Mestieri d'arte n°6

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MESTIERI D’ARTE & DESIGN Poste Italiane S.p.A-Sped. In Abb.Post.- D.L353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art.1,comma 1 DCB Milano - Aut.Trib. di Milano n.505 del 10/09/2001 - Supplemento al N. 117 di Monsieur

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Mestieri dArte Design

MUSICA

Costruttori di armonie, la vocazione di Vacheron Constantin

PENSIERO

L’ultima poesia di alta architettura firmata Gae Aulenti

MATERIA

Scolpire la luce e plasmare nel fuoco l’anima del cristallo

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Editoriale

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DAL LABORATORIO AL MONDO L’ATELIER D’IMPRESA Valori condivisi in una rivista che diventa internazionale per esportare la cultura del saper fare. Partendo dall’apprendistato Valori condivisi. Partiamo da qui, da quel piccolo mondo antico che è patrimonio di conoscenza, di testa, mani e cuore, da quel laboratorio di saggezza e bellezza che è il mestiere d’arte. Un dogma che professiamo in maniera forte e chiara da cinque semestri, ma che in realtà appartiene al nostro acido desossiribonucleico, alla nostra mente, al nostro spirito. Di questo abbiamo parlato lo scorso 6 novembre a Firenze, nella cornice unica del Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio. Ambito «Florens 2012», convegno su Mestieri d’Arte, la nostra rivista. Lo sforzo che unisce Swan Group e Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte. La scelta editoriale di promuovere l’arte del saper fare e... il far sapere. Perché non c’è prodotto senza comunicazione. Soprattutto quando si parla di oggetti che, per quanto preziosi, esprimono una cultura d’impresa non seriale.

zione e riscopre la bellezza. Quella bellezza che spesso è proprio negli occhi di chi guarda. Botteghe e artigiani sono parole che suonano poesia. In questo il concetto di laboratorio deve essere trasmutato in un nuovo credo: l’atelier d’impresa, che tutto racchiude. L’asse strategico resta immutato e si fonda sulla rivalutazione dei valori simbolici plasmandoli alla concretezza. Creatività, design, maestranze qualificate, esperimento, perfezione. Fare giornali vuol dire comunicare, portare un’idea da A a B. Non sempre le buone intenzioni consentono il collegamento tra i due punti o la percezione dei contenuti. Invece Mestieri d’Arte, nel suo piccolo, è riuscito nell’intento. Finendo con l’essere apprezzato non solo dagli addetti ai lavori, dai lettori più attenti, ma soprattutto da chi all’estero conosce bene il valore di quanto andiamo raccontando. Nasce da qui un nuovo capitolo della nostra storia. Perché l’edizione che vi apprestate a leggere (non a sfogliare) viaggerà parallelamente nel mondo, in lingua inglese s’intende, grazie a un accordo strategico per l’edizione internazionale con Vacheron Constantin, senza mutarne i contenuti. La Maison di Ginevra che dal 1755 fa della propria isola una fortezza granitica di manifattura sosterrà il patronage di Mestieri d’Arte nella nuova declinazione Arts & Crafts & Design. Ecco un’altra dimostrazione di come l’ingegno italiano attecchisce ovunque ci sia sensibilità, una conferma della lungimiranza di Franco Cologni e della qualità di ogni creazione di Franz Botré.

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Facile a dirsi, meno a realizzarsi. E qui torniamo al messaggio che questa rivista sostiene in maniera accorata. L’Italia, terra di tradizioni, ha sbagliato praticamente tutto. Non negli ultimi anni, ma dal dopoguerra in poi. Ovunque, altrove nel mondo, si difendevano le eccellenze, facendo sistema, tenendo in vita una filiera che partiva dall’apprendistato e arrivava alla produzione, fino al commercio. Qui, invece, hanno resistito solo pochi magnifici solisti. Nell’omologazione del pensiero dominante è passato il concetto post sessantottardo del diritto allo studio e non del dovere studiare, del 18 politico nelle università. Chi lavorava a bottega (che bella parola!) era etichettato come un poveretto: non voleva studiare, è andato a lavorare. Come se la grandezza del made in Italy (quello vero) non l’avessero fatta arti e mestieri. Come se i nostri atenei sfornassero posti di lavoro invece che disoccupati. E allora ripartiamo dal nostro heritage. Dalla manualità, certo. Ma nella chiave di un artigiano contemporaneo che interseca la proprie capacità con il complesso universo del design. Riapriamo i nostri laboratori facendo entrare nuova luce. Non è un manifesto culturale fine a se stesso, un proclama. È un’esigenza dell’individuo che non subisce la massifica-

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Un’ultima nota che combatte contro il rischio della retorica. Troverete un intervento a firma Gae Aulenti. Il suo contributo entrava in pagina quando la signora dell’architettura affrontava il Grande mistero. Lo abbiamo lasciato integrale, scritto in prima persona, senza aggiunte né distici. Una forma di rispetto che esalta, una volta di più, la grandezza di questa straordinaria interprete della creatività, della regola e della «fattibilità» di progetti ambiziosi. Una signora a cui diciamo solo grazie. Che la terra le sia lieve.

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Editoriale DAL LABORATORIO AL MONDO di Gianluca Tenti

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Botteghe Libri Premi Iniziative Fiere Mostre ALBUM di Stefania Montani Imprese 90 ANNI PER IL DESIGN di Matteo Vercelloni

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Difendere le radici IL MESTIERE È FLORENS di Marco Gemelli

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Creare valore SEMBRANO FACILI di Ugo La Pietra

54 In copertina: immagine tratta dalla mostra Costruttori di Armonie Emanuele Zamponi

Pensiero storico PALAZZO BRANCIFORTE di Gae Aulenti

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Mecenatismo LA MEMORIA E IL FUTURO di Alberto Cavalli

Maestri del design L’AUTO di Mario Favilla e Aldo Agnelli Imprese e talento QUEL VEZZO CHE FA CHIC di Karine Vergniol Tesori viventi DIVINA PASSIONE di Susanna Pozzoli Educare al futuro UNA SCUOLA UN LAVORO di Mariapia Garavaglia

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Restauro MAGNIFICO OPIFICIO di Alessandra de Nitto

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Musei TESORI RIVELATI di Akemi Okumura Roy

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Manualità PIZZI UNICI di Paolo Coretti

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Imprese SCOLPITI NELLA LUCE di Federica Cavriana

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Sapori e saperi DOLCE DECORARE di Susanna Ardigò

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Progetti d’autore IL TEMPO FATTO A MANO di Alberto Cavalli

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Lavorazioni di stile ORO ROSSO di Albert Vanderbilt

Riti natalizi europei DOLCE NATALE di Alessandra Meldolesi Mestieri dello spettacolo CHIAMATELO MAGO di Giovanna Marchello

Ambiente e paesaggio IL SENSO DI ENEA di Paolo Dalla Sega Maestri DESIGN ECLETTICO di Ugo La Pietra

Opinioni 14

Fatto ad Arte di Ugo La Pietra DIFENDERE I SAPORI DELL’ITALIA

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Dal territorio di Giampiero Maracchi DEFINIRE UN FUTURO TRA SCUOLE E MERCATI

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Preparare all’eccellenza di Jean-Michel Delisle FUTURO LEGATO ALLA FORMAZIONE L’ESEMPIO FRANCESE Ri-sguardo di Franco Cologni PLATONE, HEGEL E I VERI MAESTRI D’ARTE

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Collaboratori

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GAE AULENTI

Dopo essersi occupata della comunicazione per grandi brand del lusso, lascia Tokyo e il natio Giappone per seguire a Londra il marito, fotografo inglese. Lavora ora come corrispondente per numerosi media nipponici.

È stata una delle più grandi e celebrate protagoniste dell’architettura e del design a livello internazionale. Tra le sue più note realizzazioni il Musée d’Orsay a Parigi, la ristrutturazione di Palazzo Grassi a Venezia, il Museo d’Arte Catalana a Barcellona. Innumerevoli i riconoscimenti, fra cui la Medaglia d’Oro alla Carriera.

MARIO FAVILLA

KARINE VERGNIOL

Designer in Alfa Romeo dagli anni 60, ha partecipato ai più importanti progetti e lavorato alla ridefinizione della filosofia estetica della Casa nei suoi anni ruggenti. Divenuto Direttore advanced design, l’ha lasciata nel 2004. Oggi coordina il Master in Transportation & Automobile design al Politecnico di Milano.

Lavora dal 1999 presso l’emittente francese Bfm Radio, divenuta recentemente Bfm Business. È direttrice e presentatrice della trasmissione «Goûts de luxe».

MATTEO VERCELLONI

ALESSANDRA MELDOLESI

È nato a Milano, dove vive e lavora come architetto, oltre a svolgere l’attività di progettazione a scala architettonica, territoriale, nel campo del retail e dell’oggetto d’uso. Ha collaborato, fra l’altro, con «Casa Vogue», «Interni», «Costruire», «Abitare», «Domus». Dal 2000 è consulente editoriale per «Interni».

Dopo gli studi universitari ha conosciuto il coup de feu e il coup de foudre dell’alta cucina dietro i fourneaux di Parigi. Oggi è appassionata food writer che miscela saperi e sapori, giornalista e traduttrice specializzata, con un vero debole per la cucina d’avanguardia.

JEAN-MICHEL DELISLE

GIOVANNA MARCHELLO

Ingegnere, dirige da 30 anni un’azienda centenaria specializzata in illuminazione d’eccellenza. È membro del Comité Colbert et Entreprise du Patrimoine Vivant. Oggi è presidente dell’Istituto nazionale dei mestieri d’arte e membro della Camera di commercio di Parigi.

Cresciuta in un ambiente internazionale tra il Giappone, la Finlandia e l’Italia, appassionata di letteratura inglese, vive e lavora a Milano dove si occupa da 20 anni di moda ed è specializzata in licenze.

PAOLO DALLA SEGA

SUSANNA POZZOLI

Trentino, vive e lavora a Milano. È curatore di numerosi avvenimenti sociali e culturali e presso l’Università Cattolica di Milano è titolare della prima cattedra italiana di Sistemi di gestione dei mestieri d’arte, promossa dalla Fondazione Cologni con il sostegno di Fondazione Cariplo.

Fotografa con esperienze internazionali di residenze, lunghi soggiorni e mostre prestigiose, si dedica allo studio e alla rievocazione di storie e luoghi raccontati con uno stile personale. I suoi progetti evocano con grazia preziose realtà nascoste. La fotografia è il suo strumento per una ricerca artistica approfondita.

Condirettore: Gianluca Tenti Grafica: Francesca Tedoldi Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte

MESTIERI D’ARTE Semestrale – Anno III – Numero 6 Dicembre 2012 Direttore responsabile ed Editore: Franz Botré Direttore editoriale: Franco Cologni Direttore creativo: Ugo La Pietra

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Direttore generale: Alberto Cavalli Editorial director: Alessandra de Nitto Organizzazione generale: Susanna Ardigò Hanno collaborato a questo numero. Testi: Aldo Agnelli, Daniele Astrologo Abadal, Andrea Bertuzzi, Federica Cavriana, Simona Cesana, Paolo Coretti, Paolo Dalla Sega, Jean-Michel Delisle, Mario Favilla, Mariapia Garavaglia, Marco Gemelli, Giampiero Maracchi,

Giovanna Marchello, Alessandra Meldolesi, Stefania Montani, Akemi Okumura Roy, Susanna Pozzoli, Luciano Revelli, Paola Sosio, Matteo Vercelloni, Karine Vergniol. Immagini: Aldo Agnelli, Andrea Basile, Ezio Ferreri, Fredi Marcarini, Susanna Pozzoli, Emanuele Zamponi. Mestieri d’Arte è un progetto della Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte Via Lovanio, 5 – 20121 Milano www.fondazionecologni.it © Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte. Tutti i diritti riservati. Manoscritti e foto originali, anche se non pubblicati, non vengono restituiti. È vietata la riproduzione, seppur parziale, di testi e fotografie.

Pubblicazione semestrale di Swan Group srl Direzione e redazione: via Francesco Ferrucci 2 20145 Milano Telefono: 02.3180891 info@monsieur.it

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Pensiero storico

PALAZZO BRANCIFORTE A PALERMO, L’ULTIMA POESIA DELLA SIGNORA DELL’ARCHITETTURA Una storia complessa, una bomba incendiaria, la ricostruzione con profili contemporanei che devono dialogare con il contesto storico Negli ultimi decenni del ’500 ha inizio la storia di Palazzo Branciforte dei conti Raccuja. È una storia complessa, così come è complesso il contesto fisico e concettuale della città di Palermo. Differenti trasformazioni strutturali avvengono nei secoli finché nel 1801 il palazzo ospitò la nuova casa dei pegni e venne chiamato Monte di Santa Rosalia. Nel 1848, durante la Rivoluzione Siciliana, l’edificio venne colpito da una bomba incendiaria che produsse un terribile incendio con il crollo del tetto e delle strutture interne. I lavori di consolidamento generarono un nuovo insieme architettonico: per rafforzare le volte della Cavallerizza, uno degli spazi più belli del palazzo, molte delle originali colonne di marmo furono inglobate entro muri; i due piani superiori alla Cavallerizza non vennero ricostruiti, generando un nuovo volume a doppia altezza dove si realizzarono le complesse scaffalature di legno, con scale e ballatoi, di servizio per la casa dei Pegni.

problemi, spesso non solo nella fase di cantiere ma durante la progettazione esecutiva, quando le decisioni e le scelte si fanno non solo per la resa estetica ma anche pensando alle lavorazione e ai costi. L’artigiano è infatti capace di coniugare il sapere tradizionale con l’alta tecnologia e ambedue con la manualità che è indispensabile quando si interviene in un contesto storico. Ad esempio, gli intonaci: quando ci si trova di fronte a edifici costruiti con tecniche antiche e a materiali invecchiati dal tempo, l’introduzione di materiali nuovi è un’operazione delicata. In questo caso le tecnologie, anche se usano nuovi prodotti, si rifanno alle tecniche antiche che utilizzavano intonaci a base di malta e coloriture con coccio-pesto o polvere di marmo, coloriture che si ritrovano usando la sapienza tradizionale, l’esperienza e l’intuito, proprio di chi conosce il mestiere. Anche per i serramenti, disegnati e realizzati uno per uno in un contesto dove tutte le bucature hanno dimensioni diverse, abbiamo usato dei profili contemporanei in acciaio che riprendono i sottili spessori dei vecchi ferro-finestra ma hanno le caratteristiche di tenuta termica che il ferro non aveva e che sono oggi indispensabili per il corretto funzionamento energetico degli edifici.

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I recenti lavori di restauro e ristrutturazione del Palazzo che ci hanno coinvolto come progettisti e direttori artistici del cantiere, sono stati voluti dalla Fondazione Sicilia e hanno avuto come scopo quello di creare un importante polo culturale aperto a tutti i cittadini. Il nuovo complesso ha ritrovato spazi del vecchio palazzo restituiti a nuove funzioni, ma anche spazi nuovi e inventati per essere destinati all’arte e alla cultura: una zona espositiva, una biblioteca, una sala conferenze, spazi di rappresentanza e uffici per il personale. Un lavoro come quello di Palazzo Branciforte ha bisogno di grande collaborazione e sintonia di intenti e di obiettivi: da un lato fra committenza e progettista, che devono insieme individuare le strategie necessarie alla trasformazione del luogo; dall’altro fra il professionista, l’impresa e gli artigiani che, lavorando insieme, danno forma al progetto. Ho sempre avuto grandissimo rispetto per i «mestieri» che hanno affiancato il mio lavoro e reso possibile ogni realizzazione. E ho sempre lavorato fianco a fianco con gli artigiani che possiedono quei mestieri, con suggerimenti reciproci per la soluzione dei

Gli stessi fabbri hanno poi realizzato le leggere vetrine, progettate per esporre ed esaltare la preziosa collezione archeologica, delle ceramiche e delle monete del palazzo. Un rapporto oramai decennale mi lega poi a una falegnameria di Cantù che ha realizzato gli arredi su misura e la sala della Biblioteca, dove una contemporanea libreria in legno colorato verde ha le caratteristiche di resistenza al fuoco stabilite dalle normative odierne e concordate con i Vigili del fuoco. Lavorando a Palermo sono tornata a visitare Palazzo Abatellis, che Carlo Scarpa realizzò negli anni 50. Gli storici Mazzariol e Barbieri scrivono: «… appartiene a Scarpa il suo affidarsi alle mani degli artigiani, discutendo lunghissimamente con loro e quasi associandoli in un rapporto di parità professionale al proprio operare progettuale». Ecco, in questo modo di operare io mi riconosco.

UN PROGETTO IN PRIMA PERSONA La biblioteca di Palazzo Branciforte dei conti Raccuja a Palermo, realizzata con materiali che tengono conto delle nuove normative, nel rispetto della costruzione che risale al 500 e che era stata danneggiata nel XIX secolo. Un intervento complesso, realizzato da Gae Aulenti grazie al dialogo ininterrotto con gli artigiani che sanno coniugare estetica e funzionalità.

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DIFENDERE I SAPORI DELL’ITALIA Una realtà produttiva fatta di piccola e media impresa, frutto di un’antica tradizione che vive di alta qualità grazie anche a oggetti unici al mondo

Da quando siamo entrati nell’Europa unita ci hanno spiegato che ormai dobbiamo fare i conti con la globalizzazione dei mercati, per cui occorre produrre tanto e in modo omogeneo per poter conquistare mercati sempre più vasti e competere con le grandi imprese multinazionali. Ma è pur vero che la nostra realtà produttiva è sempre stata caratterizzata dalla piccola e media impresa, aziende che rispetto alla tendenza sopra esposta stanno sviluppando una propria strada cercando di valorizzare sempre più la «piccola produzione». Valorizzazione che passa attraverso la qualità, il marchio d’origine, fino alla produzione numerata (come con molti nostri vini); così possiamo dire che è in atto una battaglia, da una parte la grande produzione, dall’altra quella piccola e legata a culture e tradizioni locali. Sembra di rileggere le polemiche e le battaglie culturali di fine anni 70 dove i designer radicali (che guardavano con attenzione alle realtà locali, alla cultura contadina, alle esperienze periferiche…) si contrapponevano al design internazionalista (buono per ogni luogo e legato a una visione della nostra società dipendente da un unico grande supermercato). Ieri come oggi. I nostri «sapori» cercano di mantenere la propria identità e le centinaia di formaggi italiani, vini, salumi, verdure trovano ogni giorno sostenitori che si danno da fare perché non scompaiano dal mercato, e quindi dalla nostra tavola e dalle tavole internazionali di chi apprezza sempre più i prodotti della cucina italiana. I mondi del design, delle arti applicate e dell’artigianato hanno lo stesso problema. Così, il consiglio che si può dare è di cercare di operare collaborando! Oggetti «fatti ad arte» per i nostri «particolari» sapori. Due mondi, due realtà produttive che potremmo salvare attraverso un processo di collaborazione nella consapevolezza (spesso viene a mancare) che tutte e due le produzioni descritte appartengono alla nostra «cultura materiale».

Potranno così crescere oggetti che esprimono identità, appartenenze, territorialità, sfruttando l’apprezzamento di un «nostro» prodotto ormai penetrato diffusamente sul mercato. Pensiamo al fiasco di vino in vetro di Empoli per il nostro Chianti, ai grandi piatti di Vietri per la nostra pizza napoletana, la ceramica di Grottaglie per il nostro robusto olio del sud e quella di Nove per il delicato olio del Garda, la ceramica di Deruta per il prestigioso olio toscano e così via. Tanti oggetti per i tanti prodotti per cui siamo famosi in tutto il mondo. Si stanno predisponendo progetti e interventi in occasione del prossimo Expo che si terrà a Milano nel 2015. Il tema legato all’alimentazione ripropone il dilemma della scelta tra globalizzazione e localizzazione. Probabilmente occorrerà lavorare sui due fronti anche se la nostra cultura, il territorio e le tradizioni ci indirizzano verso progetti che guardano alla localizzazione e ai nostri tanti genius loci. Perché non proporre una mostra dove il consumare cibi venga proposto come qualcosa che passi attraverso i diversi rituali domestici della nostra quotidianità (in continua evoluzione) e che non focalizzi quindi il momento della fruizione sui consueti colazione, pranzo e cena? Il tutto valorizzando, attraverso il progetto, gli strumenti, i prodotti e i cibi espressione delle nostre diversità? Dalle tovaglie (tessuti e decori di Romagna, Abruzzo, Sardegna…) alle stoviglie in ceramica (di Grottaglie, Vietri sul Mare, Caltagirone, Deruta, Faenza, Nove, S. Stefano di Camastra...), vetro (di Murano, Colle Val d’Elsa, Empoli), pietra (di Apricena, ollare, Lavagna…) e poi argento, porcellana, vimini, legno… fino agli oggetti d’arredo. Un’occasione per verificare i tanti possibili collegamenti tra i nostri produttori di oggetti (artigiani e piccole imprese) e di alimentari, per creare e rinnovare sinergie e aprirsi a nuove possibilità di sviluppo e comunicazione.

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Dal territorio

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DEFINIRE UN FUTURO TRA SCUOLE E MERCATI Il mestiere d’arte ha oggi un significato completamente nuovo: è una forma di espressione artistica che si materializza negli oggetti di uso quotidiano. Educhiamo i giovani a ritrovare questa strada

La premessa per parlare di artigianato consiste nella consapevolezza che questo settore, anche semanticamente, non ha lo stesso significato che aveva qualche decina di anni fa. I francesi più correttamente hanno adottato in luogo di «artisanat» il termine «métier d’art». Infatti, mentre l’artigianato del passato era rappresentato da una continuità con la realizzazione di beni di consumo prodotti dal singolo artigiano indipendentemente dalla qualità, dalla materia prima usata, dalle tecniche o dal design, oggi il mestiere d’arte ha un significato completamente nuovo: è una forma d’espressione artistica che si materializza in oggetti di uso quotidiano nell’arredamento, nell’abbigliamento, negli accessori di moda e unisce la scelta della materia, l’uso di tecniche raffinate, l’unicità del prodotto e la sua caratterizzazione estetica. Non è immediatamente comprensibile e accettabile questo cambiamento per l’opinione pubblica, anche per quella più sofisticata: si tratta di un’evoluzione dell’artigianato che potremmo definire antropologica, ma è più difficile trasmettere la necessità di questa evoluzione alla vecchia generazione di artigiani che ancora operano legati a una visione anacronistica del mestiere. Per introdurre questi nuovi concetti è necessaria un’azione di comunicazione e promozione congiuntamente con lo sviluppo di un dibattito culturale non facile da sostenere anche per ragioni pratiche, come quelle delle risorse economiche da reperire per le azioni necessarie. La soluzione sta comunque nella creazione di una nuova generazione di artisti–artigiani, o forse meglio di artigiani-artisti che siano preparati culturalmente ad affrontare questa scommessa del nuovo millennio. Diviene così fondamentale la formazione, che in un settore come questo ha aspetti assai peculiari dovendo unire una solida preparazione culturale con la capacità del «saper fare», utilizzando strumenti e tecniche nuove che garantiscano la qualità e l’unicità del prodotto ma che permettano anche di migliorare le performance economiche, che sono naturalmente la base perché questa attività rappresenti la scelta lavorativa dei giovani.

