MESTIERI D’ARTE & design Poste Italiane S.p.A-Sped. In Abb.Post.- D.L353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art.1,comma 1 DCB Milano - Aut.Trib. di Milano n.505 del 10/09/2001 - Supplemento di Arbiter N. 145/I
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Mestieri dArte Design precisione
Un manoscritto medievale ispira Vacheron Constantin
forma
Thonet, le curve perfette preferite da Picasso
eleganza
Miniere d’oro bianco nei templi della porcellana tedesca
restauro
Non solo le opere antiche ma anche quelle contemporanee hanno bisogno di mani esperte che mantengano inalterato il loro valore nel tempo. Come avviene nei laboratori milanesi di Open Care
creatività
La matematica può svelare la geometria del kimono
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La lunga, fantastica avventura delle Esposizioni Universali da Londra 1851 a Milano 2015
La beLLezza ai confini deLL'infinitamente piccoLo Fin dagli albori dell'orologeria si realizzano incisioni sulle casse, sui quadranti e persino sui più piccoli componenti dei movimenti degli orologi. Oggi Vacheron Constantin perpetua questa tradizione offrendo agli incisori degli eccezionali spazi d'espressione.
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L'incisore riproduce degli elementi decorativi sul materiale del movimento o su dei componenti della cassa, incidendoli con grande precisione. Questo lavoro di "scultura in miniatura" realizzato a mano richiede sensibilità artistica ed estetica e un'eccezionale abilità manuale.
Paolo Colombo
Métiers d'Art - Mécaniques Ajourées Calibro 4400SQ
Le Esposizioni Universali I mestieri d’arte sulla scena del mondo (1851-2010) 336 pagine con 180 illustrazioni a colori, 40 euro
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Editoriale
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mente, mano e materia tracciano la strada Ogni qual volta questa trilogia converge in un gesto sapiente si compie un «miracolo» che abbiamo il dovere di riconoscere, tutelare e valorizzare «Chi lavora con le mani è un operaio. Chi lavora con le mani e con la mente è un artigiano. Chi lavora con le mani, con la mente e con il cuore è un artista». Mi sono recentemente imbattuto in questa citazione e nella curiosa diatriba sulla sua attribuzione. Alcune fonti la riconducono a san Francesco di Assisi, altre a san Tommaso d’Aquino, ma non manca chi la troverebbe più verosimile detta da Michelangelo Buonarroti o da Louis Nizer da Londra. Non ho voluto approfondire oltre perché, chiunque sia il suo reale autore, questa affermazione poteva certo valere all’epoca, ma oggi non mi trova affatto d’accordo. A Milano, a Ginevra, a Hong Kong mi capita spesso di osservare stupefatto opere di presunti artisti di grido che sembrano cadute sulle nostre città come meteoriti, tanto stonano con la bellezza e il significato storico e culturale dei monumenti che le circondano. No, chi lavora con le mani, con la mente e con il cuore non è l’artista, o meglio, non sono tutti gli artisti, ma per lo più sono gli artigiani. La rivista che avete in mano ne è una dimostrazione tangibile.
e apprezzarne l’alto contenuto ontologico. Per l’occasione sono previste anche aperture straordinarie di istituzioni, musei, scuole: una vetrina unica per il talento, che come ho detto va valorizzato. Ma l’eccezionale lavoro dei maestri d’arte ha bisogno anche di tutela. Interessante è scoprire che cosa succede allora nei laboratori milanesi di Open Care - Servizi per l’arte, dove è nata una figura professionale per la conservazione delle opere contemporanee. Oggi quello del restauratore è un profilo poliedrico e complesso, che ha necessità di integrare la propria sensibilità e capacità manuale con le conoscenze tecniche mutuate da vari campi, compreso quello scientifico. La conservazione del contemporaneo rappresenta, infatti, il limite massimo a cui si è spinto un mestiere d’arte nobile, che è da sempre un’eccellenza italiana nel mondo, ma che ha avuto bisogno di adattarsi alle nuove realtà dell’arte, che è per definizione instabile e in continuo divenire.
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Anche senza l’ausilio del testo, le immagini raccontano da sé quanto cuore ci sia nel loro lavoro quotidiano, che si compie ogni qual volta la trilogia mente-mano-materia converge in un gesto sapiente. Ogni mestiere d’arte che abbiamo approfondito è il piccolo tassello di un mosaico meraviglioso che è nostro preciso compito riconoscere, tutelare e valorizzare. Ecco perché sono così importanti iniziative come le Giornate Europee dei Mestieri d’Arte, appuntamento internazionale promosso dall’Institut National des Métiers d’Art (Inma) e sostenuto da Vacheron Constantin. Un weekend (l’ultimo di marzo) dedicato proprio a questi artigiani che possono dialogare con il pubblico tra eccellenza e innovazione. A Milano, Parigi, Ginevra e altre città europee le loro botteghe restano aperte per consentire a tutti di entrare nella loro dimensione
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In questo peregrinare tra mente, mano e materia, mi ha divertito approfondire uno dei rari casi in cui la materia, una volta plasmata dai maestri d’arte, riesce in un certo senso a chiudere il cerchio, essendo vero e proprio nutrimento per la mente, in quanto cibo. Avviene ogni giorno in un raffinato ristorante cinese di Milano, dove un artigiano scolpisce frutta e verdura per decorare i piatti del menù con straordinaria abilità (e velocità). Osservandolo al lavoro comprendi quanto il risultato finale sia già tutto nella sua mente, prima ancora di cominciare. Nessun disegno di partenza lo guida, se non la passione, il cuore di cui parlavamo all’inizio, che consente a zucche, patate, carote, barbabietole, ma anche cocco e ananas di andare a comporre meravigliose scenografie per i piatti. è la magia del gesto sapiente, che dalla mente, attraverso la mano, può finalmente farsi materia.
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MESTIERI D’ARTE & DESIgn
Poste Italiane S.p.A-Sped. In Abb.Post.- D.L353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art.1,comma 1 DCB Milano - Aut.Trib. di Milano n.505 del 10/09/2001 - Supplemento di Arbiter N. 145/I
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precisione
Un manoscritto medievale ispira Vacheron Constantin
forma
Thonet, le curve perfette preferite da Picasso
eleganza
Miniere d’oro bianco nei templi della porcellana tedesca
restauro
Non solo le opere antiche ma anche quelle contemporanee hanno bisogno di mani esperte che mantengano inalterato il loro valore nel tempo. Come avviene nei laboratori milanesi di Open Care
Artigiani Libri Premi Iniziative Fiere Mostre ALBUM di Stefania Montani
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Esposizioni dialoghi sull’arte di Alessandra de Nitto
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Saperi e sapori BELLO DA MANGIARE di Lara Lo Calzo
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Imprese CURVE PERFETTE di François Burkhardt
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Mestieri dArte Design
Editoriale mente, mano e materia tracciano la strada di Franz Botré
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Botteghe storiche IL POETA DEL LEGNO di Ugo La Pietra
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Decoratori di attimi creato in miniatura di Alberto Cavalli
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Rinnovare RESTAURO DEL NUOVO di Isabella Villafranca Soissons
I protagonisti del design QUESTA NON è UNA LAMPADA di Ali Filippini Maestri contemporanei il MOTORE DELLA VITA di Susanna Pozzoli
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Musei da scoprire SCOMMESSA VINTA di Alberto Cavalli
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Tradizioni territoriali NODO D’AMORE di Alberto Cannetta
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Mestieri dello spettacolo PASSIONE PER LA SCEna di Angelo Sala
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I templi del savoir-faire oro bianco di Francesca Sammartino
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Talenti da scoprire OGGETTI CON L’ANIMA di Giovanna Marchello
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Tempra femminile MAGIA CANGIANTE di Mariagabriella Rinaldi
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Lavorazioni di stile ARGENTO AUDACE di Alexandra d’Arnoux
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La qualità è mobile IL SOGNO NEL COMò di Simona Cesana
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Tesori viventi GEOMETRIA DEL KIMONO di Akemi Okumura Roy
creatività
La matematica può svelare la geometria del kimono
In copertina, un intervento di conservazione presso i Laboratori Open Care-Servizi per l’arte dell’opera del maestro Alberto Biasi, Dinamica Circolare, 1965. Collezione privata. 06/03/15 15:23
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A scuola di saper fare l’età forte di Alexis Georgacopoulos
Opinioni 14 16
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Fatto ad arte di Ugo La Pietra C’È ARTIGIANATO E ARTIGIANATO Pensiero storico di Giacinto Di Pietrantonio AA CERCASI, OVVERO IL FILO ROSSO CHE LEGA ARTISTI E ARTIGIANI
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La scienza in cucina di Andrea Grignaffini BIO O NON BIO QUESTO NON È IL PROBLEMA Ri-sguardo di Franco Cologni Lo SPIRITO DELLA BOTTEGA RINASCIMENTALE 2.0
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Collaboratori
A RTI G I A NI DELL A P A ROL A Alexandra d'Arnoux
Ha creato e diretto AD Francia fino al 2004, quando è diventata direttrice di Maison Française. Oggi dirige il sito EsensualLiving.com, dedicato all'art de vivre più esclusiva. Esperta di design, fa parte del Centre du Luxe et de la Création di Parigi. Ha scritto numerosi libri.
Dopo essersi occupata della comunicazione per grandi brand del lusso, lascia Tokyo e il natio Giappone per seguire a Londra il marito, fotografo inglese. Lavora ora come corrispondente per numerosi media nipponici.
François Burkhardt
Ali Filippini
Alexis Georgacopoulos
Mariagabriella Rinaldi
Isabella Villafranca Soissons
ANGELO SALA
ALBERTO CANNETTA
giacinto di pietrantonio
Svizzero, storico e critico dell’architettura e del design, è curatore di mostre e congressi a livello internazionale. Autore di molte pubblicazioni nell’ambito dell’arte, dell’architettura, del design e delle arti applicate. Ha diretto il Kunsthaus di Amburgo, l’IDZ di Berlino, il Centre Pompidou di Parigi.
Diplomato all'Ecal/Ecole cantonale d'art de Lausanne, Alexis Georgacopoulos ne diviene il direttore nel 2011. Nel 2014 ha dato vita a «Delirious Home», progetto vincitore del Milano Design Award del Salone del Mobile. Wallpaper* l’ha incluso tra i 100 nomi più influenti del mondo del design.
Torinese, laureata al Politecnico in restauro architettonico e diplomata restauratore a Firenze. Appassionata di arte in tutte le sue forme, vive e lavora a Milano, dopo una lunga esperienza come conservatore a New York e Londra. Attualmente è direttore dei Laboratori di Conservazione e Restauro di Open Care.
Da sempre dedito al volontariato, ha dato vita nel 2008 alla Onlus Il Nodo Cooperazione Internazionale, fondando a Phnom Penh, in Cambogia, la Bottega dell’arte, un progetto sociale con la finalità di conservare e arricchire il talento naturale della mano dei giovani khmer.
Direttore editoriale: Gianluca Tenti Vicecaporedattore: Andrea Bertuzzi Grafica: Francesca Tedoldi
Mestieri d’Arte & DESIGN Semestrale – Anno VI – Numero 11 Aprile 2015 Supplemento di Arbiter 145/I Direttore responsabile ed Editore: Franz Botré Editor at large: Franco Cologni Direttore creativo: Ugo La Pietra
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Akemi Okumura Roy
Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte Direttore generale: Alberto Cavalli Editorial director: Alessandra de Nitto Organizzazione generale: Susanna Ardigò Hanno collaborato a questo numero Testi: Alessandro Botré, François Burkhardt, Alberto Cannetta, Federica Cavriana, Simona Cesana, Alexandra d'Arnoux, D&L Servizi editoriali (revisione testi), Giacinto Di Pietrantonio, Ali Filippini, Alexis Georgacopoulos, Andrea Grignaffini, Lara Lo Calzo, Giovanna Marchello,
Ha un dottorato in design presso l’università Iuav di Venezia con una ricerca sulla storia dell’esporre in ambito sia merceologico sia culturale. Collabora con riviste di settore, affiancando all’attività giornalistica ed editoriale quella formativa e curatoriale.
Vive a Padova, dove compiuti gli studi classici si appassiona all’arte contemporanea. Segue il mercato dell’arte internazionale, con attenzione alla fotografia. Figlia del designer Gastone Rinaldi, collabora con varie testate d’arte, per cui cura recensioni di mostre sulle nuove tendenze, il design e le arti applicate.
È uno dei maggiori scenografi italiani. Diplomato presso l’Accademia di Belle Arti di Brera nel 1974, nel 1987 diventa capo scenografo realizzatore del Teatro alla Scala. Dal 1992 al 1995 ricopre la carica di direttore dell’allestimento scenico e dal 1995 è responsabile dei laboratori scenografici scaligeri.
Docente, critico e curatore d’arte, dirige la Galleria d’arte moderna e contemporanea di Bergamo. Fondatore e membro del cda dell’Amaci (Associazione musei d’arte contemporanea italiani), nel 2008 è stato insignito dall’Università di Bologna del riconoscimento alla carriera dell’Associazione Almae Matris Alumni.
Stefania Montani, Akemi Okumura Roy, Susanna Pozzoli, Mariagabriella Rinaldi, Angelo Sala, Francesca Sammartino, Isabella Villafranca Soissons Immagini: Bertrand Corbara, Raul de Nieves, Ornella Francu, Michael Koryta, Lux Toma, Giuseppe Millaci, Kimimasa Naito, Jonathan Paciullo, Laila Pozzo, Susanna Pozzoli, Eric Scott, Donatella Rigon, Giovanni Umicini, Emanuele Zamponi
Pubblicazione semestrale di Swan Group srl Direzione e redazione: via Francesco Ferrucci 2 20145 Milano Telefono: 02.3180891 info@monsieur.it
Mestieri d’Arte & Design è un progetto della Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte Via Lovanio, 5 – 20121 Milano © Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte.
Pubblicità A.Manzoni & C
Tutti i diritti riservati. Manoscritti e foto originali, anche se non pubblicati, non vengono restituiti. È vietata la riproduzione, seppur parziale, di testi e fotografie.
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Orchestra Sinfonica e Coro Sinfonico di Milano Giuseppe Verdi
un anno di musica
LaVERDI è oggi una delle più rilevanti realtà sinfoniche in Italia, con un repertorio da Bach ai capolavori dell’Ottocento, del Novecento e della musica contemporanea
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Certi
Fatto ad ar te
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c’è artigianato e artigianato Da quello che si limita ad assemblare manufatti a quello che coniuga tecnologia e design cercando di creare un nuovo modello produttivo. Oggi questo settore è di gran moda ma nasconde profonde differenze culturali al suo interno
Grazie alle tante esperienze di ricerca, di progetto e di animazione all’interno dei vari territori italiani che ho attraversato rintracciando l’artigianato artistico, ho potuto constatare le profonde differenze culturali, produttive e d’impresa che condizionano questo settore, un tempo ignorato e disprezzato, oggi di gran moda. Proverò di seguito a fare un’analisi dei vari tipi di artigianato artistico diffusi sul territorio italiano sottolineando alcune distinzioni. La prima categoria, piuttosto diffusa nell’Italia delle piccole-medie imprese, è quella di un artigianato artistico legato alla produzione di un’azienda che utilizza quindi maestranze esterne come realizzatori di parti di manufatto «da assemblare». Sono, questi artigiani, i più esposti al rischio di disoccupazione in questi anni di crisi: essendo terzisti senza capacità d’impresa, sono spesso costretti a chiudere il loro laboratorio in assenza di commesse da parte delle imprese vere e proprie.
Recentemente si sono aggiunte altre categorie di artigiani, come quelli «metropolitani», che realizzano oggetti con un’alta componente di artisticità con tecniche innovative, tendenzialmente usando materiali di recupero e quindi al di fuori dell’area di tradizione. Ancora più recenti sono le applicazioni indagate dalle giovani generazioni che utilizzano tecnologie avanzate per produrre una sorta di design artistico/ sintetico. Spesso hanno una buona preparazione progettuale (si sono formati all’interno delle università) ma mancano totalmente di conoscenze manuali e quindi suppliscono alla carenza della cultura del fare con l’uso di strumentazioni (ad esempio le sempre più diffuse stampanti 3D) in grado di formare l’oggetto progettato.
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Ci sono poi gli artigiani che lavorano su progetto: artigiani colti e abili che ancora oggi realizzano pezzi su misura per conto di progettisti impegnati in particolari arredamenti di abitazioni, musei, spazi collettivi. Questi artigiani conservano una buona capacità lavorativa tradizionale e la applicano a progetti contemporanei e spesso sperimentali. Numerosi sono ancora coloro che lavorano all’interno della tradizione: sono artigiani che operano nelle aree produttive omogenee (a Volterra con l’alabastro, a Caltagirone con la ceramica, a Ravenna con il mosaico, a Cantù con il pizzo... per fare qualche esempio). Fra questi è bene fare alcune distinzioni: ci sono artigiani che si discostano dai modelli del passato, realizzando oggetti «minori» per soddisfare un mercato di souvenir di basso livello per il turismo di massa, e altri
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che invece li percorrono in modo filologicamente corretto. All’interno di questa ultima area si possono elencare due modelli di produzione e quindi d’impresa: artigiani che nella tradizione cercano di rinnovarsi con un linguaggio proprio (come ad esempio gli artisti ceramisti Bruno Gambone, Alessio Tasca, Candido Fior) e artigiani che si rendono disponibili a realizzare opere su progetto di artisti e designer nel rispetto della tradizione rinnovata.
L’ultima categoria è quella di designer/artigiani che cercano di realizzare veri e propri laboratori capaci di coniugare l’aspetto manuale con quello tecnologico-virtuale. È una formula, quest’ultima, senz’altro più evoluta e che risponde anche alle condizioni in cui recentemente il giovane progettista/artigiano si trova a operare: affrontare la crisi occupazionale cercando di recuperare il più difficile rapporto di partecipazione e collaborazione con le aziende del settore, creando un nuovo modello produttivo e commerciale.
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Foto di Vincenzo Cammarata © FAI – Fondo Ambiente Italiano
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GIARDINO DELLA KOLYMBETHRA VALLE DEI TEMPLI - AGRIGENTO Il Giardino della Kolimbethra è uno dei 50 Beni tutelati dal FAI in Italia
Se l’Italia è la tua passione, dona il tuo 5x1000 al FAI. Da 40 anni difendiamo il patrimonio italiano d’arte e natura. Dal 1975, dedichiamo ogni giorno tutta la nostra passione al recupero di luoghi unici e meravigliosi del nostro Paese: li riceviamo in dono o in concessione e li rendiamo tesori da vivere. Per sempre e per tutti.
Se l’Italia è la tua passione, aiutaci: indica il codice fiscale del FAI nella dichiarazione dei redditi, nella sezione “sostegno del volontariato e di altre organizzazioni non lucrative e di utilità sociale.” A te non costa nulla, per noi fa la differenza.
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Pensiero storico
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aa cercasi, ovvero il filo rosso che lega artisti e artigiani Dalle opere al neon di Joseph Kosuth alle sculture in metallo di Dan Flavin, tanto i minimalisti quanto i concettualisti hanno sempre avuto bisogno di maestri abili nella lavorazione dei materiali
La questione A-A, vale a dire tra Arte e Artigianato, è annosa e complessa: una diatriba sviluppata soprattutto nel tempo della modernità, ma che le pratiche dell’arte concettuale sembrano aver riacutizzato a partire dagli anni 60. Tuttavia anche quest’ultime non sarebbero potute esistere se non avessero avuto la possibilità di appoggiarsi anche alle pratiche artigianali. In un certo senso sono proprio le modalità dell’arte concettuale a dare maggior forza alla relazione con l’artigianato. Naturalmente per artigianato non bisogna intendere soltanto le pratiche tradizionali, ma anche quelle legate all’industria. Questo potrà apparire un controsenso, ma non lo è.
segni e le scritte di neon di Mario Merz e ancora più vicino a noi, e più vicino formalmente al disegno di Fontana, Pietro Roccasalva con Jockey Full of Bourbon II (2006), un segno-disegno di neon volto a occupare lo spazio dal soffitto al pavimento. Ho voluto fare questi esempi per prendere la questione di petto e per sottolineare che ci sono varie forme e modi dell’artigianalità, senza la quale non esisterebbero molte opere considerate centrali nella modernità e contemporaneità, come le sculture di metallo scatolare di Dan Flavin realizzate da abilissimi artigiani del metallo e del legno che con la loro sapienza e precisione sfidano le capacità dell’industria.
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Come esempio può valere quello del neon nell’uso di due artisti di stampo concettuale come il minimalista Dan Flavin, che impiega il neon senza alcun intervento artigianale, servendosi dei tubi-lampade di neon standard acquistati in un negozio di materiale elettrico, mentre Joseph Kosuth usa il neon in forma di scritte, fornendo i testi al neonista, che è un artigiano che gli dà forma. Più evidente in questo è l’uso del neon fatto da artisti come Lucio Fontana, di cui tutti ricordiamo il Concetto spaziale, un grande disegno-ghirigoro alla IX Triennale di Milano del 1951, o nella sua scia i
Detto questo, e potremmo ancora continuare a fare esempi, va anche sottolineato che il concettualismo e il minimalismo duro dei Kosuth o dei Judd si sono presentati, pure per ordine degli autori, come un rifiuto dell’artigianalità, anche perché in loro era insito il presupposto che fosse l’idea a contare e che non dovevano sporcarsi le mani, dato che all’artigianalità viene associata soprattutto la capacità manuale di creare. A seguito di ciò c’è stata una reazione dopo la metà
*direttore GAMeC di Bergamo e docente di Teoria e storia dei metodi di rappresentazione all’Accademia di Brera.
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Pensiero storico
degli anni 70 da parte di alcuni artisti che hanno ricominciato ad affermare il potere delle mani, la sapienza del fare: come Enzo Cucchi, che faceva fuoriuscire dalle sue pitture delle lingue di ceramica, o le circondava di cornici in ceramica, passando successivamente a fare delle sculture nello stesso materiale, spesso in forma di vaso, soprattutto servendosi degli artigiani di Castelli in Abruzzo, ma anche di Vietri in Campania, in cui ha realizzato una famosa opera a quattro mani con Ettore Sottsass. Per portare acqua al mulino iniziale va detto che anche Cucchi per le ceramiche non mette le mani in pasta, ma sono gli artigiani a realizzarle fisicamente, per cui tra un neon di Fontana e Kosuth e una scultura di Cucchi sul piano della pratica realizzativa non paiono esserci molte differenze.
e divertiti. Ma sono in molti a percorrere queste strade, come ad esempio artistar quali Jeff Koons che, oltre a fare opere in ceramica, fa anche, o meglio fa fare, alcune sculture in legno dagli artigiani della val Gardena ai quali ha chiesto tempo fa di realizzare le sculture erotiche autoritratto con Ilona Staller-Cicciolina, oppure animali e fiori, senza però disdegnare i gatti di marmo realizzati dagli artigiani di Carrara, o i cani vasi di porcellana, o le sculture kamasutra in vetro.
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Ma è ovvio che quando si vede un’opera fatta con una scritta al neon non ci viene da pensare alla mano artigiana, mentre per un vaso, o una scultura di ceramica, o legno, sì. Ci sarebbe poi da chiedersi perché questo senso di artigianalità ci appare meno per una scultura in marmo: forse è per la maggiore nobiltà del materiale? Comunque sia il passaggio tra anni 70 e 80 sta nel fatto che a partire dalla fine di questi ultimi gli artisti non si sono più vergognati di esaltare le qualità artigiane, anzi ne mostrano, sia nelle dichiarazioni sia con le opere, una certa fierezza.
