Spedizione in abbonamento postale art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone.
Anno XLV · Marzo 2016 · Numero 137 Periodico della Comunità di Dardago · Budoia · Santa Lucia
di Roberto Zambon
I mezzi di comunicazione spesso ci descrivono i giovani come disimpegnati, senza valori, interessati solo al divertimento che talvolta degenera nello sballo. Recentemente ha fatto molto scalpore il delitto dei due giovani romani che, con la mente offuscata da droga e alcol, hanno ucciso un ragazzo di 23 anni «per vedere che effetto fa». E siccome i giornali e la televisione «formano» l’opinione pubblica, si corre il rischio di generalizzare e di avere un giudizio sostanzialmente negativo della odierna gioventù. D’altronde, le giovani generazioni non godono mai di grande reputazione. Non è stato sempre detto che «i giovani non sono più quelli di una volta»? Per fortuna i giovani non sono solo quelli «negativi». Ci sono anche giovani che studiano, si impegnano nel sociale, sono interessati a quello che accade nel mondo, che lottano contro le ingiustizie e le iniquità, che non si rifugiano nell’alcol e nella droga per sfuggire alle difficoltà ma le affrontano con grinta ed entusiasmo. Ce ne sono tanti, anche nei nostri paesi, ma ovviamente (e per fortuna) la loro «normalità» non fa rumore. Ha fatto molto rumore, suo malgrado, un giovane friulano, a cui piaceva impegnarsi a favore del prossimo. Si chiamava Giulio Regeni. A 12 anni era il sindaco dei giovani di Fiumicello, il suo paese. Ha frequentato il liceo a Trieste e poi, grazie a una borsa di studio, ha proseguito il suo cammino didattico negli Stati Uniti ed in Inghilterra. Attualmente era dottorando all’Università di Cambridge e si trovava in Egitto al lavoro su una tesi in politica economica. Ritornava spesso a Fiumicello per incontrare la sua famiglia, i suoi amici, il parroco don Luigi. Nei primi giorni di febbraio, al Cairo, in quel Paese che tanto amava, è stato torturato ed ucciso in circostanze ancora sconosciute. Circostanze che le locali autorità non hanno molta voglia di chiarire. L’oscura morte di Giulio ha scosso le nostre coscienze e generato molte reazioni non solo in Italia ma anche a livello internazionale. È apprezzabile che la nostra Amministrazione comunale abbia aderito alla campagna lanciata da Amnesty International Italia «per non permettere che l’omicidio del giovane ricercatore italiano finisca per essere dimenticato». 2
la meglio gioventù
[ l’editoriale ]
la lettera del Plevàn di don Maurizio Busetti
Le donne avevano preparato oli aromatici e bende quella mattina per andare al sepolcro e prestare mestamente gli ultimi servizi al suo cadavere perché non andasse in decomposizione. Due dei suoi stavano ritornando a casa tristi e delusi nella loro città di Emmaus perché erano già passati tre giorni e di lui non si sapeva più niente. Gli altri amici si erano barricati in casa per non fare la stessa fine del maestro e non sapevano che fare.
tutto sembrava Farisei, sadducei, sommi sacerdoti, capi del popolo tiravano un sospiro di sollievo perché finalmente tutto era finito e di lui non se ne sarebbe più sentito parlare. La gente, finito il riposo del grande Sabato, era tornata tranquillamente alle proprie faccende quotidiane. Cosa restava di quei tre anni passati? Più nulla. Tutto sembrava perduto. Ma non è così. C’è un sepolcro spalancato e vuoto: solo le bende, il sudario e una sindone (lenzuolo), dove era stato avvolto, ben piegati e messi da parte. Angeli che annunciavano, donne che correvano, Maria Maddalena che lo aveva visto e gli aveva parlato, soldati di guardia che non si rendevano conto di ciò che era accaduto. Delle parole chiare: «Va e di’ ai miei fratelli che li aspetto in Galilea» e «Duri e tardi di
Beato Angelico, Noli me tangere, affresco, 1438-1440, Convento di San Francesco (Firenze).
perduto quel giorno... Hallelujah cuore nel credere alle Scritture e a ciò che avevano detto i profeti che il Cristo avrebbe dovuto patire e soffrire ed essere ucciso ma il terzo giorno sarebbe risorto». Cristo è risorto. Hallelujah. Non è più nel sepolcro. Hallelujah. Il canto di gioia e di liberazione prorompe nel cuore di chi lo ama, di chi lo accoglie, di chi aspetta questo felice annuncio. La Chiesa continua ogni anno ad intonare il suo Hallelujah. È questa la risposta al »tutto sembrava perduto». È questa la risposta al «tutto sembra perduto». Il cristiano, la Chiesa sono chiamati, in ogni tempo, a percorrere la strada di Gesù. Anche oggi. Se guardiamo i dati di una recente indagine ISTAT sulla situazione dei credenti e praticanti oggi in Italia i numeri sono sempre più bassi, soprattutto nelle fasce di età giovanile: la cresima sembra
segnare l’addio alla presenza in Chiesa. Da noi i numeri sono sempre più ridotti. Ma non solo i ragazzi e i giovani, anche quelli di una certa età cominciano a rimanere a casa. Sacramenti di Confessione e Matrimonio quasi ormai relegati tra i ricordi del passato. La morale viene costruita su misura di ciascuno. Il peccato è cancellato dalla prospettiva della vita contemporanea. C’è poi da mettere in conto gli scandali del clero. Il Papa viene applaudito quando «bacchetta» vescovi e preti o, sembra cambiare regole e leggi millenarie della Chiesa, ma resta inascoltato quando richiama a pregare, a confessarsi, ad accogliere immigrati, ad uscire dal sicuro e tranquillo rifugio delle chiese per uscire nelle periferie ella società e della storia. Un Papa in cammino, una Chiesa che deve mettersi in cammino. Cristo è Ri3
sorto: non chiede ai suoi di fermarsi nel tempio di Gerusalemme ad offrire sacrifici di montoni, di arieti e di agnelli come da sempre hanno fatto i sacerdoti del suo popolo ma li invita discepoli ad andare in Galilea: la terra di missione.
Buona Pasqua!
[
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[ la ruota della vita ]
NASCITE Benvenuti! Abbiamo suonato le campane per l’arrivo di... Lorenzo Polese di Kristian e di Anita Giannone – Santa Lucia Luca Bordignon di Marco e di Elisabetta Zambon – Dardago Gioia Biasatti di Fabio e di Nicol Bonic – Budoia Ludovica Carlon di Vincenzo e di Noemi Lamanna – Novate Milanese (Mi) Alessandro Zanus Perelda di Marco e di Elisa Di Maggio – Pordenone Ilaria Feller di Claudio e di Serena Chiesa – Besenello (Trento) Serena Iuorio di Giuseppe e di Francesca Civran – Santa Lucia
MATRIMONI Felicitazioni a... Nozze d’oro Franco Del Puppo con Giannina Carlon – Range
LAUREE, DIPLOMI Complimenti! Laurea Gloria Del Zotto – Laurea in Scienze dell’Educazione – Venezia
DEFUNTI Riposano nella pace di Cristo. Condoglianze ai famigliari di… Renato Brusa di anni 92 – Dardago Dosolina Martini di anni 93 – Dardago Elsa Bocus di anni 94 – Dardago Franco Ianna di anni 75 – Milano Silvia Basso di anni 96 – San Daniele Sonia Sfreddo di anni 62 – Budoia Vanda Gambarini di anni 62 – Milano Guido Bocus di anni 67 – Dardago Romano Cecchini di anni 68 – Dardago Maria Bastianel di anni 59 – Dardago Antonio Del Maschio di anni 71 – Aviano Lucia Garlato di anni 76 – Venezia Giovanni Busetti di anni 81 – Venezia René Del Zotto di anni 79 – Budoia Mario Ponte di anni 94 – Santa Lucia IMPORTANTE Per ragioni legate alla normativa sulla privacy, non è più possibile avere dagli uffici comunali i dati relativi al movimento demografico del comune (nati, morti, matrimoni). Pertanto, i nominativi che appaiono su questa rubrica sono solo quelli che ci sono stati comunicati dagli interessati o da loro parenti, oppure di cui siamo venuti a conoscenza pubblicamente. Naturalmente l’elenco sarà incompleto. Ci scusiamo con i lettori. Chi desidera usufruire di questa rubrica è invitato a comunicare i dati almeno venti giorni prima dell’uscita del periodico.
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sommario
In copertina. Un evento di portata storica coinvolge l’Archivio dell’antica Pieve di Santa Maria Maggiore. Grazie all’aiuto della Fondazione CRUP e al lascito di Sergio Zambon Momoleti, la Redazione de l’Artugna ha potuto dar inizio alle operazioni di salvaguardia degli antichi documenti. Il «Centro Studi e Restauro» di Gorizia è stato incaricato di eseguire il delicato ed importante lavoro.
2 Editoriale di Roberto Zambon 2 La lettera del Plevàn di don Maurizio Busetti 4 La ruota della vita
V·
marzo 20
16
anno X L
6 Salviamo l’archivio storico patrimonio dei nostri tre paesi di Roberto Zambon
137
9 A Spilimbergo due frammenti di pergamena da Dardago di Renzo Peressini
Direzione, Redazione, Amministrazione tel. 348.8293208 · C.C.P. 11716594 IBAN IT54Y0533665090000030011728 Internet www.artugna.blogspot.com
13 Tutti per lei! Un fermento di popolo per la costruzione della nuova chiesa di Dardago di Vittorina Carlon
e-mail direzione.artugna@gmail.com Direttore responsabile Roberto Zambon · tel. 348.8293208
18 Pochi mesi alle prossime olimpiadi di Marco Turri
Per la redazione Vittorina Carlon
19 Le orchidee spontanee del Ciastelàt di Ezio Burelli
Impaginazione Vittorio Janna
20 La ricca flora nella valle dell’Artugna di Marco Palma
Contributi fotografici Archivio de l’Artugna, Melita Bastianello, Sante Ugo Janna, Vittorio Janna, Adriano Macchitella, Marco Palma, Francesca Romana Zambon,
21 La polenta di Budoia all’EXPO di Cristina Barbariol
Spedizione Francesca Fort
22 Palegrén bon e fatholét negre su ’l ciàf di Vittorio Janna Tavàn
Ed inoltre hanno collaborato Francesca Janna, Espedito Zambon
25 Dardago ...e il volontariato di Adelaide Bastianello Thisa
Stampa Sincromia · Roveredo in Piano/Pn
26 Recensione 28 L’angolo della poesia
Autorizzazione del Tribunale di Pordenone n. 89 del 13 aprile 1973 Spedizione in abbonamento postale. Art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone.
29 Sant’Espedito 30 Le processioni a Santa Lucia di Leontina Busetti
Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione di qualsiasi parte del periodico, foto incluse, senza il consenso scritto della redazione, degli autori e dei proprietari del materiale iconografico.
31 Lasciano un grande vuoto... 32 Cronaca 5
35 Inno alla vita 37 I ne à scrit... 38 …dai conti correnti 38 Rendiconto utilizzo lascito Sergio Zambon Momoleti 38 Bilancio 39 Programma religioso
ed inoltre... Cent’anni dalla Grande Guerra Inserto n. 4 a cura di Vittorina Carlon, Vittorio Janna e Roberto Zambon
Fonte unica per una conoscenza storica del nostro territorio.
salviamo l’archivio storico patrimonio dei nostri tre paesi di Roberto Zambon
Scucitura dei fascicoli.
Spolveratura con pennello morbido.
L’archivio storico dell’antica Pieve di Dardago (istituita tra il XII e il XIII secolo) conserva un notevole numero di documenti che si rivelano fonte importantissima ed unica per una conoscenza storica del nostro territorio. Tra l’altro, i registri anagrafici ivi conservati rivestono un ruolo ancor più rilevante, poiché quelli civili sono stati bruciati durante la Seconda Guerra Mondiale. A causa del tempo, del lungo
utilizzo e, talvolta, anche dell’incuria, lo stato conservativo di molti documenti era preoccupante. Le carte dei registri presentavano strappi e lacune causati dalla consultazione; anche gli inchiostri, tendenzialmente acidi, hanno contribuito negli anni al degrado con molte perforazioni, come pure l’attacco di insetti xilofagi. Le legature, inoltre, presentavano danni quali la parziale rottura delle coperte e delle strutture della cucitura. 6
Pulizia in acqua deionizzata.
Da molti anni la redazione del nostro periodico che, per le proprie ricerche storiche, conosce bene l’importanza di tali documenti, riteneva indispensabile un restauro di tale patrimonio. Ma il notevole investimento finanziario non era affrontabile dalla parrocchia senza contributi esterni. In questi anni, in cui i contributi pubblici sono molto diminuiti, se non addirittura azzerati, il restauro dell’archivio rischiava di restare solo un desiderio.
Sotto. Alcune delle principali fasi di lavorazione.
stipulati negli anni precedenti per i lavori di restauro della chiesa parrocchiale e del campanile. La redazione del periodico l’Artugna, con il parere favorevole dell’Amministrazione parrocchiale, pensò di utilizzare il lascito per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio artistico e culturale dell’antica Pieve di Dardago. L’idea era quella di procedere al restauro conservativo dei documenti e di sistemare il secondo piano della canonica per poter accogliere l’archivio e creare un piccolo museo. (cfr. l’Artugna 129, agosto 2013). Nel 2015 la parrocchia ottiene un contributo dalla Fondazione CRUP che copre il 50% delle spese per il restauro dei volumi storici
Ricollatura a pennello con soluzione di tylose.
Nel 2013 riceviamo una buona notizia. Il nostro compaesano, Sergio Zambon Momoleti, deceduto in Francia un anno prima, aveva destinato due lasciti di 45.600 euro alla Parrocchia e al periodico l’Artugna. La grande generosità di Sergio Zambon ha interessato anche altre realtà locali. Il Consiglio parrocchiale per gli Affari Economici di Dardago decise di destinare l’importo del lascito per abbattere parte dei tre mutui
Tutti i manoscritti sono stati scuciti e ogni foglio spolverato e sgommato per asportare polvere e altre impurità. Il materiale, dopo un controllo sistematico del grado di solubilità degli inchiostri, è stato sottoposto ad un processo di pulizia per via umida consistente nell’immersione dei singoli fogli, inseriti in un supporto di tessutonon-tessuto, in acqua deionizzata alla temperatura di 40 °C: successivamente i fogli hanno subìto la deacidificazione per immersione in una soluzione di propinato di calcio in acqua per essere, infine, asciugati a temperatura ambiente. Ove necessario, ad esempio in presenza di danni provocati alla cellulosa dalla corrosione degli inchiostri, è stata effettuata una
Applicazione di carta giapponese su bordi e zone fragili.
dell’archivio per una spesa massima ammissibile di 30.000 euro. Contando su 15.000 euro di contributo e su parte del lascito ricevuto dal nostro periodico, viene affidato il delicato lavoro al Centro Studi e Restauro di Gorizia. Del cospicuo numero di documenti presenti nell’Archivio Storico della Parrocchia di Santa Maria Maggiore di Dardago, sono stati presi in considerazione 27 registri canonici, bisognosi di restauro. 7
Cucitura dei fascicoli con refe di lino.
operazione di «risarcimento» consistente nel far aderire nel recto una toppa di carta giapponese simile all’originale e nel porre sul verso una toppa di carta delle stesse caratteristiche utilizzando un idoneo adesivo chimico. Anche i bordi e le zone fragili sono stati sottoposti a velatura con velo giapponese di idoneo spessore. Le legature in pelle di tipo archivistico sono state sottoposte ad
ELENCO DEI VOLUMI SOTTOPOSTI AL RESTAURO NEL 2015
10 2 5 1 1 2
Registri dei Battesimi relativi ai periodo 1657-1890 Registri dei Matrimoni (1687-1717 e 1760-1873) Registri dei Morti relativi al periodo 1685-1908 Cartella di Testamenti Libro Istromenti (1251-1765) Libri dei Conti Vener. Chiesa di Santa Maria Maggiore di Dardago (1697-1707 e 1779-1805)
una operazione di distacco della pelle dal cartone a secco per poter consolidare o ricostruire il cartone e per effettuare, ove necessario, il risarcimento della pelle con innesti di nuova pelle e colla. Interventi ancora più complessi sono stati effettuati sulle legature in pergamena o in piena pelle. I vari volumi sono stati poi «ricostruiti» con l’inserimento e la legatura dei singoli fogli. Al fine di garantire una corretta e duratura conservazione sono stati realizzati contenitori su misura per ogni singolo volume. II costo complessivo delle operazioni (preventivamente autorizzate dalla Soprintendenza Archivistica di Trieste e dall’Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici della Curia di Pordenone) è stato di 37.356 euro. La seconda fase del restauro riguarda 21 Registri canonici manoscritti e 6 Libri antichi a stampa. Il preventivo è di 34.989 euro. Il lavoro sarà eseguito se la Fondazione Crup accoglierà la nostra domanda di contributo. In tal caso la redazione de l’Artugna, attingendo dal lascito, metterà a disposizione ulteriori 17.495 euro.
