UN SAVOIR-FAIRE ECCEZIONALE PER METTERE IN RISALTO I COLORI
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L’arte della smaltatura è stata inventata quasi 4000 anni fa da artigiani orientali. Con la nascita dell’orologeria nel XVII secolo, Ginevra divenne la culla della smaltatura Grand Feu destinata alla decorazione di orologi. Ancora oggi Vacheron Constantin coltiva quest’arte antica e Servendosi di un pennello, lo smaltatore crea o riproduce fedelmente sul quadrante disegni o miniature. Esistono anche altre tecniche di smaltatura, come per esempio il cloisonnÊ, che consiste nell’utilizzare champlevÊ, che prevede che lo smalto venga applicato all’interno di incisioni precedentemente realizzate nella materia. La smaltatura è un mestiere d’arte che richiede conoscenze artistiche e tecniche
Modello: Chagall e l’OpĂŠra de Paris “Omaggio a M.P. Moussorgskiâ€? Boris Godounov
Š Succession Marc Chagall – ADAGP, Paris 2012 – Chagall Š e Marc Chagall Š sono marchi registrati di proprietà del Comitato Marc Chagall
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GIOVANI, SCOPRITE IL VALORE INTRINSECO DELLA BELLEZZA Il mestiere d’arte è il pilastro del prodotto di qualità. Racchiude in sé antiche conoscenze e moderne sperimentazioni. E ci aiuta a guardare al futuro Il mestiere d’arte è, di diritto, il pilastro primario del prodotto di qualità. Diciamo pure di lusso, termine che raramente usiamo sulle nostre pubblicazioni perché quando si parla di «lusso» in Italia... vengono i brividi. Per noi il concetto stesso di lusso è legato alla produzione alta di gamma, francese e svizzera, purtroppo non sempre italiana né tantomeno americana. Per una questione culturale, per un’attitudine, per un universo anche commerciale (è ovvio) che viene non solo tutelato, ma valorizzato in Francia, in Svizzera e in Giappone. È una riflessione che ciclicamente ripete Franz Botré, connaisseur della qualità. La condivido. Da noi, in Italia, un’opera di mistificazione è stata perpetrata per anni, per troppi anni, ai danni del cliente. Si è miscelato, soprattutto nel mondo del tessile-abbigliamento (ma non solo), il valore di un brand con quello del prodotto finale. E si è finito col vendere l’etichetta più che il contenuto.
lasciando tracce indelebili. Basta guardarsi attorno, soffermarsi davanti a una vetrina ben curata, entrare in un atelier come in una bottega, dedicare il tempo (ecco un altro lusso) necessario per ammirare l’opera dell’uomo. Ma per raggiungere questo livello di eccellenza non basta seguire delle mode. Bisogna coltivare i talenti, accompagnarne la crescita, dire la verità. Che senso ha avere università che sfornano ingegneri, architetti, letterati se poi la società in cui vivono non può offrire un’adeguata risposta alle loro legittime aspettative? Perché produrre disoccupati? Perché non insegnare, come si faceva in un tempo poi non troppo lontano, l’importanza di apprendere un mestiere? Mi perdonerete se torno su questi valori, ma un abile tagliatore di pelli, un sarto, il cesellatore, il falegname sono tutti mestieri che, adeguatamente sostenuti, difficilmente non troveranno soddisfazione nella loro vita. Sia sotto un profilo creativo che produttivo. Leggendo le riviste internazionali, osservando il mondo per come viene rappresentato, assistiamo a un ritorno del mestiere d’arte, sempre più apprezzato. Penso spesso alla bellezza che ci circonda, al piacere del tatto, al gusto di acquistare oggetti di qualità. Soprattutto in momenti assai impegnativi come quelli che stiamo vivendo, quando al vocabolo costo sostituiamo sempre più il termine valore. Difesa della conoscenza, tutela delle esperienze cui non possiamo rinunciare, valorizzazione di quelle che mi ostino a considerare botteghe delle meraviglie. Ecco cosa il mondo ci riserva, se solo abbiamo l’intelligenza, più che la sensibilità di capire, ragionando con le nostre teste. Ecco di cosa parliamo, con orgoglio, su questa testata. Ecco cosa portiamo nel mondo grazie alla visione illuminata di Vacheron Constantin. Convinti, come siamo, che se è vero che solo la bellezza salverà il mondo, come scriveva Fëdor Dostoevskij, ha pur ragione Jean Anouilh quando sostiene che «la bellezza è una di quelle rare cose che non portano a dubitare di Dio».
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Invece il mestiere d’arte, soprattutto se legato alla creatività del design, rappresenta quell’unicum di pregio che rende più bella la vita. È il sapore del legno, della pietra, della manifattura, del laboratorio. È l’insieme che cresce tassello dopo tassello, lavorato, assemblato per divenire pezzo unico. È la maestria dell’artigiano, il tramandare di antichi saperi, la sperimentazione, la visione. È quell’universo mondo che per molti anni (troppi) è stato visto come un sottoscala polveroso e fuori moda. Non per una questione di materiali, ma proprio come concetto di vita. E invece quei piccoli-grandi imprenditori che non hanno mai smesso di crederci assistono oggi alla riscoperta di antichi valori capaci di resistere allo scorrere del tempo. Al passare delle mode. Perché ci sono i grandi nomi dell’artigianato artistico, ma ci sono anche i piccoli laboratori che continuano a produrre bellezza e qualità. Il mestiere artigiano, quello che è «artigianato contemporaneo», è il lavoro più bello del mondo. E come tale deve essere trasmesso ai giovani, alle future generazioni, perché possa proseguire quel cammino che ininterrottamente dalla notte dei tempi continua a creare e rinnovare un’idea di noi stessi,
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Editoriale GIOVANI, SCOPRITE IL VALORE DELLA BELLEZZA di Gianluca Tenti
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In copertina, l’opera «Corte Nascosta» di François Staub rielaborata fotograficamente da Lorenzo Cotrozzi.
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l’Arte del Disegno LA MATERIA DEI SOGNI di Gianluca Tenti
Botteghe Libri Premi Iniziative Fiere Mostre ALBUM di Stefania Montani
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Fiere Maestranze SOUS LE SIGNE DU LION di Valentina Ceriani
Laboratori per il Futuro LES MAÎTRES DE LA CAPITALE di Vassili Dragomirov
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Una Casa su Misura IDEA MULTI FORM di Valentina Ceriani
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Ambiente e Paesaggio LADY ROSA di Giovanna Marchello
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Tradizione e Territorio IN CHORDIS ET ORGANO di Susanna Ardigò
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Sapori e Saperi ATTRAZIONE CHIMICA di Alessandra Meldolesi
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Musei LE MIRABILIA DEGLI ASBURGO di Alessandra de Nitto
Storie di Successo SI ALZI IL SIPARIO SUL MOBILE di Alessandra de Nitto Imprese e Tradizione AMORE ARTIGIANALE di Alberto Cavalli Maestri del Design FORME CHE DIVENTANO DIVINE di Ugo La Pietra Dedizione senza Tempo LA DANZA DELLE ORE di Alberto Cavalli Patrimonio dell’Umanità TESSITRICE DI SAGGEZZA di Akemi Okumura Roy Il Guanto della Sfida CON LA TESTA NEL PALLONE di Federica Cavriana Serenissima Ispirazione UNE FOLIE, C’EST UNE FOLIE, MA FOLIE... di Paolo Dalla Sega
I Luoghi della Conoscenza LE FIAMME DELLA MEMORIA di Simona Cesana
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Cattedrali del Vivere NILUFAR: POETICA, COLTA, VISIONARIA di Ugo La Pietra
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Talenti da Scoprire COSTRUITO NON IMBOTTITO di Francesca Sammartino
Opinioni
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Fatto ad Arte di Ugo La Pietra QUESTO ENTUSIASMO COLLETTIVO NON SIA UNA MODA
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Pensiero Storico di Alberto Bassi IL CONTEMPORANEO BISOGNO DI DIALOGARE
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Le Frontiere del Futuro di Guy Salter CREARE A MANO UNA REPUTAZIONE NAZIONALE
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Preparare all’Eccellenza di Gérard Desquand I MÉTIERS D’ART SARANNO I MESTIERI DEL DOMANI Ri-sguardo di Franco Cologni CONOSCERE E AMARE L’AUTENTICITÀ
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Collaboratori
A RTI G I A NI D E L L A PA R O L A ALBERTO BASSI
GIOVANNA MARCHELLO
Storico e critico del design, è professore all’Università Iuav di Venezia. Autore di numerosi volumi e saggi, ha collaborato con riviste di settore come «Casabella», «Auto & Design», il domenicale de «Il Sole 24 Ore» e di «Il fatto quotidiano». Tra i suoi libri: «La luce italiana. Design delle lampade 1945-2000».
Cresciuta in un ambiente internazionale tra il Giappone, la Finlandia e l’Italia, appassionata di letteratura inglese, vive e lavora a Milano, dove si occupa da 20 anni di moda ed è specializzata in licensing.
AKEMI OKUMURA ROY
STEFANIA MONTANI
Dopo essersi occupata della comunicazione per grandi brand del lusso, lascia Tokyo e il natio Giappone per seguire a Londra il marito, fotografo inglese. Lavora ora come corrispondente per numerosi media nipponici.
Giornalista, ha pubblicato due guide alle Botteghe artigiane di Milano e una guida alle Botteghe artigiane di Torino. Ha ricevuto il Premio Gabriele Lanfredini dalla Camera di Commercio di Milano per aver contribuito alla diffusione della cultura e della conoscenza dell’artigianato.
GUY SALTER
PAOLO DALLA SEGA
Guy Salter ha occupato ruoli di senior management presso l’ufficio del Principe di Galles, Laurent-Perrier, Asprey & Garrard, Arcadia Group. Collabora da 13 anni su base volontaria per il Walpole British Luxury; in questo contesto ha creato Walpole Crafted, in supporto agli artigiani del lusso.
Trentino, vive e lavora a Milano. È curatore di numerosi avvenimenti sociali e culturali. Presso l’Università Cattolica di Milano ha ideato e dirige il Master in Ideazione e progettazione di eventi culturali, e insegna Valorizzazione urbana e grandi eventi.
ALESSANDRA MELDOLESI
SIMONA CESANA
Dopo gli studi universitari ha conosciuto il coup de feu e il coup de foudre dell’alta cucina dietro i fourneaux di Parigi. Oggi è appassionata food writer che miscela saperi e sapori, giornalista e traduttrice specializzata, con un vero debole per la cucina d’avanguardia.
Laureata in design al Politecnico di Milano, si è sempre interessata all’arte applicata e al design artistico. Con un gruppo di artisti e operatori culturali ha fondato a Monza, città in cui vive, un’associazione che si occupa dell’organizzazione di eventi culturali e attività didattiche su letteratura, musica e teatro.
VALENTINA CERIANI
GERARD DESQUAND
Figlia d’arte, ha iniziato a respirare giovanissima l’aria dei giornali nel 1996, come factotum di redazione, ribattendo al computer i testi dei collaboratori, correggendo le bozze, mandando fax... Approda al mondo dei femminili, collabora per testate di turismo, poi sbarca definitivamente in un maschile: Monsieur.
Presidente dell’Institut National des Métiers d’Art, nominato Maître d’Art nel 2006, Gérard Desquand è un incisore specializzato in araldica: mestiere raro e raffinato che ha ereditato per tradizione familiare e che insegna presso la Scuola Estienne. Nel 1979 è stato nominato Meilleur Ouvrier de France.
Condirettore: Gianluca Tenti Grafica: Francesca Tedoldi Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte Direttore generale: Alberto Cavalli Editorial director: Alessandra de Nitto Organizzazione generale: Susanna Ardigò
MESTIERI D’ARTE Semestrale – Anno IV – Numero 8 Dicembre 2013 Direttore responsabile ed Editore: Franz Botré Direttore editoriale: Franco Cologni Direttore creativo: Ugo La Pietra
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Hanno collaborato a questo numero. Testi: Alberto Bassi, Augusto Bassi, Andrea Bertuzzi, Federica Cavriana, Valentina Ceriani, Simona Cesana, Paolo Dalla Sega, D&L Servizi editoriali, Gérard Desquand, Vassili Dragomirov, Alessandra Meldolesi, Giovanna Marchello, Stefania Montani, Akemi Okumura Roy, Guy Salter, Francesca Sammartino.
Immagini: Enrico Cano, Lorenzo Cotrozzi, Achim Hatzius, Alexis Lecomte, Kimimasa Naito, Bob Noto, Marco Pagani, Emanuele Zamponi. Mestieri d’Arte & Design è un progetto della Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte Via Lovanio, 5 – 20121 Milano www.fondazionecologni.it © Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte. Tutti i diritti riservati.
Pubblicazione semestrale di Swan Group srl Direzione e redazione: via Francesco Ferrucci 2 20145 Milano Telefono: 02.3180891 info@monsieur.it
SWAN GROUP PUBBLICITÀ Via Francesco Ferrucci 2 20145 Milano telefono 02.3180891
Manoscritti e foto originali, anche se non pubblicati, non vengono restituiti. È vietata la riproduzione, seppur parziale, di testi e fotografie. www.monsieur.it www.fondazionecologni.it
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Fatto ad A rte
QUESTO ENTUSIASMO COLLETTIVO NON SIA UNA MODA
Per troppo tempo i tentativi di avvicinare la cultura del progetto a quella del fare, alla ricerca di un design territoriale, furono ignorati dalla cultura ufficiale. Non ripetiamo gli errori
Nel mondo del design sembra che l’università, l’industria, le istituzioni, i progettisti si siano tutti convinti dell’importanza dell’artigianato per la nostra cultura del progetto e cultura d’impresa. Non è facile partecipare a questo entusiasmo collettivo, avendo visto negli ultimi decenni centinaia di strutture artigiane interrompere la propria attività. Tutti ricordano l’euforia, all’inizio degli anni Ottanta, del mondo del design nei confronti di gruppi come Memphis e Alchimia e nei confronti del Postmoderno, tendenze che non contemplavano il recupero della manualità e del fare.
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Pochi forse ricordano la difficoltà di far accettare al mondo del design il valore di quegli artigiani che conservavano nel loro lavoro la sola cultura del fare, design che si era allontanato dalle opere che non erano in grado di moltiplicarsi. Per troppo tempo i tanti tentativi di far avvicinare la cultura del progetto alla cultura del fare, alla ricerca di un design territoriale (attraverso le mostre organizzate negli anni Ottanta e Novanta «Progetti e territori», «Genius Loci»…), furono ignorati dalla cultura ufficiale del design italiano. Quella cultura che fondò per la prima volta a Milano una scuola, all’interno del Politecnico, che venne chiamata Facoltà del disegno industriale, definizione che
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dopo anni venne trasformata in Politecnico del design, guardando così finalmente le arti applicate nella loro complessità (anche artigianale!). Non è facile, dicevo, partecipare all’entusiasmo che sembra attraversare tutta la cultura del design italiano nei confronti dell’artigianato quando l’ultima riforma didattica ha cancellato tutti i laboratori degli Istituti d’arte e constatando, inoltre, che non esistono in Italia gallerie d’arte applicata dove è facile incontrare collezionisti che capiscano la differenza tra porcellana e ceramica, tra vetro e cristallo e sappiano riconoscere «la mano» (e quindi il nome) dell’artigiano che ha realizzato quell’opera.
Ancora pochi sono i veri cultori che hanno impegnato e impegneranno le proprie energie per far conoscere e valorizzare una grande area culturale e produttiva a cui mancano musei, istituzioni, mercato. Comunque voglio credere e partecipare a questo entusiasmo collettivo e lo farò come ho sempre fatto: indirizzando l’attenzione dei vari operatori verso gli esempi che vengono dal mondo del craft europeo che ha da sempre apprezzato «il design che realizzava tre sedie all’anno!». Nella speranza che tutto questo entusiasmo verso l’artigianato non sia solo l’ennesima moda passeggera che alimenta il sempre più debole design italiano.
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Pensiero Storico
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ARTIGIANATO E DESIGN, IL CONTEMPORANEO BISOGNO DI DIALOGARE Di recente in Italia si è parlato con entusiasmo di «saper fare» ma non possiamo limitarci a questo. È necessario studiare, valorizzare e far conoscere nuovi modelli progettuali Dentro le vicende del design italiano sono state attive e riconoscibili differenti modalità nel mettere in relazione progetto e sistemi produttivi. Lavori di architetti, artisti, designer, tecnici, ingegneri, o «autodidatti», di volta in volta sono stati prodotti da aziende artigianali, di artigianato-meccanizzato, da industrie organizzate per realizzare piccole, medie o grandi serie; in molti casi i modi esecutivi sono stati fra loro combinati allo scopo di configurare quella capacità unica, che caratterizza il design italiano, di unire «saper fare» e cultura del progetto. Tale ricchezza e molteplicità di certo non è sempre stata adeguatamente riconosciuta, valorizzata e «raccontata». Di frequente, per esempio, la lettura storicocritica ha privilegiato chiavi univoche e generiche, impoverendo la possibilità di adeguata comprensione da parte degli stessi progettisti, degli imprenditori, dei «sistemi» e degli strumenti di comunicazione, valorizzazione e formazione (dai musei all’editoria alle scuole) e infine degli utilizzatori e del mercato. Insomma, è stato comodamente etichettato in toto come design un fenomeno plurale, articolato e complesso. Per non parlare delle risibili, ma strumentali, vulgate per cui «tutto è design» (quindi niente!), del design longa manus del marketing, della comunicazione, dell’«eventismo» diffuso e così via. Gli strumenti della conoscenza scarsamente affinati hanno reso difficile identificare il contributo e la specificità di ognuno con la conseguenza di una difficoltà di riconoscere valore, salvaguardare, sviluppare. Una delle possibilità compromesse deve certo essere considerata quella del dialogo fra design e fare artigianale. Compromessa per reciproca mancata conoscenza; per la difficoltà di intraprendere, valorizzare, comunicare e vendere prodotti progettati e realizzati per mercati di nicchia, come certo sono le piccole serie o il pezzo unico dell’artigianato. Ciò ha
comportato una fase difficile per i produttori, la difficoltà dei designer di dialogare, confrontarsi e crescere assieme alle aziende, l’impoverimento dell’offerta per il pubblico. La lettura delle condizioni contemporanee e delle ipotesi di sviluppo che provano a guardare a un futuro prossimo ci dice però che molto è cambiato. Dalla crisi del modello di sviluppo e consumo infinito alla «coda lunga» dei mercati, di cui parla il saggista Chris Anderson; dalle obbligate necessità di strategie e identità riconoscibili per aziende e prodotti alle rinnovate modalità del consumo, esperienziale e personalizzato; dagli orizzonti delineati dalle nuove tecnologie e dai nuovi media alle nuove sfide per la cultura del progetto, cui viene chiesto anche di prendersi una qualche cura delle persone, delle cose e del pianeta.
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Di recente in Italia si è tornato a parlare molto di «saper fare» artigianale, subito però impropriamente mischiato con autoproduzione, maker, do-it-yourself e così via. L’attenzione per un modello di progetto-produzione-comunicazione-distribuzione-consumo alternativo e/o complementare a quello del mercato di massa consumistico e «sviluppista», ormai non più sostenibile, è certo positivo a patto che non venga bruciato come un’opzione passeggera, temporanea o nostalgica, oppure come l’ultima «moda». Nuovi media, nuovi sistemi di progetto e comunicazione, nuove sensibilità da parte degli utilizzatori, nuove condizioni di mercato sono disponibili. Il tema è cosa fare in una prospettiva di tempo medio-lungo per recuperare una cultura paritaria di collaborazione fra design e artigiani, in grado anche di sviluppare modelli di impresa capaci di operare dentro la realtà contemporanea, per studiare, valorizzare e far conoscere storia e presente del progetto con e per la produzione artigianale. C’è nuovo lavoro per molti.
LO STORICO DEL DESIGN *Alberto Bassi, storico e critico del design, è professore all’Università Iuav di Venezia e dirige i corsi di laurea in design della Iuav-San Marino. Autore di volumi e saggi, collabora con importanti testate giornalistiche.
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Le Frontiere del Futuro
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CREARE A MANO UNA REPUTAZIONE NAZIONALE I marchi europei continuano a dominare i mercati grazie alle loro competenze culturali e creative, un asset di «soft power» di grande rilevanza. Ora, però, dobbiamo ripartire dai nuovi apprendisti
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L’industria globale del lusso è tuttora dominata da marchi europei: e questo è un dato di fatto che nel medio termine non dovrebbe conoscere rilevanti cambiamenti. Nonostante molte discussioni, possiamo dire che sono ancora assai pochi i marchi di lusso che sono emersi da mercati in rapida crescita come la Cina, o anche da mercati più maturi come il Nord America. L’Europa rimane il cuore commerciale e spirituale del lusso: un fattore importante, se consideriamo quanti vantaggi competitivi, specialmente nella manifattura, stanno migrando verso est. Una delle ragioni più importanti a spiegazione di questa situazione risiede in quelle che potremmo definire le proprietà culturali del marchio. Per «culturali» mi riferisco a quella reputazione nazionale, difficile da definire eppure assai rilevante, che si è sviluppata a livello regionale o locale in relazione sia a particolari capacità artigianali (pensiamo alla lavorazione della pelle a Firenze, per esempio) sia a una qualità specifica (le briglie in pelle colorate con tinture vegetali tipiche dell’Inghilterra). Ciò è spesso rafforzato da quello che si definisce «heritage», che corrisponde al lungo periodo di tempo durante il quale una particolare competenza è stata sviluppata in una data regione. Presi insieme, questi aspetti culturali e creativi (che contribuiscono alla reputazione del brand e della nazione stessa) rappresentano asset di «soft power» di grande rilevanza, importanti per il successo dell’industria del lusso anche quando non intesi in questa accezione. E la componente artigianale di questo «soft power» è un fattore critico intrinsecamente legato sia ai valori dei singoli brand sia a una più ampia reputazione nazionale.
ciano i nostri governi. Analogamente, i settori indipendenti del lusso e del mestiere d’arte possono contribuire ai valori tangibili di autenticità ed esclusività. Élite è forse una brutta parola, ma perché non aspirare a essere i migliori? In Europa cerchiamo di essere una società aperta ed equa, il che contribuisce in maniera non irrilevante alla forza del nostro «soft power»: ma è una conquista che costa cara. Lottare per arrivare agli standard più elevati ripaga in termini di business globale, ma anche a livello locale può ingenerare una legittima aspirazione al miglioramento e un senso di prosperità. Vorrei quindi dire che sia i brand del lusso sia gli artigiani che nel lusso lavorano dovrebbero essere più fieri e consapevoli del loro contributo culturale e commerciale, da cui viene anche la responsabilità di mantenere gli standard elevati, di investire in nuove risorse, di combattere per preservare le nostre competenze più significative, di innovare. Dobbiamo anche, credo, essere preparati a lavorare più duramente per influenzare la classe politica e spiegare non solo quali siano le nostre credenziali in merito al «soft power», ma anche quali siano i nostri contributi all’economia, alle finanze pubbliche e all’occupazione. Alcuni governi trovano ancora difficile considerare le cose belle e ben fatte alla stregua delle produzioni industriali. E anche se tante piccole e micro imprese portano a numeri consistenti in termini di occupazione, esse tendono a essere troppo difficili da inquadrare da parte dei governi, che non potendole misurare non riescono a valorizzarle e tesaurizzarle. Ma non sono solo i politici quelli che dobbiamo persuadere. Dobbiamo fare in modo che i mestieri d’arte siano maggiormente presi in considerazione anche dai giovani, così che si possa disporre di più apprendisti per il futuro. Per quanto sia spinoso ammetterlo, nonostante alcuni recenti passi avanti il design è ancora visto come una disciplina assai più affascinante che non i mestieri del fare; una parte della soluzione sta dunque nel dare maggior prestigio ai mestieri d’arte, rendendoli così più attraenti.