Un processo che nell’arte è stato anticipato dall’artista concettuale italiano Alighiero Boetti, allorché, già agli inizi degli anni 70, aveva cominciato a fare delle opere frutto del lavoro di ricamatrici di arazzi e tessitrici di tappeti afghane. Qui l’artigianalità veniva esaltata e, per questo, nell’epoca di neoartigianato in cui ci troviamo oggi, molti artisti vedono Boetti come un punto di riferimento. Altro campione di questa tradizione è Luigi Ontani, che si serve di fotografi artigiani indiani per alcune sue opere fotografiche e della Ceramica Gatti per le sue opere, che sono soprattutto sculture di dimensione umana, raffiguranti i suoi autoritratti nelle vesti dei personaggi più diversi
Questi e altri artisti, dunque, attingono a piene mani dalla sapienza artigiana, specialmente da quella italiana che conta importanti distretti artigiani in tutta la penisola per qualità e quantità. E, come detto prima, si tratta non solo di artigianato della tradizione più antica come ceramica o legno, ma anche di quella più moderna del neon, o ancora delle opere sculture-manichino realizzate dagli artigiani del cinema, o dagli imbalsamatori di animali tassidermizzati di Cattelan, sempre in Italia. Ma c’è chi si spinge fino in Oriente: ancora Ontani a Bali fa realizzare le sue visionarie maschere dagli intagliatori balinesi del legno pule, e il belga Wim Delvoye va in Thailandia per far fare le sue sculture di Camion betoniera, ruspe, scavatrici in scala 1:1 baroccamente intagliate da artigiani thailandesi. Ma forse l’opera più titanica degli ultimi anni è Sunflower seeds del discusso artista cinese Ai Weiwei: 100 milioni di semi di girasole di porcellana fatti e decorati a mano e poi distribuiti come un tappeto alto 10 centimetri dal peso di 150 tonnellate nel grande spazio della Turbin Hall della Tate Modern di Londra nel 2010; alla fine della mostra, il museo ha acquistato otto milioni di semi per la sua collezione. Un’opera ciclopica che ha coinvolto 1.600 artigiani di Jingdezhen, distretto famoso per la produzione di porcellane: un’opera di 100 milioni di semi di girasole di ceramica a memoria dei 100 milioni di vittime dell’era Mao, un’opera in cui sono espresse 100 milioni di ragioni di A-A, Artigianato e Arte.
L’artistar Jeff Koons commissiona agli intagliatori della val Gardena sculture in legno per le sue installazioni
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Nuove strade per la scoperta dei nostri mondi
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di Stefania Montani
Artigiani Libri Premi Iniziative Fiere Mostre
GIUSEPPE AMATO Nato a Palermo, Giuseppe Amato è un giovane architetto, ebanista e artista, che vive e lavora tra Milano e New York, dove ha allestito i suoi studi-laboratori. Con i suoi pezzi ha affascinato noti architetti e personaggi del mondo dello spettacolo. I suoi mobili e le sue strutture, tutti pezzi unici, sono realizzati a mano con intarsi e legni pregiati, seguendo l’antica tradizione dell’ebanisteria, arricchita da innovative tecniche e materiali, con grande creatività e professionalità. Nessuna delle sue creazioni è prevista per essere fatta in serie, ma studiata, disegnata, realizzata per il singolo cliente. Ne è un esempio il lungo corridoio con tarsia alla certosina realizzato per accedere al negozio di Caruso sulla 45a a New York e che riproduce l’atmosfera di una villa palladiana, con tanto di finestra trompe-l’oeil che si affaccia su un cortile rinascimentale. Amato l’ha costruito in sei mesi di infaticabile lavoro, con tessere di legni e materiali diversi. Notevole anche l’installazione per lo showroom milanese della stessa Caruso che, ricreando la struttura del Teatro Regio di Parma (riveduta e corretta, sopra), racconta il backstage del lavoro di sartoria messo in opera (a sinistra). Con legni, madreperla, materiali di vario tipo mirabilmente combinati insieme. Ma Giuseppe ha soprattutto una grandissima fantasia, come testimonia il suo progetto Unexpected Homes, presentato alla Biennale di Venezia nel 2010, in cui propone una serie di realtà abitative in legno, pronte per essere vissute, dai nomi ideali di Falansterio, Sichilli, Concepcion, Sixty Tons e Nautoscopio. Quest’ultimo realizzato in scala per l’evento di Interni «Greenergy Design», nei cortili dell’Università Statale, è una sorta di casa-osservatorio completamente eco-compatibile, ispirata dalla struttura progettata da Frank Lloyd Wright nel deserto dell’Arizona. Ora svetta a grandezza naturale all’ingresso della città di Palermo, sul mare, a Porta Felice. www.giuseppeamatostudio.com
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PH. SOFIA MASINI / PH G. AMATO ARCHIVE
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ALBUM artigiani MADINEUROPE Laboratori artigiani di varie nazioni europee, di diverse categorie e con specializzazioni differenti, sono stati selezionati in base all’eccellenza e messi on line per offrire un’ampia possibilità di scelta a chi cerca un abile maestro. E per dare nel contempo visibilità ai tanti maestri d’arte che, spesso chiusi nelle loro botteghe, sono poco conosciuti dai potenziali clienti. A creare questa piattaforma che consente di trovare, proporre e anche commentare gli artigiani d’arte d’Europa (indicizzati per settore, mestiere, prodotto, materiale o luogo di produzione) è stata Madina Benvenuti, giovane italofrancese residente in Belgio, che ha chiamato il sito Mad’in Europe, giocando sul doppio significato del suo nome, Madina, e di fatto in Europa. Grazie a un’accurata indagine preliminare per verificare ogni singola bottega, e all’utilizzo di un potente motore di ricerca, è oggi possibile usufruire di una vetrina sul mondo che facilita lo sviluppo di piccole imprese dell’eccellenza, oltre i confini del loro Paese, ponendo l’aspetto umano al centro e la tecnologia al servizio della tradizione. Gli artigiani iscritti finora sono circa 800. www.madineurope.eu
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GURI I ZI Un laboratorio, in Albania, che coinvolge tante donne di uno stesso Paese: si chiama Guri i Zi, e prende il nome dal comune in provincia di Scutari. È qui che, seguendo le antiche tradizioni, vengono realizzati, su telai di legno, bellissimi tessuti in lino e cotone, prevalentemente a righe di vari colori, rifiniti da ricami. Una grande varietà di biancheria per la casa alla quale si affianca anche la vendita di tessuto a metro. Tutti questi manufatti possono essere realizzati su misura, nel tessuto e nella fantasia desiderati, scelti nella cartella colori. Promotrice è Elena Galateri, giovane e intraprendente imprenditrice sociale, che nel 2006 ha ideato Idee Migranti onlus, un progetto di microimprenditorialità femminile nel settore del tessile, per fornire un’opportunità di reddito alle donne appartenenti alle fasce più deboli della comunità di Guri i Zi e valorizzare nel contempo l’antica tradizione tessile albanese. Il successo è stato grande se si pensa che l’attività iniziata con un primo gruppo di quattro donne ne coinvolge oggi ben 53. E prevede l’inserimento di altre 20 nei prossimi due anni. Il design è curato da Alessandra Dentice di Frasso (stilista e docente all’Accademia di Fashion, moda e design di Firenze). Per la tessitura si utilizzano filati che provengono da aziende italiane: un pregiato cotone egiziano per l’ordito e un cotone pettinato, di straordinaria qualità, che conferisce brillantezza e vivacità cromatica alla trama. www.guriizi.com
COY HUTSALON Berlino è una città dalle mille facce: si passa dai quartieri più moderni con grattacieli firmati da note archistar, alle ampie strade fiancheggiate da imponenti palazzi di neoclassica memoria, fino ad arrivare agli affascinanti quartieri denominati Hof, un intrico di vecchi cortili restaurati che si sviluppano uno di seguito all’altro. È qui che si trovano molte botteghe di giovani artigiani e designer. È qui che, in Hackesche Höfe all’8, ha aperto il suo atelier Cornelia Plotzki, in arte Coy, una creativa modista che, coadiuvata da un team ben affiatato, disegna e confeziona su misura cappelli da uomo e da donna per ogni occasione. Armata di macchina per cucire, forbici e spazzole, tessuti naturali quali lino, seta, feltro, e di
una nutrita collezione di preziose forme di legno, dà vita a creazioni davvero originali. Ci sono modelli a cloche, a larga tesa, berretti sportivi, con applicazioni di jais per cerimonie importanti, tutte realizzabili nei colori desiderati dal cliente. Non mancano i classici cappelli da uomo e tanti modelli già pronti da indossare, dalle linee sobrie e sportive. Per le spose Cornelia propone copricapo da abbinare a piccole borse, spille, scialli che ne riprendono le decorazioni. Anche chi non usa il cappello si rallegrerà alla vista di questo atelier pieno di charme e del cortile decisamente fuori dal tempo. www.berliner-hutsalon.de
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OFF LOOM. FIBER ART Arte fuori dal telaio
STEFANO BEMER Una calzoleria artigianale di eccellenza, rinomata in tutto il mondo. Basti pensare che è stata scelta per rappresentare il made in Italy nel nuovissimo Florentia Village (22-25 gennaio) di Shanghai, che annovera clienti internazionali. Aperta nel 1983 da Stefano Bemer, un artigiano di grande talento prematuramente scomparso, è stata riaperta un anno fa da Tommaso Melani, già suo socio e collaboratore, e dalla famiglia Gori, fondatori della Scuola del cuoio (1948), che hanno acquisito il brand e la società nel segno della continuità. La nuova sede della bottega si trova in San Niccolò in una chiesetta sconsacrata, interamente ristrutturata, nel cuore di Firenze: di fianco al negozio c’è il laboratorio. Sono oltre 40 gli stili di base, ognuno dei quali è disponibile in tre, quattro o più versioni. Accuratissime le lavorazioni: il cuoio per le suole, ad esempio, è immerso in acqua per 12 ore, poi lasciato asciugare e riposare, avvolto in carta e battuto con un martello sulla pietra. Un trattamento studiato per rendere la pelle resistente e flessibile nel tempo, attributi indispensabili per la longevità e la comodità della scarpa. Persino il filo di cucitura, utilizzato per il guardolo e la suola, è fatto in negozio utilizzando un’antica tecnica di torsione del filo di lino con pece e cera d’api. E le cuciture che legano le scarpe con migliaia di punti minuscoli sono davvero raffinatissime. Ma oltre al lavoro di calzoleria, Tommaso Melani ha avviato un programma di formazione e apprendistato all’interno del suo laboratorio, con l’aiuto della Scuola del cuoio di Firenze, per dare a coloro che lo desiderano le competenze per intraprendere questo mestiere. E il programma di crescita dei prossimi due anni prevede l’inserimento in bottega di una decina degli studenti migliori. www.stefanobemersrl.com
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a cura di Maura Picciau (Corraini Edizioni) Un’antologia esaustiva della migliore produzione italiana di Fiber Art, movimento artistico che sceglie come mezzi espressivi le fibre dell’antica e della moderna tradizione tessile: le lane, le sete, i cotoni, i filati sintetici, ma anche la carta, la paglia e lo spago, le fibre metalliche e quelle plastiche, o la lana di vetro, sino ad arrivare al concetto immateriale di fibra ottica.
I TESORI DELLA FONDAZIONE BUCCELLATI
di Gianmaria Buccellati, Rosa Maria Buccellati, Riccardo Gennaioli (Skira) Una selezione di oltre 100 opere, tra gioielli, lavori di oreficeria e di argenteria disegnati da Mario e Gianmaria Buccellati, eredi dell’illustre tradizione italiana, fiorita nel Rinascimento con Benvenuto Cellini, uno dei massimi artisti di ogni epoca. Chiudono il volume un glossario delle principali tecniche orafe in uso nel Medioevo e nella prima età moderna.
La mia vita con Leonardo
di Pinin Brambilla Barcilon (Electa) Narra i 20 anni di lavoro appassionato dell’autrice per il restauro dell’Ultima Cena di Leonardo. Dal 1977 le venne chiesto di avvicinarsi alla parete del capolavoro di Leonardo da Vinci nuovamente minacciato da problemi di conservazione. Da quell’incontro prese avvio uno dei più intriganti cantieri di restauro del ’900, un’impresa destinata a restituire, per la prima volta dopo secoli, la pittura di Leonardo.
1000 LIGHTS
di Charlotte e Peter Fiell (Taschen) Una rassegna di oltre 1.000 modelli, tutti alimentati a elettricità; si va dalla prima lampadina a bulbo di Edison alle bellissime lampade Tiffany, dal design avanguardistico degli anni 60 e 70 agli ultimi oggetti high tech. Gli oggetti sono organizzati cronologicamente e divisi per decadi. Tutti gli stili più importanti sono ampiamente rappresentati: Arts & Crafts, Art Nouveau, Art Déco, Modernismo, De Stijl, Pop, Post moderno fino al contemporaneo.
UGO LA PIETRA. PROGETTO DISEQUILIBRANTE
a cura di Angela Rui (Corraini Editore) È il catalogo della prima grande mostra monografica sul lavoro di Ugo La Pietra dal 1960 a oggi, che ha saputo individuare nuovi rapporti fra design e artigianato, riflettendo sulle trasformazioni delle città e offrendo soluzioni innovative per la vivibilità e la sostenibilità. Una panoramica sul complesso lavoro di questo designer non allineato.
Shaker: Function, Purity, Perfection
introduzione di Sir Terence Conran (Assouline) - edizione inglese Un omaggio allo stile Shaker, che ha influenzato il XX secolo. Corredato di belle immagini e frutto di una ricerca storica che ne illustra i principi, le tecniche e i singoli pezzi più importanti, il volume, cui hanno collaborato i curatori del Museo Shaker di Mount Lebanon, in Pennsylvania, svela i segreti di questi straordinari complementi d’arredo.
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SALONE INTERNAZIONALE DEL MOBILE Milano, Rho-Fiera 14-19 aprile 2015 Per il Salone di arredo più importante al mondo, gamma di proposte a 360 gradi sia per tipologie (dal pezzo unico al coordinato) sia per gli stili (dal classico al design moderno) sia per le proposte delle tendenze di domani. Da segnalare, all’interno dei padiglioni In Italy, un’installazione multimediale completata da una app che racconterà il fare italiano. L’evento vedrà protagonisti alcune aziende e un gruppo selezionato di designer, progettisti e architetti che si confronteranno sul tema dei prodotti, del design e della progettazione. Attraverso i video il curatore condurrà lo spettatore nell’esplorazione virtuale del saper fare e dell’unicità italiani e del percorso produttivo nascosto dietro ogni oggetto. Da non perdere i 700 giovani designer under 35, selezionati da ogni parte del mondo, che esporranno alla 18 a edizione del Salone Satellite. www.salonemilano.it
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po e dell’anima. Al Padiglione Italia in mostra le eccellenze italiane: la cultura e le tradizioni nazionali legate al cibo e all’alimentazione, caratterizzate dall’alta qualità delle materie prime e dei prodotti finali. La partecipazione italiana è sia all’interno degli Spazi espositivi, disposti lungo il Cardo, sia nel Palazzo Italia, che costituisce il luogo d’incontro istituzionale tra il Paese organizzatore e i Paesi partecipanti. www.expo2015.org CLERKENWELL DESIGN WEEK Londra 19-21 maggio 2015 La kermesse londinese si presenta al suo sesto appuntamento con tante proposte innovative. In questa settimana dedicata al design, showroom, studi di architettura e gallerie apriranno le loro porte al pubblico presentando i progetti più innovativi di architettura e design. Presenti Vitra, Arper, Poltrona Frau e Brintons, con Modus e gli specialisti del suono Bowers & Wilkins. www.clerkenwelldesignweek.com
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EXPO 2015 Nutrire il pianeta, energia per la vita Milano 1 maggio-31 ottobre 2015 La grande manifestazione mondiale approda per sei mesi a Milano, con 145 Paesi che espongono il meglio delle loro idee e produzioni sul tema della nutrizione del pianeta, del cor-
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Vegas, San Paolo, Mumbai, Hong Kong e Dubai. Oltre 1.200 brand provenienti da circa 30 Paesi stranieri espongono le loro preziose creazioni in questa fiera di settore che quest’anno affianca e sostiene il neonato Museo del gioiello, nella basilica Palladiana, da quest’ultima sponsorizzato. www.vicenzaoro.com
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ARTIGIANATO & PALAZZO Firenze, Palazzo Corsini 14-17 maggio 2015 Novanta tra i più straordinari e capaci artigiani fiorentini, italiani ed europei saranno presenti in questa mostra-mercato arrivata al suo 21° appuntamento. Oltre a esporre i loro manufatti, i maestri artigiani daranno dimostrazioni dal vivo delle varie tecniche di lavorazione. www.artigianatoepalazzo.it VICENZAORO Vicenza Fiera 5-9 settembre 2015 La fiera, sempre più internazionale, è ora presente anche a Las
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100% DESIGN Londra, Olympia 23-26 settembre 2015 Innovativa esposizione che coinvolge grandi nomi del design contemporaneo e aziende che operano nel settore dell’arredo. Da interno e da lavoro. Dalle cucine all’illuminazione, dalla ceramica ai tappeti, dalla carta da parati ai divani e alle poltrone. www.100percentdesign.co.uk CREMONA MONDOMUSICA Cremona 25-27 settembre 2015 La più grande vetrina delle eccellenze nel settore degli strumenti musicali artigianali a livello mondiale. Patria dei più celebri liutai, quali Stradivari, Amati e Guarneri, la città è riuscita a tenere viva nei secoli la sua tradizione musicale unica al mondo e a riproporla oggi sul palcoscenico internazionale. Tante e di alto livello le manifestazioni collaterali. www.cremonamondomusica.it Altri Appuntamenti 1) Mostra Internazionale dell’artigianato Firenze, Fortezza da Basso 24 aprile-3 maggio 2015 www.mostraartigianato.it 2) London Craft Week Londra 6-10 maggio 2015 www.londoncraftweek.com 3) Maison & objet Miami 12-15 maggio 2015 Parigi, Villepinte 4-8 settembre 2015 www.maison-objet.com 5) Abitare il tempo Verona 30 settembre-3 ottobre 2015 www.abitareiltempo.com
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Museo del Gioiello È stato da poco inaugurato a Vicenza il Museo del gioiello, il primo in Europa e uno dei pochi al mondo dedicati esclusivamente all’arte orafa. Voluto dalla Fiera di Vicenza e dal Comune, diretto da Alba Cappellieri, docente di Design del gioiello al Politecnico di Milano, il museo prevede un percorso scientifico e uno didattico con nove sale espositive e altrettanti ambiti tematici all’interno della basilica Palladiana: Magia, Simbolo, Funzione, Bellezza, Arte, Moda, Design, Icona, Futuro. Circa 500 pezzi straordinari valorizzati dagli allestimenti al contempo funzionali e suggestivi di Patricia Urquiola. La Sala della Bellezza è stata curata da Franco Cologni. Il bel catalogo suddiviso in nove monografie edito da Marsilio accompagna il visitatore lungo il percorso delle sale di questo affascinante museo. www.museodelgioiello.it La Dieta Mediterranea: oggetti in evoluzione Milano, Museo Poldi Pezzoli 20 maggio-15 giugno 2015 In mostra le creazioni originali legate alla dieta mediterranea, progettate dai ragazzi della Creative Academy e realizzate dagli artigiani lombardi selezionati da Ugo La Pietra: partendo dalle materie prime che costituiscono la base di questo regime alimentare e culturale, riconosciuto Patrimonio dell’Unesco, i giovani designer della Creative Academy, scuola di design del Gruppo Richemont, saranno chiamati a imbandire un’ideale tavola progettando oggetti, complementi, contenitori, piatti, ma anche immaginando come valorizzare la convivialità che caratterizza la nostra alimentazione. In linea con i temi di Expo 2015, il progetto, sostenuto e seguito dalla Fondazione Cologni, prevede anche una documentazione multimediale che presenti tutte le fasi del making of. Gli oggetti saranno realizzati in legno, ceramica, vetro da botteghe artigianali lombarde, tradizionali o di nuova generazione. La provenienza internazionale
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dei designer, il radicamento territoriale degli artigiani, il suggestivo contesto del Poldi Pezzoli e la visione di Ugo La Pietra permetteranno una fertilizzazione culturale importante e inedita. www.museopoldipezzoli.it Arti e Mestieri: le mani sapienti Milano, Castello Sforzesco Progetto culturale, pedagogico e didattico che si fonda sui principi costitutivi della Fondazione Antonio Carlo Monzino di Milano: l’educazione alla musica quale irrinunciabile componente formativa e culturale. Liutai di eccellenza mostreranno come si crea, si restaura e si ripara uno strumento ad arco, a pizzico, a corda. Il progetto si svolgerà quotidianamente al Castello Sforzesco di Milano durante tutto il semestre del palinsesto Expo in città. Il laboratorio di liuteria sarà affiancato da performance dal vivo di musicisti affermati e giovani talenti emergenti. La pratica musicale volge lo sguardo al futuro nella ferma convinzione che sapere e saper fare siano condizioni essenziali per la costruzione di un nuovo Paese. I visitatori apprezzeranno il processo di costruzione dello strumento correlato alla formazione dell’individuo, in particolare dei giovani, attraverso la musica. La Fondazione Cologni sostiene il progetto con particolare riferimento alle attività didattiche e di laboratorio. www.fondazioneacmonzino.it www.lemanisapienti.it
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ALBUM mostre Lapislazzuli Magia del Blu Firenze, Museo degli Argenti 9 giugno-11 ottobre 2015 Illustra l’antichissima arte della lavorazione dei lapislazzuli per la fabbricazione di oggetti ornamentali o di culto. Dai reperti archeologici provenienti dalla valle dell’Indo, dalla Mesopotamia e dall’Egitto fino al Rinascimento, dove, alla corte dei Medici, si formò una delle più spettacolari collezioni di oggetti in lapislazzuli d’Europa. Non solo coppe, vasi e anfore, ma anche mobili intarsiati, piani di tavoli e gioielli prodotti nelle botteghe fondate da Francesco I e nei laboratori istituiti da Ferdinando I, fino al tramonto della dinastia. www.polomuseale.firenze.it
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Il Principe dei sogni. Giuseppe negli arazzi medicei di Pontormo e Bronzino Milano, Palazzo Reale 29 aprile-23 agosto 2015 Milano offre al visitatore la visione, unica al mondo, di 20 preziosissimi arazzi cinquecenteschi riuniti per la prima volta dopo 150 anni: la mostra a Palazzo Reale raduna gli arazzi commissionati da Cosimo I de’ Medici per la Sala de’ Dugento di Palazzo Vecchio a Firenze. Oltre 400 metri quadrati di tessuto istoriato che raffigurano la storia di Giuseppe e che furono divisi nel 1882 per volere dei Savoia, tra Firenze e il Palazzo del Quirinale. Realizzati dai maestri arazzieri fiamminghi Jan Rost e Nicolas Karcher su cartoni di Jacopo Pontormo, Agnolo Bronzino e Francesco Salviati, gli arazzi sono una delle più alte testimonianze dell’artigianato e dell’arte rinascimentale. L’eccezionale allestimento è prima a Roma, poi a Milano, infine nella sede originaria, a Palazzo Vecchio. Sponsor dell’iniziativa la Fondazione Bracco. www.comune.milano.it/palazzoreale
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Fascino e splendore della porcellana di Torino Torino, Museo Accorsi-Ometto Fino al 28 giugno 2015 Tre storiche manifatture torinesi di porcellana in mostra: Rossetti, Vische e Vinovo. La mostra illustra l’avventura che portò la scoperta della porcellana a diffondersi in Europa e, grazie alla corte dei Savoia, in terra piemontese. Realizzata in collaborazione con Palazzo Madama-Museo civico di arte antica, offre anche esempi di argenteria, quadri, incisioni dell’epoca, nonché di una tavola imbandita con vasellame dell’ultimo quarto del ’700. Notevole il centrotavola in porcellana di Vinovo, raffigurante mestieri e personaggi dell’epoca. www.fondazioneaccorsi-ometto.it
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Piero Fornasetti: la folie pratique Parigi, Les Arts Décoratifs Fino al 14 giugno 2015 Parigi rende omaggio al grande artista milanese esponendo, in continuità con la Triennale di Milano, oltre 1.000 pezzi provenienti per la maggior parte dall’archivio di Barnaba Fornasetti. Pittore, stampatore, progettista, collezionista, stilista, raffinato artigiano, decoratore, Piero Fornasetti ha disegnato e realizzato circa 13mila tra oggetti e decorazioni. www.lesartsdecoratifs.fr
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La Conquista del Tempo Milano, Sala Federiciana della Biblioteca Ambrosiana 15 aprile-14 giugno 2015 La Fondazione internazionale dell’alta orologeria di Ginevra organizza una mostra antologica e didattica dedicata ai rapporti tra orologeria e astronomia; un centinaio di segnatempo fra i più preziosi della storia, dai primi gnomoni alle contemporanee meraviglie della micromeccanica, saranno esposti presso la Sala Federiciana della Biblioteca Ambrosiana, museo internazionale legato alla fama di Leonardo da Vinci e al prestigio del cardinale Borromeo che lo volle edificare e donare alla città. Il percorso espositivo accompagna il visitatore attraverso il lungo cammino dei progressi tecnici e scientifici grazie ai quali è stato possibile raggiungere l’obiettivo della precisione. Una ricerca sempre accompagnata dai mestieri d’arte, che hanno contribuito a renderla preziosa e straordinaria, come testimoniano i capolavori esposti, quintessenza della conoscenza e del savoir-faire. In concomitanza con la mostra verrà presentata l’edizione italiana (Marsilio Editori) del volume
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zionali come Baccarat, Saint Louis, Daum, Lalique, Gallé, Tiffany, Marinot, Decorchemont... Ma anche artisti meno conosciuti, da scoprire. www.lesartsdecoratifs.fr
Trésors de sable et de feu. Verre et cristal du XIV au XXI siècle Parigi, Les Arts Décoratifs 9 aprile-15 novembre 2015 Il museo possiede una delle più importanti collezioni nazionali francesi di vetri. Dodici sale illustrano la storia internazionale delle manifatture del vetro e dei maestri d’arte. Orientali e cinesi, francesi ed europee, veneziane, boeme, scandinave: produzioni ecce-
Alexander McQueen, Savage Beauty Londra, Victoria & Albert Museum 14 marzo-2 agosto 2015 La prima e più maestosa retrospettiva europea sulle ultime opere del designer inglese dalla creatività innovativa, magistralmente raccontata attraverso gli spettacolari fashion show. L’esposizione originale, allestita al Met di New York, è diventata una delle dieci mostre più visitate di tutti i tempi, anche grazie all’allestimento davvero inusuale. www.vam.ac.uk High Style: The Brooklyn Museum Costume Collection San Francisco, Legion of Honor Fino al 2 agosto 2015 La città californiana propone un interessante excursus sulla storia della moda del 1910 al 1980, attraverso 60 creazioni che includono pezzi di Jeanne Lanvin, Elsa Schiaparelli, Gabrielle Chanel e Hubert de Givenchy. Accanto a queste star, alcuni importanti designer-pionieri della moda americana tra il 1930 e il 1940, quali Charles James, Elizabeth Hawes, Sally Victor, Gilbert Adrian. In mostra anche una trentina di accessori e i fashion sketches provenienti direttamente dalla collezione del Brooklyn Museum Costume. www.legionofhonor.famsf.org
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Jeanne Lanvin Parigi, Palais Galliera Fino al 23 agosto 2015 Riapre dopo un accurato restauro il Palais Galliera e, oltre alla ricca collezione stabile di costumi, propone un’esposizione che celebra la più antica Maison de couture francese tuttora in attività: Lanvin. L’inedita mostra su Jeanne Lanvin (1867-1946), allestita in collaborazione con Alber 5 Elbaz, direttore artistico della Maison, riunisce in un centinaio di modelli gli eccezionali capi del Patrimonio Lanvin e
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del Palazzo Galliera. Tessuti, ricami, pizzi, motivi e colori esclusivi, frutto di una continua ricerca che spaziava dalle influenze classiche dello stile francese alle più avveniristiche geometrie in bianco e nero. www.palaisgalliera.paris.fr 5
DéboutonneR la Mode Parigi, Les Arts Décoratifs Fino al 19 luglio 2015 Un’esposizione unica nel suo genere, con oltre 3mila bottoni dal 1700 al 2000, realizzati per impreziosire abiti da sera o tailleur, con rifiniture gioiello. La mostra è arricchita da più di 100 modelli di abiti e accessori firmati da grandi sarti quali Paul Poiret, Elsa Schiaparelli, Christian Dior, JeanPaul Gaultier e molti altri. www.lesartsdecoratifs.fr CucinE & Ultracorpi Milano, Triennale Design Museum 9 aprile 2015-21 febbraio 2016 L’ottava edizione del Triennale Design Museum propone una mostra che s’ispira al libro di fantascienza L’invasione degli Ultracorpi, scritto da Jack Finney nel 1955 e all’omonimo film girato da Don Siegel. L’esposizione, messa in scena dallo Studio Italo Rota, racconta l’inesorabile trasformazione degli utensili da cucina in macchine e automi. Un’armata di «invasori» che, dalla metà del XIX secolo, con l’industrializzazione, è arrivata a sostituire molte pratiche umane: dal frigo al microonde, dalla caffettiera al tostapane, dal tritarifiuti alle cappe assorbenti, dalle friggitrici alle gelatiere. Questo transito dal manuale al tecnologico è sottolineato da pubblicità e manuali, film e documentari, libri e giochi. www.triennale.org
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Ed si p Ao sl ei zs si ao n di r a d e N i t t o
FONTE DI ISPIRAZIONE Qui a sinistra, il nappo Les Arts Décoratifs di Lucien Falize, l’opera che ha ispirato la mostra Mutations al Musée des Arts Décoratifs di Parigi. Nella foto a lato, creazione del calibro 4400 dell’ultima collezione di alta orologeria Vacheron Constantin Métiers d’Art - Mécaniques Gravées.