ELENCO DEI VOLUMI DA RESTAURARE NEL 2016
Registri canonici manoscritti 5 1 1 3 1 1 1 1 1 6
Registri dei Morti relativi ai periodo 1816-1871 Registri degli Sponsali Registri dei Cresimati Anagrafe delle famiglie (Dardago, Budoia, Santa Lucia) Catastico del 1757 Estratto Affitti Storia della Parrocchia Rotolo o Libro Maestro Indice Libri dei conti dal 1697 al 1805 Registri antichi a stampa
1 1 1 1 1 1
Missale Romanum, 1823 Dogado di Venezia, 1777 Missale Romanum, 1766 Libro di Teologia, fine 1700 Constitutiones Synodales Concordienses, 1768 Commun di Budoja, stampa al Laudo, 1754
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In occasione dell’importante opera di restauro conservativo dell’Archivio parrocchiale, si terrà nel teatro di Dardago, il prossimo 14 maggio, un importante convegno dal titolo
Il valore storico-culturale delle pergamene Il convegno, promosso dalla redazione, si inserisce nell’ambito della Settimana della Cultura Friulana, organizzata dalla Società Filologica Friulana, e vedrà la presenza di esperti del settore oltre alle autorità civili e religiose. In margine al convegno sarà allestita una mostra fotografica delle fasi di restauro dei documenti a cura di Vittorio Janna.
a Spilimbergo due frammenti di pergamena da Dardago di Renzo Peressini
Lo spoglio sistematico del corpus di pergamene esistente presso l’Archivio parrocchiale di Spilimbergo, che lo scrivente sta portando avanti da qualche tempo, offre ogni tanto, pur nella ripetitività delle situazioni giuridiche, interessanti spunti per approfondimenti in più direzioni. I citati documenti, in genere atti notarili, prodotti e raccolti nel corso di diversi secoli, dovrebbero essere tutti relativi all’amministrazione dei beni della chiesa di Santa Maria, ma non è sempre così: vi compaiono anche atti estranei che, seguendo percorsi ormai non più ricostruibili, si sono aggiunti in tempi diversi a quelli pertinenti alla gestione del patrimonio della chiesa stessa. Alcuni di essi si riferiscono addirittura a località diverse da Spilimbergo. Due pergamene, in particolare, meritano una segnalazione, intesa principalmente a suscitare l’interesse e la curiosità degli appassionati di storia locale che si occupano delle vicende di Dardago e dintorni. La numerazione progressiva degli atti spilimberghesi, attribuita dopo le operazioni di restauro, ha assegnato a tali pergamene i numeri 102 e 103. Si tratta di due porzioni di una stessa pergamena che, con tagli orizzontali, è stata intenzionalmente smembrata in più parti, almeno quattro. I due lacerti superstiti misurano rispettivamente cm 22x60 e cm 22x25. Non è dato sapere
quanto misurasse la pergamena nella sua integrità, ma certamente si trattava di un documento lungo e stretto. Il contenuto dell’atto è un elenco di beni immobili fondiari appartenuti ad un unico proprietario (probabilmente una
documento. Tuttavia atti di questo tipo utilizzano spesso toponimi locali, sia utili al riconoscimento della dislocazione dei terreni descritti sia come località di provenienza di qualche persona o ente nominato all’interno dell’atto.
Volume «La pieve di Dardago tra XIII e XVI secolo, Le pergamene dell’Archivio» di Carlo Zoldan, edito da l’Artugna, 2008.
chiesa). Ogni singolo appezzamento incluso nell’elenco è identificato con la descrizione dei relativi confini. Per ciascun bene, inoltre, viene indicato l’affitto che si riscuoteva e il nome di chi era tenuto al pagamento. Nei due frammenti sopravvissuti non è compresa la parte iniziale del lungo atto notarile, e a causa di tale mancanza non possiamo conoscere la data precisa di compilazione né il luogo in cui la pergamena è stata scritta, elementi che di norma si trovano nelle prime righe di ogni 9
È proprio questa particolarità, presente nei sopra descritti lacerti di pergamena, che ci induce a ipotizzare che Dardago (o altro paese nelle immediate vicinanze) sia il luogo d’origine dell’atto notarile. Anche la conclusione del documento è mancante, e quindi non abbiamo nemmeno il nome del notaio, che solitamente si sottoscrive, con qualifica e segno di tabellionato, in calce alla pergamena. Se il contenuto dell’atto, con la citata presenza di toponimi, ci aiuta ad individuare la località di provenienza della
pergamena, soltanto partendo dal tipo di scrittura si potrà tentare di risalire all’identità dell’estensore materiale dell’atto. Carlo Zoldan ha curato l’edizione delle pergamene presenti nell’Archivio della pieve di Dardago, fornendone regestazione, trascrizione, traduzione, ma anche, ciò che qui più importa, riproduzione fotografica.1 Da un immediato confronto tra le immagini ivi riprodotte e i lacerti sopra descritti si rileva che la scrittura delle pergamene spilimberghesi è indubbiamente quella del notaio Giovanni di Francesco da Nonta (Iohannes quondam ser Francisci de Nonta),2 presente nell’Archivio parrocchiale di Dardago con diverse pergamene di sua mano. Il riconoscimento del notaio estensore fornisce anche un dato cronologico abbastanza preciso riguardante la stesura dell’atto. Zoldan ci informa che il citato notaio «opera a Polcenigo agli inizi del 1400»,3 e questa è una prima indicazione. Se consideriamo che gli atti del notaio Giovanni presenti a Dardago sono compresi in un arco di tempo che va dal 1388 al 1416, possiamo, con buona approssimazione, datare le pergamene presenti a Spilimbergo all’interno dei primi due decenni del XV secolo. Ma, volendo pervenire ad una più precisa definizione cronologica, qualora sia ancora possibile, è doveroso approfondire i confronti. Se si presta specifica attenzione alla pergamena 15 (datata 29 settembre 1407) dell’Archivio parrocchiale di Dardago, riprodotta a pagina 80 dell’edizione di Zoldan, si può notare che è molto simile alle due pergamene spilimberghesi, come risulta da alcune significative caratteristiche: non è una pergamena intera essendo mutila della parte inferiore; pur in mancanza del nome del notaio vi si riconosce la scrittura di Giovanni da Nonta; il contenuto è quello sopra descritto, pur riferito
PERGAMENA 102
Item Antonius dictus Favitus tenetur solvere anuatim de fictu star unum frumenti et star unum milii et congium unum vini et decimam stancie in qua habitat, cuius stancie tales nunc sunt confines: a mane est grava Artugne, a meridie est terrenum rectum per Nicolaum de Rigo, a sero et a montibus sunt vie publice. Item unum nemus est situm in Gof, cuius nemoris tales nunc sunt confines: a mane est nemus ser Gaspardi de Aviano, a meridie est nemus rectum per Olvradum a sero est nemus Varneri quondam Martini de Dardaco. Item unus campus situs in Capsial, cuius campi tales nunc sunt confines: a mane est terrenum Nicolay dicti Caldaroli, a meridie est terrenum Fufoli, a sero est terrenum Marini, a montibus est terrenum Martini quondam Nicolay Colgati. Predictus Antonius tenetur solvere decimam predicti campi. Item unus campus situs ad Polperias, cuius campi tales nunc sunt confines: a mane est terrenum Andree quondam Zani, a meridie est terrenum rectum per Nicolaum de Rigo, a montibus est via publica, et decima predicti campi est ser Melchioris. Item unus campus situs in Campanea, cuius campi tales nunc sunt confines:
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a mane est terrenum Iacobi Frassce, a meridie est terrenum rectum ‹per› Andream quondam Zani, a sero est terrenum Andree de Maço, a montibus predicti Iacobi, et decima est predicte luminarie. Item una pecia est in Campanea iusta Calem de Veladol infra suos confines, et decima [est] predicte pecie est predicte luminarie. Item Nicolaus de Rigo tenetur solvere anuatim quartas II frumenti de planta sita in Rovoredo, cuius plante tales nunc sunt confines: a mane est terrenum Glamarii, a meridie est via publica, a sero est terrenum Nicolay cortelarii de Portusnaonis nunc rectum ‹per› Varnerium quondam Martini, a montibus est terrenum heredum olim Vignudi olim Antulini, et de una centa sita in loco qui ‹dicitur› in Riveta, cuius cente tales nunc sunt confines: a mane est terrenum Fufoli, a meridie est via publica, a sero est terrenum Andre‹e› quondam Zani. Item predictus Nicolaus tenetur solvere anuatim libras II olii de uno campo sito [sito] in Vale de Crodo, cuius tales nunc sunt confines: a mane est via publica, a meridie est terrenum Marini, a sero sunt Communia. Item predictus tenetur solvere anuatim
de quodam terreno sito iusta eius stanciam: a mane predicti terreni est eius stancia, a meridie est stancia Francisci olim Dominici olim Antulini, a sero est terrenum heredum domini Iacobi de Pulcinico, a montibus est terrenum ser Aluvissii de Pulcinico, rectum per predictum Nicolaum. Item Franciscus olim Dominici Antulini tenetur solvere anuatim de livello soldos X et parvulos VIII de stancia in qua ipse habitat, cuius stancie tales nunc sunt confines: a mane et a meridie sunt vie publice, a sero est terrenum heredum domini Iacobi, a montibus est terrenum predicte luminarie, rectum per Nicolaum de Rigo. Item predictus Franciscus tenetur solvere de livello quartam unam frumenti de una planta sita et posita in Artugna, cuius plante tales nunc sunt confines: a mane est terrenum Andree quondam Zani, a meridie est predicti Andree, a sero est via publica, a montibus est terrenum ser Bartholomey, rectum per Mirandinum. Item predictus Franciscus tenetur solvere decimam unius campi siti sul Lama Saluyera, cuius campi tales nunc sunt confines: a mane est terrenum Dominici Coraducii, a meridie est heredum Cessei(?) olim deani(?), a sero terrenum Zaneti olim Nanfosii. Item Chinus quondam Federici de Dardaco tenetur solvere decimam duorum iugerum sitorum in Campanea, quorum tales nunc sunt confines: a mane est via publica, a meridie est terrenum Iacobi quondam Armani Albi, a sero est terrenum Petri Cichilini. Item predictus tenetur solvere decimam unius campi siti ad Sanctum Martinum, cuius campi tales [tales] nunc sunt confines: a mane est terrenum decani rectum per Thomaxium quondam Durigusii, a meridie est via publica, a sero est terrenum Dominici quondam Coraducii. Item predictus tenetur solvere decimam unius campi ad Sanctum Martinum, cuius ca‹mpi› tales nunc sunt confines: a mane est terrenum ser Nicolay quondam ser Vigurosii rectum per Lacerinum, a meridie est terrenum Francisci olim Dominici Antulini, a sero est terrenum Antonii dicti Bravini. Item predictus tenetur solvere decimam unius campi siti ad Calem Aviani, cuius campi tales nunc sunt ‹confines›: a mane est terrenum nunc rectum per Nicolaum de Rigo, a meridie est terrenum Petri Cichilini, a sero est terrenum Iacobi olim Armani Albi. Item predictus tenetur solvere decimam unius campi siti etiam ad Calem Aviani, cuius tales nunc sunt confines: a
mane est terrenum decani rectum per Thomaxium quondam Durigusii, a meridie est terrenum Marini, a sero est terrenum predicti domini decani rectum per predictum Thomaxium, a montibus est via publica. Item predictus tenetur solvere decimam unius pecie site in predicto ‹loco›, cuius pecie tales nunc sunt confines: a mane et a meridie sunt vie publice, a sero est terrenum heredum olim Pirusii Fabris, rectum per Fufolum. Item predictus tenetur solvere decimam unius campi siti in predictis confinibus, cuius campi tales nunc sunt confines: a meridie est terrenum heredum Pirussii Fabris, rectum per dictum Fufolum, a sero est via publica, a montibus est terrenum Iacobi olim Armani Albi. Item predictus tenetur solvere decimam unius campi siti ad Longoriam, cuius campi tales nunc sunt confines: a mane est terrenum presbiteri Dardaci, a meridie est terrenum predictorum heredum Pirussii Fabris, rectum per dictum Fufolum, a sero est via publica. Item predictus tenetur solvere decimam unius campi siti ad Maseriam Ladam, cuius campi tales nunc sunt confines: a mane est terrenum predicti presbiteri rectum per dictum Franciscum, a meridie est terrenum predicti Chini, a sero est etiam predicti presbiteri. Item predictus tenetur solvere decimam unius pecie site iusta Calem Aviani sub Curtina, cuius campi tales nunc sunt confines: a mane est terrenum Olvradi, a meridie et a sero sunt vie publice. Item predictus tenetur solvere decimam unius pecie site in predicto loco, cuius pecie tales nunc sunt ‹confines›: a mane est terrenum rectum per Andream quondam Zani, a meridie est terrenum domini Simonis rectum per Zulonum. Item predictus tenetur solvere decimam unius campi siti ad Valem de Croda iusta Collum Belvederi. Item predictus tenetur solvere decimam unius campi siti in Camsialt, cuius campi tales nunc sunt confine‹s›: a mane est terrenum Nicolay dicti Caldaroli, a meridie est terrenum Iacobi Armani, a sero est terrenum Blaxii olim Zussii, a montibus est terrenum Fufoli. Predictus Chinus tenetur solvere de fictu omni anno libras IIIIor de predictis campis minus soldis V. Item predictus tenetur solvere decimam stancie in qua nunc habitat, cuius stancie tales nunc sunt confines: a mane est terrenum Iacobi Armani, a meridie est via publica.