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Credo anche che i brand del lusso non si limitino a essere beneficiari di un «soft power» nazionale positivo, ma che contribuiscano a loro volta, in una sorta di spirale virtuosa, alla reputazione del loro Paese fungendo da ambasciatori, ovvero comunicando (a clienti che si trovano in mercati rilevanti ma lontani) i nostri valori nazionali contemporanei in maniera più efficace e più significativa rispetto a quanto fac-
Tradotto dall’originale inglese da Alberto Cavalli
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I MÉTIERS D’ART SARANNO I MESTIERI DEL DOMANI Come scriveva Ruskin, «l’arte è bella quando la mano, la testa e il cuore lavorano insieme». È questa la base dei nuovi modelli d’impresa, che nascono dal profondo rinnovamento di cui la società ha gran bisogno, riportando l’uomo al centro di tutto
Elementi di primo piano nell’economia e nei processi creativi, i mestieri d’arte rispondono a un’aspirazione ormai mondiale ad acquistare dei prodotti che abbiano un’identità e un’anima, in cui il valore aggiunto sia costituito dal tempo di elaborazione, dalla creatività, dall’intelligenza manuale e dalla durata nel tempo. Il successo delle Giornate europee dei Mestieri d’Arte organizzate dall’Institut National des Métiers d’Art (Inma) ben testimonia ogni anno quanto cresca l’attenzione di un pubblico sempre più numeroso e consapevole della ricerca di autenticità, di senso e di oggetti su misura. Questo movimento di fondo impatta anche su eventi come i Designers’ days di Parigi e le Design weeks organizzati in Europa e nel mondo, che hanno a loro volta una ricaduta sulle abilità artigianali locali e sui materiali. Poiché se il design è prima di tutto un metodo, un indicatore di progresso, il saper fare è anche una questione di «saper pensare».
rano insieme». Una generazione che crea nuovi modelli d’impresa, così come collettivi aperti e spazi collaborativi, svelando pratiche e rinnovando le produzioni. Questo rinnovamento e il necessario adattamento ai mercati diventano fattori di differenziazione, di competitività e di sviluppo economico: dunque ambiti chiave per i mestieri d’arte, su scala internazionale. In Francia, simili ambiti sono essi stessi condizionati da un altro fattore, anch’esso fondamentale per l’avvenire: la riforma della formazione ai mestieri d’arte, che l’Inma pilota e che avrei particolarmente a cuore, in quanto presidente, di portare a compimento. Per creare il nostro patrimonio di domani e inventare il nostro futuro occorre infatti far evolvere l’offerta formativa: aumentarne la qualità, adattarla al mercato in maniera più coerente sull’insieme del territorio; creare una vera filiera che vada dal livello dell’apprendistato fino al master, e che apra alla ricerca e all’innovazione; armonizzarla su scala europea creando condizioni di mobilità per gli studenti francesi in tutto il continente.
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* Presidente dell’Institut National des Métiers d’Art
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Inoltre, dal momento che la padronanza del gesto è intrinsecamente legata alla capacità di comprendere, di creare e di inventare, il campo dei mestieri d’arte è divenuto uno spazio di dialogo tra la tradizione e l’innovazione. Innovazione che riposa su ecosistemi creativi nei quali la qualità e la diversità delle collaborazioni tra diversi settori e attori giocano un ruolo determinante. All’incrocio tra arte, mondo dell’impresa e della tecnologia, gli atelier dei maestri d’arte sono tornati a essere gli autentici laboratori dell’innovazione, in grado di generare delle ricadute tangibili in altri settori come la moda, il lusso, il design, l’architettura, l’editoria, ma anche l’industria. Emerge una nuova generazione di imprenditori-creativi, «designers-makers», nata con le nuove tecnologie e con la voglia di abbattere le frontiere, per la quale senza dubbio, come diceva John Ruskin, padre del movimento Arts & Crafts e dell’Art Nouveau, «l’arte è bella quando la mano, la testa e il cuore lavo-
Fattori di inserimento professionale e di emancipazione sociale, i mestieri d’arte incarnano pienamente il movimento «Slow made», che è nato in Francia nel novembre 2012 grazie a Mobilier National e Inma. Più che un’etichetta si tratta di una firma collettiva, di un lifestyle che incoraggia un modo nuovo di produrre e di consumare, privilegiando la qualità e la durata nel tempo. Si tratta qui di valorizzare il giusto tempo: così Slow made significa «fatto prendendosi il tempo necessario», ovvero il tempo del gesto al servizio della ricerca e dell’innovazione, sempre. Creato intorno ai mestieri d’arte, questo movimento ha la vocazione di allargarsi a tutto l’ecosistema delle professioni creative. Professioni di ieri e oggi, attori di un cambiamento di paradigma della società e di un ecosistema in cui l’umano si reinventa, i métiers d’art sono soprattutto i mestieri di domani. Traduzione dall’originale francese di Alberto Cavalli
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ANABELA CARDOSO Lisboa, S. Vicente/ Alfama, Calçada de S. Vicente 62 Fin dal XIII secolo il Portogallo ha trovato nelle piastrelle dipinte una forma di rappresentazione artistica che ha raggiunto vertici qualitativi, collocandosi all’altezza della pittura e della scultura. Anabela Cardoso è l’animatrice di uno dei laboratori di pittura di «azulejos» più rinomati di Lisbona. Realizza decori con pennelli di diverse dimensioni, ossidi e colori minerali, sia riprendendo modelli dell’antica tradizione, sia creando disegni ex novo, a seconda degli ambienti e dei gusti dei clienti. Grazie alla sua abilità ed esperienza, è spesso chiamata a decorare facciate e ambienti di palazzi in giro per il mondo, dalla Francia alla Spagna, dal Brasile all’India. Anabela Cardoso è anche una valida restauratrice di ceramica, in grado di riprendere i decori delle epoche passate. Nel suo centralissimo atelier nel quartiere dell’Alfana tiene corsi di diverso livello per chi desidera apprendere quest’arte suggestiva. anabelacardoso-azulejos.webnode.pt
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ALBUM botteghe ADRIAN ZÜRCHER Zurigo, Schipfe 29 Nel cuore di Zurigo, in un’antica casa cinquecentesca che si affaccia sul fiume Letten, in una piccola, affascinante bottega dal soffitto a botte Adrian Zürcher realizza artigianalmente borse, sacche, zaini, astucci, cinture, piccole ciotole svuota tasche, portachiavi. E qualsiasi altro complemento in pelle, su misura. Da sempre appassionato di questo mestiere, dodici anni fa ha rilevato la bottega da uno storico artigiano del settore e ne ha continuato la tradizione. Tante le tonalità delle pelli allineate sugli scaffali tra le quali è possibile scegliere il colore per far realizzare il proprio modello. Provengono da una conceria in Toscana, zona famosa per questo tipo di lavorazioni. Sul tavolo, forbici, taglierini, pinze, aghi e tanti strumenti da lavoro con cui vengono realizzate le creazioni. Le borse, dal disegno pulito e lineare, possono essere ideate nelle dimensioni e nella forma volute dal cliente. «Ogni pezzo viene composto rigorosamente a mano, senza nemmeno l’aiuto di una macchina per cucire», afferma Adrian Zürcher. «Per questo è anche possibile personalizzare al massimo». www.lederladen.ch
SILVER TRE Milano, Via Novi 5/7 Riccardo Traviganti è un eclettico artigiano che ha ereditato l’attività di tornitura in lastra dal padre Carlo ed è in grado di realizzare oggetti straordinari, in argento, ottone, rame, acciaio. Tra le creazioni più stupefacenti dell’atelier Silver Tre a Milano si trovano le uova di Fabergé alte due metri, con bar all’interno, e la carrozza a grandezza naturale trainata da un cavallo a movimen-
to meccanico. Oggi il testimone è passato ai suoi figli: Carlo, Mara e Lorena, insieme a un team di collaboratori, danno vita alle creazioni più disparate, realizzando complementi per la casa in argento, alpaca, ottone. Sul soppalco ci sono forme e calchi di ogni dimensione, alle pareti tante lastre, barre, metalli. La clientela spazia dagli Emirati Arabi alla Russia. Persino un negozio di Parigi, noto per le varietà di tè, ha commissionato loro delle teiere a forma di cammello, copia di un modello del Settecento che Riccardo Traviganti ha trovato nei suoi libri d’arte. www.traviganti.it
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TESSITURA GIAQUINTO Gagliano del Capo (Le) Via Redipuglia 8 Francesca Giaquinto era un’intraprendente donna salentina che negli anni Trenta del secolo scorso riuscì a trasformare la tradizione artigiana della tessitura a telaio in un’attività imprenditoriale. Oggi questa eccellenza artigianale continua in Puglia grazie ai segreti del mestiere trasmessi dalla capostipite ai suoi discendenti: il figlio Cosimo, la moglie Annabella, i nipoti Francesco e Katiuscia. Nel laboratorio di Gagliano del Capo il ticchettio dei venti telai di legno a navetta volante, restaurati e ancora utilizzati per le lavorazioni a jacquard, si ripete nella produzione di tovaglie, lenzuola, copriletti, capi di biancheria per la casa, asciugamani, tessuti a metraggio. Rigorosamente realizzati con filati naturali, il cotone perlé egiziano e lino tinto in filo, con schede e disegni brevettati. Anche le confezioni vengono realizzate in laboratorio, grazie a sarte specializzate nel taglio, nel cucito, nel ricamo. Un’eccellenza artigianale del fatto a mano che ora esporta con successo anche all’estero. www.tessituragiaquinto.com
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ALBUM libri ELOGIO DELLA MANO Van Cleef & Arpels e i mestieri dell’alta gioielleria di Franco Cologni (Marsilio Editori) Van Cleef & Arpels è forse la più famosa maison di alta gioielleria al mondo. Fondata a Parigi nel 1906, si caratterizza per la fantasia creativa e l’inesauribile capacità artigiana dei suoi maestri gioiellieri, le famose Mains d’Or. In questo volume Franco Cologni racconta il lavoro di questi maestri, svelando ogni tappa della nascita di un gioiello d’eccezione: dal momento in cui viene disegnato fino alla sua realizzazione.
Franco Cologni gni
Elogio della El el mano ella m Van n Cleef & Arpels p s e i mesti mestieri dell’alta gioiel elleriia
M rsilio Marsilio
ARTIGIANATO E LUSSO Manifatture preziose alle origini del made in Italy POTERIE NOT FRÈRES Mas Saintes Puelles Route de la Poterie Sulle sponde del Canal du Midi tra Tolosa e Carcassonne, c’è una terra ricca di argilla chiara, utilizzata fin dall’antichità per l’ottima resa nel creare la ceramica. La fornace della famiglia Not, Robert, Philippe e Jean Pierre, fondata dai Perrutel nell’800, è famosa per la produzione di piatti, brocche, vasi da giardino, pirofile, ciotole, soprattutto casseruole per la preparazione dei piatti tipici della cucina francese. Un’attività artigianale tutta in famiglia. L’argilla lavorata e mescolata con l’acqua viene modellata nelle forme desiderate, che vengono poi cotte in forno una volta, messe a essiccare sugli scaffali prima di essere trattate a smalto con ossidi e pigmenti, cotte in un forno a legna di 40 metri cubi. Uno spettacolo assistere allo stivamento nel grande forno fino alla volta e alla chiusura della porta, sigillata con sabbia argillosa perché non filtri l’aria: 36 ore a 1000 gradi e tre settimane per il raffreddamento. Risultato: ceramiche invetriate verdi, grige, ocra, marroni non solo di gran fascino e bellezza ma anche resistentissime. www.poterienot.fr
A cura di Maria Pia Bortolotti (Skira) Volume di storia del costume che, attraverso saggi monografici dedicati alle tipologie di arti applicate in epoca visconteo-sforzesca (tessuti, gioielli, arredi, vestiti, armi, strumenti musicali, libri e giochi), risale all’origine della produzione di manufatti d’eccellenza nel Milanese tra tardo Medioevo e Rinascimento. Con testimonianze delle botteghe dell’epoca.
COOKING COUTURE A cura di Gisella Borioli con Giovanni Gastel (Marsilio Ed.) Cooking Couture è una passeggiata visionaria nel regno della cucina creativa e della moda d’autore. Le ricette inventate da Matias Perdomo, giovane e affermato chef della nuova generazione, per 11 stilisti, si confrontano con lo stile e l’eleganza Made in Italy. Il libro è a cura di Gisella Borioli, giornalista e art director, con foto di Giovanni Gastel.
ARTEFICI DI BELLEZZA Mestieri d’arte nella moda italiana di Paolo Colombo con Alberto Cavalli ed Emanuela Mora (Marsilio Editori/Fondazione Cologni) A un intenso lavoro di ricerca archivistica i Centri di ricerca Arti e mestieri e Modacult dell’Università Cattolica, su incarico della Fondazione Cologni, hanno affiancato le interviste ai maestri artigiani per ricostruire mestieri d’arte che non sono solo professioni, ma patrimoni intangibili di conoscenza, saper fare e creatività.
A BORD DES PAQUEBOTS 50 ans d’arts décoratifs Frédéric Ollivier, Aymeric Perroy, Franck Sénant Norma Editions Dall’entrata in servizio del France nel 1912 alla prima traversata atlantica di un altro France, questa volta nel 1962, le compagnie marittime e i cantieri navali francesi hanno vissuto 50 anni d’eccezione. Quattordici navi leggendarie firmate dai designer dell’epoca.
LA NOBILTÀ DEL FARE Testi di Andrea Kerbacher, fotografie di Giovanni Gastel Electa, in collaborazione con Acqua di Parma Ventitré storie di successo del made in Italy, con immagini di Giovanni Gastel. Tra i personaggi Pinin Brambilla Barcilon, Renzo Piano, Marco Magnifico, Mimmo Paladino, Uto Ughi, Maurizio Baglini, Daniele Gatti, Stefano Conia, i fratelli Marinelli, Luca Litrico e altri outsider, dall’architettura all’arte alla moda. Tessuti di Rubelli per la copertina.
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ALBUMfiere HEIMTEXTIL Francoforte, Fiera, 8-11 gennaio 2014 Importante fiera mondiale dell’arredamento tessile, del contract, della biancheria per la casa. Con tanti tessuti per l’arredo prodotti dai più importanti editori tessili del mondo, proposti da oltre 2.600 espositori. Ogni anno Heimtextil edita il Trend Book con le ricerche sulle ultime tendenze. In anteprima. www.heimtextil. messefrankfurt.com
collaborazione tra creatori, maestri orologiai e designer. Espongono A. Lange & Söhne, Audemars Piguet, Cartier, Baume & Mercier, JaegerLeCoultre, Montblanc, IWC, Panerai, Parmigiani Fleurier, Piaget, Greubel Forsey, Ralph Lauren, Van Cleef & Arpels, Vacheron Constantin, Roger Dubuis, Richard Mille. www.sihh.org
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HOMI Milano, Fiera di Rho, 19-22 gennaio 2014 Cambia nome e affianca nuovi progetti il Macef, Salone della casa, che grazie ad accordi internazionali sarà presente all’estero anche nei mesi di ottobre, maggio e aprile. A cominciare da Asia, Russia e Stati Uniti. Dall’home wellness a moda e gioielli, dal kid style al tessile domestico. Ci sarà anche il negozio di domani, con gli stili di vita del consumatore multiculturale, attento al benessere ma sempre ispirato all’eccellenza italiana. Tanti i manufatti in ceramica, vetro, porcellana, metallo, legno, cuoio, tessuto, materiali lapidei. www.homimilano.com 2
SALON INTERNATIONAL DE LA HAUTE HORLOGERIE Ginevra, Palaexpo, 20-24 gennaio 2014 Nel segno dell’eccellenza, l’anteprima mondiale dell’alta orologeria mette in mostra le ultime creazioni delle più importanti marche. Appuntamento frutto del lavoro di ricerca e della 2
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MAISON & OBJET Parigi, Nord Villepinte, 24-28 gennaio 2014 L’esposizione semestrale parigina illustra le nuove proposte firmate dalle più note aziende e dai designer affermati ed emergenti. Nel padiglione 4, intitolato Craft, lo spazio è interamente dedicato ai mestieri d’arte. Tante le soluzioni per l’architettura d’interni, l’arte della tavola, i tessuti, che quest’anno avranno per tema d’ispirazione le energie. www.maison-objet.com
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EXPOCASA Torino, Lingotto Fiere, 3-11 marzo 2014 Sei tipologie di prodotti esposti, dai complementi d’arredo ai tessuti, dall’arredo per il bagno all’illuminazione, dai prodotti per l’esterno alle
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FIERA DI SANT’ORSO Aosta, 30 e 31 gennaio 2014 Artigianato e creatività sono i protagonisti della Fiera di Sant’Orso, la popolare manifestazione che si svolge ogni anno ad Aosta gli ultimi due giorni di gennaio. Ricca di eventi, si snoda in tutto il centro cittadino con musica, degustazioni eno-gastronomiche di prodotti tipici, manufatti di falegnameria. Nella notte fra il 30 e 31 gennaio, il tradizionale Veillà, «veglione» con tutte le vie illuminate a giorno, musiche e bancarelle fino all’alba. www.fieradisantorso.it
proposte per il risparmio energetico, la climatizzazione, il riscaldamento e i materiali per ristrutturare la casa. A quest’offerta si aggiunge la quinta edizione di toBEeco, la mostra-concorso volta a premiare designer e aziende sul tema dell’ecologia e del riutilizzo dei materiali con progetti che uniscono creatività, responsabilità sociale e innovazione industriale. Grande spazio dedicato all’artigianato di qualità. Un appuntamento che sta registrando un crescente interesse internazionale. www.expocasa.it
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ALBUM premi iniziative teatro alla musica, entra a pieno titolo negli obiettivi della Fondazione Brunello Cucinelli, così pure la cultura dello studio e delle ricerche di un moderno umanesimo artigianale diventa protagonista in questa Scuola dei Mestieri di Solomeo. www.brunellocucinelli.com
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FUTURI MAESTRI D’ARTE A SCUOLA IN BOTTEGA 100 tirocini per 100 giovani Maestri d’arte. La Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte presenta la nuova edizione del progetto “Una Scuola, un Lavoro. Percorsi di Eccellenza”. Il progetto intende finanziare il tirocinio extra-curriculare di giovani diplomati presso le migliori scuole di arti e mestieri d’Italia, che potranno trascorrere un periodo di sei mesi presso una bottega, un laboratorio o un atelier d’impresa e lavorare così al fianco di un grande “maestro”. La Fondazione Cologni invita aziende, privati e istituzioni a sostenere fattivamente l’iniziativa “adottando” un giovane artigiano con la donazione di 5.000 euro. Un gesto importante per tutelare e promuovere la trasmissione del nostro straordinario sapere artigiano. www.fondazionecologni.it
PREMIO LILIANE BETTENCOURT PER L’INTELLIGENZA DELLA MANO La Fondation Bettencourt Schueller promuove dal 1999 un importante concorso dedicato ai mestieri d’arte, che premia le eccellenze del saper fare. Anche per l’edizione 2014 l’opera realizzata dai concorrenti dovrà testimoniare la perfetta padronanza delle tecniche artigiane, avere un carattere innovativo e indiscutibili qualità estetiche. Il Premio è di ben 50 mila euro. www.fondationbs.org
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X EDIZIONE DEL CONCORSO “IL MOBILE SIGNIFICANTE”. Il Premio “Fondazione Aldo Morelato – Progetto Opera” è stato assegnato al progetto “Ceppo” di Marco Fiorentino di Albenga: un oggetto multifunzionale che può essere utilizzato come tavolino o come seduta. Costituito da quattro elementi, ciascuno con tre lati a spigoli lisci e uno sagomato, uniti da tre elastici, è proposto in legno massello di cedro o rovere. www.fondazionealdomorelato.org
LA SCUOLA DEI MESTIERI DI BRUNELLO CUCINELLI Dopo il Teatro Cucinelli con le sue stagioni di prosa, musica e danza, e l’Accademia Neoumanistica Aureliana, con seminari di filosofia, storia, architettura e spiritualità, Brunello Cucinelli inaugura la Scuola dei Mestieri di Solomeo (Perugia), con corsi di formazione tecnica e di alta artigianalità. Gli allievi, selezionati attraverso un bando pubblico, riceveranno una borsa di studio e seguiranno, per quest’anno, corsi di teoria e pratica di Rammaglio e Arte del Rammendo. Perciò, se da un lato l’arte, in tutte le sue manifestazioni, dalla pittura al
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ALBUM mostre EROS MINIARTEXTIL Como, Villa Olmo Fino al 1 dicembre 2013 La 23esima mostra Miniartextil raccoglie 54 minitessili scelti tramite un concorso internazionale, che ha visto la partecipazione di 430 artisti da 43 nazioni diverse. Molti gli importanti nomi coinvolti, noti nel panorama dell’arte contemporanea: quest’anno sono presenti tra gli altri il londinese Yinka Shonibare e la statunitense Mandy Greer. EROS Miniartextil è un’occasione per conoscere l’opera di grandi protagonisti che con il loro lavoro arricchiscono il mondo dell’arte collegato al concept tessile. www.miniartextil.it
DECEPTION: CERAMICS AND IMITATIONS Londra, Victoria & Albert Museum Fino al 5 gennaio 2014 Dalle creazioni per la tavola fatte a imitazione di frutta e verdura fino a quelle realizzate riproducendo le patine delle varie specie di metalli, marmi o pietre preziose, la ceramica sotto le mani esperte di maestri artigiani ha sempre prodotto oggetti per deliziare e sorprendere gli occhi. Belli e inusuali gli esemplari esposti nella mostra londinese. www.vam.ac.uk UGO LA PIETRA: TRACCE. LA MIA TERRITORIALITÀ Mondovì, Palazzo Fauzone di Germagnano Fino al 6 gennaio 2014 Allievo di Fontana, sempre alla ricerca di nuovi segni e nuove tecniche, La Pietra ha espresso la sua creatività sulla carta, sulla tela e, negli ultimi anni, soprattutto sulla e nella ceramica. Terrecotte ingobbiate e incise, ceramiche decorate e smaltate, realizzate in Albisola, Milano, Nove e ora Mondovì (Ceramiche Besio 1842, l’ultima manifattura con marchio storico qui operante) che costituiscono un patrimonio espressivo e culturale di grande interesse e suggestione. www.museoceramicamondovi.it
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ISTANTI DI VETRO: Federica Bottoli interpreta l’opera di Marina e Susanna Sent Murano (Ve), Spazio Sorelle Sent Fino all’ 8 dicembre 2013 In occasione dell’apertura al pubblico – come spazio espositivo – dell’ateliershowroom delle sorelle Sent a Murano, una mostra ne celebra la passione per il vetro. Si tratta di quarantacinque fotografie di Federica Bottoli suddivise in due sezioni: una dedicata alle trasparenze in cui le trenta stampe digitali sono incollate a caldo su lame d’alluminio e presentate al vivo, e una quindicina di scatti dedicati al colore, in cui le stampe opache sono incollate su pannelli forex e incorniciate da un frame di legno scuro a contrasto. Protagonista, ovviamente, il vetro. L’esposizione, ospitata da Marina e Susanna Sent, è dunque anche l’occasione per ripercorrere in maniera inedita e poetica i vent’anni d’attività della vetreria.