dal 27 al 29 marzo, parigi, ginevra e milano celebrano le Giornate Europee dei Mestieri d’Arte con mostre e botteghe aperte. declinando in diverse forme il tema «i territori dell’innovazione»
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Dialoghi sull’
arte L’edizione 2015 delle Giornate Europee dei Mestieri d’Arte, il grande appuntamento internazionale promosso dall’Institut National des Métiers d’Art (Inma), in network con Milano, Parigi, Ginevra e altre città europee, declina in diverse azioni di alto profilo il suggestivo tema de «I territori dell’innovazione», ponendo in stretta relazione tradizione e contemporaneità. La storica Maison ginevrina di alta orologeria Vacheron Constantin è partner ufficiale di questo réseau dell’eccellenza. In questa speciale occasione il Musée des Arts Décoratifs di Parigi, dal 27 marzo fino al 5 luglio, presenta la straordinaria mostra Mutations, a cura di Éric-Sébastien Faure-Lagorce: un’esposizione inedita e visionaria, tutta giocata sul confronto tra opere. A partire infatti da una selezione di oggetti emblematici dalle preziose collezioni del museo la mostra invita alcuni gruppi di creatori (artigiani, artisti e designer) a rivisitarne forme, tecniche e materiali creando nove nuovi oggetti d’arte contemporanei, che vengono posti in dialogo con le opere storiche che li hanno ispirati, testimoniando un’evoluzione creativa, una «mutazione», appunto, nell’inscindibile rapporto con la tradizione. Punto di partenza e suggestivo fil rouge di questa riflessione è uno degli oggetti più significativi dell’intera collezione museale e più in generale una vera e propria icona del più alto savoir-faire: il nappo (o vaso per bere) Les Arts Décoratifs, del grande orafo e gioielliere precursore dell’art nouveau Lucien Falize, vero capolavoro in oro e smalti realizzato su commissione per l’Esposizione Universale del 1900.
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cultura svelata Sopra, la basilica milanese di San Calimero: il 28 marzo, in occasione di un concerto di polifonia sacra, viene aperta al pubblico la cripta cinquecentesca. In alto, il salone del Museo Bagatti Valsecchi di Milano, dove viene allestita la mostra Intrecci. A destra, cesti intrecciati a mano dagli artigiani selezionati per la mostra.
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Il maestro raggiunge qui vertici di virtuosismo compositivo e tecnico, soprattutto nell’uso delle più complesse e raffinate applicazioni dello smalto, in un’iconografia articolata e simbolica, con diverse figure di artigiani in fogge rinascimentali al lavoro su differenti materiali, dal legno alla pietra alla terra, dal vetro al metallo al cuoio, dal tessuto alla carta. L’opera simboleggia gli ideali dell’Union Centrale des Arts Décoratifs, consacrata dal 1864 alla promozione del grande artigianato, sotto il motto di «arte, scienza e mestiere»: una prodezza eccezionale, concepita come omaggio ai maestri d’arte del passato e alle collezioni del museo. La mostra parigina si apre dunque con un primo simbolico confronto: il capolavoro di Falize e il suo pendant contemporaneo Corps de métiers, realizzato dall’artista Stéfane Perraud: un oggetto composto da 32 elementi che a loro volta evocano i mestieri d’arte. Il visitatore è invitato a immergersi in uno spazio costituito da otto sale (veri laboratori di ricerca) divise per temi e materiali, dove opera storica e creazione contemporanea dialogano e si relazionano intensamente, mostrando legami, affinità e trasformazioni, grazie alla scelta dei tesori storici ispiratori, all’estro creativo dei progettisti e al savoir-faire dei grandi artigiani chiamati a collaborare (orafi, gioiellieri, scultori, ebanisti, vetrai, lapidari, incisori di metalli, realizzatori di tessuti e carte da parati, ceramisti, sellai ecc.), mettendo in scena l’evoluzione del mestiere d’arte. La commissione di queste opere è stata possibile grazie al sostegno di Vacheron Constantin: una Maison di eccellenza che ha dato prova di grande capacità di rinnovamento e apertura al contemporaneo, mantenendo alto il prestigio del suo storico e inimitabile héritage. A Ginevra, in occasione delle Giornate Europee (27-29 marzo), porte aperte per ben 27 istituzioni culturali, dove sarà messo in mostra il savoir-faire; Vacheron Constantin per l’occasione accoglierà il pubblico al suo prestigioso indirizzo di Quai de l’Ile, nel cuore della città, per celebrare 260 anni di storia nell’alta orologeria. Per tre giorni i visitatori avranno l’occasione di incontrare gli artigiani della celebre Maison, che daranno esempio della loro maestria nell’incastonatura di pietre preziose, nell’incisione e nella costruzione dei preziosi segnatempo. Anche il cantone svizzero del Vaud parteciperà per il secondo anno con tre giorni di atelier artigiani aperti al pubblico. A Milano, la Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte sviluppa per le Giornate Europee un significativo programma di appuntamenti culturali dedicati all’artigianato artistico e alle arti applicate, in collaborazione con altri partner milanesi e sempre grazie al sostegno di Vacheron Constantin, ancora una volta a fianco della Fondazione. Il tema del dialogo fra tradizioni ancestrali e suggestioni contemporanee viene sviluppato in modo affascinante con la mostra Intrecci, il cui concept è a cura del giovane team di Segno Italiano, impegnato nella valorizzazione dell’alto artigianato attraverso diverse azioni di tutela e promozione culturale e commerciale
emanuele zamponi - courtesy museo bagatti valsecchi
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a livello internazionale, anche come editore contemporaneo di manufatti d’eccellenza che diventano protagonisti di scenari tematici di «domesticità italiana». L’esposizione allestita presso lo scenografico salone del Museo Bagatti Valsecchi di Milano, valorizza uno dei mestieri più antichi della tradizione artigianale italiana: l’intreccio di rami di salice, vimini, canna e altre essenze destinato alla cesteria. Imponenti totem costituiti da pregiati cesti fatti a mano mettono in scena in modo spettacolare questo mestiere d’arte della tradizione; la visione di Segno Italiano permetterà ai maestri artigiani di entrare in contatto con una dimensione nuova, ispirata a un design metropolitano e simbolico. I visitatori vengono accompagnati alla scoperta di questa tecnica attraverso un percorso informativo, È una vetrina unica per il talento. multimediale e visivo che testimonia anche il making of delle Tre giorni ininterrotti di incontri assieme opere e si snoda tra gli ambienti suggestivi della casa-museo milanese. L’impegno della Fondazione Cologni prosegue con ai maestri, dimostrazioni, laboratori, l’organizzazione di una lezione organizzata presso la storica aperture straordinarie di istituzioni, musei, Siam, Società d’incoraggiamento d’arti e mestieri, sui mestieri scuole, workshop e circuiti tematici d’arte e le arti applicate milanesi a cura della scuola Corsi Arte, e in collaborazione con l’Associazione 5 Vie Art + Design. Corsi Arte è una scuola privata milanese unica nel suo genere, che dal 1994 si occupa specificamente di formazione in storia delle arti decorative antiche, moderne e contemporanee, preparando figure professionali con competenze storico-artistiche e abilità tecnico-diagnostiche. Per rendere ancor più significativo e tangibile il tema del saper fare e della sua trasmissione, la Fondazione Cologni invita i cittadini a scoprire i luoghi di Milano dove i maestri lavorano, o dove i prodotti creati dai più grandi artigiani vengono selezionati e proposti. In sinergia con quanto accade a Ginevra, Parigi o nel Vaud, anche a Milano per il week-end delle Giornate Europee sarà possibile visitare le botteghe artigiane e gli atelier dei maestri d’arte che aderiscono all’iniziativa nella storica zona del centro di Milano, storicamente vocata al saper fare, conosciuta come «Cinque vie», tra corso Magenta, via Santa Marta e la Darsena. Nello stesso week-end, nella serata di sabato, i visitatori sono invitati al concerto presso la basilica di San Calimero tenuto dall’Ensemble Vocale Harmonia Cordis e dedicato ad alcuni dei maestri che hanno saputo innovare il linguaggio formale della polifonia sacra. Giunte ormai con grande successo alla nona edizione, le Giornate Europee dei Mestieri d’Arte, con tre giorni ininterrotti di mostre, incontri con i maestri, dimostrazioni, laboratori, aperture straordinarie di istituzioni, musei, scuole e botteghe, workshop e circuiti tematici, si confermano vetrina unica e straordinaria del talento artigiano, fra riscoperta e conservazione della tradizione e nuove declinazioni della maestria contemporanea.
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Sopra, il maestro decoratore Qinglong Zhang inizia una scultura vegetale che realizza con semplici attrezzi: coltelli affilatissimi di varie forme e misure, pelapatate e scavini (a lato).
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Bello
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da mangiare
Un piatto non deve essere solo buono, ma anche visivamente appagante. È la filosofia del ristorante cinese Bon Wei di Milano, dove un artigiano scolpisce frutta e verdura per decorare le tante offerte del menù. Quello che a un occhio occidentale può apparire come un semplice decoro, è in realtà espressione di una civiltà che da millenni accredita enorme importanza alla simbologia...
di Lara Lo Calzo
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foto di Laila Pozzo
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Il filosofo cinese Confucio è conosciuto per il suo pensiero, ma pochi sanno del suo amore per la cucina e del talento per l’arte culinaria che ha caratterizzato la sua famiglia, i Kong, per generazioni: ricette e metodi di preparazione talmente sopraffini da essere studiati e protetti dal ministero del Commercio cinese come un tesoro nazionale, eredi di una antica saggezza che affonda le radici nella medicina e nella filosofia tradizionali. «Non ci si stanca di una cucina raffinata, non ci si stanca di un battuto fine», era solito dire Confucio. Nonostante, allora come oggi, in Cina la cucina rappresentasse una fonte di salute e lunga vita, oltre che un piacere per il palato, un altro aspetto che veniva accuratamente studiato era la presentazione delle portate. In occasione dei grandi banchetti con ospiti illustri, non si badava a spese per rendere la tavola sontuosa e gli chef preparavano divinamente i piatti di portata, presentandoli in forme e modelli che superavano ogni immaginazione, fornendo un impatto visivo e culinario perfetto. «Un piatto deve essere bello da vedere quanto buono da mangiare», precisa Le Zhang, gestore e socio del Bon Wei, raffinato ristorante cinese di Milano, uno dei pochi in Italia a proporre piatti regionali appartenenti alla tradizione, specchio di una cucina che, accantonando i mediocri riadattamenti occidentali, vanta una varietà di gusti, di ricette e di ingredienti unica al mondo. Ma oltre al nutrito menù, alla freschezza delle materie prime e all’alta qualità delle proposte, un altro ottimo motivo per provare il Bon Wei è Qinglong Zhang, maestro decoratore delle pietanze e specialista dell’impiattamento. Nato e cresciuto in Cina, arriva in Italia dopo aver maturato in patria il proprio talento che nasce dalla passione per l’arte e per il disegno (ha frequentato il liceo artistico) e che solo successivamente trasferisce all’ambito gastronomico di cui
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gli interessa in particolare l’aspetto estetico. L’accademia di cucina gli permette di affinare le tecniche, ma l’abilità manuale è una sua risorsa personale che si nutre di creatività ed esperienza e che oggi trova la sua espressione nel realizzare sculture più o meno elaborate, e di varie dimensioni, utilizzate al Bon Wei per accompagnare le portate di carne e di pesce, oltre che alcuni dessert. Con gesti abili e precisissimi e senza alcun disegno di partenza se non quello nella sua mente, Qinglong Zhang scolpisce zucche, patate europee o americane, carote, barbabietole, radici di daikon e ortaggi vari ma anche cocco e ananas per ricavarne fiori, animali, volti, draghi e altre figure della variegata mitologia cinese piuttosto che complesse scenette: ancora ci si ricorda del suo «pescatore sulla roccia» ricavato da una zucca, con tanto di canna, filo da pesca, fiume e pesciolini... E quando uno dei piatti decorati da Qin-
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Sopra, l’aquila su tronco fiorito realizzata in un’ora circa. L’artigiano non parte da un disegno ma si avvale solo dell’immaginazione, la visione del risultato lo guida in tutte le fasi di lavorazione (a fianco).
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Un’altra decorazione: un gallo, creato in un esercizio di creatività giornaliera. Il Bon Wei è a Milano in via Lodovico Castelvetro, 16-18 (telefono 02.341308; www.bon-wei.it).
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glong Zhang arriva in tavola, lo scopo più immediato della cucina cinese è raggiunto: stupire gli ospiti appagando la vista. Ancor di più: iniziarli a un viaggio che non è solo gastronomico ma anche culturale. Infatti, quello che a un occhio occidentale può apparire un semplice decoro, sebbene frutto di un lavoro minuzioso, è in realtà espressione di una civiltà che da millenni accredita enorme importanza alla simbologia, tra le più complesse mai esistite: ancora oggi riveste un ruolo di primo piano tanto nella vita quotidiana quanto nella produzione artistica, che deve essere allusiva, evocare immagini o analogie. Ad esempio, i tagliolini sono lunghi, quindi suggeriscono longevità: possono essere la scelta giusta per un menù di compleanno. I pesci che nuotano in coppia sono di buon auspicio per un felice matrimonio. A questa regola non sfugge neppure la decorazione dei piatti: ogni figura
vegetale intagliata è una metafora. Temi che si ripetono da secoli perché il rispetto per la tradizione è un tratto distintivo di tutta l’arte cinese, che non punta tanto alla creazione del nuovo quanto al perpetuarsi del modello antico e dove il virtuosismo dell’artista ha comunque un ruolo di primo piano. Da sempre, fonti privilegiate d’ispirazione per i maestri decoratori sono la mitologia e soprattutto la natura che per i cinesi è permeata di sacralità, mistero e significati fondamentali per la vita dell’uomo. La gru rappresenta l’immortalità, il crisantemo è simbolo di gaiezza e longevità, il loto di fertilità, il pavone di regalità... Ma talvolta, molto più simpaticamente, le sculture stanno a lì a ricordarti cosa stai mangiando. La simbologia è imprescindibile, ma l’artista attinge ai molti temi disponibili in base al proprio estro, all’occasione e anche alla stagione conferendo alla scultura il proprio stile. Occorre quindi una creatività capace di rinnovarsi senza sosta: ogni giorno Qinglong Zhang si reca al ristorante come un artigiano nel suo atelier e pesca nel proprio immaginario. Sotto i nostri occhi stupefatti, nell’arco di un’ora o poco più, dà vita a un magnifico uccello nell’atto di posarsi su un tronco e a un pavone, intagliando una zucca con il solo ausilio di un coltellino affilatissimo e pochi altri semplici attrezzi. Occhi fissi sulla sua opera, sguardo calmo e concentrato, mani capaci e veloci, piano di lavoro ordinato: l’errore non è ammesso in questa costante ricerca della perfezione. Ma la disciplina non soffoca l’evidente passione, senza la quale nulla sarebbe possibile. L’artista dal cuore artigiano prova amore per la creatura che vuole materializzare. E le dedica tutta la cura necessaria. Una cura che è fondamentale anche al Bon Wei, dove l’ospite viene servito quasi seguendo un antico cerimoniale, in cui la decorazione dei piatti valorizza ulteriormente una delle cucine più rinomate del mondo.
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La scienza in cucina
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bio o non bio questo non è il problema Lo chef è colui che mette in contatto l’io e il mondo. La materia prima è il dato ontologico dell’attività culinaria. Quando lui la seleziona secondo la stagione e la manipola, può così innalzarla a elemento deontologico
Scimmiottando il celebre interrogativo amletico preferiamo, biblicamente, la viva croccantezza della mela la quale, come una porta spazio-tempo, ci conduce nel Pleistocene di tutti gli interrogativi culinari. Qual è, infatti, la prima delle verità culinarie rivelate? E poiché la culinaria, come la geometria, è scienza esatta se condotta con rigore metodologico, ci lasciamo sfuggire anche una certa arroganza legiferante quando affermiamo che l’unica, incontrovertibile verità consiste, ancora una volta, nell’autenticità della materia prima. Dagli utensili fino alla performance culinaria, dagli elementi da manipolare fino alla freschezza mentale dello chef, cibo e manipolazione del cibo non possono prescindere dall’isolare ontologicamente il concetto di materia prima che, come anche quello di numero primo in matematica, è entità unica e indivisibile.
È in questo senso che si dovrebbe parlare di deontologia alimentare, prima ancora di cadere in guerci integralismi, perché sebbene cibarsi sia per tutti noi un’attività intrinsecamente edonistica, va detto che il più delle volte di questa attività si disconosce proprio il suo essere un tramite tra il proprio e il non proprio, l’individuo e il mondo che fagocitiamo quasi sempre in maniera acritica senza riflettere sulle implicazioni delle nostre scelte dimenticando anzi quel tempio che, appunto, per Ippocrate era il corpo umano.
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Quella culinaria, infatti, è la scienza e l’arte della vanitas, ovvero la padronanza di un’abilità tecnica volta ad amministrare la natura tra le soglie ontologiche del fresco e del putrido come in una sorta di partita di tennis giocata in punta di racchetta, proprio sotto la rete. Come esempio, basterà ricordare la frollatura, ovvero una putrefazione disciplinata così come la marinatura, mentre la stessa lievitazione condivide col dominio del marcio i batteri della fermentazione. La materia prima, quindi, è il dato ontologico dell’attività culinaria ma non solo, perché diventa elemento deontologico del soggetto
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cucinante, colui la cui selezione degli elementi del mondo sarà in grado di nobilitare solo quelli meritevoli d’esser cucinati al fine di essere introdotti nel nostro corpo: incorporati.
Molte volte, infatti, dietro al semplice edonismo che si cela nella scelta di alimenti di stagione, notoriamente più intensi in aromaticità e sapore, si nasconde anche una scelta di tipo politico nonché una manifestazione di conoscenza, di eruditismo, perché il cuoco edotto conosce la natura degli alimenti e la loro pertinenza spazio-temporale. Ecco quindi che, come lo sciamano per i nativi americani, la figura dello chef potrebbe essere indagata antropologicamente e, alla luce delle proprie competenze, come colui che, attraverso la narrazione e la manipolazione della materia, riesce a mettere in contatto due agenti della cucina, l’io e il mondo, costituendosi quindi, in tutto e per tutto, come agente e teorico di una reale fenomenologia della percezione.
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Occorre volgere lo sguardo al XIX secolo per rintracciare l’origine della Gebrüder Thonet, fondata dall’ebanista prussiano Michael Thonet e dai suoi cinque figli a Vienna nel 1853. Lì sviluppò l’innovazione industriale che fece del nome Thonet un mito nel settore dell’arredo: la curvatura a vapore del legno, con un processo chimico e meccanico. Iniziò la produzione di mobili in legno curvato che avevano la caratteristica di essere insieme eleganti e razionali. In quel periodo nacquero prodotti come la sedia n°1 progettata per il palazzo Schwarzenberg di Vienna e considerata la sedia tipo Thonet, da cui derivarono moltissimi modelli fino alla n° 14: la Thonet per eccellenza. Nel 1911 il catalogo Gebrüder Thonet contava 980 modelli diversi e, per dare una misura del successo, basta dire che nel 1920 si vendettero 30 milioni si sedie. Pezzi mitici per forma e per qualità di lavorazione, che riescono ancora oggi a emozionare. François Burkhardt, storico del design e profondo conoscitore della Gebrüder Thonet, ne traccia la storia più recente che, ancora una volta, è saldamente proiettata nel futuro Ugo La Pietra
Qui, Arch Coffee Table, design Gruppo Front, 2014. A fianco, Pablo Picasso nel proprio studio a Cannes sulla sua inseparabile sedia a dondolo di Thonet.