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Segno del tabellionato del notaio Giovanni da Nonta.
ad altri attori; la larghezza è la stessa delle altre due; la lunghezza è pari a quella della pergamena 102. Di fronte ad una simile convergenza di dati viene subito da pensare che la pergamena 15 di Dardago e le pergamene 102 e 103 di Spilimbergo siano parti smembrate di uno stesso documento. Sommando le misure di questi tre lacerti ne risulterebbe un unico foglio di una lunghezza insolita, ma non improbabile: sappiamo dell’esistenza di pergamene che superano i tre metri. Ma perché ridurre in pezzi separati una pergamena? È probabile che l’intento, proprio a causa della lunghezza, sia stato quello di agevolarne la consultazione, e ciò fu possibile almeno fintanto che le singole parti erano conservate insieme, in un luogo ad esse destinato. Se i fatti si sono svolti proprio così, come pare probabile, le tre parti di pergamena hanno necessariamente un’unica data di compilazione, e quindi anche ai due frammenti di Spilimbergo è attribuibile la stessa data della pergamena 15 di Dardago, e cioè 29 settembre 1407. Quanto fin qui esposto si configura come ipotesi attendibile, ipotesi che tuttavia successive mirate ricerche
(o occasionali fortuiti ritrovamenti) potranno confermare o smentire. Per intanto si propongono le trascrizioni delle due pergamene dell’Archivio parrocchiale di Spilimbergo che, se non altro, potranno essere utilizzate per i dati toponomastici ed
antroponimici ivi contenuti. Si segnala che l’inchiostro, piuttosto sbiadito, ha creato qualche incertezza di lettura, pur con l’ausilio della lampada di Wood. I dubbi sono segnalati con un punto di domanda tra parentesi.
NOTE 1. C. Zoldan, La pieve di Dardago tra XIII e XVI secolo. Le pergamene dell’Archivio, Dardago-Budoia-Santa Lucia, l’Artugna, 2008. 2. Nonta è una località della Carnia, nei pressi di Socchieve. 3. C. Zoldan, la pieve di Dardago cit., p. 21.
PERGAMENA 103
Item Hendricus dictus Fufolus quondam Zuniti tenetur solvere de livello anuatim calveam unam frumenti de una pecia terre sita in districtu Pulcinici in loco qui dicitur ad Callem Aviani, cuius tales sunt confines: a mane est via publica, a meridie est terrenum Iohannis quondam Iacobi Usure, rectum per Chinum quondam Federici, a sero est terrenum heredum olim Petri quondam Pirusii Fabris de Sacilo, rectum per ipsum Hendricum ut supra, a montibus est terrenum domini decanis concordiensis, nunc rectum per Iacobum dictum Trivilinum. Item Varnerius quondam Martini tenetur solvere anuatim de livello quartam unam frumenti et calveas tres avene de tribus peciis terre et decimam duarum peciarum predictarum. De ‹quibus› prima pecia est in districtu Aviani in loco qui dicitur Ultra Artugnam, cuius tales sunt confines: a mane est terrenum Sancte Marie de Castro Aviani, nunc rectum per Nicolaum quondam Marcucii, a meridie est terrenum ser Nicolay quondam ser Francisci olim Popaytis de Portunaonis, rectum per Petrum dictum Niconum, a sero est terrenum predicti Varnerii suprascripti, a montibus est terrenum predicte Sancte Marie de Aviano, rectum per dictum Nicolaum ut supra. Item secunda pecia est in loco qui dicitur ad Calem Eclesie, cuius [a mane] tales nunc sunt confines: a mane et a meridie sunt vie publice, a sero est terrenum decanis concordiensis, a montibus est terrenum Hendrici dicti Fufoli. Item tercia pecia est in loco qui dicitur ad Callem Molendini, cuius a mane est terrenum ser Bartholomey, rectum per Chinum, a meridie est terrenum Iacobi dela Freta, a sero et a montibus sunt vie publice, de qua pecia decima pervenit presbitero Dardaci. Item Paulus quondam Mame tenetur solvere anuatim de livello soldos XVI et medietatem unius colli et cuiusdam
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pecie site ad Cossoratum, cuius colli tales nunc sunt confines: a mane est terrenum predicti Pauli et a meridie, a sero est terrenum domini Francisci quondam domini Pelegrini de Pulcinico, nunc rectum per Teotonicam, a montibus predicti Pauli. Item pecia est in predicto loco, cuius pecie tales nunc sunt confines: a mane est predictum terrenum ser Francisci ut supra, a meridie est terrenum Sancte Marie de Dardaco, nunc rectum per Mirandinum, a sero est terrenum Martini quondam Nicolay, rectum per Chinum, a montibus est terrenum domini Iacobi quondam domini Niculusii, rectum per Andream quondam Vendrami olim Mathie de Budolia. Item predictus Paulus tenetur solvere decimam unius pecie site in loco qui ‹dicitur› Cantsiant, cuius tales sunt confines: a mane est terrenum decanis concordiensis, rectum per Iacobum dictum Trivilinum, a meridie est terrenum Martini quondam Nicolay, rectum per suprascriptum Chinum, a sero est predicti Pauli, a montibus est via publica. Item predictus Paulus tenetur solvere decimam unius pecie site ad Cossoratum, cuius tales sunt confines: a mane est terrenum predicti domini Francisci rectum per Teotonicam, a meridie est terrenum Francisci dicti Tudiscuti, a sero et a montibus est terrenum ser Maynardi quondam domini Praogne, nunc rectum per Nirussinam(?).
tutti per lei! Un fermento di popolo per la costruzione della nuova chiesa di Dardago di Vittorina Carlon Alla fine del XVIII secolo, per l’esattezza nel 1786, l’amministrazione della pieve di Santa Maria Maggiore di Dardago decise di ricostruire la sua chiesa, «non corrispondendo più l’antica fabbrica al numero delle anime1», cresciuto notevolmente negli ultimi decenni. L’intraprendente don Beltrami, pievano dal 1775, superò con saggezza i parecchi ostacoli che via via gli si presentavano, almeno due di
rilevante importanza: lo scavo per le fondamenta, reso difficoltoso dalla presenza dell’antico cimitero che circondava la chiesa, per il rischio di sconvolgere le sepolture più recenti, e l’ingente spesa da sostenere, «a confronto alla tenuità de’crediti e civanzi». Non andava dimenticato, però, un ulteriore gravoso problema: parte del sagrato era occupata dall’oramai fatiscente e instabile
torre campanaria,2 che sarà demolita all’inizio degli anni Venti del XIX secolo, posta a lato in posizione avanzata rispetto all’edificio sacro, probabilmente a sinistra dove la superficie era più estesa, considerando che la chiesa preesistente copriva un’area di soli duecentosettanta metri quadrati circa, contro gli oltre settecento della nuova. L’intera superficie confinava «a Levante con i campi di proprietà
della famiglia Zambon, a Ponente con la strada pubblica, a Mezzogiorno con i beni del veneziano Niccolò Tosi»; l’attestazione del pievano Marco Tomasino, del 1765, non cita il confine a Settentrione, poiché il sagrato con annesso cimitero era attiguo al cortile della canonica e non c’era quindi traccia dell’attuale strada pubblica, come si evince dalle mappe catastali ottocentesche. Sul lato destro della chiesa esisteva un edificio di dieci metri quadrati, contrassegnato con la lettera «E» (foto 1) adibito a «stanza mortuaria» di proprietà del Comune. Una realtà insolita. Si trattava probabilmente della stessa struttura ripresa dall’obiettivo del fotografo Bernardis, a fine Ottocento. Con la caduta della Serenissima, la proprietà Tosi fu ereditata dal Comune, divenendo edificio adibito a scuola elementare con «terreno ad uso della scuola comunale di proprietà del comune di Budoia». Dopo oltre un anno di silenzi e di divieto di scavi per sepolture nello spazio riservato alle fondamenta della nuova costruzione,
don Beltrami ricevette dal vescovo il decreto d’erezione dell’edificio e dal Luogotenente di Udine l’assegnazione di un «Fante Sanitario per la sorveglianza nell’escavo»; contemporaneamente ottenne dal Senato della Serenissima il permesso di «un taglio di legna su’ fondi Comunali delle Cengle» per la necessità del cantiere. Come s’intervenne? Inglobando sì l’antica fabbrica ma non demolendola a conclusione della copertura della nuova – come accadde per Budoia e, per citare esperienze di ricostruzioni viciniori, per le chiese di San Giovanni di Polcenigo3 e di Marsure4– bensì «nel corso di lavoro». Infatti «[...] il popolo rimaneva quasi alla scoperta avendosi dovuto [...] atterrare l’antica». S’ipotizza, quindi, che una parete (la destra?) fosse rimasta intatta, ovviamente poi ingrandita secondo il disegno stabilito e che, quindi, la struttura fosse stata allargata proprio al lato opposto, oltre che allungata verso Levante e in modo limitato a Ponente per la presenza dell’antica torre campanaria. 14
L’ipotesi che possa trattarsi del lato destro è rafforzata almeno da due elementi: dalla datazione «1600 adì 27 marzo», incisa nell’architrave del portone laterale destro privo di segni di riadattamento; dalla documentazione, in cui si attesta la realizzazione di un’unica porta laterale o meglio l’adattamento di parti di recupero esistenti, con ogni probabilità di elementi della «porta maggiore» della precedente chiesa. Non è, infatti, dimostrato l’acquisto di pietra viva da scolpire da parte del lapicida Gio.Batta Antonelli, il cui compenso fu assegnato solamente per aver lavorato «a torno alla porta latterale», nel 1790. In due sole notti si tracciò il fosso perimetrale e in quattro giorni furono «empiute le fondamenta», sotto il controllo del Fante della Municipalità, e in quattro anni l’edificio raggiunse la copertura. La ricostruzione della fabbrica coinvolse le maestranze dell’intera pieve: dai muratori ai manovali, dai segantini agli scalpellini, dai falegnami ai fabbri, dai boscaioli ai car-
più bassa ed, impediti dal vecchio Campanile, sette piedi più corta». Lapicidi, scalpellini e «talgiapietra»
Datazione incisa nell’architrave della porta laterale destra della chiesa.
A sinistra. Mappa del Catasto napoleonico-austriaco (1837). Particolare. La chiesa di Dardago (A), il cimitero (B), il campanile (F), già eretto all’esterno del sagrato, e la stanza mortuaria (E).
rettieri, ai fornaciai..., che con le loro competenze contribuirono in svariati modi alla sua erezione. «Capomistro, murari e manovai» Sia per le limitatezze finanziarie sia pure per la fretta di erigere una chiesa, nuova e soprattutto funzionale «onde ridurla capace a contenere quella accresciuta popolazione», il progetto non fu affidato alla competenza di un noto professionista come accadde alla fabbrica di Budoia,5 bensì si preferì scegliere un abile ‘capomistro’ che comunque avesse una comprovata esperienza di edifici sacri. Ed ecco il ritorno in scena dei Cardazzo Martin di Budoia: questa volta, non Angelo,6 bensì il padre Giacomo che aveva già operato nella chiesa di San Giovanni di Polcenigo, nel 1763. Si parla di lui in un’annotazione di spesa dell’undici marzo 1792, per «il dissegno della chiesa». Si tratta della famiglia artigiana budoiese, la cui abitazione con il rispettivo magazzino
fu localizzata e descritta nel contributo precedente. Giacomo inserì nella sua squadra i ‘murari’, i ‘mistri’ Antonio, Anzolo7 e Domenico de Pelegrin, Daniel Dolfin (Bocus), Mattio Bocus detto Dolfin, Lorenzo Bocus, Giacomo Carlon, Valentino Cardazzo, Bortolo Ianna, Tomaso del Maschio, Batta Anzelin, ,..., e tra i manovali, Osvaldo Parmesan, Domenico Zambon Marin, Domenico della Ianna... Il lavoro, da lui diretto, procedette a ritmo sostenuto e la «calzina per la fabrica» pareva essere sempre insufficiente.8 Come riferito, essendosi dovuta atterrare l’antica struttura nel corso dei lavori e trovandosi i fedeli, quindi, a partecipare alle cerimonie religiose quasi allo scoperto, «non si pensò gran fatto all’Architettura, ma si sollevarono i semplici muri; né si posero le fondamenta del Coro [...]», erette solamente nella primavera del 1797. Inoltre, «come finalmente per lo stesso bisogno di giungere velocemente al coperto», la chiesa «fu tenuta cinque piedi 15
A fianco dei muratori, operava la nutrita ed efficiente squadra dei lapicidi. Tra loro si attesta la presenza degli Antonelli,9 prestigiosa famiglia di cui alcuni componenti si elevarono alla creazione di opere di un buon livello artistico non solo nelle chiese della pieve, ma in quelle di Maniago, Rauscedo, Marsure10 e di altri luoghi ancora. Nel 1790, mistro Gio:Batta Antonelli, già ultrasessantenne, figlio di Anzolo e nipote del ben conosciuto altarista Giambatta, operò insieme all’ultimogenito Iseppo (n.1765) alla realizzazione della classicheggiante «porta maggiore» di pietra bianca. Nel 1801, l’altro figlio di Giambatta, Francesco (n.1758), scolpì invece i portali d’ingresso alle due sacrestie con frontoni semicircolari; contemporaneamente Angelo sbozzò «cantoni e archi» per il coro. Della qualificata bottega degli Antonelli si parlò a lungo in altre occasioni e continua ad essere lavoro di ricerca. Nel 1790 si giunse all’altezza della cornice dell’edificio e all’inizio della copertura del tetto: è quanto ebbe modo di verificare il vescovo Giuseppe Maria Bressa, durante la sua visita pastorale, il 12 marzo 1790. Per la lavorazione e la posa delle lastre di pietra per «la cornise», materiale acquistato dalla bottega di segantini e scalpellini di Giovanni Cipolat di Aviano11, operarono i mistri Nicolò Santin e Bortolo Carlon. I Carlon, appunto, con ‘mistro’ Bortolo12 (n. 1735) e i figli Michiel (n. 1762) e Giovanni (1774) – famiglia che teneva bottega di tagliapietra già a fine Seicento con il nonno Michiel e il bisnonno Bortolomio – lasciarono la loro firma nel pavimento del coro, nel 1806. Nei primi decenni del Settecento emigrarono in Russia, con ogni proba-
bilità a Mosca, tanto che dal 1842 il ramo di Giovanni, con i figli Bartolomeo, Antonio e Angelo, registra le nascite delle nuove generazioni con il soprannome Moscovit, evidente dimostrazione dei rapporti di lavoro con la capitale russa. Il loro laboratorio potrebbe essere localizzato nella zona inferiore di via Lunga, in Budoia. Tra i lavoratori della pietra si riscontrò, inoltre, la presenza di un’altra famiglia di Budoia: gli Scussat/to,13 già attivi con «mistro Marco Scussatto» nell’antica fabbrica con l’esecuzione di un «campaniletto» nel 1705. Nel 1788-89, il
nipote Gio:Batta14 (n. 1729), figlio di Antonio, scolpì «venti cantonali» per il nuovo edificio. Nella primavera del 1797, m° Nadal Scussat intervenne per la realizzazione delle fondamenta del coro, struttura che aveva preso graficamente forma già due anni prima. Nel 1806, anche Bortolo si trovò impegnato a operare «attorno il coro». E con gli Scussat, pure i della Ianna, Domenico e Angelo, contribuirono all’attuazione degli angolari del fabbricato del coro, nel 1801; in quell’occasione Angelo fungeva da «folier». A mano a mano che la costruzione s’innalzava, le difficoltà aumentavano, impegnando attivamente le strategie degli esperti: furono resocontate diverse giornate di lavoro, dedicate esclusivamente «attorno la prospetiva del coro»; per l’attuazione del «modello del soffitto», al progettista Giacomo si affiancò pure «l’architeto m° Valentino Cardazzo», suo nipote appena ventenne, figlio di Anzolo. E l’elenco dei tagliapietra e degli scalpellini si allungava, fornendoci un’accurata visione delle famiglie artigiane operanti nei secoli XVIII e XIX: i Santin/Santino, con
Osvaldo di Domenico di Nicolò, e i Tres di Budoia, ben conosciuti anche oltre il Comune, di cui parlammo nell’articolo riguardante la chiesa di Sant’Andrea apostolo; i Bardelin, un’intera famiglia di scalpellini, con Bortolo, Domenico15 e Gio:Batta, quest’ultimo levigò i «dieci scalini [...] per l’altar del coro [...]», nel 1805. E inoltre i Bre-
1821). Cfr. V. CARLON, Capomistri, talgiapietre, marangons. in l’Artugna, 133, 2014, 811; P. TOMASELLA, Antonio Aprilis da Cusano: un interepete ignorato dell’architettura neoclassica, Atti dell’Accademia «San Marco» di Pordenone, 12 (2010), 515-526. 6. Angelo Cardazzo, «capomistro» a cui fu affidato l’incarico dell’erezione della chiesa di Budoia su progetto di Aprilis. Cfr. Capomistri, 8-11. 7. Angelo Pellegrini operò nella chiesa di Marsure tra il 1765 e il 1789. APM, «Libro di tutte le Parti che stabilise li Camerari e Gastaldi...», I, 94. Il 2 novembre 1765, l’amministrazione della chiesa di San Lorenzo chiede un sopralluogo al «professore in arte D.o Anzolo Pellegrin». 8. Alcuni esempi: 1787-1788 «n° 10 carri per la fabrica»; 10 aprile 1790 «contadi a Giovanni Zambon per calzina; 20 novembre
1790 «ancora calzina»; 3 novembre 1791 «per il dazio per far calzina per la fabrica della chiesa»; 10 aprile 1793 «a Pietro Vettor per calzina per bagnar detta calzina»; altrettanto per Giuseppe Bocus; 20 gennaio 1794 «a Anzolo Parmesan per calzina»; 26 luglio 1803 a Bravin Caselut di Coltura per [...] la fornace di calzina fata dal Comune con legna»; 10 maggio 1805 «per cusinare una fornace di calzina meno le legne dal Comune per carità l. 113:00»; 25 luglio 1803 «a Giovanni Rigo Moreal per calzina». 9. V. CARLON, I lapicidi dardaghesi, in l’Artugna, XXXII, 99, 2003, 9-13; EADEM, Gli Antonelli, lapicidi dardaghesi in Paesi di Pietra. Bianchi ciottoli dell’Artugna. Dialogo tra l’uomo e il suo torrente, Budoia 2006, 42-47. 10. APM, «Amministrazione di parte della Veneranda Chiesa di S. Lorenzo», 297r: 1708 «speso a mis° Batta Antonello taglia-
Gli edifici che fiancheggiano il lato meridionale del sagrato.
