is due to the fact that, unlike most other musical instruments, organ making is almost completely devoid of standardisation: “Each organ,” explain Piero and Francesco Ruffatti, “is different from the last, so it is open to new technical solutions as a nd when they arise, as well as sound trends, for repertoires, acoustics and different possible combinations.” What is particularly surprising about this organ making business is the scientific research it conducts. Stability is a constant issue for pipe organs, which are chiefly made of wood. They are subject to changes in weather, wear and pollution, which affect the appearance but even more so how the instrument plays: in the course of their international growth, the Ruffattis have tackled different climates, combining the artistic taste for a given kind of sound and architecture with ongoing analysis of the materials used. Thus they use sipo mahogany, due to its lower rate of contraction and expansion (sourced in Africa, it is chosen specifically for its guaranteed certification of origin); a carbon alloy used for the internal connecting wires so they are not affected by weather; leather that is tanned traditionally, making it costly and hard to source, but guaranteed to last far longer than other treatments. A cutting-edge, modern approach, which is paired with tools, processes and training deeply rooted in tradition. “There are certain indisputable parameters: the materials used, the way we work, are closely linked to the product, and in this respect we are rather unbending,” they say. Their flexibility instead lies in the general approach to the instrument and the customer’s requests. The relationship is fundamental and stimulating, fostering research, openness and innovation. All features of Italian manufacturing that might seem strange applied to an organ-maker, but are aspects the Ruffattis have embraced in full. In their well-established relationship with foreign countries, the Italian approach is seen as one of willingness to listen to needs, of flexibility in finding solutions to problems and requests, but at the same time of the unswerving maintenance of the qualitative and artistic traits of their work. It is the best Italian hallmark: the greatest agility, and virtuous rigour. •
BLOSSOMING BEAUTY Franco Cologni It’s the time you spent on your rose that makes your rose so important. —Antoine de Saint-Exupéry The Mestieri d’Arte rose is a poetic representation of Italy’s fine craftsmanship. The rose was created for Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte by Rose Barni, one of the world’s leading and most skilled hybridisers, thanks to the painstaking care of Beatrice Barni, who in 2018 received the MAM-Master of Arts and Crafts award. It has large flowers and is of the Hybrid Tea bush variety. It is upright in habit, with large dark green leaves, and is very robust and resistant in spite of its fragile beauty. This precious, rare resilience is a feature that this rose shares with the world of fine craftsmanship: a fragile but powerful world, attacked by subtle yet dangerous diseases such as invisibility, apparent irrelevance, combined with an institutional detachment that often makes it barely visible. It is a world
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that institutions struggle to understand and do not support adequately, that literature does not celebrate enough, that scientific culture observes from afar. Yet in spite of it all, thanks to the passion and skill of master artisans, it survives and indeed flourishes, transporting the human ability to transform matter creatively and with awareness into the future, ensuring that talent and skill heighten its value and beauty. The flowers have an elegant, raised bud and open very slowly, revealing large, double, old-fashioned rosette-shaped corollas. This, too, is a reminder of the work of master artisans: the wonders created by their skilled hands, the exceptional objects that leave their workshops, are never the result of improvisation. Instead they call for time, care and attention. In the same way that the buds of the Mestieri d’Arte rose open gradually before surprising admirers with sumptuous corollas packed with petals, so the works of master artisans are slowly and lovingly nurtured, arousing the admiration of those who not only understand the beauty of the forms themselves, but also the value of work and the depth of meaning. Of a pastel pink colour, the rose fades to a buff hue at the base of the petal and a more intense shade of pink in the centre of the flower. The gradual change from one hue to the next and the variety of tones in every flower recall the symbolic and material wealth of each object created by the master artisans, whose hands imbue each creation with the extraordinary sheen of excellence. The talent of the craftspeople ensures that every object they conceive