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Eccellenze dal mondo
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perfette di Franรงois Burkhardt
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da «thonet 14» di giovanni renzi, silvana editoriale
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il costo delLa celebre sedia numero 14, rimasto invariato per
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Un nuovo capitolo è stato aggiunto, da un anno a questa parte, alla storia della celebre impresa viennese Gebrüder Thonet, un’icona per i mobili in legno di faggio curvato, invenzione brevettata prima della metà del XIX secolo e in seguito copiata e prodotta in tutto il mondo. Con il passaggio della Poltrona Frau dal gruppo italiano Charme, che aveva acquisito l’azienda viennese nel 2001, all’americana Haworth è iniziata una nuova fase per una delle più grandi imprese dell’industrializzazione europea: infatti la vendita della Poltrona Frau alla Haworth non ha incluso la Gebrüder Thonet, innescando un cambio di rotta e permettendo così la sopravvivenza di una delle sue ramificazioni, quella austriaca. Il marchio è ancora una volta emblematicamente messo in evidenza, il contenuto programmatico d’innovazione e di attualizzazione del prodotto sempre più diluito; di fatto, nell’analisi dei passaggi di proprietà che hanno caratterizzato questa impresa, è possibile notare la differenza di approccio rivolto alla ricerca e sviluppo artigianale e industriale della produzione, come era nell’idea del fondatore Thonet, a quello governato da interessi azionistici e finanziari, espressione della politica economica della globalizzazione dei mercati. L’uscita della Gebrüder Thonet dal gruppo Charme non sorprende, in quanto la direzione di Poltrona Frau l’aveva sempre
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considerata come un investimento di prestigio, vista la celebrità del nome Thonet, più che con la volontà di rilanciare un programma di produzione che infatti, malgrado il lancio iniziale di una serie di riedizioni, è stata negli anni sempre più rallentata, con scarsi investimenti in promozione e pubblicità. Gebrüder Thonet era quasi un gruppo nel gruppo, più o meno abbandonato a se stesso: dopo pochi anni dall’acquisizione la fabbrica di Friedberg, in Austria, è stata chiusa e il museo di proprietà della Thonet Vienna, prestigioso visto la rarità dei pezzi esposti, è abbandonato da anni. La conseguenza naturale è stata quindi, nel 2014, la cessione della Gebrüder Thonet Vienna a una nuova società, anch’essa italiana, la Production Furniture International spa (di Brandizzo, vicino a Torino) che sta rilanciando l’azienda con un nuovo marchio: Wiener Gtv Design (Gtv acronimo di Gebrüder Thonet Vienna). Analizzando il programma di produzione impostato dalla nuova società, si notano alcuni cambiamenti di orientamento: le riedizioni, originariamente avviate da Poltrona Frau, sono state in parte riprese; le collezioni Re Classic e Re Master of Vienna, che riguardano la produzione storica, sono state mantenute e saranno sviluppate con la consulenza dell’architetto Giovanni Renzi, uno degli specialisti europei della produzione Thonet, grazie al quale avremo assicurata l’autenticità del prodotto
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da ÂŤthonet 14Âť di giovanni renzi, silvana editoriale
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oltre 50 anni, era equivalente a quello di tre dozzine di uova
A fianco, il caratteristico ricciolo biondo in legno di faggio che ha reso famose le prime sedute Thonet. In alto, 10 variazioni sul tema della n.14, dal 1865 al 1915. Ancora oggi il legno di faggio viene curvato a vapore tramite un processo sia chimico sia meccanico (nella pagina a lato, in basso).
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Picasso e Freud riconoscevano l’esclusività di questi arredi originale. Per quello che riguarda la linea Contemporary, con nuovi prodotti sviluppati da designer contemporanei, Wiener Gtv Design sta valutando la possibilità di riprendere la produzione di alcune serie eccellenti come quella sviluppata da Enzo Mari, con una tecnica innovativa raffinatissima ma costosa, le sedie disegnate da Vico Magistretti e l’ampliamento di una tipologia tradizionale Thonet: la poltroncina a dondolo. Si tratterà di vedere se queste riedizioni rispetteranno la perfezione della produzione a suo tempo curata personalmente dagli stessi Mari e Magistretti. Tra i pezzi oggi in produzione ereditati da Poltrona Frau, ritroviamo quelli di Ernst Beranek e di Hermann Czech, designer viennesi di qualità, e sarebbe auspicabile che la nuova Wiener Gtv Design incaricasse giovani talentuosi designer austriaci, che non mancano, per tentare quello che Poltrona Frau non ha saputo fare: ricucire i rapporti con la capitale austriaca e la sua cultura, la politica e l’economia locale, dopo la delusione dell’operazione che ha visto il trasferimento in Italia di un’azienda profondamente ancorata nell’ambiente locale, azienda che, non va dimenticato, ha scritto un pezzo della gloriosa cultura del Modernismo viennese. Un primo passo in questo senso è stato fatto, con l’apertura di uno spazio espositivo e di vendita nello Stilwerk di Vienna.
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La nuova art direction ha cercato di costruire una squadra di giovani designer per lo sviluppo di una produzione con progetti che sappiano riprendere tecniche e procedimenti del legno curvato a vapore; si legge inoltre l’intenzione di collocare i prodotti in un segmento medio-alto del mercato cercando di mantenere basso il costo di produzione. Mi sembra una buona scelta il coinvolgimento di giovani firme internazionali come lo svedese Charlie Styrbjörn Nilsson, che ha progettato l’originale scala da interni Ladder e il gruppo Front, anch’esso svedese, che ha firmato il nuovo tavolino da caffè Arch; ugualmente interessante è l’incarico al designer britannico Nigel Coates, appartenente alla generazione del design ribelle inglese degli anni 70, che ha progettato la poltroncina Lehnstuhl, molto legata alla tradizione del mobile Thonet, che sicuramente non perderà valore nel tempo. Meno innovativi altri progetti più recenti, come Hold on e Brezel che hanno sviluppato solo marginalmente una ricerca sul legno curvato che invece andrebbe, a mio parere, ripresa ed enfatizzata con nuove tecniche di produzione, come ha dimostrato Enzo Mari nella sua interpretazione di una Thonet rinnovata formalmente e tecnicamente, affinché l’azienda sviluppi la sua strada verso la contemporaneità, appoggiandosi ai pilastri della sua solida e gloriosa tradizione (www.gebruederthonetvienna.com).
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Sotto, dondolo Gtv Schaukelstuhl e Arch Coffe Table. A fianco, la scala per interni Ladder (design Charlie Styrbjörn Nilsson, 2014) e un’altra fase di lavorazione.
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di Isabella Villafranca Soissons*
Sopra, gli interventi di restauro e conservazione presso i laboratori milanesi di Open Care-Servizi per l’arte sulle opere di (da sinistra) Agostino Bonalumi, Alberto Biasi e Anselm Kiefer (www.opencare.it).
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restauro del
nuovo le opere d’arte contemporanea, come quelle classiche, si deteriorano. ecco perché è nata una figura professionale dedita alla loro conservazione *Dirett rice del Dipartimento di restauro e conser vazione Open Care – Ser vizi per l ’arte
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N In alto, da sinistra, il restauro dell’opera di Salvatore Scarpitta Untitled n. 9 (’58), tecnica mista su bende e tela; il laboratorio di restauro e conservazione delle opere polimateriche di Open Care a Milano.
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Negli ultimi decenni è diventato «di gran moda» avvicinarsi all’arte contemporanea, un’appassionante avventura che assomiglia a un Grand tour moderno intrapreso in un mondo globale, affollato, poliedrico e a volte contraddittorio; direttori di musei, curatori, galleristi, collezionisti, artisti, responsabili delle case d’aste non hanno più ruoli precisi ma li scambiano, le professioni si fondono e i loro confini divengono sempre più sfumati. La produzione artistica dei nostri giorni si differenzia in modo sostanziale da quella del passato non solo per la moltitudine dei materiali utilizzati ma, soprattutto, per aver aperto la via a nuove forme di collezionismo, a nuove figure professionali, a diversi rapporti tra gli operatori del settore, a differenti approcci etici e a nuove modalità conservative. L’opera d’arte contemporanea è spesso realizzata per contesti del tutto diversi da quelli museali, con lo scopo di sollecitare nuovi spunti di riflessione, mettere in crisi certezze consolidate, imponendoci di meditare sul concetto di effimero in netta contrapposizione con l’arte antica pensata per essere conservata e tramandata nel tempo. La rottura con il passato avviene dalle Avanguardie artistiche in poi: gli artisti utilizzano nuove forme espressive per rappresentare la realtà storica e tecnologica. Per mettere in atto questo cambiamento si rivolgono a materiali presenti nella vita quotidiana, utilizzando una copiosa varietà di elementi non tradizionali assemblati spesso in modo ardito: contenitori di plastica, lampadine, cemento, sacchi della spazzatura, ma
anche materiali di natura organica (sangue, letame, pelli animali ecc.). L’intento dell’artista non è più rivolto, come in passato, alla scelta di materiali costitutivi durevoli, bensì al concetto che vuole trasmettere e che a volte si traduce proprio nell’implosione dell’opera stessa. Il rinnovamento totale del concetto di opera, la sperimentazione di nuove materie e tecniche, l’introduzione della dimensione dinamica e spazio-temporale, portano alla necessità di sviluppare un differente approccio al restauro; nasce così una nuova figura di restauratore, o meglio conservatore, che si pone nei confronti dell’opera con un approccio multiforme e interlocutorio. Protocolli di restauro consolidati e abilità manuale e tecnica non sono più sufficienti; è necessario essere consapevoli delle sfide poste da nuovi materiali dei quali non si è sempre in grado di prevedere il comportamento futuro. Il caso delle plastiche di sintesi è emblematico: materiali immaginati per durare in eterno pongono problematiche conservative molteplici ed eterogenee, a volte in contrasto tra di loro, in quanto ciò che è raccomandato per alcuni può rivelarsi deleterio per altri. Il conservatore ha il compito di contrastare al meglio i processi di degrado e di controllare l’invecchiamento, documentando sempre e costantemente eventuali alterazioni. Oltre alla pluralità dei materiali utilizzati, sono i diversi linguaggi espressivi a dar forma al pensiero artistico. Molti artisti non presentano più uno statico tema figurativo ma ambienti con i quali intera-
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gire, opere monumentali nelle quali perdersi che modificano la percezione dello spazio e creano un senso di spaesamento; si tratta di opere la cui reinstallazione richiede sovente un ripensamento dell’allestimento oppure un’esecuzione precisa delle istruzioni dell’artista. Il ruolo del conservatore assume in questo caso una nuova e importante valenza in quanto, al fine di preservare i materiali, l’aspetto e il significato, la riproposizione delle installazioni richiede approfondimenti con gli artisti ed esige l’utilizzo di nuovi strumenti di documentazione. Nel restauro delle opere contemporanee, infatti, un lungo e attento periodo di studio dei materiali costitutivi precede la progettazione dell’atto conservativo, che deve sempre tener conto dell’intenzionalità dell’artista; conseguentemente è auspicabile che l’autore rilasci al termine del lavoro compositivo una scheda dettagliata sulle modalità e il grado di intervento consentito. In assenza di un documento
e dell’autore vivente, occorre confrontarsi con le fondazioni d’artista, gli archivi, le gallerie di riferimento. Le indicazioni raccolte spesso si scontrano con le logiche e gli interessi del proprietario desideroso di preservare il bene il più a lungo possibile e nelle migliori condizioni «fisiche»; in una realtà così articolata sono stati coinvolti anche i giuristi che faticano non poco a sancire principi teorici e a tutelare un soggetto piuttosto che un altro. Quella del restauratore oggi è quindi una figura poliedrica e complessa, che deve integrare la propria sensibilità e capacità manuale con le conoscenze tecniche mutuate da vari campi. La conservazione del contemporaneo è il limite massimo a cui si è spinto un mestiere d’arte nobile, che è da sempre primato italiano nel mondo, e che ha dovuto adattarsi alle nuove realtà dell’arte, instabili e in continuo divenire. Un mestiere affascinante, ricco di inedite prospettive e pronto a raccogliere sempre nuove sfide.
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Qui sopra, l’intervento di pulitura a cura degli addetti di Open Care («clinica dell’arte» fondata nel 2003) sull’opera Mercuriale dell’artista Grazia Varisco, oggetto dinamico della fine degli anni 60.
per approfondire
Proprio al tema affascinante del restauro dell’arte contemporanea è dedicato il volume in preparazione In opera. Conservare e restaurare l’arte contemporanea, a cura di Isabella Villafranca Soissons: un progetto editoriale di Fondazione Cologni e Open Care – Servizi per l’arte (Marsilio Editori), nell’ambito della collana «Mestieri d’arte». L’opera si propone di fare un punto importante sullo stato attuale della conservazio-
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ne attraverso il contributo prestigioso di molti studiosi, collezionisti, artisti, curatori di musei e raccolte pubbliche e private. Il libro indaga una nuova declinazione tutta contemporanea del mestiere antico del restauratore: una figura che integra le competenze tradizionali con nuove expertise tecniche, scientifiche e curatoriali. La pubblicazione sarà presentata a maggio 2015, nel contesto della Biennale di Venezia.
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I templi del savoir-faire
Sopra, l’artista tedesco Otto Piene, scomparso nel 2014, nell’Artcampus di Meissen mentre dipinge la porcellana (www.meissen.com). A destra, damina in porcellana nel laboratorio di modellazione della manifattura Nymphenburg (www.nymphenburg.com).
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Agli inizi del ’700, grazie al prodigio compiuto da un chimico e da un alchimista, la Germania scopre la formula della porcellana. Può aver inizio, così, la storia di manifatture divenute leggendarie come Meissen, Nymphenburg e poi Rosenthal
di Francesca Sammartino
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52 La prima azienda venne fondata per volere di Augusto II, re di Polonia ed elettore di Sassonia. Grande collezionista, soffriva di una «maladie de porcelaine», come sosteneva lui stesso
Kao-ling e pai-tun-tzu˘ sono gli elementi che costituiscono, secondo i cinesi, lo «scheletro» e la «carne» della porcellana. Oggi sono comunemente conosciuti come caolino e feldspato, che assieme al quarzo vengono assemblati in un’unione alchemica all’origine della purezza e durezza del cosiddetto «oro bianco», noto in Cina sin dall’epoca T’ang (618-907). Dopo innumerevoli tentativi, nel 1708-1709 in Germania viene compiuto il prodigio a opera di E. W. Von Tschirnhaus, fisico e chimico, e dell’alchimista J. F. Böttger: insieme riescono a riprodurre una porcellana dalle caratteristiche pressoché identiche a quella cinese. Per interessamento di Augusto II detto il Forte, re di Polonia ed elettore di Sassonia, grande collezionista di porcellane e preziosi, nel 1710 viene fondata a Meissen la prima manifattura europea di porcellana dura. Quella di Augusto II non è solo una passione ma una vera ossessione, una «maladie de porcelaine», come lui stesso diceva. Geloso della scoperta, il re non permette che la ricetta venga copiata e fa trasferire la produzione delle porcellane di Meissen nel castello di Albrechtsburg, fortezza inespugnabile vicino a una miniera di caolino. Ben presto tuttavia il segreto viene svelato e fa il giro d’Europa. Si assiste così al sorgere di manifatture storiche di porcellana in centri come Limoges e Sèvres in Francia e Doccia in Italia, complice la ne-
cessaria vicinanza alle cave di caolino, roccia sedimentaria che garantisce la purezza al materiale finito. Nella manifattura di Meissen la produzione plastica è legata al nome degli scultori Kirchner prima, e Kändler poi, ed è segnata dalla realizzazione di centinaia di animali in porcellana a grandezza naturale per il cosiddetto Palazzo giapponese di Dresda. Sotto la guida di Kändler, diventato capo modellatore nel 1733, vengono ideati nuovi motivi decorativi, nuove forme per i servizi di vasellame e piccole sculture con figure orientali, tratte dalla commedia dell’arte o dalla vita quotidiana. Oggi questa meravigliosa raccolta è conservata all’interno delle Collezioni d’arte statali di Dresda (Staatliche Kunstsammlungen Dresden), frutto della metodica attività collezionistica del principe Augusto II il Forte e poi del figlio Augusto III. La Collezione delle porcellane (Porzellansammlung) in particolare vanta pezzi che vanno dal periodo della dinastia cinese dei Ming fino ad arrivare alle porcellane giapponesi Imari e Kakiemon dei primi del XVI e XVII secolo. Con esempi di eccezionale bravura artistica la raccolta mostra anche lo sviluppo della porcellana di Meissen, dalla sua invenzione al tardo ’800. Dal 1962 il museo è ospitato nel complesso dello Zwinger e nel 2010 l’architetto newyorkese Peter Marino ha riallestito gli interni delle due gallerie a volta (Bogengale-
Sopra, a Meissen tutte le porcellane vengono siglate con le famose spade. In alto, tazzina e piatto Landscape Shibori Rosenthal in sottilissima porcellana, frutto della collaborazione con la designer spagnola Patricia Urquiola (www.rosenthal.de). A fianco, dall’alto, da sinistra, una fase di lavorazione della serie limitata «Candelabro Elefante» Meissen disegnato nel 1924 da Max Esser; nell’azienda Nymphenburg l’archivio dei modelli e degli stampi, il forno usato per la cottura delle porcellane e una fase della modellazione.
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rien) e della stanza degli animali (Tiersaal) con un’innovativa soluzione che fonde il suo stile eccentrico e provocatore alla purezza degli oggetti esposti. Ma la Sassonia non è l’unica regione tedesca a disporre del segreto della porcellana. In Baviera, in particolare a Monaco, s’incontra infatti un’altra antichissima produzione: la manifattura di Nymphenburg che ha sede nell’omonimo castello. La sua istituzione risale al 1747 a cura del principe elettore Massimiliano III di Baviera. Nel 1761 avviene il trasferimento della sede nella residenza estiva della famiglia reale Wittelsbach e il cambiamento del nome in Porzellan Manufaktur Nymphenburg. Tra i pezzi simbolo della manifattura e che ancora oggi riscuotono una grande fortuna, da ricordare il teschio della collezione Memento Mori, creata nel 1756 da Ignaz Günther; il rinoceronte Clara, ispirato al primo esemplare giunto in Europa dal Bengala nel 1741; il ricco servizio da tavola in onore di Massimiliano III Giuseppe di Baviera con decorazioni floreali e farfalle. Nel ’900 la casa di porcellane collabora con grandi nomi nel mondo del design e della moda come Wolfgang von Wersin che, negli anni 30, crea la collezione Lotus e poi ancora Christian Lacroix, Elie Saab e Vivienne Westwood. Non meno celebre rispetto a Meissen e Nymphenburg è la casa Rosenthal, fondata nel 1879 da Philipp Rosenthal in Alta Franco-
nia, a Selb. L’azienda è all’inizio specializzata solo nel decoro di porcellana bianca ma ben presto passa alla produzione vera e propria. Nel 1950 il figlio del fondatore, Philip Rosenthal, trasforma l’impresa del padre nella prima azienda di porcellane legata al design e all’arte contemporanea, coniugando tradizione e modernità e chiamando a collaborare celebri artisti come Walter Gropius, Jasper Morrison e Enzo Mari, per la linea Studio-Line, brand autonomo emanazione diretta della nuova tendenza legata all’industrial design. Ma le creazioni di design non sono l’unica cifra caratteristica di Rosenthal. Sin dagli anni 70, molto forte è anche il legame con il mondo dell’arte, con contributi di artisti del calibro di Henry Moore, Lucio Fontana, Salvador Dalì e Andy Warhol, che creano sculture in porcellana in serie limitata e oggetti in vetro e porcellana per la Rosenthal Limited Edition Art Series. Anche il mondo della moda incrocia l’universo Rosenthal: nel 1993 nasce il primo co-branding della storia tra il fashion system e la porcellana. Gianni Versace trasmette nelle creazioni di porcellana i suoi simboli iconici come la testa di Medusa, il motivo a meandro, la ricchezza dei decori barocchi, dei colori e dell’oro zecchino. Dal 2009 lo storico marchio viene assorbito dal gruppo italiano Sambonet Paderno Industrie, che ancora oggi mantiene inalterato lo spirito originario del brand.
Sopra, la tavolozza di colori usati nel laboratorio di pittura della manifattura Nymphenburg. In alto, vasi di design Rosenthal Studio-Line, in porcellana bianca e nera nell’inedita finitura «mat». Da sinistra, vaso nero Phases by Studio Dror, Papyrus by Vittorio Passaro, Plissée by Martin Freyer e, in primo piano, il vaso Surface by Achim Haigis. Nella pagina a fianco, dettaglio della collezione Antemann Dreams della Meissen couture Artcampus.
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55 All’origine della purezza e della durezza di questo materiale c’è un’unione alchemica tra due elementi, caolino e feldspato, conosciuta in Cina all’epoca della dinastia T’ang
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contaminazione e sperimentazione Barbara Abaterusso unisce la delicatezza del ricamo, la cui gestualità è per lei come un mantra, alla forza materica del ferro (sopra). A destra, la designer romana posa di fronte a uno dei suoi pannelli; i suoi mobili e complementi d’arredo sono realizzati in pezzi unici o piccolissime serie, come in una bottega rinascimentale.