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Non sembra che la recente riforma della scuola abbia effettuato una riflessione approfondita su questo tema, che può sembrare di nicchia ma che invece riunisce elementi di novità culturale in un momento in cui i paradigmi su cui si è basato lo sviluppo degli ultimi cento anni sembrano in profonda crisi. La scuola pubblica e le sue strutture non sono attrezzate per questa rivoluzione culturale e spesso anche gli istituti privati, a causa anche di vincoli di carattere economico, non sono in grado di sviluppare appieno i necessari programmi. Peraltro una concezione del mestiere artigianale come di un’attività declassante o di «serie B» relega la formazione in quella galassia di attività gestite dagli enti locali che sia per i tempi, sia per le modalità con cui sono organizzati i corsi (molto scarsa se non del tutto assente la pratica manuale del mestiere) non sono in grado di creare queste nuove figure. Un problema a parte è rappresentato dall’Università, che sarebbe il luogo di elezione per lo sviluppo di nuove idee ma dove purtroppo è dominante una visione dell’arte che risale alla distinzione vasariana cinquecentesca in arti maggiori (pittura, scultura e architettura, uniche a rappresentare la dignità intellettuale) e arti minori, che si caratterizzerebbero solo per il contenuto manuale. Questa visione fa sì che si releghi il settore artigianale nel limbo di quelle materie complementari che poco spazio hanno nell’indirizzare gli studenti e l’opinione pubblica. Cosa possiamo fare? Si tratta di creare un movimento che sensibilizzi le organizzazioni di categoria, anch’esse poco concentrate sul settore che in termini numerici, quindi elettorali, è di scarsa rilevanza; informare stampa e media di largo accesso perché parlino di questo patrimonio che nasce dalla nostra storia e che oggi deve essere letto in modo nuovo; portare il problema all’attenzione del Parlamento europeo e della Commissione, in quanto parte rilevante del patrimonio culturale nelle sue espressioni nazionali, regionali e locali. Nel rispetto della storia e per le nuove generazioni, continueremo a battere la strada intrapresa da più di dieci anni.

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*presidente Associazione Osservatorio dei Mestieri d’Arte

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FUTURO LEGATO ALLA FORMAZIONE, L’ESEMPIO FRANCESE Differenti livelli per offrire un’educazione davvero superiore e costruire una filiera in grado di creare oggetti apprezzabili nei nuovi mercati, invertendo la tendenza di chi aveva ghettizzato la professione

L’avvenire dei mestieri d’arte passa, tra le altre cose, dalla formazione dei giovani. È essenziale che la Francia, nel contesto di un’armonizzazione dei percorsi di formazione su scala europea, offra ai giovani che vogliono esercitare un mestiere d’arte diplomi di tutti i livelli, fino ai più elevati (master, dottorato) conformemente al Processo di Bologna sulla creazione di uno spazio europeo per l’educazione superiore. L’esistenza di una filiera della formazione coerente e strutturata permetterà ai giovani di esercitare i loro mestieri d’elezione padroneggiando perfettamente la tecnica, creando oggetti conformi ai gusti delle diverse tipologie di pubblico, sviluppando perfettamente nuovi mercati. Una nuova generazione di artigiani-artisti sta emergendo in Europa e si inscrive nella modernità e nello sviluppo sostenibile. È questa generazione che la formazione deve accompagnare, rivisitando i propri riferimenti con regolarità. Parimenti, l’offerta di una formazione permanente deve permettere ai professionisti di perfezionarsi nella padronanza delle capacità, nel lavoro sui materiali (compresi i più nuovi), nella ricerca di forme e colori originali. La formazione ai mestieri d’arte deve europeizzarsi di più: attraverso i dispositivi europei come Erasmus o Leonardo, o certi programmi proposti dagli Stati membri o dalle comunità territoriali, diverse possibilità sono offerte agli studenti per completare parte del loro cursus in un Paese europeo diverso da quello di origine. Queste offerte devono essere sviluppate e rinforzate. I mestiere d’arte si posizionano all’incrocio tra la cultura, l’economia e lo sviluppo territoriale : la formazione a questi mestieri permette dunque ai giovani che li hanno scelti di effettuare un percorso ricco

e diversificato, in linea con il mondo contemporaneo. La formazione a questi mestieri è una marcia in più per il futuro; prepara all’eccellenza tecnica, sviluppa la sensibilità artistica tramite un percorso pedagogico del progetto, instaura il dialogo con il design. Associa rigore e creatività, esigenza e inventiva, impertinenza e libertà; procura una grande apertura sul mondo contemporaneo. E dovrebbe permettere ai giovani di sviluppare anche quelle qualità umane che costituiscono la specificità di questi mestieri. La formazione ai mestieri d’arte è forse stata in qualche caso svalorizzata, tanto che il lavoro manuale ha potuto essere considerato in alcuni Paesi e in certe epoche come il refugium di coloro che non erano in grado proseguire con degli studi generali. Ma ora la sensibilità è mutata: il settore dei mestieri d’arte attira sempre più dei giovani che hanno un percorso scolastico brillante, o professionisti che decidono di riconvertire la propria carriera scegliendo di esercitare il mestiere dei loro sogni. L’immagine dei mestieri d’arte è nettamente migliorata nel corso degli ultimi anni.

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* Jean-Michel Delisle è il Presidente dell’Institut National des Métiers d’Art (www.institut-metiersdart.org)

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Considerata l’importanza di questa scommessa per l’avvenire del settore, l’Institut National des Métiers d’Art ha iniziato a rivedere l’offerta di formazione iniziale e permanente insieme a tutti i partner coinvolti, pubblici e privati, per proporne un rinnovamento. In questo lavoro di riforma abbiamo tenuto in gran conto le pratiche e le esperienze portate avanti dai partner europei. Perché la formazione ai mestieri d’arte va considerata su scala europea, sviluppando scambi tra le nostre istituzioni incaricate di questo compito. E deve anche aprirsi alla ricerca : è il laboratorio dei mestieri d’arte di domani. Il loro avvenire dipende da essa.

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ALBUM BOTTEGA PRATA Bologna, via Caldarese 1D Una gran bella bottega, proprio nel centro storico di Bologna, statue e oggetti ornamentali in cui emerge la grande abilità ricca di una tradizione che vanta ormai più di un secolo di stodel vulcanico artigiano, in grado di eseguire qualunque lavoria. È la fucina di Pierluigi Prata, nipote e figlio d’arte, che ha razione, compreso il restauro. Da questa bottega sono usciti ereditato dal nonno Antonio e dal padre Giancarlo non solo i 700 lampioni della Repubblica di San Marino, quelli di via l’amore per il ferro battuto ma anche tutti i segreti di questo D’Azeglio a Bologna, le cancellate di San Petronio e quelle antico mestiere, oltre a una serie di strumenti fabbricati ad di tante ville tra cui Villa Gazzoni. Maestro d’arte, Pierluigi hoc per le lavorazioni più elaborate. Negli ampi locali a pochi Prata è in grado di realizzare su disegno ogni genere di oggetto passi dalle due torri, sono tanti i campioni dei lavori eseguiti e di struttura in ferro, anche riprendendo motivi decoratidalle tre generazioni: ci sono basi per tavoli, lampade, segmenti vi d’epoca. È presidente dell’Unione Artistica Tradizionale di cancellate, testiere per letti, sedie, appliques. E poi anche dell’Emilia Romagna. www.bottegaprata.com

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GIOSA Milano, via Ciovasso 6 Chi passa da via Ciovasso non può non essere attratto dalle vetrine di questa bottega, colorata da un’infinità di pelli in perfetto ordine, da borse dalle forme raffinate, cinture, portafogli, scarpe, valigie, ventiquattrore. Il tutto in coccodrillo della migliore qualità. È il negozio-laboratorio di Giorgio Santamaria che con la moglie, il figlio Gioele e un paio di abili lavoranti, continua con passione il lavoro appreso fin da bambino dai genitori proprietari di un laboratorio a Porta Ticinese. Oggi, specializzato nell’arte della lavorazione del coccodrillo, dello struzzo e della lucertola, Santamaria prepara le dime, inchioda le pelli sui tavoli, le lucida con la pietra d’agata, le cuce, rifinisce gli interni con fodere pregiate. Lo si può vedere all’opera, sul grande tavolo da lavoro che si affaccia sulla via. Le pelli, di primissima qualità, provengono da una nota conceria d’Oltralpe che rifornisce anche Hermès. Per avere un’idea della varietà delle creazioni basta scendere la scala che conduce nel seminterrato: qui modelli già pronti di ogni genere e dimensione sono allineati in una grande varietà di colori, che va dal turchese all’arancio, dal viola al blu notte, dal nero al marrone. Santamaria è anche abilissimo nel riprodurre al campione le sagome del passato. Compresa la rimessa a nuovo di vecchi modelli d’epoca. www.giosa.eu

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PASTICCERIA CAPPELLO Palermo, via Colonna Rotta 68 A due passi da piazza Indipendenza, Cappello è uno dei locali storici di Palermo, una vera istituzione per gli amanti del cioccolato e della pasticceria. Nato come latteria negli anni 40, questo locale ha seguito l’evoluzione di Salvatore, brillante figlio dei fondatori, che negli anni 70 ha deciso di affinare la sua istruzione nel campo della pasticceria, andando a far pratica a Torino. Rientrato nella sua città natale, ha trasformato il locale di famiglia in una pasticceria nota in tutta la Regione. Il suo ingrediente preferito è il cioccolato, che ha «importato» a Palermo da Torino. Tra le specialità Cappello c’è la torta Kenia al caffè, la mousse di cioccolata con pere flambate, la mousse ai frutti di bosco, la torta Delizia con pistacchi di Bronte e pan di Spagna alle mandorle, la composta di limone. Ci sono anche i sorbetti alla frutta ricoperti di gelato al pistacchio e un pan di Spagna alla banana, senza farina, amatissimo da chi ha problemi di celiachia. Tra le ghiottonerie per cui la pasticceria è rinomata non si possono dimenticare le praline ripiene con liquore o crema, e il Sole di Sicilia, una bolla di pistacchio ricoperta di cioccolato. Vincitore di numerosi premi per le eccellenze siciliane, Salvatore Cappello è oggi membro Accademico dei Pasticcieri Italiani, e il giovane figlio Giovanni sta seguendo brillantemente le sue orme. www.pasticceriacappello.it

SYLVIE SAINT-ANDRÉ PERRIN Parigi In un bel cortile del XV arrondissement si nasconde l’atélier di una grande maestra ceramista, Sylvie Saint-André Perrin, che produce piatti, ciotole e oggetti per la tavola e per la casa, mescolando l’argilla, i pigmenti e gli ossidi con delle tecniche da lei elaborate. Gli effetti sono straordinari: pezzi dalle sfumature che vanno dal blu intenso al giallo ocra, dal verde al grigio, dal ruggine al nero. I motivi, minimalisti o ricchi di forme sinuose, non sono mai banali. Lo hanno scoperto alcuni importanti marchi che a lei hanno commissionato delle serie in esclusiva. La produzione viene fatta con una tecnica lenta e complessa che consente di realizzare non più di 16 pezzi al giorno. Una volta stesa nello stampo e parzialmente solidificata, l’argilla viene grattata per renderla più sottile, poi limata con la lana d’acciaio e messa al forno una prima volta a 980°C, prima di vetrificarla con una sottile patina di smalto trasparente e metterla in forno per la seconda cottura. Recentemente l’abile artigiana ha ampliato la gamma dei motivi decorativi con fiori e farfalle, introducendo nuove tecniche. Ogni manufatto è unico, mai uguale all’altro. Gli oggetti di Sylvie Saint-André Perrin sono venduti non solo a Parigi ma anche in varie città del mondo, tra cui Londra, San Francisco e New York. www.ateliersap.com

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ALBUM libri

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MOSAICO MENDINI di Stefano Casciani (Edizioni Skira) Un volume dedicato al lavoro del poliedrico architetto e artista Alessandro Mendini per Bisazza, l’industria italiana che ha riportato il mosaico di vetro a un nuovo splendore contemporaneo. L’autore del volume è designer e scrittore che da tempo collabora con Mendini. Dalle grandi architetture come il Museo di Groningen agli allestimenti e alle vere e proprie sculture, nel volume sono presentate opere e progetti di Mendini, del suo Atelier e di altri artisti presenti nella collezione della Fondazione Bisazza di Alte, Vicenza.

EVI’S PUPPENKLINIK & TEDDYWERKSTATT Augsburg, Frauentorstr. 18 Eva Maria Haschler è molto nota tra i collezionisti e gli antiquari, ma soprattutto tra i bambini. Il suo negozio-laboratorio si trova nel centro di Augsburg: qui, tra una varietà infinita di bambole, peluche, giochi moderni e pezzi d’epoca, ha sede la sua clinica medica per bambole e giochi, conosciuta perfino in Australia e negli Usa da dove arrivano i «casi» più disperati. Forte di una conoscenza che deriva dall’aver iniziato da ragazzina a montare i pezzi e conoscere i meccanismi nella fabbrica di giocattoli dei genitori, Eva ha poi affinato la sua abilità aprendo un laboratorio col marito Harald per portare a nuova vita bambole di ceramica, cellulosa, pezza, animali di peluche, vecchi giochi di latta. Con grande pazienza e competenza i coniugi Haschler riparano giochi semplici e meccanismi complessi, recuperano occhi di vetro, parrucche e rammendano abiti con lana, cotone, nylon, seta e viscosa. A seconda dei materiali preparano impasti in cartapesta, stucco, creta, legno, pelle, che poi uniscono con colle speciali e resine, dipingendo le superfici fino a rendere invisibile l’aggiustatura. Nel negozio di Eva e Harald Haschler è anche possibile trovare giochi da collezione, con alcuni esemplari d’epoca. www.puppenklinik-augsburg.de

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BULGARI. 125 ANS DE MAGNIFICENCE ITALIENNE di Amanda Triossi (Edizioni Skira) In occasione dell’esposizione parigina al Grand Palais per celebrare i 125 anni di creatività, Skira pubblica un’edizione del catalogo arricchita da oltre 90 foto di gioielli inediti. Più di 600 oggetti preziosi dalla fine dell’Ottocento ai nostri giorni, molti dei quali appartenuti a celebrità, sono accostati a fotografie d’epoca e a disegni tecnici preparatori, in un interessante itinerario di storia orafa e di costume. La curatrice è esperta di gioielli e conservatrice della Bulgari Vintage Collection. MAESTRI DEL FARE Silvia Mazzuccotelli Salice, Isabella Medicina (Marsilio) Un’interessante e appassionata indagine socio-economica, svolta su mandato della Fondazione Cologni e della Scuola Cova di Milano, sulla domanda di mestieri d’arte nell’area milanese, con particolare riferimento ai settori della moda, dell’arredo e dell’oreficeria. Attraverso le tante interviste ad alcuni dei maestri, degli ateliers e delle aziende più importanti, nonché agli attori istituzionali di riferimento, emerge un ritratto inedito dell’artigianato contemporaneo di eccellenza, delle sue problematiche ma soprattutto delle sue grandi valenze culturali ed economiche. ARTIGIANI, VISIONARI E MANAGER di Giorgio Brunetti (Edizioni Bollati Boringhieri) Dai mercanti dell’Arsenale veneziano del Cinquecento alla crisi finanziaria dei nostri giorni, una lunga storia di lavoro, di conquiste, di sofferenze e di invenzioni. Giorgio Brunetti, docente di Cà Foscari e dell’Università Bocconi di Milano, ci racconta le peculiarità, le potenzialità, i punti di criticità, le conquiste e le sfide continue del mestiere dell’artigiano, per rendere il più possibile funzionale un’organizzazione complessa nell’economia contemporanea. THE KIMONO: HISTORY AND STYLE Sacico Ito, Etsuko Yamashita (Edizioni Pie International, Rizzoli New York) La storia del kimono, un abito che attraverso mille anni non ha mai smesso di essere l’abbigliamento della tradizione giapponese e che continua a essere indossato per le cerimonie ufficiali e gli eventi di rilievo. Sacico Ito è designer e costumista con alle spalle tanti film e abiti di moda, mentre Etsuko Yamashita è a capo di una scuola che insegna le tecniche per creare questo complesso ed elegante capo di abbigliamento che dall’VIII secolo non è mai passato di moda in Giappone.

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ALBUMfiere tutte le novità italiane ed estere. Nel Padiglione 9 sarà presente Fatto ad Arte, esposizione di prodotti di alto artigianato (in collaborazione con Artex e con il patrocinio di Cna e Confartigianato Imprese) ispirata alla cultura dei territori, con produzioni che utilizzano preziose tecniche tradizionali tramandate nei secoli. Tra i pezzi esposti complementi di arredo e accessori per la casa in vari materiali: ceramica, vetro, porcellana, metallo, legno, cuoio, pietre e tessuti. www.macef.it 2

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HEIMTEXTIL Francoforte, Fiera , 9-12 gennaio 2013 Importante fiera mondiale dell’arredamento tessile, del contract, della biancheria per la casa. Con tanti tessuti per l’arredo prodotti dai più importanti editori tessili del mondo, proposti da oltre 2.600 espositori. www.heimtextil.messefrankfurt.com MAISON & OBJET Parigi, Nord Villepinte, Quartiere espositivo, 18-22 gennaio 2013 Arredamento, regali, arte della tavola, tessuti, soluzioni per l’architettura d’interni: l’esposizione parigina con cadenza semestrale offre infinite nuove proposte firmate dalle più note aziende e dai designer, affermati ed emergenti. Interessante il padiglione 4 intitolato Craft, uno spazio interamente dedicato ai mestieri d’arte. www.maison-objet.com

lavoro di ricerca e della collaborazione tra creatori, maestri orologiai e designer. Nel segno dell’eccellenza. www.sihh.org MACEF Milano, Fiera di Rho, 23-27 gennaio 2013 Torna l’edizione invernale del Salone internazionale della casa, dell’oggettistica, dei complementi d’arredo, della biancheria per la tavola, il bagno e il letto, dell’argenteria, con

FIERA DI SANT’ORSO Aosta, 30 e 31 gennaio 2013 La tradizionale manifestazione dedicata ad artigianato e bricolage si snoda in tutto il centro cittadino, all’interno e a fianco della cinta muraria romana. Ricca di eventi, la Fiera è anche musica, folklore e occasione di degustazioni gastronomiche di vini e prodotti tipici, una vera festa popolare che trova il momento clou nella Veillà, la veglia nella notte fra il 30 e 31 gennaio, con le vie illuminate e piene di gente fino all’alba. www.regione.vda.it EXPOCASA Torino, Lingotto Fiere, 2-10 marzo 2013 La 50ª edizione del Salone internazionale dell’Arredamento e delle idee per l’Abitare si snoda all’interno dei padiglioni del Lingotto in una mostra ricca di proposte. Con grande spazio dedicato all’artigianato di qualità. www.expocasa.it

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SALON INTERNATIONAL DE LA HAUTE HORLOGERIE Ginevra, Palaexpo, 21-25 gennaio 2013 L’interessante appuntamento ginevrino mostra in anteprima mondiale le ultime creazioni delle più importanti marche dell’alta orologeria, frutto del

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ALBUM premi iniziative 3

BOCUSE D’OR Chassieu Cedex, Eurexpo 29 e 30 gennaio 2013 Molto ambito dai cultori della grande cucina, questo concorso mondiale degli chef si tiene ogni due anni dal 1987, a Lyon, presso i locali della fiera. Vi partecipano cuochi professionisti provenienti da tutto il mondo. www.bocusedor.com ACCENTI D’ITALIA, ITALIAN GIFTWARE + DECOR Promosso da Artex, in collaborazione con Toscana Promozione, è stato recentemente sviluppato un progetto che ha come obiettivo quello di promuovere e sostenere sul mercato statunitense l’artigianato di eccellenza made in Italy, di potenziare il livello di internazionalizzazione e di competitività delle imprese artigiane italiane e delle piccole e medie imprese impegnate nel settore dell’arredo casa, dei prodotti per la tavola, per la cucina, e nella decorazione. www.italiangiftware.com ARTEX PRESENTA ARTSHOP, UN PORTALE PER L’ARTIGIANATO ARTISTICO Il portale, disponibile in italiano e in inglese, è suddiviso in sezioni articolate dove vengono proposte per l’acquisto gallerie di oggetti di diverse tipologie: accessori e moda, cucina e tavola, decorazione casa, illuminazione e tessile per la casa. www.artigianatoartisticonline.it

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TOBEECO Torino Nell’ambito di Expocasa 2013, al Lingotto Fiere, vengono premiati i vincitori della quarta edizione di toBEeco, il programma di sostegno e promozione del design eco-compatibile, nato con l’obiettivo di far emergere e dare visibilità alla creatività dei giovani, in chiave «eco». I premi saranno offerti da Amiat (Azienda Multiservizi Igiene Ambientale Torinese). Per partecipare al concorso oppure come espositore (40 sono gli spazi previsti) è necessario presentare progetti che rispettino almeno una delle tre definizioni Eco qui elencate (entro dicembre 2012 in formato digitale): Eco-nomia

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del progetto, Eco-logia di processo, Eco-multi-funzionalità di prodotto. www.expocasa.it/tobeeco CONCORSO INTERNAZIONALE DELLA CERAMICA D’ARTE CONTEMPORANEA PREMIO FAENZA Faenza, Museo Internazionale delle Ceramiche Nata nel 1932 e divenuta internazionale nel 1938, questa manifestazione (prima a livello europeo) è stata fin dall’inizio un importante momento nella valorizzazione, nel rinnovamento, nella promozione della ceramica sia artistica sia funzionale e d’arredo. Le iscrizioni al concorso sono aperte

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fino al 31 dicembre 2012. I vincitori saranno proclamati il 4 maggio 2013. www.micfaenza.org/it/concorso-internazionale-premio-faenza BCA - BIENNALE DE LA CERAMIQUE D’ANDENNE, BELGIO Le iscrizioni per il premio 2014 saranno aperte fino al 31 ottobre 2013. La prossima sessione della manifestazione, creata nel 1988 per dare risalto all’industria ceramica della città, si concluderà l’8 e il 9 giugno 2014, e sarà affiancata da esposizioni, mostremercato e corsi. www.biennaledelaceramique.be/en NICHE AWARDS Questo concorso, che prevede la premiazione dei vincitori nel 2013, è riservato ad artigiani professionisti over 21, residenti in America o in Canada, chiamati a creare oggetti d’arte per gallerie o negozi di artigianato artistico. www.nicheawards.com TOM MALONE PRIZE Sono aperte le iscrizioni per il concorso del 2013 all’Art Gallery of Western Australia. Un premio istituito da Tom Malone per promuovere la creatività e la maestria artigianale nel campo della lavorazione del vetro, made in Australia. www.artgallery.wa.gov.au/ exhibitions/TomMalonePrize.asp

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ALBUM mostre & Arpels dal 1906 ai nostri giorni attraverso più di 500 gioielli in mostra. Con tanti documenti sulle tecniche e le invenzioni di una famiglia di maestri orafi che ha rappresentato l’eleganza e la creatività attraverso un secolo. Come le pietre montate senza castone e senza griffe, i gioielli smontabili e trasformabili in monili dalle forme diverse.