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PIETRO PIFFETTI, IL RE DEGLI EBANISTI, L’EBANISTA DEL RE Torino, Museo Accorsi Fino al 12 gennaio 2014 Un’interessante mostra dedicata a Pie-
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tro Piffetti (Torino, 1701 – 1777), nella sala dei pannelli cinesi del Museo, in occasione dell’acquisto da parte della Fondazione di un cofano - forte dello straordinario ebanista della corte Sabauda, che andrà ad aggiungersi ai sette capolavori già presenti in Museo, e a cui saranno affiancate e una ventina di altre sue opere, per lo più inedite perché provenienti da collezioni private. www.fondazioneaccorsi-ometto.it 3
BODONI (1740-1813), PRINCIPE DEI TIPOGRAFI NELL’EUROPA DEI LUMI E DI NAPOLEONE Parma, Biblioteca Palatina, Teatro Farnese e Galleria Nazionale Palazzo della Pilotta, Fino al 12 gennaio 2014 Viene celebrato a Parma, nel bicentenario della morte, il grande Giovambattista Bodoni. La mostra, resa possibile dal determinante contributo di Fondazione Cariparma, è allestita in alcuni degli spazi monumentali più affascinanti della città: la Biblioteca Palatina, il Teatro Farnese e la Galleria Nazionale. Si potranno ammirare le raffinate edizioni bodoniane e, con
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esse, le testimonianze dell’intero processo di realizzazione e commercializzazione di capolavori che, sia per contenuto sia per qualità di stampa, erano contesi dalle corti, accademie, biblioteche e dagli intellettuali di tutta Europa a cavallo tra Sette e Ottocento. www.mostrabodoni.it
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L’IMPERO DELLE PIEGHE. MODA GIAPPONESE Zurigo, Museum Bellerive Fino al 12 gennaio 2014 Una suggestiva mostra di moda a Zurigo: dai disegni di Kenzo del 1970 ai modelli futuristi di Issey Miyake, ai rivoluzionari Rei Kawakubo e Yohji Yamamoto, l’abbigliamento diventa un guscio flessibile di tessuti dalle pieghe originali. www.museum-bellerive.ch FASHION JEWELRY. THE COLLECTION OF BARBARA BERGER New York, MAD Fino al 20 gennaio 2014 Circa 450 pezzi disegnati da grandi stilisti quali Miriam Haskell, Marcel Boucher, Kenneth Jay Lane, Balenciaga, Chanel, Yves Saint Laurent, Dior, provenienti dalla collezione di Barbara Berger, proprietaria di una delle più grandi collezioni di gioielli di Alta Moda al mondo: circa 4.000 pezzi tra bracciali, collane, spille e orecchini. www.madmuseum.org 4
FORNASETTI, 100 ANNI DI FOLLIA PRATICA Milano, Triennale Fino al 9 febbraio 2014 La mostra si compone di 700 pezzi provenienti per la maggior parte dallo straordinario archivio curato da Barnaba Fornasetti, che prosegue l’attività avviata dal padre. Pittore, stampatore, progettista, collezionista, stilista, raffinato artigiano, decoratore, Fornasetti è stato una personalità estremamente ricca e complessa, e ha disegnato e realizzato circa 13.000 tra oggetti e decorazioni. Il percorso della mostra si articola in sezioni che spaziano dagli esordi pittorici vicini al Novecento alla stamperia di libri d’artista, alla stretta collaborazione con Gio Ponti negli anni ’50 e ’60, fino al 1988, anno della sua morte. www.triennale.org
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CIRCUITS BIJOUX. DANS LA LIGNE DE MIRE Parigi, Musée des Art Decoratifs Fino al 2 marzo 2014 L’esposizione offre un panorama inedito della creatività francese contemporanea nel campo dei gioielli. Più di 600 pezzi illustrano il ruolo della «parure» oggi, la ricerca plastica, l’audacia delle forme. 55 creatori di bijoux contemporanei presentano le loro opere in una scenografia molto originale, corredata da video, documentari, sfilate e campagne di comunicazione pubblicitaria. www.circuitsbijoux.com SILVER FROM THE MALAY WORLD Londra, Victoria & Albert Museum Fino a 16 Marzo 2014 La mostra esplora il mondo della ricca produzione in argento nella Malesia di fine Ottocento, con le diverse lavorazioni e i particolari decori, che prendono ispirazione sia dalla natura sia dalle forme geometriche, mettendo in mostra un’ampia selezione di oggetti per la tavola, gioielli, monili da cerimonia, accessori per l’abbigliamento. Un viaggio alla riscoperta dell’arte rara. www.vam.ac.uk
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Opera realizzata dal maestro Claude Delhief, esperto nella glittica (incisione e scultura di pietre dure e preziose).
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LES MAÎTRES DE LA
CAPITALE
S
Si dice che coloro che usano le mani siano dei lavoratori; che coloro che usano le mani e la mente siano artigiani; e infine, che coloro che usano le mani, la mente e il cuore siano degli artisti. Una distinzione che il Vasari avrebbe poi definito con chiarezza nelle sue Vite: «artisti» sono solo coloro che hanno con la creazione un rapporto autentico, intenso. Gli altri sono artigiani, ovvero artefici di arti «minori». Una simile distinzione, utile in tempi in cui l’individualità dell’artista doveva emergere dalle masse anonime delle botteghe medievali, è però in qualche misura inadatta a essere applicata oggi alla vita, al lavoro e al metodo dei maestri d’arte, o degli artigiani più raffinati. Perché nell’abilità superba delle loro mani, nella capacità di interpretazione delle loro menti, nella passione che anima i loro cuori c’è un tratto distintivo che li rende figure a parte: e in un momento storico dominato da copie servili o dalla produzione di massa, riscoprire la bellezza e l’unicità di un oggetto firmato da un maestro d’arte significa svelare una bellezza da troppo tempo nascosta. «I mestieri d’arte sono un laboratorio per il futuro», diceva il liutaio Étienne Vatelot, presidente onorario (da poco scomparso) del Consiglio francese per i mestieri d’arte. «Esprimono una cultura viva e armoniosa, che viene a volte definita come eredità immateriale, che si impegnano a perfezionare e a tramandare. Per quanto fragili siano le loro attività, mostrano tuttavia una direzione per il futuro». Numerosi sono i marchi del lusso che stanno concentrando le loro attività di marketing sulla riscoperta del loro cuore artigianale: e invero il lavoro dei maestri d’arte è fondamentale per arrivare a quel «vero lusso» che sarebbe impossibile raggiungere senza l’in-
telligenza delle mani. Parigi, con le sue magnifiche boutique, è certamente una vetrina straordinaria per il lavoro dei più grandi artigiani: non solo attraverso i brand internazionali, ma anche grazie alla più discreta, confidenziale, quasi segreta rete di abili artigiani che nella Ville Lumière ancora operano. E se il numero degli artigiani che lavorano presso i loro atelier o che collaborano con le grandi Maison è certamente elevato, del titolo ufficiale di «Maître d’art» possono fregiarsi solo alcuni professionisti: creato nel 1994 dal ministro della Cultura e della comunicazione, questo riconoscimento può infatti venire assegnato solo ai più abili artigiani, dotati di un saper fare eccezionale e impegnati nella trasmissione del loro talento. Dei 107 «Maîtres» francesi, parecchi hanno il proprio atelier proprio a Parigi: spesso accessibili solo su appuntamento, o estremamente difficili da trovare, esprimono tuttavia un aspetto autentico dell’anima della Ville Lumière, meno legata ai cliché e infinitamente più affascinante nel suo arcaico rispetto per il lusso «alla francese». I mestieri dello spettacolo, per esempio, a Parigi possono contare tra le loro fila la costumista Danièle Boutard e il creatore di maschere Erhard Stiefel. La prima è subentrata a Barbara Karinska (la mitica creatrice dei costumi dei Ballets Russes) nel 1972, ed è una vera storica della moda, esperta nell’interpretazione degli stili delle diverse epoche; il secondo crea maschere in materiali diversi quali pelle, pizzo, legno, lino. Anche le arti grafiche necessitano delle mani degli artigiani: a Parigi, artisti come Arman, Zao Wou Ki, Niki de SaintePhalle spingono il portone di Arts Litho per realizzare le loro litografie con Stéphane Guilbaud. La serigrafia è invece la
d i Va s s i l i D r a g o m i r o v - f o t o d i A l e x i s L e c o m t e
In Francia, gli artigiani più dotati e impegnati nella trasmissione del sapere possono fregiarsi del titolo di «Maestri d’arte», attribuito dal ministro della Cultura. Molti di loro hanno il proprio atelier a Parigi, che da secoli è patria di un lusso foggiato dall’intelligenza delle mani
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Laboratori per il Futuro
specialità di Eric Seydoux, che prende parte regolarmente anche restauratrice e che al ventaglio ha dedicato un museo. agli eventi artistici più importanti del mondo. E René Tazé E se le abili mani a servizio dell’atelier Lemarié lavorano le è un maestro in tecniche antiche quali l’acquaforte, o altre piume per le più raffinate Maison, e ovviamente anche per discipline d’incisione particolarmente complesse. Lison de la «casa madre» Chanel, anche Nelly Saunier è un’esperta nel Caunes, discendente del famoso decoratore André Groult, maneggiare le plumes, e collabora con molte case di moda ha dedicato il suo talento a rivitalizzare l’arte quasi perduta per le loro creazioni più stravaganti. dell’intarsio con la paglia: come quello ligneo, questo proceIl restauro di tessili antichi e di mobili imbottiti è la speciadimento permette all’artigiano di creare oggetti delicati ma lità di Lionel Hück, che ha rifatto la camera di Madame anche meravigliosamente decorati come scatole policrome, Récamier e ha anche lavorato su numerosi pezzi di palazzi tavolini, stipi. Michel Jamet è uno dei maestri del restauro reali come Fontainebleau. Un esperto restauratore di oggetti più famosi di Francia: ha lavorato su diversi pezzi della reggia ricoperti da foglia d’oro e di sculture è Fabrice Gohard, che di Versailles e di Vaux-le-Vicomte. Sculture ornamentali in si dimostra però anche valido collaboratore di molti desilegno sono ancora create a mano con regolarità per clienti gner: ha lavorato alle statue dorate dell’Opéra di Parigi, ma internazionali, esigenti e molto discreti, da Etienne Rayssviluppa anche progetti con Jean-Pierre Raynaud, progettista sac (che ha anche collaborato all’arredo delle sedi storiche di dell’enorme vaso dorato esposto al Centre Pompidou. ReinShiseido e Guerlain) o da Jean Renouvel. hard von Nagel crea clavicembali il cui suono ha una purezza Ludwig Vogelgesang, nato in Austria, esperto nel restauro di cristallina. I maestri orafi Jean-Christophe Fouchier, Gérard pezzi Art déco, è anche l’autore di una raffinata collezione di Desquand (presidente dell’Institut national des métiers d’art) mobili ispirati ai materiali, alle forme e all’eleganza di quell’ee Claude Delhief sono specializzati in tecniche che spaziano poca. Coloro che nutrono una passione per gli accessori di alto dall’alta gioielleria all’incisione su metallo alla glittica. E al di artigianato ameranno le creazioni di Serge Amoruso: borse e là dei maestri riconosciuti dal ministro, Parigi possiede anarticoli in pelle creati con materiali preziosi. O le scarpe elecora parecchi piccoli atelier di profumieri, creatori di guanti, ganti e delicate di Pierre Corthay, che ha anche sarti, cappellai... Parigi, scrigno di tesori, ancora collaborato con Yohji Yamamoto, Dior Couture mantiene e trattiene quell’eccellenza nel creare Sopra, da sinistra, le maschere di Erhard e Lanvin. E naturalmente Massaro, autore del oggetti di lusso per la quale è famosa da secoli. Stiefel, opere fotografate celeberrimo «sandalo beige» di Coco Chanel. Le Grazie all’abilità dei suoi migliori artigiani: personel laboratorio signore che possono concedersi il lusso di avere ne in grado di fare, di interpretare, di esaudire un di René Tazé, dettaglio le mani libere apprezzeranno la squisita delicasogno. Persone che a Parigi sono chiamate, apdi un costume tezza dei ventagli creati da Anne Hoguet, che è punto, «maîtres»: e mai nome fu più appropriato. teatrale realizzato da Danièle Boutard. In alto, blasoni incisi da Gérard Desquand, presidente dell’Inma.
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Storie di Successo
L’ingresso del Teatro Antonio Belloni di Barlassina, un vero gioiello, decorato e curato in ogni dettaglio, frutto di otto anni di lavoro di Marco Belloni e dei suoi maestri artigiani. A destra, particolare di un intaglio su tiglio, specialità della Manifattura brianzola.
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SI ALZI
IL SIPARIO SUL
MOBILE
di Alessandra de Nitto - foto di Emanuele Zamponi
Marco Belloni, imprenditore brianzolo alla guida di una perla manifatturiera del made in Italy attiva dal 1898, dopo aver realizzato i sogni di molti facoltosi clienti con arredi di suprema fattura, ha plasmato il proprio: un teatro dedicato all’opera e alla memoria di suo padre
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L’emozione di ammirare gli spettacolari intagli su tiglio naturale di una Quella di Marco Belloni è una magnifica storia italiana di successo, di quelle storie che rendono più facile, soprattutto oggi, sentirsi orgogliosi di essere nati in un Paese capace di così tanta passione, talento e dedizione al proprio lavoro. Di così tanta serietà professionale, concretezza imprenditoriale e insieme capacità di realizzare i sogni. L’azienda Belloni, una delle perle del distretto produttivo brianzolo, nasce nel 1898 grazie ad Angelo, al quale si affiancherà ben presto il figlio Antonio. Marco, nipote del fondatore, inizia giovanissimo l’apprendistato nell’azienda familiare. Ci accoglie con calore e cortesia nell’azienda di Barlassina e ci racconta sorridendo di quando da bambino vedeva i carri trainati dai cavalli portare in stazione i mobili realizzati dal nonno e dal padre: le grandi casse in partenza per l’America, luogo mitico nel suo immaginario infantile, lo affascinavano enormemente. Ancora adolescente inizia a lavorare in azienda, affiancando pazientemente il padre e gli artigiani, apprendendo ogni segreto, «rubando con gli occhi» secondo la miglior tradizione della bottega artigiana.
Contemporaneamente però coltiva le sue inclinazioni artistiche, frequentando a Brera la scuola serale di scultura e disegno. Conoscenze che gli saranno preziose, permettendogli di acquisire una manualità importante e le basi di storia dell’arte necessarie alla conoscenza approfondita del mobile in stile. Nel 1973, scomparso il padre, prende in mano le redini dell’azienda, che oggi, a 65 anni, continua a condurre con passione e tenacia, affiancato dalla quarta generazione: quattro figli tutti con lui, ognuno con le sue mansioni e competenze, nel segno della difesa dei valori di una tradizione vissuta come vocazione e destino familiare, a dispetto delle molte difficoltà attuali. Che Marco Belloni certo non nasconde: ci racconta che oggi è diventato difficile, quasi impossibile, lavorare nell’eccellenza. Ma se le sue parole dicono la fatica, la difficoltà, a tratti l’amarezza nel portare avanti questo lavoro, gli sguardi e i gesti raccontano una storia diversa. Perché basta osservare come accarezza le curve di un intaglio, la luce nel suo sguardo mentre ammira la perfezione di un intarsio, per capire che la passio-
ne per l’eccellenza è ben dura a morire, quando si sa fare al meglio una cosa sola: mobili belli, bellissimi, realizzati a regola d’arte. Straordinario l’archivio fotografico dei disegni e prodotti della maison, dall’inizio del secolo a oggi, in gran parte ancora su lastra di vetro: un patrimonio storico di savoir-faire cui l’azienda tutt’oggi attinge ampiamente per riproporre modelli, dettagli e finiture. La visita allo showroom è poi una passeggiata nella storia del mobile, che ne ripercorre tutti gli stili classici: dal Luigi XV al Luigi XVI al Barocco, dal Rococò all’Impero, fino al Déco. La perizia artigianale è altissima: fiore all’occhiello ne sono i decori di intaglio ed ebanisteria, ormai appannaggio di pochi valentissimi maestri artigiani locali che l’azienda considera un patrimonio vivente. Tutte le lavorazioni avvengono all’interno, tranne la laccatura e la lucidatura, affidate a laboratori esterni di comprovata esperienza. Da sempre Belloni lavora soprattutto per il mercato estero, dall’Inghilterra alla Svizzera, dagli Stati Uniti al Canada. Oggi i maggiori committenti sono i clienti russi e gli arabi, appassionati estimatori del
In alto, a sinistra, chaise longue dell’esclusiva collezione «Subliminal» di Belloni realizzata in legno intagliato a mano di ispirazione barocca, con finitura in foglia d’argento e rivestimento in velluto. A destra, Marco Belloni ritratto nel suo amato Teatro.
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Storie di Successo
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console o di una boiserie, dove la manualità si sublima, resta impagabile saper fare italiano, che richiedono un prodotto ricercato ed esclusivo. Negli anni Marco Belloni ha diretto e seguito personalmente con le sue maestranze interi arredi di grandi alberghi cinque stelle (dall’Excelsior di Roma al Savoy di Zurigo) e ville da sogno, come quella di Sylvester Stallone a Miami o, in tempi più recenti, favolose residenze private a San Pietroburgo e negli Emirati. Qui ha lavorato per oltre due anni arredando 17mila metri quadrati di reggia in pieno deserto. Alla perfezione formale ed esecutiva del mobile in stile, da sempre sua specialità, l’azienda con spirito innovativo e di ricerca affianca anche prodotti più attuali, dove entra in gioco la componente design e la sperimentazione di nuovi materiali. Nascono così collezioni come «Le gemme», realizzata con Swarovski o come «Subliminal», dove alle lavorazioni più raffinate si abbina la scelta di materiali d’eccezione. Attualmente, portando all’estremo la ricerca, si sperimenta addirittura una finitura in titanio liquido... Ma l’emozione di ammirare gli spettacolari intagli su tiglio naturale di una console o di una boiserie, dove la
maestria della mano risplende nei volumi generosi delle volute di foglie e fiori, ghirlande e conchiglie, resta impagabile. Summa stupefacente del savoir-faire di questi maestri artigiani è il Teatro Antonio Belloni, che Marco ha costruito a Barlassina in quella che era la storica sede dell’attività familiare. Rappresenta il suo sogno, lungamente accarezzato, di appassionato cultore della musica, e in particolare dell’opera lirica, che ha realizzato letteralmente con le proprie mani, dedicandolo al padre. La scoperta di questo luogo incantevole, unico nel suo genere, è commovente. Oltre l’elegante foyer si apre la piccola, preziosa sala di impianto neoclassico destinata a ospitare circa cento visitatori, in platea, negli otto palchetti su due ordini e nel palco d’onore, per una visione dello spettacolo unica grazie all’atmosfera intima e alla straordinaria acustica. Questo gioiello, decorato e curato in ogni dettaglio, dai meravigliosi intagli lignei della sala fino agli eleganti camerini per gli artisti, è il frutto di otto anni di lavoro di Marco Belloni e del figlio Giovanni con i loro artigiani: oltre 50 persone all’opera fra ebanisti, fa-
legnami, gessisti, decoratori, muratori, elettricisti, che hanno dedicato per anni il loro tempo libero a questa impresa. Dei costi, molto importanti come si può intuire e tutti a carico della famiglia, non si può proprio parlare: «Siamo degli incoscienti», si schermisce Marco Belloni, cambiando subito argomento. Dal 2010 l’Associazione culturale Teatro Antonio Belloni è deputata alla gestione di tutte le attività, proponendosi di valorizzare la musica e il teatro divenendo un punto di riferimento importante nel territorio. Dall’apertura il Teatro ha proposto un ricco cartellone: Cavalleria Rusticana, Tosca, Il barbiere di Siviglia, ma anche concerti di musica barocca, musical, concerti jazz e corali, fino alla prosa. Anche la realizzazione degli spettacoli impegna e coinvolge l’intera famiglia, sempre in prima fila. Un grande impegno, ma quando le luci si spengono, si accende la volta stellata (1.600 fibre ottiche inserite a mano una a una da Giovanni) e si apre il sipario, è facile immaginare la commozione e l’orgoglio, ogni volta, di questa famiglia che è un bell’esempio per tutti di imprenditoria «buona e giusta».
In alto, a sinistra: tutte le lavorazioni si svolgono all’interno dell’azienda, dove la perizia artigianale è altissima. Fiore all’occhiello i decori di intaglio ed ebanisteria. A destra, sontuoso tavolo barocco intagliato, con magnifico top riccamente intarsiato a motivi floreali.
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IMMAGINI TRATTE DAL LIBRO “BEST HANDS OF SPAIN” - ED. LOEWE
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AMORE
ARTIGIANALE
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LOEWE È LA MAISON IBERICA CHE DA QUASI UN SECOLO E MEZZO SUBLIMA LA DETERMINAZIONE TEUTONICA E LA PASSIONE LATINA CON QUALITÀ IMPECCABILE. SCELTA DA AVA GARDNER E CARY GRANT
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Quando il regista Joseph L. Mankiewicz ambientò a Madrid La Contessa Scalza, nel 1954, la bellezza di Ava Gardner affascinò gli spettatori di tutto il mondo: la grazia e la forza dirompente di Maria Vargas, la ballerina interpretata dall’attrice, rappresentavano perfettamente l’anima della Spagna con la nobiltà dei suoi gesti, la forza delle sue passioni, la sensualità dei suoi colori. Nobiltà, passione, sensualità sono elementi talmente iconici della cultura spagnola da diventare quasi illustrazioni da cartolina: per questo vanno continuamente reinventate e rivissute, riprese e amplificate, così da ritrovarne l’autenticità nel vero spirito spagnolo, quello che in Madrid trova ancora il suo emblema nella grandiosità che ha un animo domestico e nella grazia che ha la densità del sangue. Elementi iconici, tratti caratteristici, qualità autentiche che ricorrono in ogni prodotto firmato da Loewe: un nome tedesco per un prodotto lussuoso profondamente spagnolo.