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Oggetti con
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la poetica progettuale della designer barbara abaterusso si svela con la ritualitĂ del suo gesto creativo
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Nelle sue note biografiche, Barpre io, perché voglio verificare il bara Abaterusso viene descritta processo e la fattibilità». La recome architetto e designer. Tializzazione del prodotto finito toli che, come spesso avviene viene quindi affidata alle mani esperte dei maestri artigiani da nel panorama contemporaneo, non riescono a cogliere il polielei accuratamente selezionati drico universo che prende fore che collaborano con la sua ma all’incrocio tra arte, design e bottega da anni, in un rapporartigianato. E che rende sempre to di «grandissima familiarità». più difficile identificare, distin«Ciascun mobile viene vestito, accarezzato, levigato con pietre, guere e classificare non solo un «Quando invento una nuova trattato con lacche o con argenprodotto ma anche chi lo realizza. Tant’è vero che la stessa to, oro zecchino e poi rilucidatecnica, i primi pezzi Barbara Abaterusso è ancora to e patinato. Tutto sempre a li faccio sempre io, perché alla ricerca di una definizione mano. La cosa che mi fa essere voglio verificare molto vicina a una bottega del nella quale si riconosca. «Per il ’500 è che io, a dispetto di questi lavoro che faccio, forse la definiil processo e la fattibilità» tempi caratterizzati dalla velozione più giusta sarebbe proprio cità, dalla tecnologia, dall’effiquella della bottega artigiana del ’500: non sono una designer propriamente detta in quanto non cienza, mi trovo a “combattere” con materiali che impongono mi occupo di prodotti industriali; non sono solo un’artigiana i loro tempi. Io invento tecniche mettendo insieme delle lavorazioni tradizionali che rispetto anche nella ritualità». Un po’ perché ci sono un’arte e una spiritualità in quello che faccio, quainventore e un po’ alchimista, soprattutto nell’accostamento di lità che rendono le mie opere diverse da un semplice prodotto «materiali che non vanno d’accordo». Come la ruggine, con artigianale; e infine, penso che quando si parte da un concetto così alto, così spirituale e appagante, si sfocia nell’arte». la quale ricama il ferro in alternativa ai pizzi antichi, molti dei Attingendo dal suo retaggio familiare, che si estende da Venequali vengono dalla collezione che apparteneva a sua nonna. zia al Salento e che affonda le radici nei tessuti, nella sartoria «Il mio lavoro è di inventare, anche in termini di tecniche». teatrale, nei pregevoli merletti e ricami della grande tradizione E ne ha sviluppate moltissime, nel corso degli anni. Quelle popolare, Barbara Abaterusso ha sviluppato una sua poetica sulle quali focalizza la sua produzione sono il legno laccato, progettuale che parte dalla materia e si manifesta attraverso il metallo ricamato, la fusione in bronzo, la ruggine, il legno la ritualità del gesto creativo. «Forse il valore aggiunto che ho bruciato, il legno resina trattato con foglia d’oro o d’argento, dato alla storia della mia famiglia è nell’aver trasformato dei con lacca d’avorio e pizzo antico. Molti gli oggetti che realizza mobili in oggetti quasi religiosi. Perché conservano tutto quel su commissione. «Se devo lavorare per qualcuno non cambio mondo segreto, emozionale e di grande amore tipicamente la mia personalità, ma come un attore devo cercare di entrare femminile». La produzione di mobili e complementi d’arredo il più possibile nell’anima del committente, per capirne le di Barbara Abaterusso è fatta di pezzi unici e di piccolissima sfumature, interpretandone i desideri». serie. Armadi monolitici, pannelli decorativi, troni, tavole, lamNon teme le imitazioni, Barbara Abaterusso. Perché, dice, pade. In ciascun elemento si mescolano e fondono universi «quello che distingue un artista da un artigiano è l’invenzione. femminili e maschili, sia nei materiali sia nelle tecniche. Io ho usato il mondo del tessuto, e in questo non ho inventato Da una parte l’eterea grazia di merletti, pizzi e ricami: «Il ricamo niente. Ma nessuno l’aveva mai usato e visto così. In questo che diventa un atto religioso, perché lo stesso gesto viene ripesenso sicuramente parliamo di arte, e anche di un rilancio forte tuto per ore e ore, come un mantra». Dall’altra la nobile forza dell’artigianato di altassima qualità». Un livello che si può raggiungere solo partendo innanzitutto dai materiali. «Come un del bronzo, del metallo, del legno: «In un equilibrio perfetto buon piatto di cucina: se utilizzi ingredienti di cattiva qualità si ho unito questo immenso patrimonio femminile e maschile, penalizza inevitabilmente la riuscita». In secondo luogo, deve formando un linguaggio nuovo. I ricami di lana, ad esempio, esserci una cura del dettaglio, che per Barbara Abaterusso è sono il femminile che addolcisce la durezza del metallo. Già a importantissima: rifiniture impeccabili, senza però «imitare un livello tattile è una sensazione bellissima: da una parte il metallo oggetto industriale». E soprattutto, l’oggetto deve avere un’anifreddo, dall’altra la lana che lo scalda in rilievo». Barbara Abaterusso «veste» i suoi mobili attraverso un processo che prevede ma. «Perché quello che distingue l’artigianato dall’industria è svariati passaggi, e che comportano dei tempi molto lunghi. l’anima. Un bravo artigiano non fa solo un bel pezzo fatto bene, «Quando invento una nuova tecnica, i primi pezzi li faccio semma deve dargli la vita. In questo risiede il talento».
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un combattimento corpo a corpo con la materia Sopra, una delle lampade di Barbara Abaterusso, creata con pizzo antico in fusione di bronzo. Nei suoi abbinamenti si uniscono, in un equilibrio perfetto, «materiali che non vanno d’accordo». Il suo atelier si trova in via di Monserrato 150 A, Roma (tel. 06.68809713; www.barbaraabaterusso.it).
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Lavorazioni di stile
l’atelier richard orfèvre, guidato dal giovane Jean-Pierre Cottet-Dubreuil, forgia art de vivre tra storia e design
Argento del terzo arrondissement di Parigi, questo atelier, in cui il suono del martello che batte sulla forgia riecheggia da oltre 100 anni, perpetua una tradizione secolare al servizio dell’art de vivre francese. È nel 1910 che Edmond Ricard diventa il titolare della Maison Grandvigne, e orienta l’attività dell’antica manifattura verso la realizzazione artigianale di posate in argento massiccio. Nel 1932 la figlia di Edmond Ricard sposa Marcel Richard: insieme, i due fondano gli Etablissement d’Orfèvrerie Richard. Jacques Richard, figlio di Marcel, prende il posto dei genitori nel 1952; grazie alla sua visione l’attività dell’atelier viene innervata da un impulso nuovo, sviluppando una serie di prodotti d’oreficeria e argenteria legati all’evento della nascita, e iniziando ad accettare anche ordini speciali, per articoli su misura. Sempre seguendo il filo dell’evoluzione costante, a partire dagli anni 70 viene integrata anche un’attività di restauro dei pezzi antichi. Nel 1994 Danielle e Francis Régala, argentieri e grandi artigiani si appassionano alle sorti di questa impresa, detentrice di un patrimonio favoloso di opere e di saper fare. E dopo aver passato dieci anni al loro fianco, apprendendo i segreti del mestiere, Jean-Pierre Cottet-Dubreuil prende le redini di Richard Orfèvre, che nel 2010 è stata insignita della prestigiosa denominazione di «Impresa del patrimonio vivente». «Come esponente della quinta generazione di orafi della Maison», racconta Jean-Pierre, «ho deciso con grande naturalezza di continuare a custodire il nostro saper fare davvero eccezionale, pur afferman-
IL CUORE PREZIOSO DI PARIGI In alto, Jean-Pierre Cottet-Dubreuil, anima artistica e artigianale dell’atelier Richard Orfèvre, storica argenteria nel cuore di Parigi (30 rue des Gravilliers; tel. +33.1.42721305; www.orfevrerie-richard.com). Nel 2014 ha ricevuto il premio «Talent de l’Audace» dal Centre du Luxe et de la Création. Sopra, la scatola Cosmos in argento e galuchat. A lato, il candelabro Versailles, versione attuale di un classico.
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Bertrand Corbara
Richard Orfèvre è uno degli ultimi laboratori di argenteria e oreficeria ancora esistenti nel cuore di Parigi. Una realtà di lunga tradizione e grande eccellenza, che nel novembre del 2014 è stata insignita del Talent du luxe, il premio annualmente assegnato dal Centre du Luxe et de la Création, per la categoria «Audacia». A ritirare il premio è stato il direttore dell’atelier, Jean-Pierre Cottet-Dubreuil. Una ricompensa ampiamente meritata, che ben rende conto dell’attività di questa impresa dove una visione dinamica del futuro procede di pari passo con la trasmissione di un saper fare unico e raffinato. Nascosto in fondo a una corte interna ricca di charme, tra le vie
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Jonathan Paciullo
do la nostra volontà di essere pienamente inscritti nella nostra epoca. Contattando le nuove generazioni di designer e di creativi, abbiamo voluto apportare uno sguardo nuovo su questo mestiere». È dal 2011, in occasione dei 100 anni dalla fondazione dell’atelier, che Richard Orfèvre invita numerosi designer a rivisitare le sue leggendarie creazioni in argento, dando loro un sapore contemporaneo: Serge Bensimon, i 5.5 Designers, Franck Sorbier, Non Sans Raison sono solo alcuni dei nomi che hanno accolto l’invito. Sin dalla sua creazione, Richard Orfèvre utilizza le medesime tecniche per realizzare a mano pezzi che nascono da un saper fare dalle nobili origini, partendo da un lingotto di argento massiccio. Che si tratti della riedizione di posate antiche secondo modelli tratti dagli archivi della Maison, o di creazioni contemporanee immaginate in collaborazione con Ruth Gurvich, il metodo resta lo stesso. Tutto ha inizio dalla forgia, dove il lingotto è riscaldato a fiamma finché acquisisce la malleabilità necessaria alla modellazione della materia. Tocca poi all’argentiere iniziare a lavorare con attenzione alla forgia, utilizzando una tecnica di battitura e, appunto, forgiatura che risale al XVIII secolo. Il lingotto così lavorato è poi depositato tra due matrici in acciaio, incise secondo il modello progettato. La pressa a bilanciere del 1904, antico retaggio addirittura antecedente alla fondazione dell’atelier, esercita sulle matrici una pressione che sale sino alle 140 tonnellate, permet-
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tendo alle decorazioni e alle curve delle posate di comparire. La materia in eccesso viene delicatamente rimossa; entra quindi in gioco il politore, che lucida l’argento sino a farne emergere lo splendore lunare. Il tocco finale è quello del punzone: su ogni pezzo vengono incise le iniziali dell’atelier, la R e la O, avviluppate tra foglie di vite, ideale rimando alla regione della Champagne, luogo di origine di Jean-Pierre Cottet-Dubreuil. Un secondo punzone, quello raffigurante la testa di Minerva, indica che il pezzo è in argento massiccio, realizzato in Francia. Tutte queste tappe compongono un processo irrinunciabile, ereditato dal passato. Jean-Pierre ne è oggi il depositario, e garantisce all’atelier Richard Orfèvre un avvenire luminoso al servizio dei clienti privati ma anche dei professionisti, grazie alle sue magnifiche collezioni classiche e contemporanee.
di Alexandra d ’Arnoux ( t ra d u z i o n e d a l l ’ o r i g i n a l e f ra n c e s e d i A l b e r t o C a v a l l i )
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Kunihiko Moriguchi, maestro della tecnica makinori, prepara il tessuto da tingere con microscopici granelli di amido di riso. Nella pagina a fianco, prove di resa del colore sui tessuti.
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Geometria del
kimono Attraverso complesse intuizioni matematiche, riesce a visualizzare i movimenti del corpo di chi lo indossa. ecco come Kunihiko Moriguchi è diventato Uno dei piÚ autorevoli maestri della tecnica makinori
di Akemi Okumura Roy foto di Kimimasa Naito (traduzione dall’originale inglese di Giovanna Marchello)
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Yuzen, batik, tintura a riserva, stencil, kasuri, jacquard, ricamo sono solo alcune delle tecniche di tessitura e decorazione impiegate nella realizzazione di kimono e obi, i più tipici capi di abbigliamento tradizionali del Giappone. È qui che, nel corso dei secoli, le condizioni climatiche, i cambiamenti storici ma anche le diverse culture locali hanno generato una vasta gamma di mestieri d’arte unici al mondo. Tra queste tecniche, la tintura yuzen è una delle più raffinate e rappresentative del Giappone. Sviluppatasi all’inizio del periodo Edo, nel XVII secolo, presumibilmente scevra da influenze esterne (dalla Corea o dalla Cina, ad esempio), gli storici concordano nell’attribuirne l’invenzione al pittore Yuzensai Miyazaki, originario di Kyoto. Nonostante il progresso, l’industrializzazione e i cambiamenti dei successivi periodi Taisho e Showa, questa antica tecnica artigianale ha continuato a essere tramandata di generazione in generazione. Per realizzare un solo kimono sono necessari più di 20 passaggi, che vanno eseguiti con impeccabile precisione: bozzetto, ricopiatura, delimitazione dei contorni del disegno con la pasta di amido di riso (itome), pittura a pennello, fissaggio col vapore, lavaggio, tintura, stiratura. Il procedimento makinori è il più particolare tra le diverse tecniche yuzen. Per realizzarlo, il tessuto viene spolverizzato di minuscoli granelli di amido di riso, a mano a mano che vengono applicati i colori, ottenendo così un effetto screziato. Uno dei più autorevoli maestri della tecnica makinori è Kunihiko Moriguchi, che opera a Kyoto, designato «Tesoro nazionale vivente» nel 2007.
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per realizzarne uno sono necessari oltre 20 passaggi di impeccabile precisione
Sopra, Moriguchi al lavoro. A lato, «Minori» (Fertilità), kimono ho- mongi realizzato con la tecnica yuzen per la 60a edizione della mostra Japan Traditional Art Crafts Exhibition (2013).
Anche Kako Moriguchi (1909-2008), padre di Kunihiko, fu insignito della stessa onorificenza. Così, anche se solo per un breve periodo, padre e figlio sono stati simultaneamente Tesori nazionali viventi, un fatto senza precedenti nelle arti tradizionali giapponesi. Dopo la laurea in Pittura giapponese conseguita all’università di Kyoto nel 1963, Kunihiko Moriguchi studiò grafica presso l’École nationale supérieure des arts décoratifs a Parigi. Fu un’esperienza preziosa ma breve; Moriguchi tornò a Kyoto nel 1966, per apprendere i segreti della tecnica yuzen da suo padre Kako, e perpetrare la sua arte. Questa scelta di vita fu stimolata dall’incontro di Kunihiko con il pittore francese Balthasar Michel Klossowski de Rola (Balthus). «Sei nato in una famiglia specializzata nella tecnica Yuzen», gli disse il famoso pittore. «Dovresti tornare a casa e continuare il lavoro di tuo padre. Piuttosto che vivere assecondando i tuoi desideri personali, dovresti ricercare il valore della persona nel contesto della storia della tua cultura». Ricorda Moriguchi che le sue parole lo toccarono nel profondo. Nel corso della sua breve esperienza parigina, Moriguchi imparò altre importanti lezioni, come il rispetto dell’originalità. «Originale» è ciò che non è mai stato fatto prima, che viene dall’individuo. Conscio di non poter superare suo padre, decise di creare un proprio stile. E il padre Kako lo incoraggiò. Mentre questi era noto per il tratto fine e marcato, e con la tecnica makinori realizzava splendidi yuzen in motivi di fiori e uccelli, Kunihiko sviluppò uno stile innovativo ed elegante, caratterizzato da disegni geometrici. Nell’affrontare sfide particolar-
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mente complesse gli tornarono utili gli studi di grafica compiuti a Parigi. Mescolando creatività e classicità, Moriguchi ha saputo creare kimono unici al mondo. Attraverso complesse intuizioni matematiche, Kunihiko riesce a visualizzare i movimenti del corpo che indossa il kimono. Un dinamismo che, unito al suo naturale senso dell’eleganza, gli ha consentito di conservare l’arte ereditata dal padre, sviluppandola in una dimensione contemporanea. Nel 2014, il grande magazzino Mitsukoshi ha chiesto a Moriguchi di creare un disegno per celebrare il suo 110° anniversario. Un ritorno alle radici, per Mitsukoshi, che in origine era un negozio specializzato in kimono. Il disegno «Minori» evoca mele mature in un motivo geometrico, ed è stato utilizzato anche sulle borse commemorative del famoso negozio. Le creazioni di Moriguchi rivelano la forza della sua «passione». Il momento che lo entusiasma di più è quando sente che sta nascendo in lui un’idea. «Il mio lavoro si basa sulla creazione di un’illusione», spiega. «Le forme, mutando, possono generare molteplici fenomeni di illusione. La progressiva trasformazione dei miei disegni sul tessuto, ottenuta con la tecnica yuzen, è stata spesso paragonata al lavoro di Mauritz Cornelis Escher. Per me è un onore essere associato a un artista così importante! La differenza fondamentale tra noi sta nel fatto che i miei disegni sono caratterizzati dagli spazi vuoti: il vuoto è molto importante per me. I miei motivi geometrici non vengono da un’unica ispirazione, ma sono il risultato di una selezione che avviene al termine di una
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per creare uno stile diverso dal padre, si è dedicato a eleganti disegni geometrici
In alto, la progettazione di un kimono. A lato, nella tecnica yuzen sono necessari tanti pennelli quanti sono i colori impiegati. La loro misura varia a seconda del disegno.
serie di scelte. La pittura yuzen è una tecnica così complessa che è necessario pianificare ogni passaggio in anticipo; solo così si può procedere senza fallo. Possono volerci da sette a dieci anni per passare dall’idea al disegno. Un tempo eterno. E anche per la produzione ci vogliono dai tre ai quattro mesi». Ciò a cui tiene Moriguchi è far apprezzare la bellezza dello yuzen attraverso il suo lavoro: «È stupendo l’effetto di un kimono yuzen abbinato alla bellezza di un corpo umano. La grazia della scultura classica greca può essere trasposta in una sequenza di movimenti, come in una ripresa a passo uno. Pensate alla danza giapponese, o alle regole della cerimonia del tè: è il disegno del kimono a renderle ancora più belle e aggraziate. Io apprezzo molto la bellezza del corpo umano e la gioia di vivere che si materializzano in un kimono. Che è fatto dalle persone che l’hanno creato, da quanti lo indossano e da chi lo osserva. Un kimono realizzato con la tecnica yuzen incorpora un mondo di bellezza che abbraccia tutti gli uomini». Per Moriguchi, la conservazione del sapere tradizionale è di straordinaria importanza. «Ha a che fare con il ciclo naturale. Tutto ciò che è creato con materiali naturali ritorna alla terra. Non si tratta di riciclo, ma di una cultura che si basa sulla coesistenza con la natura. Una visione che è radicata nelle tecniche artigianali tradizionali: per questo è necessario trasmetterle alle generazioni del futuro. Il sapere artigiano deve essere la fonte di una nuova vita, sin dalla nascita. Alla fine, è l’opera stessa che diventa il messaggio: in questo modo, racconterà la storia della tradizione».
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Ilpoeta del legno
«Quando si sfiora un oggetto, occorre percepirne la seduzione» Pierluigi Ghianda firma mobili e complementi esposti presso i musei più importanti del mondo, realizzati con designer che hanno fatto storia. Dalla selezione dei legni alle fasi di incastro e intarsio, fino alla lucidatura finale, il materiale viene esaltato artigianalmente sino a rivelarne le qualità più preziose. La sua bottega (sopra) si trova d ini via S Desio u s a53 n anBovisio a P Masciago o z z o l(Mb; i tel. 0362.590331; www.pierluigighianda.com).
di Ugo La Pietra
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foto di Emanuele Zamponi
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Pierluigi Ghianda è un maestro del fare, che ha saputo fare bene il suo lavoro di artigiano a fianco di generazioni di designer. Tutti conoscono ormai il suo lungo percorso di artefice della lavorazione del legno e soprattutto la sua capacità di dialogare con i progettisti. Ma esiste ancora il rapporto che si era sviluppato negli anni 50 con i designer? «I progettisti con cui ho lavorato sono quasi diventati cari amici, compagni di strada», ricorda l’ebanista di Bovisio Masciago. «Penso in primo luogo a Frattini: eravamo coetanei e teste dure tutti e due. O ai fratelli Castiglioni, che definire bizzarri è dir poco! E l’elenco potrebbe continuare. Da qualche anno è diverso: la distanza anagrafica ha il suo peso. Il rapporto che si crea rimane nell’ambito professionale: non che non sia stimolante, ma è un’altra cosa». Piero Fornasetti di lui diceva che si definiva un semplice artigiano, ma che se fossimo stati in Giappone sarebbe già stato nominato Tesoro nazionale vivente: i suoi famosi pezzi a incastro sono stati presentati nei musei e nelle collezioni più importanti del mondo, e gli hanno portato i riconoscimenti più ammirati da parte di designer, curatori, clienti, responsabili di Maison di lusso che a lui hanno affidato molte produzioni. Omaggiato nel 2014 a Parigi dal Centre du Luxe et de la Création, che gli ha attribuito il premio Talent du Luxe per la categoria della «Seduzione», Ghianda è da molti definito «il poeta del legno» per la sua eccezionale capacità di conferire un’anima ai suoi oggetti. Ma oggi confessa che ha «un po’ di nostalgia dei tempi in cui gli architetti arrivavano con i disegni o con gli schizzi, come nel caso di Magistretti: si cercava insieme di fare un bel prodotto dialogando e confrontandosi, ciascuno mettendoci del suo». Perché se è vero che i tempi sono molto cambiati, e che ora è tutto più veloce, allora il rischio è che «si ha la pretesa di fare 50 tentativi sperando che qualcosa vada in porto: ma facendo così non si riesce a mettere l’amore e la passione indispensabili per dare un’anima al progetto. Non si può capire l’essenza di un lavoro solo guardando la foto di un campione mandata dal telefonino: gli oggetti vanno presi in mano, i mobili accarezzati e i dettagli meditati. Almeno io la penso così». Domanda. La sua collaborazione con i designer si concretizzava soprattutto con i progettisti che operavano nell’arredamento. Quindi i vostri oggetti erano spesso opere uniche. Come ha vissuto quel periodo che ci ha lasciato opere che sono entrate nella storia del design?
sin da bambino La cultura del fare, e del fare bene, ha sempre ispirato il lavoro di Ghianda, che è entrato in bottega da bambino e ha vissuto da protagonista l’affermarsi del design italiano nel mondo.
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RISPOSTA. Mi ritengo una persona molto fortunata. I rapporti che si creavano con progettisti e clienti sconfinavano spesso nell’amicizia: non sentivo il peso del lavoro, non era faticoso ma divertente. Io continuo ad andare in bottega perché è la cosa più interessante che ho da fare: sono fortunato, appunto perché il mio lavoro è la mia vita. Per un artigiano il pezzo unico è il sale, è il vero lavoro: quando un oggetto diventa di serie, anche limitatissima ma di serie, non è più stimolante. D. Come sta vivendo, invece, questo periodo in cui è stata rimessa al centro nel mondo del design la cultura del fare e l’artigianato artistico? R. La sua domanda mi ricorda il titolo di una mostra che abbiamo fatto in Triennale un paio di anni fa, Fare è pensare. Una frase che può essere presa a emblema del lavoro della bottega: le persone che pensano e progettano poi sono le stesse che realizzano. Più in generale, credo che finalmente ci si stia rendendo conto che la risorsa che abbiamo in Italia è il saper fare, anzi il fare bene: nel nostro Paese la risorsa principale sono sempre state le mani dei nostri artisti e dei nostri artigiani. È una risorsa molto delicata, da proteggere: se tagliamo i ponti con il passato, con le nostre tradizioni, è difficile poi tornare indietro. Una volta che certi saperi si spengono sono persi per sempre. D. Tutto il suo lavoro, ormai storicizzato, sta producendo nelle nuove generazioni stimoli per continuarlo? Ha degli allievi? R. La nostra è una bottega nel senso più classico del termine: quando un artigiano è pienamente formato, di solito verso i 40 anni, gli si affianca un giovane perché impari il mestiere. Noi cerchiamo di andare avanti così... non so fino a quando, ma per citare Via col vento: «Domani è un altro giorno!». D. Quando guardo i suoi oggetti e li tocco riesco a capire che sono usciti dalle sue mani. Qual è, se c’è, il suo segreto? R. Se c’è un segreto è il segreto di Pulcinella! Scherzi a parte, l’unico segreto è che sono ben lavorati. Mi ricordo un episodio dell’infanzia: ero in bottega a levigare un pezzo e, ansioso di andare a giocare a pallone con i miei amici, chiedevo a un nostro artigiano: «Lüisin, al va ben?». E lui mi rispondeva: «Chiudi gli occhi e accarezza: se provi un’emozione (non diceva proprio così, ma insomma...) va bene, altrimenti no!». Non mi piace il ragionamento, molto comune oggi, secondo il quale se va bene all’80% si può spedire; bisogna sempre sforzarsi di raggiungere il 100%. Magari si producono meno pezzi, ma quello che esce dalla bottega deve essere ben fatto!
nemmeno un chiodo A sinistra, il celebre tavolo Kyoto: nemmeno un chiodo viene utilizzato per fissare gli elementi, che si sostengono grazie alla sopraffina esecuzione di 1.705 incastri. A lato, Pierluigi Ghianda.
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Creato
esposto al pubblico una sola volta nel 2012 In queste pagine, illustrazione tratta dal prezioso «Bestiario di Aberdeen» (Scozia), uno dei manoscritti miniati più importanti al mondo, redatto e decorato oltre 900 anni fa: è la straordinaria fonte di ispirazione della collezione «Les Savoirs Enluminés» di Vacheron Constantin, presentata in occasione delle Giornate Europee dei Mestieri d’Arte 2015.