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DRAGONS, NAGAS, AND CREATURES OF THE DEEP Fino al 6 gennaio 2013 Washington, Textile Museum Nell’Anno del Dragone, secondo il calendario cinese, il museo di Washington propone un’esposizione di tessuti e tappeti che hanno come comune denominatore draghi e creature fantastiche. Angeli o demoni, queste figure hanno abbellito per secoli tessuti e mobili di tutto l’Oriente. FLEURISTE HAUTE COUTURE BRUNO LEGERON, MAÎTRE D’ART Fino al 30 Marzo 2013 Lunéville, Musée Conservatoire des Broderies Lunéville Una destrezza senza pari, una manualità fantastica: famosi sono i fiori in stoffa creati dalla Legeron fin da quando alla metà dell’Ottocento iniziò la moda di abbellire cappelli e vestiti con le riproduzioni degli elementi della natura. L’esposizione svela le tecniche raffinate di questo delicato mestiere e i fiori creati per l’Alta Moda. Con suggestive dimostrazioni di manualità artigianale dal vivo. TRAME DI MODA DONNE E STILE ALLA MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA Fino al 6 gennaio 2013 Venezia, Museo di Palazzo Mocenigo

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VETRO MURRINO DA ALTINO A MURANO Fino al 6 Gennaio 2013 Altino e Murano, Museo Archeologico e Museo del Vetro A cura di Rosa Barovier Mentasti La mostra, programmata in due sedi, ha come focus l’antica arte della murrina, dall’epoca romana- area veneta, all’attualità muranese. Nel Museo di Altino sono esposte opere del sito archeologico altinate, l’antica X Regio Venetia et Istria, che vantava rapporti commerciali e culturali con le coste orientali del Mediterraneo, patria del vetro d’arte. Nel Museo del Vetro si trovano invece opere realizzate a Murano dal XIX secolo fino a oggi: con esempi di eccellenza, quali i vetri di Vittorio Zecchin,Teodoro Wolf-Ferrari, Carlo Scarpa e Riccardo Licata. Al piano nobile, interessante la collezione Le murrine di Giusy Moretti dedicata alla storica attività della sua famiglia.

Angelina Jolie seduttrice in satin per The Tourist; Katherine Hepburn in Tempo d’estate, da donna sola ad amante passionale in una progressione straordinaria del proprio guardaroba; Helena Bonham Carter donna fatale nei velluti dévoré di Fortuny per Le ali dell’amore; Silvana Mangano avviluppata nei lini di Morte a Venezia, o esplosiva nei calzoncini di Mambo; Donald Sutherland e la bambola meccanica, il genere e il suo doppio, maschio e femmina, simboli di trasgressione e di ricerca di assoluto. E poi la magia degli abiti del red carpet. Grazie all’allestimento, ad abiti d’eccezione e documenti, l’esposizione mette in scena una realtà produttiva e culturale davvero unica. 2

CHINESISCHE LACKKUNST EINE DEUTSCHE PRVATSAMMLUNG Fino al 3 gennaio 2013 Berlino, Museum of Asian Art, Museen Dahlem Una bella collezione privata di una sessantina di lacche cinesi, appartenenti a Barbara Piert-Borgers e Walter Borgers, testimonia la raffinatezza degli artigiani cinesi che operarono tra il X e il XIX secolo, dalla dinastia Song fino alla Qing.

VAN CLEEF & ARPELS L’ART DE LA HAUTE JOAILLERIE Fino al 10 Febbraio 2013 Parigi, Musée des arts décoratifs La straordinaria storia di Van Cleef

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DANIEL BRUSH: BLUE STEEL GOLD LIGHT Fino al 17 Febbraio 2013 New York, Museum of Arts and Design Personaggio di stampo rinascimentale, Daniel Brush è artista, pittore, scultore, scrittore, professore, orafo. Una personalità complessa che ha saputo coniugare creatività, cultura,

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KAMA, SESSO E DESIGN Fino al 10 marzo 2013 Milano, Triennale Design Museum La mostra, a cura di Silvana Annicchiarico, analizza il rapporto tra eros e progetto, indagando modi e forme con cui la sessualità si incorpora nelle cose, oltre la stereotipizzazione dei facili scandali. Una rassegna che rintraccia radici storiche, mitiche e antropologiche per arrivare ai giorni nostri, con oltre 200 fra reperti archeologici, disegni, fotografie, oggetti e opere di artisti e designer. Dai vasi etruschi agli amuleti di epoca romana, dai disegni di Piero Fornasetti alle fotografie di Carlo Mollino e di Ettore Sottsass, dal divano Mae West di Salvador Dalí al provocatorio Great Wall of Vagina di Jamie McCartney. In parallelo, otto progettisti internazionali interpretano questo tema.

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CHRISTOFLE FANTAISIE D’ART Fino al 31 Dicembre 2012 Parigi, Musée des Années Trente de Boulogne-Billancourt Un’ esposizione di oggetti per la casa e bijoux che testimoniano la creatività innovativa della produzione Christofle. Fu nel 1830 che il capostipite Charles fondò la Maison e nel 1842 brevettò la speciale argentatura e doratura elettrolitica, diventata famosa col suo nome. Oggi in mostra si possono ammirare tanti oggetti e complementi dalle patine e smalti speciali che riscossero grande successo tra personaggi illustri dell’epoca, tra i quali Luigi Filippo e Napoleone III.

manualità. Tante le opere in mostra, soprattutto sculture, oggetti d’arredo, monili, realizzati in metallo, bachelite, pietra, alluminio, oro, pietre preziose. La mostra è stata realizzata grazie a Siegelson, Christie’s, Van Cleef & Arpels e collezionisti privati. HOLLYWOOD COSTUME Fino al 27 gennaio 2013 Londra, Victoria & Albert Museum Più di 100 abiti di scena, attraverso un secolo di storia del grande cinema di Hollywood (dal 1912 al 2012), fanno rivivere personaggi indimenticabili dei film più famosi: Scarlett O’Hara, Jack Sparrow, Dorothy Gale, Indiana Jones... La mostra mette in luce l’importanza che gioca il costume di scena e ci conduce in un viaggio che, partendo da Charlie Chaplin, attraversa gli anni d’oro fino ad arrivare agli effetti speciali di Avatar. Un’esposizione inedita che per la prima volta lascia gli archivi californiani per approdare al Victoria & Albert Museum.

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ALTRI APPUNTAMENTI El cuerpo vestido The history of garments Fino al 31 dicembre 2012 Disseny Hub Barcelona Angel’s tears of Gems of the Ocean Pearls in the History of Jewellery Fino al 27 gennaio 2013 Schmuckmuseum - Pforzheim MOSTRE AL METROPOLITAN MUSEUM OF ART DI NEW YORK: 1) Colors of the Universe Chinese Hardstone Carving 16 giugno 2012–6 gennaio 2013 2) Gems of European Lace, ca. 1600–1920 Fino al 13 gennaio 2013 3) British Silver The Wealth of a Nation Fino al gennaio 2013

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4) Turkmen Jewelry from the Collection of Marshall and Marilyn R. Wolf Fino al 24 febbraio 2013 5) Extravagant Inventions The Princely Furniture of the Roentgens Fino al 27 gennaio 2013

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d i M a t t e o Ve r c e l l o n i

PLASMARE LA MATERIA Il negozio Marni a Londra (courtesy Sybarite), nella pagina a ďŹ anco il Museo del Design di Holon (courtesy Ron Arad Associates).

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90 anni PER IL DESIGN

TRASMETTENDO UN KNOW-HOW SULLA LAVORAZIONE DEI METALLI E UN MODELLO IMPRENDITORIALE, LA MARZORATI RONCHETTI È UN RIFERIMENTO PREZIOSO A LIVELLO INTERNAZIONALE

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Sopra, Spun Coriolis Chair di Thomas Heatherwick (Cristiano Corte). Sopra, da sinistra, Missoni a Beverly Hills (Missoni), acciaio martellato lucidato a specchio (Hunven Clements-Photography).

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Cantù, la «capitale» dell’industria del mobile della Brianza, è il luogo dove nasce, si forma e si sviluppa nel tempo la Marzorati Ronchetti, oggi giunta, di generazione in generazione, al suo 90° anniversario. Si tratta del «permanere nel tempo» di un’attività artigianale, di un saper fare, che testimonia il valore di un know-how difficilmente replicabile, basato su una sapienza artigiana e manifatturiera capace di rispondere a tutto ciò che è «fuori dallo standard» e che, come la sua storia ben documenta, è in grado di rispondere alle esigenze e alle richieste più varie e complesse del mondo del design, estese poi all’architettura degli interni, a episodi progettuali di tipo eccezionale e al mondo dell’arte in senso lato. Al settore della casa e dell’architettura d’interni si rivolge in modo diretto la Fratelli Marzorati, che dal 1956 diventa Marzorati Ronchetti, nome che rimane immutato scavalcando il millennio. Negli anni del boom economico l’azienda di Cantù diventa un punto di riferimento per le imprese artigiane impegnate nel settore dell’arredo. Un settore dove continua a dominare il mobile in stile, offerto secondo la fortunata formula di ambiente completo, ma dove comincia a crescere la domanda di «arredi moderni». In alcune zone d’Italia è presente una quantità di piccole imprese artigiane, falegnamerie con pochi addetti, che in questi anni avviano una produzione meccanizzata, trasformandosi in breve in «aziende industriali» piccole o medio-piccole, a conduzione familiare, in un settore che conserverà sempre una caratteristica di alta frammentazione e un Dna di «memoria artigianale» che, nel campo della produ-

zione del furniture design ha permesso l’affermarsi del modello italiano, caratterizzato da alta flessibilità e innovazione. Una delle molte iniziative tra le più interessanti e durature del design italiano, una delle tante storie di un quadro complesso e multilineare, volendo assumere come fenomeno unitario progetto di architettura, d’interni e di design, in cui vediamo Marzorati Ronchetti nel ruolo di protagonista indiretto quanto prezioso, è la formazione, nel 1947, di Azucena, primo negozio in Italia a occuparsi di produzione e vendita di oggetti e arredi. Voluto da Luigi Caccia Dominioni con Ignazio Gardella e altri, Azucena fu fondata in un primo tempo per colmare la mancanza di arredi e oggetti adatti alle abitazioni che gli stessi architetti fondatori progettavano, restauravano e ridisegnavano, e forse anche per superare il troppo restrittivo programma del «mobile razionale». Più che un catalogo di mobili moderni da pubblicizzare per un vasto pubblico, più che un programma «gridato» in forma avanguardistica, Azucena raccoglie senza clamore pezzi di design scaturiti da un percorso progettuale più articolato, pensati per completare gli interni di edifici in via di costruzione o recupero da parte dei suoi autori. Sperimentazione ed eleganza, misura, essenzialità, invenzione, sono le caratteristiche dei pezzi di Azucena, alcuni dei quali realizzati appunto dalla Fratelli Marzorati e poi da Marzorati Ronchetti, arredi sempre tesi a sottendere un’idea di architettura d’interni cui si rapportano per intensità concettuale e materica. Emerge da tale esperienza un importante concetto della realtà industriale italiana e di quella della Brianza in particolare:

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Sperimentazione ed eleganza, misura, essenzialità e invenzione sono i segreti dell’impresa di CantÚ

Sopra, dettaglio macro del materiale in lavorazione (Cristiano Corte); in alto, pensilina Atm Milano (courtesy Antonio Citterio & partners)

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Sopra, British Museum (Hunden-ClementsPhotography), dettaglio macro del materiale in lavorazione (Cristiano Corte). Sotto: Spun Coriolis Chair di Thomas Heatherwick (Corte).

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il valore del distretto industriale assunto come insieme di realtà produttive di piccola e media dimensione capaci di azioni sinergiche e di trasmettere e conservare una sapienza artigianale in grado di rinnovarsi senza perdere la capacità e l’unicità costruita nel tempo. È questo il caso della Marzorati Ronchetti, tra i protagonisti del distretto industriale della Brianza, che ha perseguito quel procedimento che, di generazione in generazione, ha saputo trasmettere un know-how prezioso e un modello imprenditoriale di riferimento nel mondo. Da azienda esecutrice di richieste specifiche per il design in senso lato, specializzata nella lavorazione dei metalli (ferro verniciato e ottone cromato in un primo tempo e poi acciaio inossidabile, sino a estendere il know-how a ogni tipo di metallo), Marzorati Ronchetti negli anni 70 aggiunge la dimensione della produzione di servizi integrati alla produzione di oggetti complessi. Dalla logistica allo sviluppo esecutivo di ambienti, spazi commerciali, oggetti e manufatti per l’architettura, Marzorati Ronchetti perfeziona nel tempo un essenziale supporto tecnico e di controllo della qualità che si aggiunge alla sua sapienza artigianale. Alla fine degli anni 80 l’azienda si offre sulla scena internazionale spingendo la lavorazione dei metalli, soprattutto dell’acciaio inox, verso le massime tensioni espressive. Da questo punto di vista l’avventura del 1992 con Metals, giovane marchio di design sperimentale caratterizzato da collezioni di arredi di metallo e soprattutto

l’incontro e il sodalizio con Ron Arad, allora designer emergente in una Londra underground, porta l’azienda a un livello di alta gamma sia dal punto di vista della produzione custom made, sia rispetto al livello di sperimentazione, ponendosi nel novero delle «eccellenze» della qualità produttiva e di sapienza artigianale italiane. Il concetto di «su misura», il poter fare quello che appare impossibile per altri, il lavorare nel «fuori standard», diventano la regola e la caratteristica dell’azienda, dove a fianco alle capacità esecutrici di sapienti artigiani, che sanno «accarezzare» e forgiare i metalli enfatizzandone forma e superfici, si uniscono le qualità dei tecnici dell’azienda. La vicenda della Marzorati Ronchetti è anzitutto una storia italiana, legata al territorio della Brianza conosciuto nel mondo come patria dell’arredo made in Italy. Una storia che ha mantenuto e sviluppato un saper fare artigianale proiettandolo nel nuovo millennio con logiche nuove e modalità di approccio al progetto sempre più professionali e complete, che hanno saputo conquistare il mercato internazionale per il valore di una capacità esecutiva difficilmente imitabile. Il concetto di «lusso», segmento principale di mercato verso cui l’azienda si rivolge, diventa per Marzorati Ronchetti un valore di sostanziale qualità più che un criterio stilistico o di opulenza superficiale, una garanzia da offrire al mercato mondiale per ogni progetto da sviluppare come nuova sfida, per non fermarsi mai e misurarsi con capacità tecniche e di esecuzione che sono sempre in evoluzione, verso un traguardo solo virtuale, quello del futuro.

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Difendere le radici

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Marco Gemelli

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IL MESTIERE È FLORENS Nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze un convegno dedicato alla contemporaneità dei nostri valori. Con un messaggio per il futuro

I mestieri d’arte protagonisti del futuro grazie alla lungimiranza di fondazioni che tramandano antichi saperi coniugandoli alla contemporaneità. Un messaggio di fiducia rivolto alle nuove generazioni quello che ha caratterizzato la sessione dei lavori di «Florens 2012» nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, a Firenze. Qui Swan Group e la Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte hanno invitato importanti relatori di caratura internazionale per evidenziare le peculiarità delle botteghe all’interno delle quali si cela un patrimonio inestimabile, costituito da un’intelligenza che è nelle mani, nel cuore e nella testa dell’uomo. Un’eredità che rischiamo di perdere ogni giorno, sotto i colpi di un pensiero globalizzante che spinge all’omologazione e all’appiattimento dei gusti. I lavori moderati dal condirettore di Swan Group, Gianluca Tenti, hanno definito una prospettiva di alte aspettative a livello internazionale, tale da confermare come la manualità unita al design siano oggi elementi di forza anche nella conquista di nuovi mercati, ovviamente se riferiti a prodotti di qualità. Per la verità il «percepito» non è solare come meriterebbe. Persistono alcuni

luoghi comuni che hanno contribuito nel tempo a rafforzare una percezione del «saper fare» vecchia, più che antica: un’immagine polverosa, una grigia fotografia di anziani chiusi nelle botteghe, curvi sui tavoli di lavoro a battere legno, soffiare vetro o forgiare metalli. Nulla di più sbagliato. I più saggi lo hanno capito da tempo, offrendo al maestro d’arte tutele istituzionali e legislative (soprattutto all’estero), oltre a quelle economiche frutto di mecenati e aziende lungimiranti. L’Italia deve molto a Franco Cologni, presidente dell’omonima Fondazione, secondo cui la soluzione parte dalla semantica: «L’artigianato artistico viene fatto coincidere con l’idea del lusso, con tutto ciò che ne deriva in termini di percezione. In realtà è un bene culturale, un valore che si tramanda nel tempo». Dello stesso parere Mauro Fancelli, presidente degli artigiani di Cna Firenze (11mila imprese) e vicepresidente di Florens: «La capacità di abbinare creatività e manualità per trasmettere emozioni è un linguaggio attraverso cui l’uomo si scambia cultura». Stefano Micelli, docente di Economia e gestione delle imprese all’Università Ca’ Foscari di Venezia, ammette che «oggi il ter-

COMUNICARE LA TRADIZIONE Sopra da sinistra, gli interventi di Stefano Micelli e Franco Cologni, Giovanni Gentile consegna il «Marzocco» a Juan Carlos Torres (Ceo di Vacheron Constantin) con Mauro Fancelli di Florens, a destra Enrico Finzi. Nella pagina a sinistra il Salone dei Cinquecento.

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Difendere le radici

mine artigiano rischia di apparire antico, mentre è importante modificarne la percezione e farne un volano di crescita». La sua ricetta passa attraverso una lettura internazionale: le esperienze degli Stati Uniti (il lavoro artigiano viene premiato sulle testate che trattano di innovazione e sviluppo) o della Francia mostrano come si ricomincia a parlare di «eroi» in grado di far crescere l’economia. Da qui tre proposte: sviluppare il commercio su internet, trovare nuovi spazi distributivi che diano visibilità, creare il racconto avvincente di ciò che viene fatto. Anche perché gli italiani sanno cosa sono i mestieri d’arte, ma solo a grandi linee. Secondo un’indagine di AstraRicerche, presentata da Enrico Finzi, condotta su oltre mille persone tra i 18 e i 55 anni, prendendo in esame 25 categorie artigianali emerge una conoscenza diffusa ma approssimativa: «In generale, nonostante un giudizio positivo (8,7 punti su 10), la conoscenza dell’artigianato artistico cresce con l’età». Il futuro è nella convinzione che le eccellenze non sono delocalizzabili, che tra i giovani prevale la voglia di distinguersi. Operazione realizzabile coniugando tradizione e nuove tecnologie. Lidea di mestiere d’arte è strettamente legata al talento, ma ciò non è sufficiente. Lo conferma il direttore della Fondazione Cologni, Alberto Cavalli: «Il talento senza impegno, metodo, tempo e costanza non serve. Non possiamo fare a meno del saper fare, perché gli artigiani innervano un sistema economico e culturale su cui per decenni l’Italia ha avuto la leadership.

Invece oggi siamo diventati il Paese delle tre A (alimentare, abbigliamento, arredamento) ma anche delle tre I (ignoranza, invisibilità, irrilevanza)». Servono formazione, apprendistato, inserimento nel lavoro. Tramandare conoscenza e segreti della manualità. Contaminazione con il design. Giampiero Maracchi, che guida l’Osservatorio Mestieri d’Arte, nel rivendicare il ruolo delle fondazioni bancarie che difendono le antiche professioni dice: «Viviamo la fine di un’epoca e di un modello di sviluppo. Guardiamo al futuro». A Firenze sono risuonate le parole appassionate di Franz Botré (direttore ed editore di Swan Group): «A 14 anni ho imparato dai frati a fare il tipografo. Capivo che il mondo della stampa mi piaceva e ne ho fatto una professione, creando giornali e diventando editore di me stesso». Ospite d’onore del convegno Vacheron Constantin, che ha fatto del tramandare il proprio «savoir faire» un must sin dalla fondazione, oltre 250 anni fa. Il Ceo, Juan Carlos Torres, ha ripercorso la storia della Maison nata nel crogiolo creativo della Ginevra post riforma calvinista, sottolineando come la missione sia rimasta immutata: 20 persone l’anno sono candidate a raccogliere l’eredità di Jean-Marc Vacheron, ma le attività sono molteplici, dalla collezione «Metiers d’art» alle partnership con settori esterni all’orologeria. «La nostra Maison», ha dichiarato Torres ricevendo il Marzocco di Firenze dalle mani del presidente di Florens, Giovanni Gentile «promuove i mestieri d’arte». Parole appassionate, cui hanno fatto eco quelle di Rosa Maria Villani (Scuola dell’arte della medaglia) e di Enrico Marinelli (Guild of the Dome).

PROMUOVERE IL DOMANI Sopra, il «Genio della vittoria» di Michelangelo esposto in Palazzo Vecchio. In alto da sinistra in senso orario, affresco vasariano, Gianluca Tenti, Franz Botré, Rosa Maria Villani, Giampiero Maracchi, la statua di Papa Leone X, Alberto Cavalli ed Enrico Marinelli.

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LO SMALTO DELL’ARTE L’artigiano smaltatore di Vacheron Constantin riproduce l’intero soffitto dipinto da Marc Chagall con l’antica tecnica ginevrina della miniatura a smalto «Grand Feu».