and produce has a beating heart, the intensity of which is always perceptible to those who allow themselves to be enchanted by the uniqueness of each creation, by the variety of techniques and details that each object reveals, by the stories that each master entrusts to his fingers, so that they symbolically colour each artefact. The scent is one of the rose’s most striking features: intense and powerful, it has the typical aroma of old-fashioned roses. Just like the timeless beauty that the métiers d’art represent and transmit in the future. The scent of the rose has long inebriated those who understand that the roots of our culture lie in centuries of stratified beauty, which is still asking to be released and transmitted, understood and loved. Breathing new life into Italian-made goods and ensuring they flourish means preserving their legitimacy, authenticity and originality. It also means conveying their enduring beauty and exceptional quality over time. It means fostering natural connections in the supply chain between the atelier and the workshop, and between the workshop and the enterprise. It means helping young people to be part of the world, the world of the métiers d’art, which is a legacy we can all be proud of. With this rose, which blooms continuously from May to late autumn and reaches a height of about 80-100 cm and a width of 50-60 cm, we would like to rekindle a light of hope and passion in those who have always guaranteed our country a supremacy difficult to conquer, thanks to the work of their hands and the genius of their creativity. A variety of formulas flourish under the aegis of the Made in Italy brand, and as of today one more is blooming in the wonderful guise of a rose that perfectly and concisely expresses what the Fondazione Cologni believes in: the importance of talent, beauty and passion for excellence, linked to a territory and a history that are unique in the world, thanks to centuries of beauty and art. And the métiers d’art, of course. • HOW A NEW ROSE VARIETY IS BORN
Creating a new rose is a long, fascinating process full of surprises. The method by which new varieties are obtained through a process of genetic recombination is called hybridisation. This technique involves applying the pollen of the male organs of a flower to the female organs of another flower of a different variety. The pollen is gathered by hand from the flower chosen as the “father”, before transferring it with a brush or even just a finger onto the “mother” flower, once the male pollen-reproducing organs have been removed. When ready to produce seeds, the “mother” flower is protected with a paper hood to prevent it from coming into contact with undesired pollen or insects. In spring the first flowering occurs and the very important work of selection begins: after several
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eliminations, the few plants with the desired new characteristics are identified and evaluated first in the greenhouse and then in the open field. These open-air observations last for at least 4-5 years. This means that approximately 7-10 years pass from the year of hybridisation to the moment when the rose is sold on the market. The rose must be vigorous and resistant to diseases. It must adapt to different climates, and be attractive. So the birth of a new rose takes perseverance, experience and considerable sacrifices, although they are repaid in full when a new variety is greeted with the admiration of fans of this poetic, iconic flower, which, more than any other, represents love and beauty.
ODE TO A SLOWER PACE Simona Segre Reinach Fabbrica Lenta was established in 2017 to join the dots between events that occurred in my family’s lifetime. In the 1970s, my father Luigi started hosting artists both at our home and in the factory. In those years everything merged and blended, and art videos, events and performances were created. Since ours was a manufacturing plant, we had a workshop, electricians and a lathe. In short, everything artists needed to experiment with. We still have 200 autographed posters of Joseph Beuys’s Actions, which bear witness to his work. I can still remember John Cage and Philip Corner capturing the sequential sounds of the factory while production was underway– that was how techno music first came about. This biodiversity, brought about by playing host to people who were very different from us, fostered a cultural hothouse that changed the way in which we thought. Over three hundred artists came to us: they gave us a new mental approach, they gave us “fantasy goggles”. We met great artists, while we are just tiny artists who aim to make artistic objects, and make them well. An art factory. Our team is made of 200 people – it’s never rosy, you need more than just an idea, it takes people who have a passion for making things, otherwise it’s all just theory. Fabbrica