€ 1,50 Anno 2 Numero 4
aprile-maggio 2010
PERIODICO DI ARTE CULTURA SPETTACOLO
crust hc punk
crossover epic metal
Il Disagio
Chemical Marriage
Shardana
pittura
Manu Indeleleble Loredana Manunta
cultura
Sapori dal mondo
writing
ArtReport Periodico di arte cultura spettacolo - Musica • Arti visive • Danza • Cinema • Teatro • Letteratura • Tradizione
Periodico di arte cultura spettacolo
Musica • Arti visive • Danza • Tradizione • Teatro • Letteratura
Direttore Mario Rosas
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Redazione Bettina Camedda, Maria Grazia Marilotti Maria Letizia Mereu, Valerio Mereu, Roberto Pili Nicoletta Rosas, Andrea Zaccolo redazione@artreport.it
Collaboratori Alex Bboy, Anna Fabiana Boi, Marco Cabras Stefano Ferrari, Elettra Gaviano,Leandro Melis, Francesco Nonnoi, Stefano Obino, Alessio Piga Oreste Pili, Giacomo Pisano Anna Federica Toro, Giuseppe Ungari Grafica e impaginazione Valerio Mereu grafico@artreport.it
Segreteria Maria Francesca Anedda segreteria@artreport.it
Editore Bianca Maria Locci editore@artreport.it
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Stampa Publigrafic Via Morandi - 09134 Cagliari Tel. 070.506256 - 506266 - Fax 551298 In copertina Stranos Elementos by Agenzia RosasPress Registrazione presso il tribunale di Cagliari n° 7/09 del 23/04/2009 Tutti i diritti di riproduzione degli articoli pubblicati sono riservati. Manoscritti, disegni e fotografie non si restituiscono. Il loro invio implica il consenso dell’autore alla pubblicazione. È vietata la riproduzione anche parziale di testi, documenti e fotografie. La responsabilità dei testi e delle immagini pubblicate è imputata ai soli autori. L’editore dichiara di aver ottenuto l’autorizzazione alla pubblicazione dei dati riportati nella rivista. INFORMATIVA AI SENSI DEL CODICE IN MATERIA DI PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI Il decreto legislativo n. 196 del 30 giugno 2003 ha la finalità di garantire che il trattamento dei dati Vostri personali si svolga nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali e delle dignità delle persone, con particolare riferimento alla riservatezza e all’identità personale. Vi informiamo, ai sensi dell’art. 13 del Codice, che i dati personali da Voi forniti ovvero altrimenti acquisiti nell’ambito dell’attività da noi svolta, potranno formare oggetto di trattamento, per le finalità connesse all’esercizio della nostra attività. Per trattamento di dati personali si intende la loro raccolta, registrazione, organizzazione, conservazione, elaborazione, modificazione, selezione, estrazione, raffronto, utilizzo, diffusione, cancellazione, distribuzione, interconnessione e quant’altro sia utile per l’esecuzione del Servizio, compresa la combinazione di due o più di tali operazioni. Il trattamento dei Vostri dati per le finalità sopraindicate avrà luogo prevalentemente con modalità automatizzate ed informatiche, sempre nel rispetto delle regole di riservatezza e di sicurezza previste dalla legge, e con procedure idonee alla tutela delle stesse. Il titolare del trattamento dei dati personali è ArtReport, con sede in via dei Visconti 43/45 a Cagliari, nella persona del legale rappresentante; responsabili del trattamento sono i dipendenti e/o professionisti incaricati da ArtReport, i quali svolgono le suddette attività sotto la sua diretta supervisione e responsabilità. Il conferimento dei dati personale da parte Vostra è assolutamente facoltativo; tuttavia l’eventuale vostro rifiuto ci rende impossibile l’esecuzione di alcun adempimento contrattuale. I dati, o alcuni di essi, per i fini di cui dianzi, potranno essere comunicati a: - soggetti esterni che svolgano funzioni connesse e strumentali all’operatività del Servizio, come, a puro titolo esemplificativo, la gestione del sistema informatico, l’assistenza e consulenza in materia contabile, amministrativa, legale, tributaria e finanziaria; - soggetti cui la facoltà di accedere ai dati sia riconosciuta da disposizioni di legge o da ordini delle autorità.
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Editoriale di Mario Rosas
direttore artreport.it
Cari Lettori, come di consueto la redazione di ArtReport ha lavorato per proporvi, anche in questo numero, un variegato percorso alla scoperta dei più rappresentativi eventi culturali, animati da eclettici artisti o da semplici amanti del gusto. Danza, musica e spettacolo sono solo alcuni fra gli argomenti che abbiamo deciso di trattare, sullo sfondo dei quali si snoda il filo della tradizione. Il viaggio è intenso e ricco di scenari alternativi, basta indossare i pattini di Mau Roller per lasciarsi andare lungo percorsi fotografici del secolo andato e perdersi in visioni futuristiche di quello attuale. Dall’arte Informale di Loredana Manunta al writing del giovane Manu Indeleleble, la colonna sonora si estende in un’eterogenea miscela di suoni: dai Chemical Marriage a Il Disagio, passando per le sonorità afro di cui è portavoce la musica di Giorgio del Rio e della sua band. Pertanto vi offriamo l’invito a inoltrare la lettura, ricordandovi che ArtReport si pone al servizio del desiderio di conoscere, della curiosità che manda avanti la cultura, della ricerca volta a rendere visibile il tessuto artistico di cui si costituisce la nostra terra. Per proseguire nel nostro intento abbiamo bisogno di voi. Buona lettura a tutti!
Mario Rosas
Numero 4 aprile-maggio 2010
12 10 Sommario
8 K’e-k’e-m
La sfida alle leggi della fisica
10 Il disagio
La verve di un gruppo che suona il dissenso
12 Stranos Elementos
La verve di un gruppo che suona il dissenso
15 Shardana
L’epica che parla a suon di musica
18 Chemical Marriage
Matrimonio con la musica da cinema
20 Steampunk
Bulloni, valvole e vapore!
23 Manu Indeleleble
Intervista al giovane writer
26 Musica africana
Giorgio del Rio e la sua Band
35
Numero 4 aprile-maggio 2010
30 Passione Rollerblade
Mauro Seguro racconta la sua passione
35 99 click + 1
fotografie, storie d’incanti
38 Loredana Manunta Nei segni il mio alfabeto
40 Sa bonanima
Il debutto della Piccola Compagnia Anonima Teatro
41 Sandro Mascia
Un romanzo da bere
44 Poveri ma(il)belli
mostra internazionale di mailart
38
20
Rubriche Cultura Sapori dal mondo
32
Click Zone 33 Silvia Taddei
Parole a Fumetti 34 Tsutomu Nihei
La Pagina Di Saffo 42 Tsutomu
Lingua... in sardu 43 La Parola Ai Lettori 46
K’e-k’e-m
di Anna Federica Toro ph. ag.RosasPress
S
ono passati più di dieci anni da quando un manipolo di scapestrati teenager di Isili muoveva i primi passi sulla via del punk rock provando i pezzi all’oratorio del paese. Non ci volle molto perchè il prete li cacciasse via credendoli indemoniati. Ma i nostri non si sono mai persi d’animo e adesso i K’e-k’e-m sono diventati uno dei gruppi più dinamici e conosciuti della scena punk isolana. Sono qui con Leo, frontman e cantante-istrione di questa band da manicomio, attualmente formata da lui, Kike (basso), Cocco (batteria), Sergio e Marmo (chitarre). Un gruppo con oltre 10 anni di esperienza. Raccontaci un po’ l’evoluzione dei K’e-k’e-m. Leo: Abbiamo iniziato con uno scopo: scrivere canzonacce che parlassero del nostro paese, Isili, usando i soliti 3 accordi del punk. I primi anni cantavamo in italiano, ma ho scoperto presto che l’inglese, e soprattutto il sardo, si adattavano molto di più alla nostra musica. Che abbiamo definito meglio con il secondo album, Zilleri rock: puro rock’n roll un po’ alla Hellacopters e Gluecifer. Ma è con lo split in 7 pollici (fatto con gli svedesi Hathor), che c’è stata la svolta verso il “più che tirato”, tempo che ancora ci contraddistingue. Basta ascoltare il nostro ultimo cd uscito nel 2009, Wait! We’re late e ve ne renderete conto. Siamo sempre rimasti ai 3 accordi degli inizi, solo che ora li suoniamo un po’ meglio e più veloci! Alcuni vostri pezzi ricordano i Motorhead. Leo: Lo dicono in molti, anche se ultimamente la nostra grande ispirazione sono gli Zeke, di Seattle. Dei pazzi: canzoni tiratissime, con assoli missilistici! In realtà le nostre radici musicali sono vastissime, e io so solo che quando scrivo un pezzo mi devo aspettare che la batteria di Cocco lo porterà a velocità supersonica. Da quello
I K’e-k’e-m. Da sinistra: Kike - basso, cori. Sergio - chitarra, cori; Leo - voce, chitarra; Cocco - batteria, cori; Marmo - chitarra, cori.
La sfida alle leggi della fisica:
energia in generazione costante
non si scampa. Siete un gruppo che rende tantissimo in live. Avete suonato molto sia in Sardegna, sia fuori, come dimostra anche il vostro recentissimo W la merda tour nel nord Italia. Come fate? Leo: L’imperativo è sbattersi. Noi ci siamo sempre mossi da soli, senza aspettare che qualcuno organizzasse per noi, e senza aspettarci altro guadagno se non divertimento a pacchi. Inviti un gruppo da fuori, e in genere il gruppo di fuori ricambia. E poi per tre quattro giorni non fai altro che seguirli e suonare, caricare la macchina, fare km e km utilizzando tutti i giorni disponibili per rientrare nelle spese, anche se ovviamente ci si offre a vicenda vitto e alloggio. In pratica non intaschi un soldo, giri e suoni, ed è una gran figata! (Consiglio a questo proposito una visita al loro blog nel loro sito web in cui sono narrati alcuni inenarrabili episodi risalenti all’ultimo tour. Storie che voi umani...! ). Descrivi un vostro concerto, per chi non vi ha mai visti. Leo: Succede che noi saliamo sopra il palco...e parte il circo! Ci vuole la gabbia per le bestie feroci, perché quando suoniamo siamo un po’ scalmanati, a volte più del necessario. Uno magari può pensare che
siamo fatti o ubriachi, in realtà siamo fatti di voglia di suonare, e ci piazziamo sempre un bel casino. Poi succede anche che si beve, specie nelle rassegne con certe picchettate! Alla fine noi ci divertiamo e vogliamo che anche il pubblico si diverta, che ci siano dieci o mille persone. E però ci sono anche i progetti seri, come la vostra Zilleri records, una vera e propria etichetta discografica. Leo: Etichetta è un parolone! Funziona così: se abbiamo qualche soldo in più lo mettiamo a disposizione di un gruppo che sta facendo il disco. L’area è sempre quella del punk con tutte le sue diverse influenze. Il gruppo le mette in cassa e alla fine ti manda copie del prodotto a prezzo d’ingrosso. Che noi rivendiamo con l’etichetta. E come sta andando? Leo: Soldi non ne vedi neanche col binocolo, ma abbiamo creato una fantastica rete di idee e di amicizie. E soprattutto la musica gira, almeno quella che piace a noi e che non si trova facilmente nemmeno in mp3. Sotto la Zilleri records abbiamo gruppi grandissimi e cerchiamo di farli conoscere e di promuoverli perché, credimi, meritano tutti! www.birrabitui.altervista.org www.myspace.com/birrabitui
di Leandro Melis ph. Roberto Pili
Il Disagio: da sinistra, Andrea Disagio - batteria; Matteo “Il Baro” Carta - Basso; Alessio Pirina - chitarra; Stefano Total Dissent - voce; Dave chitarra.