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ATTRAVERSO PRESTIGIOSE AZIONI DI SOSTEGNO CULTURALE E GRAZIE A PARTNERSHIP CON ISTITUZIONI LEGGENDARIE QUALI L’OPÉRA DI PARIGI, VACHERON CONSTANTIN PROTEGGE E PROMUOVE IN TUTTO IL MONDO I PIÙ RAFFINATI MESTIERI D’ARTE. COME LA LIUTERIA CELEBRATA A MILANO

LA MEMORIA TEMPO DEL FUTURO di Alberto Cavalli

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Come ironicamente diceva il sommo Johann Sebastian Bach, non è difficile suonare bene: basta eseguire le note giuste al momento giusto. E questo intreccio perfetto di tempo e tecnica, di intuizione e interpretazione è ciò che da sempre caratterizza i preziosi orologi di Vacheron Constantin. La più antica Manifattura elvetica di alta orologeria, fondata a Ginevra nel 1755, porta infatti avanti con convinzione un’attenta azione culturale basata sul recupero e sulla valorizzazione dei mestieri d’arte: attività dove il maestro è anche e soprattutto interprete, in grado di performare gesti sapienti e consapevoli per creare un calibro o una complicazione, incastonare e smaltare. Numerose sono le azioni che la Manifattura dedica al sostegno della cultura del più raffinato artigianato artistico. Come il finanziamento delle Giornate europee dei Mestieri d’Arte: un appuntamento annuale che a Parigi, Ginevra e Milano invita il grande pubblico a lasciarsi appassionare dalle arti e dai mestieri. Ma per meglio manifestare un savoir-faire che unisce il tempo, l’arte e la cultura, Vacheron Constantin ha posto in atto iniziative di mecenatismo anche e soprattutto in campo musicale. Divenendo partner dell’Orchestre de la Suisse Romande, per esempio: la prestigiosa istituzione ginevrina e la Manifattura hanno stretto una partnership triennale, per diffondere attraverso le tournée internazionali quello slancio verso il mondo che Vacheron Constantin da sempre coltiva, come i primi viaggi dei fondatori Jean-Marc Vacheron e François Constantin testimoniano.

Questa è la più antica Manifattura elvetica di alta orologeria e porta avanti un’attenta azione culturale

La partnership si esplicita anche nel sostegno della Manifattura al diploma in Pratica d’Orchestra: un diploma per un mestiere che ha caratteristiche diverse da quello del solista, come sottolinea il Presidente dell’Osr Metin Arditi. L’arte della precisione, del rinnovamento e della meraviglia, tipica di Vacheron Constantin, accomuna la filosofia della Manifattura anche a quella dell’Opéra di Parigi: teatro fra i più famosi al mondo, negli anni Sessanta ebbe il coraggio di sfidare i severi custodi dello stile Napoleone III per affidare a Marc Chagall un nuovo, onirico soffitto. E proprio all’affresco di Chagall è dedicata la collezione di alta orologeria «Métiers d’Art» di Vacheron Constantin: sin dal 2007 è infatti in atto una partnership che lega la Manifattura alla prestigiosa istituzione francese, e l’affresco di Chagall ha dato il via a una collezione composta da 15 preziosi esemplari di alta orologeria. Su questo primo, magnifico esemplare i maestri di Vacheron Constantin hanno dimostrato tutta la loro perizia: su una superficie di 31,50 millimetri, infatti, hanno riprodotto con la tecnica del Grand Feu l’intero affresco, che si estende su oltre 200 metri quadri. Solo pochissimi artigiani padroneggiano il Grand Feu, con i suoi segreti e le sue infinite operazioni: non poteva dunque esserci miglior legame di questa tecnica per unire lo spirito visionario di Chagall, la spinta culturale dell’Opéra e la lungimiranza della Manifattura, che sa fare tesoro delle arti e dei mestieri del passato per tradurle in oggetti contemporanei. Ma come ogni orologio si

AUTENTICHE OPERE D’ARTE Smaltatura dell’orologio Métiers d’Art Chagall & l’Opéra de Paris «Omaggio a P. I. Tchaikovski» per Il lago dei cigni. Nella pagina accanto particolare del quadrante a smalto «Grand Feu».

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riferisce a un tempo che è sorgente di movimento, così la musica necessita non solo di grandi interpreti, ma anche di magnifici strumenti. Strumenti la cui costruzione richiede tecniche artigianali che sconfinano nel misterioso, e che sono state custodite e tramandate in bottega per generazioni: si pensi alle leggende che nei secoli sono fiorite intorno ai grandi liutai cremonesi, da Stradivari a Guarneri del Gesù. I loro strumenti sono diventati un paradigma di riferimento irrinunciabile per tutti i liutai del mondo: e Cremona, la Lombardia, l’Italia tuttora rappresentano un distretto vivace e vitale dove i più raffinati strumenti ad arco prendono vita. Per celebrare la dignità e l’eccellenza cremonese in questo settore, la città si sta dotando di un nuovo museo che sarà il più grande al mondo: ma al fine di trasmettere al grande pubblico l’importanza e la bellezza del mestiere d’arte del liutaio è necessario legare non solo lo strumento alla sua storia, ma anche alla sua musica. Al suono. All’esecuzione straordinaria cui l’interprete darà vita, facendo vibrare quei legni e quelle corde che mani sapienti hanno costruito in mesi e mesi di paziente lavoro così come un maestro orologiaio compone le sue sinfonie meccaniche avendo sempre in mente il modello, il paradigma, il riferimento. Al fine di valorizzare la celebre arte liutaria italiana, legandola a un’esperienza musicale di livello internazionale, Vacheron Constantin ha deciso di sostenere la mostra «Costruttori di Armonie», realizzata dalla Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte in partnership con

Per valorizzare la celebre arte liutaria italiana, viene sostenuta la mostra Costruttori di Armonie

l’Orchestra Verdi di Milano e con la Fondazione Antonio Stradivari di Cremona, e con il contributo di Intesa Sanpaolo. La mostra è stata inaugurata il 5 dicembre a Milano presso l’Auditorium di Milano Fondazione Cariplo di Largo Mahler con un concerto straordinario dell’Orchestra della Suisse Romande. In quell’occasione, due strumenti prodigiosi della scuola classica cremonese si sono alternati nelle mani del solista Vadim Repin: il suo Guarneri del Gesù, con il quale ha suonato Mendelssohn, e un prezioso violino intarsiato di Stradivari, messo a disposizione dalla Fondazione cremonese. Ma come la mostra vuole sottolineare, l’eccellenza nella liuteria non è confinata al passato: attraverso l’esposizione dei materiali, degli utensili di lavoro e di alcuni strumenti vincitori del prestigioso concorso triennale «Antonio Stradivari», infatti, lo spettatore è portato a entrare con attenzione e rispetto nel mondo dei maestri della liuteria contemporanea. Una mostra fotografica di Emanuele Zamponi, allestita nel foyer del primo piano, aiuta a scoprire la dimensione operosa ma anche contemplativa delle botteghe cremonesi, dove ogni gesto è consapevole e preciso; e i legni della Val di Fiemme, donati dalla Magnifica Comunità che è custode del famoso «Bosco dei Violini», ricordano che dentro ogni strumento vi è un materiale vitale, che vibra insieme al corpo. Come un orologio, che non indica soltanto lo scorrere del tempo ma che al tempo stesso dà valore, legandosi a ogni movimento che parla di noi e dei nostri sogni.

BELLEZZA ESTETICA, QUALITÀ ETICA In alto: orologio Métiers d’Art Chagall & l’Opéra de Paris: il quadrante accoglie in 31,5 mm un’opera di 200 mq. Sopra: la “bellezza interiore” di Vacheron Constantin e liutaio al lavoro. A destra: un’altra foto dalla mostra “Costruttori di Armonie” (Auditorium di Milano, 6 dicembre-7 aprile).

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di Ugo La Pietra

foto di Andrea Basile

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Creare valore

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Sembrano

FACILI I PROGETTI DEL GIOVANE DESIGNER DAMIANI SEGUONO UN PERCORSO CREATIVO ORIGINALE CARICO DI CURIOSITÀ, LEGGEREZZA E UNA DOSE DI IRONIA

IMPREZIOSIRE LA MATERIA Sopra, dettaglio di un piatto della collezione «Ripensa» (2006, Autoproduzione) in cui lo scarto, la rottura, sono recuperati esteticamente e costituiscono il valore aggiunto dell’oggetto. Nella pagina a lato, dettaglio di una ciotola in vetro di Murano di «152 Collection» (2008/2009, produzione Fornasier Luigi) in cui vengono riutilizzati i «cocciami», gli scarti che diventano parte integrante del progetto.

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48 Piccole trasgressioni, scatti carichi di azzardi, malizia nel porgere, intelligenza nel guardare. Damiani ha l’arguzia per cogliere ogni piccola occasione, e quindi intessere rapporti con aziende di vario tipo, cercare e trovare la disponibilità dei materiali, giustapporre le parti per arrivare, in molti casi, addirittura alla creazione di nuove tipologie. Lorenzo Damiani ha ripercorso con il suo progetto moltissimi oggetti: dal tavolo allo specchio, dal ventilatore al crocifisso, dalla bottiglia al pettine e poi il cavatappi, il rubinetto, la maniglia e… reinterprentandole non solo con la sua capacità «di dare forma» ma anche con un metodo tutto personale. Un metodo basato sulla decodificazione e reinterpretazione dell’oggetto, attingendo alle modalità e all’esperienza delle discipline vicine al design, come l’arte e l’arte applicata, e operando con sempre maggiore lucidità. Molte opere di Damiani sono il risultato di personali sperimentazioni, di manipolazioni e di una grande passione nei confronti della sua «bottega artigiana» fatta di partecipazione, passione, voglia di conoscere la materia ma anche capacità di infondere in quest’ultima intelligenza e ironia. Quegli oggetti che a prima vista appaiono «sem-

plicemente ingenui» sono il risultato più qualificante per il suo lavoro e questo è la dimostrazione dell’entusiasmo con cui Damiani affronta il progetto e della facilità con cui raggiunge la sintesi tra pensiero e materia, per arrivare alla forma che interpreta alla perfezione la sua funzione. Il modo migliore per leggere i contenuti, le invenzioni, le trasformazioni dei materiali nelle opere di Damiani è analizzarne qualcuna delle più rappresentative. L’attenzione alle problematiche ambientali e produttive, nella logica che è meglio riutilizzare piuttosto che buttare dando vita a modi diversi di interpretare l’uso dei materiali, è ben leggibile in numerosi progetti tra i quali «Udine Chair», sedia con un’imbottitura morbida e confortevole realizzata servendosi di quella segatura che, generalmente, viene eliminata durante i cicli di lavorazione. Perché non riutilizzarla? È pur sempre nobile legno! In «152 collection» sono gli scarti di un altro nobile materiale, il vetro, a dar vita a una collezione di ciotole. L’idea nasce soffiando dei contenitori trasparenti a forma di ciotole dentro cui vengono inseriti i «cocciami» delle lavorazioni muranesi che, opportunamente ripuliti, divengono parte integrante del progetto. Questi scarti dalle

PURE IN QUESTO PROGETTO PREVALE

L’ASPET T O

AIRPOUF – 2005 – PRODUZIONE CAMPEGGI Airpouf è un aspirapolvere che può essere collocato in bella mostra per accogliere gli ospiti, comodo come seduta ma anche come elettrodomestico. La fusione tra i due elementi dà vita a una tipologia oggettuale ibrida, un pouf–aspirapolvere ricoperto di tessuto sfoderabile. Si presenta come una sfera con tre fori: uno per il tubo di aspirazione, uno per l’accensione e uno per lo sfiato.

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Creare valore

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LUDICO CHE ESALTA LA CREATIVITÀ

forme e dai colori bellissimi, che rimandano a lavorazioni esclusivamente artigianali, in base al D.lgs. 152/2006 devono essere trattati secondo procedure precise e rigorose perché potrebbero rilasciare dei microinquinanti tossici nell’aria. Con il progetto 152 i rifiuti speciali vengono inseriti nella ciotola che, avendo una camera d’aria, può ospitare questi materiali. Successivamente la ciotola viene sigillata permanentemente e il cocciame non può entrare in contatto diretto con l’utilizzatore. Sul recupero del valore dello scarto, non solo in quanto materiale ma anche in quanto «memoria» di un tempo vissuto, il progetto di autoproduzione «Ripensa» si spinge ancora più in là: concepito partendo da un’intenzione ecologicamente anticonsumistica dove «conservare» è meglio di «riciclare», «Ripensa» è un kit di smalto colorato con cui colmare lacune, sbeccature e piccole rotture che possono verificarsi nei servizi di piatti a causa dell’uso quotidiano, valorizzando le cose esistenti, e quindi la loro durata nel tem-

po attraverso l’intervento creativo dell’utente finale. In questo progetto è leggibile chiaramente anche un altro aspetto del lavoro di Damiani che è quello ludico: il gioco come recupero della creatività di chi usa gli oggetti e li vive nella propria quotidianità, come accade con «Airpouf», un aspirapolvere che può essere collocato in bella mostra per accogliere gli ospiti, comodo come seduta ma anche come elettrodomestico. La fusione tra i due elementi dà vita a una tipologia oggettuale ibrida, un pouf–aspirapolvere ricoperto di tessuto sfoderabile. Si presenta come una sfera con tre fori: uno per inserire il tubo di aspirazione, uno per l’accensione e uno per lo sfiato dell’aria; delle sfere colorate chiudono i fori quando il pouf viene utilizzato come seduta e prendono il volo rimanendo sospese nell’aria quando viene attivato l’aspirapolvere. Gioco, attenzione all’ambiente e alla produzione, ribaltamento e transizione dell’utilizzo delle varie tecnologie all’insegna della creatività e del piacere di creare oggetti belli e giusti.

RECUPERARE LO SCARTO Sopra, «Udine Chair» (2003), seduta confortevole realizzata servendosi della segatura che, generalmente, viene eliminata durante i cicli di lavorazione. Questo progetto è un esempio sulle possibilità di consumare meno risorse. Sotto, vaso dalla collezione «I Truciolari» (2010, realizzazione Arredamenti Garbagnati), realizzata in pannelli di truciolare incollati e modellati al tornio.

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Maestri del design

IL TRATTO ELEGANTE Walter de Silva, responsabile del design del gruppo Volkswagen, davanti al concept car Audi quattro rievocazione della celebre sportiva degli anni 80. Un laboratorio tecnologico per le soluzioni stilistiche dei modelli di Ingostadt in Germania. La «matita più famosa al mondo» annovera tra le sue creazioni più famose le ultime Golf e l’Audi A5 che gli è valsa il premio RFT 2010.

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L’AUTO vive di equilibrio

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assoluto tra tecnologia e artigianalità. Parola di Walter de Silva, la matita più famosa al mondo, che in un’intervista con l’amico Mario Favilla svela un segreto

FREDI MARCARINI

ai giovani disegnatori: «Dovete imparare con umiltà»

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di Mar io Favilla e A ldo A g nelli

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Maestri del design

Mario Favilla, oggi docente di car design presso il Politecnico di Milano, ha lavorato con Walter de Silva per dieci anni in Alfa Romeo. È autore di un volume attualmente in preparazione presso Marsilio Editori, a cura della Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte, in uscita per la primavera 2013, dedicato al car design, con le testimonianze dei grandi protagonisti di questo mestiere affascinante, che fonde l’alta tecnologia con una straordinaria artigianalità. Mestieri d’Arte pubblica in anteprima una versione ridotta dell’intervista a Walter de Silva, rilasciata all’amico e collaboratore e destinata al volume di prossima pubblicazione. Le fotografie del libro, realizzate nei centri stile delle case automobilistiche, sono di Aldo Agnelli. DOMANDA: La bellezza nell’auto: che cosa significa e come

riesce una casa automobilistica a creare linee innovative e durature che siano anche belle? RISPOSTA: Il concetto di bellezza ha due dimensioni, quella soggettiva e quella oggettiva. La prima è legata al giudizio personale, la seconda riguarda la relazione tra etica ed estetica. Un progetto per prima cosa deve essere etico. Il car design si deve porre al servizio del concetto di funzione e solo con regole e funzioni da società civile e democratica si possono realizzare progetti armoniosi, rispondenti allo scopo per cui sono stati pensati. Il modo migliore per fare auto belle è cercare di non allontanarsi da questi principi, che sono poi gli stessi del design industriale: buona architettura, buone proporzioni e, per quanto possibile, non essere super decorativi. Il progetto non deve stancare, dato che l’auto ha un ciclo di vita che va dai 4 ai 7 anni. L’innovazione estetica è certamente difficile perché a quei principi etici e funzionali, precisi e razionali, devi applicare una buona dose di emozionalità. E qui torna in gioco la bellezza soggettiva che si basa sulla sensibilità personale. Io curo molto questo aspetto: rispetto alle forme ho un modo di percepire il bello che non è legato solo agli occhi, ma anche al tatto. Spesso è toccando, sfiorando, accarezzando che capisco dove si trova l’errore nel movimento di una superficie. D: Si dice che tanto più grandi sono i vincoli posti al car

designer, tanto più si esalta nel dimostrare la sua creatività. R: Il vincolo è fondamentale. Non bisogna confondere la libertà con la creatività; il vincolo è l’elemento che dà la dimensione del tuo impegno. I limiti sono un grande stimolo: le regolamentazioni, la sicurezza, i costi, il tempo. In 40 anni di esperienza ho visto l’arrivo di innumerevoli novità tecniche e normative e, anziché lamentarmi, ho sempre cercato di trasformarle in opportunità. Quando un amico giornalista mi ha chiesto se non avevo provato frustrazione a disegnare la settima generazione di Golf, ho esclamato che secondo me i frustrati sono quelli che non hanno mai disegnato una Golf! D: Nel selezionare i car designer del futuro quanto pesano gli equilibri psicologico-culturali e il binomio creatività-riflessività? Quali sono i suggerimenti per gli aspiranti car designer? R: In azienda facciamo selezione di continuo. Nei primi anni per i giovani la cosa più difficile è avere l’umiltà e la voglia di imparare. Nelle selezioni cerchiamo ragazzi che abbiano personalità, capacità di apprendere, curiosità e modestia: io ho visto talenti veri bruciarsi in un anno perché gli mancava tutto questo e, al contrario, giovani meno talentuosi che con la forza d’animo e la giusta mentalità hanno intrapreso percorsi più importanti. Purtroppo capita di trovare persone dotate di grande talento che non hanno voglia di imparare. Per contro, mi auguro che aumenti la voglia di trasmettere professionalità ai giovani: vedo molti vecchi che hanno fatto una bellissima carriera e non sono capaci di passare il testimone. D: Quanto un car designer deve avere capacità di mediazione e qual è la sua mission? R: Il car designer è un mediatore per eccellenza: il progetto passa attraverso una serie interminabile di forche caudine. L’automobile è uno degli oggetti più complicati, causa di continue discussioni e dibattiti e viene spesso messa sul banco degli imputati, specie in momenti di crisi. La missione del car designer è particolare. Non solo deve fare auto che corrispondano a sogni ed esigenze del cliente, ma anche che non aumentino l’inquinamento, atmosferico e visivo, di cui raramente si parla. Una brutta automobile per me è imbarazzante.

DALL’IDEA AL MODELLO Sopra da sinistra, lavorazione del modello in clay scala 1:4 della nuova Audi Quattro, presso l’Advanced Design Audi di Monaco; pomello della leva del cambio. Nella pagina a lato, figurino trattato con tecnica Tape della nuova Audi Quattro. Le immagini del libro in preparazione per Marsilio editori a cura della Fondazione Cologni per i Mestieri dell’Arte sono state realizzate da Aldo Agnelli.

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ALDO AGNELLI

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ALDO AGNELLI

UNA VITA TRA FUNZIONALITÀ E INNOVAZIONE

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Walter Maria de Silva, uno dei car designer più geniali e innovatori a livello internazionale, è nato a Lecco il 26 febbraio 1951. La sua lunga carriera nel settore automobilistico è iniziata nel 1972 presso il Centro Design Fiat di Torino, continuando con un’esperienza di quattro anni, dal 1975 al 1979, presso lo Studio Bonetto di Milano. Successivamente diviene membro dell’Istituto Idea di Torino, dove per sette anni è stato a capo dell’area Design Industriale e Automobili. Dal 1986, dopo un breve periodo trascorso lavorando per Trussardi Design Milano, è responsabile del Centro Design Alfa Romeo di Milano, ruolo che ha mantenuto fino ai tardi anni Novanta. Nel 1999 è entrato in Seat come Capo del Seat Design. Fino al marzo del 2002 è stato responsabile Design per il gruppo Audi, che comprende i marchi Audi, Lamborghini e Seat. Viene nominato responsabile del gruppo Design di Volkswagen nel febbraio 2007 e da allora si occupa di tutti i marchi che fanno parte del Gruppo. Tra i molti riconoscimenti ha ricevuto il «Premio per il Design della Repubblica Federale Tedesca 2010» per il design dell’Audi A5, il «Compasso d’Oro» nel luglio 2011 e il «Premio alla Carriera 2011» conferitogli a Detroit (EyesOn Design).

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UNA GEST UALI TÀ LIBERA CHE RISCOPRE L’USO DEL VENTAGLIO

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COME DA OLTRE DUE SECOLI INSEGNA LA MAISON DUVELLEROY

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«Da che mi ricordo, ho sempre portato un ventaglio...» dice Raphaëlle de Panafieu, trentenne parigina, ricordando come il padre (che viaggiava spesso in Asia) quando era piccola portasse ogni volta a lei e alle sue due sorelle proprio un ventaglio. Un giorno ne volle acquistare uno con i suoi soldi: ma i ventagli asiatici, così come quelli spagnoli che trovava sui lungomare delle spiagge, non erano affatto di suo gusto. Certo, svolgevano sempre la loro funzione, ma erano troppo “asiatici” o troppo “spagnoli”: non corrispondevano insomma alla moda. Lei voleva qualcosa di meglio. Ed è così che è iniziata l’avventura. 2009: Raphaëlle lavora per Ventilo, marca di prêt-à-porter femminile dell’alto di gamma, in qualità di responsabile della ricerca presso i department stores asiatici, dell’America del Nord e del Medio Oriente. Eloïse Gilles, dopo essere passata per Louis Vuitton, lavora sulle marche di lusso e sulla loro identità. Hanno appena trent’anni. E insieme decidono di resuscitare il ventaglio. Facile a dirsi: non così facile a farsi. Perché di specialisti nella realizzazione dei ventagli, a Parigi, non ne esistono praticamente più. Finiscono per incontrare il discendente di Duvelleroy: storica maison, fornitore ufficiale di tutte le corti europee del XIX secolo e anche inventore del famoso «linguaggio del ventaglio». E lì hanno un colpo di fortuna: la proprietaria aveva conservato tutto! Tutti gli archivi sin dalla creazione della maison, nel 1827: i calchi, le piume, i disegni, le paillettes, gli utensili, e naturalmente i cartamodelli.