NOTE 1. La suddetta attestazione e le altre presenti nel testo sono tratte dalla documentazione dell’Archivio della Parrocchia di Santa Maria Maggiore di Dardago. 2. Oggi veggiamo uno spettacolo, in A. FADELLI, Storia di Budoia, Appendice. Schede di approfondimento, a cura di Vittorina Carlon..., Pordenone 2009, 172-174. 3. A. FADELLI, C. SOTTILE, La chiesa di San Giovanni Battista a San Giovanni di Polcenigo, San Giovanni di Polcenigo 1997, 49: “Il 27/4/1763 s’iniziò lo scavo delle fondamenta lasciando la vecchia chiesa ancora intatta, visto che si continuavano a svolgere regolarmente le funzioni». 4. Archivio parrocchiale di San Lorenzo di Marsure (d’ora in poi, APM). 5. Il progettista della nuova parrocchiale di Sant’Andrea apostolo fu l’architetto Antonio Aprilis di Cusano di Zoppola (1745-
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Pietro Carlon (non del ramo Moscovit) con la loro bottega. Le colonne doriche della facciata «furono aggiunte al momento che venne stabilita (la chiesa)» – scriveva il pievano don Andrea Cardazzo – e in tale fase fu probabilmente incastonato nel muro laterale esterno verso Meridione, un antico tondo floreale lapideo, caratteristico dei lapicidi comacini, simbolo di rinascita e di rinnovamento appartenente al precedente edificio, come sigillo indistruttibile di una qualificata presenza lontana. Altri simili, di dimensioni diverse, furono collocati negli stipiti della porta laterale, verso Settentrione. Tondi uguali erano già esistenti nelle colonne delle «piramidi» (guglie) all’ingresso del sagrato.
scanzin,16 presenti in paese, solamente per un breve periodo. Era continua e incessante la richiesta di pietra e, perciò, intervennero altri laboratori di scalpellini: Pietro Vettor forniva «pietra viva», mentre il marmista Mattio Tres procurava «lastre di pietra per il pavimento della sacristia»; inoltre, si attestano gli interventi di Osvaldo e
Per la struttura del tetto della chiesa servì parecchio legname, al quale provvide il budoiese Gio:Batta Stefinlongo, nel 1795, mentre per il reperimento di travi e tavole per il coro furono impegnati i commercianti e i falegnami Giovanni de Rigo, Giuseppe Bocus e Giomaria
Zambon Tarabin, oltre a «m° Pietro Martin Cardazzo per legno de talpon» e Giuseppe Codif «per legni per le armature del coro». Tra i fabbri, invece, figuravano Domenico e Giuseppe Zambon, e il budoiese Giuseppe Biscontin per la fornitura di chiodi. I coppi della navata giunsero da Venezia nel 1792: fu il barcaiolo Pietro Bellotto a trasferire fino a Pordenone il materiale edile che fu poi trasportato con i carri a Dardago, mentre, nel 1805, per i «coppi e pietre cotte del coro» provvide Valentin Del Maschio. Nel frattempo, affinché l’edificio non rimanesse incustodito, la popolazione si attivò con turni di notte: nell’autunno del 1803, «Mattio Dolfin per n° 15 notti» rimase «in chiesa a far la guardia mentre si lavorava et esser tutto apperto». Una curiosità! Tra tanto sudore e lavoro, un personaggio ebbe un importante ruolo di sostentamento: l’oste Angelo Parmesan, che provvedeva con la sua quotidiana presenza al ristoro dei lavoratori. Un vero fermento di popolo. In quegli anni, lo spirito delle persone coinvolte era animato da un unico obiettivo: ricostruire lei, la fabbrica di Santa Maria Maggiore, più bella e più imponente di prima.
pietra per due fatture per le collonelle poste alla banda delli Altari Santo Iseppo e Ogni Santi l. 237:17»; Libro della V.da Chiesa di S. Lorenzo di Marsure di descrivere le parti e balotacioni che si fa dal Sp. Consiglio ad laudo...», s.n.: nel 21 ottobre 1748, Angelo Antonelli ingrandisce l’altare della Beata Vergine. La famiglia Antonelli è presente con altri interventi, in particolare nella costruzione del campanile, negli anni Quaranta del XVIII secolo, insieme con i tagliapietre Scussat, Bardelin... 11. Sull’argomento, cfr. S. CESCUT, Una storia collettiva. Scalpellini avianesi all’inizio del Novecento, Pordenone, 2003. 12. Bortolo Carlon ricoprì un ruolo importante nei lavori di ristrutturazione dell’antica fabbrica di Sant’Andrea e di costruzione del campanile di Budoia; operò pure nella chiesa di San Giovanni di Polcenigo, nel 1769. Il
giovane figlio, Michiel, realizzò gli scalini e il piano di due altari, nella medesima chiesa di San Giovanni, nel 1796. Cfr. A. FADELLI, C. SOTTILE, La chiesa di San Giovanni Battista, 50, 55. 13. Archivio Parrocchiale Marsure, Registro A2 (sciolto) Libro dei Conti de Camerari della V. Chiesa di S. Lorenzo di Marsure. Gli Scussat furono coinvolti nei lavori di costruzione del campanile di Marsure: «1737. Speso a m.° Osgualdo Scussat di Budoia tagliapietra per pietre vive per far la cornise ed altro attorno al campanille l 128:16»; «1744 Speso a Valentin Scussat tagliapietra l. 704:17; Speso a Zam.a Scussat tagliapietra l 48:-» 14. Il tagliapietra Gio:Batta fu attivo anche nei lavori di restauro dell’antica chiesa di Sant’Andrea e nella costruzione del campanile di Budoia, insieme con altri Scussat
– Nadal, Valentin e Angiolo - negli anni 1769-70. 15. APM, «Libro dei Conti de Camerari della V. Chiesa di S. Lorenzo di Marsure. Principiando li conti dell’anno 1734»; «Libro dei Conti de Camerari della V. Chiesa di S. Lorenzo di Marsure. Principiando li conti dell’anno 1734»: 1744- Speso a Domenico Bardelin tagliapietra £ o F. 47:-. 16. Cfr. G. BERGAMINI e P. GOI, La scultura in Friuli Venezia Giulia, Pordenone, 134. «Paolo Brescancin ed aiuti opera dal 1857 al 1863 a Cordenons ‘in quattro altari barocchi della parrocchiale’ su disegni di Andrea Scussat». Nella nota emerge che il gruppo della pedemontana esegue pure una custodia eucaristica nella chiesa di San Martino di Campagna. Una, simile a questa, doveva essere eseguita per la chiesa di Giais, accordo poi annullato.
Commercianti di legname e di altro, marangons e favres
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pochi mesi alle prossime olimpiadi A Rio de Janeiro un italiano figlio di budoiesi responsabile della produzione delle Cerimonie e di altri eventi. di Marco Turri infine, nel 2012, si è presentata la meravigliosa opportunità di lavorare al progetto Rio 2016. Di cosa ti occupi esattamente? Sono il direttore e amministratore di una società di scopo specifico che lavora in forma esclusiva per il Comitato Organizzatore di Rio2016. Ci occupiamo di vari progetti, ma i più importanti sono le Cerimonie di Apertura e Chiusura e il viaggio della Fiamma Olimpica che attraverserà l’intero Brasile a partire dall’inizio di maggio. Quali sono gli elementi più interessanti del viaggio della Fiamma Olimpica? Nel mese di agosto del 2016 avranno luogo in Brasile, a Rio de Janeiro, i Giochi Olimpici. Il responsabile della produzione delle Cerimonie e di altri importanti eventi è Andrea Varnier che ci racconta in questa breve intervista della sua esperienza nel mondo delle Olimpiadi alla vigilia di questo grande evento.
Come sei arrivato ad occuparti di Olimpiadi? Sono da sempre stato appassionato di sport, ma ho avuto la fortuna di potermi avvicinarmi professionalmente alle Olimpiadi lavorando al comitato organizzatore dei Giochi Olimpici Invernali di Torino 2006 (di cui tra l’altro ricorre quest’anno il decennale). Sono stato successivamente coinvolto nell’organizzazione dei Giochi di Pechino nel 2008 ed
Direi che il dato più interessante è proprio lo stesso Brasile, un paese dalle dimensioni continentali, davvero enorme, con grandissime difficoltà logistiche, ma abitato da un popolo molto accogliente che saprà ricevere questo importante simbolo di pace nel migliore dei modi. Quali sono gli elementi più spettacolari delle cerimonie olimpiche? Le cerimonie olimpiche sono da sempre caratterizzate da un po’ di mistero per non rovinare la sorpresa ai telespettatori di tutto il mondo. Non posso perciò anticipare nulla, ma sarà sicuramente una grande festa di colori e musica, con tutta l’allegria della cultura brasiliana. Quanto lavoro e tempo occorre per realizzare un evento di tale rilievo a livello mondiale? Un comitato organizzatore lavora 18
più o meno sette anni per preparare una edizione dei Giochi, per fare le Cerimonie e il viaggio della Fiamma Olimpica ce ne vogliono quattro/cinque. Quali sono state le difficoltà incontrate ad organizzare un evento cosi complesso in un paese che non è il tuo? Prima di tutto ovviamente la lingua! Ma direi che, al di là di non poche differenze culturali e di metodi di lavoro, lo spirito dei brasiliani facilita moltissimo tutte le relazioni. Sto vivendo una esperienza professionale e umana davvero stimolante... Cosa ti ha colpito di questo vastissimo Paese? Cosa ne pensi della qualità della vita? C’è una grande disparità sociale? Il Brasile è un paese complesso, pieno di cose meravigliose, ma anche zeppo di contraddizioni molto marcanti, che ne influenzano la qualità della vita e le condizioni socio-economiche della popolazione. Un’ultima domanda: pensi che i Giochi Olimpici porteranno dei miglioramenti economici al Brasile? Questa è una domanda difficile, io credo che un grande evento come le Olimpiadi sia sempre portatore di miglioramenti. Naturalmente dipende molto dalle condizioni circostanti e dalle politiche dei singoli paesi ospitanti. Posso senz’altro dire che Rio de Janeiro grazie alle Olimpiadi è in una fase di profonda trasformazione che non potrà non avere dei riflessi positivi anche sui suoi abitanti.
Ophrys apifera var. aurita.
Orchis Mascula.
le orchidee spontanee del Ciastelàt di Ezio Burelli Era una mattina di maggio di tre anni fa, stavo tagliando l’erba (erbacce e rovi) con il decespugliatore ai margini della stradina comunale che porta alla mia casa. Ebbi la sensazione di aver qualcuno dietro che mi osservava. Mi girai e vidi un uomo, di 40-45 anni, che mi stava dicendo qualcosa. Spensi il motore, tolsi le cuffie, e in quei pochi attimi colsi sul suo viso un’espressione assai contrita. Egli mi chiese se ero stato io a tagliare, circa 10 metri più in su, alcune orchidee. Gli risposi che sicuramente ero stato io, visto
Foto a sinistra. Ophrys apifera var. bicolor. Foto a destra. Spiranthes spiralis.
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che non c’era nessun altro in giro; ma, stupito, gli chiesi di che fiori stesse parlando. Mi fece vedere le orchidee che avevo tagliato. Erano fiori alti 10-15 centimetri che avevo notato altre volte, ma difficili da vedere in mezzo l’erba, L’uomo costruì un circolo di pietre a difesa dei
gambi tagliati affinché mi ricordassi per l’avvenire. Fu così che cominciò l’amicizia con Marco Palma, di Vigonovo, esperto e appassionato delle orchidee spontanee o selvatiche. Da allora ci siamo incontrati parecchie volte. Grazie a lui, ora so riconoscere le tre specie più presenti sul
Ciastelat e dintorni: la mia preferita è l’orchidea apifera con le sue varianti. Marco viene spesso sulle nostre colline e, anche se non l’incontro, so lo stesso che è passato perché, sui prati che tengo in ordine, i suoi circoletti di pietre a difesa delle orchidee proliferano di anno in anno.
la ricca flora nella valle dell’Artugna
Ophrys apifera var. chlorantha.
di Marco Palma Tra la ricca flora che si può osservare nella valle dell’Artugna, spicca la presenza di una modesta quantità di una trentina di specie di orchidee spontanee che rappresentano più di un terzo di quelle esistenti nel Triveneto, contribuendo in maniera significativa alla biodiversità di questa valle. Queste meraviglie della natura sono difficile da individuare perché molto piccole e mimetizzate nell’ambiente circostante ma, con un certo spirito di osservazione, le possiamo ammirare in tutta la loro bellezza. Iniziano a fiorire con l’arrivo della primavera (Anacamptis morio, Ophrys Insectifera ecc.) per concludersi a metà settembre con l’ultima orchidea spontanea a fiorire: la Spiranthes spiralis. Una delle orchidee spontanee che possiamo incontrare nel mese di maggio passeggiando lungo l’Artugna è la Ophrys apifera, così chiamata per la forma e il colore del suo labello che assomiglia ad un’ape posata su di un fiore. Grazie al censimento in corso da parte di un appassionato, si è accertato che la Ophrys apifera è qui presente con ben cinque varietà: Ophrys apifera var. aurita Ophrys apifera var. friburgensis Ophrys apifera var. bicolor
Ophrys apifera var. chlorantha Ophrys apifera var. tilaventina Ricordiamo, infine, che a prescindere dal fatto che tutte le orchidee spontanee europee sono totalmente protette e ne è vietata la raccolta, il nostro atteggiamento nei confronti di esse e di tutta la flora in generale, deve essere di rispetto e protezione.