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in miniatura Orologi come parole, quadranti come pergamene. Si ispira al «bestiario di Aberdeen» la collezione Métiers d’Art: «Les Savoirs Enluminés» di vacheron constantin
di Alberto Cavalli
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«Natura dicta eo quod nasci aliquid faciat, gignendi enim et faciendi potens est»: la natura è ciò che fa nascere, che ha il potere di generare e di formare. Così scrive l’anonimo compilatore del Bestiario di Aberdeen, uno dei manoscritti medievali più importanti, antichi e ben conservati al mondo. Vera e propria enciclopedia di scienze naturali, concepita per mettere in relazione il creato con i profondi messaggi morali e spirituali che in esso ha infuso il Creatore, il Bestiario è stato redatto e miniato oltre 900 anni fa. La parola e l’immagine, la sapienza e la suggestione, la tecnica e l’arte: tutto, nel manoscritto miniato, parla di uno splendore che trascende il momento presente per comunicare direttamente con il cuore dell’uomo. Da questa suggestiva prospettiva hanno preso le mosse i designer e i maestri d’arte di Vacheron Constantin, per creare i nuovi orologi della collezione Métiers d’Art: «Les Savoirs Enluminés», ovvero i saperi miniati. I tre modelli automatici, ciascuno dei quali viene riprodotto in soli 20 esemplari, sono certificati dal punzone di Ginevra e verranno presentati in occasione delle Giornate europee dei Mestieri d’Arte 2015. Ognuno di essi racconta una storia preziosa e tecnica: le sue radici affondano nel passato comune di un’Europa in cui la cultura non era solo la parola studiata, ma anche quella vergata a mano e meravigliosamente decorata. Un’Europa in cui, ieri come oggi, il bello è parte integrante del bene. I modelli de «Les Savoirs
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O Ognuno di essi racconta un passato prezioso e tecnico: le sue radici affondano nella storia comune di un’Europa in cui la cultura non era solo la parola studiata
Enluminés» hanno quadranti del tutto originali, che celano complicazioni sviluppate per sfidare le conquiste del tempo. Ognuno di essi richiede un altissimo livello di artigianalità che valica il pur ampio confine dell’alta orologeria, per riscoprire un’arte da sempre legata alla conoscenza, alla trasmissione e alla celebrazione del tempo: la miniatura. Orologi come parole, quadranti come pergamene che custodiscono segreti luminosi e che rivelano il tempo: quello misurabile, naturalmente, ma anche quello necessario per crearli, una fase dopo l’altra, con una cura e una dedizione paragonabili a quelle dei miniatori medievali. Parole e miniature che non meritano più, però, di rimanere inviolati e protetti in una biblioteca, ma che vanno portate al polso come un gioiello che si tramanda, o come un amuleto che costantemente ricordi il valore del tempo. Il tempo della trasmissione: ognuno dei meravigliosi codici miniati realizzati dai monaci medievali era creato da un maestro, assistito da un apprendista. Anzi, i maestri erano almeno due: uno scriba e un miniatore. Parimenti, ogni orologio che esce dalla manifattura Vacheron Constantin è il frutto del lavoro paziente, appassionato e accurato di grandi maestri e di giovani promesse dell’alta orologeria, che li affiancano nei mestieri d’arte e nelle difficili declinazioni della professione di orologiaio. Il tempo dell’innovazione: come ogni manoscritto miniato da un grande maestro intro-
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un mondo in cui il bello è parte integrante del bene In queste pagine, i meravigliosi quadranti della collezione sono frutto del savoir-faire unico dei maestri artigiani di Vacheron Constantin, che fanno rivivere l’arte dei miniatori medievali (www.vacheron-constantin.com).
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duceva caratteri di novità iconografica e iconologica, oltre a sorprendenti trouvailles nei colori, nella tecnica e nelle decorazioni, così anche questa collezione dedicata ai Métiers d’Art presenta alcune caratteristiche concepite appositamente dalla Manifattura. Caratteristiche legate alla preziosità del quadrante, dove la maestria degli artigiani di Vacheron Constantin si fa corale (incisori, smaltatori, decoratori...), ma anche alle innovazioni più propriamente orologiere, come il calibro 1120AT, sviluppato e costruito integralmente all’interno della Manifattura. E il tempo della meditazione: i tre quadranti, infatti, celano gli arcani significati che il Bestiario medievale affidava agli animali, e li attualizzano in chiave contemporanea attraverso la riproduzione delle tre creature selezionate per la collezione. L’alcione, innanzitutto, simbolo di serenità e di prosperità, araldo dell’età dell’oro; è proprio nei momenti in cui il mare è in tempesta, e in cui i venti soffiano più violenti, che l’alcione cova la sua nidiata, dando così prova di una grazia straordinaria e di una temperanza suprema proprio quando gli elementi sono al massimo della violenza. Particolarmente grafica e moderna è la postura della coppia di avvoltoi, simbolo di longevità: era infatti credenza che gli avvoltoi vivessero per oltre 100 anni. La splendida miniatura riprodotta sul quadrante raffigura due avvoltoi simmetricamente disposti, come a ricordare che ciò che rende prezioso il tempo è anche la condivisione.
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L Le opere realizzate dai maestri della Maison riproducono quelle originali dell’antico codice, riprendendone i magnifici colori, le sfumature e gli effetti tridimensionali
E, infine, la capra: simbolo di saggezza, virtù e lungimiranza. Ognuno dei quadranti richiede numerosi passaggi. La parte inferiore è lavorata con la tecnica dell’incisione a champlevé per ricreare, in oro su oro, le lettere calligrafate dallo scriba, e dedicate alla forza propulsiva della natura: un inno costante al rinnovamento, alla vitalità, all’eterno rigenerarsi del mondo. Sul quadrante superiore, decorato in oro volumizzato a mano, le ricche decorazioni sono eseguite con la tecnica dello smalto Grand Feu, che richiede una padronanza del mestiere assolutamente impeccabile. Vere e proprie miniature, le opere realizzate dai maestri di Vacheron Constantin riproducono perfettamente quelle originali dell’antico codice, riprendendone i magnifici colori, le sfumature, gli effetti tridimensionali. E sul lato della cassa viene inciso, sempre in lettere gotiche, il riferimento all’animale riprodotto sul quadrante. Il rotore in oro è decorato con motivo «tapisserie». Sul quadrante, contenuto all’interno di casse in oro da 31,5 x 44,5 mm, sfilano le ore indicate da cifre arabe, e montate su satelliti che scorrono sul quadrante inferiore dei minuti. Parole e immagini, sapienza e competenza, tempo eterno e presente: da Vacheron Constantin la dedizione alla creazione del bello diventa più di un mestiere. Una missione, portata avanti da mani, menti e cuori che, come ricorda il compilatore del Bestiario, permettono al mondo, al mondo che conosciamo e in cui ci riconosciamo, di nascere e di crescere.
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una padronanza del mestiere impeccabile Ognuno dei quadranti richiede numerosi passaggi. La parte inferiore è lavorata con la tecnica dell’incisione a champlevÊ, in oro su oro; sul quadrante superiore, decorato in oro volumizzato a mano, le ricche decorazioni sono eseguite in smalto a grande fuoco.
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di Ali Filippini
VARIAZIONE SUL TEMA In queste pagine, Pet lamp nella scenografica versione a 21 luci, formata da paralumi di diversa misura, adatta per grandi ambienti. Ognuno, realizzato a mano da artigiani è diverso dall’altro (catalandeocon.com).
Questa non è una Alvaro Catalán de Ocón ha ideato paralumi ricavati da bottiglie di plastica. che dalla colombia hanno fatto il giro del mondo
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la cerimonia del tè ha ispirato il paralume un’opera partecipata Qui sopra, le componenti della lampada, ricavata dal riutilizzo di una bottiglia di plastica. Il progetto coinvolge comunità artigiane di Paesi diversi (a lato): dalla Colombia all’Etiopia. Sotto, il designer madrileno Alvaro Catalán de Ocón.
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Alvaro Catalán de Ocón si è formato tra Londra e Milano dove lo incontro, visto che qui si sta preparando al Salone del Mobile 2015 (in coppia con il sodale amico e collega Francesco Faccin). Premiato e rappresentato da musei e gallerie note in tutto il mondo, il designer madrileno ha negli ultimi anni fatto parlare di sé in particolare per un progetto con il quale ha iniziato la sua avventura di designerimprenditore; mixando il lavoro per aziende diverse e una vocazione, possiamo dire innata, per l’autoproduzione. Domanda. Alvaro, cosa c’è dietro al progetto di Pet lamp, la serie di luci ricavate da bottiglie di plastica riciclate e trasformate in lampade sempre diverse? RISPOSTA. È accaduto in Colombia, nel 2011, quando sono stato invitato a prendere parte a un progetto per sensibilizzare la comunità e il governo al difficile problema dello smaltimento delle bottiglie di plastica nell’Amazzonia colombiana. L’anno successivo ho proposto un workshop in collaborazione con Artesanías de Colombia (e il patrocinio di Coca-Cola) e assieme alla comunità di artigiani di Cauca ho iniziato a lavorare su questa idea di riciclo e trasformazione, i cui frutti si sono visti per la prima volta a Milano nel 2013 alla Galleria Rossana Orlandi. L’idea di ricavare lampade mi è venuta guardando il collo della bottiglia, la sua rotondità e trasparenza, mentre l’idea del paralume intrecciato viene da uno strumento usato nella cerimonia del tè e molto
simile a una bottiglia. Un pezzo di bambù sfogliato dal quale ho ricavato la tecnica di ritaglio e intreccio del materiale plastico, unito però ad altre fibre che formano l’abito sempre diverso di ogni lampada. D. Da allora le lampade hanno preso una loro vita autonoma, nel senso che il progetto è stato replicato anche in altri Paesi. R. Esatto. Dall’esperienza colombiana ho compreso il potenziale di questo processo che è al contempo sociale e culturale, ma anche legato alla possibilità di creare una micro-impresa (della collezione fatta in Colombia sono stati venduti 4mila pezzi in due anni) e fare in modo che le comunità locali stesse possano averne dei ricavi. L’artigiano confeziona il paralume mentre nel mio studio di Madrid (impegnato con sette persone al 70% intorno a Pet lamp) la lampada viene completata con la sorgente luminosa, il cavo elettrico, quindi immagazzinata e distribuita. L’artigianato locale non viene apprezzato nei luoghi d’origine, per cui la possibilità di vendere le lampade nel territorio si ridurrebbe a pochi numeri. Una volta assemblato l’oggetto, invece, è messo nel sistema del design e questo fa la differenza. In molti comprano l’oggetto per la sua forma e solo in un secondo momento si rendono conto che all’interno c’è una bottiglia. Colgono a ritroso la storia del mio design che combina un oggetto industriale globale (fatto con un materiale praticamente eterno ma destinato a vita molto breve) e un savoir-faire materico-espressivo portatore
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84 di una cultura, perlopiù tessile, di matrice fortemente locale. D. Come si è evoluto il progetto dal punto di vista della sua fattura? R. Ogni cultura locale interpreta l’idea a suo modo. Dal punto di vista pratico io e i miei collaboratori spieghiamo il metodo e apprendiamo a nostra volta la loro tecnica; questo al fine di ispirarli ma senza mai imporre delle istruzioni precise sul da farsi. Dopo la Colombia abbiamo replicato il progetto in Cile, dove gli artigiani hanno lavorato con il mimbre (vimini) che permette di fare delle forme grandi e leggere, autostrutturali. Successivamente la produzione si è spostata ad Addis Abeba, in Etiopia, dove abbiamo lavorato con una comunità formata da sole donne e con
loro abbiamo modificato ulteriormente l’aspetto delle lampade perché la loro tecnica tessile forma una grande spirale, come nei coperchi che servono per la injera, il loro pane tipico. La bottiglia si taglia ma non si intreccia, quindi, e ciò si è prestato per fare dei paralumi più adatti ai grandi ambienti, in grado quindi di isolare e proteggere un po’ dal punto di vista acustico. In Giappone poi ho trascorso tre settimane a Kyoto, dove siamo stati invitati da una giornalista a lavorare con artigiani che hanno usato il bambù e le lampade esposte alla fondazione 2121 di Tokyo. D. Al Salone dell’anno scorso invece ha spiazzato tutti con un progetto un po’ irriverente. Ce lo racconta? R. La seduta Home/Office interpreta at-
L’intervento del ricamo destabilizza e allo stesso
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traverso un ricamo, eseguito ad arte da una signora di origini bulgare che vive a Madrid, da me scovata, l’iconica sedia degli Eames (Aluminium chair) prodotta in Europa da Vitra. L’idea di partenza è certamente legata come concetto a Pet lamp, ma qui si traduce in un gioco un po’ iconoclasta: ovvero, quella che viene considerata come una poltrona frutto di un processo industriale è a ben vedere un oggetto non meno artigianale nel suo processo produttivo di tanti oggetti fatti a mano. L’intervento del ricamo destabilizza e allo stesso tempo trasforma un oggetto serioso per l’ufficio in qualcosa di più rassicurante che alla fine è piaciuto anche al proprietario della Vitra, tanto che l’ha inclusa nella sua famosa collezione di sedie! D. Come giudica questo ritorno di inte-
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resse al craft da parte dei designer, soprattutto emergenti? R. Oggi, come ieri, è molto difficile accedere all’industria. Direi che la mia generazione ha capito che il tema di fondo è assumere la metodologia del design e applicarla in tutti i campi. Pensa a quel che ha saputo mettere in piedi un designer come Piet Hein Eek, che di fatto oggi ha una sua industria personale. Il craft è alla base dell’industrial design. Quella di Thonet è una storia di industrializzazione di un processo artigianale. Oggi è la produzione che si può adattare a te, combinando un dettaglio eccezionale ai numeri che possono variare a seconda delle tue necessità: dalle poche decine alle centinaia. È un processo interessante ed è il nuovo scenario in cui ci dobbiamo muovere.
tempo trasforma un oggetto serioso per l’ufficio contaminazioni In queste pagine, l’opera Home/Office (2014): sedute create da Alvaro Catalán de Ocón intervenendo molto rispettosamente con un ricamo a piccolo punto eseguito sul telaio della sedia di Eames.
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Maestri contemporanei
Sopra, Terzo Dalia lavora a un motore in miniatura 12 cilindri di una Ferrari 250 degli anni 60 che equipaggiava le spyder California e le berlinette passo corto, comunemente ribattezzate SWB. A fianco, motore 12 cilindri in miniatura di una Ferrari 365 GTB4, detta Daytona, auto presentata a Parigi nel 1968. Per entrambi i motori: tiratura limitata a 99 esemplari; 60x23x26 cm; 9 kg; 15.700 euro circa.
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87 dal 1996 terzo dalia si dedica alla costruzione di modelli di ferrari in scala 1:3. Vere sculture da ammirare e smontare
il motore della mia vita
testo e foto di Susanna Pozzoli
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Maestri contemporanei
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Nel cuore dell’Emilia, tra i vigneti di Lambrusco, nasce la storia di passione e impresa di Terzo Dalia. Adagiato su una dolce collina nel comune di Scandiano, il suo atelier di assemblaggio di motori in miniatura è collocato in una vecchia stalla finemente restaurata, nel complesso agricolo dove risiede. La passione di Terzo per i motori e per il mito Ferrari nasce nell’infanzia: a 15 anni vide sfrecciare una Berlinetta color argento, che accese in lui il desiderio di possederne una. Diventato imprenditore nell’azienda familiare di ceramiche a Sassuolo, ha mantenuto la promessa fatta a se stesso: ha posseduto e guidato con estrema soddisfazione modelli Ferrari di grande prestigio, dalla 250 SWB California alla 275 Spider, dalla 365 BB alla 512 TR. Nel 1996, ceduta l’azienda, si crea l’occasione per realizzare un altro sogno: creare una miniatura perfetta in scala 1:3 di un motore Ferrari storico, rispettando ogni dettaglio e scegliendo i materiali utilizzati nell’originale. Con cura maniacale, un’idea precisa di come voleva risultasse questo «motore-scultura» e un piccolo team riunito ad hoc, Terzo Dalia inizia la creazione del suo primo modello, il motore 250 GT competizione creato negli anni 60 dall’ingegnere meccanico Gioachino Colombo. Domanda. Come nacque la sua prima miniatura, in scala e scomponibile, di un motore Ferrari? RISPOSTA. Avevo da poco cambiato stile di vita, e avendo più tempo a disposizione mi stavo cimentando nello studio del motore 250 GT competizione, 12 cilindri a V. Nel 1997 cadeva il mio 50° compleanno, in concomitanza con il 50° anniversario dalla creazione del marchio Ferrari: un’incredibile coincidenza! Un amico mi segnalò un concorso di modellismo internazionale indetto dalla Casa per i festeggiamenti: motivati da questa prospettiva, assieme a mio figlio riuscimmo a terminare il motore, e con nostra sorpresa vincemmo il primo premio con le speciali congratulazioni di Piero Ferrari. L’avvocato Montezemolo ci fece sapere di volerne uno. Così nacque la nostra attività tra artigianato e modellismo, studio scientifico, meccanica e manualità. D. Perché avete scelto Ferrari e questa scala? R. È la passione per la meccanica che mi ha spinto verso questa sfida e Ferrari da sempre rappresenta la più alta ingegneria del settore. La scala 1:3 è particolarmente complessa: richiede una miniatura di elementi difficili da realizzare e permette un’osservazione attenta di ogni dettaglio. Io poi mi chiamo Terzo: credo che anche questo abbia influito sulla mia scelta! I nostri motori sono così perfetti da rispecchiare l’eccellenza Ferrari, mettendo in risalto la bellezza dei singoli elementi, lucidati e splendenti. Sono sculture, oggetti da osservare con cura, smontare. Veri documenti tecnici, perfettamente conformi agli originali.
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D. Come viene realizzata una miniatura di un motore? R. Occorrono dai 10 ai 12 mesi, necessari per le ricerche tec-
niche, lo studio degli originali, la creazione degli stampi e dei modelli in legno, le prove di assemblaggio... Abbiamo spesso avuto a disposizione direttamente da Ferrari i disegni originali ma nulla può eguagliare lo studio del vero motore, che grazie al sostegno di amici collezionisti abbiamo sempre potuto fare. Questo mi ha permesso di verificare i dettagli, le proporzioni e i materiali man mano che il progetto si evolveva, per non incorrere in errori. Tutti i motori in miniatura, come i corrispettivi Ferrari, nascono da fusioni di alluminio «galsi-9» a terra con formatura a mano. Altre parti sono in acciaio inox ricavate al tornio e in alcuni casi abbiamo realizzato dettagli in ottone e rame. Per i motori più recenti abbiamo collaborato con fonderie che lavorano con fibra di carbonio. Per l’assemblaggio di un motore, interamente realizzato a mano, occorrono circa 30 giorni. Tutti gli elementi sono montati con viti, escludendo l’uso di collanti. Molti modelli hanno il meccanismo interno girevole manualmente, nel giusto ordine di accensione del motore originale. Ogni motore è realizzato in un numero limitato di pezzi, meno di un centinaio. Quando viene terminato l’ultimo multiplo vengono distrutti i calchi e gli utensili. D. In questa lunga fase di realizzazione, qual è il suo ruolo? R. È quello di ideatore, attento e meticoloso osservatore, mediatore e direttore artistico che dall’inizio del progetto alla conclusione verifica ogni dettaglio, ricerca i fornitori per ogni pezzo (se possibile gli stessi che hanno lavorato sul motore Ferrari) e le persone più adatte per risolvere le sfide tecniche che ogni progetto comporta. Non ho la manualità e la capacità di fresare, tornire o saldare, ma come un direttore d’orchestra sono dietro ogni gesto, e seguo personalmente ogni fase del processo. D. Come avete fatto a sviluppare e promuovere la vostra attività? R. Sin dalla creazione del primo modello, la stampa ha dedicato grande attenzione alla nostra realtà: più di 1.500 articoli in tutto il mondo! Inoltre, l’apprezzamento da parte dei clienti è il canale promozionale più importante: si tratta di collezionisti appassionati con cui abbiamo relazioni personali dirette, che spesso ci hanno inviato lettere di stima. Ricevere la prima lettera, scritta dall’avvocato Montezemolo nel 1997, è stata una delle mie più grandi emozioni. Nel tempo, le nostre creazioni continuano a crescere di valore: i pezzi esauriti vengono venduti e acquistati alle aste da collezionisti che arrivano a pagare quattro volte e più il prezzo di vendita iniziale. Infine, il riconoscimento che Ferrari ha dato alla nostra attività ha contribuito a renderci una realtà importante e stimata.
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Sopra, Terzo Dalia con motore in miniatura 128 LM competizione con gruppo trasmissione e differenziale (telaio tipo 525-526; sei esemplari; 133x51- 5x28,5 cm; 23 kg; 29.200 euro circa). A fianco, motore 12 cilindri e cambio in miniatura di una Ferrari ÂŤtelaio-manichinoÂť 250 testa rossa, barchetta sport del 1957 (50 esemplari; 140x50x31 cm; telaio 12 kg; 27.900 euro circa; www.terzodalia.com).
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in prima persona Sopra, un’installazione della mostraTitoletto New territories. Laboratories for design, craft and art in Latin America, * Cristina Castellial è Mad professore ordinario Psicologia del ciclo vita, direttrice (Centro sull’orientamento organizzata museum di NewdiYork nel 2014. Nelladipagina a fianco,del LetCROSS there be Bride,ricerche opera del 2013 di Raùl descolastico Nieves e professionale) e delrealizzata Master “Relazione d’aiuto contestidiversi, di vulnerabilità povertà nazionali edèinternazionali” presso la Facoltà di Scienze con una serie di in materiali applicatiesu un paio di scarpe; stata esposta nel 2014 della Formazione dell’Università del Sacrodedicata Cuore di agli Milano. E’ direttrice della Fabbrica del Talento. nell’ambito della mostra Nyc makers:Cattolica the Mad biennial, artefici contemporanei (www.madmuseum.org).
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Musei da scoprire
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il Museum of arts and design di New York si è consacrato definitivamente come uno dei maggiori centri propulsivi per la fertilizzazione reciproca tra arte e artigianato
Scommessa VINTA
Raul de Nieves
di Alberto Cavalli
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L’edificio progettato da Brad Cloepfil (Allied Works) che ospita il Mad, il Museum of arts and design di New York, è stato inaugurato nel 2008. Ambizioso per superficie e struttura (oltre 5mila metri quadri), avanguardistico per la presenza di moderni laboratori didattici, visionario per la capacità di coniugare design, arte applicata, artigianato e ricerca, il Mad si è presentato sulla scena culturale newyorkese come una scommessa: il vecchio museo di cui prendeva il
posto, infatti, non era mai riuscito ad affermarsi veramente tra le titaniche vette del Met, del Moma, del Guggenheim o del Whitney, e il tema stesso delle sue collezioni (le arti, i mestieri, l’artigianato) sembrava esercitare poco appeal e scarsissimo interesse sui visitatori della Grande mela. La scommessa del board del museo si è invece rivelata vincente. La crisi del 2008 ha riportato fortemente alla ribalta i valori connessi alle arti del fare, alla progettualità dei «makers», alla
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Sopra, Breathe, un’opera in vetro soffiato di Murano, realizzata nel 2014 per la mostra Maryland to Murano. Neckpieces and sculptures by Joyce J. Scott. A fianco, in senso orario: un allestimento dalla Mad biennial; il direttore del museo, Glenn Adamson; la facciata dell’edificio realizzato da Brad Cloepfil su Columbus circle, che ospita il Mad. Sin dalla fondazione, il museo ha esplorato il modo in cui artisti e designer trasformano il mondo intorno a noi.