Lenta focuses on people and on making things. It’s a culture of the hands, nothing comes about instantly, you have to try time and time again, and start over from scratch. The 1950s looms call for skill and manufacturing sensibility. If you adjust them by hand, you can create weaves that standardised machines cannot make anymore. Bonotto is a weaving plant that provides an income, a salary. But it’s also a cultural industry where ideas take shape. And the ideas are our real treasure. It’s hard, working in a factory eight hours a day, but if you see your product in the windows of Chanel, Gucci, Balenciaga or Louis Vuitton, and you know you got there because you were like a dog with a bone until you found the way forward, it gives you immense satisfaction. Without intelligent hands, supported by passion and love, we wouldn’t be able to make anything. The older ones are proud of teaching the young, and the young are amazing because they really get into it. I’ve spent many years of my life travelling in search of authentic, original raw materials. For example, I learned to weave wool blankets from a Berber tribe in the Atlas Mountains. Rick Owens fell in love with them and used them to create a collection. Ours is not just a factory that knows how to make complicated things: we are an intellectual and productive organism with a “Wi-Fi connection” to the whole world. The looms dating back to 1956 are great, but we’re not old-timers, we’ve got a digital loom as well. So if you’re in New York and you ask me to create something using a special technique, in two hours we can send it to you via email – or I can share the screen so we can create it together. Bonotto attracts clients and luxury designers from all over the world. They come to see what our vision of fashion is. My team and I share the ambition of believing that this is where many trends spring to life. We have some wonderful stories, which we turn into the language of contemporary living. We need to make sure that also the world’s new money falls in love with our DNA. Bonotto is the industrial gateway. Then there’s also Fondazione Bonotto, which we opened in 2013, and is just as worthy: two separate entrances,
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which come together and support one another. The intellectual and cultural side focuses on design. The Fondazione plays host to artists, it engages in actions, and it also is outward looking. We launched an award with the Centre Pompidou in Paris to promote new forms of contemporary literature. We were guests of Palais de Tokyo for three months, and the same in London at the White Chapel. We are planning an exceptional event at the upcoming Tokyo Olympics. In 2017, Zegna became a shareholder of Bonotto, bringing its legacy of international industrial discipline, which is a goldmine for our 200 master craftspeople who make fabrics with an artistic spirit. In 2019, Bonotto Fabbrica Lenta received the Green Carpet Award as a Sustainable Producer from the National Chamber of Italian Fashion: we covered the colonnade of Milan’s La Scala theatre with a tropical garden tapestry made entirely out of recycled plastic. In 2020, we received Première Vision’s Fabrics Fashion Smart Creation award for translating the tenets of luxury into the culture of recycling and traceability. That’s where we are right now. It took no end of hard work to get here, but it also took the desire to keep this thing going. Creating art and working are the same thing for us. We want to be a community of people. •
THE MAISON OF TIME-HONOURED SKILLS AND NEW CRAFTS Grégory Gardinetti The Maison des Métiers d’Art is a unique place created by Cartier in La Chaux-de-Fonds, Switzerland, just a stone’s throw from the Haute Horlogerie Manufacture of the famous French house. A former Bernese farm from the late 18th century, the site has been completely renovated and transformed and is now dedicated to the preservation, development and sharing of rare savoir-faire. Born of a desire to reinvent, promote and perpetuate the artistic crafts related to watchmaking, the Maison is also a welcoming and representative space, and a showroom combining tradition and modernity. The interiors have been completely redesigned but the building’s ground floor still retains the spirit of the original structure. It has several halls where visitors can interact with craftspeople during guided tours. The first floor is home to the watch decorating and finishing ateliers, which bring a number of different traditional métiers together in one place. These crafts include stone setting and polishing. Cartier is an exceptional fine jewellery Maison and it lavishes special attention on stone setting, a craft carried out here in all its many forms. These include the traditional, widelyused griffe, or claw setting, gold bead granulation for round stones, closed bezel settings where the