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Impresa e talento

Una vera miniera d’oro. Eloïse Gilles e Raphaëlle de Panafieu acquistano la società. Siamo nel 2010: la bella addormentata si appresta dunque al risveglio. Ma non senza dover affrontare la sfida più gravosa: la tecnica. Raphaëlle ha fatto Scienze politiche, Eloïse l’Essec (grande scuola parigina di business). Sono stiliste, ma non artigiane. Hanno dunque dovuto impegnarsi ad apprendere e a comprendere come funziona un ventaglio, a sezionarlo, analizzarlo. Potendo per fortuna contare sul grande aiuto dell’erede della maison Duvelleroy. «Abbiamo realizzato i primi cartamodelli basandoci sui disegni riportati sull’Encyclopédie Universelle alla parola “éventailliste”», ricorda ora Raphaëlle; «è così che abbiamo compreso tutta la geometria del ventaglio». E poi è stato naturalmente necessario apprendere il vocabolario degli artigiani, padroneggiarne la lingua e trovare infine degli ottimi realizzatori. Eloïse e Raphaëlle hanno oggi acquisito piena legittimità: una decina di artigiani (scultori, incisori, ricamatori, nobilitatori, plissettatori...) lavorano alla confezione dei ventagli «haute-façon» di Duvelleroy. E i riconoscimenti non mancano: quest’anno la loro piccola avventura ha ricevuto il riconoscimento di «Impresa del patrimonio vivente» da parte dello Stato francese, così come il premio «Talento dell’Originalità» assegnato dal Centre du Luxe et de la Création di Parigi. Per il leggendario Moulin Rouge hanno

realizzato dei ventagli utilizzando le stesse piume di struzzo rosse che le ballerine indossano in scena. E la riabilitazione del ventaglio è in marcia. Anche se alla fine, spiegano, ciò che sembra scomparire al giorno d’oggi non è tanto l’artigianato o il savoir-faire, quanto l’utilizzo. «Oggi le donne non hanno più le mani libere. Si ingombrano con cellulari, sigarette, borse... Una gestualità gratuita è diventata un vero lusso: come quella di poter usare un ventaglio». Ed è quindi lusso ciò che loro offrono: madreperla e piume di fagiano, corno e piume di struzzo... Duvelleroy presenta due collezioni ogni anno. Tra gli ultimi modelli vi è il «Brush»: un foglio in organza di seta dipinta a mano con foglia d’oro e d’argento, e montatura in ebano. E per loro stesse? Raphaëlle ne porta in borsetta uno che ha 112 anni: tutto in madreperla e paillettes, l’ha comprato a un’asta a Drouot proprio prima di acquistare la maison. «Mi è costato molto caro, ma lo porto sempre con me: in estate come in inverno». E dato che queste signore sono anche donne del loro tempo, nonché degli assi del marketing, hanno fatto entrare il ventaglio da Colette, il tempio dello stile parigino. La loro idea geniale: associarsi a degli stilisti per dei semplici ventagli in carta, ognuno con un messaggio. Come «Air Conditioning» di Jean-Charles de Castelbajac, che si è così ritrovato in tutte le prime file delle sfilate parigine. Un lusso artigianale per un oggetto senza tempo.

LA GRAZIA DELLA MANUALITÀ Sotto, le artigiane di Duvelleroy eseguono a mano tutte le complesse operazioni necessarie per creare un singolo ventaglio. Sopra, il modello Mask. Nelle pagine precedenti, il ventaglio in piume rosse realizzato per il Moulin Rouge.

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GUSTO E TRADIZIONE COREANI Nella città di Daegu, Kim Jong-Moon e suo figlio continuano la produzione manuale di tamburi cerimoniali. Nella pagina a fianco, Studio di Park Boo Won, maestro nella lavorazione della ceramica tradizionale di Gwangju. La purezza delle acque e la qualità dell’argilla hanno fatto di questa località una delle più importanti per la lavorazione della ceramica.

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Te s o r i v i v e n t i

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VIAGGIO NELLA COREA DEL SUD, DOVE L’OSSIMORO TRA IL PROGRESSO TECNOLOGICO E LA TRADIZIONE TUTELA IL SAPERE TRAMANDATO

DIVINAPASSIONE Riflettere

sul valore della manodopera, sottile linea d’azione tra arte e artigianato dove la ricorrenza del rito e l’unicità del mito sono tutt’uno, viene dall’Estremo Oriente quando Susanna Pozzoli è invitata dalla residenza internazionale per artisti Mongin Art Space a Seoul, nella Corea del Sud. Un soggiorno di tre mesi (settembre-dicembre 2010) per sviluppare una ricerca sul senso assunto dall’artigianato in una società dominata dal progresso tecnologico più avveniristico. La civiltà sudcoreana si caratterizza per la presenza di questo ossimoro, una doppia natura votata alla modernità più spinta, attenta alla conservazione e alla valorizzazione della tradizione confluita nel culto della cerimonia e del mestiere di retaggio antico, dove la mano dell’uomo ricopre un ruolo centrale. In queste terre sempre più omologate al pensiero occidentale, il maestro d’arte spicca come una roccaforte del passato, punto di riferimento fondamentale per non perdere di vista le proprie radici e la propria identità culturale. Susanna si reca nei laboratori degli artigiani; la sua macchina fotografica si sofferma sui luoghi di lavoro dove poter cogliere il segno, l’oggetto, la realtà di un microcosmo. Ne scaturisce un racconto in filigrana. Daniele Astrologo Abadal

di Susanna Pozzoli

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Te s o r i v i v e n t i

L’incontro

avviene in Corea del Sud, dove gli artigiani, considerati, ricercati e protetti dallo Stato, non sono facilmente avvicinabili. I loro nomi sono pubblicati su riviste, valorizzati nei numerosi centri che espongono l’artigianato d’arte e persino presenti in tv. I maestri, riconosciuti come portatori del sapere specifico di una disciplina, sono molto impegnati e sollecitati. Proteggono l’intimità del proprio atelier e non amano essere disturbati. È quindi intuibile che il progetto sia iniziato ben prima della sua realizzazione fotografica: oltre a una ricerca sulle associazioni di categoria e sulle pubblicazioni specifiche, grazie alla famiglia Park (incontrata in Italia e molto inserita nel panorama artistico tradizionale) ho incontrato il professor Chu, direttore di un corso di marketing

e valorizzazione per artigiani e il presidente dell’Unione dei maestri artigiani della città di Seoul. Grazie al loro intervento ho cominciato ad avere accesso a questo milieu. In tre mesi ho fotografato venti atelier. Sapendo di non poter svolgere un lavoro esaustivo ho scelto alcuni tra i mestieri d’arte più rappresentativi: ceramica (diverse scuole), ricamo imperiale, realizzazione di ornamenti creati con fili di seta annodati e impreziositi con pietre, lavorazione in madreperla e in legno, realizzazione di arpe tradizionali, di tamburi e di maschere in carta antica, produzione di tessuti tinti naturalmente, quella della carta coreana e degli oggetti che con essa sono creati. L’incontro con i maestri è stato sorprendente. Il rito del tè ha spesso preceduto il momento di lavoro: con l’aiuto di un traduttore, prima di accedere agli atelier un incontro formale si svolgeva in un’apposita sala o nel salottino di accoglienza. Gli artigiani volevano conoscere il mio passato e le ragioni della visita. Regole ferree di comportamento imponevano un protocollo che permetteva loro di valutare la mia serietà, dando a me una chance preziosa per cogliere parte del carattere di chi mi stava di fronte. Con le gambe incrociate sotto un tavolo basso, insieme al maestro solitamente si presentavano gli apprendisti, a volte la moglie o il marito e i figli. In questi istanti preziosi ho avuto l’occasione di ascoltare il racconto di un sapere tramandato con rigore ma anche con grande gioia, e ho visto l’apprezzamento e la stima di cui questi grandi artigiani godono. La loro passione e l’orgoglio che dimostrano nei confronti delle proprie tradizioni è tangibile. «Korean way» è il leitmotiv per differenziare una tradizione simile ma differente rispetto a quelle giapponesi e a quella cinese antica. Questo confronto con la ricchezza della cultura tradizionale coreana e la struttura che la protegge e ne garantisce la continuità generazionale, è stato una sorpresa. In un Paese votato alla modernità, collocato tra due culture forti, le radici diventano fondamentali. In un periodo di confusione, globalizzazione e crisi economico-culturale, ritrovare le tradizioni e saperle contestualizzare è una chiave contro il consumismo più aberrante.

UN VIAGGIO SPIRITUALE NEGLI ATELIER Sopra, il laboratorio di Lim Hang-Taek ceramista di Icheon-si; il suo atelier è inserito in una casa-studio dalle linee eleganti e minimali. A lato, 1, 4. Lee Beyeong-Seop e la sua famiglia sono l’ultima realtà a produrre carta tradizionale interamente a mano. 2. Un’altra immagine dell’atelier di Lim Hang-Taek. 3. Lee Bong Ju nel laboratorio di Mungyeong realizza piccole anfore in peltro e ottone battute a mano.

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E c c e l l e n z e Tde as lo rmi ovnidvoe n t i

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LIBRO D’ARTISTA

Un libro d’artista, interamente fatto a mano con la consulenza tecnica dei due artisti giapponesi Fumitaka e Ayumi Kudo, è il risultato finale di questo progetto. Il libro consta di una selezione di dieci stampe Fine Art inserite una per una in fogli trasparenti che, rilegati con il metodo orientale, compongono le pagine del volume. Leggerezza, equilibrio e originalità sono alla base del progetto editoriale concepito a partire dalle fotografie degli atelier di grandi maestri artigiani. Il libro si caratterizza per la preziosità dei materiali, la tecnica di stampa e per il design esclusivo. Il portfolio è stato realizzato con il sostegno della Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte e di Con-Temporary Art Gallery. Paola Sosio

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Educare al futuro

Una scuola

UNLAVORO

di Mariapia Garavaglia* foto di Emanuele Zamponi

IMPARARE IL MESTIERE A BOTTEGA È FONDAMENTALE PER I NUOVI ARTIGIANI. UN PROGETTO SPECIALE OFFRE A 10 GIOVANI LA POSSIBILITÀ DI COMPLETARE IN ATELIER LA LORO FORMAZIONE Al termine «politica» attribuisco da sempre almeno due accezioni di significato: una più aristotelica, che indica l’ordinato governo della molteplicità, e una più agostiniana, che lega la politica alla trasformazione della città dell’uomo nella Gerusalemme celeste. L’indimenticato Giuseppe Lazzati, grande rettore dell’Università Cattolica e irriducibile educatore, proprio nei suoi scritti sulla «Città dell’uomo» ha tratteggiato un fondamentale cammino di pensiero per tutti coloro che mirano a unire questi due significati della politica, agendo nella molteplicità ma avendo ben chiara la direzione del bene comune. Nel corso della mia carriera ho cercato di far tesoro di questo insegnamento: come ministro della Sanità, presidente della Croce rossa, vicesindaco di Roma e senatrice ho sempre creduto che il mio ruolo fosse quello di rendere fluidi, fruibili ed efficienti i servizi alla persona. Perché al centro della politica c’è proprio la persona, e le istituzioni stesse (al di là del loro funzionamento, spesso inadeguato) sono composte da persone che devono imparare a performare un mestiere, quel mestiere d’arte che è il servizio pubblico. Questa volontà «politica» di porre la persona al centro di una rete di servizi mi sostiene anche nel mio ruolo, recentemente acquisito, di presidente della Fondazione Manlio e Letizia Germozzi Onlus: espressione sociale della Confartigianato, e intitolata proprio al fondatore di questa istituzione (e alla figlia), la Fondazione Germozzi ha tra i propri scopi anche la promozione di una formazione d’eccellenza nell’artigianato e nei mestieri d’arte, e l’inserimento professionale dei giovani nel mondo del lavoro. Il lavoro, inteso come servizio e come realizzazione ordinata di sé, è un’espressione fondamentale della nostra personalità * Presidente Fondazione Germozzi

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V TRAMANDARE LA CONOSCENZA Offrire ai giovani la possibilità di lavorare a stretto contatto con grandi maestri d’arte permette loro di vivere non soltanto un proficuo periodo di apprendimento, ma anche di iniziare una reale esperienza di lavoro sul campo.

e della nostra identità: proprio per questo è importante bile grazie alla collaborazione con Afol Milano (l’Agenzia guidare i giovani alla scoperta di sé e del proprio talento, e speciale della Provincia di Milano per la Formazione, l’oagevolare quanto più possibile tutte le fasi di apprendimenrientamento e il lavoro); la selezione dei «maestri», portata to che li portino a essere non più «apprendisti stregoni» ma avanti in collaborazione con le diverse Scuole di proveattesi rappresentanti di una nuova generazione di maestri nienza dei giovani, riflette la volontà della Fondazione d’arte. Da qui la decisione di far sì che la Fondazione GerGermozzi e della Fondazione Cologni di fornire possimozzi partecipasse al progetto «Una Scuola, un Lavoro. bilità concrete a giovani di talento, per permettere loro Percorsi di Eccellenza», ideato e portato avanti dalla Fondi svilupparsi con successo come professionisti e come dazione Cologni dei Mestieri d’Arte per permettere a dieci persone. Il presidente Franco Cologni ha un progetto giovani di talento di poter effettuare un tirocinio presso un ambizioso: portare il numero dei tirocini a cento. E a idee atelier, una bottega o un atelier d’impresa di alto livello. come questa vanno non solo il nostro plauso e il nostro soGrazie a questo progetto le due fondazioni sostengono stegno, ma anche la nostra profonda riconoscenza. Infatti finanziariamente dieci tirocini semestrali, permettendo ai il futuro del nostro Paese dipende anche, e in larga migiovani (selezionati da sura, dal successo un apposito comitato che i nostri giovani di valutazione) di viveavranno nel realizGIOVANI ALL’OPERA re non solo un periodo zare i loro sogni: Il progetto «Una Scuola, un Lavoro. Percordi apprendimento sul sogni fatti a mano, si di eccellenza» ha messo a bottega dieci campo dall’alto valore fatti con cura e con giovani artigiani: tra le province di Milano, didattico, ma anche di grazia, con passioLecco, Como, Cremona, Roma e Firenze iniziare una reale espene e con impegno, hanno iniziato il loro tirocinio tre liutai, rienza di inserimento per affermare anun ebanista, un’orafa, un’attrezzista, una lavorativo. Ogni tirocora una volta che hair&make-up artist, uno specialista in tincinio è regolato da una il lavoro «a regola ture tessili, un prototipista, un’argentiera. convenzione e segue d’arte» nasce solo Informazioni: www.fondazionecologni.it un preciso progetto dal dialogo tra la formativo, reso possimano e il cuore.

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Dalla «pittura di pietra» al restauro dei grandi capolavori dell’arte, questa realtà fiorentina tiene in vita un patrimonio di saper fare e di cultura unico, al quale tutto il mondo guarda con vera ammirazione

MAGNIFICO

OPIFICIO di Alessandra de Nitto

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Restauro

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CAPOLAVORI SALVATI La Croce di Giotto nella chiesa di Ognissanti a Firenze, durante i lavori di ripulitura. Nella pagina a lato, allievi della Scuola di alta formazione dell’OpiďŹ cio delle pietre dure.

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L’Opificio ha condotto nel corso degli importanti al mondo, da Masaccio a

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Nel 1588 il Granduca Ferdinando I de’ Medici, munifico protettore delle arti, continuatore illustre della grande tradizione di mecenatismo illuminato della famiglia, fondava a Firenze, nella sede dell’ex convento di San Niccolò, l’Opificio delle Pietre Dure, regia manifattura dedicata alla splendida e affascinante arte del commesso fiorentino. La manifattura nasceva soprattutto per formare le abili maestranze necessarie alla realizzazione dei rivestimenti marmorei della grandiosa Cappella dei Principi in San Lorenzo, vero cantiere di eccellenza a cui concorsero, per circa tre secoli, i maggiori architetti, decoratori, pittori e scultori toscani. Ma soprattutto antologia sfarzosa del commesso fiorentino, la stupefacente «pittura di pietra» realizzata con i preziosi intarsi in marmo e pietre dure secondo l’ardita tecnica patrimonio dell’arte fiorentina, portata al massimo splendore dall’Opificio sotto i Medici e tutt’oggi mantenuta viva da pochi grandi maestri. Di quest’arte tanto antica e ardua quanto emozionante il Museo dell’Opificio conserva molte straordinarie testimonianze: esemplari di grande preziosità e raffinatezza, che ben raccontano la storia gloriosa della manifattura attraverso tre secoli, dal periodo granducale mediceo

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e lorenese a quello postunitario, con suggestivi materiali che illustrano anche la complessità del saper fare, dai banchi di lavoro agli strumenti. Alla fine del XIX secolo, con il tramonto delle grandi committenze medicee, l’Opificio passerà gradualmente dall’attività di manifattura a quella di centro per il restauro e il mantenimento del ricco patrimonio esistente. L’attuale Opificio, fiore all’occhiello della conservazione a livello internazionale, nasce come Istituto di restauro del Ministero per i Beni e le attività Culturali nel 1975 dall’unione dell’antico Opificio mediceo con il Laboratorio di restauro, sorto all’interno della Soprintendenza nel 1932 e sviluppatosi soprattutto a seguito dell’indimenticabile alluvione fiorentina del 1966. Fu proprio per salvare le molte opere d’arte di importanza capitale danneggiate dal drammatico evento che i laboratori fiorentini dell’Opificio approfondirono e misero a punto nel tempo competenze e tecnologie sofisticate, raggiungendo livelli altissimi di professionalità e facendo scuola nel mondo. L’Opificio ha condotto nel corso della sua lunga storia alcuni fra i restauri delle opere d’arte più importanti del patrimonio mondiale. Basti ricordare che la perizia dei suoi restauratori ha riportato allo splendore capo-

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E c c e l l e n z e d aRl e m s toanudr oo

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anni i restauri delle opere d’arte più Donatello, da Mantegna a Raffaello

lavori indiscussi come la Croce di Giotto e la Trinità di Masaccio in Santa Maria Novella, il Cristo ligneo di Donatello in Santa Croce, la Leggenda della Vera Croce di Piero della Francesca ad Arezzo, la Madonna del cardellino di Raffaello agli Uffizi, la Pala di San Zeno di Andrea Mantegna a Verona, il Codice Resta della Biblioteca ambrosiana di Milano, la Decollazione del Battista di Caravaggio a Malta, per citare soltanto alcuni lavori storici dell’Istituto, che sono divenuti esemplari per importanza capitale delle opere e complessità degli interventi, tutti ampiamente documentati dai ricchissimi archivi dell’Opificio. Oggi la multiforme attività dell’Istituto si svolge nei laboratori, dislocati presso lo storico indirizzo di via Alfani, che ospita anche il museo e la biblioteca, nonché presso Fortezza da Basso e Palazzo Vecchio. Si articola per settori individuati in base ai materiali delle opere d’arte, dagli arazzi ai bronzi, dai dipinti (su tela, tavola e murali) ai materiali lapidei ai cartacei, dal mosaico e commesso fiorentino alle oreficerie, dalla scultura lignea ai materiali ceramici al tessile. L’Istituto affianca all’attività di restauro la ricerca e la didattica ai più alti livelli. È sede oggi della prestigiosa Scuola di alta formazione, che

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accoglie allievi da tutti il mondo e rilascia un ambito diploma di Restauratore di opere d’arte (equiparato alla laurea magistrale) al termine di un percorso quinquennale che alterna lo studio teorico all’attività pratica di laboratorio. Non più di quindici studenti eccellenti possono accedere ogni anno dopo una dura selezione a questa straordinaria realtà formativa, a fronte di numerosissime richieste di ammissione. Purtroppo, da tempo i dirigenti dell’Opificio lamentano una grave situazione di impoverimento dell’organico, dovuto alla progressiva uscita di molti restauratori e al blocco delle assunzioni a causa della mancanza di fondi, che impedisce il ricambio delle risorse. Si stanno così perdendo molte competenze preziose, con grave danno per tutto il mondo del restauro, non soltanto nazionale. È fondamentale e urgente che venga compiuta un’opera di forte sensibilizzazione dell’opinione pubblica e soprattutto delle Istituzioni affinché vengano messe a disposizione risorse per impedire che questa storica realtà di eccellenza subisca un inesorabile declino. Perché Firenze non perda le sue «mani d’oro», un patrimonio di saper fare e di cultura unico al mondo, al quale il mondo guarda da sempre con ammirazione.

ALTA SCUOLA Sopra, allievi e docenti della Scuola di alta formazione durante il restauro della Croce di Giotto. Sotto, pulitura della Pala di San Zeno del Mantegna. A centro pagina, formella in pietre dure (museo Opificio). Nella pagina a lato, in alto, studio delle sculture lignee, in basso la Madonna di Citerna di Donatello dopo il restauro.

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Musei

La scalinata della galleria (Edina van der Wyck). A lato, Lalique, ornamento del corpetto «Thistles», 1903, prestato grazie alla generosità di William e Judith Bollinger.

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di Akemi Okumura Roy

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Una delle collezioni di gioielleria tra le più spettacolari al mondo è senz’altro quella del Victoria & Albert Museum di Londra, ospitata presso la William and Judith Bollinger Gallery (che prende il nome dai benefattori che ne hanno finanziato il riallestimento, terminato nel 2008). La galleria, una delle più visitate del museo, è organizzata su due livelli. In quello inferiore, le teche in cristallo lungo le pareti espongono gioielli che vanno dal 1500 avanti Cristo a oggi, in ordine cronologico: il punto finale è naturalmente la gioielleria contemporanea, che il museo ha sempre tenuto in alta considerazione. Al centro della galleria, teche semicircolari offrono alla vista alcuni pezzi particolarmente importanti. Informazioni dettagliate sui gioielli sono consultabili dalle postazioni computerizzate, dove è possibile osservare il retro di ogni gioiello (sempre molto informativo); il sito del museo offre poi un’ulteriore possibilità di disporre di viste dettagliate di una selezione di pezzi, tramite la sezione dedicata «Hidden treasures». Una scala conduce al livello superiore, dove sono esposte preziose scatole, spade, orologi e la cosiddetta gioielleria sentimentale e politica, creata in Europa a partire dal XVI secolo. La collezione, forte di oltre 3.500 pezzi, intende rivolgersi sia ai visitatori più attenti sia a chi ha meno tempo a disposizione. I primi possono soffermarsi sui quattro ripiani di ognuna delle teche laterali, sui quali i pezzi sono minuziosamente descritti. I secondi possono concentrarsi sulle teche centrali, e ammirare i quasi sessanta capolavori che vi sono custoditi e presentati in ordine cronologico. Questo approccio didattico, estremamente chiaro e intelligente, è solo uno dei percorsi previsti dal museo.