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Michael Koryta
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93 qui I maestri internazionali della ceramica ripensano la rappresentazione del corpo umano
sperimentazione su forme e materiali tipica della logica del laboratorio: e il Mad, con la sua collezione e con le mostre temporanee via via organizzate, è arrivato proprio nel momento giusto, con un’offerta culturale vivace e per certi versi iconoclasta. Non solo: il museo ha anche giocato un ruolo di rilievo nel catalizzare l’attenzione di artisti sperimentali, artigiani metropolitani, curatori curiosi e maestri nelle discipline tradizionali intorno al rinnovamento del linguaggio formale e concettuale, che le arti applicate stanno attraversando. Tra i settori maggiormente indagati vi è senza dubbio la gioielleria, cui sono state dedicate numerose mostre e parecchi incontri. Il Mad ne ha saggiamente messo in luce sia il rapporto con la moda (per esempio con la recente mostra Fashion jewelry: the collection of Barbara Berger), sia con la creatività contemporanea (con l’annuale appuntamento di Loot: Mad About Jewelry), sia con sperimentazioni su materiali suggestivi o alternativi, quali il vetro muranese (Maryland to Murano. Neckpieces and sculptures by Joyce J. Scott). I maestri della ceramica internazionale sono stati chiamati a rappresentare il cambiamento nella raffigurazione del corpo, attraverso il mezzo straordinariamente espressivo delle terre lavorate, cotte e decorate (Body and soul: new international ceramics), e i laboratori didattici conoscono una programmazione intensa e molto attiva. Con la recente introduzione di Nyc makers: the Mad biennial, mostra dedicata ai creativi della Grande mela che sperimentano forme, materiali e funzionalità attraverso una pratica artigianale del tutto contemporanea, il museo si consacra definitivamente come uno dei centri propulsivi più importanti al mondo, per quanto riguarda la reciproca fertilizzazione tra arte e artigianato. Come ha ricordato il direttore Glenn Adamson, «sin dalla fondazione, il Museum of arts and design ha esplorato il modo in cui artisti e designer trasformano il mondo intorno a noi, usando processi sia tradizionali, sia all’avanguardia. La mostra riflette questa missione attraverso l’intera gamma delle produzioni artigianali, e pone un nuovo paradigma di quella che potremmo chiamare “arte del fare” nel XXI secolo, indicandola come un punto centrale dell’industria creativa».La missione del museo viene portata avanti non solo attraverso le mostre, ma anche grazie al programma di appuntamenti che ne arricchisce l’offerta: il ciclo organizzato nello scorso mese di maggio, e dedicato al ruolo dell’artigianato e della produzione nel contemporaneo design di moda, ha avuto un enorme successo e ha contribuito all’emergere di una consapevolezza più profonda in merito all’identità americana nel mondo del «fashion», non solo nello stile ma
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anche nella manifattura. Le mostre del 2015 vanno nella stessa direzione: un’analisi puntuale delle suggestioni che vengono da parti diverse del mondo, con una forte spinta centripeta su New York e un’indagine costante, mai banale e sempre interlocutoria sul dialogo tra la mente e la mano, tra la visione artistica innovativa e la capacità artigianale legata ai territori. Pathmakers. Women in art, craft and design, midcentury and today, allestita sino al 28 settembre, indaga per esempio la logica, l’estetica e il ruolo delle donne nel delicato intreccio tra creatività e mestiere, tra cultura del progetto e sperimentazione manuale. New territories. Laboratories for design, craft and art in Latin America, che si conclude all’inizio di aprile, è invece partita dal concetto di «nuovi territori» così come sviluppato da Gaetano Pesce per analizzare, in diverse città del continente sudamericano, i risultati del dialogo tra lavorazioni tradizionali e trend contemporanei, proseguendo idealmente un percorso che il Mad aveva iniziato nel 2010 con la mostra The global Africa project. In un dialogo significativo con un sistema museale tra i più potenti al mondo, il Mad ha saputo riportare felicemente sulla scena creativa internazionale un fattore che le rivoluzioni tecnologiche e digitali stanno sempre più rivalutando: il saper fare artigianale come nuova frontiera espressiva, che permette la trasformazione di un progetto in un prodotto e che quindi contribuisce all’espressione culturale, economica e sociale di un tempo e di un luogo.
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di Alberto Cannetta*
NODO d’amore
i cambogiani riscoprono dignità e bellezza grazie a una onlus italiana
Apparire e sparire sembra una peculiarità della Cambogia: area alluvionale ha permesso il fiorire di una lontana civiltà che aprirsi e chiudersi, rimanere per lunghi tempi isolata, per poi superava in splendore ogni altro insediamento umano, ma che esercitare una irresistibile attrazione con i suoi splendori, i il tempo ha poi quasi cancellato. La foresta tropicale fornisce suoi templi, il verde delle sue risaie. Sembra impossibile che pregiate qualità di legname: un patrimonio in parte dilapidato la Cambogia di ieri, distrutta dai bombardamenti americani negli ultimi anni di selvagge esportazioni. Da sempre gli artigiani cambogiani hanno esercitato tutta la loro arte nel lavorare destinati a stanare i Vietcong, impenetrabile covo dei khmer questo splendido materiale che si celava nelle loro foreste e rossi, possa essere oggi il Paese dolcissimo che migliaia di turisti ancora oggi mobili, pareti e decorazioni in legno massiccio sono attraversano incantati dai templi di Angkor, dalla lenta poesia dei suoi fiumi, dalla caotica energia di Phnom Penh, dalle considerati un indispensabile simbolo di benessere nelle case bianche spiagge di Sihanoukville. La storia dell’Impero khmer, delle famiglie benestanti, in Cambogia e nei Paesi circostanti. ancora in parte ammantata di mistero, porta i segni di uno Retaggio del passato splendore è certamente la produzione di splendore scomparso all’improvviso, di secoli in cui la giungla manufatti d’argento. Interi villaggi si tramandano da sempre i si è riappropriata di tutto il lavoro dell’uomo. segreti di questa lavorazione. Questo aprirsi e chiudersi per lunghi periodi Ma il prodotto a cui tradizionalmente la Cambogia è più legata è forse la seta. Qui si è esercisembra aver fermato il tempo e i bassorilievi Sotto, presso la Bottega dell’arte, fondata tata tutta la maestria, la cura, di generazione in dei templi di Angkor raccontano ancora la vita da Il Nodo - Cooperazione generazione, all’interno della famiglia. I mercati delle campagne di oggi, gli stessi usi, costumi, Internazionale Onlus, di tutte le grandi e piccole città espongono sete strumenti, che turismo e civiltà dei consumi molti giovani cambogiani di mille colori, prima attrazione per il turista hanno solo superficialmente intaccato. Come lavorano con passione che vuole portare in patria un ricordo di queil Nilo per l’Egitto, il Tonle Sap che inverte il l’argento, il legno, il tessuto sto Paese. Ma non si può capire il miracolo di suo corso sotto la spinta del Mekong ingrossato secondo tecniche antiche (www.ilnodoonlus.org). quel pezzo di seta che ci fruscia fra le mani se dai monsoni, è la principale fonte di vita per non si conosce l’abilità delle mani che lo hanno la Cambogia. Come il Nilo, questa immensa
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Tradizioni territoriali
creato. Visitare i villaggi dove, sotto le palafitte che isolano le case dall’acqua delle frequenti inondazioni, migliaia di donne, dalle bambine alle anziane, producono con grande talento su rudimentali telai di legno nastri di luce e di colore, è come scoprire la magia di un tempo che non è mai scomparso, che è rimasto nel cuore e nelle mani della gente, scavalcando in un balzo le tragedie recenti, il tentativo del regime khmer di tutto annullare per creare l’uomo nuovo. L’ikat che oggi si produce in pochi villaggi della Cambogia, Indonesia e India era già considerato nel XIX secolo uno dei prodotti tessili più pregiati al mondo. Quando il re di Thailandia si recò in visita negli Usa nel 1856 portò in dono al presidente Franklin Pierce una pezza di raffinato ikat cambogiano. L’arte di tingere il filo con cui si realizzerà poi il disegno sul telaio, è un patrimonio familiare. Nonne, mamme, figlie lavorano alla tintura realizzata manualmente regolando a occhio l’intensità dei colori. Una pezza può richiedere l’impegno di un’intera famiglia per giorni, settimane, mesi. Ogni famiglia ha un suo patrimonio di disegni da conservare e tramandare. I gesti di una ragazza al telaio ricordano la grazia delle Apsaras, le danzatrici celesti, che hanno conservato nel corpo la stessa cultura del movimento e della bellezza esaltata nei bassorilievi di Angkor. Allora come oggi, l’arte con cui il pesce viene messo a seccare, la disposizione dei fiori in elaborate decorazioni, la presentazione della frutta al mercato, il colore dei tessuti che fasciano l’interno dei templi, le canoe che scivolano lungo il fiume, tutto testimonia di una cultura estetica, di una passione per il bello che il lungo isolamento culturale ha contribuito a preservare in un contesto di funzionalità e rispondenza a esigenze reali che in tutti i Paesi vicini, certamente più ricchi e più evoluti, è praticamente scomparsa. Proprio per questo la Cambogia può regalare un’esperienza irripetibile a chi sa scoprire e apprezzare questo patrimonio di cultura e di tradizioni che ci è giunto praticamente intatto da un lontano passato. È lo straordinario paradosso di questo Paese che ha vissuto il più radicale tentativo di distruzione della sua cultura e che, nell’isolamento forzato dalle influenze esterne, ha visto nascere per reazione la volontà,
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il desiderio, di conservare e riscoprire quanto rischiava di andare perduto, di ancorare a quel passato la valorizzazione della propria identità. All’interno di questo processo è nata la nostra Bottega dell’arte di Phnom Penh, dove maestri locali insegnano a giovani usciti da esperienze difficili un mestiere tradizionale come l’arte dell’argento, rivitalizzato e aggiornato alle esigenze del mercato internazionale dal contributo di designer italiani, che offrono il loro tempo e la loro esperienza. Ovunque nel mondo la povertà costringe gli uomini ad abbandonare i lavori del passato, le capacità ereditate, i talenti di cui andavano orgogliosi nella vita del villaggio, per scendere nelle città a mendicare un lavoro in fabbrica attratti dai pochi soldi con cui sarà ricompensata la loro nuova vita da schiavi. È anche una tragedia cambogiana: migliaia di ragazze hanno abbandonato il telaio di famiglia per guadagnare pochi dollari in più nelle garment factory, dove si producono marchi occidentali per imprenditori cinesi. La nostra scuola sta dimostrando che questo percorso può essere interrotto. Che già oggi è possibile produrre meglio e guadagnare di più rimanendo all’interno della propria comunità, non perdendo quella qualità della vita che solo la casa, la famiglia, gli amici possono garantire. Il Nodo nella sua Bottega dell’arte lotta per dare un futuro ai giovani, per ridare loro la soddisfazione di un lavoro fatto con passione, per ricostruire quell’identità positiva che è fondamentale per farne degli uomini responsabili del loro futuro e di quello della loro famiglia, per rivalutare un ruolo, quello dell’artigiano come figura indipendente e creativa che trae dal suo lavoro non solo la gratificazione di uno stipendio dignitoso, ma anche l’orgoglio delle cose ben fatte. Negli anni hanno collaborato al progetto artisti e designer italiani, fra cui Renzo Bighetti, Rossella Tornquist, Denise Bonapace, che per brevi periodi si sono affiancati ai maestri argentieri locali, portando non solo nuove idee, ma un modo nuovo di interpretare le risorse che vengono dal mondo che li circonda. Siamo orgogliosi di poter dire che oggi la nostra onlus ha sotto la sua protezione in Cambogia oltre 2mila tra bambini e giovani: bevono acqua pulita, vanno a scuola, imparano un lavoro. *Fondatore de Il Nodo - Cooperazione Internazionale Onlus
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Mestieri dello spettacolo
la magia da una fabbrica dismessa Nel grande spazio dell’ex insediamento industriale delle acciaierie Ansaldo di via Bergognone 34 a Milano, una fabbrica dismessa ha ripreso miracolosamente vita diventando una vera e propria officina delle meraviglie del Teatro alla Scala. Qui si trovano i laboratori di scenografia, una grande sartoria e un magazzino con quasi 50mila costumi.
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di Angelo Sala foto di Laila Pozzo
Passione per la Scena la scala svelata da uno dei pi첫 importanti scenografi italiani, da sempre in teatro e a lungo responsabile dei laboratori scaligeri che danno vita a stupende ambientazioni sul palco di Angelo Sala
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foto di Laila Pozzo
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Mestieri dello spettacolo
uno straordinario lavoro di squadra Dal laboratorio scenografico, costituito da tre gruppi di lavoro, capeggiati ciascuno da uno scenografo realizzatore, si passa poi alla falegnameria e all’officina meccanica, fino al reparto scultura, attraverso l’attrezzeria e la termoformatura. Uno straordinario lavoro di squadra, interpretato ai piÚ alti livelli dalle maestranze scaligere.
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Non pi첫 sfondi su tela bidimensionali, ma elementi tridimensionali sempre pi첫 cinematografici
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Mestieri dello spettacolo
I miei genitori avrebbero preferito facessi l’architetto. Ma io, fin da ragazzino, mi sono sempre divertito con grandi disegni, con le marionette e i travestimenti, e diventare scenografo è stato quasi naturale. La mia avventura scaligera ebbe inizio dopo una breve esperienza al Piccolo Teatro, come assistente ai costumi per lo spettacolo Barbablù. Allora ero al terzo anno dell’Accademia di Brera e il mio docente di scenografia era l’architetto Tito Varisco, direttore degli allestimenti scenici del Teatro alla Scala, che mi propose di fare un’esperienza nei laboratori del teatro. Nell’ottobre del 1972 ho varcato il piccolo cancello dei laboratori in via Baldinucci 85... Le prime settimane furono una delusione. Il lavoro che mi avevano affidato era ripetitivo e poco artistico: si trattava di incollare grandi foglie di tulle su un fondale. Il mio desiderio di cimentarmi in pitture su grandi fondali non si realizzava e il dubbio di una scelta sbagliata mi assillava. A farmi cambiare idea furono i capi scenografi del laboratorio, che mi diedero fiducia affidandomi lavori sempre più impegnativi e gratificanti. I primi due anni furono faticosi poiché dovevo conciliare la frequentazione dell’Accademia con la presenza in laboratorio che in alcuni giorni si prolungava anche
a dieci ore, ma la nuova esperienza mi aiutò anche in alcune scelte progettuali per gli studi. Nei primi sei anni approfondii alcune tecniche realizzative collaborando con i quattro capi scenografi Gino Romei, Gianni Bellini, Ludovico Sommaruga, Giorgio Cristini, ma anche con scenografi esterni come Arturo Benassi, Ettore Rondelli e Fulvio Lanza. Nel 1978 mi venne affidata per la prima volta la realizzazione di una scenografia, La storia di un soldato, regia, scene e costumi di Dario Fo. L’entusiasmo, unito alla paura di sbagliare, mi elettrizzava e, per i primi giorni, nei miei sogni vedevo elementi della scena che crollavano. Ma nella realtà ciò non avvenne e il maestro Fo, a lavoro ultimato, mi fece i complimenti. In quegli anni, la mia collaborazione con laboratori privati mi arricchì professionalmente e acquisii anche capacità organizzative, dovendo calcolare i tempi, i costi, gli spazi... Nel 1987 divenni capo scenografo e realizzai le scene per il balletto La Sylphide. L’intera scena fu dipinta su tulle. L’apporto che penso di aver portato nel realizzare le scenografie è stato quello di riuscire a reinterpretare il tratto pittorico o proporre superfici materiche molto spesso diverse da artista ad artista. Un esempio è stata la realizzazione
«L’entusiasmo, unito alla paura di sbagliare, mi elettrizzava. nei sogni vedevo elementi di scena che crollavano» del sipario per l’opera Doctor Faustus, scene e regia di Bob Wilson, dove lo stesso Bob si congratulò con me per non aver copiato pedestremente il suo quadro, ma aver interpretato il suo segno, inventandomi gli strumenti per riproporre il segno del pastello, tanto da richiedermi di sviluppare alcune sue opere in grandi dimensioni. Il mio lavoro è stato sempre condiviso con i miei collaboratori e ho cercato sempre di trasmettere alle nuove generazioni la tecnica tradizionale della pittura scenografica, ma anche di adattarla alle nuove esigenze. Non più scene bidimensionali su tela, ma elementi tridimensionali sempre più cinematografici. Con l’avvento della scena costruita anche la professione dello scenografo realizzatore cambia, non solo pittore, ma anche abile tecnico per sviluppare con grandi disegni gli elementi praticabili della scena e facili-
di generazione in generazione Negli spazi dei laboratori della Scala si custodiscono i segreti di un antico sapere e di un antico mestiere, tramandato di generazione in generazione, dal maestro all’apprendista. Un modo tutto italiano di pensare e realizzare la scena che ci assicura da secoli un’eccellenza riconoscibile in qualsiasi palcoscenico del mondo (www.teatroallascala.org).
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Mestieri dello spettacolo
I miei genitori avrebbero preferito facessi l’architetto. Ma io, fin da ragazzino, mi sono sempre divertito con grandi disegni, con le marionette e i travestimenti, e diventare scenografo è stato quasi naturale. La mia avventura scaligera ebbe inizio dopo una breve esperienza al Piccolo Teatro, come assistente ai costumi per lo spettacolo Barbablù. Allora ero al terzo anno dell’Accademia di Brera e il mio docente di scenografia era l’architetto Tito Varisco, direttore degli allestimenti scenici del Teatro alla Scala, che mi propose di fare un’esperienza nei laboratori del teatro. Nell’ottobre del 1972 ho varcato il piccolo cancello dei laboratori in via Baldinucci 85... Le prime settimane furono una delusione. Il lavoro che mi avevano affidato era ripetitivo e poco artistico: si trattava di incollare grandi foglie di tulle su un fondale. Il mio desiderio di cimentarmi in pitture su grandi fondali non si realizzava e il dubbio di una scelta sbagliata mi assillava. A farmi cambiare idea furono i capi scenografi del laboratorio, che mi diedero fiducia affidandomi lavori sempre più impegnativi e gratificanti. I primi due anni furono faticosi poiché dovevo conciliare la frequentazione dell’Accademia con la presenza in laboratorio che in alcuni giorni si prolungava anche
a dieci ore, ma la nuova esperienza mi aiutò anche in alcune scelte progettuali per gli studi. Nei primi sei anni approfondii alcune tecniche realizzative collaborando con i quattro capi scenografi Gino Romei, Gianni Bellini, Ludovico Sommaruga, Giorgio Cristini, ma anche con scenografi esterni come Arturo Benassi, Ettore Rondelli e Fulvio Lanza. Nel 1978 mi venne affidata per la prima volta la realizzazione di una scenografia, La storia di un soldato, regia, scene e costumi di Dario Fo. L’entusiasmo, unito alla paura di sbagliare, mi elettrizzava e, per i primi giorni, nei miei sogni vedevo elementi della scena che crollavano. Ma nella realtà ciò non avvenne e il maestro Fo, a lavoro ultimato, mi fece i complimenti. In quegli anni, la mia collaborazione con laboratori privati mi arricchì professionalmente e acquisii anche capacità organizzative, dovendo calcolare i tempi, i costi, gli spazi... Nel 1987 divenni capo scenografo e realizzai le scene per il balletto La Sylphide. L’intera scena fu dipinta su tulle. L’apporto che penso di aver portato nel realizzare le scenografie è stato quello di riuscire a reinterpretare il tratto pittorico o proporre superfici materiche molto spesso diverse da artista ad artista. Un esempio è stata la realizzazione
«L’entusiasmo, unito alla paura di sbagliare, mi elettrizzava. nei sogni vedevo elementi di scena che crollavano» del sipario per l’opera Doctor Faustus, scene e regia di Bob Wilson, dove lo stesso Bob si congratulò con me per non aver copiato pedestremente il suo quadro, ma aver interpretato il suo segno, inventandomi gli strumenti per riproporre il segno del pastello, tanto da richiedermi di sviluppare alcune sue opere in grandi dimensioni. Il mio lavoro è stato sempre condiviso con i miei collaboratori e ho cercato sempre di trasmettere alle nuove generazioni la tecnica tradizionale della pittura scenografica, ma anche di adattarla alle nuove esigenze. Non più scene bidimensionali su tela, ma elementi tridimensionali sempre più cinematografici. Con l’avvento della scena costruita anche la professione dello scenografo realizzatore cambia, non solo pittore, ma anche abile tecnico per sviluppare con grandi disegni gli elementi praticabili della scena e facili-
di generazione in generazione Negli spazi dei laboratori della Scala si custodiscono i segreti di un antico sapere e di un antico mestiere, tramandato di generazione in generazione, dal maestro all’apprendista. Un modo tutto italiano di pensare e realizzare la scena che ci assicura da secoli un’eccellenza riconoscibile in qualsiasi palcoscenico del mondo (www.teatroallascala.org).
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tare la loro costruzione. Negli anni 60, in una stagione teatrale, si consumavano 5/7 metri cubi di legno e 20/25mila mq di tela, spesso riciclata da vecchi allestimenti; negli anni 80/90, si utilizzavano, invece, 70/100 metri cubi di legno, 2/3 tonnellate di metallo e soli 10mila mq di tela. Numerose sono state le realizzazioni che mi hanno gratificato: La clemenza di Tito, Traviata, La dama di picche (1989), Idomeneo (1990) , Fra diavolo e Lucia di Lammermoor (1991), ma quello che non dimenticherò mai è il riconoscimento della mia professionalità da parte di scenografi famosi: Luciano Damiani, Ezio Frigerio, Franco Zeffirelli, Dante Ferretti, Pierluigi Pier’Alli, Pier Luigi Pizzi, Mauro Carosi. Nel 1992 fui nominato direttore degli allestimenti
scenici, un’esperienza breve ma intensa che mi avvicinò al maestro Riccardo Muti. Ritornato nei laboratori realizzai le scene di Giulietta e Romeo, Flauto magico e Macbeth. Nel 1996 rielaborai i bozzetti di Alessandro Benois e realizzai le scene di Giselle trasformando la pittura con applicazioni per rendere la scena più realistica. Nel 1997 progettai e realizzai le scene per Gioconda, lavoro nel quale confluì tutta la mia esperienza professionale, riuscendo a unire la tradizione pittorica all’elaborazione delle materie. Nel 1998 mi fu dato l’incarico di dirigere il laboratorio che rimase per gli ultimi mesi nella sede storica della Bovisa per passare poi in via Bergognone, ex Ansaldo, dove trovò la più funzionale sede attuale. Gli spazi posti su un unico piano
si triplicano e il posizionamento dei reparti, posti a stretto contatto, semplificano le lavorazioni. Il mio lavoro non fu più operativo, ma amministrativo: non più pennelli e colori, ma lettere, riunioni, relazioni con il personale e acquisti. In quel periodo ritrovai la vena creativa e progettai numerose scenografie per diversi teatri oltre che per la Scala: Ugo conte di Parigi, Il bacio della rosa, Immemoria e vari balletti. L’insegnamento nei corsi di formazione dell’Accademia della Scala mi ha permesso di trasmettere la mia esperienza della tradizione scenografica agli allievi e di contribuire al loro inserimento nel mondo del lavoro. Il desiderio di tramandare ai giovani il mio bagaglio tecnico artistico a fine carriera è ancora vivo e forte più che mai.
dietro le quinte senza segreti
Il Bel Mestiere. Artigiani e maestranze nel teatro d’opera di Clizia Gurrado e Laila Pozzo, è il nuovo volume della Fondazione Cologni nella collana Mestieri d’Arte (Marsilio Editori): un inedito atto d’amore e un tributo ammirato ai maestri artigiani che dietro le quinte costruiscono giorno per giorno con ineguagliata competenza e passione il successo del teatro lirico italiano, da sempre amato e apprezzato in tutto il mondo, vero fiore all’occhiello della nostra tradizione artistica e artigiana. Le autrici accompagnano il lettore in un viaggio esclusivo nel mondo del teatro d’opera, incontrando le principali figure che realizzano lo spettacolo nella sua complessità e ricchezza, passando attraverso un universo multiforme di competenze e talenti, che si incontrano nei diversi
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ambienti e reparti del dietro le quinte: dal laboratorio scenografico alla falegnameria all’officina meccanica; dalla scultura alla termoformatura, dalla sartoria al trucco e parrucco al magazzino costumi, fino all’allestimento scenico vero e proprio. Maestri d’arte e maestranze tecniche uniti con passione e spirito di sacrificio nella magica sinergia che dà vita allo spettacolo, rinnovando ogni sera l’illusione e l’emozione. Una macchina estremamente delicata e complessa, quella teatrale, che nasconde però una perfetta e calibratissima regia in cui tutto trova posto e «funziona», di sera in sera, quasi per incanto. Ma non si tratta di magia, bensì di altissima competenza, passione e dedizione totale, come sottolinea suggestivamente questo racconto a più voci.
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Qui sopra, un particolare del banco di lavoro del laboratorio di Gabriella Gabrini, che si trova in Riviera San Benedetto 134 a Padova. A fianco, Rosa del deserto (smalto su rame, 1997).