stone is entirely surrounded by metal, or a drop-setting where the stones are set on a metal band of the same width with the help of claws. All these skills are mastered to perfection by the master artisans. Polishing, which gives the pieces their characteristic shine and lustre, may seem like an ordinary task, but it takes many years of experience to master completely. Whilst these techniques are fairly well-known, other lesser-known, more “secret” techniques are practiced and perpetuated at the Maison des Métiers d’Art. Filigree is an invention attributed to the Sumerians, the earliest pieces of which date back to 3,000 B.C. The technique was adopted for watchmaking purposes by Maison Cartier in 2015. It involves twisting and then hammering gold or platinum threads. These are then assembled and modelled to form the patterns used to decorate the dial. Often dials combine a number of rare crafts, such as filigree, lacquering and gem setting, which merge to give life to pieces whose exceptionality lies precisely in this happy union. Another ancestral skill Cartier applies to watchmaking is known as granulation. An artform that appeared for the first time in the same period as filigree, it reached its height with Etruscan creations. Here, too, noble metals are showcased with painstaking gold craftsmanship. Thin gold threads are cut then dipped in heated carbon dust, yielding tiny beads which are individually assembled and set on a gold sheet using a flame. The dial of a watch can contain
around 4,000 beads, and be heated with a flame as many times again, calling for meticulous, patient work. The second floor of the Maison des Métiers d’Art is dedicated to enamelling, mosaics and marquetry. Of all the watchmaking crafts, enamelling is without doubt the best-known, and Cartier proposes it in every possible form: cloisonné, champlevé, plique-à-jour, grisaille and even miniature painting. All these different processes feature painstaking execution and a number of different firing stages. In 2014, Cartier incorporated an artistic craft hitherto unknown in the watchmaking world: floral marquetry. The technique consists of cutting petals with the utmost care, before assembling them to form stunning works of art. It takes around a month and a half of rigorous work to complete all the stages involved in cutting and composing the dial. As for mosaic work in watchmaking, two complementary techniques are used at the Maison des Métiers d’Art. The bottom of the dial is covered with miniature squares to which irregular tiles are added. It takes several weeks of work before this special technique sees the watch dial materialise in the hands of the craftsperson. The Maison des Métiers d’Art is a prestigious place that transports us to the heart of the revival of forgotten and rare crafts, thanks to which extraordinary objects are created. It is therefore a bridge between conservation and innovation, engaged in a constructive dialogue. Two key concepts for an evolution rich in meaning and value. •
A FLORENTINE STORY OF ARTISTRY Maria Pilar Lebole and Silvia Ciappi Ginori 1735’s collections are as graceful, sophisticated and daring as they are colourful and elegant: they represent almost three centuries in the life of one of the world’s greatest luxury and lifestyle brands, an all-Italian expression of pure porcelain and outstanding design. The manufactory’s collections are a perfect blend of tradition and innovation, with tableware, objets d’art and lifestyle pieces, gifts, cutlery, crystalware and textile items that express a passion for Italian culture, colour, art and hospitality. The story began in 1735 in Doccia, a short distance from Florence, when Marquis Carlo Andrea Ginori, inspired by his passion for “white gold”, started a porcelain factory destined to become an icon of style throughout the world. From the very start, the strong ties with Florentine culture were clear: so much so as to trace a common thread between 16th-century experimentation, the innovation of the 18th and 19th centuries, and the present-day approach to production. A farsighted and careful reformer, Carlo Ginori drew on Europe’s manufactories for inspiration, including Du Paquier in Vienna, Meissen in Germany, not to mention French producers, particularly Sèvres. Moving quickly towards modernity, which anticipated the Enlightenment renewal introduced in Florence by the Hapsburg-Lorraine family, Marquis Ginori reconciled the innovations of the transalpine manufactories with the Tuscan ceramic tradition. He hired foreign craftspeople to improve the raw materials, colours and kiln-firing structures, but he also focused on the manual skills of the artisans, and their ability to conceive pieces that would meet the aesthetic tastes of the day. With the advent of the 19th century, the Age of Reason turned into the Age of Sentiment, heralding a new chapter in artistic taste and porcelain production. In 1806, management of the factory was passed to Leopoldo Carlo Ginori Lisci. The young heir soon proved he had a broad entrepreneurial vision when he embarked on a profound process of change. In 1896, the merger with Società Ceramica Richard, of Lombard origins, yielded Società Ceramica Richard Ginori. The traditions of the master craftspeople thus encountered new technologies, and the company’s creations were further refined thanks to new patents. The turning point in production is linked to the work of Gio Ponti, artistic director of the manufactory from 1923 to 1930. In those years of great cultural ferment, Ginori was transformed into a factory. It embraced the changes of