S
ono tornati, dopo un lungo periodo di silenzio, i cagliaritani Il Disagio e son nuovamente pronti a urlare a squarciagola il loro dissenso a ciò che li circonda. Quello che loro stessi definivano caos è oggi diventato un massacrante mix di crust, hardcore e d-beat apprezzato da numerosissimi fans e da cultori del genere. Tra poco daranno alle stampe il loro primo disco Il prezzo dell’anima, aspettiamo con pazienza quel momento e lasciamo la parola a Stefano cantante e portavoce de Il disagio. Ragazzi, pare che abbiate finalmente trovato una formazione stabile, presentatevi ai lettori di ArtReport. Siamo Il Disagio, un gruppo nato in una buia notte dell’estate del duemilatre dalle menti di Daniele, chitarra, e Nicola Ciuffo, batteria. Poco dopo mi son aggiunto io alla voce. L’intento era quello di mettere in caos, non musica, tutto ciò che più ci faceva incazzare e di dare sfogo agli eccessi di Jack Daniel’s. Dopo svariati cambiamenti di ‘line up’ finalmente siamo arrivati ad avere una formazione valida e stabile dal febbraio dello scorso anno. Proponiamo un genere abbastanza raro in Sardegna, una miscela di punk, hardcore e crust, ma non abbiamo mai seguito uno ‘stile’ prestabilito. Molto spesso i nostri pezzi spaziano fra generi differenti, i testi hanno sempre parlato di collera e frustrazione, di rabbia e di miseria, di guerra e ingiustizia, di insurrezione e antagonismo. Insomma di tutto ciò che ci circonda in questa pseudo-società oppressiva. Naturalmente nascono da spunti di vita quotidiana malata, che questa Cagliari spesso e volentieri ci offre. Le tematiche sono sempre le stesse dagli albori. Evidentemente ancora oggi non ci siamo liberati da questo disagio. Rispetto al passato quali altri cambiamenti avete affrontato? In primis il nostro suono ha subito direttamente gli svariati cambiamenti di formazione, spaziando dal grind minimale, al punk alcoolico, dalla ‘line up’ a tre, iniziale, a oggi che abbiamo raggiunto la stabilità con Dave alla chitarra, Andrea alla batteria (ex Deadman,Nitrosomones, Full Of Hatred), Baro al basso (ex Nasty), Alessio alla chitarra (ex Pirina Scream) e io alla voce (ex Bornsick). L’attitudine di sempre, la voglia di suonare, di divertirci, di denunciare, non sono mai cambiati. Ci sono stati dei momenti di maggiore difficoltà nella vostra carriera? E quali sono stati i più floridi? Purtroppo abbiamo avuto dei periodi altalenanti, alcuni in cui siamo rimasti fermi anche per più di un anno, altri in cui non vivevamo se non per il gruppo. A volte abbiamo perso membri fondamentali e ricostruire è stato difficile (grazie a Dani, Nico, Pomo, Luca, Marco). Per fortuna o per testardaggine crediamo che i periodi più floridi stiano solo arrivando.
La vostra attività live è stata spesso altalenante soprattutto qui in Sardegna, come mai? Quando abbiamo iniziato i posti dove suonare in Sardegna non erano tanti, soprattutto a Cagliari e provincia. I locali non proponevano argomenti tanto compatibili alle nostre menti e quindi per parecchio tempo abbiamo suonato per lo più in festival e concerti autogestiti in luoghi estemporanei, ma di gran lunga soddisfacenti. La situazione nel tempo non è cambiata parecchio anche se si suona un po’di più perché qualche locale valido ha preso vita sia al nord che qui nel cagliaritano (Titty Twister, Devil’s kiss, Mabba, Vertigo, Woodstock a Carbonia, il giovanissimo La Queva). Avete però fatto spesso dei tour nella penisola e anche date nel resto dell’Europa, raccontateci qualcosa. Appunto sì, al contrario nella penisola ed in Europa siamo riusciti a muoverci sempre con una certa costanza grazie al supporto di amici e gruppi di conoscenti. Abbiamo girato quasi tutto lo stivale e ci siamo spinti fino in Germania. I nostri primi due concerti in assoluto furono a Berlino e Roma, in seguito, altre quattro volte siamo partiti per dei mini-tour nella penisola suonando con gruppi noti
La verve di un gruppo che suona il dissenso
della scena underground mondiale, tra cui Extreme Noise Terror, Driller Killer (con i quali abbiamo organizzato e diviso un tour in Italia nel Settembre 2009), Beyond Description, Robotnika e Dirty Power Game. Per supportare l’uscita del nostro imminente primo disco, partiremo questo Aprile per un tour di circa un mese che toccherà Germania, Polonia, Repubblica Ceca, Serbia e Croazia. A Maggio invece suoneremo a Roma con gli inglesi Raw Noise e contiamo di dividere un bel giretto anche con i cugini capitolini degli Tsubo in autunno. Infine stiamo pianificando per il 2011 un tour in Brasile, grazie al supporto dei nostri amici carioca Diskontroll. Quali sono le vostre influenze musicali? La maggior parte di noi è cresciuta con il punk inglese e italiano anni ottanta, quello di Impact, Wretched, Negazione, Peggio Punx, Chaos Uk, English Dogs. Gli altri invece sono venuti su a pane e Black Sabbath, Motorhead, Slayer e una buona dose di trash metal. Nel corso degli anni ci siamo appassionati al crust ed al d-beat, svedese e non, di gruppi come Anti Cimex, Driller Killer, Extreme Noise Terror, Disfear, Wolfbrigade, Skitsistem senza disdegnare anche la vena hardcore di S.o.D., D.r.I., Gang Green, Adolescents. Insomma siamo un bel pentolone di influenze,
non solo così estreme, d’altronde ci piace tanto anche il r’n’r, il rockabilly e lo pshycho. Basti pensare che giusto ora nel mio giradischi stanno suonando G.G. Allin e Jhonny Cash. Avete mai prodotto qualcosa? Nonostante avessimo fatto due registrazioni nel 2004 e nel 2007 i pezzi che ne sono usciti fuori non sono mai finiti su un disco vero e proprio. Abbiamo partecipato a varie compilations in Europa e in Sud America e con un pezzo cover dei Declino abbiamo partecipato anche ad un tributo al punk hc ’80 italiano, coprodotto da numerose etichette indipendenti italiane, senza tralasciare un live a Berlino autoprodotto e girato in alcune copie. Finalmente a breve usciremo con un promo di due pezzi e subito dopo con il nostro primo disco, Il prezzo dell’anima, composto da nove tracce nuove e vecchie, appena finito di mixare da Giampy Guttuso (Clonmacnoise, Gods of Gamble) su cui lavoravamo ormai da tempo. Contiamo per fine anno di volare in Svezia e registrare per il nuovo lavoro. Come promuovete la vostra musica? Sia io che Andrea portiamo avanti da parecchi anni delle etichette indipendenti di produzione e distribuzione di cd e vinili, la Total Dissent Autoproduzioni e la Insanity Records, attraverso le quali abbiamo stampato parecchi lavori di gruppi italiani e non. Proprio grazie a queste ‘due label’ abbiamo avuto la possibilità di entrare in contatto con tantissima gente e tantissime altre realtà, indipendenti e non, che ci supportano e che supportiamo, con cui abbiamo fatto scambi e collaborazioni. Ci affideremo a loro per diffondere il più possibile il nuovo disco. Naturalmente internet negli ultimi tempi ha raso al suolo completamente o quasi il problema della diffusione musicale data dalle distanze. Alcuni mezzi virtuali ben ponderati, fra i tanti social network vampireschi, sono davvero funzionali e ci permettono di far ascoltare in breve tempo i nuovi pezzi in tutto il mondo. Quali progetti avete per il futuro? A dir la verità siamo persone che vivono tantissimo alla giornata e non progettiamo a lunga distanza. Per ora siamo concentratissimi sull’uscita del disco che dovrebbe esser pronto in concomitanza del prossimo tour europeo ad aprile. Intanto continuiamo a fare pezzi nuovi e a cercare altre date live qui in Sardegna. Sicuramente non ci leveremo di torno ancora per un bel po’ di tempo! Salutate a modo vostro i lettori… Grazie a Leo e ad Art Report per l’opportunità di questa intervista.. Keep Crusting and Keep crushin’! Rotten Roll! www.punkrockers.com/Il_Disagio www.myspace.com/ildisagiohc
di Bettina Camedda ph. Roberto Pili
G
li Stranos Elementos nascono dalla necessità di esprimere in maniera concreta una scelta di vita condivisa da ogni componente del gruppo. Pur appartenendo a differenti generazioni ad accomunarli sono i punti fermi in cui si riconoscono, nonché la volontà di supportare la cultura della nostra terra e le problematiche con cui si scontra nella realtà di tutti i giorni. Diverse generazioni riunite in un unico progetto. Come nascono gli Stranos Elementos? Vi considerate una famiglia di “Strani elementi”? Siamo una composizione chimica conversa in un gruppo musicale, un progetto e una famiglia, visto e considerato che passiamo tanto tempo insieme condividendo ogni tipo di stato d’animo. Ci definiamo strani in quanto normali in una società alla sbando che gira a seconda di dove tira il vento, oggi stranezza è sinonimo di normalità, di coerenza. Bisogna scegliere a che livello stare, noi abbiamo scelto di partire dal sottoscala e di prendere e mantenere una posizione. Portiamo avanti delle idee dettate da delle scelte che possono essere più o meno condivisibili, questo nella stragrande maggioranza dei casi ci penalizza, ma alla fine quando ci si fa carico di determinate tematiche e argomenti, si è consapevoli di avere delle responsabilità e lo stare tra gli ‘esclusi’ è una grossa responsabilità. Resuggontu è il vostro secondo progetto. Rabbia e disapprovazione sono i sentimenti che lo caratterizzano oltre al forte legame con la nostra Isola. Ma perché l’idea di unire il portotorrese e il logudorese? L’uso del sardo nel comunicare non è un idea ma un’attitudine, ci sono sardi che tendono a considerarlo una lingua ‘grezza’, in alcuni casi ci si vergogna di parlarlo, noi sosteniamo che ci si deve mettere il problema di impararlo e capirlo o nella peggiore delle ipotesi come sta succedendo dalle nostre parti di salvaguardarlo. La scelta di unire il portotorrese e il logudorese è data dal fatto che proveniamo da zone differenti, mentre quella dell’utilizzarlo nei nostri testi, non è dettata tanto dal forte senso di appartenenza alla nostra terra, quanto semplicemente perché da sardi ci risulta del tutto naturale scriverlo e parlarlo. D’altronde ci sono esempi in Italia di gruppi che fanno rap nella loro lingua di origine, in napoletano come in salentino o ancora in calabrese come in siciliano, quindi perché non cantare nella lingua che utilizziamo ogni giorno a casa come in strada. «Di interessi a tasso zero - Italia e padroni Roma e ladroni - Furto con scasso - Parlano di occupazione - Ma dove cazzo è la direzione - Siamo in rotta di collisione»: pensate che la Sardegna sia veramente arrivata ad un punto di ‘non ritorno’ oppure è ancora in tempo per cambiare rotta? La frase è riferita alla situazione politica e sociale nella quale versa l’Italia e inevitabilmente la Sardegna, visto che c’è chi si ostina ancora a considerarla parte dello stivale. Riteniamo che la Sardegna abbia da sempre delle potenzialità enormi, e che da terra con cultura e tra-
dizione possa tranquillamente brillare di luce propria per trecentosessantacinque giorni l’anno e non solamente per la stagione estiva come continuano a farci credere. Hanno distrutto anni e anni di cultura sarda, hanno preso i pastori e gli agricoltori gli hanno svestiti delle loro abitudini gli hanno fatto indossare delle tute da operaio e gli hanno catapultati nelle fabbriche, ci hanno espropriato le terre e ne hanno fatto colonie industriali e militari, ci hanno ridotti in schiavitù. Sono ancora convinti che siamo gli indiani del terzo millennio, ridotti a essere rinchiusi in riserve da dove possono manovrarci a loro piacimento. Ma su questo iniziano a ricredersi e l’ondata repressiva alla quale quotidianamente siamo sottoposti ne è la prova. Se non ci si oppone, se non si manifesta il proprio dissenso in piazza come nella musica, non si può essere additati come i diretti responsabili dell’accaduto, e su questo lo stato italiano ci marcia, si sa. È chisthu lu sisthema. In Sardegna qualcosa si muove, c’è un risveglio, una nuova presa di coscienza, siamo in un momento decisionale per la nostra terra. Le nuove generazioni devono rimboccarsi le maniche e riappropriarsi di anni e anni di storia, e per far si che questo sia possibile dobbiamo essere noi sardi in quanto popolo a tracciare la rotta, remando anche controcorrente se è necessario, purché dietro ci sia un progetto collettivo, affinché si eviti la collisione. La vostra è una scelta coraggiosa: unire il rap a tematiche forti che si manifestano contro le dinamiche degli impianti per la raffinazione, basi e poligoni militari, e ora la minaccia delle centrali nucleari. Scrivete di «di lavoro si vive e si muore». Esiste un’alternativa e secondo voi i sardi vogliono veramente un cambiamento? Alternative ce ne sono tante, possiamo usufruire delle energie alternative visto che sole e vento non ci mancano, senza dover dipendere né dal carbone né dalle pseudo fonti assimilate (vedi Cip6) meglio noti come scarti di lavorazione, ne tanto meno dal nucleare. Molti sardi hanno paura, in tanti gridano al cambiamento, ma sono ancora pochi e poco coesi tra di loro, gli altri sono stati illusi e non riescono a prendere coscienza di quello che potrà accadere in un futuro non molto lontano perché attualmente si trovano con le pezze al culo e il problema più grande è quello di come arrivare a fine mese. Anche su questo versante si vivo-