Ophrys apifera var. tilaventina.
Ophrys insectifera.
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OSCAR GREEN 2015
la polenta di Budoia all’EXPO di Cristina Barbariol Il progetto socio-educativo «FacciAMO la polenta», realizzato dalla Fattoria Sociale Ortogoloso di Budoia, ha vinto l’Oscar Green per il Friuli Venezia Giulia ed è arrivato alle finali nazionali in occasione dell’EXPO 2015 di Milano. Cristina Barbariol ne illustra le caratteristiche.
Roberto Andreazza e Cristina Barbariol.
La famiglia Andreazza è impegnata nell’agricoltura a Budoia dai primi anni del ’900 con un contratto di mezzadria. Negli anni ’50-’60 vennero acquistati i terreni tuttora lavorati dall’Azienda agricola. Di generazione in generazione, negli anni l’Azienda ha cambiato tipologia di coltivazione e metodi di gestione. Oggi si presenta come azienda multifunzionale nella quale vengono prodotti ortaggi biologici, farina di mais, cereali, fieno di prato stabile e erba medica, kiwi per un totale di circa 80 ettari e uova in piccole quantità. Siamo coinvolti attivamente in percorsi territoriali per far conoscere le potenzialità della nostra zona, offriamo verdura biologica fresca tutti i giorni nel nostro punto campagna amica ai nostri clienti. Con i tirocini tenuti presso la nostra azienda dagli alunni dell’Istituto Agrario, cerchiamo di trasmettere il nostro amore e la passione per questo lavoro, che è duro ma che regala molte soddisfazioni. Lo stesso cerchiamo di fare anche con i ragazzi dei nostri progetti sociali: Fattoria didattica e Fattoria sociale. La Fattoria didattica propone percorsi didattici rivolti ai bambini della Scuola dell’Infanzia, della Scuola Primaria e ai ragazzi della Secondaria Inferiore. Sono finalizzati a favorire l’incontro dei nostri piccoli o grandi visitatori con il mondo agricolo, un mondo legato alla stagionalità, alla biodiversità, ai tempi lenti della natura, dove è importante prendersi cura di ogni essere vivente. Inoltre abbiamo un progetto territoriale con la scuola primaria del paese: gli alunni, accompagnati dalle maestre vengono tutti i venerdì a coltivare il proprio orto presso la nostra azienda. Nel periodo estivo, il progetto continua con la collabora21
zione dei genitori e di un gruppo di scout. La Fattoria sociale mira a coinvolgere giovani di età compresa tra i 13 ed i 18/20 anni, diversamente abili e in svantaggio sociale. L’azienda agricola Roberto Andreazza, produttrice di farina di mais da alcuni anni, ha intrapreso dal 2014 un progetto per la realizzazione di un prodotto finito a km 0 ad alto valore sociale: la polenta di Budoia. Per ottenere questo prodotto, le lavorazioni vengono fatte artigianalmente, compresa la macina con molitura a pietra, per ottenere una farina di qualità e successivamente la polenta. In questo ambito è stato pensato il progetto «FacciAMO la polenta». L’intervento promuove un’azione tesa al rafforzamento della rete socio-educativa con uno sguardo particolare al conseguimento di autonomie per la vita quotidiana ed al rafforzamento delle capacità pratiche e relazionali dei ragazzi, in accordo e stretta collaborazione con i soggetti istituzionali e del terzo settore del territorio. Con questo progetto abbiamo vinto l’Oscar Green per il Friuli Venezia Giulia e siamo arrivati alle finali nazionali. È stato molto emozionante, ma non è stato facile. Io e Daliah Frezza del Progetto Giovani di Budoia abbiamo passato ore e ore per scrivere il nostro progetto. Il Sindaco e l’Amministrazione comunale ci hanno sostenuto (ricordo ancora l’impegno di Omar Carlon per superare gli ostacoli burocratici). Così il progetto «Facci-AMO la polenta», in collaborazione con l’Ass5 e l’Ambito Distrettuale, ha cominciato e concretizzarsi in un percorso per ragazzi con disabilità e svantaggio sociale. Ricevere un premio così importante
in un contesto unico come l’Expo dà molta soddisfazione specialmente perché è stata una bellissima avventura per i giovani del progetto. Non c’è premio migliore della soddisfazione di questi ragazzi! Questo premio ci ha fatti «andare» anche in televisione. Infatti, il giovedi 10 dicembre, io e Roberto siamo stati ospiti di Sveva Sagramola nella sua trasmissione GEO & GEO su RAI TRE, dove abbiamo parlato delle nostre attività, dei nostri pro-
dotti e della Polenta di Budoia. Io fisicamente ho vinto il premio ma il mio pensiero va a tutta «la regia»: a mio marito, alle mie bimbe che sono sempre pronte ad aiutarci, a mia mamma che ha sempre il «sì» pronto, ai miei suoceri che hanno costruito tutto, a Daliah che ha cambiato il metodo di lavoro per starmi dietro, ai miei amici Daniela, Claudio e Giorgia, sempre presenti nel momento del bisogno, a Erica che con la sua grafica e con il cuore ha dato un’im-
magine solare all’azienda, a Nicola che si è speso per i miei ragazzi insegnando loro un mestiere, e a tutte le belle persone che ho incontrato in questo percorso. Siamo una grande famiglia e i nostri ragazzi hanno bisogno proprio di questo! *** Ringrazio per l’opportunità datami dalla redazione de l’Artugna per condividere con tutti i lettori questo mio progetto di vita.
RICORDI ED EMOZIONI... FOTO D’EPOCA CHE PARLANO AL CUORE
palegrén bon e fatholét negre su ’l ciàf di Vittorio Janna Tavàn
Oggi piove copiosamente, stare in casa quindi è l’occasione propizia per cercar di mettere ordine (almeno ci provo) nel mio archivio personale. Mentre riordino, ma soprattutto curioso tra le carte, alcune vecchie foto dei nonni riaccendono in me ricordi del passato, della mia gioventù, di quando le traversìe della vita mi hanno portato a vivere temporaneamente nel paese dei miei avi. Mi rivedo bambino frequentare – sotto la guida del maestro Armando – la scuola elementare. Rivivo con commozione le giornate e le stagioni vissute accanto ai nonni paterni. Da loro ho appreso come destreggiarmi nelle mansioni domestiche e i rudimenti dei lavori nei campi, a misurarmi con la fatica ed i sacrifici. Loro mi hanno insegnato il dialetto, gli usi e i costumi della civiltà contadina. Grazie a loro ho compreso la vera ricchezza di una
comunità, ovvero le relazioni, il valore ed il rispetto da riservare a uomini, animali e natura. Era una cultura che non ha mai conosciuto la gloria della magnificenza, ma che ancora mi affascina nel ricordo; un universo, specie quello del lavoro, ritmato ed ordinato secondo convenzioni non scritte, ma che garantivano equilibrio e sopravvivenza alle famiglie: stalla e campi erano appannaggio quasi sempre maschile, casa e animali da cortile affidati invece al «governo» femminile. Una suddivisione non apertamente dichiarata, ma osservata fedelmente come la disposizione delle persone tra i banchi della chiesa: uomini davanti, donne dietro. Continuo ad ammirare le foto, i protagonisti e l’ambiente che li circonda. Un’architettura spontanea dalle linee sobrie... attrezzi domestici... la cesta di vimini... la scopa 22
Il cortile di casa non era «vissuto» solo dai componenti della famiglia ma, a turno e ad orari stabiliti, ospitava anche piccoli animali come galline, oche, anitre, tacchini...
Vestivano di nero... «moda dardaghese» degli anni ’50-’60 del secolo scorso. La nonna Anna Parmesàn Danùt indossa il palegrén bon e fatholét negre su ’l ciàf e il nonno Sante Janna Tavàn vestìt a festa!
di saggina... la sedia impagliata... la panca in legno... gli abiti «dipinti» di un’essenzialità monocromatica come il vivere semplice, quasi francescano. Le vecchie immagini, seppur leggermente sbiadite dal tempo, continuano a «raccontare». La loro «voce» sembra ora confondersi con quella di nonna Nuta, vestita interamente di nero e sulla testa un fazzolettone dello stesso colore. Mi sta chiamando per il pranzo o per la cena. Anzi no, mi sta mandando a prendere il pane o a far la spesa in Cooperativa. Potrebbe essere una scocciatura, invece la cosa mi diverte perché posso dar libero sfogo alle energie giovanili pedalando in salita sino in piazza. Sfreccio e incontro altre donne per strada. Ed ancora in bottega. Si assomigliano tutte. Era forse la stessa dominante cromatica scura che le faceva apparire tali ai miei occhi? Non ho mai capito perché vestissero tutte di nero e tutte con il medesimo fazzolettone annodato dietro la nuca. Non c’era vedovanza o anzianità ad imporglielo, probabilmente il color nero dava loro solo l’opportunità di confon23
dere meglio le possibili macchie. Ma la domanda che allora «tormentava» il mio pensiero, e che invece oggi mi fa sorridere, era un’altra: dove sono i capelli? Perché non si vedono? Se non fosse stato per qualche sporadico ciuffetto ribelle che sbucava dalla nuca, avrei pensato che fossero tutte calve. Ritorno al presente, ma la mente è nuovamente rapita. Rivedo l’«abbronzatura» di quei volti femminili, certamente non dettata da vezzi estetici, ma dalla forzata esposizione al sole durante i lavori all’aria aperta. Visi segnati da rughe e fatiche, coronati dal tessuto nero ma impreziositi, quasi sempre, dal brillìo di due orecchini d’oro che facevano capolino sui lobi delle orecchie. Era l’unica concessione alla dignità di una moda «alta», una civetteria tutta femminile capace di ingentilire quei «quadri» che parlavano di vita semplice, di duro lavoro, di numerose maternità, di presidio della vita famigliare intessuta di gioie, ma spesso anche provata da stenti e dolori. *** Avevo sei anni quando vivevo con i miei nonni a Dardago. Come segno di protezione mi facevano dormire nella loro stessa camera e, contrariamente agli usi mattinieri della vita contadina, mi lasciavano poltrire sin quando il sole illuminava con decisione le case e la natura. Posso solo immaginare il momento dei loro risvegli, cadenzati da impegni quotidiani rivolti prima agli animali domestici poi a loro stessi. Il nonno innanzitutto al lavoro nel fienile e poi nella stalla. La nonna in cucina per riavviare il fuoco del foghèr, il caffè... e infine la cura degli animali da cortile. Ricordo con particolare emozione una mattina, quando l’eterno dubbio sui capelli delle donne di Dardago mi si rivelò in un attimo. Aprii gli occhi e tra lo stupito e l’estasiato rimasi immobile tra le
La nonna Anna «Nuta» la restela ’n te la Ressina attorniata da alcuni nipoti. Le montagne – oggi abbandonate – erano allora una ricca fonte di foraggio per gli animali.
...non era un semplice grembiule Il palegrén, già il palegrén della nonna. Ve lo ricordate? C’era quello pa’ le fature de ciasa e chel bon, quello migliore, più consono per uscire in paese, per la vita mondana. Il primo scopo era ovviamente quello di proteggere il vestito, ma si fosse limitato a questa funzione non sarebbe corrisposto ad un’utilità universale ancora più versatile del famoso coltellino svizzero. Perché il palegrén secondo le necessità si trasformava in tutto. Si faceva cestino per trasportare le uova (e talvolta i pulcini) dal pollaio, contenitore per i tutoli raccolti nel granaio per preparare le braci per il ferro da stiro oppure legna sottile per accendere il fuoco. E se la fiamma perdeva vigore? Il palegrén diventava strumento utile da sventolare a mo’ di soffietto. Ecco allora le nonne andare nell’orto a raccogliere i piselli, quindi i fagioli, le patate, il radicchio, l’insalata (un po’ per il desco famigliare, un po’ per le galline così come la granella di mais portata dal granaio), i cavoli, le verze. E come trasportavano tutto ciò dall’orto fino in cucina? Con il palegrén. E come li pulivano? Sedute su una sedia fuori dalla cucina con gli ortaggi raccolti nel palegrén
ed uno scolapasta o una cestina sempre vicini. E per la torta da servire agli ospiti? La nonna raccoglieva le mele cadute a terra con il palegrén che poi si trasformava in guanto quando si trattava di ritirare dal fuoco la teglia bollente o la torta dal forno a legna. Quando i visitatori erano prossimi ad entrare, eccolo farsi strofinaccio, buono per asciugarsi le mani o per togliere la polvere dalla credenza e dalle panche o pulire la bocca sporca o le lacrime dei bambini che facevano i capricci salvo poi nascondersi per timidezza, manco a dirlo, dietro il paravento del palegrén della nonna. In montagna infine, imbottito di fieno, diventava un soffice guanciale su cui riposarsi e, grazie alla dotazione di una o due tasche, un comodo ripostiglio per il fazzoletto e per le chiavi di casa o per il tacuìn in cui conservare i buoni per ritirare il siero del latte (per il pasto dei maiali) o il libretto della Cooperativa su cui annotare l’importo della spesa. Difficile e raro forse oggi trovare un capo di abbigliamento femminile così poliedrico, carico di vita famigliare, capace attraverso i suoi molteplici usi di personalizzare i momenti più significativi della giornata.
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coperte a guardare la nonna, che davanti allo specchio si toglieva il grande fazzolettone nero dalla testa. Mi mancò per un attimo il fiato. Era uno spettacolo del tutto inconsueto. Con gesti lenti districò l’intreccio dei capelli bianco-grigio attorcigliati sulla nuca e poi li rilasciò: una cascata argentea le scese fino in fondo alla schiena. Non riconoscevo più la nonna. Con un pettine iniziò ad accarezzarsi la chioma. Un fruscìo leggero, come un soffio, accompagnò i delicati movimenti della mano e al passaggio del pettine si formarono piccole onde, come quando in montagna l’aria decora la superficie dell’acqua. Terminato di lisciarli, iniziò a ricomporli sovrapponendo ed alternando, una sull’altra, tre ciocche divise, fino a formare un’unica treccia morbida e ondulata. L’arrotolò con cura in una spirale fissandola con delle forcine ed infine calò sull’«intimo» spettacolo il sipario del consueto fazzolettone nero. Involontariamente e per la prima volta ero stato spettatore delle cure che mia nonna (come tutte le nonne del paese) riservava «segretamente» alla sua chioma. Prima di uscire dalla stanza diede ancora un ultimo sguardo alla sua persona. Si ricompose in tutta la sua fierezza e uscendo s’allacciò il palegrén bon, quello da indossare ufficialmente per essere «in ordine», prima di immergersi nel paese, pronta a dirigersi verso la Cooperativa.