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nascent industrial design, imposing a new pace to work: everything from design to production was entrusted to the skill of the “artisans”, who embraced the new by assimilating the principles of Art Deco. The preference for pared-down, architectural silhouettes and geometric decorations made the manufactory a household name on the Italian and international market, thanks also to its sophisticated, classical-inspired elegance. The colour combinations, such as blu Ponti, a new take on traditional lapis lazuli, and gran rosso redolent of Far Eastern lacquer, merely heightened its appeal. This turning point continues to inspire the Labirinto collection, which repeats the frieze motif using a symmetrical, modular approach, with a precision inspired by architectural artefacts dating back to the 16th century. By the same token, the vases from Gio Ponti’s Arte collection set the stage for regular features highlighted by intense colours, becoming a byword for inventiveness and technical perfection. In the years immediately after the Second World War, which marked the resumption of a more ordinary and playful life, the attention of the designers working for the company turned to dinner, tea and coffee services inspired by the latest Scandinavian designs. With sloping shoulders and eccentric handles, they were practical but of an unusual beauty. The work was the brainchild of Giovanni Gariboldi who, in 1953-1954, designed objects such as the Ulpia teapot, and the Donatella coffee pot in white porcelain or soft hues. These creations were presented in international exhibitions to the praise of critics and public alike, as examples of aesthetic and social innovation. Since 1980, Italian designers of the highest level have worked with Ginori 1735 to create designs based on the concept of excellence. In 1985, to mark celebrations for the company’s 250th anniversary, a competition for nine new tableware designs was held, which yielded Nuvola by Sergio Asti, Odissea by Marco Albini, Franca Helg and Antonio Piva, the ergonomic prototypes of Angelo Mangiarotti, the geometric, practical solutions of Gianfranco Frattini and the wholly rational forms of Aldo Rossi. In 2013, the manufactory was acquired by Gucci and the artistic direction was entrusted to Alessandro Michele. In 2016, it passed under direct control of Kering Group, and the creative management was handed over to an inhouse team of designers. Today the company is seeing a return to its roots: it has become Ginori 1735 with the aim of focusing more on its legacy, with a shift towards the luxury and lifestyle sector of increasingly international scope. It boasts a distribution network of flagship stores in Florence and Milan, a monobrand store in Moscow, a network of authorised dealers in Italy, sales units in hand-picked Department Stores and the finest multi-brand Specialty Stores worldwide, not to mention an e-commerce channel covering no less than 31 countries. •
INTERTWINED IN LEATHER Andrea Guolo An old photograph, dating back to the 1950s, portrays an impeccably dressed Serapian artisan, complete with bow tie, working on a crocodile skin. Seventy years later, Giovanni Nodari, a member of the Serapian family to whom the Richemont Group (which took over ownership of the Milanese leather goods company in 2017) entrusted the bespoke project, recognises in that image a pillar of the brand’s philosophy. “Craftspeople have always been our added value,” he explains. “Even back then, they had to interact with the end customers, so the founder expected them to be dressed appropriately. That’s why he was wearing a bowtie.” The founder was called Stepan, although everyone knew him as Stefano. Of Armenian origins, he survived the genocide at the start of the century and moved with his brother first to Venice, then Milan, where he started out working as a pastry chef. But between one cake and another, he also enjoyed making bags and keyholders. In 1939, he married Gina Flori, a girl he met at Montecatini, where he would travel to in order to sell his homemade leather goods. It was with her that he set up his own leather goods business.