STRANOS ELEMENTOS Gli Stranos Elementos da sinistra Zianu, Okio, Dj Ekl e Rd
no dei paradossi, da una parte le vedove degli operai morti alle quali sono stati negati gli indennizzi per la morte dei loro mariti che per una vita (per una vita, è proprio il caso di dirlo) hanno prestato servizio presso il petrolchimico, e dall’altra gli operai ancora “vivi” che spalleggiati dai sindacati italiani sono caduti nella trappola del lavoro sicuro, che oggi non ha nessuna prospettiva se non quella di assorbimento nella tanto sperata bonifica. Ormai è risaputo, all’interno delle raffinerie, degli impianti petrolchimici come nelle aree militari, più che vivere dal punto di vista lavorativo ci si ammala e si muore. Il lavoro nero e le morti bianche, piaghe ormai radicate nel territorio, sono un fattore che ritroviamo spesso nei vostri testi. Quanta colpa ha il governo regionale e la classe imprenditoriale? Nel titolo stesso del pezzo Mosthi bianchi, trabagliu nieddu (Morti bianche lavoro nero) abbiamo voluto giocare sull’uso della parole nero e bianco, che già di per sé implicano un netto contrasto, come per dire che quello delle morti sul lavoro è un argomento spinoso senza sfumature. Riutilizzando il termine ‘morti bianche’ per sottolineare l’uso improprio che quotidianamente ne fanno i giornali come se nessuno sia colpevole della morte sul posto di lavoro, consapevoli del fatto che sono veri e propri omicidi che non avvengono solamente nei cosidetti ‘lavoretti’ fatti in nero. Un esempio eclatante è quello del rogo della multinazionale tedesca Thyssen Krupp di Torino o in ambito locale uno degli ultimi è quello dei tre operai morti per asfissia durante la pulizia all’interno dei serbatoi della raffineria Saras di Sarroch. Le colpe se le distribuiscono equamente sia la classe imprenditoriale perché pur di mettere le mani su un appalto gioca al ribasso e per rientrare con i costi risparmiano sulla sicurezza e sulla qualità del materiale e dei lavoratori specie in periodo elettorale dove spesso gli imprenditori essendo anche politici per aumentare il bacino dei voti fanno lavorare cani e porci in posti dove è richiesta un minimo di esperienza, e poi ci sono le istituzioni che se decidessero di essere più attenti durante le gare d’appalto per determinati lavori e soprattutto mandassero più controlli, darebbero un grosso contributo alla riduzione delle morti sul lavoro. I lavoratori stessi non sono esenti da colpe, capita spesso di vedere DPI (dispositivi di protezione
individuale) appesi al chiodo in qualche angolo dello stabilimento. In Anti(S)cleru c’è un attacco diretto al Clero. La chiesa paragonata all’impero. Quanto è presente il potere del Clero in Sardegna e quanto peso ha nella società sarda? La chiesa è un vero e proprio impero basta vedere la sua struttura organizzativa piramidale, il che la dice lunga, in Sardegna come in Italia molte scelte politiche passano al vaglio del clero e questo ci fa capire il peso che la chiesa ha nella vita di tutti i giorni. La Sardegna è una terra ricca di feste e sagre paesane con fondamenti pagani che nel corso degli anni sono state inglobate da un certo tipo di conquista cristiana, anche se a livello popolare vengono vissute con tutt’altro spirito. Il vivere in un’isola lontani dagli occhi del clero, fa si che molti degli scandali riguardanti ad esempio la pedofilia, ci tocchino in percentuale bassissima. Oltretutto non dimentichiamo che lo Stato del Vaticano che da una parte si fa promotore di campagne missionarie in Africa. Dall’altra prende una netta posizione in merito alla piaga del virus dell’HIV, condannando l’uso del preservativo e predicando l’astinenza sessuale per sorvolare il problema mortalità. Cosa troviamo nel futuro degli Stranos Elementos? Tra i diversi progetti stiamo già lavorando al terzo album, anche se il secondo è fresco di produzione, gli stimoli e le idee non mancano. Stiamo pensando alla realizzazione di un nuovo videoclip giusto per tenere alta l’attenzione e poi vediamo come si evolverà la situazione. Per quanto riguarda il discorso collaborazione, usciremo sicuramente dai confini della Sardegna, dopo la bella esperienza fatta a febbraio al C.S.O.A. Forte Prenestino a Roma abbiamo avuto modo di conoscere gente molto in gamba con la quale abbiamo molti punti in comune, perciò approfondiremo questa esperienza appunto collaborando insieme. Per il resto siamo aperti a chiunque la pensi come noi e abbia il piacere e la voglia di accompagnarci nel nostro viaggio e come si suol dire: più siamo e meglio è. Comunque ci saranno delle sorprese dovete solo seguirci in rete. www.stranoselementos.com
di Anna Federica Toro ph. Ag RosasPress
H
anno suonato spesso quest’anno, portando sulle spiagge del Poetto o in diversi paesi della Sardegna il loro epic metal energico, divertente e aggressivo. Adesso stanno completando la loro primissima demo che dovrebbe vedere la luce entro la fine del 2009. Tra le più interessanti novità nel panorama musicale sardo, gli Shardana sono una giovane band formatasi nell’aprile del 2008 da un’idea di Fabrizio Pinna (chitarra ritmica e seconde voci) e Daniele Manca (chitarra solista e voci) a cui hanno aderito con entusiasmo il batterista Matteo Sulis e il cantante e bassista Aaron Tolu. Che effetto fa suonare un tipo di musica che ricorda le foreste innevate del nord Europa, guerre e combattimenti vichinghi, in un’isola come la Sardegna? In realtà la Sardegna è una terra epica di prim’ordine! La sua aura di mistero e magia si sposa perfettamente con le nostre canzoni, in cui cerchiamo di trasmettere sentimenti come la rabbia, la voglia di non arrendersi mai di fronte a nulla e di combattere, sia in senso letterale che in senso più figurato. E poi pensa al nome del nostro gruppo: gli Shardana, nell’immaginario collettivo, rappresentano praticamente i “vichinghi” sardi. Esperti navigatori, possenti (forse non proprio altissimi!) e tenaci combattenti che però non si sa se siano realmente esistiti così come pensiamo oggi. Un popolo del mare apparso nel mediterraneo millenni fa e sparito chissà dove. Più epico di così!
Da qui a far diventare la Sardegna l’ambientazione principale dei vostri testi il passo è stato breve. Esatto, anche perchè la nostra terra è stracolma di storie e misteri da raccontare. Inoltre la maggior parte dei nostri testi sono in sardo, scritti tutti da Aaron. All’attivo abbiamo otto canzoni nostre, che trattano tematiche differenti, dagli eventi storici reali, come Sa Battalla, sulla famosa Battaglia di Sanluri, o appunto leggende come Sa sedda e Su Diaulu. Sardegna non solo nei testi ma anche nella musica stessa. Ho ascoltato “di nascosto” un assaggio della vostra demo: l’intro di launeddas, unito alle chitarre elettriche e alla batteria col doppio pedale, è emozionante. Le nostre influenze vanno dal trash metal americano al power metal teutonico, fino al viking e al black metal. Ma in sostanza l’obiettivo degli Shardana è cercare di fondere il metal, la musica che amiamo, con la tradizione musicale della nostra terra natale. E questo è possibile grazie alla espressività del genere metal stesso, in quanto libero e ribelle per definizione. Anche il vostro look sul palco rispecchia il vostro amore per questa musica? Certo, il look è fondamentale per il messaggio che una band vuole trasmettere. Ma quello degli Shardana è più un “non look”, nel senso che ci vestiamo così anche quando usciamo la sera con gli amici. Poi c’è Aaron che ama indossare magliette “particolari” (come la 1UP o quella di Space Invaders) e questo è anche un modo per dire: «Attenzione gente: qui non ci
Il nostro obiettivo è cercare di fondere il metal con la tradizione musicale della nostra terra
si prende troppo sul serio, si sta suonando e ci si sta divertendo!». Come vedete la scena live isolana? Caotica, aggressiva, e sempre in fermento! Anche se il numero limitato di posti in cui si può suonare ogni tanto la avvelena un po’. Ma non mancano le belle situazioni, pensiamo a festival come l’Ovodstock nel 2008 o il Rock and Rozz di Uta di quest’anno: tanti gruppi, palchi grandi e organizzati, oltre che un’atmosfera di festa e allegria. Per noi la condivisione della musica è importantissima: non solo farsi sentire, dunque, ma anche ascoltare gli altri. E noi quando potremo riascoltarvi dal vivo? In realtà adesso dobbiamo pensare solo a finire la demo, che conterrà cinque pezzi nostri. Dato che siamo un gruppo giovane, abbiamo optato per registrare tutto da noi, ma siamo sicuri che il risultato finale non vi deluderà. Alla fine di questo parto plurigemellare, saremo pronti per nuovi bellissimi concerti! www.myspace.com/shardanametal
In primo piano Aaron Tolu “Enharioth” - voce e basso Alle sue spalle Daniele “Danibag” - chitarra Matteo Sulis “Matteo _Hit”- batteria Fabrizio Pinna “BlackBeast”- chitarra
1960-2010
mezzo secolo di affidabilità e passione: il lungo percorso di
Fernando Dal Maso (terzo da sinistra) posa con una band degli anni sessanta.
A
lla base della vincente filosofia aziendale i cinquantanni di esperienza, in cui la passione si è tramandata di padre in figlio. Era il 1960 quando Fernando Dal Maso, spinto dal profondo amore per la musica, decise di aprire il primo negozio interamente destinato alla nobile arte del pentagramma, rivelando presto le fortunate sorti di un’attività, la cui crescita è garanzia di contenuti e finalità sempre nuovi. Da allora Fernando Dal Maso, con i suoi figli, si impegna non solo a perpetuare ed estendere l’azienda di strumenti musicali, ma soprattutto a trasmettere il valore di fare musica, sostenendo con risorse e investimenti la realizzazione di concorsi, concerti e festival musicali. Il loro motto è «fare musica fa bene alla vita e lo puoi fare per tutta la vita». L’azienda con i suoi 50 anni di esperienza, maturati nell’affascinante universo musicale,
un’azienda leader nel settore musicale offre una serie di innegabili benefici: Primo fra tutti la vocazione alla massima qualità ed efficienza, un’organizzazione snella e flessibile che si avvale del dinamismo e delle capacità di uno staff di persone giovani e preparate. L’elevato livello di assistenza tecnica, il costante aggiornamento sulla conoscenza dei prodotti, la partecipazione a seminari e la regolare frequentazione a fiere del settore, sia nazionali che internazionali, per proporsi con iniziative promozionali sempre all’avanguardia. L’inclinazione per l’innovazione ha reso possibile la realizzazione di un proprio sito internet che da alcuni anni ha consentito la conquista di clienti in tutto il territorio italiano. Oggi l’azienda opera in una struttura di 2000 mq tra sale espositive, sala prove, laboratori, uffici e magazzini annoverando fra la propria clientela i maggiori enti e istituzioni musicali dell’Isola, oltre che artisti, professionisti e appassionati. Dal Maso rappresenta in Sardegna il punto di riferimento per chi ama la musica, per chi la fa, e per chi desidera entrare nel magico universo delle note.
MESSAGGIO PROMOZIONALE
50Anni
cHemicAl mArriaGe
Matrimonio con la
musica da cinema di Fabiana Boi ph. Roberto Pili
E
terogeneità. È quella che ricercano i Chemical Marriage, un’eclettica band crossover, che in appena un biennio è riuscita a farsi conoscere e a suonare tanto dal vivo, sia in Sardegna che altrove, in trasferta anche a Bologna e Faenza. Dopo la pubblicazione di un EP è in elaborazione il successivo lavoro. Abbiamo fatto una chiacchierata con Giacomo, batterista e co-fondatore della band, e Marco, chitarrista.