TESORI

RIVELATI La William and Judith Bollinger Gallery del Victoria & Albert Museum racchiude alcuni fra i gioielli più spettacolari della storia, in un contesto seducente e al contempo intelligente d i S u seducativo a n n a P con o z zun o l approccio i

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Musei

Non solo ornamenti: la Galleria offre chiavi fondamentali per decodificare il potere metaforico e suggestivo dei gioielli

La William and Judith Bollinger Gallery offre infatti altri due possibili approcci: uno attraverso il significato simbolico dei gioielli, e l’altro che presenta l’eccellenza artigianale necessaria per crearli. Perché un approccio simbolico? Perché i gioielli non sono solo ornamenti. All’ingresso della galleria, la teca intitolata «Dalla culla alla tomba. Il gioiello adorna e protegge chi lo indossa lungo il viaggio della vita» mostra infatti come i gioielli siano sempre collegati ai momenti più rilevanti dell’esistenza umana. Simboli d’amore e di nascita, amuleti per proteggere la gravidanza e il parto, segni di fede, ricchezza e status, espressione di lutto o di perdita: la collezione offre ai visitatori alcune chiavi fondamentali per decodificare il potere metaforico e suggestivo dei gioielli. Tre brevi film muti presentano invece l’antico saper fare e le rare tecniche artigianali dei maestri d’arte. Nel primo, il giovane gioielliere britannico Shaun Leane spiega come viene realizzato un anello di diamanti, illustrando nei dettagli uno dei pezzi da sempre più popolari e amati. Jane Short, artigiana tra le più apprezzate del Regno Unito, mostra le difficoltà e i gesti necessari per creare una scintillante spilla a smalto. E Martin Matthews, la cui famiglia realizza casse per orologi da più di duecento anni, illustra la realizzazione manuale di una cassa con tanto di piccole cerniere e delicate decorazioni, utilizzando un tornio ad arco e altre tecniche. Questa attenzione al mestiere d’arte è tipica del Victoria & Albert, dove il «come si fa» è sempre investigato in maniera innovativa. Difficile fare una selezione dei pezzi in mostra. Fra i più antichi e rappresentativi, lo Shannongrove Gorget è un ornamento in oro realizzato tra l’800 e il 700 avanti Cristo in Irlanda. Heneage Jewel, del 1595 circa, ha un medaglione con un ritratto di Elisabetta I, che lo diede a Sir Thomas Heneage per i suoi straordinari servigi; sul retro è raffigurata una nave, un’arca, che procede serena nelle acque tempestose a simboleggiare la forza della chiesa d’Inghilterra attraverso le tempeste politiche e religiose del tardo XVI secolo. Nel pendente vi è una miniatura della regina realizzata da Nicholas Hilliard, uno dei migliori pittori inglesi di miniature. E ancora i magnifici ornamenti in diamanti che Leonard Pfisterer creò per Caterina di Russia nel 1764, o la parure in diamanti e smeraldi che Napoleone regalò alla figlia adottiva Stéphanie de Beauharnais nel 1806, in stile Impero. E naturalmente le spettacolari tiare: come quella creata da Cartier per la duchessa Consuelo di Manchester nel 1903, per la quale la nobildonna affidò al re dei gioiellieri 1.500 diamanti. I tesori della galleria includono anche opere firmate dai più grandi gioiellieri di tutti i tempi: Cartier, appunto, ma anche Van Cleef & Arpels, René Lalique, Fabergé, Tiffany, Boucheron, Chaumet. E numerosi pezzi di gioielleria contemporanea, realizzati da artisti quali Giampaolo Babetto, Wendy Ramshaw, Gerda Flockinger... Nella galleria inferiore sono in mostra anche gli strumenti da lavoro, donati da Alan Rabey, e la collezione di 154 pietre incastonate in anelli d’oro del reverendo Chauncy Hare Townshend, che le ha lasciate in eredità al V&A nel 1869. La visita si conclude così con un accento sulle passioni umane che dialogano con i pezzi di alta gioielleria: l’intelligente lavoro manuale, l’amore entusiasta per la bellezza, la ricerca costante dell’eccellenza, come Richard Edgcumbe – senior curator – sottolinea sorridendo.

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Il medaglione-gioiello Heneage aperto, con dipinto di Nicholas Hilliard (Inghilterra, 1595 ca.) donato dall’Art Fund da Lord Wakefiled.

Anello di Philip Sajet (Londra 1992-3), collezione dei Visiting Artists del Royal College of Art.

Braccialetto in diamanti e zaffiri (Francia 1925 circa), prestato grazie alla generosità di William e Judith Bollinger.

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Eccellenze dal mondo

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CAPOLAVORI Collana e orecchini di smeraldi Beauharnais (Nilot & Fils, Francia, 1806)

CALEIDOSCOPIO DELLE MERAVIGLIE Sopra, da sinistra orecchini in oro smaltato, spilla, pettine con intagli in corniola (Francia, 1808 circa) collezione privata; a destra, braccialetto in diamanti, perle e smalti (Boucheron, 1875 circa), lascito Bolckow. In alto da sinistra, Wendy Ramshaw, set per anelli ÂŤWhite QueenÂť (Inghilterra, 1975) collezione privata; il diadema Manchester di Cartier (Parigi, 1903) foto V&A Images.

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Lavorazioni di stile

MATERIA VIVENTE Pesca del corallo fatta da sub. Nella foto, il giornalista Gianni Roghi, a 90 metri di profondità (Sardegna 1961). A destra, «Pastore» in corallo mediterraneo (alto 12 centimetri), Museo Basilio Liverino. Uno delle centinaia di personaggi di un enorme presepe, risalente al 1570 e donato dal viceré di Sicilia a Filippo II re di Spagna, in cui si suole ravvisare l’apoteosi dell’arte trapanese.

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d i A l b e r t Va n d e r b i l t

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ORO ROSSO MEDITERRANEO

Una genetica geografica. Un affare di famiglia. Una passione che si trasmette da una generazione all’altra e che interroga il territorio, parla ai gesti, nutre la creatività: questo è il corallo dei Liverino, il fiore misterioso che dal fondo del mare sboccia sui gioielli prodotti da questa famiglia di Torre del Greco sin dal 1894. «Al corallo Torre del Greco deve la sua ricchezza e la sua fama nel mondo e tu dimostri che questo privilegio è fondato e legittimo» scrisse monsignor Salvatore Garofalo, Magnifico rettore emerito della Pontificia università urbaniana di Roma, a Basilio Liverino in occasione della pubblicazione di un suo libro dedicato a questo straordinario materiale. Perché questa azienda, fondata dal Cavaliere del lavoro Basilio Liverino e condotta oggi dal figlio Enzo, non esprime solo lavoro ma anche cultura: grazie alle pubblicazioni via via prodotte, alla scuola per giovani artigiani voluta sul territorio, o al Museo che offre ai visitatori una delle collezioni di oggetti in corallo più belle del mondo. «Il museo è stato fondato da mio padre nel 1986», racconta Enzo. «Lo abbiamo allestito con oggetti provenienti dalla nostra collezione privata. Alcuni sono stati realizzati dall’orafo milanese Romolo Grassi, con la collaborazione dell’incisore di Torre del Greco Carlo Parlati». Corallo Sciacca, Cerasuolo, Bianco; corallo Pelle d’angelo o Deep Sea; corallo Moro o Rosato. Fiori dal fascino animale sbocciano nel museo scavato sei metri sotto terra e mantenuto alla temperatura costante di 19 gradi; e altrettanti tesori nascono ogni giorno dalle abili mani degli artigiani di Torre del Greco, chiamati a dare forma a queste conformazioni di celenterati che da sempre rappresentano due grandi passioni dell’uomo, il mare e la bellezza. Enzo Liverino parla con giusto orgoglio della sua azienda di famiglia. Grande esperto di coralli, è consulente per la Fao proprio per sui temi della

A Torre del Greco la Basilio Liverino tramanda da generazioni le più delicate tecniche di lavorazione del corallo, per creare oggetti preziosi realizzati con scienza e passione

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Lavorazioni di stile

sostenibilità per la pesca di questi straordinari organismi: «Regolamentare la pesca e sanzionare gli abusi è fondamentale» racconta. Membro della Confederazione mondiale della gioielleria (Cibjo) come presidente della Commissione Corallo, aderisce al Csr (Corporate social responsability), unica organizzazione che lavora con la collaborazione delle Nazioni Unite (Onu). È dal 1973 che questa stessa passione, con cui difende l’ambiente naturale del corallo e argomenta le sue posizioni, è messa anche a servizio della lavorazione d’eccellenza del corallo stesso: «Appena diplomato mi sono messo ad affiancare gli artigiani: soprattutto il tagliatore, che mi ha insegnato a riconoscere il valore del corallo. Le sue forme naturali indicano già quale risultato finale potrebbe essere possibile realizzare. Questa capacità prospettica è stata molto utile quando mio padre mi ha mandato in giro per il mondo a comprare il corallo, perché sapevo già riconoscere il valore del pezzo grezzo». Sul finire degli anni 70 Vincenzo introduce la lavorazione dei cammei e quella del corallo asiatico importato dal Giappone; negli stessi anni crescono le esportazioni. Tra il 1973 e il 1983 è spesso a Taiwan, dove apre un laboratorio per applicare le tecniche di lavorazioni locali e dove acquista pregiata materia prima; una materia che poi, a Torre del Greco, viene ridisegnata in forme sempre nuove da artisti e designer, i cui progetti passano necessariamente dalle mani intelligenti degli artigiani. «Rimango ancora sorpreso quando vedo i nuovi lavori dei nostri incisori», ammette Vincenzo. Lavorare il corallo richiede una professionalità non semplice da acquisire e sempre più rara da rintracciare: per questo, nel 1993, Basilio Liverino fonda una scuola di specializzazione che «offre tre anni di formazione generale dove gli studenti si avvicinano alle materie classiche come italiano e storia dell’arte e frequentano i primi laboratori pratici; poi ci sono due anni di specializzazione in cui lo studente sceglie il corso da seguire

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tra oreficeria, incisione del corallo e taglio del corallo» dice Vincenzo. Ma come sempre il lavoro si impara a bottega: l’esperienza è un tesoro prezioso, un patrimonio che ogni ragazzo deve acquisire perché le sue mani, il suo cuore e la sua mente creino i capolavori d’altissimo artigianato per cui la Liverino è famosa. Proprio per questo motivo i Liverino hanno voluto che dopo la scuola i ragazzi andassero «a bottega» altrove: anche per dimostrare che la scuola «non era stata pensata per essere una risorsa solo della nostra azienda, ma un bene della comunità». Nella lavorazione del corallo l’artigianalità e la creatività sono in dialogo costante con la tecnologia: e se gli strumenti sono estensione della mano, la ricerca ha portato nel tempo alla nascita di apparecchiature che alla mano danno potenza e ulteriore precisione, senza mai sostituire quel «tocco» che solo l’essere umano è in grado di gestire. Sono soprattutto i Paesi asiatici a realizzare apparecchiature sofisticate per il corallo, che i Liverino spesso comprano non solo per l’azienda ma anche per la scuola: «Credo sia importante per i ragazzi imparare a lavorare su delle macchine moderne e al passo con i tempi del mercato», dice Enzo, che però sottolinea anche come spesso le macchine vengano poi personalizzate. «Il mestiere d’arte è espressione del territorio: ne favorisce la rinascita», conclude. «Ma il mestiere non è solo un ossequio al passato: è fondamentale saper creare soggetti contemporanei, così da poter diversificare la committenza, senza al contempo disperdere la bellezza delle nostre tradizioni». In uno dei famosi presepi di corallo creati da Liverino, un Gesù Bambino giace in una grotta tra angeli dalla sfumatura delicatissima: le sue piccole dita tese verso il cielo, realizzate con una perizia estrema, sembrano trasparenti. Ma non c’è nulla di nostalgico o di malinconico nei suoi occhi: c’è invece la bellezza, la fierezza e la contemporaneità di un’immagine così tradizionale da risultare senza tempo, e la nobiltà di un materiale che mantiene dentro la vita.

EMANUELE ZAMPONI

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DELICATEZZA E PASSIONE Museo Basilio Liverino, finimento «Frutti e foglie» appartenuto a Paolina Bonaparte, in corallo mediterraneo e oro. Manifattura torrese. A sinistra, la rociatura (arrotondatura con tecnica moderna), la selezione per grandezza, colore e qualità, la bucatura del corallo lavorato e l’infilatura; in alto, un presepe realizzato in corallo.

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UNA BELLISSIMA STORIA DI DONNE Il «tombolo» e i «fuselli», gli strumenti sui quali lavorano le abili mani delle merlettaie per realizzare il merletto a partire da un disegno. A destra, le merlettaie di nonna Cora al lavoro di fronte al castello di Brazzà. Già su antiche cartoline veniva pubblicizzata l’attività delle scuole cooperative, «Merletti originali e riproduzione mediante campioni di merletti antichi a fuselli», Posta Torreano di Martignacco, Friuli.

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PIZZI UNICI di Paolo Coretti

Quella del merletto friulano è fuori», aperta, coraggiosamente, una bellissima storia di donne. a tutte le ragazze della città. Da Di donne straordinarie perché lì a poco nel Friuli orientale, ma DALLA TRADIZIONE speciali. Di donne che, di caanche nei vicini territori della DELLE DONNE rattere tenace, anticonformiste Slovenia e dell’Istria, si iniziò e sempre attente al progresso a realizzare ed a produrre pizzi FRIULANE ARRIVANO della società, pur provenendo e merletti che per i loro influssi AUTENTICHE da paesi lontani dai confini della fiamminghi e boemi si distinse«piccola patria», furono in sintoro da quelli italiani e veneti per POESIE DI MERLETTI nia con le donne friulane, con il disegno e per modalità esecutiva loro modo di operare e di vivere, e, così, nei mercati nei quali tali fatto di decisione, di intraprenmerletti venivano proposti, vendenza, di ostinata caparbietà, di nero privilegiati i merletti innocuriosità verso l’innovazione e, nello stesso tempo, di rispetto vativi ispirati a quelli diffusi nelle Fiandre realizzati a tombolo della tradizione e delle cose antiche. Le prime importanti e fuselli. Nello stesso tempo, vennero collocati in secondo figure di questa lunga serie di personalità femminili protapiano i merletti veneziani che venivano eseguiti principalgoniste della storia del merletto friulano furono senz’altro, mente ad ago. In quegli anni, e, più precisamente, nel 1696, nella seconda metà del XVII secolo, madre Angela Aloisio, anche a Idrija (in Slovenia) una signora boema, moglie di un suora orsolina proveniente da Liegi – città dove, a quel tempo, dipendente della famosa e antica miniera di mercurio, con fioriva l’arte del merletto a tombolo – e la madre superiora grande intraprendenza iniziò a diffondere in quella zona l’arte Catherina Lambertina de Pauli Stravius la quale, anch’essa del merletto a tombolo con fuselli (bellissimo l’onomatopeico originaria di Liegi, nel 1672 giunse a Gorizia, proveniente da termine klekelnji, che in lingua slovena riproduce il dolce e Praga, con il compito di guidare il monastero delle Orsoline. domestico suono dei fuselli di legno tra loro battenti). È bene ricordare che nel Friuli di Venezia (quel Friuli che, Ha creato così una cultura del merletto che, quasi in contipur conservando una certa autonomia di lingua e di cultura, nuità con Gorizia e pur rispettando le peculiarità dei luoghi, appartenne alla Repubblica Veneta dal 1445 al 1797, anno in prendeva le distanze dal modo veneto/buranese e si avvicicui Napoleone ammainò definitivamente la bandiera di San nava, invece, ai contenuti artistici e compositivi del merletto Marco) l’arte del fare merletto era naturalmente diffusa e non di origine boema. L’attività del fare merletti si sviluppò nella si discostava di molto dai modelli veneti buranesi. terra friulana a tal punto da costituire (senza dimenticare Ma è bene ricordare anche che tutto ciò non impedì alle due l’arte della tessitura che, in quel periodo, Jacopo Linussio religiose, forti delle loro esperienze maturate nelle più grandi aveva promosso in Carnia organizzando per la prima volta capitali europee ed entrambe dotate di grande lungimiranza, in Europa il lavoro femminile a domicilio) una delle realtà di organizzare i primi insegnamenti dell’arte del merletto alle produttive più importanti della regione. Più raffinata risultava giovani donne che frequentavano il monastero né impedì loro a quel tempo la produzione di merletti che veniva eseguita di fondare a Gorizia la prima scuola, denominata la «scuola di nell’area di Gorizia, produzione destinata a una clientela fa-

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coltosa, a nobili ed ecclesiastici che impiegavano il merletto nella ricca sartoria e nelle finiture per la casa, nei paramenti e negli arredi sacri, mentre con minori pretese, durante il XVIII secolo, la produzione della zona di Idrija, risultava realizzata con materiali più grezzi e rivolta al mercato rurale, dei contadini benestanti e del clero di campagna ma anche verso il mercato delle regioni contermini come la Slovenia orientale, l’Istria, la Dalmazia e la Croazia dell’entroterra. Ma è proprio a Idrija che, nel 1876, in considerazione dell’affermarsi di una sorta di monocultura produttiva nell’ambito del merletto e grazie all’intuizione e alla straordinaria capacità di un’altra donna speciale, Ivanka Ferjancˇicˇ, con il patrocinio e gli auspici del ministero del Commercio di Vienna, venne fondata forse la prima scuola laica del merletto; scuola che, oggi molto ridimensionata nell’attività didattica (denominata cipkarska Šola Idrija, rivolta soprattutto agli allievi delle elementari) è ancora attiva nella città slovena. Nel frattempo, nel Friuli storico, Cora Slocomb, una coraggiosa signora americana, nata a New Orleans e trasferitasi sulle dolci colline di Brazzacco dopo essere andata in sposa al conte Detalmo Savorgnan di Brazzà, preoccupata dalla disastrosa situazione in cui versava l’economia del Friuli dopo la frettolosa annessione all’Italia e addolorata per l’arretratezza nella quale i friulani vivevano nelle campagne, impoveriti d da tremende d carestie e sempre più indeboliti dall’ormai endemica pellagra, con passione filantropica, ma anche con attenzione alle possibili ricadute economiche e sociali dell’iniziativa, fondò le Scuole Cooperative di Brazzà per merletti a fusello. Scuole che ebbero il ruolo «di dare un mezzo di sussistenza alle donne senza distoglierle dai lavori di campagna e dalle faccende domestiche» e che diedero inizio a un’attività artigianale che divenne così diffusa da costituire con la zona di Gorizia e quella di Idrija un enorme comparto produttivo che si stendeva a oriente della città di Udine, quasi senza soluzione di continuità. Il successo del merletto friulano, poi, alla mostra di Chicago nel 1893 e i riconoscimenti ricevuti all’Esposizione di Parigi nel 1900, alla mostra di Udine nel 1903, a Londra e a Liegi, rispettivamente nel 1904 e nel 1905, fecero sì che la produzione aumentasse e che i merletti friulani, ai quali veniva riconosciuta grande qualità esecutiva e speciale peculiarità, trovassero il maggior punto di diffusione a Roma e si rivolgessero a importanti clienti in diversi Paesi europei. Dopo il 1920, chiusa la Scuola di Brazzacco, continuò a essere attiva la Scuola di merletti di Fagagna che, fondata nel 1892 come pubblica istituzione sotto l’alta guida della

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contessa Cora, vide protagoniste persone quali la maestra Angelica Marcuzzi, amatissima dalle allieve per la capacità didattica ma anche per essere stata nei loro confronti maestra di vita e riferimento per le loro speranze di donne; Noemi Nigris, benefattrice che, con il suo indomabile carattere e al suo talento, continuò il progetto di Cora, riuscì a superare il difficilissimo periodo della Prima guerra mondiale e, nel dopoguerra, animò innumerevoli iniziative culturali, sociali e umanitarie; infine, suor Rosina, la quale, proveniente da Cantù ed esperta nell’arte del merletto a fuselli, guidò la scuola di Fagagna dal 1930 al 1970, anno nel quale la scuola, che offriva prospettive di lavoro e vita non più consone alla situazione economico e sociale di quegli anni, chiuse. Oggi, a parte Cjase Cocèl, sede del Museo della Vita contadina a Fagagna, dove è stata ricostruita un’aula della scuola e dove si tengono numerosi corsi coordinati dalla Scuola dei Corsi Merletti di Gorizia, è proprio quest’ultima istituzione che rappresenta il punto di riferimento e di forza della cultura del fare merletto in Friuli. Fondata nel 1946 per compensare la perdita della Scuola di Idrija città che, pur vicinissima a Gorizia, era stata conglobata nella nuova Repubblica Jugoslava, rimase alle dipendenze del ministero della Pubblica istruzione fino al 1978, anno nel quale la gestione della Scuola di divenne struttura stabile della S l Merletti l d Gorizia G direzione centrale Istruzione della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia. Nell’anno in corso la scuola, gestita da un proprio consiglio e diretta da Giovanna Vesci, coordina 62 corsi distribuiti in 37 comuni del Friuli Venezia Giulia, ospita 800 allievi provenienti da tutta la regione, dalla Slovenia e dall’Austria. È l’unica istituzione pubblica in Italia a rilasciare un diploma di Maestro merlettaio e il percorso didattico e formativo, teso al raggiungimento di tale risultato, si articola in sei anni e prevede un piano di studi che comprende, oltre all’acquisizione delle diverse tecniche e alle esercitazioni pratiche necessarie ad acquisire la tecnica del merletto a fuselli, anche lezioni e corsi di storia dell’arte e indispensabili corsi di progettazione. Oltre a promuovere e tutelare la locale tradizione del merletto, è proprietaria del marchio «Merletto Goriziano Scm-Fvg» grazie al quale garantisce natura, qualità e provenienza del merletto realizzato a fuselli e offre un chiaro riconoscimento ai suoi diplomati. La scuola organizza ogni due anni il Concorso internazionale «Il merletto di Gorizia» per valorizzare nuove tecniche espressive, innovare i segni della tradizione, per esplorare il mercato e individuare nuove opportunità di applicazione.

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LA MANO, IL MIGLIORE STRUMENTO. Immagini di merletti provenienti dall’archivio della Scuola dei Corsi Merletti di Gorizia. A sinistra un’immagine della scuola di Cora a Brazzà, scattata ai primi del Novecento, tratta dal prezioso volume «Finestre e finestrelle» di Detalmo Pirzio-Biroli (edito da Campanotto) nel quale vengono descritti trentaquattro ricordi di vita vissuta, con un riferimento all’arte antica delle merlettaie.

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SAINT-LOUIS, LA PIÙ ANTICA MANIFATTURA FRANCESE DEL CRISTALLO, PUNTA SU

LA LINEA DEL SOGNO Sopra, collezione Corollaire, disegnata da José Levy, serie di sei vasi dedicati a sei fiori diversi: chardon, hortensia, pivoine, rose, iris e mimosa (edizione limitata a 29 esemplari ciascuna). In alto e nella pagina a lato, fasi di lavorazione del cristallo.