Un nome che deriva dal fondatore della Maison, Enrique Loewe Roessberg, che dalla Germania arrivò nella capitale spagnola nel 1846, e si mise a lavorare con gli artigiani del cuoio proprio nell’anno in cui la richiesta di beni di lusso era altissima, in virtù del matrimonio della regina Isabella II. Nel 1872 Loewe fonda la propria bottega: dopo una dozzina di anni diviene la meta prediletta dall’aristocrazia iberica, che favorisce la boutique di calle del Principe per ordinare e acquistare guanti, borse e pelletteria. Tutto realizzato grazie alle mani dei migliori artigiani che Loewe è riuscito a trovare e a far lavorare per lui: una ricerca da un lato molto facile, vista la secolare tradizione spagnola nella lavorazione del cuoio, dall’altro molto difficile, visto l’estremo individualismo dei più grandi maestri d’arte. Il pragmatismo e la visionarietà di Enrique Loewe hanno la meglio: già nel 1905, in occasione del matrimonio di Alfonso XIII con Victoria Eugenia, la Maison
di Alberto Cavalli
Portamonete a forma di toro, realizzato a mano dagli artigiani di Loewe a Madrid. Nella pagina a sinistra, ricamatrice della Maison sivigliana Carrera Iglesias che completa un lavoro di quattro mesi su mantón de Manila.
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(guidata dal figlio Enrique Loewe Hilton) può fregiarsi del titolo di fornitore della Real casa. Le signore dell’alta società si contendono le borse in iguana o coccodrillo, i signori ordinano i borselli e le valigette in pelle morbida come velluto. Negli anni Trenta Loewe apre la storica boutique sulla Gran Via di Madrid, seguita di lì a poco dal negozio di Barcellona in paseo de Gracia. Con la fine della guerra e l’avvento di una moda nuova, più creativa e sensibile ai cambiamenti sociali, l’identità di Loewe (sempre in mano a un membro della famiglia) viene interpretata dalla figura mitica di José Pérez de Rozas, che innerva lo spirito della Maison sino al 1978. A lui si devono tante delle borse iconiche che ancora oggi rappresentano un segno inconfondibile della casa spagnola: come la Amazona, forse la più rappresentativa tra le creazioni di Pérez de Rozas, tuttora realizzata in pelli preziose per una clientela che desidera un’artigianalità nutrita da uno stile impeccabile. Uno stile che, non a caso, fa girare la testa a più di una star hollywoodiana: non solo Ava Gardner, ma anche Cary Grant, Deborah Kerr, Maria Callas non rinunciano mai a una visita presso la boutique della Gran Via, per ordinare o acquistare quelle borse, quei prodotti, quelle creazioni realizzate in pellami il cui segreto è gelosamente custodito negli atelier Loewe; la nappa è resistente ma leggera come le ali di un angelo, il coccodrillo viene tagliato con maestria e declinato in tinte all’avanguardia, i bauli hanno rivestimenti lussuosi e un fascino sensuale, che nasce dal connubio tra i migliori materiali e la sapienza artigianale. La rinascita spagnola si accompagna a una progressiva affermazione internazionale del marchio, che inizia a proporre anche una collezione di abbigliamento
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firmata da nomi quali Karl Lagerfeld o Giorgio Armani. Ma il cuore della Maison è sempre intorno al tavolo da taglio, sempre volto alla costruzione calligrafica dei capolavori della pelletteria iberica, sempre attento a preservare un’identità che venga percepita subito, come il calore della terra che rappresenta. Un calore da toccare, da scoprire, da amare, perché il «cordero entrefino español», la pelle dell’agnello che cresce sui Pirenei, va vissuta. Va compresa attraverso i sensi, che riconoscono uno spessore finissimo (0,7 millimetri), una rifinitura accurata, una costruzione magistrale. Questo cuore artigianale profondamente legato al territorio costituisce tuttora il vantaggio di una Maison che, pur essendo divenuta internazionale, non ha mai tradito la vocazione originale a un’autenticità che sappia anche di esclusività. In una parola di mestiere d’arte. Che Loewe valorizza e promuove non solo al proprio interno, ma anche tramite progetti di comunicazione e tutela come «Best Hands of Spain», un libro fotografico, scrigno da scoprire che raccoglie tre dei più importanti e storicamente riconosciuti artigiani spagnoli, tuttora venerati: Castañer per la creazione di espadrillas, Carbonell per i ventagli, Carrera Iglesias per il mantón de Manila. A loro sono stati commissionati prodotti esclusivi in edizione limitata, distribuiti a livello internazionale da Loewe insieme alla delicata linea «Animals» creata dai maestri della Maison presso gli atelier di Getafe. Perché l’artigianato è un linguaggio che esce continuamente dai cliché e che ha sempre bisogno di esprimersi con forme nuove: Loewe sa bene che non è l’assenza di innovazione, ma la presenza di un’emozione. Da conservare e promuovere come la più caliente delle passioni.
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Loewe ha collaborato con Casta単er per una linea di espadrillas in nappa e suede. Nella pagina a sinistra, la borsa Amazona in suede con manici in coccodrillo e, sopra, artigiano di Carbonell (antico produttore di ventagli di Madrid) e una lavorazione.
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LA SACRALITÀ DEL TRATTO Chiesa di San Giovanni Battista a Mogno, Valle Maggia (Svizzera), edificata tra il 1986 e il 1998. Nella pagina a destra, l’acquasantiera della chiesa di San Pietro Apostolo a Sartirana di Merate, costruita tra il 1987 e il 1995.
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PINO MUSI
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ENRICO CANO
IL DESIGN LITURGICO DI MARIO BOTTA TRASMETTE UN’EMOZIONE CHE PLASMA I DOGMI DELL’ARCHITETTURA ED ESALTA L’ANIMA DELLA MATERIA
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di Ugo La Pietra
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Mario Botta esprime con il suo lavoro non solo l’alto livello del progetto applicato all’architettura, all’arredo e al design, ma anche la vocazione nei confronti delle diversità, delle risorse del territorio, dell’uso di materiali legati alla cultura artigianale. Le sue esperienze di arredo e design liturgico sono un riferimento autorevole nel panorama di questo particolare settore che sta vivendo un rinnovato interesse sia in campo architettonico che artistico. UGO LA PIETRA Tutti conoscono la tua coerenza e il tuo amore per i materiali e la grande qualità delle architetture; allo stesso modo sai trasferire questi valori anche negli oggetti e negli arredi: qual è la tua posizione di designer e progettista nei confronti della cultura materiale, del fatto a mano e quindi dell’artigianato? MARIO BOTTA In quanto architetto mi sembra che l’attenzione ai materiali sia oggi dettata non solo da un problema linguistico, proprio alla forma espressiva, ma anche da un atteggiamento che si pone in opposizione alle mode culturali indotte dalla globalizzazione. La materia non è unicamente uno strumento tecnico, ma presenta una storia e una memoria che ci legano al grande passato. L’artigiano è il tramite che dà continuità a questa testimonianza. U.L.P. C’è una grande e rinnovata attenzione della Curia cattolica nei confronti non solo dell’edificio ecclesiastico come luogo di raccoglimento e preghiera, ma anche di ciò che lo caratterizza all’interno: oggetti, decori, arredi. Un insieme di elementi forse troppo poco esplorati dalla cultura del progetto. In che misura hai sviluppato il rapporto interno/esterno? Mi puoi fare qualche esempio? M.B. Dentro uno spazio architettonico che rincorre anche valori simbolici e metaforici, è ovvio che le parti di arredo svolgano un ruolo importante che lega la tradizione all’attualità più domestica del vivere di oggi. Per questo credo che interno-esterno debba apparire come un binomio intercambiabile, senza quelle rotture di linguaggio evidenti in numerosi esempi recenti. Nelle architetture che ho prodotto, ho sempre cercato di evidenziare i caratteri «strutturali» del fatto architettonico: la gravità, la luce, la soglia, la condizione di limite. Ho cercato di esprimerli attraverso un linguaggio primario ed essenziale; questo vale anche per gli oggetti o l’arredo liturgico che talvolta ho avuto modo di progettare. Un esempio fra i molti possibili potrebbe essere l’interpretazione che oggi viene data all’altare che da «mensa», in auge qualche decennio fa, viene visto come «ara» che richiede quindi un rigore stilistico ancora maggiore, oppure dal disegno più «prosaico» dei banchi o dell’ambone che, anch’essi, devono saper parlare della grande cultura artigianale che abbiamo ereditato dal passato. U.L.P. L’arredo «religioso» deve, secondo te, essere differenziato da luogo a luogo, pensando che ogni chiesa è diversa non solo per la forma dell’edificio, ma anche per la comunità che la frequenta?
ALTARI, BANCHI E AMBONI RACCONTANO LA NOSTRA CULTURA ARTIGIANALE redo può essere intercambiabile a seconda delle mode o delle culture che lo utilizzano. L’impianto architettonico è invece sempre un unicum che ovviamente considera il contesto dell’intorno come una parte stessa del progetto. U.L.P. L’attenzione che poni nei confronti del progetto e nell’uso dei materiali è ancora e sempre alla base del tuo modo di fare. La recente poltroncina progettata per la Fondazione Aldo Morelato e realizzata da Morelato srl sembra confermare questa attitudine. Me ne vuoi parlare? M.B. Il disegno di una sedia è significativo del fatto che esiste questa necessità continua di reinterpretare anche gli oggetti di uso quotidiano. Esistono milioni di sedie, talune anche molto belle e di grande qualità, ma vi è il bisogno di ridisegnarne delle nuove. È un modo di testimoniare del nostro tempo, della nostra sensibilità, in un certo senso di sopravvivere, paradossalmente, alla cultura del consumo e dell’effimero. La seggiolina Morelato è un esercizio che vuole cercare una forma espressiva propria al mestiere e alla tradizione di questa impresa: il legno stratificato contemporaneo è figlio del passato ma, nel contempo, anche delle nuove tecnologie. Con questo oggetto ho voluto creare un’immagine in grado di offrire un’emozione o, se si vuole, anche un sorriso.
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ENRICO CANO
M.B. Questo distinguo mi sembra azzardato in quanto, per sua natura, l’ar-
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TRASMETTERE VALORI La straordinaria architettura di Petra (Suvereto) realizzata da Mario Botta per Terra Moretti. Un tratto che richiama la chiesa del Santo Volto di Torino (a ďŹ anco, in alto), terminata nel 2006 sempre su progetto di Botta; a sinistra, in basso, la chiesa di San Giovanni Battista a Mogno.
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di Alberto Cavalli
VACHERON CONSTANTIN CELEBRA IL TERZO CENTENARIO DELL’ÉCOLE FRANÇAISE DE DANSE DELL’OPÉRA DI PARIGI CON TRE NUOVE CREAZIONI DELLA SERIE MÉTIERS D’ART. CAPOLAVORI IN CUI LE BALLERINE SONO TUTTE PRIME PROTAGONISTE
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Le creazioni nate nei laboratori dellaManifattura rivisitano la tecnica ancestrale dello smalto «grisaille Grand Feu» per rendere omaggio all’arte del balletto classico attraverso alcuni capolavori di Edgar Degas.
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48 Ogni quadrante è stato decorato secondo l’antica e nobile arte dello smalto grisaille Grand Feu: una tecnica rara che richiede una straordinaria perizia
L Sopra, le mani del maestro smaltatore definiscono gli ultimi dettagli. A destra, il quadrante rivela ogni minimo particolare: la piega del tutù, il pizzo della scollatura, il velluto del nastro che cinge il collo, la trasparenza di tulle e mussola.
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La sua eleganza, il suo talento innato per la danza ne facevano uno dei ballerini più ammirati dell’epoca. Il sole che lo coronava, quando compariva per completare le coreografie ideate dai suoi maestri, ne esaltava la maestà e ne additava il futuro: Luigi XIV, il Re Sole. La sua passione per l’arte di Tersicore ha reso il balletto francese celebre in tutto il mondo, anche grazie all’Accademia che il sovrano stesso volle fondare nel 1661: un’istituzione che nel 1713 con decreto reale divenne École Française de Danse, presso l’Opéra de Paris. Da allora, queste due istituzioni culturali sono strettamente legate. Non sorprende, dunque, che la manifattura elvetica di alta orologeria Vacheron Constantin, che dell’Opéra di Parigi è sponsor e che al teatro francese ha già dedicato i suoi preziosi orologi ispirati al celebre soffitto dipinto da Chagall, abbia ora deciso di celebrare il terzo centenario dell’École de Danse con tre nuove, straordinarie creazioni della sua serie Métiers d’Art: Hommage à l’Art de la Danse. Tre capolavori contrassegnati dal Punzone di Ginevra. Il rapporto della manifattura con la danza è profondo: vi sono infatti numerosi punti di contatto tra la creazione di un orologio, come quelli firmati Vacheron Constantin, e gli effimeri ma indimenticabili momenti che le ballerine mettono in scena. La proporzione tra perfezione tecnica e leggerezza artistica, per esempio: gli allenamenti cui si sottopongono le ballerine sono durissimi, e sin dalla più tenera infanzia l’École de Danse pretende una dedizio-
ne totale, per arrivare a un’esecuzione che coniughi il massimo della tecnica con una precisione impeccabile. Eppure, quando le ballerine danzano sul palco, nei loro gesti si legge solo leggerezza, eleganza, delicatissima interpretazione di un momento musicale: nessuno sforzo apparente, nessuna fatica, ma solo la grande professionalità e ricercatezza del balletto. La stessa proporzione vale per un segnatempo di alta orologeria, come i tre modelli di Hommage à l’Art de la Danse: la loro bellezza estetica è costruita sull’esecuzione impeccabile dei diversi mestieri necessari alla loro nascita. Le complicazioni che vivono al loro interno ne determinano le funzioni, che deliziano chi lo porta al polso. Le figure delle ballerine, ispirate a quelle dipinte da Degas, comunicano leggerezza ed eleganza. Ma dietro questa straordinaria perfezione vi è il lavoro paziente, tenace e minuzioso dei maestri che lo hanno creato: gli orologiai di Vacheron Constantin, naturalmente, che hanno costruito pezzo per pezzo ogni componente dei segnatempo. Gli specialisti che hanno dato vita al calibro 2460 SC, progettato e fabbricato dalla Casa orologiera. Gli orafi che hanno fuso la cassa di 40 mm in oro bianco 18 carati. E i maestri d’arte che ne hanno decorato il quadrante con tre straordinari soggetti: La classe de danse, La répétition e Deux danseuses sur scène. Ogni quadrante è stato decorato secondo l’antica e nobile arte dello smalto grisaille Grand Feu: una tecnica rara e decisamente esigente, che richiede una straordinaria pe-
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Dedizione senza tempo
Senza uso di colori o altri materiali, lo smaltatore riesce a creare un rilievo che valorizza ogni dettaglio, dalle espressioni alle pieghe dei costumi, fino alla trasparenza di tulle e mussola
Sopra, il laboratorio del maestro smaltatore. Sotto, uno dei tre pezzi unici della nuova collezione Métiers d’Art Hommage à l’Art de la Danse. A destra, il cuore di questi orologi: movimento meccanico a carica automatica 2460 SC, progettato e fabbricato da Vacheron Constantin.
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rizia e una maestria difficilmente rintracciabili al di fuori del Cantone di Ginevra. Lo smalto Grand Feu è infatti tipico della città di Calvino: i più grandi artigiani ed esperti in questo mestiere si trovano qui, e mettono il loro talento a disposizione di Vacheron Constantin per creare esemplari dai colori sfolgoranti. La variante grisaille Grand Feu è ancora più rara: senza alcun uso di colori e senza aggiungere alcun materiale, lo smaltatore che padroneggia questo mestiere d’arte riesce infatti a creare un vero e proprio rilievo che valorizza ogni dettaglio delle ballerine, fin nelle espressioni, nelle minime pieghe dei costumi, nella trasparenza del tulle e della mussola. Il calore e la luminosità dei quadranti, interamente realizzati all’interno della Manifattura, derivano da una precisa scelta estetica: lo smaltatore, infatti, non ha applicato lo smalto grisaille su una superficie nera ma su uno smalto traslucido marrone. I rilievi, i disegni, le decorazioni avvengono con una minuzia straordinaria utilizzando aghi, pennelli sottilissimi, persino spine di cactus: con questi strumenti viene steso e lavorato il bianco di Limoges, una finissima polvere mescolata a oli dalla ricetta arcaica. Sensibilità e intuito, manualità e destrezza accompagnano la paziente azione del maestro d’arte: ciascuno strato necessita, infatti, di un passaggio in forno calcolato al secondo, in funzione del tipo e della quantità di materia applicata. La durata dei passaggi fa parte dei segreti del laboratorio dell’artista: uno dei tanti segreti di questi
raffinatissimi artigiani, che dalla gamma di grigi ottenuta con il loro talento riescono a trarre espressioni, dettagli, particolari di una perfezione emozionante. Una perfezione che non è solo nell’esecuzione, ma anche nell’ispirazione: dopo una lunga ricerca, il maestro smaltatore ha deciso di interpretare tre famose opere di Degas assorbendone profondamente la poesia e la leggerezza. Si tratta de Il foyer della danza al teatro dell’Opéra, rue le Pelletier, olio dipinto nel 1874 ed esposto al Musée d’Orsay; Prova di balletto, olio dipinto nel 1873 ed esposto al Fogg Art Museum (Cambridge, Stati Uniti); Due ballerine sulla scena, olio del 1874 esposto alla Courtauld Gallery di Londra. In queste opere il pittore ha saputo rappresentare al meglio l’energia, l’attesa e la passione che si sprigionano durante tre momenti chiave nella vita di ogni ballerina: l’apprendimento, l’allenamento e la rappresentazione sulla scena. Momenti che ricorrono anche nella vita di ogni maestro orologiaio: la dura disciplina legata all’apprendimento del mestiere, le prime complicazioni costruite con tenacia e minuzia, e infine la creazione del capolavoro, destinato al polso di qualcuno che saprà gioire del movimento delle lancette, così come uno spettatore ama il movimento delle ballerine. Perché sempre di un istante di poesia si tratta: effimero ma duraturo nel ricordo, quello del balletto. Eterno come il tempo, quello dell’orologio. Ma entrambi legati a una bellezza che nasce dal mestiere, e che diventa arte.
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Patrimonio dell ’Umanità
Sonoko Sasaki, «Tesoro nazionale vivente» del Giappone, prepara all’arcolaio il filo che servirà per creare i tessuti con l’antica tecnica Tsumugi-ori. Nata a Tokyo nel 1939, comprese che si sarebbe dedicata anima e corpo alla tessitura e alla realizzazione di kimono dopo l’incontro con le stoffe tradizionali, che le procurarono vivide sensazioni quando le fece scorrere fra le dita.
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TESSITRICE
di SAGGEZZA I TESSUTI E I KIMONO DI SONOKO SASAKI, TESORO NAZIONALE VIVENTE DEL GIAPPONE, PARLANO DI UN’ANTICA CULTURA CHE SA DI NOBILTÀ
di Akemi Okumura Roy foto di Kimimasa Naito (traduzione dall ’originale inglese di Alberto Cavalli)
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Il kimono è un abito tradizionale giapponese, I SUOI DISEGNI CREATIVI SONO che nella lunga storia della cultura di questo PaMOTIVI GRAFICI DI GRAN CLASSE CHE ese da sempre si tramanda da una generazione all’altra. Ancora oggi vi sono abili artigiani che CELEBRANO LA RICCHEZZA creano a mano i kimono, realizzando capolavori DELLA NATURA, FRA UCCELLI E FIORI di alto valore che richiedono tecniche e abilità artistiche specifiche, che in giapponese vengono chiamate Waza. Sonoko Sasaki, maestra nell’arte totali per il suo lavoro. Conversare con lei è un’esperienza illumidella tessitura Tsumugi-ori, è uno dei Tesori nazionali viventi nante. Per il servizio fotografico indossa il kimono tradizionale; dell’Impero del Sol levante; nel 2005 è stata designata come mentre lavora nel suo studio è seduta in maniera composta, eretta, seconda depositaria di questa straordinaria tecnica, che è un vero ricordando i modi delle donne dell’antico Giappone. Molti dei patrimonio culturale immateriale. Nata a Tokyo nel 1939, dopo suoi capolavori sono creati utilizzando strumenti tradizionali aver studiato pittura a olio e fotografia, Sonoko Sasaki comprese come i telai, gli arcolai, fili di tonalità diverse, tessuti colorati; i suoi che il lavoro della sua vita sarebbe stato di tipo artigianale: e disegni esprimono genuinamente la vera essenza delle tradizioni grazie al suo incontro con le stoffe tradizionali, e alle sensazioni giapponesi. Dall’artista si sprigionano una bellezza e un’energia tattili che sentì facendole scorrere tra le dita, decise di dedicarsi all’arte della tessitura e di dedicare il suo talento alla realizzazione positiva, che pervadono anche il suo studio. I suoi disegni creativi sono motivi grafici di gran classe che richiamano la natura, come dei kimono. Un’intuizione felice: la signora Sasaki lavora ormai gli uccelli e i fiori; i suoi schizzi grafici uniscono suggestioni da cinquant’anni in questo settore, continuando così nel solco astratte e naturalistiche per creare linee eleganti. Tutti i materiali tracciato da sua madre, Aiko Sasaki, una studiosa di tessuti. sono naturali e sono ottenuti (come dice la maestra d’arte) dalle Sonoko Sasaki ha studiato per tre anni la tessitura manuale Tsubenedizioni della Terra, da ciò che le stagioni offrono. mugi-ori, nella prefettura di Shizuoka. Questa tecnica è fondamentale per arrivare al Pongee, stoffa serica non candeggiata di «L’abbondanza della natura non dipende dagli uomini», dice; particolare morbidezza. A Yonago e a Hirose si è poi dedicata «tutto mi ricorda che ogni creazione è un continuo scambio con Dio». Questo è un elemento centrale del suo processo creativo, allo studio dell’ikat, una tecnica di tintura molto particolare, che che inizia con la selezione del filo di seta naturale provenienrichiede tempo, abilità e pazienza. Per sette anni l’artigiana si è te dalla prefettura di Gunma. Il filo di seta necessario per lo recata regolarmente presso queste lontane prefetture, per apprenTsumugi-ori viene tinto in una bollitura di radici essiccate, noci, dere e perfezionare i gesti necessari a padroneggiare la tecnica. foglie, fiori e rizomi d’albero, per ottenere colori quali il rosso, Ha anche studiato le tinture vegetali, usando elementi estratti dalle piante. Pur rispettando le regole delle tradizionali tecniche il giallo, il verde, il marrone, il grigio e il blu. Così come il vino dell’ikat rustico, Sonoko Sasaki ha creato un suo stile personale ha un sapore diverso a seconda dell’anno di vendemmia, anche i colori del tessuto mutano a seconda della stagione. Molte delle introducendo nello Tsumugi-ori un modo di disegnare basato piante usate dalla maestra d’arte sono autoctone, mentre altre sullo schizzo: una tecnica chiamata ikat pittorico (E-gasuri in crescono solo nelle isole del sud e in India. Una volta tinti, i fili giapponese) nella quale i motivi che compongono la decorazione sono risciacquati e pronti per il finissaggio, che viene effettuato vengono elaborati secondo uno schema particolarmente comcon un amido estratto dall’alga marina funori. Inizia quindi il plesso che si basa su un preciso sistema di calcolo. Una tecnica rara, e dunque molto stimata. La maestra Sasaki ha una forza processo di filatura e di tessitura, che porta alla creazione di un rotolo di stoffa per kimono della lunghezza di 12 metri e dignitosa, una voce chiara e sonora e una passione e dedizione In alto, Sonoko Sasaki all’antico telaio manuale. Nella pagina a fianco, «La tempesta verde», kimono creato con la tessitura Tsumugi-ori sul quale ha introdotto il modo di disegnare dell’ikat pittorico chiamato E-gasuri. La signora Sasaki realizza a mano kimono da cinquant’anni, e ha continuato nel solco tracciato dalla madre, Aiko Sasaki, studiosa di tessuti.