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Serapian’s success in Milan in the 1950s was built upon the concept of a store with a workshop: he was behind the counter, talking to the customers, whilst the skilled workers were behind him, turning the dreams of Milan’s ladies into flawless handbags. They were classic evening bags shown off at performances at La Scala, or other high-society occasions, and they conveyed a style the market now acknowledges as being typical of Milanese leather goods. Nodari describes the style as having “hard edges, thin threads, ribbing which is never too thick and a rigid construction. What makes the difference is the artisan’s skill, through technique and careful attention to the reinforcement applied to the inside, in achieving a product which is exceptionally soft and full to the touch. This is what we call the Milanese hand”. Preserving that skill, in a Milan which was fast changing from a manufacturing centre to a service hub, was the primary objective first of Stepan, then his son Ardavast. It was a goal achieved by supporting the skilled workers, offering them homes and other services at subsidised rates, in order to ensure the precious know-how built up over the years would not be lost. Today, the brand’s creations are made between Varese, in the manufacturing centre dedicated to the men’s collections, and Scandicci, where Serapian harnesses the synergy with Richemont for its small leather goods and other leather items. Then there is Villa Mozart, a masterpiece of Art Deco architecture in the heart of Milan, which has now become a showroom and atelier. This is where craftspeople specialising in the Maison’s iconic nappa weaving technique (known as Mosaico) work, including on bespoke details requested by customers. This customised service is instilled in Serapian’s DNA, and it has been available since the 1930s in one-of-a-kind mosaic panels: each client can choose his or her own personal pattern, which is applied to the bag during the assembly phase, resulting in a product which is entirely unique. “It is our own take on luxury, it’s what sets us apart from the overwhelming amount of standardisation and is increasingly sought-after all over the world,” says Nodari. Technology? It has worked its way into the world of leather craftsmanship, but only in the initial phases used for prototyping and defining the model. From that point onwards, all that counts are the hands and skill of the craftspeople, the masterful touch of artisans, who very much resemble their predecessor with the bowtie. As for digital communications, the company has come to use it as a means of keeping in touch with its customers, particularly during the pandemic. Whilst artisans would once travel so that those passionate about their creations could see how a bag is made close-up (“It’s what fans of all things Italian-made most enjoy,” Nodari adds), nowadays, with movement hampered by the risk of infection, a television studio has been set up in Villa Mozart, which broadcasts online. “That way, customers can come into contact with me and the master leather craftspeople, so they can have their bags crafted and customised. We are also creating a kit of leather samples to deliver to our customers’ home, so that they can feel the material they will choose for their bespoke bag during the ‘live’ broadcast. For us, allowing consumers to come into contract with the artisans is the most natural way of letting them into our world.” •
THE SECRET RECIPE OF COLOUR Susanna Pozzoli Entering the large gate that conceals the microcosm of the Orsoni furnace is like opening a treasure chest packed with dazzling jewels and gemstones. The last active furnace in Venice, Orsoni is situated in an enchanting location with a tree-lined courtyard and several old buildings. This is where the glittering enamelled mosaic tiles in every hue are made, along with thirty-two versions of gold-leaf tiles in different shades and glass tiles all cut entirely by hand. In front of the entrance to the furnace lie large wooden crates containing offcuts, all perfectly divided by colour: saffron yellow, China blue, forest green, ash grey and cardinal red… whilst in the garden the “crucibles”, containers where glass enamels are produced by melting, are scattered around the yard.
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Their large, glimmering, round forms are so pleasing that at first glance they resemble sculptures. A large oven sits right in the middle of the large room housing the furnace, next to the machine used to give the incandescent glass its tile shape, and the annealing furnace, where the tiles are slowly left to cool and become solid and hard-wearing. The furnace is linked to a room used for hand cutting sbruffi, extravagant, irregular shapes blown in the lightest kind of glass. The extremely fragile sbruffi are cut immediately after blowing, and are needed for the production of the gold leaf tiles, one of Orsoni’s finest products. The furnace leads into the wonderful Biblioteca del Colore (Library of Colour), a large unevenly-shaped room with old paving, crammed floor to ceiling with wooden shelves housing over 3,500 different shades of Venetian enamels, all meticulously arranged by colour and hue. The intensely evocative premises are very much alive because they are constantly changing: the colours made there