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GIOVANI E TRADIZIONE. ANCHE GRAZIE AGLI INVESTIMENTI DEL GRUPPO HERMÈS

Scolpiti nella luce plasmati nel fuoco di Federica Cavriana

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«La trasmissione del know-how per noi è la chiave di tutto: per questo formiamo numerosi giovani»

Crescono, nei periodi di festa, il desiderio e la soddisfazione di poter godere dei propri spazi, della casa come rifugio privato e accogliente. Un ambiente che ci mette a nostro agio per i gesti e gli oggetti che lo popolano. Oggetti che costituiscono un panorama familiare: vasi, bicchieri, servizi da tè, lampadari... Ma da dove provengono questi piccoli capolavori, quelli dei maestri artigiani che quotidianamente sanno creare giochi di luce e colore con il cristallo, destando l’ammirazione nei nostri ospiti? Nel caso della cristalleria si può azzardare una risposta credibile: tutte le più importanti manifatture europee del cristallo si collocano (non a caso) nella stessa regione francese, la Lorena, dove abbondano acqua, sabbia e legno, materie prime che hanno permesso le produzioni di vetro prima e di cristallo poi, da parte di manifatture che oggi sono famose in tutto il mondo, come Baccarat, Daum, Lalique, o la più antica Saint-Louis. Proprio questa manifattura sta vivendo negli ultimi anni un periodo di vera rinascita, anche grazie alle politiche di rilancio del gruppo Hermès, che l’ha acquisita nel 1989 e ha creduto nella forza della sua storia e del suo héritage. Nata nel 1586, viene acquisita nel 1767 per volere di Re Luigi XV come «Vetreria Reale» per competere

con le vetrerie più famose dell’epoca, ubicate a Murano, in Boemia e in Inghilterra. Già 150 anni fa Saint-Louis impone in Francia la moda dei servizi da tavola, dei lampadari e dei candelabri di cristallo, facendo del rosso rubino il suo colore peculiare. Flaconi multicolori per preziosi profumi e delicati vasi in opalina arredano le case più signorili dell’epoca, mentre Saint-Louis accresce la sua notorietà anche per aver reso di moda un piccolo oggetto: la sfera fermacarte in cristallo. Nel XX secolo l’Art nouveau ispira il nuovo design della maison, mentre negli anni Trenta esce una linea Art déco, ricca di trasparenze e motivi geometrici intagliati. Gli anni 50 segnano l’era del modernismo, che ispira per esempio il servizio Stella, pensato per riflettere la luce attraverso un gioco prismatico. Alla fine del XX secolo Saint-Louis inaugura, affiancandola alla produzione di motivi storici, la fabbricazione di cristalli dal design contemporaneo. Dal servizio Bubbles, disegnato nel 1992 da Teleri Ann Jones, alle collezioni 2012 firmate da José Lévy e Laurence Brabant, negli ultimi dieci anni la manifattura ha deciso di onorare due propositi: scommettere sulla collaborazione con i designer e su un futuro incentrato sulla creatività, ma preservare

GEOMETRIE D’AUTORE Sopra, visione dall’alto del roemer color ametista, collezione Tommy (1928). In alto, lavorazione della pasta vetrosa fusa e realizzazione dei fermacarte con la tecnica «millefiori». Nella pagina a fianco, bicchiere da cocktail rosso della manifattura francese Saint-Louis.

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Creatività contemporanea e tutela del savoir-faire tradizionale: il 2012 per la cristalleria è un anno da record

contemporaneamente la trasmissione del sapere tradizionale. Charles-Henri Leroy, Commercial & communication director di Saint-Louis, spiega: «La trasmissione del know-how per noi è la chiave di tutto, ed è la ragione per cui collaboriamo con le scuole e soprattutto formiamo numerosi giovani, tra cui molte donne, finché non sono in grado, dopo 5 anni, di realizzare un oggetto in cristallo che sia perfetto». Riguardo all’aspetto creativo, Leroy ricorda che «già da otto anni la Fondazione Hermès offre a giovani artisti l’opportunità di passare sei mesi in diversi laboratori appartenenti al Gruppo (come Saint-Louis, ndr), in un’operazione di arricchimento reciproco. Questa è vera ricerca: noi spingiamo i nostri artigiani a pensare come sviluppare nuovi colori e processi di lavorazione da utilizzare in maniera artistica. L’artista produce così, con il maestro artigiano, pezzi che sono davvero unici». Saint-Louis dimostra come tradizione e innovazione, qualità del lavoro e creatività costituiscano la ricetta giusta per far fronte alla crisi in maniera efficace: nel 2011 la cristalleria SaintLouis ha realizzato il miglior profitto di sempre, e anche per quest’anno prevede una forte crescita. Una crescita che è frutto di una lungimiranza manifestata non solo

con la scelta di produrre collezioni modernissime insieme alla riedizione dei bestseller passati, ma anche con la fiducia accordata ai nuovi artigiani di talento, come la giovanissima Laura Klose, che nel 2011 è stata la prima donna a essere incoronata Meilleur Ouvrier de France nella categoria «vetro e cristallo». A soli 25 anni. La partita che ha in palio il successo si gioca quindi a Saint-Louis con una squadra giovane allenata da persone di esperienza, ma si gioca sul campo dell’esclusività dell’handmade, come spiega Leroy: «Quello che ci rende unici, rispetto ad altre cristallerie, è che i nostri prodotti sono realizzati interamente a mano. I clienti ci scelgono perché siamo in grado di creare pezzi su misura incredibili. Abbiamo appena realizzato un lampadario alto 9,7 metri: un record per l’azienda. Ora il mercato del lusso vuole il prodotto esclusivo, noi possiamo fornirlo». Se tali delicate bellezze non si trovano in ogni casa, a tutti è però data la possibilità di ammirare i pezzi più straordinari della storia della manifattura presso La Grande Place, Musée du Cristal Saint-Louis, all’interno della cristalleria, a Saint-Louis-lès-Bitche. In questo suggestivo museo, nel weekend, i maestri artigiani dimostrano dal vivo come nascono questi capolavori di trasparenza ed eleganza.

I COLORI DELL’ANIMA Sopra, il fermacarte Serpent realizzato in 75 esemplari numerati e certificati. In alto, particolare del soffiaggio e montaggio nell’atelier di Saint-Louis di un lampadario alto 9,7 metri (650 ore di lavorazione «a caldo») . Nella pagina a sinistra, lampadario Classique Arlequin.

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Sapori e saperi

Un delizioso Babbo Natale festeggia il cake/sweet design di Claudia Lotta

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di Susanna Ardigò

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UNO SHOP-ATELIER DI CAKE DESIGN NEL CUORE DI TORINO, DOVE SI È AFFERMATA UNA DISCIPLINA CHE UNISCE LA TECNICA A UN’AUTENTICA ESPRESSIONE ARTISTICA

dolce DECORARE LA FELICITÀ

A Torino, in via Bonafous 7, a due passi da piazza Vittorio, Claudia Lotta ha creato con meritato successo il suo shop-atelier di cake design: si tratta di un piccolo spazio che racchiude un mondo di dolcezza e buon gusto in una cornice sognante e accogliente. Prima di parlare della sua esperienza è bene capire che cosa si intende per cake/sweet design, termine di recente acquisizione in Italia, il cui utilizzo è stato in parte influenzato dai mass media. Si tratta di una vera e propria disciplina che consente di unire tecnica e originalità nella decorazione di dolci e di torte e che, in casi come quello di Claudia, si può considerare come una vera e propria espressione artistica. Le origini di questa arte sono anglosassoni e ufficialmente risalgono alla metà del XIX secolo quando si affinarono le tecniche di cottura mediante forno a

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Sapori e saperi

temperatura controllata; qualcuno le vuole legare al matrimonio (1840) della Regina Vittoria con il Principe Alberto e alla torta nuziale servita in quella occasione. La tecnica si è raffinata nel corso del tempo raggiungendo espressioni estetiche di alto livello e diffondendo la sua fama nel resto del mondo, in particolar modo negli Stati Uniti. Ed è proprio da qui che è partito il successo, soprattutto mediatico, dell’arte della decorazione. Sinora, per apprendere le preziose tecniche si doveva mettere in conto di trascorrere un certo periodo di tempo negli Stati Uniti o in Gran Bretagna, dove sono attivi master e seminari tenuti da nomi prestigiosi nel settore. I cake designer italiani che si sono formati oltreoceano hanno aperto i loro atelier nel nostro Paese e hanno attirato l’attenzione degli amanti dei dolci che cercano, oltre alla qualità del prodotto, anche un effetto estetico sorprendente. Questi artisti organizzano a loro volta dei corsi di decorazione per i loro clienti. Ma torniamo alla nostra protagonista eccellente: Claudia Lotta. La sua è una passione che nasce dall’infanzia quando si divertiva a preparare torte e pasticcini per le festicciole di compleanno. Come alcune volte accade, la vita ci allontana momentaneamente dalle nostre passioni e Claudia si laurea in psicologia seguendo un percorso professionale in quella direzione. Dopo alcuni anni, mentre attende la nascita di sua figlia, sente nuovamente il richiamo della “dolcezza” e frequenta inizialmente un corso per “Lady Chef ” seguito da un master presso la scuola di Peggy Porschen a Londra, e da uno presso la storica Wilton Cake Decorating School di Chicago. Ed ecco che dalle sue abili mani e dal suo estro artistico ed estetico nascono meravigliose torte e dolcetti realizzati con ingredienti di altissima qualità, decorati con le più raffinate tecniche e con il magistrale utilizzo della sac à poche. Così ci lasciamo stupire piacevolmente dalle sue torte decorate, realizzate su richiesta del cliente e che dall’abile lavoro delle sue mani diventano dei veri capolavori. Come definire i raffinati e preziosi cupcake (piccoli dolci di origine statunitense: si narra che si chiamino così perché in origine erano cotti nelle tazze) che ogni giorno vengono offerti in gusti diversi e persino per i palati vegani? Ma l’atelier di Claudia Lotta offre tante altre leccornie: le torte spatolate; i simpatici cake pop, torte incastonate in un abbraccio di cioccolato e sostenute da un piccolo stecco; i deliziosi brownie, barrette di cioccolato molto apprezzate e diffuse negli

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“LA PASSIONE TINGE DEI PROPRI COLORI TUTTO CIÒ CHE TOCCA.” (B. Gracián)

Stati Uniti; le fragranti lemon bar, dolcetti freschissimi con un cuore cremoso e una base croccante originari del Sud degli Stati Uniti; i fantastici biscotti decorati amati da grandi e piccini. E non finisce qui. Claudia Lotta ha inaugurato anche una piccola Academy dove offre dei corsi per realizzare torte decorate con fiori e foglie in sugarpaste, ispirandosi alla sua passione per l’Art Nouveau, e corsi per produrre i propri dolci personalizzati.

Deliziosi dolcetti da passeggio a forma di cuore. In alto: esterno dell’atelier Claudia Lotta Sweet Designer in via Alfonso Bonafous 7 a Torino. www.claudialotta.it

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Dolce Natale di Alessandra Meldolesi illustrazioni di Ugo La Pietra

Una ricetta ingarbugliata, intrecciata com’è al folklore, alla metafisica e alla materialità delle dispense. Interclassista, per di più...

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90 Rotondo come una ciambella, o meglio ancora come il turbante di un kugelhopf, anche nel 2012 l’eterno ritorno sta sfogliando il calendario fino al fatidico 25 dicembre, che da tempi immemorabili incurva la direttrice della storia. Quasi a schiacciare l’ariosità del feuilletage in un momento eterno. Le abitudini in fondo non sono poi così cambiate da quando gli Antichi festeggiavano Mitra, celebrando di fatto con scientificità inoppugnabile il solstizio d’inverno. Quel Dies Natalis Solis Invicti in cui la palla di fuoco sembrava arrestarsi bruscamente per sorridere di nuovo all’uomo, allungando le giornate, abbreviando il silenzio della notte. Riti di cui il terzo millennio serba retaggi inconsapevoli quanto pervicaci, spesso attaccati ai rebbi di una forchettina che esplora gli alveoli della storia con archeologica perizia. Quella del dolce di Natale è una ricetta ingarbugliata, intrecciata com’è al folklore, alla metafisica e alla materialità delle dispense. Interclassista, perché ogni comunità per una sera condivide, fino al suo epilogo dolce, il medesimo pasto. La storia comincia dalla lista della spesa: il miele (quasi sempre) al posto dello zucchero, importato tardivamente nelle abitudini alimentari europee, e comune solo dopo la scoperta delle Indie occidentali. Oppure gli insoliti ingredienti di magro, con l’olio al posto del burro e del latte per ragioni cultuali (a Dresda dovettero attendere la Butter-Letter

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Ogni comunità per una sera condivide il medesimo pasto

vergata da papa Innocenzo VIII nel 1490, prima di godere di una deroga nella preparazione del christstollen, per quanto limitata al principe elettore che aveva sollevato il caso). Ma anche la simbologia permane. A esempio l’invarianza del colore giallo, tipico delle paste dorate nel forno previa spennellatura, ma soprattutto evocativo del sole della cui luce si propizia il ritorno (già i Romani, per celebrare Mitra, utilizzavano in questa chiave la farina di mais); come pure la forma circolare, connessa al vecchio culto del solstizio. È il caso dei must italiani, pandoro e panettone, ma anche della pumpkin pie americana, del kolach ucraino, del bolo rei portoghese e del succitato kugelhopf. La nota ctonia ricorre, riproducendo il contrasto fra la luce e la tenebra che arretra. Si spiega così la frequente presenza della mandorla, che certo è frutto di stagione disponibile in quantità copiose, ma rappresenta anche l’affacciarsi della primavera, perché il suo albero è il primo a fiorire, e il rinnovamento della natura grazie alla forma oviforme, associata dall’iconografia a Cristo per la similitudine con l’occhio e il pesce. Come il Messia, portatore di luce, è nato nell’oscurità della grotta, il candido seme viene sepolto nelle cavità dell’impasto. Un destino condiviso dagli ingredienti più disparati, in chiave benaugurante per il nuovo inizio alle porte. La scaramanzia più emblematica è quella del Christmas pudding,

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Riti natalizi europei

dolce arcaico la cui composizione contempla il grasso di rognone, da cuocere per almeno 10 ore in acqua prebollente all’interno di un canovaccio annodato, o più modernamente al vapore. Spesso flambato e rifinito con un agrifoglio, si compone tradizionalmente di 13 ingredienti (fra cui spezie, uva passa, rhum e mandorle), che alludono a Cristo con i 12 apostoli. L’oscurità della sua massa ha ispirato nel tempo usanze intramontabili, capaci di cadenzare il calendario dei sudditi di Sua maestà. Tanto che Agatha Christie ha voluto celarvi le chiavi di un giallo appassionante, chiamato appunto Il caso del dolce di Natale. Per competere con l’acume di Hercule Poirot alla sua soluzione è necessario essere al corrente di parecchie stranezze. Per esempio che il pudding va preparato la domenica prima dell’Avvento, ribattezzata stir-up Sunday perché in quell’occasione tutti i membri della famiglia sono chiamati a dare una giratina all’impasto, con movimenti rivolti verso ovest per rievocare il viaggio dei re Magi. O che si suole tuffarvi oggetti disparati, quali piccole monete d’argento, ditali, forcelle, ancore mignon latrici di prosperità e solidità ai fortunati. Non certo voluminosi rubini sottratti a principi orientali infatuati… Una suspense da non violare impiattando il finale anzitempo. La sorpresa viene coltivata anche nelle pasticcerie danesi, spagnole e francesi: il julegrod, il roscon de Reyes e il pithiviers contengono rispettivamente una mandorla, un regalo con una fava secca (per chi è destinato a pagare) e un fagiolo secco.

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Oltralpe troviamo la Buˆche de Noël, che evoca simbolicamente il ceppo di legno più robusto, che giaceva nella legnaia fino alla Vigilia di Natale

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Ma le opulente feste francesi fanno posto anche all’assortimento provenzale dei 13 dessert (contando di nuovo i commensali dell’ultima cena), un mix di frutta fresca, secca e dolcetti su cui troneggia la pompe à l’huile, pane dolce evocativo dell’eucarestia. Coronano un pasto servito su tre tovaglie bianche, con tre candele bianche, tre spighe di grano e sette piatti di magro figurativi di altrettanti dolori della Vergine, ed è obbligatorio sbocconcellarne di ogni tipo in ossequio alla numerologia cristiana. Soprattutto oltralpe c’è la Bûche de Noël, un dolce che parrebbe mera prosa di cucina, e invece riluce della luminaria dei simboli. Certo le sembianze sono cheap: la morbida spirale di biscotto farcita di crema al cacao e glassata di ganache, guarnita eventualmente di funghetti di meringa e fogliame in marzapane, è un gioco mimetico naïf che data al massimo dal XIX secolo. Ma al suo interno palpita una linfa millenaria. Se è vero che nel Nord Europa a simboleggiare il Natale era il ceppo di legno più robusto, chiamato yule log, che veniva tagliato laddove il diametro del fusto era massimo e giaceva nella legnaia fino alla vigilia di Natale. Da quel momento fino a Capodanno avrebbe riscaldato il bambin Gesù, non senza qualche reminescenza pagana, visto che le ceneri disseminate nei campi avrebbero propiziato la fertilità a venire. Insomma un rotolo dalla mission impegnativa: rimpiazzare ceppi che eccedevano i focolai contemporanei, tramandandone i significati nelle metropoli sovraffollate.

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di Giovanna Marchello

CHIAMATELO

mago!

© PARAMOUNT PICTURES

JOE LETTERI, QUANDO LA TECNOLOGIA DIGITALE D’AVANGUARDIA CREA LA MATERIA DEI NOSTRI SOGNI

La parola chiave nel lavoro di Joe Letteri è percezione. Il pluripremiato ideatore degli effetti speciali di grandi film di successo come la trilogia de Il Signore degli Anelli, King Kong, Avatar e L’Alba del Pianeta delle Scimmie è un affascinante signore che, nel corso della sua trentennale carriera, ha decreatività e mestiere alla credicato intuito, int azione di mondi fantastici per milioni di entusiasti spettatori in ogni parte del mondo. Direttamente dal cuore della Nuova Zelanda, la cui rigogliosa natura fornisce il perfetto palcoscenico ai film che realizza, Joe Letteri ci spiega che il suo rapporto con l’arte è cresciuto nell’ammirazione per il modo in cui gli artisti, dal rinascimento al realismo, osservavano e percepivano la realtà che riproducevano. Capì che alla base di tutto c’è la percezione, la chiave per comprendere come la gente osserva le cose e le vive come reali. La maggior parte dell’arte che Letteri crea è fantastica e reale allo stesso tem-

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po, come dice lui stesso, e il suo obiettivo è «catturare la realtà e riprodurla in modo tale che le immagini ci parlino in un modo vero». Come molti ragazzi, Joe amava disegnare i dinosauri. Del tutto eccezionalmente, però, i suoi dinosauri non sono rimasti confinati al foglio da disegno ma sono entrati nel Jurassic Park di Steven Spielberg. Il suo approccio alla ricostruzione virtuale di un dinosauro o dello schianto di un elicottero è al contempo artistico e scientifico. La messinscena, gli oggetti e le creature sono prodotti digitalmente, ma il punto d’inizio, analogamente a un artista o a un artigiano, è l’osservazione della realtà. E in questo senso Joe Letteri è un vero artigiano. «Vent’anni fa era un processo più intuitivo, ora tutto è scientifico», ci spiega. Per ogni creatura, oggetto o paesaggio vengono eseguite minuziose ricerche. L’osservazione e la misurazione delle proprietà materiali, fisiche, la meccanica del movimento e della struttura

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Mestieri dello spettacolo

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Un’epica battaglia navale ricreata per l’immaginario mondo di Tintin

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Mestieri dello spettacolo

storie che ritiene rilevanti, costumi, dettagli e personaggi. Stabilita la struttura, il film viene diviso in categorie, ognuna assegnata a una squadra di esperti che si occupano dei diversi aspetti artistici e tecnici. Letteri supervisiona l’intero processo, fornendo le direttive e l’impronta stilistica. Lavorare su un film come Avatar è stato molto stimolante, perché ha dovuto creare ciò che non esisteva. Ma per Letteri la sfida più coinvolgente è dare vita a personaggi e mondi coi quali il pubblico possa identificarsi e vivere come «reali», che sia la New York anni Trenta di King Kong o le storie raccontate da J.R.R. Tolkien. Ama lavorare con i personaggi di fantasia: non vuole limitarsi a imitare la vita, ed è affascinato dal potenziale espressivo di personaggi fantastici. Per lui quello che veramente conta in un film

impiegata principalmente nei film fantastici e di avventura, ma in misura maggiore o minore viene usata anche nella maggior parte dei film girati oggi. Possiamo immaginare Joe Letteri come un moderno artigiano nella sua bottega futuristica, dove al posto di edifici o navi vengono commissionati film, per i quali i registi dettagliano le loro richieste. Joe Letteri ha costruito un set dove James Cameron potesse lavorare e girare direttamente nel mondo virtuale. Peter Jackson, produttore e regista de Il Signore degli Anelli, King Kong, Le Avventure di Tintin e Lo Hobbit è invece molto specifico nella selezione delle parti delle

di successo è una qualità impalpabile, costituita da dettagli ed espressioni che coinvolgano lo spettatore a un livello emotivo. Ragione per cui è fiero di essere stato nominato Ufficiale onorario dell’Ordine del merito della Nuova Zelanda dalla Regina Elisabetta II. Oltre ai molti premi vinti (quattro Oscar e quattro Bafta, Saturn, Visual Effects Society, Ioma) questo è il riconoscimento del suo lavoro, per mezzo del quale il pubblico si identifica nelle storie che rappresenta e nelle quali può vivere, almeno al cinema, i propri sogni. Joe Letteri è impegnato adesso nella produzione della trilogia de Lo Hobbit, diretta da Peter Jackson, e L’Uomo d’Acciaio di Zack Snyder.

© TWENTIETH CENTURY FOX FILM CORPORATION

della superficie, e di come la luce si riflette e viene rifratta. Avendo fatto sua l’essenza delle arti figurative, Joe Letteri sa che la luce è intrinseca alla percezione e la usa sapientemente in combinazione con il movimento e i personaggi per ottenere la sincronicità visiva di quello che accade sullo schermo, ciò che lo spettatore percepirà come «vero». Joe Letteri è il supervisore capo degli effetti speciali della Weta Digital, la società di produzione creata da Peter Jackson negli anni 90. È alla guida di un’industriosa e motivata squadra di giovani artisti di talento. La realizzazione di un film digitale ha incrementato il numero di persone coinvolte in una singola produzione. Basti pensare che quasi 900 addetti hanno lavorato ai soli effetti speciali di Avatar di James Cameron. Questa sofisticata tecnologia è

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Sopra, Andy Serkis diventa Caesar ne «L’Alba del pianeta delle scimmie»; in basso Joe Letteri riceve l’Oscar con Brian Van’t Hul e Christian Rivers per gli effetti speciali di King Kong (2006). A destra, in alto Tintin e il capitano Haddock, in basso Ann Darrow (Naomi Watts) con King Kong sull’Empire State Building.