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THE 53RD JAPAN TRADITIONAL ART CRAFTS EXHIBITION IN 2006
Patrimonio dell ’Umanità
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un’altezza di appena 40 centimetri. Se un solo LE TAPPE DI UNA VITA SOMMESSAMENTE ECCEZIONALE filo è fuori posto, tutto il lavoro ne risente. La 1939: Nasce a Tokyo il 4 luglio 2001: Riceve il «Prize of the governor tessitura richiede una grande dedizione: occorre 1963: Studia tessitura manuale nella of Tokyo» alla XLVIII «Japan traditional avere tutti e cinque i sensi sempre ben affinaPrefettura di Shizuoka arts craft exhibition» ti. Ogni pezza può richiedere sino a un anno e 1969: Apre la sua casa-studio a Tokyo 2002: Nominata direttore del Nihon mezzo di lavoro: essendo interamente manuale, 1972: Riceve il primo premio nella Kogeikai e presidente divisione tessile ciascuna fase del progetto è al contempo meraXIX «Japanese traditional arts crafts 2002: Riceve la «Medaglia d’onore vigliosa e precisissima. Sonoko Sasaki utilizza exhibition» con nastro porpora» elementi genuini e puri: l’acqua del pozzo del 1973-74: Studia ikat pittorico a 2003: Riceve il «50th Anniversary suo giardino, un vecchio arcolaio, un telaio a Yonago e Hirose Prize» alla L «Japan traditional art mano, utensili antichi. Tutto in lei, la sua vita, la 1975: Riceve il «Director-general crafts exhibition» sua tecnica, è un rimando al più nobile e antico prize» alla XXII «Japanese traditional 2005: Nominata «Tesoro nazionale Giappone. Come la maestra dice, «quando diarts crafts exhibition» vivente» per la tecnica Tsumugi-ori segno, non scelgo mai prima un tema. Il disegno 1983: Viene invitata all’esposizione 2007: Esposizione «Crafting beauty nasce spontaneamente. I fiori o gli uccelli che «30 Years of modern japanese in modern Japan»; British Museum, sono all’origine dei miei schizzi fluttuano nella traditional art crafts exhibition» Londra mia mente, e io ne rifinisco le forme disegnandoli 1993: Dona a Papa Giovanni Paolo II 2009: Riceve l’«Order of the rising sul mio quaderno. Questo metodo riflette il mio vesti da lei realizzate a mano sun, Gold rays with rosette» modo di vivere: non devo avere una mente ottenebrata. Non so esprimere questo in parole, ma con calma e giudizio». Calma e giudizio sono i criteri che guidano con i gesti: il mio lavoro e la mia vita sono supportati dalla prela realizzazione di tessuti con la tecnica Tsumugi-ori. Dapprima ghiera, sono un’esperienza unitaria». Questa profonda fede nasce negli anni 40, quando riceve il battesimo cattolico; una fede forte, molto rigidi, diventano sempre più leggeri, morbidi e comodi a che la porta, nel 1993, a presentare a papa Giovanni Paolo II delle mano a mano che vengono indossati. Ogni filo esprime l’anima vesti realizzate da lei. Sonoko Sasaki, che aprì la sua casa-studio della tessitrice, che nella produzione impegna tutta se stessa. E a Tokyo nel 1969, dedica il suo tempo anche alla trasmissione trasmette la sua passione agli altri: «Ci sono dei giovani che condividono la mia visione», dice. «Vengono da me con piacere, e del suo saper fare alle prossime generazioni: insegnando nelle si applicano molto ogni giorno per imparare ed ereditare questo scuole, testimoniando l’importanza delle tradizioni e della storia Waza. Ed esistono ancora anche persone raffinate che comprenattraverso le sue lezioni. Presso il suo studio lavorano ora quattro apprendisti. Nominata nel 2002 direttore del Nihon Kogeikai dono il valore dei capi tessuti a mano: sono loro che preserveranno (il Museo giapponese delle arti e dei mestieri di tradizione) e il nostro lavoro, mantenendo viva la tradizione del kimono». presidente della sua divisione tessile, Sonoko Sasaki crede che Sonoko Sasaki è serena ma appassionata quando dice che «io non creo mai la stessa cosa due volte. Tutti i miei lavori sono unici. «la tecnologia tradizionale è parte della conoscenza dell’essere Creare un kimono comporta una dedizione totale, dal lavoro umano, per cui è stata tramandata di generazione in generazione. del corpo all’affinamento dei sensi, e io sento sempre una gioia La tecnologia avanzata non assicura necessariamente la felicità, profonda. Un kimono non ha voce, ma io credo che parli a coloro e occorre sempre trovare un equilibrio corretto fra la tecnologia e l’arte; e questo è il momento di impegnarsi, senza paura, per che in esso vedono qualcosa: e questa è una gioia che ogni giorno, cercare di risolvere i problemi dell’industria tessile, procedendo con le mie mani, io cerco di trasmettere». In alto, Sonoko Sasaki lavora con l’antica spola in legno. A destra, la maestra d’arte si dedica alla tessitura, lavorando con calma e giudizio ai suoi capolavori, tutti pezzi unici. «Io non creo mai la stessa cosa due volte. Realizzare un kimono comporta una dedizione totale; dal lavoro del corpo all’affinamento dei sensi, e io sento sempre una gioia profonda», spiega questo autentico patrimonio vivente.
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Federica Cavriana
Con la testa DALLA CITTADINA DI COOPERSTOWN ALLA MAJOR LEAGUE, REALIZZARE GUANTONI E SFERE PER I CAMPIONI. LA STORIA
OPERE SCULTOREE L’azienda artigiana fondata da Paul Cunningham è la Leather Head Sports. La pelle utilizzata è bella da vedere e da toccare (www.leatherheadsports.com).
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Anche se inning non è espressione familiare a tutti, se è vero che lo strike ricorda in genere l’abbattimento dei birilli al primo tentativo, e il diamante è per i più una mera forma allotropica del carbonio (decisamente costosa) e nient’altro, è bene sapere che per chi ama il baseball questi termini hanno ben altri significati. Rappresentano, in ordine, l’attesa, l’esultanza e il luogo dove si svolge la sfida per la vittoria. E per ogni vero appassionato di baseball non bastano date e punteggi delle grandi partite imparati a memoria, o la raccolta delle figurine dei battitori e lanciatori. I veri cimeli sono altri: le mazze, i guantoni, le palle firmate dai campioni. Anche Paul Cunningham, americano di Cooperstown e vero «baseball guy», ogni volta che da ragazzo si accomodava sulle sedute dello stadio sognava di possedere qualche palla o guantone accarezzati dalle mani dei suoi idoli. Diventato grande, doveva trovare soddisfazione in una lunga carriera come photo editor per la Major League Baseball. Ma la sua passione lo spin-
geva ancora più in là. Perché non realizzare di persona quei guantoni e quelle palle da baseball, quei simboli perfetti di agonismo sportivo e palpiti di tifoso che l’avevano stregato da giovane? Sfida accettata. Paul inizia a cucire guantoni, poi a disegnare, assemblare, gonfiare palle da baseball, palloni da basket, da football. Gli elementi creativi del suo lavoro, la sensazione di sentire le proprie mani all’opera sono per lui di gran lunga più gratificanti che la carriera di photo editor: «Non è stata una decisione conscia cambiare lavoro e vita, la mia abilità come artigiano è cresciuta a tal punto da dominare il mio panorama professionale». Così fonda la sua azienda artigiana, la Leather Head Sports. E già dal nome dell’attività si capisce subito quanta importanza abbia la qualità della pelle per Mr Cunningham. I suoi fornitori sono la Horween di Chicago, la Tasman del Maine, ma anche alcune manifatture italiane, per le palline dai colori brillanti. Quella che Paul usa è da lui definita «Serious leather» cioè pelle non solo accattivante al tatto, resistente, co-
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Il Guanto della Sfida
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nel pallone FINO ALLA CREAZIONE DI UN LABORATORIO DOVE DI UN BASEBALL GUY E LA SUA AVVENTURA DA ARTIGIANO
lorata, ma anche «seria», ossia dedicata agli appassionati ma soprattutto agli sportivi professionisti. Come conferma lui stesso: «I miei clienti sono persone benestanti e amanti del bello. Sono un artigiano della pelle, voglio utilizzare le qualità scultoree dei palloni sportivi per mostrare la straordinarietà di questo materiale. Voglio che le persone possano intuire la bellezza intrinseca di ciascuna palla, apprezzandone l’elegante essenzialità». A questo scopo gli artigiani della Leather Head Sports mettono all’opera tutta la propria abilità, o skill. Basti pensare che solo per fare un pallone da basket bisogna cucire, in tre dimensioni, otto singole parti di pelle: sono necessarie molta pratica e abilità, e almeno un’ora di tempo per ciascuna sfera. Le sfide continuano a solleticare la fantasia di Paul Cunningham, che immagina nuove forme per le sue creazioni. «Ho in mente di realizzare un pallone da calcio. Purtroppo è un tipo di palla difficile, che richiede moltissimo lavoro. Spero di metterla a punto entro i Mondiali del 2014.
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Siamo molto vicini anche a questo sport: il mio socio, Jeff Bradley, è fratello del Bob ct della nazionale egiziana, e zio di Michael Bradley, giocatore della Roma. E anche se ora ho meno tempo per seguire lavori su misura, a volte mi capita di essere contattato da persone che hanno addirittura inventato un nuovo sport. Allora subito progetto, verifico l’attuabilità e i costi, e se la cosa è fattibile realizzo il lavoro». Lontani dall’essere meri «toys for boys», questi volumi seducenti, piccole sirene ovoidali, liberano il loro canto rivolgendosi agli adulti più che ai ragazzi. Non a caso tutti gli artigiani e i collaboratori del laboratorio amano sfidarsi utilizzando le palline che realizzano con le proprie mani, per testarne qualità e durabilità (dicono loro). Quel che si chiama insomma portarsi il lavoro a casa, anche se in versione decisamente ludica. Il risultato del loro impegno dentro e fuori dal laboratorio è sotto il naso (pare che la «Serious leather» abbia un ottimo odore), gli occhi e le mani dei giocatori soddisfatti di tutto il mondo.
PRATICA E ABILITÀ Per fare un pallone da basket bisogna cucire, in tre dimensioni, otto singole parti di pelle: è necessaria almeno un’ora di tempo per ciascuno.
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Serenissima Ispirazione
LO SPETTACOLO DELL’INCISIONE La pièce «Corte Nascosta», autentico capolavoro di ebanisteria ispirato alle architetture veneziane. In questa pagina, un’immagine ravvicinata dell’opera di François Staub. A fianco, la «scultura» ad ante aperte. La facciata di Ca’ d’Oro è perfettamente riconoscibile. Staub ne fece inizialmente una versione «dorata», ispirata all’originale, ma preferì poi il bianco dell’acero.
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UN’OSSESSIONE LUNGA DIECI ANNI HA ISPIRATO «CORTE NASCOSTA», IL CAPOLAVORO D’ALTA EBANISTERIA FIRMATO DA FRANÇOIS STAUB E DEDICATO AI TESORI DI VENEZIA di Paolo Dalla Sega
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«Una follia, è una follia, la mia follia». Usa queste parole, monsieur François Staub, per descrivere il suo capolavoro d’alta ebanisteria, anzi la sua pièce, dal curioso titolo italiano Corte Nascosta; vien subito in mente la Corte Sconta di Corto Maltese, e il rimando veneziano è ben fondato. Una follia o un’ossessione, sicuramente una passione lunga quasi dieci anni, custodita nella campagna di Morges, oltre Losanna, in pieno Vaud, dove ha preso forma dalle mani di un’équipe di artigianiartisti che François ha diretto come un regista. La pièce, che non è solo un oggetto e neppure una scultura, necessita di un lungo racconto, e tutto inizia a tavola, aiutati dal rosso «insolente» del Vallese, quel Cornalin di violetta e mirto che rimane forte nella memoria associando altri ricordi unici e capaci di impressionare. Venticinque anni fa François Staub è indeciso tra l’arte e il mestiere, come tanti in questa piccola Europa, e sceglie il secondo perché della prima non vivrebbe. Ma sceglie anche il legno, la scuola e il lavoro del legno, la sua costruzione, questa materia viva con una preferenza spiccata per l’acero, l’érable, così duro e omogeneo, facile e compatto. È naturale l’approdo all’ebanisteria, mestiere nobile e prezioso, in cui la sua manualità si cimenta senza sosta nella realizzazione
All’inizio della carriera fu indeciso fra arte e mestiere: scelse il secondo perché con la prima non avrebbe potuto garantirsi di che vivere. Ma con il legno è rinato l’artista...
di oggetti unici, mobili e non solo; mobili speciali, che riflettono nelle loro forme echi e risonanze dell’arte moderna e contemporanea, con sensibilità che s’allargano al teatro e al cinema. Mobili e oggetti per architetti e designer, a volte disegnati e concepiti insieme – nella migliore tradizione del design, che spesso se ne dimentica definendo autore un solo estremo di questa coppia – a volte in totale autonomia, e allora si tratta di vera e propria arte. Una complessa libreria ad angolo esprime tutta l’organicità della «materia legno» e nelle sue curve carnali si intravede il segno di Dalì; una serie di scale, scaffali, oggetti per pura contemplazione riprendono le follie o le ossessioni, ancora, di Escher e delle sue forme irrazionali, senza fine e senza logica apparente. E tanti bozzetti o modelli di oggetti mai realizzati, così utili per entrare nella mente di ogni artefice (artigiano o artista che sia), che trattano più volentieri alcuni legni e colori, spesso impercettibili, come in tanto cinema amato dal nostro, da Sokurov a Béla Tarr, e spaziano in campi insoliti e di pura libertà, dalle auto da corsa agli orologi, dalle lampade alle chitarre. D’altra parte, di fronte all’atelier Staub si trova un garage di vecchie Porsche 911, Ginevra è a pochi passi e François si considera più o meno nel
ESPLORAZIONI SPAZIALI Qui sopra, un modello per una nuova realizzazione che si ispira alle suggestioni di Maurits Cornelis Escher. In alto, da sinistra, materiali di lavoro nell’atelier di Staub; il pozzo veneziano nasconde il pulsante per far scattare un meccanismo di apertura. A fianco, l’interno intarsiato della «Corte Nascosta» riprende il pavimento della chiesa del Redentore di Andrea Palladio alla Giudecca.
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posto giusto: «Un po’ troppe mucche, ma la natura è importante»; più prosaicamente, la clientela più alta da queste parti non manca, così come il legno sia esso svizzero, francese o in arrivo da esotiche foreste d’altri emisferi. Oggi i suoi dieci artigiani stanno ultimando dei pezzi per Taipei, ma nel cuore c’è l’Italia, in quel recesso segreto del cuore dove nascono le più ardite follie. L’Italie: il rovescio della Svizzera ma più sensatamente l’Italia come arte, storia, magia, incanto diffuso. E più specificamente dell’Italia, Venezia, scrigno d’arte e di visioni nascoste. A Venezia François dedica la sua Corte Nascosta: un monolite scuro imponente (60 x 60 x 100), quasi kubrickiano, sopra un piedistallo che lo rende alto come noi, incutendo sensazioni contrastanti tra il fascino e la soggezione. Potrebbe defi nirsi un meuble à secrets, un gabinetto segreto, ma di queste etichette rispettiamo soltanto l’aggettivo. È una mise en scène. Le due ante scure riprendono la mappa di Venezia, gettata in mezzo al mare e percorsa dai suoi canali; si aprono e appare la facciata luminosa di Ca’ d’Oro; si apre ancora ed ecco una corte che cita frammenti veneziani (il pavimento del Redentore) e tra scale a spirale e loggiati ini-
Oggi i suoi dieci artigiani stanno ultimando dei pezzi per Taipei, ma nel suo cuore c’è l’Italia: come rovescio simbolico della Svizzera, e soprattutto come arte, storia, magia, incanto diffuso
zia a svelare cassetti, nascondigli, meccanismi: segreti e luoghi di segreti. Un meccanismo nascosto fa apparire uno specchio, e ci troviamo dentro questo teatro magico, dentro questo film in bianco e nero; un altro rivela gli occhi minacciosi del Colleoni «il condottiero», così come scolpito dal Verrocchio in campo San Giovanni e Paolo. Una wunderkammer, alla lettera, con artifici che ci fanno entrare nel gioco e far parte di questa follia chiaroscura, di questo viaggio cinematografi co dentro un sogno d’artista. La pièce, presentata a potenziali buyer in alcune performance in giro per l’Europa, da Lucerna a Venezia, non ha per ora trovato acquirenti e dunque rimane dove è nata. Unica e solitaria. François non ne è soddisfatto, da artigiano che fa per gli altri, ma ne è felice da artista e prima ancora da uomo, perché gli ricorda l’audace impresa che ha saputo portare a termine con successo. In tutto questo dire di sé, alla fine riesce potente quel senso profondo del fare artistico come espressività pura di una persona. La famosa Saliera del Cellini, come si ricorda spesso, «era» Cellini, secondo la celebre definizione del committente Francesco I. La Corte Nascosta «è» François Staub.
MONOLITE DA SVELARE Qui sopra, un altro modello «alla Escher». In alto, a sinistra, le mani dello scultore Pascal Cuenot, solista nell’orchestra di artigiani-artisti che hanno collaborato con Staub; a destra, dettaglio della planimetria di Venezia nella «copertina» della pièce. A fianco, il monolite chiuso con la planimetria della città lagunare ben visibile. La realizzazione dell’opera ha richiesto quasi dieci anni di lavoro.
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L’Arte del Disegno
Silvano Campeggi, in arte «Nano». Ha iniziato a lavorare giovanissimo come tipografo, poi è diventato disegnatore per i libri illustrati e nel dopoguerra ha stregato Hollywood. Sopra, la sua locandina di «Un americano a Parigi». A fianco, il tavolo da lavoro.
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LA MATERIA DEI
SOGNI NANO CAMPEGGI HA FIRMATO I CARTELLONI CINEMATOGRAFICI DI 64 PREMI OSCAR. UNICA TECNICA: LA PASSIONE
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Artista tra gli artisti. Sessantaquattro Oscar. Tutti disegnati a mano libera. Silvano Campeggi, in arte Nano (90 anni), appena terminata un’esposizione sulla tauromachia a Creta è subito volato negli Stati Uniti, ospite d’onore al decennale del Syracuse film festival con la sua Marilyn. Sì, perché se c’è un uomo che ha spogliato la Monroe solo per farne un ritratto è proprio lui, il disegnatore di Bagno a Ripoli che, dalla suo studio con vetrata sulla collina fiorentina, scruta ammirato la cupola del Brunelleschi. Con l’inseparabile Elena al suo fianco, modella, musa, curatrice dell’imponente archivio personale, angelo del focolare domestico. Nano è così. Un cartoncino, un carboncino, l’ispirazione.Dopo arrivano i colori, con una tecnica che spazia dall’acquerello alle rifiniture con pennarelli, chine e grafite. È di modi semplici. Anche nell’atto di donare il proprio autoritratto alla Galleria degli Uffizi, non si è smentito. Ha portato una tela nella quale si riconosce di schiena. «Che vuole» si schernisce «in mezzo a tutti quei capolavori...». Ovunque, nella casa-studio, è un inseguirsi di bozzetti, ipotesi e iperboli. Dal musetto di un coniglio alla passione di Via col vento, da Un americano a Parigi a Cantando sotto la pioggia, West side story, A qualcuno piace caldo, Colazione da Tiffany. Ricordate i cartelloni fuori dai cinema? C’erano solo quattro lettere, da qualche parte, a certificarne l’origine. «Nano». Per gli italiani ha realizzato anche i disegni di Orzowei del maestro Alberto Manzi. Già, ma come si diventa cartellonista? «Armandosi di tanta passione e curiosità. Osservando ciò che ci circonda. Immaginando. Conoscendo le tecniche di stampa, perché prima di improvvisarsi disegnatori, bisogna sapere come deve essere stampato ciò che andiamo a creare. Non è solo una questione di estetica. Io ho avuto una buona dose di fortuna. Mio padre era tipografo per Bemporad Marzocco. Ho seguito i suoi passi». Poi gli studi. La Scuola d’arte nella sua Firenze. I primi lavori per i libri illustrati delle case editrici Salani e Nerbini. Da Nerbini, nel 1938, ha pure lavorato (se così si può dire) con
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ACRILICO O TEMPERA, MA CONTANO SOLO AMORE
E UMILTÀ
Federico Fellini: «Faceva le vignette con me, per 420 (un foglio di satira, ndr), le firmava Fellas». Poi la Seconda guerra mondiale. Un viaggio nella Roma città aperta. «Arrivai che avevo 22 anni. Ero un disegnatore, esperto di stampa. Mi presentai dal cartellonista Martinati, il re del muto. Non riuscì a darmi un lavoro, ma mi presentò a una piccola casa cinematografica che nel 1946 produsse Aquila nera, con Gino Cervi. Videro il mio lavoro. Mi chiamarono per un altro incarico... Non ho più smesso». Incisore, anzi disegnatore dell’Unione fotoincisori, faceva i cliché alla Zincografica fiorentina che, poi, stamperà i suoi manifesti. Quanti? Tremila. «Tutti realizzati con un’unica tecnica. Un foglio bianco. Tempera o acrilico per il bozzetto. Una volta scelto, si passa al manifesto. Facendo attenzione a lasciare lo spazio per i titoli. Mica esistevano photoshop o programmi come in-design. Era tutto fatto a mano. E forse ai giovani di oggi manca questo. Il gusto della sperimentazione. Noi dovevamo fare di tutto. Disegnare, seguire le fasi della lavorazione, mettere l’olio alle macchine e anche pulire per terra». Il valore dell’esperienza si sintetizza in una filosofia: «Lavoravamo con gli americani, perché gli italiani non pagavano. Non tanto me, io i soldi li prendevo dopo il bozzetto. Non pagavano lo stampatore». Gli sorridono gli occhi mentre mostra i cavalli di Ben Hur, «il più bel manifesto della storia del cinema secondo i critici statunitensi». Dal 1945 al 1972 è stato lui a creare l’immagine delle produzioni firmate Metro Goldwin Mayer, Universal, Paramount e Rko. Nell’immaginario collettivo ha definito le silhoutte di Gary Cooper, Marlon Brando, Rita Hayworth, Liz Taylor, Ava Gardner, Vivien Leigh. E di Marilyn. Senza disdegnare alcun incarico: «Per disegnare Tom & Jerry o la Pantera rosa, pagavano la stessa cifra di Ben Hur». Ma c’è un futuro per questa professione? «La fotografia digitale, le app, le reti wireless hanno cambiato il modo di percepire il mondo. Ma il piacere del bello, per chi lo sa apprezzare, è il vero futuro di un artigianato contemporaneo».