are arranged in the proper place and the pieces that have been sold are dispatched. The priceless, tidily numbered samples make it possible to reproduce exactly the same tiles. The hand-cutting, cataloguing and sorting of the tesserae by colour are all carried out in another building, also found in the tree-filled courtyard. The tesserae produced in the Orsoni kiln since the end of the 19th century have travelled the world and made this Venetian company famous. The tiles are used for a variety of purposes by artists, architects, restorers and designers. The furnace’s success is linked to the legendary figure of Angelo Orsoni, who was born in Murano in the mid-19th century and became a furnace worker from a young age. Renowned mosaic artist Giandomenico Facchina hired him to make mosaic tiles in the furnace he had established in the Misericordia area. Facchina moved to France, where he created a large number of works, leaving Orsoni to run the workshop. In 1888, Facchina decided to donate the furnace to his successor, allowing him to achieve his greatest dream and focus his energies on the new possibilities opening up to mosaic work during the Art Nouveu period. From its almost exclusive use in sacred art, it went on to being widely used in the decoration of private and public interiors and exteriors. In 1889, at the Universal Exhibition in Paris, Angelo Orsoni presented a revolutionary mosaic panel with great success. The work featured a number of different enamels arranged to create an effect in which the lines formed a multi-coloured geometric pattern. From that moment on, the furnace worked at full steam and honed its production techniques. In the early 20th century, it moved to larger, more modern premises at fondamenta Cannaregio, where it remains to this day. Orsoni’s tiles started to be used in many prestigious locations including the École des Beaux-Arts, the Trocadéro and the Hôtel de Ville, the Opéra Garnier and the Sacred Heart Basilica of Paris, the Sanctuary of Lourdes and St Paul’s Cathedral in London. On the death of the inspired founder in 1921, his son Giovanni took over the business. It continued to prosper and was handed down from father to son. In 1969, Ruggero Orsoni inherited the furnace, which he managed together with his brother Lucio, who is still the artistic director of production today. The property was acquired in 2003 by Trend Group, founded by Pino Bisazza. Today, production at Orsoni still follows ancient methods and relies on the precious knowledge of highly specialised artians. Everything is made using age-old techniques that require a great amount of time, experience and infinite passion. •
COOKING UP AN OLFACTORY STORM Andrea Sinigaglia “That which we see is weak, that which is unseen is strong and alive” — Hildegard of Bingen First and foremost, this is an olfactory experience for those fortunate enough to cross the threshold. Anyone who has had the chance to visit, even just once in their lifetime,
a place of production or creation, a place where things are made, will take the memory of a smell away with them. Manufacturing premises will always have a scent. It can be a fragrance, an odour or both. But the fact remains that the scent of manufacturing is its very essence. The odour of machines or engine oil, the odour of materials changing shape or consistency, or of dust generated in the process. What compels us to go beyond and go within the production process itself is not so much an intellectual need as a physical, almost animal necessity. It is the desire to see what happens, to not just make do with something that has already happened, no matter how perfect it is. It is the desire to witness a gestation. Things that happen always have an odour, perhaps even a mixture of odours, the ones outside us and those of our participating feelings. As a result, this exploring of the cogs and wheels is entrusted to the most ancestral of our senses, and there it remains, mysteriously impressed on us. It is no coincidence, then, that the most emblematic of the trio of instruments conceived by outstanding chef Paolo Lopriore, the most visceral in Italy today, and deceased artist, sculptor and designer, Andrea Salvetti, is called Mystery. Right from the outset, the driving force behind Lopriore and Salvetti’s venture was to take us inside that phase when manufactured items are actually being generated, and it has taken us to the furthest ends of the last century’s restaurant tradition. Once upon a time, everything in the kitchen was secret and hidden away, and everything was concluded on the plate. A glass partition was then erected between chef and diner to afford a glimpse of the former’s work, and eventually the glass wall was done away with altogether. But what we’re talking about here is on another level still: we’re talking about taking the kitchen into the dining room, about a chamber music performance, about peeling back the outer layer, about experiencing a lab. In short, about playing a role in a convivial dinner. We are instantly immersed in the experience. Wrenched from our condition of mere spectators, we are caught up in the functional moment. There is steam, and smoke, and heat. Then there are hands that move. There’s steel, ceramic and wood. All three dimensions are pleasing to watch, to touch, simply to await, and listen to. This is the fairground attraction