DARDAGO
di Adelaide Bastianello Thisa
e il volontariato Eccomi qua a riprendere il filo del discorso interrotto nell’ultimo numero de l’Artugna su «Dardago e il volontariato». Interruzione giustificata dal fatto che non volevo «tediare» con un lungo elenco, ma tutti meritano di essere ricordati e non solo una parte di essi. Non ho ancora parlato di tre persone che chiamerei «gli angeli del don» oppure «le guardie del corpo del don»: due amici – Gianni e Ugo Zambon – che insieme all’immancabile e insostituibile Bruna hanno scelto di aiutare don Maurizio nella sua missione di pievano. L’uno o l’altro o tutti e tre ci sono sempre. Essi accompagnano il nostro Pievano durante le funzioni, le celebrazioni, le cerimonie e i riti religiosi. Per essere sempre disponibili non solo nella routine
e l’accompagnamento alle visite e terapie mediche, all’acquisto di medicinali e generi di vario tipo. Inizialmente i volontari erano circa una decina con sede nelle strutture del Comune, anche perché l’Associazione fa capo al Comune stesso integrando i servizi socio assistenziali da esso forniti. Di recente l’Associazione si è leggermente modificata nella sua struttura pur mantenendo intatti i servizi erogati, anzi forse ampliandoli, e la sua sede è stata trasferita a Dardago nelle «vecchie scuole». Mi sento di ringraziare di cuore questo gruppo di giovani pensionati generosi che, oltre ad adoperarsi in altre attività sul luogo, continuano a mantenere il loro impegno e ad essere sempre presenti al richiamo di assistenza per chiunque chieda loro aiuto.
Da sinistra. Gianni, Bruna e Ugo. Tre nomi... un solo cognome: Zambon! Sempre pronti e puntuali per il servizio liturgico.
Alcuni componenti della squadra di volontari di «Budoia Solidale».
settimanale, ma anche nei bisogni estemporanei, essi dedicano parecchie ore del loro tempo alle necessità della Pieve, dando talvolta precedenza al don... piuttosto che agli impegni famigliari e di casa! Questo piacere include anche il giornaliero incontro per il caffè del mattino prima «da Nino» ed ora «dalla Rossa» o anche qualche bella «agape fraterna» in compagnia! Come sappiamo il volontariato può ricoprire vari ambiti: natura, riqualificazione, territorio, ristorazione, divertimento e potrei andare avanti ancora per ore, ma credo che sarete tutti concordi nel dire che il volontariato nell’ambito dell’assistenza alla persona sia quello più difficile, più percepito, più puro, più coinvolgente. Circa cinque anni fa nacque una associazione di volontariato, chiamata «Budoia Solidale», con lo scopo di sostenere e aiutare le persone in difficoltà e non autosufficienti nel trasporto
Grazie di esserci! Come ho già avuto modo di dire, il volontariato arricchisce chi lo pratica, è un insegnamento e completamento per la persona che lo offre. Sono sempre più convinta che i bambini fin dalla tenera età debbano essere educati al volontariato, qualsiasi esso sia, e che la prima fonte di apprendimento debba essere la famiglia e... sognando... mi piacerebbe che in un prossimo futuro diventasse una materia di studio approfondita nella scuola, come uno stage, con punti guadagnati a beneficio del curriculum scolastico. Credo che potrebbe essere un antidoto al bullismo tanto di moda. È una sfida: Budoia il primo Comune in Italia nel quale si educano al volontariato i bambini delle scuole primarie e secondarie! Perché no? Costo zero... benefici garantiti! Che ne dite, si può fare?
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comót
Dizionario della parlata di Dardago di Federico Vicario
Ringraziamo il prof. Federico Vicario, presidente della Società Filologica Friulana, per aver inserito la recensione di «Comót» nella RID, Rivista Italiana di Dialettologia e averla fornita alla nostra redazione.
Giuseppe Francescato, nella sua fondamentale Dialettologia friulana del 1966, inserisce la varietà di Dardago, frazione di Budoia (Pn), nel gruppo delle parlate friulane dell’Oltre Tagliamento, area che presenta una serie di fenomeni di passaggio, in misura più o meno vistosa, tra il friulano occidentale, concordiese, e le vicine varietà venete liventine e trevigiane. Del dardaghese si tratta, in particolare, a p. 236 del saggio, con il collegamento tra il dialetto locale e quello del capoluogo Budoia, descritto con maggiore dettaglio, alle pp. 230-231. Le essenziali note di Francescato sono riprese senza ulteriori osservazioni o integrazioni, alcuni anni più tardi, da Giovan Battista Pellegrini nell’Introduzione all’ASLEF (pp. 175-176), con la presentazione dei caratteri generali
della località di Budoia, punto d’inchiesta n. 108 dell’opera (raccoglitore Renato Appi). Giovanni Frau si riferisce a questo gruppo di parlate come «friulano della fascia di transizione friulano-veneta», nel suo I dialetti del Friuli del 1984 (pp. 180188), riconoscendo a queste varietà, in particolare, il mantenimento della maggior parte dei caratteri propriamente friulani pur in presenza di alcune concessioni, per lo più modeste, nei confronti del veneto. Per quanto riguarda il lessico della zona, si segnala l’uscita di una specifica raccolta per Budoia di Elvia e Renato Appi, Umberto Sanson nel 1970, pensata come «Aggiunte» al vocabolario friulano di riferimento, il Nuovo Pirona; sempre sul lessico, poi, una decina di pagine di glossario completano l’illustrazione dei Racconti popolari friulani per la zona di Budoia, curati ancora da Elvia Appi ed altri, una pubblicazione della Società Filologica uscita nel 1971, una prima volta, e integrata con una seconda edizione nel 1999. Della varietà di Dardago, in particolare del suo lessico, si occupa ora il volume di Flavio Zambon che qui si segnala, un volume uscito nel 2013 a cura della locale associazione culturale de l’Artugna, con il sostegno del Comune di Budoia, della Provincia di Pordenone e sotto gli 26
auspici della Società Filologica Friulana. Il titolo del vocabolario, Comót, richiama la forma locale dell’avverbio ‘come’ (frl. comune cemût ‘che- modo’). Il volume, elegante e ben curato nella veste tipografica, si apre con alcuni interventi dell’autore, dei rappresentanti dell’associazione de l’Artugna, del parroco, del Comune e di Pier Carlo Begotti, Vicepresidente della Società Filologica Friulana, che bene illustra le vicende storiche e i contatti linguistici tra l’area concordiese, il Cadore, l’area liventina e la Marca trevigiana. I Riferimenti bibliografici (pp. XVIII-XIX) aggiornano lo stato delle pubblicazioni sulla località di Dardago, fatta oggetto di numerosi lavori più o meno recenti, anche di toponomastica, oltre che di svariati contributi su bollettini e riviste locali, per passare poi ad una serie di Avvertenze (pp. XXIXLV) e introduzioni alla lettura del repertorio. Per quanto riguarda le scelte di grafia, che si propongono di rappresentare al meglio le particolarità del dialetto, si apprezza senza dubbio la «moderazione» delle scelte medesime, dove proprio le grafie ipercaratterizzanti di taluni dizionari locali, con soluzioni fantasiose e stravaganti, ne rendono alle volte poco agevole la consultazione. La grafia
[recensione ] di Flavio Zambon accoglie di fatto, e giustamente, le indicazioni della grafia ufficiale del friulano, con alcuni modesti ritocchi. La scelta dei digrammi th e dh per le interdentali, già per altro così indicate dalla grafia ufficiale, è del tutto condivisibile; non altrettanto, piuttosto, la non necessaria introduzione di una -c con accento circonflesso (^ c) per la velare sorda in fine di parola, per distinguerla dall’affricata palatale sorda (ç), sempre in fine di parola. Non necessaria è anche l’aggiunta di un puntino sulla g (g·) per segnalare l’incontro di velare e liquida nell’unico caso di g·lir ‘ghiro’, dopo aver già spiegato che la liquida palatale – segnata gli in italiano – in dardaghese, come nella generalità del friulano, non esiste. Alcune utili note linguistiche sulla parlata di Dardago, con la rassegna di una serie di fenomeni di matrice friulana e veneta, precedono l’illustrazione dei paradigmi degli ausiliari ‘ésse’ e ‘avé’ e di altri verbi di largo uso. Il repertorio lessicale occupa, naturalmente, la maggior parte del volume: la prima parte è quella dardaghese-italiana (pp. 1-472) e una seconda, meno ampia, quella italiano-dardaghese (pp. 473-577). Le voci, ordinate alfabeticamente, sono presentate con l’indicazione dell’accento tonico della parola, la
categoria grammaticale, l’eventuale nome scientifico (per animali e piante), il significato in italiano e la fraseologia, in alcuni casi anche piuttosto ricca. Alla fine della voce, per sostantivi, aggettivi e participi passati, è indicata tra parentesi quadre la forma del plurale – per gli aggettivi e i participi passati, comunque, è riportata la forma del solo maschile. Le voci sono complessivamente circa 7.000, in esse comprendendo anche elementi di toponomastica e di onomastica personale. La parte del vocabolario inverso, dall’italiano al friulano locale, si propone di facilitare il riappropriarsi di un’identità linguistica che mostra, soprattutto tra le giovani generazioni, alcuni cedimenti, per altro non inattesi, a favore della lingua nazionale. Dobbiamo dire, nel complesso, che il lavoro di raccolta e di elaborazione del vocabolario dardaghese ha dato risultati davvero apprezzabili, trovando qui spazio numerose voci legate alla cultura materiale e agli ambienti di vita tradizionali, oltre che termini di largo uso e una serie di indispensabili neologismi. L’autore Flavio Zambon, in questa opera di raccolta, ha potuto giovarsi, oltre che di vari informatori, di numerose fonti a stampa, pubblicate grazie alla preziosa e intensa attività 27
dell’associazione l’Artugna e della Società Filologica Friulana, fonti a stampa che fanno del dardaghese, alla fine, un dialetto sicuramente ben documentato. Al di là della registrazione e della spiegazione di tante forme del friulano locale, encomiabile, bisogna dire che anche il solo fatto di produrre uno strumento come questo vocabolario è un importante indice di vitalità della parlata e, allo stesso tempo, rivendicazione di individualità e orgoglio di appartenenza ad una specifica comunità. Si spera, da questo punto di vista, che la pubblicazione sortisca non solo l’effetto di testimoniare la ricchezza di una varietà locale, ma anche quello di rinforzarne il prestigio: la prospettiva del vocabolario, pertanto, non dev’essere quindi solo «difensiva», ma deve anche stimolare un recupero dell’uso attivo della lingua. Un recupero per il quale formuliamo, naturalmente, i migliori auspici.
Flavio Zambon. Comót. Dizionario della parlata di Dardago, Dardago (Pordenone), l’Artugna, 2013, pp. XLVI-578.
L’angolo della poesia
La situne Speranza di vita molte persone ché viver da sole nulla manca, telefono sì che aiuto arriva. Stravia pensier non streghi la malinconia in mente e cuor lunghi sono i giorni e più le notti al mattin dà finestre coraggia la luce ritorna lento che si vestir o cielo già l’alba si tinge di rosa o Budoia, Dardago e Santa Lucia sempre del bene chi sempre farà rallegra veder i bambini in asilo ma mi disse – perché te il bastone? – La gioventù non tornerà mai più «il bastone devo impugnare ché lento a camminare» rimasi che mi fissò e lacrimava. Boschi, monti e colli sempre si raccoglie suoi frutti senza spender una lira e incosciente chi ignora. Oh Friuli in molti stati nel mondo sei sempre presente artisti sue mani è le menti, costruir, produrre e in ospedali suoi visi in libri e musei rimarran suoi ricordi. In sogno udir il suon delle campane come un colombo a mia terra ritorno in famiglia, no invidie e rancori aiutarsi l’uno per l’altro o mio Dio sarà sempre fortuna chi ama la famiglia sua.
A mia moglie Nella cocente calura agostana, scendendo dai lariani colli, mi venisti incontro con fare gioioso tendendomi la mano, pur non sapendo che quella mano avrebbe stretto la mia con amore per tutta la vita, mentre i raggi del solleone rendevano come l’oro i tuoi biondi capelli, e gli occhi azzurri come il mare ricolmi di immensi tesori. Così mia adorata moglie, mano nella mano, da quel dì abbiamo percorso molta strada, coltivando il campicello della vita che Iddio ci ha donato, traendone buoni frutti che proseguiranno il nostro cammino. Dopo tante primavere di buon andare i nostri passi son più pesanti, mentre l’oro dei capelli si è argentato e l’azzurro degli occhi un po’ annebbiato, però sempre ti amo e in ogni istante che ti guardo, in essi io leggo la dolce parola «Amore».
ANGELO JANNA TAVÀN
FORTUNATO RUI
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In questa composizione Angelo sembra dar concretezza alle parole del poeta Charles Baudelaire laddove afferma che «quest’orrore della solitudine (…) l’uomo lo chiama nobilmente bisogno d’amare». È proprio dalla contemplazione di se stesso che l’autore traccia una lirica di struggimento e speranza. Quest’ultima segna infatti l’esordio come un manifesto programmatico definendola amaramente non come scelta ma speranza di vita convincendosi della sua essenzialità quotidiana (nulla manca, telefono sì/che aiuto arriva) e constatando il faticoso cammino della vecchiaia che gioisce ad ogni alba ammirata in più nella sua terra (lunghi sono i giorni e più le notti/al mattin dà finestre/coraggia la luce ritorna). I gesti lenti e quotidiani del vestire, la ritualità degli incontri, la nostalgia di un tempo e di una civiltà «friulana» che si stanno perdendo definiscono i connotati della speranza che diventa paradossalmente reale ed idilliaca solo nella visione onirica, quasi un intenso preludio spirituale al termine della vita terrena (In sogno udir il suon delle campane/come un colombo a mia terra ritorno/in famiglia, no invidie e rancori/aiutarsi l’uno per l’altro). È proprio il «bisogno di amare» che lo muove a questo ritorno esistenziale. Come quello che lo riporta a confrontarsi con la genesi dell’uomo, quell’infanzia «che si fugge tuttavia», esplicitata in un dialogo commovente (per entrambi i protagonisti) e contrastato nei sentimenti con un bambino (rallegra veder i bambini in asilo/ma mi disse – perché te il bastone? – (…) rimasi che mi fissò e lacrimava).
Non è certo tra i Santi più conosciuti. Anzi, è difficile trovarlo perfino nei calendari. Anche noi ignoravamo la sua esistenza prima che una nostra cara lettrice, Lidia Basso, ci mandasse alcune notizie su questo Santo, chiedendoci di pubblicarle. Lo facciamo volentieri soprattutto per ringraziare il nostro «Spedito» di Dardago per la lunga collaborazione con il periodico l’Artugna, anche in occasione del suo ottantesimo compleanno.