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L’Arte del Disegno
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Sopra, dai cassetti delle sue scrivanie affiorano i sogni del passato. Così Nano Campeggi ha portato il cinema nel mondo. Nella pagina a lato, da sinistra, i cavalli di «Ben Hur» e l’artista fiorentino al lavoro, ancora oggi a mano libera.
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Fiere Maestranze
La collezione d’alta gioielleria Sous le Signe du Lion di Chanel è composta da 58 pezzi: il più rappresentativo è Lion Royal (nella foto). Realizzato in platino, oro bianco e diamanti, può essere indossato come ciondolo o collana, mentre la testa del leone può diventare una spilla. Nella pagina a fianco, il leone che si trova sulla colonna accanto a Palazzo Ducale in Piazza San Marco a Venezia.
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Sous le signe du
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VENEZIA E PARIGI LEGATE A DOPPIO FILO: L’ANIMALE SIMBOLO DELLA SERENISSIMA CHE ISPIRÒ COCO CHANEL È OGGI UNA COLLEZIONE D’ALTA GIOIELLERIA, CHE INIZIA A BRILLARE IN UN ATELIER ORAFO NELLA VILLE LUMIÈRE
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Serenissima emozione La città fu musa ispiratrice per Mademoiselle, oggi la Maison ripercorre le tracce di quell’amore Il leone, così come lei lo amava. Lo ammirava e si lasciava sedurre dalla sua forza e dalla sua eleganza. Un legame, il loro, scritto nel destino, perché Mademoiselle Chanel nacque sotto il segno del Leone, il 19 agosto 1883. Ed è così che il fiero animale diventò per lei un simbolo familiare e ricorrente. Fonte di ispirazione. Ora in atteggiamento da cacciatore, ora a riposo, ora a dominare il mondo con la sua zampa appoggiata sul globo: come separarsi da lui? E così il leone nelle sue molteplici declinazioni entra nell’appartamento parigino in rue Cambon di Gabrielle Chanel, dove ancora oggi si lascia ammirare «raccontando» al visitatore momenti di un passato che hanno fatto la storia della Maison francese. E chissà cosa direbbe oggi Mademoiselle nel vedere il suo felino brillare della luce dei diamanti e delle pietre più preziose, indossare la purezza delle perle oppure rivelarsi scolpito nelle trasparenze del cristallo di rocca o nel blu intenso dei lapislazzuli. Capolavori d’alta gioielleria dove il confine con l’opera d’arte si perde nel cuore della Ville Lumière, all’interno di uno di quei palazzi che custodiscono i segreti più remoti della città. Qui c’è un atelier, che vibra della musicalità delle mani: danzano sugli accordi preziosi di un mestiere che chiede di essere raccontato a chi non ha il privilegio di poterlo ammirare con i
propri occhi. Ecco dove il leone tanto caro a Coco Chanel prende forma. Capolavoro senza tempo che riporta subito alle magie di una Venezia che la stessa Mademoiselle non poté fare a meno di amare. Qui riuscì a ricucire le ferite del suo cuore spezzato a causa della morte dell’amato Boy Capel, avvenuta qualche giorno prima del Natale del 1919. La Serenissima la conquistò, con i suoi musei, le chiese, i palazzi e i canali, gli splendori dell’arte bizantina. E soprattutto con i suoi leoni. Sono ovunque, sui frontoni dei palazzi e sulle porte, li si ritrova nei mosaici o su una colonna, come quella che svetta accanto al Palazzo Ducale in piazza San Marco. Simbolo della città, simbolo di Gabrielle Chanel. Dunque Venezia, musa ispiratrice di Mademoiselle. Dove la Maison sceglie di tornare e ripercorrere le tracce di quell’amore: Sous le Signe du Lion è la nuova collezione di alta gioielleria, che fa appunto del leone il camaleontico oggetto del desiderio femminile. Ora su un anello, ora su una collana, su un medaglione, un bracciale, una spilla, a impreziosire gli orecchini o a svelare il quadrante di un orologio. Brillano sotto il cielo della Serenissima reinterpretazioni del maestoso felino, opere d’arte che raccontano, però, di un sapere che splende sotto il cielo di Parigi. Il suo sapere dona emozioni. L’idea si plasma in
Sopra, collier Constellation du Lion, in oro giallo e bianco, con diamanti gialli, bianchi e quarzo rutilato. In alto, da sinistra il leone sul frontone della basilica di San Marco a Venezia al cui restauro ha partecipato Chanel; una fase di lavorazione del bracciale Lion Vénitien. A destra, Spilla Lion Céleste in oro bianco e diamanti: sono necessarie 400 ore di lavorazione e altre 160 per incastonare le pietre. Tutto Chanel Joaillerie.
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Nel segno della creatività Viene realizzato un primo prototipo con le forme, i volumi e i piccolissimi buchi dove incastonare le pietre atelier e muove i suoi primi passi in forma tridimensionale su un computer. Qui arriva il bozzetto dei creativi Chanel e tutto ha inizio. Viene realizzato il modello, il primo prototipo della struttura con i suoi volumi e le sue linee, e i piccolissimi buchi che andranno a ospitare le pietre preziose, terreno fertile per l’abilità manuale degli orafi. A dirigere l’orchestra è comunque sempre lo Studio Chanel, che controlla e verifica che il lavoro stia seguendo la perfetta sintonia della Maison. Si osserva la materia prima, è possibile coglierne la sua essenza più intima, la sua vera natura; appare lì, come se fosse «nuda», spogliata di quella luce e di quella perfezione che i nostri occhi sono abituati a vedere nel nobile metallo. Se la si guarda troppo, si ha quasi la sensazione di violarne i più intimi segreti, che si intrecciano tra i gesti e la passione di chi custodisce intatta l’arte del saper fare. Che passa anche attraverso l’astuzia di chi sceglie di lavorare separatamente le varie parti del leone: in questo modo, infatti, sarà molto più semplice riuscire a vestire completamente di diamanti una zampa, raggiungendo anche quegli angoli che se, al contrario, fosse attaccata al corpo sarebbe invece impresa difficile. Le pietre sono vicinissime tra loro, la porzione di metallo, in oro, che le separa deve essere minima,
impercettibile all’occhio. La mano del maestro si muove nel rispetto delle forme e degli spazi, dove un precedente calco in cera ha delineato i confini. Vige il rispetto. Questa è arte. Questa è Chanel. Poi la materia prima passa alla lucidatura e così inizia a brillare della sua essenza, si abbandona ai gesti dell’artigiano, gli stessi che poi incastoneranno diamanti e pietre, «colorando» il leone secondo la creatività Chanel. Arriva poi il momento in cui quelli che all’inizio si presentavano come i pezzi di un leone vengono assemblati tra loro: il felino prende forma, ed è così che appare in tutta la sua fierezza. Ecco dunque la collezione Sous le Signe du Lion, 58 pezzi che «giocano» sulla variazione del tema del leone. Eleganza senza tempo da contemplare tra oro bianco e giallo, platino, diamanti, zaffiri, onice, cristallo di rocca e poi quel lapislazzulo blu nel quale è scolpito un leone adagiato su una stella di diamanti gialli più uno bianco al centro: è un anello che si lascia ammirare al dito e allo stesso tempo racconta la storia del leone sul frontone della Basilica di San Marco a Venezia, al cui restauro Chanel ha partecipato con una donazione. Ed ecco che ancora una volta si torna nella città che ha ispirato e fatto sognare Coco Chanel. Quel sogno oggi appartiene un po’ a tutte le madame e inizia in un atelier nel cuore di Parigi.
Sopra, orecchini Lion Solaire in oro giallo e bianco, con granati, berilli, zaffiri e diamanti. In alto, da sinistra, la testa del Leone del Pireo, a Venezia all’esterno dell’Arsenale; l’incastonatura dei diamanti sulla spilla Constellation du Lion. I leoni della collezione d’alta gioielleria di Chanel prendono forma in un atelier orafo nel cuore di Parigi. I prezzi dei gioielli Chanel Joaillerie sono su richiesta (www.chanel.com).
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La collezione di imbottiti Santa Monica di Poliform, design Jean-Marie Massaud (2011), si compone di divani e poltrone che, nella versione in tessuto (sono disponibili anche in pelle), sono caratterizzati da cuciture e bordi in contrasto cromatico. In foto, la realizzazione, con una macchina speciďŹ ca e le abili mani degli impiegati dell’azienda, dei bordi del rivestimento della poltrona (a destra).
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ANIMA ARTIGIANALE E LINEE DI DESIGN. TRADIZIONE DEL SAPER FARE E AVANGUARDIA DELLO STILE. GLI ARREDI POLIFORM SONO SINTESI D’ECCELLENZA
IDEA multi form Scorre lento il ferro da stiro. La mano attenta e sicura che lo guida sa bene dove andare. Anche quando si ferma e lascia che il vapore faccia il suo mestiere su quella parte di tessuto che, più delle altre, oppone resistenza. Su quei punti in cui le solide trame sono più difficili da plasmare e far aderire al corpo, che sta lì fermo, pronto per indossare il suo abito. Sono le fasi finali di un lavoro che ha seguito una perfetta regia artigianale, dal taglio al cucito, alle rifiniture. No, non siamo in un atelier d’alta moda, ma pur sempre di sartoria si tratta: il
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IL TESSUTO È TAGLIATO, CUCITO E RIFINITO A MANO vestito confezionato su misura sarà indossato dal modello che si chiama Santa Monica, ha il corpo perfetto, scolpito, impeccabile nelle linee e con le curve al punto giusto. È un divano! Benvenuti da Poliform. Azienda di Inverigo (Co), che con i suoi complementi d’arredo firma il total look delle case di tutto il mondo. Si dice che l’abitazione sia lo specchio dell’anima di chi ci vive e così, proprio come accade per un abito, anch’essa deve essere cucita su misura: in questo modo racconterà gusti e personalità del suo proprietario. Fascino della sartorialità dell’arredo, che passa attraverso l’architettura d’interni, ma anche l’arte del sapere fare che sta dietro a ogni complemento; dove ora è il legno a raccontare di passaggi che ne plasmano le forme di cabine armadio, librerie, tavoli, ora invece è un tessuto che va a vestire le linee di divani e poltrone. Qui estetica e funzionalità hanno trovato il giusto equilibrio, senza mai prescindere dalla qualità che sui loro intrecci vigila sempre con molta attenzione. Poliform tutto questo ce l’ha nel Dna. È il made in Italy! È la tradizione di un’azienda che ha saputo sempre tener fede al suo nome, «che vuol significare multi forme, più forme», spiega Marco Spinelli, corporate manager, figlio di Aldo Spinelli che con i cugini Alberto Spinelli e Giovanni Anzani, amministratori delegati, portano avanti l’attività delle loro famiglie. «È stato scelto nel 1970 quando è stata fon-
data, come evoluzione di un’impresa artigiana nata nel 1942». Un nome, anzi molto di più, un concetto che si presta a molteplici interpretazioni, dove la parola «poli» può essere accostata all’ampia scelta di complementi, librerie, contenitori, cabine armadio, letti, tavoli, cucine (con il marchio Varenna) e imbottiti, che debuttano nel 2006, alle loro numerose forme, agli stili, ai materiali, ai colori per arrivare ai tanti architetti e designer internazionali con cui l’azienda brianzola da sempre collabora per la realizzazione dei suoi arredi. Ma «poli» sono anche i processi e i tipi di lavorazione impiegati per trasformare in realtà ciò che è stato progettato prima sulla carta. Tecnologia e artigianalità si rincorrono, nel rispetto più assoluto delle parti, dove la prima è testimone del piglio più moderno e internazionale dell’azienda, mentre la seconda racconta l’eccellenza e il fascino di tradizioni che affondano le radici nel più autentico savoir-faire italiano. Poliform è altamente industrializzata, impiega tecnologie all’avanguardia, ma si avvale anche di passaggi artigianali, dove la manualità è ancora una componente fondamentale per conferire ai prodotti quei dettagli capaci di fare la differenza. Negli imbottiti, addirittura, ci sono passaggi che, a tutti gli effetti, possono essere considerati alta sartoria. È il caso della collezione Santa Monica (design Jean-Marie Massaud), divani e poltrone il cui concetto di estetica è «poli»: nei tessuti, nei colori, nelle ri-
finiture e nelle cuciture. Pura espressione creativa che si lascia ammirare e toccare. Un prodotto di design, ma con un’anima artigianale, dove dalle cuciture ai dettagli comanda la bravura della mano. Quella degli artigiani che ogni giorno lavorano per creare questi complementi. Così ancora una volta Poliform stupisce con una sinergia tra architetti e artigiani, è l’idea che prende forma e diventa successo. «Nel nostro lavoro sono ancora fondamentali le mani», racconta Marco Spinelli. Difficile immaginarle all’opera su complementi d’arredo, eppure sono lì che ci chiedono di accomodarci. Svelando un’importante sinergia con il loro lato più industrializzato: «La struttura è in poliuretano flessibile stampato con inserti in poliuretano espanso, il telaio è in alluminio». Mentre il tessuto è tagliato, cucito e rifinito a mano, con l’ausilio di macchine speciali si realizzano le particolari cuciture a contrasto e i cordoncini del bordo che caratterizzano la collezione Santa Monica. Dettagli di extravaganza estetica che fanno di questi divani e poltrone il giusto compromesso tra uno stile chic e uno più casual. Non rinunciano a un tocco di ironia e nel farlo osano con le cromie. È con grande disinvoltura che si adattano ai diversi modi di intendere il design di interni. Riflesso della capacità di Poliform di saper guardare a 360 gradi sul mondo e di dimostrare ancora una volta un grande esercizio di creatività e di arte del saper fare. (Valentina Ceriani)
In alto, il divano Santa Monica. A destra, alcune fasi della lavorazione: dall’alto, da sinistra, raccolta dei tessuti tagliati; dime manuali per le prove di cucito; il montaggio di un giunto; un passaggio del rivestimento; il taglio delle pezze; lo stiraggio manuale del tessuto; due fasi del rivestimento; dettaglio degli alamari a vista (www.poliform.it).
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È detta «inglese», un ibrido che ha ereditato le magnifiche corolle delle specie antiche, la rifioritura e la varietà di colori di quelle moderne. Ecco come David Austin ha ottenuto il meglio da entrambe di Giovanna Marchello
È del 1961 la profumata Constance Spry, prima Rosa Inglese (qui sopra). I giardini, il vivaio e la Collezione nazionale di Rose Inglesi della David Austin Roses sono a Albrighton, nella contea inglese dello Shropshire a destra; (www.davidaustinroses.com).
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Summer Song, Lady Emma Hamilton, Eglantyne, Harlow Carr, Gertrude Jekyll, Constance Spry, Golden Celebration, Teasing Georgia, Spirit of Freedom. Le celebri Rose Inglesi create da David C.H. Austin, il più importante coltivatore di rose al mondo, hanno nomi suggestivi che rimandano a scenari esotici. Il loro aspetto antico e romantico cela un cuore moderno, il prodotto della passione e della tenacia di un uomo che a queste rigogliose rose, che coprono un’ampia gamma di colore, fragranza ed espressione, ha dedicato 50 anni della propria vita. L’affascinante storia
delle Rose Inglesi si svolge a Albrighton, nello Shropshire orientale, dove la terra è verde e fertile e il clima moderato. Qui, nella fattoria di famiglia, David Austin ha potuto sperimentare liberamente la sua innata passione per la coltivazione delle piante. Il suo primo incontro con le rose antiche, dalle profumazioni intense e corolle piatte e ricche di petali, fu un amore a prima vista, destinato a durare per sempre. «Le rose antiche risalgono a prima del 1900. La maggior parte fiorisce una sola volta, all’inizio dell’estate, e i colori sono limitati a bianco, rosa e viola. Quan-
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Sotto, Constance Spry. Sopra, da sinistra, Kew Gardens, rosa a cinque petali creata per i 250 anni dell’omonimo giardino; Lady of Shalott, dai petali degradanti da rosa salmone a giallo dorato, prende il nome dalla dama, cantata da Lord Tennyson, che Lancillotto salvò da un incantesimo; il Renaissance Garden.
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do David Austin era ancora un ragazzo le rose antiche erano praticamente estinte», spiega Michael Marriott, da 30 anni direttore tecnico della David Austin Roses. «A quei tempi le rose moderne, ibridi di Tea e rose floribunda, avevano soppiantato le varietà più antiche perché, tra l’altro, erano rifiorenti e avevano una gamma più ampia di coloriture. Intuì che se fosse riuscito a incrociare questi due mondi avrebbe potuto ottenere il meglio di entrambi. Fu così che David Austin creò un nuovo ibrido che univa la grazia, le magnifiche corolle e le deliziose fragranze delle rose antiche con la rifioritura e la varietà di colori delle rose moderne, battezzandole Rose Inglesi». «La prima svolta avvenne agli inizi degli anni 60. Per mio padre la coltivazione di rose era ancora solo un passatempo quando decise di portare le nuove varietà da lui create, di cui una era Constance Spry, a Graham Stuart Thomas, il massimo esperto di rose antiche in Gran Bretagna. Graham Thomas disse che erano rose fantastiche e che le avrebbe messe in vendita nel suo vivaio», spiega David J.C. Austin, amministratore delegato di David Austin Roses. «Fu un grande stimolo per lui, un’iniezione di fiducia. Dedicò i successivi dieci anni alla creazione della prima Rosa Inglese rifiorente. Quando infine ci riuscì, nel 1970, l’industria delle rose ruotava però ancora intorno agli ibridi di Tea, e nessuno si interessava a questa nuova forma di rosa antica. Mio padre capì che se voleva entrare in contatto con i suoi potenziali clienti doveva aprire lui stesso un vivaio dove vendere le sue Rose Inglesi. E infatti
sin dall’inizio i clienti hanno accolto questa novità con grande entusiasmo. La seconda tappa fondamentale arrivò dopo altri dieci anni, nel 1983, quando partecipò alla sua prima Chelsea Flower Show con Graham Thomas e Mary Rose, le primissime Rose Inglesi rifiorenti. Fu un trionfo. Trent’anni dopo la Graham Thomas è ancora molto apprezzata, tant’è che è stata eletta la Preferita al mondo dalla World Federation of Rose Societies, che rappresenta 39 Paesi. Mio padre si è dedicato alle sue rose per 50 anni e forse oggi è ancora più appassionato di quando ha cominciato, perché sa che le possibilità sono infinite». «Quando David Austin cominciò a coltivare le sue Rose Inglesi voleva che fossero tutte diverse, come le rose antiche. Alcune hanno cinque petali, altre 200. La corolla può essere piatta, a coppa, ricurva. Alcuni arbusti sono piccoli, altri alti. Possono crescere ad arco o essere rampicanti, ma anche dritti». Quello che hanno in comune è la profusione di fiori, da cima a fondo, anche nelle varietà rampicanti. «Le Rose Inglesi possono essere bianche, rosa, rosse, viola, gialle, albicocca, e sono tutte profumate. Quando si annusa una rosa il mio consiglio è di provare almeno due o tre fiori della stessa pianta. Molti annusano le rose distrattamente, quasi con imbarazzo, perché pensano che sia necessario essere degli esperti», spiega Michael Marriott. Nel corso di 40 anni, David C.H. Austin ha introdotto 200 varietà di Rose Inglesi, di cui se ne possono ammirare e odorare almeno 80 nei meravigliosi giardini del quartier generale ad Albrighton, 50 ettari di tenuta che ospitano anche i vivai e le serre.
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L’ibridazione è un processo lungo e laborioso, condotto da mani esperte secondo metodi tradizionali. «Non ci affidiamo all’ingegneria genetica», dice David J.C. Austin. «Sarebbe una perdita di tempo e di denaro, perché quello che vogliamo noi è una collezione di rose in perpetuo sviluppo». Tutti i petali vengono strappati dal fiore, salvo uno per poterlo identificare il giorno successivo. Gli stami vengono estratti con cura e messi in piccoli barattoli di vetro per essere scaldati a 20 °C durante la notte. Il polline rilasciato viene spennellato sullo stame di un altro fiore. Quando i cinorrodi sono maturi vengono estratti i semi e conservati a una temperatura di 1-2 °C per tre mesi. Quindi, vengono seminati e alla loro germinazione trasferiti nelle serre. Michael Marriott spiega che «il processo di selezione è programmato con cura, ma ci vuole comunque molto tempo per ottenere delle buone rose. Da 250mila germogli, ciascuno geneticamente unico, ne selezioniamo circa 10mila che hanno un potenziale. Li piantiamo nei campi, dove dovranno combattere l’aggressione delle malattie o i rigori del clima. Una selezione naturale che riduce i numeri a qualche centinaio di piante». Solo quattro o cinque nuove rose vengono create ogni anno. «Per noi il fattore determinante è che la rosa sia innanzitutto bella. Oltre a essere profumata, robusta e resistente alle malattie, deve affascinare», spiega Michael Marriott. Un’altra specifica varietà sviluppata da David C.H. Austin è quella delle Rose Inglesi da taglio, ibridate con lo stesso processo. «Incrociamo le Rose Inglesi da
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giardino con le rose da taglio tradizionali per ottenere la grazia delle prime e gli steli diritti e la durata in vaso delle seconde. Ma quello che cerchiamo sempre è una fragranza, mentre molte rose da taglio tradizionali non ne hanno per niente». David J.C. Austin vuole che tutti possano godersi il loro giardino. Per questo motivo viene offerto un servizio di assistenza ai clienti. «Molti giardinieri del fine settimana non hanno il coraggio di potare le piante», spiega, «ma in realtà è veramente molto semplice e con qualche consiglio si può superare questo timore». Le loro rose possono crescere in quasi tutti i climi, eccetto che a temperature estreme, l’importante è che abbiano acqua in abbondanza. Anche la resistenza alle malattie è importante, e molte rose non hanno bisogno di insetticidi. Michael Marriott, che ha una lunga esperienza nella progettazione di giardini pubblici e privati sia nel Regno Unito che all’estero, Italia compresa, consiglia le bordure miste: «Mescolando le rose con le piante sempreverdi si ottengono risultati molto gradevoli per la varietà di forme e colori e la possibilità di introdurre nella tavolozza il blu, che non esiste nelle rose, con effetti di grande impatto. Allo stesso tempo le rose si mantengono in salute, perché le piante attirano uccelli e insetti che controllano i parassiti. Inoltre, le infezioni si propagano meno facilmente». Amore e gelosia, purezza e sensualità, fragilità e forza, pace e guerra. La rosa è così versatile che può rappresentare l’intero spettro delle emozioni umane. E David Austin ha una rosa per ogni sfumatura.