Vi siete presentati come band anomala nel panorama sardo, lontana dall’attuale ondata indie e garage, date vita a una vera e propria commistione di generi. A Dicembre avete pubblicato il vostro demo, Just a taste, come è stato recepito? G.: Abbiamo venduto più copie dopo i live che nei negozi in cui l’abbiamo proposto. Magari su siti come iTunes, con un’apertura europea, potremmo vendere bene. Anche se il nostro è un genere piuttosto di nicchia abbiamo ricevuto apprezzamenti in particolare per Videodrome, uno dei pezzi di maggior impatto. Non me lo sarei mai aspettato. State ideando un nuovo lavoro, in cosa differirà dal precedente? M.: Prima gli strumenti suonavano spesso tutti insieme, le sonorità erano più metal, ora le chitarre hanno preso una deriva più stoner, i suoni sono più asciutti, stiamo lavorando sulla sottrazione, sulle ritmiche, basso e chitarre coprono spesso le stesse frequenze. Inseriremo una componente elettronica, con un uso mirato delle tastiere. Meno Faith No More e più Il teatro degli orrori, che ci piacciono moltissimo. Ci saranno molto anche i The Melvins, è un di-
I fondatori del gruppo: Andrea Schirru e Giacomo Salis
sco più oscuro, più cupo. La vostra musica si presta a diversi ambiti, avete mai pensato di musicare un cortometraggio? G.: Ci piacerebbe lavorare proprio per il cinema, per il teatro, trasversalmente, avere un progetto di band più aperto. Avevamo iniziato a lavorare su un reading, con estratti da American Psycho, elaborato quasi un’ora di musiche, ma poi il progetto è stato congelato. Alcune bands isolane stanno emigrando, voi come la pensate al proposito? M.: Al momento restiamo qui. Fuori Sardegna si ha fisicamente accesso a tutta una serie di contatti ed è brutto da dire, ma il successo a volte è dato da chi ti propone. Capita di sentire bands non sarde molto blasonate dal vivo e rendersi conto che realtà come Vanvera (cantautore di Villacidro n.d.r.) sono nettamente superiori. La Sardegna è bella, ma restare qui significa restare un po’ sommersi. Formazione: Giulio Muscas - voce; Marco Garau chitarre; Andrea Schirru - tastiere; Andrea Laconi - basso; Giacomo Salis - batteria.
www.myspace.com/chemicalmarriagecrew
Bulloni, e Vapore! di Fabiana Boi ph. Roberto Pili e Valerio Mereu
I
mmaginiamo un paradosso temporale: siamo nell’Ottocento vittoriano, la tecnologia è analoga a quella odierna, ma alimentata a vapore! Tessuti broccati e velluto si combinano con ingranaggi e automatismi, gli arti meccanici diventano un utile accessorio, senza rinunciare all’eleganza. E’ questa l’ambientazione Steampunk, espressione del filone di narrazione fantascientifica che dagli anni ottanta del Novecento gode di grande popolarità. Uscendo spesso dai libri in cui è nata per approdare al cinema, alle conventions di giocatori di ruolo, cosplayers, e non solo. Il 19 febbraio 2010 lo Steampunk è approdato anche a Cagliari, con una serata a tema organizzata da Claudio Kalb e Marco Dessì, al Bodie Art, ospitata da Marco Cabras, proprietario e gestore del locale. Dopo uno smilzo pre-raduno in occasione del Giocomix il 13 Febbraio al Lazzaretto di Cagliari, una serata satolla di partecipanti in costume, abiti fantasiosi e tutti diversi. Un successo, che speriamo si possa ripetere presto. Se non siete stati della compagnia e siete curiosi, se vi siete divertiti alla serata, gli organizzatori hanno messo su un blog: http://crononauti.wordpress. com/, e un gruppo su Facebook: Crononauti - Sardinian Steampunk. Per ulteriori informazioni sullo Steampunk consultate Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/steampunk.
Per ulteriori informazioni sullo Steampunk consultate Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/ steampunk Bibliografia consigliata: La macchina del tempo (The Time Machine, 1895) di H.G. Wells; La macchina della realtà (The Difference Engine, 1990) di William Gibson e Bruce Sterling; La serie a fumetti di Alan Moore e Kevin O’Neill, La lega degli straordinari gentlemen (The League of Extraordinary Gentlemen, 1999). Filmografia consigliata: Steamboy, di Katsuhiro Otomo (http://it.wikipedia.org/wiki/ Steamboy ).
Inter vista
Manu Indeleleble
a
di Bettina Camedda Ph. Roberto Pili
H
a solo sedici anni eppure i suoi lavori sono un concentrato di genialità, passione e soprattutto determinazione. Tratti caratteristici del suo temperamento che si imprimono nei suoi disegni e tra le linee nere di una maschera bianca, quasi come un marchio. Un marchio con su scritto un nome: Manu Indeleleble. Così giovane ma già parte attiva dello scenario artistico urbano cagliaritano. Cosa ti ha spinto nella direzione del writing? Credo di avere la passione per il disegno da quando sono nato! Ho conosciuto il writing alle elementari grazie a un amico, anche se è solo più tardi che ho iniziato a produrre veramente. Poi grazie alla mia determinazione, ad alcuni avvenimenti e alla passione, che non si è mai spenta, ho scelto di continuare questa strada perché mi ci trovo bene e la trovo parallela a ciò che mi piace fare, ossia esprimere i sentimenti e le emozioni tramite quello che creo. Quanto è difficile per un giovane artista entrare a far parte del mondo dell’arte? La tua età è stata mai considerata un fattore discriminante da altri artisti e writers? La strada dell’arte per un artista molto giovane è tutta in salita, dipende se ci si sa muovere. Conta la voglia di fare e quanto si è testardi, esattamente come in ogni lavoro che si sceglie di fare. Discriminato? Forse sì, ma penso più per invidia! Riguardo l’età, sono ancora molto piccolo per quello che faccio ma non ho mai incontrato nessuno che mi discriminasse per questo. Definirti solo un writer è limitativo: la tua arte spazia dalla scultura alla rappresentazione pittorica. Come riesci a conciliare queste passioni? Non mi considero un writer, il mio orientamento è più vicino alla street art anche se odio le classificazioni. Per quanto riguarda il mio stile polimorfo, credo che ogni artista completo debba riuscire a cavarsela con qualsiasi materiale e debba saper utilizzare sempre tecniche diverse. Trovo una affinità assoluta tra scultura pittura ma anche video o fotografia, writing e street art. I puppets che disegni hanno stile e originalità. C’è stata una evoluzione dalla loro forma primitiva fino a quella attuale? Certo che c’è stata, parallelamente alla mia vita e alle mie esperienze, grazie alle contaminazioni di stili delle persone che mi stanno attorno ma soprattutto per i vari disegni che ho avuto modo di fare in giro per la Sardegna. Il tuo nome può essere associato ad una maschera particolare, che spesso indossi e che hai realizzato con le tue mani. Qual è il preciso
Manu Indeleleble e tre delle sue opere: un pezzo composto a orosei, Monakanisy e Ragnarok.
significato? Questa maschera ha un significato profondo, molto personale: lo stesso messaggio che cerco di esplicare nei disegni in strada. È formata da linee completamente dritte che rispecchiano la mia determinazione e prende spunto dai miei personaggi, tutti diversi tra loro ma con in comune la mia impronta e la mia caratteristica fondamentale ‘il folgo’. Progetti futuri? Sto frequentando l’ultimo anno del liceo artistico. Poi mi piacerebbe ampliare la mia esperienza viaggiando e facendomi conoscere. A breve farò una mostra personale, dove esporrò gran parte dei miei lavori. La chiamerò Infiammazioni Oculari in riferimento al significato della mia maschera. La mostra ospiterà anche il ‘cinema di strada’ documentato dai cortometraggi Pig Loose. A breve proverò a realizzare un sito internet, per ora mi accontento del mio MySpace (MySpace.com/indeleleble) dove è possibile vedere tutti i lavori selezionati. www.myspace.com/indeleleble
Graffito eseguito per ArtReport da WAVE a Monte Petrosu (OT) pi첫 in basso le varie fasi della realizzazione
Dedica il tuo graffito ad ArtReport
Proponi il tuo pezzo alla rivista inviando bozza e dati (nome e numero di telefono) a: redazione@artreport.it. Le fasi della realizzazione verranno seguiti dai nostri fotografi.
Quando la musica
africana incontra l’isola
sarda di Bianca Maria Locci e Maria Letizia Mereu ph. Ag. RosasPress
A
frica, terra di tramonti infuocati e albe spettacolari, dove nel cielo immenso le luci delle stelle brillano come in nessun’altra parte del mondo, e sconfinate distese di terra si alternano in attraenti savane e abbaglianti deserti di sabbia. Nella terra dell’ebano e dell’avorio sono ancora tanti i luoghi in cui il tempo trascorre lento e la vita è scandita dal ritmo del sole, in un naturale miracolo che preserva la bellezza nel suo fascino più autentico. Al giungere della sera i villaggi si tingono di vermiglio, e la luce del fuoco in un aria espansa di odori raccoglie voci di uomini e donne di statuaria bellezza, fasciati nel vivace colore degli abiti, uniti nel danzare il proprio privilegio di grazia corporea al seducente ritmo dei tamburi. In questo continente, secondo al mondo per estensione e numero di abitanti, musica e danza sono elementi centrali della cultura, ogni grande evento della vita, dalla nascita alla morte, dai grandi riti di passaggio alle attività quotidiane, politiche e religiose è accompagnato da diversi repertori musicali, a seconda dell’etnia in questione. La ragione di tale importanza risiede nel fatto che canto musica e danza rivestono una funzione sociale di estremo rilievo, il loro valore è nel farsi veicolo e strumento della memoria collettiva, nell’agire in sincronia (diversamente da quanto accade nelle culture propriamente occidentali), quasi fossero l’uno estensione dell’altra, e insieme un unico portavoce dei desideri e dei valori della comunità stessa. Attraverso l’arte del movimento e le percussioni si instaura un legame comunicativo non verbale, fra danzatore e musicista nasce un linguaggio fàtico,
e l’apparente naturalezza di queste performance crea l’impressione di un dialogo estemporaneo. È attraverso il ritmo, in queste suggestive atmosfere, che l’anima è liberata al pellegrinaggio dell’infinito, e nella ricerca di sé recupera la capacità di trovare le proprie radici. Africa, nome dalla variegata etimologia, è infatti il misterioso e selvaggio luogo in cui sono state reperite le prime tracce della comparsa dell’uomo sulla terra, per questo detta continente degli Afri, le genti stanziate intorno a Cartagine, dalle quali discenderebbe l’etimo fenicio afer; Africa però può voler dire anche polvere, da ifran, parola berbera che significa grotta, o essere identificata, ancora, per la sua caratteristica geografica e quindi aprica, bagnata dal sole, secondo l’etimologia latina. Certo è che la musica dell’Africa nella sua eterogeneità, vista l’immensa varietà etnica e culturale del continente, ristabilisce nella poliritmia un nesso comune alle diverse espressioni musicali, vale a dire si ritrova nella capacità di sviluppare e mantenere più ritmi in contemporanea, senza che vi sia prevaricazione di un ritmo sull’altro. La musica viene trasmessa il più delle volte per via orale, ragion per cui è arduo reperirne la trascrizione in spartito; in conseguenza a ciò diventa parte integrante della comunicazione diretta, in relazione all’improvvisazione, a cui è data funzione di forte rilievo. Nella scuola Afrodanza di Cagliari si porta avanti il progetto di tenere viva e unita la triplice componente espressiva, individuando nella compartecipazione dei maestri, specializzati nelle diverse discipline, il tentativo di restare quanto mai fedeli alla cultura emotiva del popolo africano. Il maestro Giorgio del Rio desidera che gli artisti indigeni siano di casa nella scuola in cui si aspira a conoscere e apprendere il ritmo travolgente delle percussioni, in unione a mu-
sica e danza. A sostenere tale esperimento sono state le convincenti esperienze: ospitato più volte in terra d’Africa, Giorgio del Rio ha saggiato da vicino il potere seduttivo delle percussioni, studiandole in qualità di professionista e apprezzandone le peculiarità tanto da decidere di importare in Sardegna un modulo didattico-espressivo strettamente vicino a quello acquisito. Dopo aver condiviso con Arturo Cherchi l’idea di costituire un gruppo musicale, influenzato dall’ascolto dei balletti nazionali del Senegal, Giorgio ha conosciuto i maestri di percussione più rappresentativi dello scenario musicale afro e afrocubano. A tutt’oggi la composizione del gruppo consta di sei elementi stabili (oltre ai già citati Giorgio e Arturo, Davide Madeddu, Andrea Alberton, Pap Thiam, Samantha Ancis), a cui si aggiungono di volta in volta preziosi cameo di danzatori o musicisti. Nella scuola di Afrodanza è possibile incontrare il ballerino Abdullay Bayfall, la cui tecnica e bravura sono ormai note ai frequentatori del genere, benché dalle sue esibizioni scaturisca sempre un inedito complesso di emozioni. Che cosa accomuna dunque il rapporto fra musica e danza in individui appartenenti alla cultura sarda come a quella africana? Con ogni evenienza la risposta ha radici lontane, per meglio dire rintracciabili nel comunitarismo che fa da sfondo all’espressività di quei popoli la cui società individua come valori supremi il riconoscimento della comune identità, la ricerca del bene collettivo, la comunione di storia e tradizione. Del resto, come afferma sensatamente il maestro Giorgio del Rio, alle persone basterebbe davvero poco per vivere bene, per sconfiggere molte delle insoddisfazioni presenti in questo mondo occidentale, ormai divorato dal consumismo e artefice dell’individualismo più sfrenato. Forse un’ora di danza o semplicemente un’ora di curiosità verso culture differenti, forse l’umiltà per capire che gli uomini hanno tutti la medesima necessità di trovare il proprio equilibrio o forse ammettere che cercare di trovarlo nella condivisione può essere la giusta risposta per divertirsi tanto col corpo quanto con la mente.