Poesie di Pasqualino Zambon Canta
Inno al se Ciao o sole! Sei la stella più bella del nostro firmamento quella che dà vita ad ogni creatura. La tua luce tinge d’azzurro il cielo e dà serenità ad ogni cuore. Aiuta l’uomo nella sua fatica quotidiana. Rallegra i bimbi nei loro giuochi più belli. Risveglia nel nostro cuore il sentimento più prezioso quello dell’Amore. Quando piove e manca il tuo sorriso è come se ci mancasse il Paradiso. Ma poi con l’arcobaleno ritorna il sereno.
Sant’Espedito patrono dei mercanti e dei navigatori Espedito di Melitene, un’antica fortezza romana situata nella Cappadocia (una regione dell’attuale Turchia), nacque nel 303. Secondo la sua agiografia, comandava la Legione romana «Fulminante» quando si convertì al cristianesimo. Si dice che quando stava per convertirsi, il diavolo gli apparve come un corvo per convincerlo a rimandare la decisione. Espedito decise per una conversione immediata. Successivamente divenne monaco e morì martire. Papa Pio VI lo proclamò patrono dei mercanti e dei navigatori e co-patrono di Acireale. Col tempo, i fedeli lo invocarono anche per le cause urgenti e disperate e, gli studenti, per superare gli esami. A Milano, il santo viene venerato nelle chiese di Santa Maria del Carmine e di San Nicolao. Viene raffigurato come un legionario romano che, mentre regge una croce riportante la scritta «Hodie» (oggi), schiaccia la testa a un corvo che, col suo gracchiare, dice «Cras» (domani), come per ricordare che non bisogna mai rimandare le buone azioni. Viene ricordato il 19 aprile.
Inno alla luna Da bimbo a sera dopo la preghiera guardando il cielo nascosta da un lieve velo Ti guardavo incantato o Luna d’argento! E tutto intorno a te l’immenso firmamento. Quanti sogni ho fatto sotto i tuoi raggi o mia Luna! A quanti desideri ho aspirato alla tua luce argentata E quanti desideri ho avuto.
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le processioni a Santa Lucia di Leontina Busetti
Sfogliando l’Artugna si nota una netta preponderanza di notizie su Dardago, ma bisogna riconoscere che i dardaghesi sono coesi e determinati a valorizzare il loro paesaggio, la loro storia con i loro abitanti vivi e defunti, dimostrando così un amore sincero e profondo per il proprio paese, sentimento che dovrebbe essere preso a modello invece che essere guardato con una certa supponenza. Per carità, nessuna invidia, né risentimento: semplice spirito campanilistico, che non è deprecabile, ma che è da sempre radicato nei paesi; invece potrebbe essere uno stimolo ad una sana emulazione. Santa Lucia, pur piccola, si distingue da sempre per la cura delle processioni indipendentemente dal numero dei suoi abitanti. L’ultima festa di Santa Lucia è coincisa con domenica 13 dicembre. Volonterosi hanno cominciato un paio di settimane prima a preparare decorazioni con mazzi formati da rami di pino, magnolie, agrifoglio, edere, accuratamente ravvivati e arricchiti con pannocchie, melograni, ortensie essiccate, balocchi e nastri. Alternati a questi mazzi sono stati allestiti anche piccoli presepi; qualcuno ha usato anche statuine pregiate che ritirava alla sera, riponendole poi al mattino, per evitare che qualcuno le «ritirasse» prima. Con i mazzi e i presepi sono stati decorati muri, portoni, balconi, «bocole» di case chiuse: a quelle abitate hanno provveduto alla grande gli abitanti stessi.
Così quando la processione passava, aperta da quella meravigliosa statua lignea che rappresenta Santa Lucia, ravvivata dal suono delle cornamuse ingaggiate per l’occasione, la gente davvero numerosa avrà senz’altro notato quelle decorazioni, tutte diverse, fatte con impegno e abilità. Conclusa la processione, tutti i presenti potevano sostare nello spazio antistante la chiesa per una cioccolata con panna, vin brûlé, caldarroste e una notevole quantità e varietà di dolci, offerti dalla gente di Santa Lucia. E per i bambini c’era un giocoliere che li intratteneva e li faceva sorridere. Quest’anno, a differenza degli anni scorsi, non c’erano gli stupendi cavalli norici dell’Azienda agricola di Budoia «Le Grave» per una indisposizione del titolare: portavano in giro per il paese e la campagna vicina tutti quelli che lo desideravano, accomodati sulla carrozza tirata da quegli enormi e possenti animali. Quest’anno, per le inevitabili esigenze interparrocchiali, non ci sarà la processione del Venerdì Santo, quando era l’occasione di illuminare le vie del paese; ma a dicembre, per Santa Lucia, il paese sarà di nuovo in festa. C’è la voglia di dimostrare di esserci.
Lasciano un grande vuoto... l’Artugna porge le più sentite condoglianze ai famigliari
Vanda Gambarini
Gianfranco (Franco) Ianna Tavàn Eri una persona forte. Hai sempre saputo guardare in avanti con un sorriso e mai ai tanti episodi tristi della tua vita. Ed è così che ti ricorderemo. ANDREA E FAMIGLIA
Guido Bocus L’onestà fu il suo ideale, il lavoro la sua vita, la famiglia il suo affetto. I suoi cari ne serbano nel cuore la memoria. LA MOGLIE TERESA
A Milano il giorno 2 gennaio 2016 si è spenta Vanda Gambarini. Dopo aver combattuto contro il male, che per due lunghi anni l’ha messa alla prova. A darle la forza, è stato sia l’amore di suo marito Ambrogio e per i suoi cari e condividere con loro altre giornate. A Dardago per l’ultima volta è stata il 13 giugno 2015, per l’inaugurazione della statua di Sant’Antonio in via Rui de Col. Restaurata dalla sorella Maria Assunta, voleva essere presente, lei era molto devota a Sant’Antonio. Ai suoi paesani dà un ultimo saluto, sperando il suo ricordo resti per sempre nella memoria di coloro che con lei hanno condiviso parte dell’infanzia, della adolescenza e le lunghe estati, perché qui Vanda si è sempre sentita a casa, ed è qui che vorrebbe un suo ricordo rimanesse. LE SORELLE REGINA EMILIA, MARIA ASSUNTA E I SUOI CARI
Jean Pierre Scherrer Il nostro cugino Jean Pierre Scherrer ci ha lasciato il 3 ottobre 2015 con questo pensiero: Quando voi pensate a me non siate tristi, ma abbiate il coraggio di raccontare di me e di ridere. Lasciatemi un posto in mezzo a voi come io nella vita ho avuto. Durante la predica della funzione funebre in Svizzera, il diacono ha raccontato tanto di Budoia, perché Jean Pierre si sentiva un vero budoiese più della moglie Carla ed era benvoluto da tutti perché per tutti aveva un sorriso ed una parola. Ti salutiamo e ti portiamo sempre nel cuore, Jean Pierre! I TUOI CUGINI DEL MASCHIO
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CRONACA
Cronaca «Insieme» a l’è pì bel
Per lodevole iniziativa dei catechisti, nelle domeniche di Avvento e di Quaresima – tempi liturgicamente molto importanti perché propedeutici al Natale e alla Pasqua – i ragazzi del catechismo e i loro genitori partecipano a una Santa Messa a turno in ogni parrocchia. La liturgia è arricchita dalla loro vivace presenza e dai canti imparati per l’occasione.
I bambini del catechismo con le lanterne dell’Avvento, al termine dell’ultima Messa in preparazione del Natale.
Venite Adoremus
L’Epifania tutte le feste porta via! Ed è un occasione di far festa con i piccoli. La parrocchia e i catechisti organizzano un pomeriggio particolare. Nel sagrato della chiesa di Dardago arriva il corteo dei figuranti (bambini e adulti) per l’adorazione dei Magi al Bambin Gesù. Tutto dal vivo, i tre Re magi, Gesù, Giuseppe e Maria, tanti pastori… Dopo una breve cerimonia in chiesa, gli «attori» e il pubblico sono ospiti del Comitato Festeggiamenti Dardago nei locali delle scuole per il panettone e il vin brulé e poi il momento più atteso dei piccoli: nel teatro i Re Magi consegnano la «calza» della Befana a tutti i bambini.
I à cambiat i orari de le Messe Seguendo le direttive emanate dal Vescovo Diocesano riguardo al numero e alla celebrazione delle Sante Messe in Diocesi, anche in relazione alla carenza di sacerdoti, dal 9 gennaio si attua nelle nostre par-
La Sacra Famiglia, gli angioletti e i pastori in attesa dei Re Magi.
Quest’anno la calza la portano i Re Magi.
rocchie un nuovo piano di celebrazione delle sante Messe: vengono soppresse le Sante Messe domenicali delle 11, a Dardago, e delle 18, a Budoia, e viene mantenuta la prefestiva del sabato alle ore 18 a Dardago. Questo orario sarà ad esperimento per quattro mesi. Nelle grandi solennità e nelle Feste Patronali si seguirà un orario particolare. La Settimana Santa sarà celebrata come negli ultimi anni. Ovviamente nelle prime settimane si fa difficoltà ad adattarsi ma, poi, si creano nuove abitudini. 32
Nadhàl in paéis
Numerose persone anche quest’anno hanno contribuito a rendere le festività natalizie più suggestive e ricche di significato: dalla cerimonia inedita della discesa di Gesù Bambino dal campanile, al grande presepio allestito in chiesa, a quelli degli altari laterali e ai tradizionali madhi, che rappresentano le contrade del paese. Grazie di cuore a tutti i volontari!
Suggestiva rappresentazione del presepio in chiave dardaghese. Chiesa, sagrato, campanile e piazza ricostruiti pazientemente da Miriam Zambon.
El presepio de la Miriam
Nelle nostre case è ancora abbastanza diffusa l’abitudine di allestire il presepio. Alcuni semplici, altri più complessi, ognuno meritevole di plauso perché raffigurano il vero significato del Natale. Originale il presepio di Miriam Zambon, figlia di Raffaele e Fernanda, che ha voluto rappresentare le classiche scene e i vari personaggi nel sagrato e nella piazza del paese. Entusiastici i giudizi dei numerosi visitatori.
na pordenonese, quale opportunità di «economia integrativa non speculativa» e di valorizzazione del nostro territorio in ambito culturale, gastronomico e turistico. Auguriamo alla compagine sociale di continuare nell’iniziativa superando anche gli eventuali imprevisti del settore agricolo quali meteo, parassiti e, purtroppo, anche vandalismo.
Sistemàt l’ultin toc de ’l Ruial L’ultimo tratto del Ruial, quello a valle del tubo de la Rosta che attraversa l’Artugna in prossimità del
«laghetto Pinàl», era sepolto da ormai 60 anni dalla nuova strada per Val de Croda. L’impegno e il lavoro costante di Luciano Zambon, Pierino Basaldella, Enzo Zambon Biso, Claudio Querenghi e Arnaldo Busetti hanno permesso di riportare alla luce numerosi conci in pietra «originali». Riposizionati su nuovo corso danno vita alla nuova cascatella prima del laghetto. Hanno inoltre collaborato all’iniziativa l’Uffico Tecnico Comunale, il Corpo Forestale di Polcenigo e Giorgio Borsoi della Baumer Edilimpianti di Porcia per aver effettuato le fasi di scavo. Un «grazie» unanime per il lavoro eseguito.
La Cooperativa de Cial de Mulin Si susseguono le riunioni per la costituzione della Cooperativa Agricola Cial de Mulin. Al termine dell’ultimo incontro i futuri soci presenti hanno formulato un sincero ringraziamento al dott. Alberto Sandrin, noto commercialista pordenonese, per aver ben delineato la ‘figura’ della cooperativa e lo scopo sociale e mutualistico che la caratterizzerà. È in preparazione presso l’Unione Cooperative di Pordenone lo Statuto, a cui seguirà la costituzione formale dal notaio. Il progetto è promosso e gestito su base volontaria e gratuita dall’Associazione Comitato del Ruial de San Tomè. L’obiettivo prioritario è la coltivazione dello zafferano e la sua promozione nella pedemonta-
3a FESTA DE ’L RUIAL E DE ’L PALÙ sabato 7 maggio ore 18.00
apertura festa con rinfresco presso stand C.F.D. nell’area ex-scuole Dardago ore 19.00 _ 22.00 cena presso capannone C.F.D. (musica con dj) ore 21.00 piazza Dardago (o chiesa parrocchiale) Collis Chorus e coro ospite (tedesco) in concerto
A CURA DI
Comitato Ruial de San Tomè GRAPO Gruppo Archeologico Polcenigo CFD Comitato Festeggiamenti Dardago FIC Federazione Italiana Cuochi di Pordenone Pro Loco Budoia
domenica 8 maggio
www.ruial.it e le sue associazioni
ore 8.00 _ 9.00
Ciàmpore, partenza cjaminada «dal Ruial al Palù del Livenza» passando dal «troi del Gor» ore 10.00 _12.00 visita all’area del Palù del Livenza, patrimonio dell’Unesco (servizio navetta dal Palù a Ciàmpore) ore 10.00 _18.00 piazza Dardago, mercato prodotti agroalimentari della pedemontana pordenonese mercatino prodotti artigianali in via San Tomè ore 12.15 pranzo presso capannone C.F.D. e F.I.C. ore 15.00 piazza Dardago, Gruppo Folcloristico Artugna ore 19.00 _ 24.00 cena presso capannone C.F.D. e F.I.C. suonerà un gruppo musicale
programma di massima soggetto a variazioni
quindi, di collaborare con le forze dell’ordine, nel fornire immagini utili a eventuali indagini.
Metude a posto le scole de Santa Luthia
Nuovi pannelli a Santa Lucia Da alcune settimane, a cura dell’Amministrazione comunale, sono state installate a Santa Lucia quattro tabelle in prossimità della vecchia filanda, in via Besa Fort, della chiesa parrocchiale, della chiesa sul colle e della latteria. Sono riportate, in italiano, in inglese e nella parlata locale alcune informazioni sui relativi edifici. Alcune informazioni storiche sono state reperite con la collaborazione della nostra redazione. È intenzione dell’Amministrazione installare pannelli storico-informativi anche a Budoia e Dardago.
L’edificio delle ex scuole elementari di Santa Lucia è stato restaurato a cura dell’Amministrazione comunale. L’inaugurazione si è svolta il 20 febbraio. Erano presenti il Sindaco, l’assessore regionale Maria Grazia Santoro, alcuni assessori e consiglieri comunali e diversi cittadini. Presenti anche molti giovani poiché qui sarà la sede del Progetto Giovani gestito dal GIM, Giovani in movimento. Nei locali rinnovati i ragazzi svolgeranno le loro attività didattiche e ri-
creative. Le scuole continueranno ad essere la sede del Collis Chorus che, in occasione della cerimonia, si è esibito presentando alcuni brani del suo repertorio. *** Domenica 20 marzo alle ore 18.00 presso la Chiesa di Santa Lucia, in preparazione alla Santa Pasqua, la corale ha offerto alle nostre Comunità «Riflessioni Quaresimali», significativo momento di meditazione intervallato da canti e brani organistici eseguiti da Roberto Cescut. *** Collis Chorus, nella settimana Santa e più precisamente lunedì 23 marzo alle ore 19.00, ha cantato alla messa officiata dal vescovo presso la Curia Vescovile di Pordenone per giuristi e medici cattolici.