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Donatella Rigon
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Te m p ra f e m m i n i l e
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magia cangiante la padovana Gabriella Gabrini è maestra nell’antichissima tecnica dello smalto d’arte a grande fuoco. dalla sostanza dura e vetrosa plasma luminosi oggetti di inimitabile bellezza: piatti, vasi, piastre, ciotole dondolanti, vassoi, bicchieri
Giovanni Umicini
di Mariagabriella Rinaldi
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«Si diventa artigiano onorando costantemente la materia». Così Gabriella Gabrini, maestra padovana dello smalto d’arte a grande fuoco, spiega con semplicità il suo percorso creativo d’eccezione, segnato dalla grande passione per una materia unica, tanto splendida quanto ardua. Gabriella la incontra e se ne innamora subito per sempre quando, figlia d’arte e giovane ceramista diplomata, inizia la sua attività come «garzone di bottega» nell’atelier di Paolo De Poli (1905-1996): dopo le prime esperienze negli studi di Melandri, Melotti e Fornasetti, lavorerà con passione a fianco di De Poli per oltre 20 anni. Al grande artista padovano è infatti unanimemente riconosciuto il recupero dell’arte antichissima e complessa dello smalto a grande fuoco, le cui radici si fanno risalire alla gioielleria egizia. «Se c’è un’arte italiana dello smalto, ciò è dovuto a De Poli», scriveva nel 1956 rendendogli omaggio l’amico Gio Ponti. è questa un’arte difficile, che richiede maestria tecnica. La sostanza dura e vetrosa composta da materiali silicei, alcali e ossidi metallici viene applicata per fusione sugli oggetti di metallo alla temperatura di 950 °C. La forma può essere in rame, ferro, oro, argento, oggi anche in acciaio inossidabile; bisogna tagliarla, batterla, sagomarla, martellarla, per arrivare a quella desiderata lavorando in officina con l’aiuto di cesoie, incudini, martelli, pinze, lime e mole. A tale faticoso processo preliminare segue una prima cottura in forno per bruciare tutte le impurità, poi un’immersione in acido solforico per la detersione. Ha inizio così l’operazione di smaltatura vera e propria con le polveri. Le polveri di smalto, mescolate con
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acqua distillata e gomma adragante, consentono di ottenere un impasto che viene steso delicatamente con un pennello o una spatola sulla superficie metallica da rivestire. Infine, la cottura in forno: qui l’oggetto viene introdotto con lunghe pinze in un supporto in acciaio inossidabile che quasi lo contiene, affinché lo smalto non tocchi le pareti del forno. Si succedono varie cotture, perché gli smalti vanno sovrapposti per ottenere diversi effetti di trasparenza o di opacità se si desidera raggiungere un cromatismo più intenso. La gamma cromatica delle polveri è ricchissima: comprende oltre 400 colori. Lo smalto è luce, ma quanto appare duro e complesso questo lavoro, quasi inadatto a una donna. Eppure nelle mani esperte e sensibilissime di Gabriella Gabrini nasce la magia di oggetti di grande bellezza, spesso ispirati proprio all’universo estetico ed emotivo femminile, come Melagrana e chicchi e Scodella da parto, legate al tema della maternità, o Ninfea e Rosa del deserto, che emanano pura sensualità. Nel suo laboratorio Gabriella continua la lezione del maestro sviluppandola con inesauribile spirito di ricerca su materiali diversi e nella progettazione di oggetti contemporanei, dai mille effetti cromatici, che la luce crea sulle superfici mai uguali: ciotole dondolanti dai bagliori inaspettati, vasi, piastre, piatti, vassoi, bicchieri raffinati, forme traslucide e cangianti oppure rubate alla natura (fiori, foglie, farfalle, uccelli, il mondo del mare e del cielo). Molte le opere legate a Padova e ai suoi tesori d’arte, come la magnifica ciotola in smalto su rame e lamina d’oro ispirata alla Volta celeste della Cappella degli Scrovegni di Giotto, che incanta per la forza con cui la luce riflessa nella superficie me-
Ornella Francu - LUX Toma
ai giovani, il suo pubblico d’elezione, ripete: «Per quanto lontano
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tallica di fondo resta catturata dallo smalto. Il tema religioso è spesso presente nelle numerose opere di arte sacra di grandi dimensioni: tra queste, L’Angelo del Santo, un grande tondo in smalto su rame e marmo rosso di Persia composto da 26 formelle e conservato nella basilica di Sant’Antonio. Accanto alla vena intimista e a quella spirituale, a testimonianza della grande versatilità della sua produzione, troviamo continua la passione per il design, testimoniata anche dai numerosi elementi di arredo e pannelli per mobili, nata durante gli anni di lavoro con De Poli attraverso lo stretto rapporto con alcuni dei più importanti designer, da Ponti a Munari, da Rinaldi a Zanuso. Le creazioni più recenti sono proprio i tavolini in smalto della collezione Bonsai, realizzata con lo studio milanese di Marco Zanuso Jr. Il marchio della sua bottega Smalti d’arte racconta bene il suo mondo e colpisce per l’armonia del sole e della luna stilizzati: è nato da un disegno donato da Gio Ponti, da cui trarrà anche la serie delle Fasi lunari, splendide per l’accostamento tra il blu cobalto e il giallo oro. Negli ultimi anni sta sperimentando una serie di lavori che si avvicinano di più alla scultura,
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privilegiando la forma plastica rispetto al colore: sono più essenziali e lo smalto è usato per evidenziare ancora di più la semplice bellezza della materia. Le sue opere sono continuamente esposte in mostre in Italia e all’estero e fanno parte di molte raccolte pubbliche e private, da Parigi a Lisbona a New York. Moltissimi i riconoscimenti ricevuti, tra cui, nel 2000, l’onorificenza di Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana, concessole dal presidente Ciampi per l’eccellenza nell’artigianato artistico e nella sua difesa e diffusione. Per il valore del suo impegno artistico sarà presente, su iniziativa dall’Associazione veneta antichi mestieri, nel padiglione Italia di Expo 2015 con una serie di smalti ispirati al tema della natura e dell’alimentazione e terrà un seminario sull’arte dello smalto. è orgogliosa di dichiarare che il suo atelier è sempre aperto agli amatori, agli artisti, ai designer, agli architetti, ma soprattutto agli studenti, ai giovani, che sono il suo pubblico di elezione e ai quali non si stanca mai di ripetere una massima del poeta cinese Shi Tao: «Per quanto lontano tu vada, per quanto in alto tu salga, devi iniziare con un semplice passo».
Gabinetto Fotografico dei Musei Civici di Padova
tu vada, per quanto in alto salga, devi iniziare con un semplice passo»
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Sopra, Melagrana e chicchi (smalto su rame, 2010). A fianco, Gabriella Gabrini; L’Angelo del Santo (smalto su rame e marmo rosso di Persia, 1996); SoleLuna (smalto su rame creato nel 1995).
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Uno scorcio della bottega Fratelli Boffi di Lentate sul Seveso (Mb), con le gambe per i tavoli e i piedistalli in legno tornito e rifinito a mano pronti per la lucidatura e per l’assemblaggio. Titoletto in prima persona A fianco,Castelli il comò è (W)hole * Cristina professore ordinario di Psicologia del ciclo di vita, direttrice del CROSS (Centro ricerche sull’orientamento scolastico e di Ferruccio Laviani, professionale) e del Master “Relazione d’aiuto in contesti di vulnerabilità e povertà nazionali ed internazionali” presso la Facoltà di Scienze 2012, rivisita lodella stile Luigi XV. Formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. E’ direttrice della Fabbrica del Talento.
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Il sogno nel
CoMò artigianato e futuro, classicità e ironia. Fratelli Boffi è un’impresa di famiglia, oggi giunta alla terza generazione e guidata dall’architetto Alberto, che spiega come ha saputo evolversi senza tradire il suo Dna
di Simona Cesana
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La piccola-media impresa italiana, anello chiave del tessuto produttivo della nostra industria manifatturiera, è sempre stata apprezzata a livello internazionale per la sua organizzazione flessibile e la sua intrinseca creatività: se questo è vero, in generale, un po’ per tutti i settori, lo è in particolare per il settore dell’arredo ed è elemento chiave del successo delle imprese del mobile e del design italiano. A questo scenario, nel caso dell’impresa di cui raccontiamo qui, si aggiunge il fattore non secondario della sua localizzazione: l’operosa Brianza, il territorio a nord di Milano celebre per le sue piccole imprese ad alto contenuto di saper fare, guidate da imprenditori-artigiani precisi, fantasiosi, grandi lavoratori e disponibili ad accogliere (tra la polvere
Siamo un’impresa familiare ma ci siamo aperti a nuove tecnologie, con l’acquisizione di macchine innovative per la lavorazione del legno e con una continua ricerca nel campo delle finiture
Sopra, la sedia Daina disegnata da Nigel Coates. Fa parte della collezione Animalia, ispirata al design di metà ’900: è fatta in pelle e legno di ziricote, che con le sue venature fa risaltare il complesso lavoro di ebanisteria. A fianco, la cura dei maestri artigiani in ogni fase di lavorazione.
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e il rumore della loro bottega) architetti e progettisti con i quali lavorare per creare nuovi scenari dell’abitare. Fratelli Boffi è un’impresa di famiglia ora guidata (alla terza generazione) dall’architetto Alberto, che ha saputo, come lui stesso ci racconta, evolversi e trasformarsi senza tradire il proprio Dna. Domanda. Quali sono le caratteristiche chiave che possono aiutare a descrivere la vostra tipologia di azienda? «Conduzione familiare», «artigianalità della lavorazione», «mobile classico e in stile» sono concetti che ancora oggi caratterizzano pienamente la vostra attività? RISPOSTA. Sì, tutte queste caratteristiche fanno sempre parte del nostro Dna; con il tempo siamo riusciti a combinare il know-how dell’artigianato a visioni future: il classico viene rivisitato in chiave contemporanea con intrusioni ironiche che ormai ci caratterizzano. Nel contempo ci siamo anche aperti a nuove tecnologie con l’acquisizione di macchine innovative per la lavorazione del legno e con una continua ricerca nel campo delle finiture. Siamo senz’altro un’impresa a conduzione familiare: la nostra storia inizia nel 1928 con Carlo Boffi, che da artigiano si conquista la fama di uno dei migliori intagliatori di sedie; nel dopoguerra i suoi figli hanno avuto l’intuizione di rivolgersi al mercato estero iniziando a lavorare con i department store americani e inglesi uscendo dalla piccola realtà brianzola. D. Quando è stato il periodo di maggiore espansione della vostra azienda? Per alcuni anni i magazzini Harrods di Londra hanno esposto i vostri mobili per interi piani del loro store. C’è ancora collaborazione con questo e altri grandi magazzini internazionali? R. In effetti la maggior espansione è stata negli anni 80-90, quando abbiamo iniziato a collaborare attivamente con i grandi magazzini Harrods a Londra, Lane Crawford a Hong Kong e ancora prima con i magazzini Macy’s e Bloomingdale negli Stati Uniti, collaborazioni che purtroppo ora si sono concluse. Il mondo dell’arredo è cambiato, e oggi lavoriamo con alcuni negozi di grande eccellenza in giro per il mondo e soprattutto con interior decorator e grandi architetti di fama internazionale. D. Una parte significativa della vostra produzione è dedicata al contract. A quali Paesi è principalmente indirizzato il vostro interesse? R. Circa il 70% della nostra produzione è dedicata al contract. La nostra divisione
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Eccellenze dal mondo
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contract collabora, infatti, nello sviluppo e nella creazione di grandi progetti come hotel, case private, ville, residenze o uffici in tutto il mondo, anche con prodotti tailor made. Collaboriamo con importanti architetti e interior designer (per esempio Philippe Starck studio, nda) ma abbiamo saputo percorrere questa strada senza scendere a compromessi di qualità né di stile, questo perché possiamo anche contare su un’esperienza quasi centenaria nel settore. Ultimamente le maggiori realizzazioni contract toccano un po’ tutto il mondo, ma soprattutto Regno Unito, Svizzera, Russia, Grecia, Cina, Germania, Francia. D. In che misura ritenete importante partecipare a manifestazioni, non necessariamente commerciali, del settore design? Penso alla vostra collaborazione con l’architetto Ugo La Pietra nel periodo di «Abitare il tempo», a Verona: è stata un’esperienza isolata o in seguito avete fatto esperienze analoghe? R. La partecipazione a manifestazioni culturali è sempre importante perché contribuisce all’evoluzione della nostra attività sia in termini di riconoscibilità nel nostro settore sia di prestigio in ambito nazionale e internazionale. Importante è stata, e lo è tuttora, la collaborazione con l’architetto Ugo La Pietra per le varie edizioni e mostre culturali realizzate durante «Abitare il tempo» e in altre occasioni, come la recente mostra alla Triennale di Milano. Con La Pietra ci troviamo sempre in sintonia nell’approccio al progetto, oltre ad avere una bella amicizia che dura dai tempi in cui si era tutti un po’ più «giovani». Al di là di manifestazioni culturali, il Salone del mobile rappresenta ogni anno un momento di grande sperimentazione. Negli ultimi anni abbiamo collaborato con importanti nomi tra cui Aldo Cibic, Nigel Coates e Ferruccio Laviani. D. Quando avete iniziato a introdurre il mobile contemporaneo nella vostra produzione?
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Un tempo riproducevano gli stili Luigi XV, Luigi XVI e Impero. Poi hanno perseguito un’evoluzione che partisse dalla loro storia pur rimanendo aperta a contaminazioni attuali R. Agli inizi degli anni 80, dopo aver conosciuto, durante il mio lungo periodo negli Stati Uniti, l’architetto Palatinus e il suo stile post moderno. Fino ad allora la nostra produzione era di tipo tradizionale, classica con riproduzione degli stili Luigi XV, Luigi XVI e Impero. Da lì in poi abbiamo sempre aspirato a un’evoluzione che partisse dal nostro Dna tradizionale e artigianale ma sempre aperta a contaminazioni contemporanee. D. Oggi la vostra produzione è caratterizzata da mobili disegnati da alcune note firme del design contemporaneo, italiano e internazionale, ma allo stesso tempo mantiene un forte rapporto con la tradizione. Come si conciliano questi due aspetti? R. Sì, attualmente lavoriamo molto con i progetti di Nigel Coates, Philippe Bestenheider, Ferruccio Laviani, Aldo Cibic e Piero Manara. Grazie al loro «genio» e alla nostra abilità e manualità nel lavorare il legno, siamo riusciti negli anni a fondere bene le forme e gli stili decorativi del passato (armonici e rassicuranti) con le intrusioni contemporanee.
Qui sopra, divano Collage (Ferruccio Laviani). L’assemblage di tre strutture rende contemporanei tre stili classici: un chesterfield con lavorazione capitonné, un design lineare e una sinuosa chaise longue stile Luigi XV. A lato, la collezione di dime Boffi (www.fratelliboffi.it).
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A scuola di saper fare
grazie a vacheron constantin gli studenti dell’ecal di losanna hanno liberato la loro creatività stando a contatto con 12 artigiani
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«Noi consideriamo l’artigianato come una delle forme esemplari dell’attività umana», scriveva Simone de Beauvoir in L’età forte (1960). Qui all’Ecal (Ecole cantonale d’art de Lausanne) abbiamo sempre considerato questa disciplina come una parte essenziale dei numerosi progetti che realizziamo nell’ambito del design. Una sensibilità che abbiamo particolarmente acuito grazie al sostegno che Vacheron Constantin, che valorizza da sempre gli antichi mestieri, assicura al nostro master in Studi avanzati di design per il lusso e i mestieri d’arte (Mas Dlc). La collaborazione con la Maison ha avuto inizio due anni fa, e da allora ci ha portati a collezionare un successo dopo l’altro. Alla Galérie l’elac (lo spazio espositivo dell’Ecal) abbiamo presentato Arts & Crafts & Design. Il tempo secondo Alessandro Mendini e i suoi artigiani, insieme alla Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte. Ogni anno, inoltre, gli studenti del master hanno anche la possibilità di avvicinarsi al saper fare dei grandi artigiani che lavorano da Vacheron Constantin. In occasione della cerimonia di consegna dei diplomi la Manifattura assegna un premio speciale, e insieme realizziamo progetti speciali: al Salone internazionale dell’alta orologeria del 2014 abbiamo per esempio presentato un’installazione onirica ispirata al calibro 1731, realizzata dagli studenti di Media & Interaction Design e da quelli di Design industriale. E la nostra collaborazione si sviluppa ulteriormente grazie a una dimensione che permette di affiancare artigianato e design, per una mostra eccezionale che verrà ospitata nel salone vip del Padiglione svizzero dell’Expo di Milano. Nel corso di un workshop semestrale diretto dai designer italiani di Formafantasma, infatti, 12 studenti internazionali del Mas Dlc hanno lavorato sulla tematica del ciclo delle stagioni e ognuno di essi è stato associato a un artigiano. Siamo dunque giunti ad avere tre progetti per ogni stagione, presentati nel capoluogo lombardo grazie a un allestimento che prevede quattro diverse basi di sostegno. I visitatori potranno scoprire i mobili realizzati da un creatore di automi; una borsa da pic-nic fabbricata da un sellaio; il vaso di un soffiatore di vetro; uno specchio colato in una fonderia di alluminio; una lampada costruita da un marmista; un’ascia e dei coltelli sviluppati da un esperto in fibra di carbonio; un’opera assemblata da un maestro vetraio; dei piatti concepiti con un ceramista; ventagli prodotti con una specialista di carta intagliata; dei piatti intarsiati; un macinacaffè elaborato con uno scultore che lavora la pietra; e infine un carillon eseguito con l’aiuto di un liutaio. I nostri studenti hanno potuto scoprire mestieri formidabili, spesso desueti. Mentre in un momento in cui tutto sembra industrializzabile, questo progetto dimostra come l’artigianato permetta ai giovani designer di liberare il meglio della loro creatività.
di Alexis Georgacopoulos ( t ra d u z i o n e d a l l ’ o r i g i n a l e f ra n c e s e d i A l b e r t o C a v a l l i )
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forte una sfida contro la nostalgia
Quando ci è stato chiesto da Nicolas Le Moigne di tenere un workshop presso Ecal, in collaborazione con Vacheron Constantin, abbiamo subito accettato: il progetto prometteva di essere sfidante, ma anche motivante per gli studenti. L’idea di avere 12 studenti del master associati ad altrettanti artigiani locali è una straordinaria opportunità educativa. Come abbiamo sperimentato nel nostro lavoro, il design è una disciplina che dà il suo meglio quando si basa sulla collaborazione. Lo scopo del workshop era quello di guidare gli studenti a generare idee grazie alla ricerca e a una profonda comprensione delle qualità, della tradizione e della relazione con il territorio, tipiche di ogni mestiere. In questo senso la sfida, come mentori, è stata quella di spingere gli studenti a evitare la nostalgia e a utilizzare il design come uno strumento pragmatico per rivelare l’attualità del mestiere. Quello che Ecal ha offerto a noi tutti è una grande piattaforma in cui il design non è stato discusso solo a livello accademico, ma in un contesto. Come nel nostro lavoro, ci piace quando le idee sono sviluppate attraverso la sperimentazione diretta di materiali e processi produttivi. Un aspetto che abbiamo apprezzato di questa esperienza è che abbiamo avuto totale libertà nel lavoro con gli studenti e con il tempo ci siamo sentiti più come se stessimo lavorando in studio o in un collettivo di design, che in un contesto scolastico.
Simone Farresin e Andrea Trimarchi (Studio Formantasma)
fra tradizione e contemporaneità A fianco, sotto la guida dei designer di Formafantasma, gli studenti dell’Ecal di Losanna hanno posto in dialogo la loro visione creativa con l’alta manualità di 12 artigiani svizzeri. Sopra, la borsa da pic-nic fabbricata da un sellaio (www.ecal.ch).
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Ri-sguardo
e 15 anni fa la voce più potente era quella di design e industrializzazione, oggi gli atelier tornano al centro. E il saper fare apre al futuro senza perdere nulla del passato
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Il bello, il buono, l’etico, il ben fatto: parole che definiscono un paradigma in costante mutamento. Perché se è vero che la bellezza è eterna, è anche vero che la produzione di questa bellezza, il suo inveramento nel tempo storico che stiamo vivendo, necessita di essere nutrita dall’innovazione, dal cambiamento, dall’interpretazione di uno Zeitgeist proteiforme. E per quanto possa sembrare a prima vista sorprendente, l’intera categoria dell’artigianato artistico è particolarmente toccata dalla possibilità, se non addirittura dalla necessità di cambiamento ed evoluzione. Il gesto della mano resta chiaro e insostituibile; gli elementi primari della produzione di alto livello permangono, identificativi di una storia e di radici profonde; ma la tecnologia è chiamata a espandere le possibilità dell’artigiano, a migliorarne la progettualità e ad affinarne l’atto creativo. La vera innovazione non si risolve nella digitalizzazione: avviene anche quando l’invenzione può essere prodotta e soddisfa (o crea nuovi) criteri di stile, di funzionalità, di costi, di mercato, di gusto, di valori etici, formali e sostanziali. Il dialogo fra innovazione formale e lin-
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guaggi antichi è ormai avvertibile, pur se con modalità diverse, in tutti i Paesi del mondo. Se 15 anni fa la voce più potente era quella del design, dell’industrializzazione, del fast, oggi l’armonia è meglio proporzionata: l’artefice e il progettista si confrontano senza soggezioni, lo slow diventa sinonimo di qualità, e gli atelier tornano al centro dell’attenzione. Offrendo opportunità occupazionali inedite, anche grazie al rinnovato interesse delle giovani generazioni per la figura del «maker»: versione internazionale dell’homo faber, che alla fabbricazione del destino aggiunge quella di un prodotto che riveli la sua visione e la sua identità. Fattori economici, funzionali, formali, istituzionali contribuiscono all’ideazione di un prodotto che sia espressione di un territorio e di un tempo: e il maestro d’arte, che sia in Italia, negli Stati Uniti, in Giappone o altrove, risulta essere il traduttore di questa idea attraverso un qualificato e specifico savoir-faire. Perché l’innovazione nasce anche dalla capacità di interpretare un progetto, di trasformarlo in oggetti contemporanei, di trovare nuove soluzioni a problemi antichi. E vi è anche un altro sinonimo di innovazione: è la collaborazione. È il «fare rete», che ormai sviluppa i suoi nodi non più solo da un atelier all’altro, ma da un continente all’altro. I nuovi artigiani, i maestri di oggi e di domani, sanno che solo dal dialogo può nascere qualcosa di nuovo, di bello, di duraturo. Anche se parlano lingue diverse, sanno che il mezzo espressivo che padroneggiano, il saper fare, è il luogo di incontro tra culture differenti, che apre al futuro senza nulla perdere del passato. Questo è lo spirito della bottega rinascimentale 2.0: la circolazione di culture, il pensiero per analogie unito al sapere e al saper fare. Questi sono gli elementi che strutturano le logiche di innovazione delle imprese di successo: elementi che nei laboratori artigiani devono trovare, oggi più che mai, il luogo ideale per sperimentarsi e crescere.
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La lunga, fantastica avventura delle Esposizioni Universali da Londra 1851 a Milano 2015
La beLLezza ai confini deLL'infinitamente piccoLo Fin dagli albori dell'orologeria si realizzano incisioni sulle casse, sui quadranti e persino sui più piccoli componenti dei movimenti degli orologi. Oggi Vacheron Constantin perpetua questa tradizione offrendo agli incisori degli eccezionali spazi d'espressione.
www.vacheron-constantin.com - www.thehourlounge.com
L'incisore riproduce degli elementi decorativi sul materiale del movimento o su dei componenti della cassa, incidendoli con grande precisione. Questo lavoro di "scultura in miniatura" realizzato a mano richiede sensibilità artistica ed estetica e un'eccezionale abilità manuale.
Paolo Colombo
Métiers d'Art - Mécaniques Ajourées Calibro 4400SQ
Le Esposizioni Universali I mestieri d’arte sulla scena del mondo (1851-2010) 336 pagine con 180 illustrazioni a colori, 40 euro
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MESTIERI D’ARTE & design Poste Italiane S.p.A-Sped. In Abb.Post.- D.L353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art.1,comma 1 DCB Milano - Aut.Trib. di Milano n.505 del 10/09/2001 - Supplemento di Arbiter N. 145/I
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Mestieri dArte Design precisione
Un manoscritto medievale ispira Vacheron Constantin
forma
Thonet, le curve perfette preferite da Picasso
eleganza
Miniere d’oro bianco nei templi della porcellana tedesca
restauro
Non solo le opere antiche ma anche quelle contemporanee hanno bisogno di mani esperte che mantengano inalterato il loro valore nel tempo. Come avviene nei laboratori milanesi di Open Care
creatività
La matematica può svelare la geometria del kimono
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