Passione Rollerblade
di Bettina Camedda ph.Roberto Pili
L
a sua professione è vigile del fuoco. Nulla di strano dunque se nella vita di tutti i giorni, Mauro Seguro, ventiquattrenne, ami il rischio…ma con le dovute precauzioni. Mauro diventa così Mau Roller. Segni particolari: intrepida passione per i rollerblade.
Mauro quando è nata la passione per i roller? Nasce nel lontano 2001. In teoria dovevo iniziare a skatare ma non avevo i soldi per la tavola, così mentre mettevo da parte i soldi necessari decisi di intrattenermi con i pattini. Poco dopo ho capito che era quello il mio sport e con quei soldi mi comprai un paio di pattini. Il pattinaggio freestyle è considerato uno stile di vita che spesso si associa ad altre realtà come lo skateboard, la breakdance e il BMX, anche per te è cosi? Questo filo conduttore tra le diverse discipline è presente anche in Sardegna? Sì, anche per me pattinare è uno stile di vita. I pattini mi hanno salvato da tantissime cose, inoltre mi hanno dato la possibilità di conoscere tantissime persone. Negli anni ho imparato che non importa se cadi, l’importante e rialzarsi e ritentare. Se vuoi fare una cosa, con i pattini così come nella vita, la puoi fare, basta metterci la testa ed il cuore. Per il resto qui in Sardegna come nel mondo, skate, roller e Bmx sono sport diversi tra loro ma tutti bellissimi, legati alla vita di strada, dalla
voglia di adrenalina e dalla necessità di superare i propri limiti. Ci sono delle persone o dei talenti che hanno influenzato la tua crescita? Ho iniziato grazie a mio cugino Luca. È stato lui a farmi conoscere il mondo dello skate portandomi al ‘pistino’ con lui. Poi ho avuto diversi ‘maestri’ e persone a cui mi ispiravo come Sbiru, Bibi, Sismo e Matteo. In realtà ho sempre cercato di apprendere un po’ da tutti ma sono soprattutto autodidatta. Me la sono vista da solo: non sempre c’era qualcuno più forte da cui apprendere e dovevo basarmi solo sui video e sulle mie forze. Devo però ringraziare il mio amico Riccardo, che mi segue in questo sport da sempre e Tania, che mi è stata sempre vicina e come diciamo in gergo mi ha sponsorizzato diverse volte. Questa disciplina è caratterizzata da una serie di tecniche e numerose figure: tu quale preferisci? Nell’aggressive c’è chi va sull’‘half’ e fa ‘vert’, c’e chi va in skatepark e fa ‘park’ e c’e chi va in strada facendo ‘street’. Io faccio street, cioè vado nei posti non convenzionali come gradini, passamani, muri ecc. Mi piacerebbe andare in un park ma qua a Cagliari il concetto di skatepark non esiste. Che tipo di attrezzatura utilizzi? Principalmente il pattino che è composto dal boot, ovvero la scarpa; le plate, che sono quelle che ti permettono di grindare; ed i carrelli con le ruote. Tutte queste parti sono diverse da casa a casa. Consiglio però sempre l’uso delle protezioni, almeno le ginocchiere. Fare queste cose in sicurezza è la cosa migliore. Hai già partecipato a qualche Contest? E di solito dove ti eserciti? Ho partecipato a diversi Italian Roller League a San Marino e a Sestri Levante, tutte dentro uno skatepark. mentre quando sono a Cagliari per pattinare vado quasi unicamente in street, posti come il bastione San Lucifero, le Scalinate di S.Caterina, insomma ovunque ci sia un passamano, un muro o dei gradini! Che musica troviamo nel lettore Mp3 di Mau Roller ? La mia musica è mista, dal Punk al Rap, dal Rock a D’n’b, reggae, reggeton: mi piace tutta. Per pattinare però ascolto solo le canzoni che mi caricano particolarmente. In ultimo, cosa vuoi dire ai giovani che si affacciano al mondo del pattinaggio freestyle aggressive? Questo è uno sport che ti fa sentire libero, non dipendi ad esempio da un skate, che a me come sport piace, ma limita. Con i pattini invece muovi tutto il corpo e hai la possibilità di fare cose molto più grandi, sempre se lo vuoi. Spero che un domani aumenti la scena dell’aggressive perchè è un sport bellissimo che può offrire tante soddisfazioni ed emozioni che ti fanno sentire davvero vivo. E chiunque voglia iniziare, se ha bisogno di consigli, pareri, mi contatti pure.
I rollerblade nascono negli Stati Uniti nel 1980 da un’idea dei fratelli Olson che realizzano un pattino in linea con materiali innovativi, per consentire agli atleti di Hokey di allenarsi anche senza ghiaccio. A metà degli anni Ottanta la Rollerblade ha diffuso la cultura del pattino in linea. In diversi anni, grazie soprattutto alla pubblicità e all’organizzazione di diversi contest, il mondo dei Roller è cresciuto di popolarità. Ma è sopratutto negli anni Novanta che i pattini a rotella escono dal vincolo sportivo per espandersi nella realtà quotidiana.
Sapori dal mondo di Bettina Camedda ph.Roberto Pili
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e vie del gusto conducono a mete inaspettate quando più culture si fondono tra loro, lasciando inalterate le caratteristiche dei piatti tipici di ogni luogo. I sapori forti, speziati, che ricordano antiche fiabe orientali e magie di mondi lontani sposano quelli nostrani. E il sapore ha così un gusto unico. Accade a Vallermosa, paese di circa 2000 abitanti, dove nel mese di Dicembre si tiene Sapori dal Mondo, manifestazione organizzata dall’Associazione culturale Sold Out che propone un’esposizione dei piatti tipici degli immigrati che risiedono nel paese, e degustazioni con dibattiti e mostre. Un’iniziativa originale con un obiettivo: favorire l’integrazione tra più culture. Ne parliamo con Angelo Montis, vice presidente della associazione Sold Out. Ormai giunta alla seconda edizione, Sapori dal mondo si è rivelata un grande successo. Vi aspettavate una partecipazione così ampia? Ci speravamo e abbiamo lavorato molto perché la manifestazione fosse pubblicizzata anche nell’hinterland. Sapori dal mondo è nata per promuovere l’integrazione degli immigrati di Vallermosa ma l’obiettivo è quello di farla crescere e renderla un punto di incontro tra chi sceglie di vivere nella nostra terra e noi che ci viviamo da sempre. L’integrazione è un processo bilaterale dove la parola chiave è conoscersi a vicenda. Quale miglior modo del mangiare insieme per iniziare a conoscersi? Come è nata l’idea di organizzare una manifestazione gastronomica un po’ “fuori” dagli schemi tradizionali? È un dato di fatto che a Vallermosa risiedano moltissime persone provenienti dall’estero così come è una realtà che alcuni di loro, soprattutto quelli provenienti dai posti più lontani, vivano il paese in maniera molto marginale. Di conseguenza c’era la necessità di dare uno stimolo, una spinta all’integrazione coinvolgendo direttamente gli immigrati in un evento che li vede protagonisti. Come si è evoluto il processo di integrazione? Inizialmente alcuni immigrati vivevano il paese in maniera molto marginale. Li si vedeva per le strade pochissime volte e mai a scambiare due chiacchiere con qualcuno. Ora invece, dopo due anni dalla priAlcune immagini della seconda edizione Sapori dal Mondo che si è tenuta a Vallermosa
ma edizione di Sapori dal Mondo, oltre ad incontrarsi più spesso, ci si saluta, e non è difficile scambiare due parole. Posso affermarlo per esperienza personale. Grazie al vostro lavoro, l’integrazione è diventata un processo meno invasivo. Come è stato accolto dall’amministrazione comunale e dalle istituzioni? Molto bene! Fin dalla prima edizione il nostro progetto è stato sposato dall’ amministrazione comunale e successivamente dalla provincia di Cagliari. “Sapori dal mondo” è una delle tante iniziative dell’associazione Sold-Out: quando è nata e cosa si propone? Legalmente è nata il 9 Maggio 2008 ma in realtà lavoravamo insieme già da quattro anni come associazione o comitato spontaneo. Da subito abbiamo proposto Est’ Arte, una manifestazione che si tiene in piena estate e tratta di arte a trecentosessanta gradi, dalla musica alla pittura, dalla scultura al writing, fino ad arrivare alle esposizioni e promozioni di tipo artistico e artigiano. La Sold-Out oggi è composta da più di venti soci. Pensate già ad una terza edizione? Veramente mentre si svolgeva la seconda edizione, pensavamo già a come organizzare la prossima edizione cercando di correggere degli errori e pensando a come variare alcuni particolari. Naturalmente finché non vedi l’ evento svolgersi è difficile capire e valutare bene il lavoro fatto e da fare. certo è che siamo molto soddisfatti, speriamo vada sempre meglio! Prossimi appuntamenti? Ora pensiamo alla VI edizione di Est’ Arte, e pensiamo in grande!
CLICK
ZONE
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Tad a i v l i S
di Giacomo Pisano
L
a fotografia come tutte le discipline artistiche offre un panorama sfaccettato e con tante ramificazioni professionali; non è sempre facile districarsi in questo mondo e occorrono pazienza e dedizione per riuscire a trovare la propria strada ed emergere. Ne sa qualcosa chi da anni porta avanti idee investendo tempo, denaro e creatività nell’ambito fotografico, sperimentando diverse tendenze, diversi stili e rimanendo comunque fedele al proprio modo di guardare le cose, i luoghi e le persone. È il caso di Silvia Taddei, classe 1979, nata a Oristano e formatasi a Roma presso l’Istituto Superiore di Fotografia e Comunicazione Integrata mediante il quale ha conseguito il diploma di Fotografa Professionista nel 2004. Da subito inserita nel mondo del lavoro, in qualità di assistente per diversi studi fotografici romani, si dedica con grande impegno alle molteplici differenziazioni stilistiche della fotografia: dal composit al book, dagli eventi al catalogo, La giovane professionista segue con interesse concerti, spettacoli teatrali, manifestazioni tradizionali come la Sartiglia e A Maimone di Samugheo includendo nel contempo differenti realtà come il mondo Cosplay, dal quale cattura le atmosfere surreali e magiche. Silvia Taddei ha lavorato inoltre come fotografa di scena per rilevanti pellicole cinematografiche quali Il peso dell’aria (2007), Il soffio dell’anima (2007), A morte!