Sopra, David C.H. Austin, che ha creato 200 varietà di Rose Inglesi. Suo figlio David J.C. conduce oggi l’azienda. In alto, da sinistra, la rosa Graham Thomas, che prese il nome dal massimo esperto in materia in Gran Bretagna; Monferrato, una nuova varietà di rosa rossa robusta e rifiorente.
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Le fiamme DELLA MEMORIA
LA QUALITÀ E L’ UNICITÀ DELLA SUA COLLEZIONE HA PERMESSO AL MUSEO DEI LUMI DI CASALE MONFERRATO DI ESSERE CONOSCIUTO IN TUTTO IL MONDO. MERITO DEI CHANUKKIAH, I CARATTERISTICI CANDELABRI A OTTO BRACCI ACCESI PER LA FESTA DELLA LUCE
COMUNITÀ EBRAICA DI CASALE MONFERRATO
di Simona Cesana
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Sopra, Chanukkiah contemporaneo in filo di ferro dorato a mano di Jessica R. Carrol (2002). A fianco, il Museo dei Lumi di Casale Monferrato, ospitato nei locali sotterranei della Comunità Ebraica anticamente adibiti a forno delle azzime.
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Pensando al Monferrato, la prima immagine che ci appare è del dicembre 2012, consiste in 145 opere, tutte conservate nel senza dubbio quella di lunghi filari di vite che caratterizzano Museo dei lumi, ospitato nei locali sotterranei della comunità le sue colline e che hanno reso celebre in tutto il mondo questa anticamente adibiti a forno delle azzime, matzah, il pane non zona del Piemonte orientale, grazie all’eccellenza della sua lievitato che gli ebrei mangiano durante la Pasqua ebraica. La produzione vinicola. Casale Monferrato, che di questa zona si qualità e unicità della collezione ha permesso al Museo dei può considerare la capitale, è anche una cittadina ricca di stolumi di Casale di essere conosciuto anche all’estero, grazie al ria, che racchiude in sé tradizioni e culture differenti, una delle prestito delle opere al Musée d’Art et d’Histoire du Judaïsme quali è quella ebraica: si trova a Casale infatti uno dei migliori di Parigi, al Museo de Historia de los Judíos di Girona, al esempi di sinagoga barocca, costruita nel 1595 nel quartiere Museo ebraico di Amsterdam. Tra i tanti artisti che hanno ebraico della città. Nel complesso museale nato intorno alla donato un’opera anche Emanuele Luzzati, Arman, Mimmo sinagoga si svolgono ancora oggi i riti della tradizione ebraica Paladino, Lucio Del Pezzo, tra i primi, e poi Giosetta Fioroni, che coinvolgono la comunità della zona e non solo. Ugo Nespolo, Emilio Isgrò, William Xerra e tanti giovani che L’iniziativa che qui vogliamo raccontare, nata nel 1994 in negli anni si sono avvicinati a questa collezione. Elio Carmi, occasione delle celebrazioni per i 400 anni della sinagoga, è tra gli ideatori di questo progetto, scrive: «Una forma strana, quella che ha dato vita al Museo dei lumi: una collezione in con una luce di qui e otto di là. Così, cammin facendo, un continua crescita grazie alle costanti donazioni degli artisti. paio di quelle cose che da dentro spingevano per uscire, ce I primi furono Elio Carmi, Antonio Recalcati, Aldo Monl’avevano fatta a «farsi fare». Ero consapevole e presente, ma dino e Paolo Levi, che promossero l’idea di una collezione mi sentivo anche un po’ spettatore, un po’ committente, un di Chanukkiah d’arte contemporanea: Chanukkiah, ovvero i po’ lì per caso, non per essere quello che “a l’ava fatch” (aveva caratteristici candelabri a otto bracci (più lo shammash, il serfatto) qualcosa». La realizzazione delle opere di molti artisti vitore, che deve essere diverso dagli altri), i cui lumi vengono è stata affidata ad alcuni dei migliori artigiani italiani: dalaccesi per celebrare Chanukkah, la festa della luce, che dura la ceramica alle fusioni in bronzo, dall’argento al vetro fino otto giorni. Questa festa si celebra infatti all’inizio dell’inverno all’utilizzo di materiali contemporanei. «Come sempre nel e vuole rappresentare sia la vittoria della luce sull’oscurità sia, mio lavoro c’è il ludus verbale e materiale, il sacro e il profano in forma ancor più metaforica, la sopravvivenza del popolo si fondono. Ci sono diversi modi per l’uomo di avvicinarsi ebraico. Negli anni la partecipazione all’iniziativa è stata acal divino. I dervisci, con la loro danza, pregano. L’arte e la colta da molti artisti, anche di fama internazionale, che hanno danza sono solo diversi modi di pregare». Con queste parole affrontato la progettazione di un oggetto rituale con caratteriAldo Mondino, che per la collezione di Casale ha realizzato stiche ben precise come il Chanukkiah; Maria Luisa Caffarelun Chanukkiah fatto di penne Bic in plastica trasparente, ci li, nel testo a commento del libro dedicato spiega l’essenza della religiosità con cui gli alla collezione del museo, sottolinea come artisti si sono avvicinati a questa esperienogni artista abbia sentito «l’impulso a metza: ognuno a suo modo, portando la «luce» In alto, la sinagoga barocca tersi alla prova, a farsi venire un’idea per attraverso la propria unica voce, che unita di Casale Monferrato, inventare una forma per quell’oggetto che alle altre voci dà forza al messaggio corale costruita nel 1595. Nella una forma già ce l’ha. Ed è la sua sostanza». di una comunità. E quindi, per riprendere pagina a lato, alcuni esempi della collezione del Gli artisti hanno offerto così alla comunità i versi del poeta Paul Celan, queste opere Museo dei lumi ebraica di Casale una collezione unica nel cristallizzano una testimonianza, fatta di con 145 opere in diversi suo genere che, dopo le ultime donazioni condivisione e vicinanza.
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materiali di artisti italiani e internazionali.
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▲▼ Antonio Recalcati (ceramica, 1996) ▼▼ Giancarlo Montebello (argento, 2006)
▲ Emilio Isgrò (argilla, pittura e smalto, 2002 ) ▼▼ Mimmo Paladino (argilla refrattaria, 1999)
▲▼ Arman (fusione in ottone, 1997) ▼ Elio Carmi (metallo argentato e rame, 1990)
▲▼ Luigi Mainolfi (terracotta, 2006) ▼▼ William Xerra (rame, 2006)
▲ Giosetta Fioroni (ceramica e ferro trafilato, 2003) ▼▼ Emanuele Luzzati (ceramica, 1993)
▲▼ Lucio Del Pezzo (legno dipinto, 1998) ▼ Aldo Mondino (ferro battuto, penne Bic, 1997)
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IN CHORDIS INTORNO A CREMA SI COSTRUISCONO E RESTAURANO MAGNIFICI ORGANI,
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ET ORGANO PROTAGONISTI DELLA LITURGIA NELLE CHIESE DI TUTTO IL MONDO
«Laudate Dominum in chordis et organo», si legge sulle casse degli organi che ammiriamo nelle chiese. Un verso tratto dal Salmo 150, che insegna al fedele come non esista miglior maniera di lodare Dio se non attraverso la musica. Ed è proprio il maestoso organo a canne a essere tuttora lo strumento principe della liturgia: strumento che in Italia ha una sua precisa caratterizzazione. Le sonorità del Principale e del Ripieno, due registri fondamentali nella disposizione fonica dello strumento, hanno infatti raggiunto nel Rinascimento «timbriche poi cristallizzate come prettamente italiane, rimaste a riferimento nell’attuale ricerca sonora dei maestri organari (…). Da sempre banco di prova per artigiani e maestri d’arte, l’organo di fattura italiana si è presto distinto come strumento articolatissimo, ancor più nella sua versione completamente meccanica, dal mantice che porta l’aria alle canne (decine di migliaia negli esemplari
più grossi) alla trasmissione del comando da ogni tasto: un lavoro che ha mantenuto nel tempo la capacità di costruire modelli molto simili a quelli del passato», come scrive Giuditta Comerci in Liuteria (da Mestieri d’Arte e Made in Italy, a cura di Paolo Colombo con Alberto Cavalli e Gioacchino Lanotte). Il territorio intorno a Crema, tra le ricche città di Cremona e Brescia, si è rivelato nel corso dei secoli un vero e proprio centro di eccellenza per la creazione e il restauro degli organi a canne: qui, sin dal Rinascimento, sono state attive botteghe di organari che hanno creato alcuni degli strumenti più significativi del nostro Paese. E ancora oggi, a Crema e negli immediati dintorni, operano artigiani che non solo costruiscono organi prestigiosi, ma che sono in grado di restaurare con competenza e rigore i capolavori dei secoli passati. Come Bottega Organaria, che a Soncino (annoverato tra più
IN SAECULA SAECULORUM In alto, le meccaniche di un organo settecentesco aperto. A lato, in basso, Claudio D’Arpino nel corso della delicata fase di regolazione delle meccaniche; in alto, l’organo Carolus Sanarica del 1757 della cattedrale di Oria nel Brindisino (www.bottegaorganariasoncino.it).
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bei borghi d’Italia) opera da anni grazie all’iniziativa di Ugo Cremonesi e Claudio D’Arpino. Ugo Cremonesi, dopo aver frequentato i Conservatori di Brescia e Trento ed essere stato musicista e insegnante di pianoforte, decide di «mettersi a bottega» e inizia a collaborare presso la storica azienda Pontificia Fabbrica d’Organi Inzoli Cav. Pacifico, sita in Crema e attiva dal 1867. È qui che incontra Claudio D’Arpino. Il loro percorso formativo li porta ad accumulare un’importante esperienza nella conoscenza delle varie parti che compongono lo strumento e delle tecniche di lavorazione: D’Arpino come specialista delle meccaniche, della manticeria e del restauro in generale e Cremonesi come tecnico per il restauro delle canne e accordatore. Nel 1997 decidono di aprire il loro laboratorio di restauro, dedicandosi principalmente agli strumenti storici. Il delicato e prezioso lavoro che Cremonesi e D’Arpino svolgono non è fatto solo di manualità ma anche di studio della storia degli strumenti, di meticolosità nei sopralluoghi
UNA LUNGA STORIA, DALLE PIRAMIDI ALLE ALPI L’invenzione dell’organo (strumento della famiglia degli aerofoni) è attribuita a Ctesibio di Alessandria (III secolo a.C.). Questo primo organo veniva chiamato «Hydraulis» ed era alimentato da aria compressa attraverso pompe manuali in recipienti contenenti acqua, aveva una
e di attenta manipolazione di ognuna delle centinaia e centinaia di parti di cui l’organo si compone, di certosina documentazione, archiviazione e registrazione dei dati attraverso rilievi e fotografie. Nulla è lasciato al caso, tutto è coordinato dalla regia di questi artigiani che mirabilmente ripristinano l’originale impianto fonico degli strumenti. «In media il lavoro di restauro dura da diversi mesi a un anno e anche oltre», afferma Ugo Cremonesi. «Ogni strumento deve essere smontato e ricomposto, dopo la ricostruzione o il restauro, in ogni minima parte. La nostra filosofi a di restauro è prettamente legata ai dettami delle Soprintendenze con cui lavoriamo assiduamente». I sistemi applicati da Bottega Organaria rispecchiano infatti fedelmente i canoni dettati dalle Soprintendenze, utilizzando tecniche tramandate dall’antica e celebrata tradizione organaria lombarda. Le parrocchie interessate al restauro dei propri organi devono infatti
presentare il progetto sviluppato dalla bottega presso l’ufficio Beni culturali e, una volta ottenuta l’approvazione, lo stesso progetto deve essere sottoposto alla valutazione della Direzione regionale prima di poter iniziare i lavori. «Nel laboratorio», continua Cremonesi, «è sempre rispettata la temperatura ottimale per la corretta manipolazione dei vari materiali, soprattutto delle colle animali a caldo, e per la conservazione delle diverse parti. Abbiamo anche un magazzino dove depositiamo gli strumenti smontati e nel quale vengono effettuate le prime operazioni di pulitura». Dal lavoro delle abili mani di Cremonesi e D’Arpino hanno ritrovato la loro sonorità originale numerosi strumenti storici di altissimo valore artistico e musicale: l’organo Chiappani Giovanni (1647) della chiesa di San Pietro Apostolo in Mezzana Casati (Lodi), gli organi settecenteschi di autore anonimo della chiesa parrocchiale dell’Assunzione della Beata Vergine Maria in Turano Lodigiano (Lodi) e della chiesa di San Vito
sola tastiera e non si evolse mai in un vero e proprio strumento musicale. Furono i Romani che, durante la conquista del territorio ellenico (circa 146 a.C.), lo portarono a Roma e ne fecero grandissimo uso nei teatri e nei circhi. In questo periodo venne mutato il funzionamento dell’organo rendendolo un vero e proprio strumento mediante la trasformazione della
Martire in Lequile (Lecce), l’organo Carolus Sanarica (1757) della cattedrale di Oria (Brindisi), l’organo Cavalli Giuseppe (1847-1848) della chiesa di San Giorgio Martire in Dresano (Milano), l’organo Serassi-Cavalli (1822-1896) della chiesa parrocchiale di San Bartolomeo Apostolo in Borghetto Lodigiano (Lodi), l’organo Bolognini Foglia (1700-1800) della chiesa in Mazzano (Brescia), solo per citare alcuni tra i più significativi esempi. Bottega Organaria è membro dell’Associazione Italiana Organari (Aio), che opera per il miglioramento e la promozione dell’arte organaria nel rispetto delle caratteristiche sia locali sia individuali. Caratteristiche che è necessario conoscere e difendere, come quotidianamente fanno gli artigiani che intorno a Crema dedicano il loro talento alla costruzione, alla protezione e al restauro dello strumento più complesso, suggestivo e maestoso della nostra tradizione (per ogni informazione www.bottegaorganariasoncino.it).
SINFONIE DI PRECISIONE A fianco, dal basso a sinistra in senso orario, Ugo Cremonesi durante una delle fasi di catalogazione delle canne; fase di rimontaggio dell’impianto fonico; organo Bolognini Foglia (1700-1800) della chiesa di Mazzano (Brescia); somiere restaurato.
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trazione da idrica a pneumatica. Nel corso del primo millennio d.C. cominciò a essere considerato dalla Chiesa d’Occidente come strumento liturgico (in Oriente invece ancora oggi l’organo a canne non è ammesso alla liturgia). Una delle prime testimonianze dell’uso dell’organo in chiesa risale al 757 d.C.: in quell’anno l’imperatore Costantino V ne donò uno a
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Pipino, Re dei Franchi, che fu poi collocato nella chiesa di Compiègne. Le dimensioni degli organi di quell’epoca erano molto contenute: disponevano di un numero di canne molto limitato. Nel corso del tempo vennero apportate diverse innovazioni e, nel XV secolo, vennero introdotti la pedaliera e i registri indipendenti. Le dimensioni aumentarono tanto da rendere
difficile il trasporto da un luogo all’altro; nasceva così l’Organo Maggiore, a installazione fissa. Lo strumento in genere era collocato in tribune sopraelevate (presbiterio, abside o sopra il portale d’ingresso). Il vero e proprio sviluppo tecnico e fonico avvenne verso la seconda metà del XVI secolo e si manifestò in maniera differente tra i vari Paesi europei.
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92 Ettore Bocchia è il padre della cucina molecolare. E al ristorante Mistral di Villa Serbelloni
ATTRAZIONE
di Alessandra Meldolesi - foto di Bob Noto
È
È una trovatella con uno stuolo di padri putativi e una risma di esami del Dna, la cucina molecolare, rivoluzione abiurata dai più che rischia un fraintendimento non meno clamoroso della nouvelle cuisine, ridotta alla rarefazione contemplativa del fagiolo solitario sul piatto. Molecolare che però in Italia ha un padre certo: Ettore Bocchia, chef che in questi tempi di paleocucina in stile Flintstones, con tanto di scuoiamenti congressuali a vista e segaossa per teste e femori sanguinolenti, continua a concentrare sul piatto le energie di un pensiero fortissimo (giacché di questo si tratta). Dove non c’è spazio per l’improvvisazione pasticciona o
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l’effettismo sguaiato, ma il bisturi affonda con fermezza nelle nervature invisibili della materia, dissezionandone potenzialità insospettate. Cosicché dai fumi dell’azoto emerge un gioco nitidamente cartesiano, aritmetico, esatto. Leggero e scorrevole come una mano che pettini le acque del lago. Lo scenario è quello di Villa Serbelloni, magnifico edificio neoclassico dalle fondamenta rinascimentali che specchia logge e pinnacoli nel blu del lago di Como, già cantato da Stendhal e Flaubert. Dall’altro lato digradano le terrazze, tappezzate di aiole, bossi e tassi geometrizzati dall’ars topiaria. Mentre all’interno si dipanano evocative atmosfere viscontiane, sotto i
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a Bellagio cresce la sua creatura senza compiacimenti, esaltando il prodotto con rigore scientifico
CHIMICA
soffitti a cassettoni e gli affreschi delle volte, accarezzate dalla francese, ma anche per come mi ha trasmesso l’ossessione del brezza corpuscolare del lago e dalle vibrazioni degli accorprodotto. Alla chiusura del ristorante, la scuola alberghiera di di al pianoforte. Da queste parti Ettore Bocchia è arrivato Salsomaggiore, che frequentavo, gli dedicò una festa; mentre nel lontano 1992, alla sua prima esperienza importante. Lui preparavo il savarin di riso ricordo il fervore col quale mi nativo di San Secondo, nel Parmense, figlio di spiegò dove aveva preso quel determinato caroperai dediti al culto della buona tavola: «Mia naroli e perché, così come le carni e i culatelli». LE TRE VERSIONI DEL TONNO ROSSO zia Linda saltuariamente lavorava come lavaDopo una gavetta nei panni poco glamour di Da sinistra: tartare piatti da Cantarelli a Samboseto, e l’occasione lavapiatti, barista, fruttivendolo, pescivendolo con uovo di quaglia e era ghiotta per scambiare ricette con Mirella. ed extra in osteria, eccolo agganciare l’hôtellerie sesamo, ventresca Quindi è un posto che ho sempre bazzicato a Punta Ala. Mentre la formazione proseguiva caramellata alla soia, ristretto anch’io. Ricordo che Peppino parlava sempre all’école Lenôtre, sui banchi della scuola Étoile di katsuobushi con funghi per metafore, e solo adesso capisco veramente oppure accanto a Yves Thuriès. «È stato proprio enok e coriandolo, esaltano il pescato fanese. quanto gli devo. Per l’iniziazione al grande vino leggendo la sua rivista, dove per qualche tempo
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Hervé This ha curato una rubrica, che ho iniziato mezzino chic che cannibalizza culture, in equilia interessarmi di “molecolare”». Scientia potenbrio perfetto su una struttura evanescente che tia est: sono le guide su cui si muoverà tutta la regala cangianza. Come i Capelli d’angelo in sua carriera. L’incontro karmico però avviene a funzione testurizzante, avviluppati nel gioco Bellagio con il fisico Davide Cassi, partner di acido della crema di caprino e del limone, doluna collaborazione protratta dal 2001 al 2003. ce della capasanta di fondale cruda, amarotico L’incastro fra le loro tessere schiocca sonoro suldel cappero, sapido del caviale kaluga amur. Un la cucina italiana: il cuoco e lo scienziato, il sapere piatto meno baricentrico del precedente perempirico e quello astratto allacciati in un dialogo ché ideato in funzione del vino. Gli asintoti della serrato, alla base un codice di sapori condivisi, la sensiclassicità e dell’avanguardia si toccano nel Rombo bilità gastronomica, il background di gourmet navigati. Ne assoluto con verdure, crema di porri e spuma di patate, un risulta un’avanguardia che non si era mai vista, tanto diromcolpo molecolare di cannone sulle categorie codificate. Perché pente nel modus operandi (in pochi mesi vengono messe a la cottura nel glucosio, grazie alla densità degli zuccheri, sigilla punto sei tecniche completamente nuove) quanto ossequiosa e concentra i succhi rassodando la polpa, che conserva la tesnell’approcciare la tradizione e rispettosa del piacere papillare, situra del prodotto crudo in un paradosso scintillante (tecnica universale insomma com’è d’uopo in un ristorante d’alberal tempo stesso rivoluzionaria e discreta, applicabile anche ad go. Quasi il correlativo della magia circostante, quell’acqua astici e aragoste). E si toccano di nuovo nei Ravioli di pavone dormiente che ha perso la mineralità aggressiva e la falcata farciti di petto setacciato, conditi con ragù di coscia e fondo tempestosa del mare per increspare il riflesso delle architetture di carcassa, dove il volatile cult dei banchetti rinascimentali d’epoca, in cui si affonda dolcemente. svela i suoi aromi di pesca e albicocca; nella cottura perfetta di Quella del Mistral va connotandosi come una cucina avanNé carne né pesce, fra puree vegetali acidule, rane impanate zata, priva di provocazioni organolettiche, perciò stesso dife lumache glassate; nel Piccione ripieno di foie gras al vapore ficilmente incasellabile e sfuggente. Assoluta ben oltre i titoli in crosta di tartufo melanosporum australiano, icona della dei piatti, nella rotondità di probabile matrice emiliana che cucina transalpina spinta verso il lampo corrusco dei picchi allarga le braccia al mariage con il vino. Il punto di partenza, minerali. Mentre la barra si ri-orienta verso est nel tonno in a differenza del tecno-emozionale, sbalzato dalla molla di tre versioni (tartara, ventresca scottata, katsuobushi), che porta ricette tramandate, è il prodotto (nel ristorante, dove manca in trionfo la monumentale delicatezza degli esemplari pescati il food and beverage, la ricerca dell’eccellenza è appannaggio a Fano. Gran finale con il gelato estemporaneo, che rinfresca di Bocchia). Da esso il sapere del cuoco estrae la struttura la pesca Melba in omaggio a Escoffier. ottimale per l’edificio del piatto, composto di gusti primari, Un’altra invenzione geniale, giacché l’impiego dell’azoto secondari, testure, punti di fusione; e sotto il profilo chimiliquido crea microcristalli che non congelano e anestetizco di acqua, amidi, grassi e proteine. L’impronta è internazano la bocca, valorizzando fino in fondo la base senza zionale, con chiare influenze francesi (i piatti aggiunta di additivi o sgradevoli effetti burro caldi arrivano dalla cucina sotto l’immancabile di cacao. Messaggi complessi che vengono UN’IMMERSIONE SENSORIALE cloche, anche per mantenerne la temperatura porti in modo semplice, tanto la manipolazioSopra e in alto a destra, 4 °C sopra quella corporea lungo il tragitto) e ne gioca a nascondino col prodotto. Cosicché la pesca Melba con gelato asiatiche, soprattutto giapponesi. Le Ostriche finisce per essere questa la vera e unica proall’azoto liquido. In alto e caviale su cremoso di finocchi con spuma di vocazione, ma nell’accezione heideggeriana di a sinistra, Ettore Bocchia limone naturale sono il frutto di un mash up fra una tecnica che pro-voca, ovvero chiama a sé durante la preparazione. A fianco, Né carne né pesce. blinis al caviale e huîtres gratinées, sorta di trala natura per disvelarne l’energia e l’essenza.