AAA CERCASI Un nostro affezionato lettore, Elio Puppin, che abita in Belgio ci ha inviato questa bella fotografia che lo ritrae con la moglie, figli e nipoti. Molti di loro non hanno mai visto i nostri paesi, che hanno dato i natali al signor Elio. Il loro grande desiderio sarebbe di organizzare un soggiorno per la prossima estate. A tale scopo cercano, a Dardago, Budoia o Santa Lucia, una casa con giardino/cortile chiuso, cucina arredata, bagno e 4 o 5 camere, in affitto per 3 mesi.
A lethion dai Carabinieri
*** Riusciranno i nostri lettori ad accontentare Elio e suoi cari? Chi fosse interessato ad approfondire l’argomento, può richiedere alla nostra redazione (direzione.artugna@gmail.com oppure 348 8293208) l’indirizzo e-mail del sig. Elio Puppin.
Nei primi giorni di marzo, nella sala consiliare di Budoia si è svolto l’incontro sulla sicurezza, iniziativa promossa dall’Arma dei Carabinieri per informare la popolazione sui pericoli del vivere quotidiano e per istruirla a proteggersi dai frequenti episodi di microcriminalità. Il capitano della Compagnia di Sacile ha evidenziato ai presenti le varie misure di sicurezza per evitare di essere preda dei malviventi e ha invitato a segnalare tempestivamente ogni comportamento sospetto al 112. Il sindaco ha rilevato, inoltre, che da qualche anno il Comune è in grado di sorvegliare il territorio tramite la presenza di telecamere installate in alcuni punti strategici e, 34
inno
alla vita Con grande gioia i nonni Antonietta Zambon e Giorgio Moras annunciano la nascita del nipotino Marco (8 agosto 2015). Si uniscono a loro mamma Alessia e papà Alessandro Babuin.
Benvenuta, Alice! È con immensa gioia che Ennio e Anna Carlon annunciano la nascita della nipotina Alice, figlia della loro primogenita Michela e di Riccardo Fabbris. Alice è nata a Grasse (Francia), il 31 ottobre 2015.
Ciao a tutti. Mi chiamo Lorenzo, sono nato il 26 gennaio 2016 e sono stato accolto con immensa gioia da mamma Anita Giannone e papà Kristian Polese. Desidero salutare parenti ed amici.
28 dicembre 1960-28 dicembre 2015: cinquantacinque anni di vita matrimoniale per Redento Carlon Ros e Tranquilla Battistuzzi, che hanno festeggiato gioiosamente insieme ai loro cari, in particolare con gli amatissimi nipoti Lucia Marcandella, Diego e Mauro Fort.
Era il 12 febbraio del 1966 quando Giannina Carlon e Franco Del Puppo si sono uniti in matrimonio nella Chiesa di Sant’Andrea Apostolo a Budoia. E nel giorno di San Valentino hanno voluto festeggiare i loro 50 anni di vita insieme circondati dall’affetto dei loro famigliari.
Ferne Zambon Momoleti e Antonietta Zambon Pinàl hanno festeggiato 60 anni di matrimonio. Una vita insieme.
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Bella età raggiunta dalla Neta Martina! Il 14 gennaio, Anna Vettor ha compiuto 95 anni, eccola attorniata da amici e parenti in Canonica a Budoia. NADIA ZAMBON
Gloria Del Zotto ha conseguito la laurea in Scienza dell’Educazione presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia.
100 candeline per Catina Dopo Marianna, anche Caterina Bocus è arrivata al traguardo dei 100 anni. Ha festeggiato insieme ai figli Antonio, Gianna, Maria, genero, nuora, nipoti e pronipoti e la comunità di Budoia, dei quali molti sono passati per un brindisi. Con Dasha che amorevolmente le è vicina quotidianamente. Si sono uniti alla festa il parroco don Maurizio e il sindaco Roberto De Marchi che ha donato alla nostra centenaria un omaggio floreale. Un bel traguardo che alla domanda «Come va Catina?» lei ha risposto «Ci vediamo ai prossimi cento!». LAURA FABBRO
Berta Ianna Theco ha tagliato il traguardo dei 95 anni. Purtroppo, un infortunio dovuto all’età, l’ha costretta alla degenza in ospedale, pochi giorni prima del compleanno. Nella foto, quattro generazioni: Berta, il figlio Antonino, il nipote Stefano e i pronipoti Matteo, in braccio al papà, e Marco.
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Auguri dalla Redazione!
dicembre scorso. Vi ringrazio per il lavoro che svolgete per noi «dardaghesi» che viviamo lontano dai luoghi nativi dei nostri cari. Nella foto, scattata sei anni fa, il papà era appena diventato nonno di Xinqiao e gli avevamo fatto fare la maglietta con scritto «sono un nonno…» e sulla schiena «internazionale». Shangqi, l’altra nipotina cinese, invece è arrivata 3 anni fa.
i ne à scrit... l’Artugna · Via della Chiesa, 1 33070 Dardago (Pn) •
direzione.artugna@gmail.com
ANDREA IANNA
Mestre, Natale 2015
Gradita come sempre la vostra rivista è attesa per scorrere con piacere le vostre inserzioni. Intanto il tempo passa ed è giunto alla fine di quest’anno piuttosto burrascoso. Pertanto un sincero riconoscimento per tutto il lavoro della redazione alla quale porgiamo vivissimi auguri. DOMENICO E AGNESE DIANA
Vi ringraziamo per i graditi auguri, che ricambiamo cordialmente, e per le sincere espressioni di riconoscenza, con l’augurio di rivedervi presto a Budoia.
Roveredo, 18 gennaio 2016
È sempre un piacere ricevere la vostra bella rivista e in questi giorni ho ricevuto quella di dicembre 2015, nobile periodico che compirà tra poco ben 44 anni, nata nel 1972 (per la cronaca, la nostra Voce di Roveredo ha qualche anno in più, infatti esce sin dal 1954: ritengo siano le più ‘anziane’ della nostra zona: complimenti e sin d’ora Auguri!). Davvero interessante e ben documentato l’inserto sulla prima Guerra Mondiale, e poi una lunga serie di iniziative, le cronache e l’intensa opera di volontariato e così via. Bella e suggestiva la Madhoneta della sorgente de i Agaròi (a lato nella foto riconosco l’amico Valen-
tino Zambon, che saluto); molto espressiva la statua lignea di San Martino, opera di Renato Zambon Tarabin; infine la bella notizia del prossimo affresco che verrà eseguito dal ‘bravo’ concittadino, l’artista Umberto Coassin, amico di vecchia data, dai tempi della scuola a San Pietro al Natisone. Ottimi i ‘caldi’ profili dei defunti a ricordo. Ancora un complimento sincero e un caro saluto a tutti (Direzione e collaboratori) con una forte stretta di mano: mandi mandi e Bon An 2016. CAV. SERGIO GENTILINI
Grazie per i complimenti e per aver ricordato la nostra longevità. Anche la Voce di Roveredo ha la sua bella età ed è sempre giovane! Leggerla sempre un piacere e una scoperta. Per Dardago bisogna precisare che già ben prima del 1972 esisteva un bollettino parrocchiale. Per iniziativa dell’allora pievano don Nicolò Del Toso, fu pubblicato nel 1943 il primo numero de «La Voce del Pastore». Il bollettino fu pubblicato con regolarità fino agli ultimi anni ’50 e, sporadicamente, negli anni ’60. Una dettagliata ricerca su questo argomento è stato pubblicata su l’Artugna n. 100 – dicembre 2003.
Gressoney Saint Jean (Aosta), 20 gennaio 2016
Cara l’Artugna, vi spedisco l’immagine di papà Gianfranco che è deceduto il 12 37
Caro Andrea, nell’apposita rubrica pubblichiamo la foto di tuo papà. Ricevi le nostre condoglianze e i nostri auguri per la tua famiglia «internazionale».
Milano, 28 gennaio 2016
Carissimi tutti, abbiamo ricevuto l’Artugna, sempre bella e con tanti articoli. Vi mando due ritagli dal «Corriere della Sera» con alcune notizie su Sant’Espedito. Sarebbe bello scrivere qualcosa di questo Santo su l’Artugna. Cordiali saluti. LIDIA BASSO SMERALDI
Gentile Lidia, la accontentiamo subito. Sant’Espedito è proprio un Santo particolare.
Saronno, 25 febbraio 2016
Spettabile Direzione, nell’ottavo anniversario di morte del mio amato Pasqualino Zambon Canta vi pregherei accoratamente di voler pubblicare sul vostro periodico, la «nostra» insostituibile l’Artugna, nell’angolo dedicato alla Poesia, due sue composizioni inedite, trovate da me recentemente, sfogliando i suoi tanti appunti tecnico-scientifici. È stata anche per me una dolce sorpresa: quel mio «Grande Uomo», tutto studio e lavoro, è stato anche un delicatissi-
PASQUITA MAIORANO ZAMBON
Belle le poesie di suo marito e la lettera con cui lei ce le ha proposte. Le pubblichiamo molto volentieri.
[...dai conti correnti ]
mo poeta. Le sue, sono rime semplici, ma meravigliose; sono frasi spontanee che riescono ad esprimere tanto bene quanto Egli abbia saputo vivere con gioa e serenità, anche nei momenti più duri del dolore. Pasqualino, dell’Universo intero che ci circonda, ha saputo apprezzare il miracolo del Creato che «Risveglia nel nostro cuore il sentimento più prezioso: quello dell’Amore». Amore per il prossimo, Amore per i propri cari, Amore per la vita. Vi ringrazio sentitamente per l’attenzione e confido nella vostra sensibilità e professionalità che permetteranno, ancora una volta, di vedere esaudito un mio desiderio e di allietare i lettori de l’Artugna. Cordiali saluti.
Palgrave (Canada), settembre 2015
Venezia, 3 gennaio 2016
Per l’Artugna che riceviamo sempre volentieri.
Grazie per quello che fate.
ANTENORE E NADIA BOCUS Annemasse (Francia), 26 dicembre 2015
Per l’Artugna. Grazie. RITA IANNA SIMÒN
FRATELLI ZAMBON Milano, 7 gennaio 2016
Auguri a tutta la Redazione, con affezionata partecipazione al vostro impegno. DONATELLA ANGELIN
Budoia, 3 gennaio 2016
Auguri ed un abbraccio a tutta la Redazione. Complimenti e grazie.
Auguri! Buon Anno a tutti. Grazie.
SANDRA E BRUNO VAGO
ANTONELLA ZAMBON
Milano, 7 gennaio 2016
Torino, 3 gennaio 2016
Sempre graditissima. VERENA BIONDI ZAMBON
bilancio Situazione economica del periodico l’Artugna Periodico n. 136
entrate
Costo per la realizzazione
uscite 4.200,00
Spedizioni e varie (bustoni) Fiume Veneto – Dardago, 3 marzo 2016
Cari amici della Redazione, anche quest’anno desideriamo rendervi noto tutto l’apprezzamento per la vostra dedizione nel realizzare l’amata Rivista: ogni pagina trasmette l’amore di chi scrive, per chi legge. Dardago è nei nostri cuori e grazie a Voi, amici, possiamo continuare a «viverla». *** Finché abbiamo dei ricordi il passato dura, finché abbiamo delle speranze il futuro ci attende ed il presente vale la pena d’essere vissuto.
*** Grazie ancora e buon lavoro! Con affetto. PIETRO, PIERINA, LEONIDA, ANNA ZAMBON
Come si può rispondere? Solo con un grande e sincero grazie per queste parole che ci ripagano dei nostri sforzi e che ci stimolano a continuare! E grazie per la generosa offerta.
606,00
Entrate dal 04.12.2015 al 28.02.2016
4.249,00
Totale
4.249,00
4.806,00
RENDICONTO
Lascito Sergio Zambon Momoleti Come noto, nel corso del 2013, il nostro compaesano Sergio Zambon Momoleti, deceduto in Francia un anno prima, aveva destinato al nostro periodico un lascito di 45.600 euro (cfr. l’Artugna 129, agosto 2013). La redazione del periodico l’Artugna, con il parere favorevole dell’Amministrazione parrocchiale, pensò di utilizzare il lascito per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio artistico e culturale dell’antica Pieve di Dardago e di sistemare il secondo piano della canonica per poter accogliere l’archivio e creare un piccolo museo.
*** PUBBLICHIAMO IL RENDICONTO AGGIORNATO AL 29 FEBBRAIO 2016 DELL’UTILIZZO DEL LASCITO RICEVUTO.
entrate Lascito Sergio Zambon
uscite
45.600,00
Primo lotto restauro Archivio Storico della Pieve
15.768,40
Secondo lotto (previsione per 2016)
17.495,00
Restauro antichi candelabri e oggetti sacri
6.900,00
Pavimento sala secondo piano canonica
3.095,00
Totale impegnato/utilizzato Da utilizzare
43.258,40 2.341,00
DOMENICA DELLE PALME 20 MARZO
ia do Bu
ia uc L a nt Sa
Ingresso di Gesù in Gerusalemme
• Raccolta offerte Pro Missioni • Benedizione dell’Ulivo, processione Santa Messa di Passione
sagrato 11.00
piazza 10.45
sagrato 9.30
–
–
17.00/17.45
9.30 10.00/11.30
– –
– –
– –
9.30 10.00/11.30
– –
–
20.15
–
• Via Crucis in chiesa e Adorazione della Croce
–
15.00
_
• Azione Liturgica della Passione del Signore; adorazione della Croce; Santa Comunione per le tre Comunità
–
–
17.00
20.15
–
–
–
–
21.00
11.00
11.00
10.00
• Santa Messa
18.00
11.00
10.00
CONFESSIONI Lunedì Santo Martedì Santo Mercoledì Santo Sabato Santo
– 10.00/11.00 – 16.00/17.00
– _ 10.00/11.15 16.00/17.30
17.15/17.45 _ _ 18.00/19.00
LUNEDÌ SANTO 21 MARZO Adoriamo il Signore
• Solenne Adorazione Eucaristica e Santa Messa • Santa Messa • Solenne Adorazione Eucaristica MERCOLEDÌ SANTO 23 MARZO • Santa Messa e confessioni Solenne Adorazione Eucaristica GIOVEDÌ SANTO 24 MARZO Ultima Cena di Gesù, istituzione dell’Eucaristia e Sacerdozio
• Santa Messa Vespertina in «Coena Domini» per le tre Comunità; rito della lavanda dei piedi; riposizione del SS. Sacramento all’Altare del Sepolcro; spogliazione degli Altari e adorazione; presentazione comunicandi VENERDÌ SANTO 25 MARZO Ricordo della morte di Gesù. Digiuno e astinenza
• Solenne Via Crucis per le tre Comunità lungo le vie [in caso di maltempo, la Via Crucis si svolgerà in chiesa] SABATO SANTO 26 MARZO Vigilia di Pasqua, attesa della Risurrezione
• Benedizione del fuoco ed accensione dei Ceri Pasquali delle tre parrocchie. Veglia Pasquale e Santa Messa di Risurrezione DOMENICA DI PASQUA 27 MARZO Alleluja Cristo è risorto alleluja
• Santa Messa Solenne LUNEDÌ DI PASQUA 28 MARZO
Buona Pasqua!
programma religioso
MARTEDÌ SANTO 22 MARZO
SETTIMANA SANTA
o ag rd a D
le orchidee spontanee del CiastelĂ t
Tra la ricca flora della Valle dell’Artugna spicca la presenza di una trentina di specie di orchidee spontanee che rappresentano piÚ di un terzo di quelle esistenti nel Triveneto.
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Limodorum abortivum a sinistra
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Cephalanthera longifolia al centro
foto di Marco Palma
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Serapias vomeracea a destra