(2009) e ha al suo attivo due collettive: Schattentanz, la danza delle ombre presso la galleria MK e mutAzioni, realizzata in occasione della seconda Tattoo Convention a Cagliari, eventi che l’hanno fatta conoscere e apprezzare in terra sarda. Scorci, ritratti, colori e ombre assumono significati più profondi del semplice reportage e divengono narrativi, raccontando la solitudine di chi fotografa e il mondo di chi è fotografato: realtà periferiche, particolari architettonici urbani, un oggetto, un movimento, tutti elementi che componendosi come tessere di un mosaico vanno a completare le storie che Silvia Taddei racconta con grande sensibilità e che catapultano chi osserva in una dimensione estremamente onirica ed allo stesso tempo realistica e coinvolgente. Nel cassetto progetti ambiziosi: un libro fotografico sulla scena alternativa musicale di Cagliari, una pubblicazione che racconti le persone, i luoghi e le iniziative per documentare il cambiamento e la crescita della nostra città attraverso la realizzazione di un archivio fotografico in continuo aggiornamento, ovviamente corredato di testi esplicativi e schede informative. Ecco che la foto non è più un bello scatto da appendere al muro ma diviene un passaggio, una porta verso altri spazi, mondi, che si affaccia con discreta eleganza sulle vite degli altri. www.myspace.com/laphotosardina
A partire dall’alto: un’immagine tratta dalla mostra MutAzioni; Barcellona; Letonia.
Tsutomu Nihei,
l’architetto a inchiostro liquido
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no dei grandi talenti indiscussi nel panorama del fumetto giapponese è certamente Tsutomu Nihei, nato in giappone e trasferitosi a New York dove intraprese gli studi di Architettura lavorando poi nel campo edile per parecchi anni. Tornato in patria dopo l’esperienza statunitense decise di abbandonare la professione di architetto, dedicandosi esclusivamente alla produzione di fumetti. Per quale motivo parlare ancora dell’ennesimo mangaka giapponese? Anzitutto Tsutomu Nihei non può certamente essere definito un classico autore del genere manga, tutt’altro; atmosfere dark e gotiche degne della migliore tradizione del fumetto d’autore francese, un sapore malinconico che si evince dagli sguardi dei protagonisti persi nei reticoli urbani sapientemente disegnati dalla passione per la precedente professione, un algoritmo di architetture costruite su forme geometriche al limite dell’equilibrio; un disegno a volte solo abbozzato con un tratto quasi sfuggente che rafforzano l’atmosfera di un mondo precario ove appunto Tsutomu Nihei ambienta le sue storie. Storie che crescono man mano che Nihei progredisce con il racconto, come se fosse il fumetto stesso a suggerirne il proseguo e che possono apparentemente dare il senso dell’incertezza. Le sue opere più celebri: Abara, Planet Manga; Biomega, Planet Manga; Blame, Planet Manga.
FOTOGRAFIA D’AUTORE NEGLI ECCESSI
EMOTIVI DI UN SECOLO ANDATO
99 click + 1
I lavandini di Elliott Erwitt, un’istantanea che ha fatto la storia della fotografia in campo di denuncia sociale. In basso un angolo della mostra dedicata ai paparazzi.
Fotografie, storie di incanti
N
di Mario Rosas
ord Carolina, 1950, Elliott Erwitt realizza l’istantanea che ha fatto la storia della fotografia in campo di denuncia sociale. Siamo in piena epoca segregazionista; sono gli anni di Martin Luther King e Malcom X, dei movimenti a favore dei diritti degli afroamericani, ma anche del Ku Klux Klan. Una sola immagine, semplice e disadorna nella sua composizione, eppure di intensissimo significato. Soggetto: due lavandini. Sulla sinistra il pezzo bello e pulito, a presentarlo la scritta in alto, white. Sulla destra il lavabo brutto e sporco, corredato anch’esso da rispettiva dicitura, ma stavolta la scritta recita così: colored. Black and White, dunque, come la stes-
sa pellicola, capace di congelare un’immagine sintetizzando l’irruente atmosfera razziale che albergava negli USA durante quegli anni, anni in cui sarebbe parsa una favolosa chimera sapere che un giorno i diritti sarebbero stati gli stessi e che a guidare il Paese sarebbe potuto essere un colored, come Barrack Obama. Artefice dell’immagine in cui è condensata un’epoca, è un uomo la cui parabola esistenziale ha conosciuto gli eventi che fanno la Storia. Nato a Parigi da genitori russi, Erwitt emigra negli USA nel 1939. Durante le fasi belliche della seconda guerra mondiale si trova tuttavia in Francia e in Germania. Saranno le esperienze maturate in quegli anni a consentirgli l’ingresso nell’agenzia Magnum, fondata da Robert Capa e da Henri Cartier-Bresson, a tutt’oggi considerata come una delle più importanti agenzie fotografiche mai esistite. Ma questa è solo una delle tante storie che si cela dietro a ogni immagine presentata a 99 click+1. Fotografie, storie di incanti,
la mostra che il Centro comunale d’Arte e Cultura Il Ghetto ha ospitato durante lo scorso febbraio. Artisti del calibro di Berenice Abbott, Richard Avedon, Gabriele Basilico, Gianni Berengo Gardin, Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, Robert Doisneau, Robert Mapplethorpe, Helmut Newton, Franco Pinna, Man Ray, Sebastiã Salgado, Ferdinando Scianna, Tazio Secchiaroli, Andy Warhol, sono solo i nomi di punta della lauta scena espositiva; scatti che raccontano il Novecento e che attraverso la fotografia ne rendono diretta testimonianza. A concepire l’idea è stata la fondazione Giov-Anna Piras di Asti, che attraverso la propria collezione fotografica, quasi interamente vintage (la prima stampa in assoluto), ha offerto ai visitatori una galleria di scatti indimenticabili. In essa scorre un secolo ritratto in momenti di storia tanto privata quanto collettiva, come i baci più famosi del mondo: Le baiser de l’hotel de ville di Alfred Eisenstaedt, Parigi 1950, il bacio tra marinaio e infermiera mentre si festeggia la fine del secondo conflitto, il bacio tra la folla in Times Square, di Robert Doisneau, e gli amanti immortalati da Elliott Erwitt attraverso lo specchietto di un auto davanti al mare. Non manca il mitico ritratto del Che, che solo in seguito si è scoperto essere
In alto il mitico ritratto del Che realizzato da Alberto Korda nel 1967. In basso due immagini simbolo del Vietnam: Napalm girl, di Nick Ut, Vietnam 1972, il cui soggetto ritratto è una bimba che corre nuda e disperata lungo la strada; la foto a colori è Reaching Out di Larry Burrows, Vietnam 1966, che ritrae una battaglia tra i marines americani e le forze Viet Cong per il controllo di Mutter Ridge, Vietnam 1966. Nella pagina a fianco: in alto uno scatto di Dorothea Lange, Migrant Mother, ritrae appunto una madre e i suoi figli di migranti, nella California del 1936; in basso Le baiser de l’Hotel de Ville, di Robert Doisneau, 1950; e V–J day in Times Square, 1945, di Alfred Eisenstaedt.
un particolare estrapolato da un gruppo nel quale compariva anche il guerrilero ritratto in una pubblica cerimonia, realizzato da Alberto Korda, nel 1967. Scatti di guerra, come Napalm girl, di Nick Ut, altra immagine simbolo del Vietnam 1972, il cui soggetto ritratto è una bimba che corre nuda e disperata lungo la strada, e che a dispetto dell’ipotizzabile non può certamente essere un falso tanto reale e stravolgente è la sua carica. La rassegna fotografica prosegue con la Migrant Mother, California 1936 di Dorothea Lange, I pretini, di Mario Giacomelli, Le paparazzate, degli italiani, Tazio Secchiaroli, Elio Sorci, Luciano Mellace, Marcello Salustri, Mario de Biasi, Franco Pinna. Fotografi che hanno creato il mito del paparazzo di felliniana memoria. Fra le poche foto realizzate a colori trova posto l’obiettivo di Harry Burrows, Vietnam 1966, la cui opera è intitolata Reaching Out. Molti dubbi permeano la questione sull’autenticità dello scatto del miliziano repubblicano colpito a morte durante la guerra di Spagna, la cui firma è Robert Capa, anno 1936. Del resto non sarebbe questa l’unica occasione in cui la questione dell’autenticità salirebbe alla ribalta, all’interno dei più fervidi dibattiti non sono stati risparmiati neppure i famosi baci di cui sopra: diverse fonti darebbero per assodato che tali celeberrimi click, lungi dall’essere naturali istantanee, siano stati in realtà preventivamente preparati con attori protagonisti. Al visitatore della mostra le cento icone esposte regalano un itinerario di intenso spessore, un viaggio nella memoria alla scoperta di società e culture che ci hanno preceduto, e poco importa se i personaggi fossero o meno pronti ad essere rapiti dall’occhio consapevole della macchina, perché infondo l’epoca tristemente contaminata dagli esperimenti del Big Brother sarebbe dovuta ancora arrivare.
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Loredana
nei segni il mio
alfabeto
di Maria Letizia Mereu Ph. Valerio Mereu
N
ell’osservare la laboriosità compositiva delle sue tele non pare certamente astruso definire il suo stile pittorico quale correlativo oggettivo dell’horror vacui, non fosse altro perché, come ammette la stessa artista, ogni sua composizione progredisce intorno alla necessità istintuale di riempire ogni porzione di spazio. In realtà la pittura segnica di Loredana Manunta è ben oltre dalla mera esigenza di rifuggire il vuoto, dal colmarne l’assenza mediante un traboccante e omogeneo tutt’uno, piuttosto è acclarante esperienza condensata in linee, passione irrefrenabile verso le decodificazione estemporanea dei sentimenti, della loro esorcizzazione in un amalgama di tintura capace di riordinare l’indistinto sciame dei pensieri. La tecnica compositiva adottata si costituisce attraverso più fasi, rivelando la volontà di scandire i tempi strutturali contestualmente alla creazione del soggetto: è in tal fatta che la pittrice sovrappone tre strati di segno, di diverse dimensioni, partendo dal fondo fino a tornare in superficie, e abbinando ad ogni strato di pittura un preciso cromatismo. Il significato simbolico dell’atto del comporre è così accordato al tema protagonista della tela. Dipinge di sogni Loredana, il più delle volte traduce emozioni e in questo tradurre gioca a trascinare il proprio osservatore, la missione è condurlo nel caleidoscopico serpentino e raccontargli di un universo in cui l’alfabeto coincide con quello dell’infanzia, un’infanzia adulta che sa prendersi gioco di se stessa e sa dimostrarlo nella smitizzazione dei sentimenti complessi. Sua è l’adozione di nonsense e giochi di parole reclutati per fare da titolo a personali segmenti di poesia, sue le opalescenti tele in cui è custodito un carattere tanto serbato quanto penetrante. Osservando la tua produzione si evince da subito un ritmo, un ritorno di colori e di segni, la tua personale calligrafia deriva da determinate suggestioni o insegue le variazioni del gioco combinatorio? Entrambe le cose. La mia passione per l’arte Informale ha radici lontane, sebbene il mio impegno sia nato casualmente. In Accademia ho lavorato a lungo sui segni, ma a questo lavoro si è sempre accompagnato un grande divertimento, che a tutt’oggi è ragione del comporre. Forse è folle ripetere all’infinito la stessa sequenza ma attraverso questi segni riesco ad esprimere la mia autobiografia, le cose che mi accadono, sia quelle belle che quelle meno belle. La predilezione di precisi accoppiamenti cromatici (dal ciano, blu, viola e rosso) è legata a un esclusivo compiacimento estetico o riguarda una scelta funzionale a poetiche definite? Il tuo alfabeto, per meglio dire, è tanto nei segni quanto nei colori? Esattamente, preferisco certi accoppiamenti ad altri. In una delle ultime composizioni, esposta di recente presso un locale della mia città, sono ritratti dei fiori, tema che amo molto, e per evidenziarne la vivacità i colori sono esaltati da più strati di pittura, una sorta di fuoriuscita degli elementi dalla tela, di tridimensionalità. Riguardo alle tecniche adottate, trovi l’acrilico su
carta o su tela maggiormente congeniale? Sì. In passato ho usato pure l’olio, ma per diverse ragioni ho dovuto abbandonare, tuttavia prediligo l’acrilico anche perché si adatta meglio alla mio genere di pittura. Ho iniziato con carta e piccole tele, per favorire via via formati sempre più estesi. Insomma vorrei riempire tutto lo spazio possibile! In ultimo non disdegno le tecniche multimediali, mi diverto molto ad utilizzare i programmi di grafica. Nella tua produzione l’antropomorfo è presente in maniera costante, con una definizione che fa pensare a esseri a metà strada tra la fantasia pura del bambino e la meccanicità degli omini dei primissimi videogame della storia (es. In Denti Aguzzi o Mangiatutto o Gnam che non so se casualmente ma alludono tutti all’atto del mangiare), il tuo mondo segnico si presenta basilare, schietto e nel contempo immaginifico. Confermi? Confermo. Cerco volontariamente un linguaggio diretto, facile da interpretare. Mi piace l’essenzialità, mi diverte, e in questo nessun insegna meglio di quanto sanno fare i bambini, il loro modo di esprimersi è sostanziale, semplice e spontaneo, un gioco. Inoltre sulla mia pittura, al di là dell’insegnamento dei grandi maestri come Capogrossi e altri, influisce molto un’altra personale passione: il fumetto, dai classici americani della Marvel ai più moderni manga, il tratto grafico mi cattura nelle sue diverse forme. Come vivi il ruolo di insegnante, cosa significa per te la possibilità di esercitare la professione che coincide con parte del tuo modello espressivo? Sono contenta, ho studiato tanto per diventare insegnante e vivo bene coi ragazzi. Il riscontro non sempre c’è, ma questo dipende da tanti fattori, in ogni caso mi diverte, fa parte della mia vita come la pittura, sono due cose inscindibili. I Gender Studies da molti anni teorizzano la riconoscibilità nel linguaggio, in senso lato, dell’identità di genere, pensi sia corretto parlare di tratto femminile, della possibilità di identificarne uno nell’ambito della tua arte? Sì, sono d’accordo nell’ammettere che esista un tratto femminile, perlomeno sono consapevole del mio, della mia volontà di sottolinearlo, dirò di più: mi piace che possa essere percepito come tale. Pensi che la tua identità culturale abbia influenze sul tuo operato? In sintesi ti senti un’artista sarda? Sicuramente sì. Mi sento parte di questa terra, o per meglio dire, questa terra è parte costitutiva della mia identità. Mi sento ben radicata nel suo territorio. I suoi colori, le sue caratteristiche mi fanno pensare che per quanto ami viaggiare non riuscire mai ad andare via da qui, a vivere da un’altra parte. http://loredanamanunta.blogspot.com
Tre opere di Loredana Manunta. dall’alto: Gnam, Cuore blu, Chi ti aiuta.