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La Saliera (1540-43) di Benvenuto Cellini, vero ÂŤmonumento da tavolaÂť e capolavoro assoluto dell'oreďŹ ceria manierista. Nella pagina a destra il Kunsthistoriches museum di Vienna.
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LE MIRABILIA degli Asburgo
di Alessandra de Nitto
A VIENNA IL KUNSTHISTORISCHES MUSEUM RIAPRE LA SPLENDIDA KUNSTKAMMER, RACCOLTA D’ARTE E DI MERAVIGLIE UNICA AL MONDO
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Il Kunsthistorisches Museum di Vienna ha finalmente riaperto al pubblico una delle sue gemme più preziose: la Kunstkammer (camera dell’arte), raccolta di meraviglie unica al mondo. La magnifica collezione asburgica, rimasta chiusa per oltre 11 anni, è stata oggetto di un imponente lavoro di riordino e restauro dei materiali e viene oggi presentata in tutto il suo splendore anche grazie al progetto espositivo, condotto secondo i più moderni criteri scientifici di illuminazione, conservazione e sicurezza. Una riapertura attesa e fortemente voluta dalla direttrice Sabine Haag, instancabile animatrice di questo progetto ambizioso, di incalcolabile portata culturale. Nelle 20 sale del piano rialzato del museo, su una superficie di circa 2.700 metri quadrati, trovano posto oltre 2mila oggetti d’arte: i più importanti e preziosi dell’intera collezione, che ne comprende oltre 8.000. Una testimonianza straordinaria della grande passione per il collezionismo degli imperatori e arciduchi della Casa d’Austria, che ne percorre ininterrottamente la storia, dal tardo Medioevo al Barocco.Il fenomeno delle Kunstkammer e Wunderkammer (camere delle meraviglie), affonda le radici nel tardo Medioevo, ma conosce il suo momento di massimo splendore nel Rinascimento e poi nell’epoca barocca, dominata dal gusto per il raro, il curioso, l’abnorme, l’artificioso. In questi luoghi, che rappresentano il primo nucleo del concetto stesso di museo, i più grandi mecenati e collezionisti d’Europa raccoglievano e mostravano allo stupore del pubblico le loro mirabilia. Raccolte affascinanti, appannaggio esclusivo di grandi sovrani, aristocratici e ordini monastici, che riunivano in una vera e propria summa enciclopedica del sapere del tempo naturalia e artificialia: le più impressionanti opere della natura e del genio creativo dell’uomo. Così, accanto a magnifici coralli, perle e cristalli di rocca, pietre preziose dai presunti poteri magici, conchiglie, ostriche, uova di struzzo, zanne e corni esotici, pesci, uccelli o frutti rari e sconosciuti, di forme e dimensioni inusitate, trovavano posto squisite opere d’arte applicata in vetro o porcellana, gioielli e miniature, cammei e filigrane, capolavori di virtuosismo tecnico fatti per impressionare e stupire, monete, libri e stampe rare, ma anche reperti archeologici, strumenti scientifici, orologi, astrolabi, strumenti musicali e le ingegnose magie meccaniche dei perturbanti automi. Il nuovo allestimento della Kunstkammer segue in modo puntuale la storia dei diversi personaggi che nel tempo crearono le proprie singole collezioni,
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IL FENOMENO DELLE KUNSTKAMMER E WUNDERKAMMER CONOSCE I MASSIMI MOMENTI DI SPLENDORE NEL RINASCIMENTO E NELL’EPOCA BAROCCA
andando a comporre la raccolta: a partire dalla più antica Wuntutto quella che ne è divenuta l’immagine e l’emblema: la saliera derkammer di Ferdinando II del Tirolo (1529-1595), presso il realizzata da Benvenuto Cellini nel 1540-43 per Francesco I castello di Ambras (Innsbruck), in cui confluirono molte opere alla corte di Francia. Vero «monumento da tavola» in miniatura, dalle precedenti collezioni degli imperatori austriaci (da Federiquesto capolavoro assoluto dell’oreficeria manierista raffigura co III a Ferdinando I). La Kunstkammer di Rodolfo II (1552Nettuno e Gea, personificazioni del mare e della terra, in una 1612), nel castello di Praga, fu una delle più importanti e preziose profusione decorativa di pesci, conchiglie, fiori e frutti, emblemi raccolte d’arte e di meraviglie d’ Europa: andò per fortuna solo dei rispettivi regni, figure fantastiche, allegorie e motivi ornamenin parte perduta durante la guerra dei Trent’anni, conservando tali. Un esempio stupefacente dei livelli altissimi di fantasia creperò intatti i suoi capolavori di oreficeria e pietre dure, trasferiti ativa e virtuosismo tecnico raggiunti dal geniale scultore e orafo a Vienna prima del saccheggio. All’arciduca Leopoldo Guglielfiorentino. L’opera fu donata nel 1570 da Carlo IX all’arciduca mo (1614-1662), illuminato fondatore del Kunsthistorisches Ferdinando II del Tirolo, divenendo uno dei pezzi di maggior Museum e della Gemäldegalerie, si deve più tardi anche l’increpregio delle collezioni asburgiche. Tanto da essere oggetto di un mento della collezione con squisiti bronzi rinascimentali e picclamoroso furto nel maggio 2003 e di un fortunoso ritrovamento cole sculture in pietra e lignee, oltre che con numerose curiosità tre anni dopo. Altre opere di straordinaria importanza e qualità provenienti da mondi lontani appena conosciuti. Intorno al 1875 esecutiva la bellissima Madonna Krumau in arenaria dipinta e fu Francesco Giuseppe a intraprendere l’opera di sistemazione dorata (Praga, 1390-1400), l’Allegoria della Vanità di Jörg Syrlin e nuovo ordinamento dell’immensa collezione, arricchitasi nel il Vecchio (1470-80), raffigurante con intenso realismo le tre tempo anche di importanti donazioni da parte di grandi colleetà della vita in un unico blocco ligneo, le dinamiche statuette zionisti e mecenati europei, destinandole il piano rialzato del equestri in avorio del viennese Matthias Steinl (1690-93), il Kunsthistorisches Museum. cabinet da collezione e scrittoio (1582) con ricchi Sopra, da sinistra, «Il potere di questa famiglia, che fu una delle dinadecori e allegorie in argento, i due sontuosi centroMadonna Krumau; cammeo stie d’Europa più influenti politicamente, con contavola con aironi in cristallo di rocca, della bottega in pietre dure; Allegoria tatti di vasta portata e immense risorse finanziarie, milanese dei Saracchi, orafi e incisori di gemme. della Vanità. Nella pagina a è riflesso nella qualità artistica e multiformità degli E ancora, tra i molti capolavori in pietre incise, la sinistra, Vascello oggetti raccolti», osserva Sabine Haag nella prefaVenere con Cupido, di Giovanni Ambrogio Micentrotavola con automi (1585) e, in alto, zione al magnifico catalogo edito da Brändstatter. seroni (1600-1610), realizzata in un solo blocco di dipinto raffigurante gli Impossibile passare in rassegna gli innumerevoli calcedonio con tale maestria che la pietra preziosa Asburgo, protettori capolavori, che annoverano soprattutto opere di sembra quasi cambiare colore a seguire le curve ardelle Arti, con alcuni pezzi oreficeria, pietre incise, avori, bronzi, sculture in moniose di questo abbraccio. Prodigio di capacità delle loro collezioni, pietra e in legno, arazzi, orologi e automi. Tra le tecnica e di espressività poetica, uscito ancora una tengono in mano la Saliera del Cellini. opere più celebri e importanti della collezione anzivolta da mani italiane.
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di Ugo La Pietra
DAGLI ANNI 90, LA GALLERIA FONDATA DA NINA YASHAR A MILANO, È UN PUNTO DI RIFERIMENTO PER CHI AMA IL DESIGN STORICO, MA ANCHE PER CHI SEGUE L’EVOLUZIONE DI QUELLO CONTEMPORANEO A Milano, nella centrale via della Spiga, al numero 32, fin dal 1989 Nina Yashar presenta opere di eccezionale valore artistico e artigianale in un luogo raffinato cui ha dato il nome di Nilufar. Dalle prime collezioni di tappeti Kilim alle più recenti raccolte di oggetti di design storico (per esempio con la mostra Untitled del 2001 dedicata alla scuola dei razionalisti francesi Adnet, Leleu, Motte, Perriand e Prouvé), Nilufar si colloca ormai sempre più autorevolmente nel mercato nazionale e internazionale del design artistico in edizione unica o limitata. Il lavoro attento di Nina Yashar è sempre rivolto alla scoperta dei giacimenti storici di cui è ricco il secolo scorso. Con uno sguardo aperto, al di fuori e al di sopra delle etichette, capace di attraversare varie epoche e aree disciplinari dall’arte all’arte applicata, fino al design. Lo dimostrano
le proposte, a partire dal 2002, del lavoro di designer e artisti come Roger Tallon, Borsani, Aalto, Boyer, Buzzi, Mollino e Pergay, fino a far scoprire per la prima volta in Europa il lavoro di Paul Evans. Ormai già alla fine degli anni 90 la galleria ha conquistato un mercato sia attraverso il design storico sia per quanto riguarda l’evoluzione del design contemporaneo. Un mercato che secondo le recenti esperienze della galleria, presente alle manifestazioni internazionali più importanti (Basel e Miami), negli ultimi anni ha visto aumentare di cinque volte l’interesse nei confronti del design storico. Molto mercato, di fatto, si sta spostando dall’arte contemporanea a questo settore; ne è un esempio il crescente interesse per le opere di Gio Ponti. Nilufar però è anche impegnata, come si diceva, nel design contemporaneo, non solo proponendo designer affermati, ma an-
che dando spazio alle proposte di giovani autori, in alcuni casi in una vera e propria forma di mecenatismo esclusivo. Nilufar, sicuramente stimolata dalla città di Milano e da altre gallerie impegnate nello stesso tipo di attività, dimostra anche una notevole vitalità in progetti, edizioni e mostre, come le ultime proposte negli allestimenti di Basilea e nella galleria di via Spiga in occasione delle varie edizioni del Fuori salone. Non va dimenticato lo strumento che da un decennio esprime i caratteri, le scelte e l’immagine di Nilufar, ovvero i bellissimi cataloghi a cura dello studio Cerri. Si può dire che Nilufar non rappresenta ancora il nostro «sistema» di vendita a livello internazionale, ma sicuramente lo sta anticipando, cercando sempre nuove occasioni di scoperte e di interesse, proponendo oggetti storici e design contemporaneo, realizzando edizioni e valorizzando giovani talenti.
Nilufar: poetica Gli spazi della galleria Nilufar allestiti con mobili e oggetti di design storico e contemporaneo durante l’ultimo Salone del Mobile (2013). È il luogo all’interno del quale è costante il dialogo tra i designer più affermati e gli emergenti.
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Cattedrali del Vivere
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colta, visionaria Sopra, da sinistra, uno scorcio della galleria e l’allestimento realizzato all’ultima edizione di Art Basel, una delle piÚ importanti esposizioni internazionali di arte moderna e contemporanea. In alto, la vetrina della galleria Nilufar in via della Spiga 32 a Milano.
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COSTRUITO
NON IMBOTTITO di Francesca Sammartino - foto di Achim Hatzius
DANIEL HEER NON È SOLO MAESTRO DI ROSSHAARMATRATZE, I MATERASSI NOBILITATI DA CRINE DI CAVALLO, MA È ANCHE DESIGNER ILLUMINATO, CAPACE DI RINNOVARE IL MESTIERE DEI SUOI ANTENATI
TRADIZIONE CONTEMPORANEA Nel suo laboratorio in Rosa-Luxemburg-Strasse a Berlino, Daniel Heer realizza ancora i materassi Rosshaarmatratze come faceva il suo bisnonno ai primi del Novecento: utilizzando crine di cavallo intrecciato, lana vergine, punti cuciti a mano e tessuti preziosi.
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li è professore ordinario di Psicologia del ciclo di vita, direttrice Centro ricerche orientamento scolastico e professi e del Master “Relazione
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Ta l e n t i d a S c o p r i r e
Daniel Heer è il giovane erede di una famiglia che da quattro generazioni custodisce un’antica attività artigianale: la creazione dei prestigiosi materassi Rosshaarmatratze, fatti utilizzando il crine di cavallo. «Era il 1907 quando il mio bisnonno Benedikt Heer decise di aprire una selleria nella cittadina svizzera di Horw, sulle rive del lago di Lucerna. Quando i contadini venivano in città portavano i loro cavalli a ferrare dal fabbro e a noi consegnavano le selle e le briglie. A quei tempi la creazione e il commercio di materassi era un lavoro esercitato dal sellaio e che affondava le radici in quel mondo». Più di cent’anni dopo, l’abilità rimane la stessa ma viene trasferita nel laboratorio iper contemporaneo della Manufaktur Daniel Heer in RosaLuxemburg-Strasse, nel centro di Berlino. Attraverso l’uso di materiali sostenibili e una moderna sensibilità progettuale, Heer ha saputo conciliare e recuperare un mestiere antico, affiancando alla produzione classica originali pezzi di design. Il rapporto tradizione-innovazione è per Heer un punto di riflessione importante: «La discrepanza tra il passato e il futuro ritengo possa trovare una sintesi nel tempo presente. Ho riflettuto molto su questa relazione e su come avrei potuto portare un elemento classico come il materasso di crine di cavallo dentro la modernità. In termini di look e di tecnica artigianale non è cambiato molto dai primi tempi; ciò che considero la più grande innovazione è il modo in cui questi oggetti possono essere trasferiti in un nuovo contesto, come possono essere ridefiniti». Per raggiungere questo scopo, Heer gioca sull’uso di diversi materiali con i quali ricopre la superfi-
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Mi piace pensare che i nostri prodotti non siano solo funzionali, ma anche raffinati ed esclusivi
cie delle sue creazioni: soffici trame di cotone provenienti dall’Inghilterra, gabardine di lana dalla Danimarca, stoffe ispirate agli eleganti completi da uomo e persino pelle di cervo. «Questi tessuti permettono di esporre il materasso senza bisogno di copertura, così com’è. L’idea è che non sia solo un accessorio per la camera da letto, ma che sia bello ed esclusivo, oltre che funzionale». Il motto di Heer è: «Built, not stuffed» (costruito, non imbottito) a indicare la perizia artigianale con cui perpetua la memoria di antiche tecniche manuali. Dietro un materasso ci sono 19 ore di lavorazione, 15 chili di crine ottenuto
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da circa 40 cavalli e più di 1.000 punti cuciti a mano. Il crine di cavallo viene lavorato della filanda Toggenburger & Co. di Marthalen e composto in tre strati di circa due piedi di altezza. Questo materiale è noto per le sue proprietà di elasticità e morbidezza oltre che per l’impareggiabile capacità igroscopica, che permette cioè di assorbire l’umidità e la naturale traspirazione del corpo. Gli strati di crine intrecciato vengono poi ricoperti con lana di pecora vergine del sud della Francia e infine avvolti in tessuti scelti appositamente dal cliente su cui si procede con la cucitura manuale. Il prodotto finale è di tale qualità da essere il prediletto delle famiglie reali di Svezia e Inghilterra. Persino la Regina Elisabetta ha avuto modo di apprezzare i prestigiosi materassi Rosshaarmatratze, creati per l’occasione con un intreccio di crine di cavalli bianchi. Insieme alle realizzazioni tradizionali il catalogo offre pezzi dal design contemporaneo nei quali la riflessione sul potenziale estetico della struttura portante diventa esercizio di stile. Mirabili da questo punto di vista gli sgabelli in legno e pelle dove il reticolato della seduta non viene nascosto ma messo in evidenza e i componenti sono tenuti insieme senza l’uso di colle o chiodi. A questi si aggiungono anche la serie di tavoli e i cosiddetti Daybed ispirati a un nuovo concetto di riposo. Con le ultime realizzazioni Heer raggiunge la location esclusiva del nuovo negozio Mykita di New York, vetrina per i makers emergenti tedeschi, per il quale ha creato una linea di cuscini in pelle, rivelandosi tanto un custode della tradizione quanto un innovativo designer.
SINTESI DI MODERNITÀ E CLASSICITÀ Qui sopra, un Rosshaarmatratze finito, prodotto di tale qualità da essere il prediletto di alcune famiglie reali. Nella pagina a fianco, dall’alto in senso orario: tre fasi di lavorazione del cuoio per gli arredi e gli oggetti di design; la cucitura a mano di un materasso.
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n bene culturale come il mestiere d’arte non può essere portato alle stelle e poi abbandonato d’improvviso come è accaduto troppe volte. Ora non è più il tempo di «ripetere la storia», ma di credere nel cambiamento
CONOSCERE E AMARE L’AUTENTICITÀ
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Ricordo che qualche anno fa, a una cena di gala in occasione del Natale, si parlava di un grande mito della musica: Dame Shirley Bassey, la straordinaria interprete di Goldfinger e di tanti altri successi. Gli anni sono stati clementi con Dame Shirley: so che pochi anni fa, per esempio, ha inciso con il piglio e l’energia di sempre una nuova canzone, History repeating. Il testo dice, più o meno: pare che un grande cambiamento sia alle porte, che la rivoluzione sia vicina, ma a me sembra solo che tutto si ripeta. Ed è esattamente ciò che provo, molto spesso, nell’osservare come il mondo dei mestieri d’arte venga di volta in volta osannato, ripreso, incensato, per poi essere velocemente dimenticato nel momento in cui la tendenza si muove altrove: una storia che si ripete, insomma.Come altri hanno sostenuto, stiamo assistendo a un’interessante e anche positiva rinascita di interesse nei confronti del mondo dell’artigianato e dei mestieri d’arte. I marchi del lusso rivelano finalmente le mani e i volti dei loro artigiani, e insistono sul cuore «manuale» dei loro prodotti. I territori cercano di rilanciare le loro produzioni tradizionali. Regalare dolci «artigianali», ricercati e raffinati è di gran moda e di gran gusto. Il design riscopre i suoi punti di contatto con gli «artefici», gli stilisti si ripresentano come sarti, persino i politici attingono alla metafora del cacciavite e di altri oggetti di lavoro manuale per farci credere che stiano sistemando le cose. Insomma: dei mestieri d’arte
Ri-sguardo
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e dell’intelligenza della mano si fa un gran parlare. E se da tutte queste parole nascesse qualche atto concreto e duraturo, sarei davvero felice di poter riconoscere che siamo davvero di fronte a una rivoluzione. Ma sarà proprio così, oppure (come canta Dame Shirley) è solo «history repeating»? Sarebbe ingenuo credere che è tutto oro quel che luccica. E sarebbe forse svilente per il mondo dei mestieri d’arte, e per tutto l’impegno, il lavoro, l’eccellenza che rappresentano, identificare in queste attività una sorta di viatico che permette agilmente e senza fatica di uscire dalla crisi: i mestieri d’arte (lo abbiamo detto più volte) sono un bene culturale e un vantaggio competitivo, ma non basta parlarne per promuoverli, proteggerli, diffonderli. Occorre conoscerli e amarli: occorre comprendere che gli artigiani non sono divinità, ma sono interpreti, eccellenti artefici di progetti, e che i designer (o gli stilisti, o i creativi) non sono padreterni, ma sono professionisti che portano nel mondo una visione nuova. Occorre saper ristabilire dialoghi e competenze che non siano ciechi bagni di entusiasmo, ma attenti e autentici riconoscimenti di ruoli e di saperi. Occorre, in sostanza, porre in essere politiche di dialogo e di scambio che permettano a tutti di dare il meglio di se stessi: per crescere, per cambiare, per migliorare. Se quella dei makers sia una rivoluzione, se quella del «doit-yourself» sia una prospettiva inedita, se quella del mestiere d’arte come cuore del lusso sia una rivelazione inattesa, lo deciderà il tempo: ma quello che sappiamo, e che volgendo lo sguardo al passato possiamo dire di aver visto e vissuto, è che non è più tempo di ripetere la storia. Di portare alle stelle l’uomo artigiano per poi dimenticarselo, quando il mondo girerà altrove. Se la storia tende a ripetersi, modifichiamo la sceneggiatura: innerviamo la società con un cambiamento che sia autentico. E chissà che Dame Shirley non ci faccia un’altra canzone, questa volta con un testo più ottimista.
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L’arte della smaltatura è stata inventata quasi 4000 anni fa da artigiani orientali. Con la nascita dell’orologeria nel XVII secolo, Ginevra divenne la culla della smaltatura Grand Feu destinata alla decorazione di orologi. Ancora oggi Vacheron Constantin coltiva quest’arte antica e Servendosi di un pennello, lo smaltatore crea o riproduce fedelmente sul quadrante disegni o miniature. Esistono anche altre tecniche di smaltatura, come per esempio il cloisonnÊ, che consiste nell’utilizzare champlevÊ, che prevede che lo smalto venga applicato all’interno di incisioni precedentemente realizzate nella materia. La smaltatura è un mestiere d’arte che richiede conoscenze artistiche e tecniche
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