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Q © UNIVERSAL STUDIOS

QUESTA È UNA STORIA D’ECCELLENZA, RACCONTATA ATTRAVERSO L’EMOZIONE DI UNO SGUARDO DIGITALE CHE HA PORTATO PIÙ VOLTE JOE LETTERI ALL’OSCAR

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ILTEMPO fatto a mano di Alberto Cavalli

TREDICI GRANDI ATELIER ITALIANI INTERPRETANO I PROGETTI DI

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Scriveva Giorgio de Santillana che «nell’universo arcaico tutte le cose erano segni e segnature l’una dell’altra, inscritte nell’ologramma, da divinarsi con sottigliezza». Il dialogo silenzioso eppure eloquente degli oggetti, dei materiali e delle forme costituisce una potente forma di comunicazione tra il sé e l’altro da sé. Un dialogo che si dipana nel tempo, e che nel tempo acquisisce valore. Per questo una mostra dedicata al tempo non può esimersi dall’affrontare le suggestioni e i simboli che lo scorrere dei minuti evoca: suggestioni fatte di segni, come indici su un quadrante che fissa momenti da ricordare o attimi sui quali soffermarsi. E simboli come rappresentazioni totemiche, come «personaggiscultura» composti da forme che ne definiscono l’aura di energia e poesia. Nell’ideare le opere che costituiscono la mostra «Arts & Crafts & Design. Il tempo interpretato da Alessandro Mendini attraverso le mani di grandi artigiani» si sono voluti mettere in luce i rapporti di collaborazione tra l’arte, il design e il

mestiere: l’intuizione dell’artista si pone in dialogo con la capacità di interpretazione e di trasformazione materica degli artigiani, per arrivare a definire un modo nuovo di intendere l’oggetto e per farne emergere le multiformi identità. I maestri d’arte trasformano il progetto in prodotto; il designer dà voce alle ispirazioni rinnovando costantemente tecniche, stili, saperi che rappresentano un patrimonio culturale straordinario. Il tema del tempo è stato scelto come omaggio al mondo dell’alta orologeria, dove design, tecnica e mestiere d’arte sono strettamente legati: proprio per questo la mostra, ideata dalla Fondation Cartier pour l’Art Contemporain e dalla Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte e organizzata dalla Fondation de la Haute Horlogerie, viene inaugurata presso il Salone dell’Alta Orologeria di Ginevra sotto il patronage della Manifattura Vacheron Constantin. Le tredici opere progettate da Alessandro Mendini sono realizzate in tredici materiali diversi da grandi artigiani italiani: il dialogo tra

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Progetti d ’autore

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OGGETTI TOTEMICI «Ogni oggetto è stato studiato per mettere l’accento sui valori d’eccellenza dei principali materiali e dell’artigianato, usando tecniche in parte tradizionali e in parte evolute» spiega Alessandro Mendini, che ha selezionato maestri d’arte tra i più virtuosi e talentuosi.

MENDINI. UNA MOSTRA DI POETICA ITINERANTE

l’artista, il designer e il maestro, tra il progettista e l’interprete, restituisce la vitalità di un sistema economico, produttivo e culturale la cui eredità è tuttora attuale. La finalità culturale della mostra è dunque quella di evidenziare il ruolo fondamentale dei mestieri d’arte nella nostra società, ponendoli in un dialogo costante ed evolutivo con la creazione contemporanea. Benché ogni opera sia diversa e possieda un proprio carattere, tutte sono concepite per far parte di una collezione unitaria che è legata sia da un punto di vista logico, sia dimensionale: la disposizione di dodici dei tredici pezzi come intorno a un ideale quadrante lega in maniera sottile ma efficace il significato simbolico delle opere all’effettivo scorrere del tempo, il cui spirito sembra venire costantemente afferrato, rifranto, frammentato dalle punte che il designer ha voluto creare su ogni oggetto. Il tredicesimo accoglie i visitatori come una meridiana caleidoscopica, come un indice poliedrico puntato verso i punti cardinali

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di un tempo da custodire, di cui fare tesoro. Legno intarsiato, cristallo serigrafato, merletto di Cantù, rame dorato, bronzo, legno di briccola, ceramica, legno laccato, mosaico, vetro soffiato, plastica, plexiglas, polistirolo tornito: ogni oggetto realizzato dai maestri d’arte è stato studiato per mettere l’accento sui valori di eccellenza dei più importanti mestieri e materiali dell’artigianato, utilizzando tecniche in parte tradizionali e in parte evolute o sperimentali. Gli artigiani sono stati selezionati tra i più talentuosi e virtuosi. Ognuno degli oggetti possiede la propria identità estetica: il suo linguaggio visuale è coerente con le qualità dei materiali utilizzati. Le immagini fotografiche di Emanuele Zamponi, realizzate sia in fase di esecuzione sia quando gli oggetti erano già stati ultimati, illustrano la nascita di ogni pezzo in maniera emozionante. Da ogni opera traspare ciò che i giapponesi chiamano «makoto», ovvero: costruisci sincerità nel tuo prodotto, ricerca la verità. Che non per nulla, come dicevano gli antichi, è figlia del tempo.

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di Paolo Dalla Sega

IL SENSO DI ENEA

VIAGGIO NELLA FACTORY DI UNO DEI PIÙ IMPORTANTI ARCHITETTI

© ARCHIVI ENZO ENEA

A venti minuti da Zurigo e nel cantone di San Gallo, in un villaggio chiamato Rapperswill, è possibile sedersi a un tavolo neozelandese lungo dodici metri, passeggiare in un parco di 75.000 metri quadrati visitando un museo con oltre 120 grandi alberi, riposarsi all’ombra di un’orangerie autentica del Seicento e soprattutto incontrare Enzo Enea, artefice di tutto questo, il più importante architetto del paesaggio svizzero e tra i più famosi e attivi del mondo. La sua storia, al di là dei toni romanzeschi, è piena di verità e di concretezza, di sensibilità e manualità, di un profondo «sentimento della natura», così come la sua figura che mi accompagna nella visita fermandosi ogni tre passi a toccare, sentire, tastare ogni albero. «A cinquant’anni un albero prende una fisionomia, un carattere, una personalità. È la mia passione, il senso di questo parco-museo, nato perché non riesco ad abbattere gli alberi. Anche se ho bisogno di spazi, tengo tutto e con le tecniche dei bonsaisti, manualmente, do forme nuove alle mie piante». Enzo, nato e cresciuto a Ruti, sempre in zona, è figlio di Franco, originario di Cesena, commerciante di vasi e terracotte dell’Impruneta tra Italia e Svizzera. Negli anni Novanta acquisisce la ditta del padre e la ripensa completamente: dalla compravendita

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Ambiente e Paesaggio

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PER GLI ALBERI

DEL PAESAGGIO INTERNAZIONALI: UN PARCO-MUSEO DELLA NATURA

di vasi alla progettazione e realizzazione di giardini, dopo studi di industrial design e un master in gardening design a Londra. All’inzio, è con soli due operai giardinieri; ora, dopo un trasloco (o «traspianto») nella nuova sede che ha dell’epico, sono 140 tra progettisti, tecnici, realizzatori, manutentori, e seguono contemporaneamente centinaia di progetti in tutto il mondo: da Bel Air alla Russia, dall’Italia (con l’archistar Chipperfield sul Lago di Garda) ai paesi arabi, dalla Cina a Miami (sede anche di una filiale) e naturalmente l’intera Svizzera (importante shop a Zurigo); giardini privati, resort, parchi pubblici, terrazze e golf courses, architetture in ambiente. Visitare il parco-museo-show room -factory, realizzato qualche anno fa su un terreno di monache cistercensi, dà conto di un’attività affascinante, quasi fuori dal tempo (ma in realtà modernissima) nel basarsi sul «dare forma» alla natura, anzi ad ambienti armonici con l’uomo e l’architettura «dentro» il paesaggio. Negli studi di progettazione si gira tra disegni fatti con la china 0.3 su lucido, o con i «comics», e perfetti modelli

in autocad che uno dopo l’altro tracciano un giro del mondo da oriente a occidente, da nord a sud: il prima e il dopo di spazi che diventano giardini. Qua e là libri che sincreticamente ispirano: Brancusi, Moore, giardini giapponesi («dove si va per pregare»), arte e architettura contemporanea, giardini romani più che italiani, e naturalmente gli inglesi a partire da Russell Page. Nello studio di Enea, grandi vetrate sul parco, un alto tavolo vuoto con sopra un rotolo di lucido, pronto a disegnare qualsiasi fantasia. Il suo metodo è di una semplicità disarmante: «Ascolto e leggo il posto in cui mi trovo a lavorare, perché ogni posto “reclama” un’architettura. Parto da lì, anche da una semplice pianta, anche da una foglia; non aggiungo altro, niente di “diverso”. Perché tutti siamo parte della natura». L’integrazione si respira e quasi si tocca girando nell’immenso parcomuseo (visitabile), segnato da grossi blocchi d’arenaria e vasi in pietra di Vicenza, tra l’orangerie acquistata da Sotheby’s e colonne di un tempio thai intervallate da ciliegi e fiori di loto. Le suggestioni anche rituali

sono potenti, ma subito si torna «sulla terra» laddove dal parco-museo si passa al vivaio, collezione imponente di vasi e piante, tutto in vendita. Enea progetta e costruisce ambienti e architetture contemporanee al servizio di una vivibilità che è pragmatica quanto profonda e pervasiva: migliorare il clima, la qualità dell’aria, la visibilità e la relazione con l’ambiente circostante (e anche, però, incrementare il valore dell’area), con una tempistica di realizzazione che evidentemente gratifica i clienti di tutto il mondo, utilizzando piante già pronte e già grandi. Tutto ciò attraverso nuovi disegni, pendenze, elementi d’acqua (anche veri e propri laghi) e giochi col vento, interazione tra materiali e aromi: si beve il vino tra il timo e gli agrumi, ad esempio. A volte, la composizione di ispirazioni e azioni tocca più corde: un tavolo in mezzo a vecchi vigneti e meleti, intersecando memoria delle piante e del cibo, dell’uso di oggetti e ambienti. Dovunque si respira il senso del tempo, di un tempo lungo: anche al tavolo dell’intervista, nel caffè dello show room, il kauri di Riva salvato dalle sabbie mobili, millenni e millenni or sono.

© ARCHIVI ENZO ENEA

IL SENSO DEL TEMPO Sotto, giardino sulle sponde del lago di Zurigo, a destra terrazza nei dintorni di Zurigo. Nella pagina a sinistra, sopra uno spettacolare “traspianto” di Enzo Enea (nella foto); sotto un cantiere a Miami, Florida, e un ritratto dell’architetto nel suo parco-museo.

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Maestri del design

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Ugo La Pietra

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DESIGN

ECLETTICO LIBERTÀ E RICERCA, CONTEMPORANEITÀ E CONTINUI CONFRONTI. PATRICIA URQUIOLA, DESIGNER SPAGNOLA TRA LE PIÙ INFLUENTI AL MONDO, SVELA LA SUA PROGETTUALITÀ

P

Patricia Urquiola oggi rappresenta il design come espressione di un’attività continua di ricerca unita a una forte attitudine creativa. Formatasi in Spagna e poi al Politecnico di Milano, è evidente la sua seria formazione professionale e il suo modo di sostenere il progetto attraverso una logica rigorosa, a cui unisce però la sua capacità di azzardare e rischiare verso sempre nuovi traguardi. Le rivolgiamo alcune domande per cercare di capire la sua posizione nei confronti del ruolo del design oggi.

TRA DOLCEZZA E ARTI APPLICATE Flûte in vetro «Variations» realizzata per Baccarat in occasione del Salone del Mobile 2012. A fianco: «Chasen», lampada a sospensione progettata per Flos; il corpo è costituito da una lastra fotoincisa chimicamente in acciaio inox e diffusore in borosilicato.

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Maestri del design

Stile

È nota la sua grande versatilità nell’affrontare progetti con diversi risultati formali; quali sono i minimi comuni denominatori? Io credo molto nella libertà di ricerca, affrontando il progetto con una certa disponibilità. Ciò vuol dire capire la logica dell’azienda per cui lavoro, lasciar parlare i materiali e le tecniche disponibili, approdando di volta in volta a progetti diversificati. È quindi un modo di lavorare che non è caratterizzato da elementi stilistici capaci di determinare comuni denominatori alle varie opere da me progettate.

Modelli culturali Si può dire che il suo lavoro, soprattutto nella progettazione dell’imbottito, rappresenti il modo migliore per riconoscere i suoi modelli culturali? Ho molto apprezzato la mia prima opportunità che si è presentata con l’incarico da parte di Patrizia Moroso di progettare «imbottiti» per l’azienda. L’occasione mi è stata molto favorevole poiché ho incontrato una grande apertura mentale da parte di Patrizia e dell’azienda. Io venivo da una formazione rigorosa della Scuola di architettura a Madrid, scuola che ho poi anno in Italia. p continuato dopo p il quarto q

Di fatto questa mia formazione mi ha portato a sentirmi più vicina a quel design milanese che oggi viene definito dei grandi maestri storici come Castiglioni e Magistretti, anche se in quegli anni a Milano erano molto apprezzate le esperienze di rottura del gruppo Memphis e Alchimia. Io ero più attratta, anzi affascinata, dalle vetrine del negozio di De Padova, dalla sua coerenza e dalle opere di Magistretti che erano esposte lì.

Priorità Nel suo percorso progettuale viene prima: il rapporto con la materia, i rituali domestici, le motivazioni dell’azienda, l’intuizione poetica…? Devo dire che ritengo il mio lavoro molto interessante anche perché mi consente di confrontarmi di volta in volta con diverse realtà. In questo senso non dimentico mai la realtà (azienda) con cui decido di collaborare. Così il progetto segue il proprio corso, in qualche modo lo lascio defluire non introducendo nessuna tensione o forzatura. Potrei parlare di «progetto dolce» non traumatico, capace quindi di assecondare e valorizzare le potenzialità dell’azienda.

Classici

Esiste, tra i tanti oggetti che lei ha progettato, uno che possa già definirsi «classico»? Classico secondo la definizione di Gio Ponti, era l’oggetto senza connotazioni: la sedia era sediasedia. Oppure preferisce che i suoi oggetti vengano apprezzati e ricordati per le diverse connotazioni formali e decorative? Ho una grande stima e ammirazione per Gio Ponti: amo tenere sopra il mio letto un suo piccolo disegno; ma il modo di pensare e lavorare non necessariamente prevede la ricerca dello «stile». Io cerco di realizzare oggetti coerenti ma non so se sto operando per qualcosa capace di durare nel tempo. Credo nell’oggetto contemporaneo, se durerà o non durerà nel tempo sarà la società a dare una risposta a questo interrogativo.

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Maestri del Design

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LA MANO DELLA VERITÀ Sopra, poltrona della collezione «Massas» per Moroso: forma compatta e rigorosa con tagli delle linee che disegnano il tessuto in modo asimmetrico; cuciture in rilievo, come imbastiture, ne ripercorrono il perimetro fino a destrutturarne la linearità estetica. A sinistra: «Comback Chair» per Kartell; in alto, collezione di piastrelle in grès porcellanato «Dechirer» per Mutina.

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Maestri del design

nel mercato, come quello sviluppato da alcune gallerie come Nilufar a Milano. In altre occasioni, per la realizzazione di oggetti in marmo o oggetti per l’arredamento di alberghi mi sono impegnata a realizzare piccole serie di oggetti. Una pratica che mi ha portato sempre più a contatto con produzioni artigianali, come nel caso delle realizzazioni di un gruppo di vetri, prodotti da un maestro di Murano in occasione della Biennale di Venezia. Grande è stata l’emozione condivisa con la mia assistente Francesca nel vedere come l’artefice riusciva a trasformare una massa di vetro incandescente in oggetti di grande fascino. Tutto questo mi ha liberato da molti pregiudizi sul mondo della lavorazione artigiana. E mi ha fatto riflettere anche sul nostro modo di lavorare: come progettisti spesso il nostro studio è caratterizzato da una forte impronta artigianale (nella costruzione in studio di modelli, prototipi, la verifica di tecniche, …) anche se finalizzato alla realizzazione di opere seriali.

Autoproduzione Possono oggi i giovani designer, non

Edizione limitata e artigianato L’edizione limitata di alcuni oggetti è una soluzione progettuale e produttiva per poter affrontare procedimenti più vicini al craft (l’arte applicata) e quindi con più alto valore artistico e artigianale? E se sì, come pensa sia possibile ridare all’artigianato (sempre più spesso utilizzato nel mondo del design) un ruolo da protagonista non riconoscendo il «sistema-design» l’identità (il nome, il marchio) dell’artigiano nell’opera realizzata ma sottolineando sempre e solo il nome del designer e dell’azienda che produce (l’editore) dell’opera? Mi rendo conto che per molti oggetti di design non sempre possiamo parlare di grande serie, anzi! In questi ultimi dieci anni non sempre mi sono trovata a sviluppare elementi di serie, così molte mie opere di piccola serie hanno trovato interesse

trovando spazio operativo nella media e piccola azienda italiana, orientare la propria attività verso l’autoproduzione, imitando ciò che da decenni viene fatto dai creativi nordeuropei all’interno del craft? Un’area disciplinare che da sempre è costituita da musei, istituzioni, scuole, gallerie, mercato, collezionisti, quotazioni degli autori, cose che a noi mancano completamente. Credo che il design, per le giovani generazioni, possa avere in futuro molte vie d’uscita. Nuove strade attraverso le nuove tecnologie: seguendo quasi il modello dell’arcaico ceramista che autoproduceva il suo oggetto attraverso il suo personale forno, così il giovane autoproduttore potrà presto operare attraverso il piccolo «forno» per la realizzazione in 3D degli oggetti che progetta. Credo anche nello sviluppo di nuovi ruoli, sia in rapporto alle nuove professioni determinate dallo sfruttamento della rete, sia attraverso i tanti ruoli che è possibile trovare rispetto all’attività e alle necessità dell’industria. Se i giovani faranno molte esperienze e raccoglieranno molte informazioni, potremo ben sperare per l’apertura di nuove strade professionali.

NEL SEGNO DELLA FUNZIONALITÀ Sopra, serie di sedute «Husk» per B&B Italia caratterizzate da un telaio solido di materiale plastico che regge una morbida seduta impunturata a quadrettoni. A sinistra, lampada «Tatou» per Flos con diffusore in policarbonato. La straordinarietà della designer spagnola è rappresentata dalla sua capacità di progettare privilegiando la funzionalità.

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ovità e cambiamento, come ogni anno, accompagnano le nostre speranze per un futuro migliore. Riscopriamo le lezioni del passato e il dialogo con chi può arricchire il nostro spirito. Come insegnano i benedettini: nulla è senza voce

PLATONE, HEGEL E I VERI MAESTRI D’ARTE

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L’inizio di un nuovo anno, che questo numero della nostra rivista anticipa, reca sempre con sé un profondo anelito alla novità e al cambiamento: termini di cui in Italia si sente parlare spesso, ma la cui attuazione nella realtà resta in molti casi un’utopia. Il maestro d’arte sa che ogni nuovo progetto comporta necessariamente una profonda rimessa in discussione di sé e del proprio talento: anche quando ha acquisito sicurezza nei gesti, conoscenza dei materiali, profondità di comprensione dei desideri del committente e destrezza nell’uso degli strumenti, quando inizia un nuovo lavoro non procede come il pascoliano agnello «che pur va carponi» ma al contrario si interroga, analizza, fa andare le mani (come si suol dire) ma al contempo cerca di andare oltre il gesto per crescere come persona e come artigiano. Mi sembra un’ottima lezione da imparare e un magnifico proposito cui tenere fede. E sono parecchie le lezioni che tutti noi possiamo apprendere dai maestri d’arte: la propensione al dialogo, per esempio. Perché dal dialogo con i maestri c’è sempre da imparare. Quando insegnavo Storia del teatro in Università Cattolica lavoravo da vicino con personaggi straordinari come Mario Apollonio e Giuseppe Lazzati, con i quali si discuteva e soprattutto si dialogava. Per questo li consideravo i miei «maestri». E i maestri d’arte, che del dialogo con il designer, con il committente, con gli altri artigiani nutrono i propri gesti, dovrebbero aiutarci a ricordare che non bisogna smettere mai di dialogare con chi

Ri-sguardo

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ne sa più di noi. Anche se ci dà fastidio ammettere che ci sia qualcuno di più bravo, o di più saggio, o di più talentuoso. Nel teatro, l’essenza stessa di ciò che accade sul palcoscenico sono i dialoghi. Platone ci ha insegnato che filosofia e verità si apprendono attraverso il dialogo. E anche Hegel, con il suo procedimento di tesi, antitesi e sintesi, ci insegna ad andare sempre avanti mantenendo però i valori del passato: la tradizione, il prestigio, l’onestà. Hegel ci ha fatto vedere come si arriva alla verità attraverso un superamento continuo di tesi e antitesi. Oggi le tendenze sono divergenti: da un lato si fanno riunioni-fiume con dieci persone in cui non si decide niente, e dall’altro ci si trincera dietro la tecnologia per interporre uno schermo, una tastiera o un cellulare tra noi e l’interlocutore. Mentre i maestri d’arte ci invitano ogni giorno a non dimenticate mai il valore del dialogo, a non smettere mai di apprendere con curiosità e di chiedere, di imparare, di scoprire. Innanzitutto perché è divertente. In secondo luogo perché è utile. E infine perché il mestiere d’arte è cultura: e non c’è cultura se non c’è un dialogo sincero e appassionante con gli altri, e persino con gli oggetti. La spiritualità benedettina ci insegna che nulla è senza voce; e se è vero che i sapienti del passato erano soliti esporre le loro teorie sotto forma di dialogo, oggi il dialogo tra il maestro d’arte e l’artigiano deve rappresentare e trasmettere una sapienza diversa, soprattutto in Italia, quella dell’intuizione che si fa progetto. I designer sanno che in Italia trovano non solo un ambiente culturale fertile, ma anche «mani intelligenti» di maestri d’arte che sanno comprendere il progetto, porsi in dialogo, restituire una visione concreta sull’uso dei materiali e delle tecniche. Ma così come gli oggetti, anche i gesti hanno voce: hanno suono, consistenza, persino peso. Mettiamoci in ascolto di questa «voce», per saperci mettere in dialogo e crescere come professionisti e come persone.

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MESTIERI D’ARTE & DESIGN Poste Italiane S.p.A-Sped. In Abb.Post.- D.L353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art.1,comma 1 DCB Milano - Aut.Trib. di Milano n.505 del 10/09/2001 - Supplemento al N. 117 di Monsieur

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Mestieri dArte Design

MUSICA

Costruttori di armonie, la vocazione di Vacheron Constantin

PENSIERO

L’ultima poesia di alta architettura firmata Gae Aulenti

MATERIA

Scolpire la luce e plasmare nel fuoco l’anima del cristallo

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