Dipingo perché è un richiamo irresistibile, un gioco con cui sarei in grado di divertirmi a qualsiasi ora, in qualsiasi luogo
Pubblico rapito dall’Anonima
di Bianca Maria Locci Ph. Ag. RosasPress
la Piccola
Compagnia Anonima Teatro
e il suo debutto
S
a Bonanima è il titolo della commedia che la Piccola Compagnia Anonima Teatro ha messo in scena al teatro Massimo di Cagliari. Il debutto, per la regia di Lucio Sergi e le scenografie di Enrico Cardia, è stato affidato ad attori non professionisti, che in brillanti dialoghi comici in lingua sarda, si sono prodigati con grande pas-
al Massimo
sione ed entusiasmo nella difficile arte della recitazione. Il pubblico ospitato nella sala ridotta del Massimo, ha fatto il pieno nelle due rappresentazione portate in scena, dimostrando di aver gradito la commedia e sopratutto la sua l’interpretazione da parte dei novelli attori della compagnia. Barbara Anedda, commerciali-
sta, Enrico Cardia, imprenditore, Giovanna Cucca, farmacista, Graziella Farina, impiegata Poste italiane, Laura Guaita, Dipendente della Regione Sardegna, Paola Lai, impiegata al convitto Nazionale, Salvatore Piras, dirigente Enel in pensione, Lucio Sergi, architetto, Alessio Serra, avvocato e Giuseppe Ungari, fotogiornalista, sono gli attoriprotagonisti della commedia portata in scena per la prima volta dalla Compagnia. Compagnia che nome su nome si fa forza dell’entusiasmo proprio dei neofiti, a dimostrazione che lavoro e tenacia possono condurre laddove si desidera.
Un
romanzo
da bere
Il barista scrittore ci serve un altro romanzo: un nuovo gustoso cocktail di suspense, tensione e ilarità. Naturalmente dal sapore noir.
Lo scrittore Sandro Mascia autore del suo ultimo romanzo Ti rincontrerò
di Elettra Gaviano Ph. Andrea Zaccolo
S
andro Mascia, lo scrittore barista del quartiere Marina, non è solo un giovane che da circa sei anni scrive romanzi noir di ambientazione cagliaritana, è soprattutto una persona umile e cordiale che, anziché lasciarsi sopraffare dal sistema clientelare e nepotistico del capoluogo sardo, ha deciso di promuovere sé stesso e la propria produzione letteraria con le sue sole forze. I suoi romanzi piacciono perché raccontano in maniera leggera e giocosa la storia, i colori e i sapori del quartiere, ma soprattutto perché emozionano: da essi traspare ed emerge un interesse sincero per il passato della città, un senso forte di nostalgia. La città è analizzata, smascherata, con l’intento lucido e fermo di metterne a fuoco le ipocrisie e le contraddizioni. Del resto nella vita stessa dello scrittore gli elementi che si contrappongono non mancano. Innanzitutto i pareri dei critici: da una parte i biasimi di coloro che mal sopportano l’uso dello slang cittadino, dall’altra gli apprezzamenti di quelli che amano le descrizioni accurate e fedeli della realtà, anche a scapito della forma. In antitesi sembrano pure l’attività di barman e quella di scrittore. A chi considera il lavoro dietro il bancone incompatibile con l’impegno richiesto dall’estro letterario di un romanziere, rispondiamo che, al contrario, il bancone è una finestra sul mondo, più ampia del banco di scuola, meno austera della cattedra. Descrivici il tuo incontro con la scrittura. È stato casuale o scrivere è un sogno che avevi fin da piccolo? Il mio approccio con la scrittura è stato casuale, però devo ammettere che il mondo della letteratura mi ha sempre affascinato molto. Raccontaci un po’ come nascono i tuoi racconti e come li realizzi. Metti insieme degli spunti che raccogli durante la giornata o scrivi di getto? Perlopiù scrivo d’impulso. Ora sto preparando il mio quinto romanzo e devo dire che mi capita di procedere
a intervalli: scrivo, smetto, riprendo dopo un po’ e così via. In genere scrivo una pagina al giorno. Credi che uno scrittore alle prime armi debba apprendere e “prendere” dai grandi della letteratura o, al contrario, cercare subito il suo stile e la sua strada? Penso che ognuno debba scegliere il proprio stile. Anche io ho cercato fin dall’inizio di essere autentico. Per alcuni critici i tuoi romanzi rappresentano uno strumento per affrontare e denunciare le problematiche del quartiere e della città. E tu, come definisci i tuoi scritti, pura e semplice narrativa o un mezzo attraverso il quale far passare un messaggio al lettore? C’è sicuramente un messaggio per il lettore: i miei libri affrontano spesso tematiche serie, come i problemi dell’ambiente e della società; devo precisare, però, che sono nello stesso tempo libri d’amore, thriller, insomma una miscela di stili e di elementi diversi. Tu sei noto, oltre che per il talento e le capacità descrittive, anche per l’abilità di grande promotore dei tuoi lavori: sei, dunque, la persona giusta per dare consigli ai giovani scrittori che vogliono farsi conoscere. A questo proposito, pensi che Cagliari offra agli esordienti delle possibilità, degli spazi in cui potersi esprimere? Devo dire che all’inizio i grandi giornali sardi, se non sei gia famoso, non ti danno spazio. Quindi consiglio ai giovani di autopromuoversi, proporsi, andare di persona nelle librerie. Stai preparando un altro romanzo, vuoi dirci qualcosa in anteprima? Sì. Parlerà di scrittori che muoiono in varie parti d’Europa. All’inizio sembreranno delle morti naturali, poi si scoprirà che si tratta di una serie di omicidi. Comunque la suspense è garantita. Sarà un vero mix di ingredienti intriganti, come ogni buon libro dovrebbe contenerne! http://sanmascia.altervista.org
a cura di Nicoletta Rosas
Sabrina,
modella per un giorno
M
inuta, carnagione rosea, tentennante e pressoché in punta di piedi, ha suonato alla porta di casa mia un giorno di settembre. Dopo i primi scatti quasi incerti e svogliati, mentre la osservavo attraverso l’obbiettivo, ho iniziato a scorgere un piccolo cambiamento nei suoi occhi: il bruco si trasformava in farfalla, il bocciolo diveniva fiore e la ragazza minuta, e esageratamente vergognosa, si tramutava in modella. Da quel momento il mondo, le conoscenze, gli insegnamenti e gli obblighi di costrizioni e memorie, svanivano venendo rimpiazzate dall’impercettibile, necessariamente vivo in ogni cuore di donna, nella voglia di piacersi e di piacere. Sabrina, sicuramente la più riservata, forse proprio per questo una piacevole scoperta, quasi una rivelazione. Il fotografo non deve fare niente, solo aspettare, dare tempo, mentre scruta quei piccoli cambiamenti che lentamente avvengono nello sguardo di chi sta all’interno del suo obiettivo. Tutte e tutti nascono un po’ modelli, pochi riescono a liberarsi totalmente da barriere e preconcetti, dogmi religiosi e non. Pochissimi riescono a liberare la loro anima selvaggia e primordiale, quasi una “Angelica Anarchia” direbbe Don Gnocchi, ma se ci si riesce anche per pochi istanti si assaporerà un benessere indicibile, una goduria irrinunciabile, una semplice e indispensabile libertà, senza la quale la vita non avrebbe modo di esistere, diventando inutile, deprimente e assolutamente insignificante.
Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce. Lentamente muore. Pablo Neruda
Nome: Sabrina Città: Cagliari Professione: estetista Libro preferito: Melissa Marr “Wiched lovely” Segni particolari: Incantevole e pericolosa Hobby: adora andare al cinema, cantare, suonare e dipingere Viaggio da sogni: Egitto Ama: ascoltare il suono degli alberi e sentire la loro anima Colore preferito: viola Cibo preferito: pizza Si definisce: misteriosa, artista, spirituale I suoi numeri: 35 anni 158 cm 50 Kg 89 - 67 - 92
LINGUA... in SARDU de Oresti Pili
Il 17 marzo scorso il Consiglio provinciale di Cagliari ha adottato la varietà Campidanese della lingua sarda per la redazione dei suoi atti. Di questo evento ce ne parla in questo numero Oreste Pili.
S
u 17 de martzu de su 2010 at a abarrai in sa stòria de sa Lìngua sarda. Difatis su Consillu Provintziali de Casteddu at dìtzidiu de imperai de imoi innantis sa lìngua sarda impari a s’italianu. E dd’at ditzìdiu avotendi a totòmini s’afillamentu de su lìburu intitulau Arrègulas po ortografia, fonètica, morfologia e fueddàriu de sa Norma Campidanesa de sa Lìngua Sarda. Ma cali lìngua sarda at a imperai sa Provìntzia de Casteddu? O, mellus, ita bolit nai po sa Provìntzia de Casteddu lìngua sarda? S’arrespusta a custas pediduras s’òmini dda agatat luegus ligendi su lìburu de is Arrègulas chi spricat a manera discansosa ita est sa lìngua sarda: «una lìngua a duas (macro)bariedadis literàrias chi tenint – e depint tenni – sa matessi dinnidadi: su Campidanesu
e su Logudoresu. Sa bariedadi Campidanesa est su Campidanesu generali (o comunu) imperau in poesia prus che totu de is cantadoris campidanesus. Sa bariedadi Logudoresa est su Logudoresu generali (o comunu) imperau in poesia, prus che totu de is cantadoris logudoresus». Spricau custu is Arrègulas proponint po su Campidanesu una grafia, una morfologia e unu fueddàriu chi acostat giai in totu a is de is cantadoris campidanesus. Ma poita su Campidanesu de is cantadoris? S’arrespusta est custa: Is cantadoris cantant unu Campidanesu chi est de peruna bidda; est unu Campidanesu chi setzit asuba de dònnia dialetu, praxit a sa genti e, in prus, tenit un’arrichesa lìterària stravanada. Imperendi su Campidanesu literàriu de is cantadoris, creu chi sa
Provìntzia de Casteddu dd’apat intzertada, ca in custa manera no ofendit a nemus e acuntentat a totus.