the chef and artist skilfully operate. All that is left for us is to decide how much we want to participate. But holding back is impossible. The chef does things skilfully. The artist fills the time and space of his absence, delegating everything to the materials, the forms and his intriguing ideas. A plate with a bell called Mystery, a ceramic egg-shaped steamer, and a smoker with cylindrical wooden levels. In keeping with the vernacular of contemporary artistry, two of these three instruments are nameless. In fact, now and forever more they will be known as senza titolo (untitled). In this triangle of the north and south of Italy and the world, there is also the east and the west. There is a piece of the kitchen that breaks through a wall and lands on the dining room table. There is surprise, and irony. There’s getting your hands dirty, and watchyoudontburnyourself. So there is also a seriousness that, as Chesterton once said, is not a virtue, because it is anti-religious. Yet this experience is very much a religious one in the most profound etymological sense of the word. It’s about gathering, binding and putting things together, but most of all it’s about veneration, the most extreme form of respect. The chef from Appiano, the gentle heir of Gualtiero Marchesi, and the artist from Lucca, who are here to turn perspective on its head. They want to do away with distance. Art and craftsmanship opening a communication channel between beauty and taste. One might chance to see a little girl peering in through the restaurant’s large windows, only to spy a man dressed all in white, making steam and moving intelligent fingers as he bends over the objects: he sticks his pointy nose, his eyes, his whole face into his instruments, and those strange machines produce fluffy little clouds of steam and smoke. For her, they are just fluffy little clouds though. Those are machines for making clouds, and the magic she experiences is the greatest reward a chef and an artist can hope to give and receive, even when they are addressing us adults. But in this fairground attraction, the smoke, steam and sizzling sound disappear far faster than the hypnotic atmosphere they lead us into. They move on, all too prematurely: as indeed did you, Andrea. •
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REDISCOVERING THE VALUE OF MANUFACTORIES Franco Cologni There are words that profoundly transform the meaning of a sentence: not so much for their literal, intrinsic meaning, but more for the strong symbolic or emotional value they express. A value that can vary: positive if referred to the noun, neutral if linked to the adjective. Such is the case with the word Manufactories and its corresponding adjective, manufacturing. We often hear this adjective on the news, whenever a report on production output in Italy is presented: everything the transformation industry turns out is generically lumped together in this “manufacturing” sector, and the accompanying images show footage of factories, blue-collar workers and hauliers. It is a classification that tells us nothing about the standard of that production, about the creative genesis of the product being made, or about the impact the sector has on the surrounding area. As a result, it is an interesting adjective but a cold one reminiscent of the abstract, bureaucratic anti-language described by Italo Calvino. The noun “Manufactory”, on the other hand, is altogether a different matter. In the mind’s eye, a manufacotry is neither a factory nor an industry; it is not an atelier, nor indeed a workshop. It is a term that instantly conjures up images of humanity, of warmth, expertise and excellence: and the idea of something that is made by hand, with care and creativity, linked in a generative, positive way to other terms, which at first glance might seem distant. Such is the case with the “theatre manufactories” we have in Milan, or “manufactories of beauty”, which continue to promote the Renaissance legacy of production which encompasses every phase involved in the process, combining the manual work of top craftspeople with the use of sophisticated machines and instruments. This edition of Mestieri d’Arte & Design. Craft Culture attempts to offer a complex, evocative overview of where the manufactory stands today, with a sympathetic eye for tradition. For whilst these producers have doubtless evolved since Colbert’s day, it is equally apparent that manual work retains a pivotal role in the production process, and that the mechanical dimension still remains in the hands of the artisans who oversee every stage. The fact that these “high manufactories” continue to exist owes much to the technical mastery of the craftspeople themselves; but we must not overlook the constant efforts to renew products, often achieved thanks to partnerships with artists and designers fostering new ideas, new pieces, new moulds, which the artisans then interpret to flawless effect. Whilst perhaps anachronistic compared with “Fordian” productivism, the manufactories remain resolutely contemporary in their approach to production. The quality and length of time spent over the production process, its traceability and the legacy dimension are all paramount at a time when, now more than ever before, customers are looking for meaning and authenticity. And beauty. •
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