is Arrègulas de sa Lìngua Sarda
Fueddàriu/Lessico A acostai = avvicinare, accostare afillamentu = adozione agatai = trovare asuba = sopra B bidda = paese, villaggio D dinnidadi = dignità
discansosu = facile dònnia = ogni I imperai = usare imoi innantis (de) = d’ora in avanti intzertai = indovinare L luegus = subito M
manera (a) = in modo matessi = stesso O òmini (s’) = in generale l’uomo; ma questo caso è il “si” impersonale, quindi s’òmini dd’agatat “= si trova P pediduras = domande perunu = agg. nessuno
praxi = piacere S setzi = stare, stare seduto spricai = spiegare stravanau = incredibile, meraviglioso T a totòmini = all’unanimità
l i ma
Poveri
belli
di Maria Letizia Mereu Ph. Ag. RosasPress
P
er avvalorare un metodo didattico all’insegna della creatività il Liceo Artistico di Quartu S.Elena, appartenente all’Istituto Superiore “G.Brotzu”, ha proposto al pubblico la coinvolgente esperienza che ha visto per protagonisti alunni e insegnanti della scuola. Tra le numerose attività infatti è stata organizzata la mostra internazionale denominata MailArt: un’arte senza mercato, la cui produzione è stata affidata ad autori sconosciuti e non. Alla base del progetto la creatività e l’uso di mezzi alternativi per comunicare a distanza con artisti e poeti sparsi in tutto il mondo, attraverso pubblicazioni, libri, francobolli, cartoline postali, audiovisivi e manifesti. La filosofia portante è stata quella di creare e sostenere il rapporto tra Scuola e Territorio Locale, divulgare l’immagine del Liceo sul Web, esaltandone le doti non unicamente in qualità di laboratorio d’Arte ma anche come promotore di Eventi Culturali. La mail art non a caso mette in relazione esperienze estetiche, che si fondano sullo «scambio interperso-
nale gratuito non giudicante, sul dono e sulla collaborazione». Ricordiamo che le prime forme di arte postale furono praticate all’inizio del XX secolo dai Futuristi, dal movimento Dada e dal movimento Surrealista, rese poi celebri grazie a Ray Johnson (1927 - 1995) e alla sua New York Corrispon Dance School, fondata a New York nel 1962. Le opere spedite dai ‘mailartisti’ di diverse parti del mondo, quelle realizzate da tutti gli studenti del Liceo e quelle provenienti dalle scuole medie di tutto il territorio provinciale, sono state esposte nel mese di marzo nel Liceo Artistico di Quartu Sant’Elena e verranno nuovamente proposte al pubblico in uno spazio istituzionale alla fine dell’anno scolastico. Tenendo presente il merito di questa iniziativa ci auguriamo di ospitare presto all’interno delle nostre pagine questi talenti!
Nella foto gli alunni dell’Istituto Sperimentale, 3A e 2C. In alto un particolare dell’esposizione
Giulio Angioni Il Sale sulla ferita.
E
dito per la sezione Narrativa di Il Maestrale, narra la vicenda di due compaesani nativi dell’‘angioiana’cittadina di Fraus, incontratisi per caso in terra straniera, o per meglio dire in terra adottiva. L’epoca è ancora quella della Germania del Muro, dove i due isolani vivono vite distinte fino al fortuito incontro, in seguito al quale prende il via l’avvincente intrico della storia.
Gianfranco Cambosu Pentamerone barbaricino.
Umberto Cardia Il mondo che ho vissuto.
P
L
ubblicato per Fratelli Frilli Editori, il romanzo di Gianfranco Cambosu si impone sulla scena attraverso lo stile noir. La storia, ambientata in uno sperduto paese della Barbagia, ha per protagonisti cinque banditi alla ricerca del colpo di fortuna. Ma qualcosa disturberà irrimediabilmente il loro piano fornendo a lettore l’occasione di visitare il popolato universo di stravaganti personaggi.
’opera autobiografica di Umberto Cardia, pubblicata per Cuec, e curata da Giuseppe Marci, con la prefazione di Joseph Buttigieg, costituisce un’imperdibile occasione per conoscere l’intensa vita dell’intellettuale e politico sardo, nonché l’opportunità di scoprire la Sardegna con gli occhi di chi ha saputo amarla nelle sue più profonde contraddizioni.
Back to light
Mocca flor
Immortal changes
GUTE LUFT
Bomb the bass
Quadro nuevo
Robert Babicz
Thomas Fehlmann
TCK&FRIENDS
Domenica 2 maggio 2010 -
D
omenica 2 maggio 2010 alle ore 21:00 presso l’FBI di Quartu si terrà la IV edizione del TCK&FRIENDS. L’evento Friends, che per l’edizione del 2009 ha devoluto l’incasso all’Associazione TEA di Cagliari, grazie al valido supporto organizzativo da parte dei Dick Tales, quest’anno dedicherà la sua attenzione a Farfalle e Tartarughe dell’ Associazione Sindrome di Crisponi e Malattie Rare. L’evento, ispirato al ben più famoso Pavarotti & Friends, coinvolgerà tantissimi tra i migliori musicisti dei club cagliaritani, riuniti nello stesso giorno nella
SOUND SPRING FEST
16 aprile -
FBI di Quartu
‘mecca’ della musica live sarda, si parla naturalmente l’FBI, il locale che vanta strepitose recensioni a livello italiano. L’obiettivo della nuova edizione del TCK&FRIENDS è quello di veicolare un messaggio di solidarietà nei confronti delle persone che hanno bisogno di voce per esprimere il diritto a una vita migliore, nonché un’occasione per condividere con gioia un incontro fra amici. L’evento dunque suona musicale ma anche solidale: l’incasso della serata infatti sarà interamente devoluto a sostegno dell’Associazione Sindrome di Crisponi e
Malattie Rare. L’avvenimento organizzato dai TCK, cover band nata nel 2004, il cui nome è acronimo di Thin c Kravitz, tributo allo stimato cantante Lanny Kravitz, ha la peculiarità di reinterpretare le canzoni cercando di abbellirle o come ironicamente dice Filippo Lai, batterista del gruppo, storpiarle, da cui il nome Abbellied scelto per intitolare il disco prodotto: Abbellied Vol. 1. I restanti componenti dei TCK sono Andrea Moi, voce, Carlo Impagliazzo, basso, Metteo Carcangiu, chitarra, Gessica Serra, corista.
campo sportivo comunale di San Sperate
on l’arrivo della primavera si riaffaccia la voglia di live C sotto le stelle, di rock e balli
della musica dell’estate isolana che cominciano a giugno e si chiudono a settembre. È scatenati, torna il desiderio di Sound Spring Fest, un festival uscire dai locali ormai troppo internazionale di musica che caldi e stretti e godersi le band si svolgerà venerdì 16 aprile sotto i palchi all’aperto. Per nel campo sportivo comunale questo l’associazione Kuntra ha di San Sperate (CA) a partire deciso di regalare a chiunque dalle 21 e fino a notte fonda. Gli vorrà partecipare il primo ospiti internazionali di questo festival della primavera, un live festival di primavera sono che anticipa le date classiche americani e compiranno il loro
33esimo anno di età proprio sul palco di San Sperate. I Misfits. A precederli sul palcoscenico, ma non per questo meno importanti, sarà la band più amata, cantata e scatenata degli ultimi mesi in Italia, Il Teatro degli Orrori. Ad aprire il festival un gruppo di giovani sardi, The Giannies.
La Parola ai lettori Parole, frasi che prendono forma su un foglio bianco, pensieri e storie che spesso cercano uno spazio che non trovano, opinioni che meritano di essere conosciute. Fate volare le vostre idee. Scrivete ad agenda@artreport.it specificando nome, cognome e numero di telefono
Perché non si può mai rdare smettere di rico , le aspettative si già fatti e anche gli errori ario, rende visibili i percor
necess Tirare le somme a volte è pensare che non ci disattese. vi, perché l’aids non si può por pro lio vog , one azi oci , come ass , e questo rende se possibile Questo è la riflessione che esiste una cura risolutiva non i ogg a ncor An . imo ult all’ in maniera chiara e compre riguardi tutti, dal primo cammino della prevenzione il e rer ta cor vol per a a e un uar ora tin anc visto ancora più doveroso con s appena trascorsa, ci ha , mondiale per la lotta all’aid adossalmente proprio qui par e hi, ricc si pae sibile a tutti. La giornata i per o sol e api ter te: ua tan tin for con poco con essari, si spettatori di uno scenario a disposizione i farmaci nec hanno la fortuna dei avere che sta informazione si e o, que E iam s. viv aid cui all’ a in si lott nei pae abile elemento della ens isp ind , mo hanno fatto pri Il ne. ion ello che le istituz i mai ad ignorare la prevenzio conoscere e utilizzare! Qu far e, Anziché rar ne. libe zio da o: ven ttic pre la fila chiama anche pro ha a che vedere con lla nu che e ral mo a un lli che ad que mi legati ta per tutte e mai faranno, per proble divisa, che evidenzi una vol con e ara chi one decine azi rno orm gio i inf di ignorare che ogn esprimere una campagna si preferisce continuare ad io, 2010 tag con nel i, il ogg are a ferm cor An per . e la disinformazione sono i rischi ed i modi plic com , lità cia erfi sup ntr infettarsi, con popolazione, me e di persone continuano ad rattutto alcune fasce della sop ere ess o ban deb hio che a risc che ad oggi la popolazione resiste il pregiudizio forte ché non si avrà ben chiaro Fin i. ual ess paura ros ete gli tra non smetteremo di avere da tempo l’infezione dilaga o da nessuna parte. Finché rem and o da rem non , and ata non orm , inf non sieropositivi e è tutta a rischio se non oro ponsabile da parte di tutti, col res ti lità tut sua ti, ses tut di su mo ma , lere l’ha delle parole, e par chi il problema ce su o sol de rica ipo non e à fals ilit e i responsab , senza moralism nessuna parte. Perché la formazione mirata, precisa ’in un are di o ent ogn div bis di hio C’è le. rono il risc che hanno una vita sessua a dei più giovani, che cor in ballo è soprattutto la vit sa di coscienza differente pre a un o ers rav att crisie, perché quello che c’è o egato loro nulla. Sol spi i ma ha o ne è affetto. E perché sun nes are ché sieropositivi per e, senza stigmatizz chi altr e com ia latt ma a un v erare l’hi lla di aver favorito la disinsi potrà arrivare a consid sabilità, prima fra tutte que pon res sse rmente gro no han i sicure ed emargina ulterio questo avvenga le istituzion , che non fornisce risposte ata err ne zio ma for l’in formazione quando non già affetto. chi da questa patologia è e sostegno alle persone rette a tutta la popolazione, cor oni azi orm propria inf ire offr ettare ed interiorizzare la La Lila si batte da anni per strumenti necessari per acc gli e to por a. sup son il per o lor ma o in pri sieropositive, offrend tecipi della lotta all’aids, o essere protagonisti e par condizione, perché possan oportunità di toccare un arg à e attenzione ci date l’op ilit sib sen con che , voi a Infine un grazie di cuore to. mento troppo spesso ignora ì dalle ore 16,00 alle 19,00 azioni dal lunedì al venerd orm inf per 00 653 /55 Lila: 347 Brunella Mocci Presidente LILA Sardegna
Ratapignata Nati nel 1998 a Cagliari, una band composta da 10 elementi, provenienti da diverse esperienze musicali ma accomunati dalla passione per lo ska, il reggae e il rocksteady dei primordi.
The Giannies Quattro ragazzi cresciuti con il punk rock, l’heavy metal degli anni novanta, ritrovatisi in un epoca non loro si sono reinventati il rock’n’roll e hanno tirato fuori una band che che colpisce e trascina a ballare chiunque capiti sotto tiro.
Launeddas Uno speciale sulle launeddas: dalla creazione dello strumento al suo utilizzo
LUCE/BUIA. Cyber Porn Un intrigante viaggio sulla relazione esistente tra corpo e tecnologia.
Isla Sound System Art Report dà voce agli interpreti dell’espressione sound system del genere reggae.
Matz L’arte grafica sui muri di Monastir
NUR Un gruppo con l’obiettivo di recuperare la musica sarda, rivisitandola con arrangiamenti e strumenti “moderni”.
Carlo Murroni Apprezzato pittore scultore e xilografo che rappresenta l’arte incisoria sarda.
To ed gein Gruppo HC della scena sarda direttamente da Olbia.
25 aprile Reportage sul concerto in occasione della Festa della Liberazione.