Spedizione in abbonamento postale art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone.
ANNO L / APRILE 2021 / NUMERO 152 PERIODICO DELLA COMUNITÀ DI DARDAGO / BUDOIA / SANTA LUCIA
L’EDI TO RIALE
PASQUA 2021
APRILE 2021 / 152
l’anno del cinquantesimo
di Roberto Zambon
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Fa un certo effetto leggere in copertina «Anno L / Aprile 2021 / Numero 152». Sembra incredibile ma siamo entrati nel 50° anno di vita del nostro periodico. 25 anni fa furono organizzati vari eventi per festeggiare la ricorrenza: purtroppo ora è molto difficile pensare a manifestazioni o a particolari pubblicazioni a causa dell’incertezza in cui viviamo per la pandemia che ci accompagna ormai da un anno. Alcune nostre lettrici ci hanno scritto per «ricordarci» dell’importante anniversario. Aide ci ricorda che 50 anni... per un albero è ancora «gioventù» e si augura che questa pianta sia annaffiata dai giovani di adesso con «acque» nuove, fresche e cristalline come quelle del nostro Cunath, che la accompagnino e le diano vita e vigore per tanti anni ancora. Ida, a sua volta, rivolgendosi a l’Artugna chiude così: Certo,... anche tu stai invecchiando, come tutti: per continuare il tuo lungo cammino senza fine, avrai bisogno di più sostegno e collaborazione che ti auguro di trovare sempre nella nostra fantastica realtà locale che ci accomuna fin dalla radici. Ovviamente è naturale che la redazione non lasci passare questo periodo (aprile 2021- aprile 2022) senza qualche evento per ricordare degnamente il bel compleanno. Il traguardo è importante perché dimostra che anche nei piccoli paesi si possono raggiungere grandi risultati se c’è la ferma volontà di andare avanti, superando scogli e difficoltà che possono sembrare insormontabili. Non è un problema solo finanziario; è, anche e soprattutto, un problema generazionale: il tempo corre anche per noi. Aide e Ida ricordano l’importanza dei collaboratori. Il problema è proprio questo. Ci sono, per fortuna, collaboratori che ci danno una mano «su richiesta» ma non riusciamo a far crescere giovani che possano «portare avanti» la redazione. La speranza, però, è l’ultima a morire e quindi procediamo confidando nella vicinanza dei lettori, quelli dei nostri paesi e coloro ai quali l’Artugna viene spedita. Certi che la campagna di vaccinazione in corso possa portare presto i buoni risultati previsti, dandoci più possibilità di movimento, annunceremo a breve ciò che riterremo possibile organizzare per il 50°. Buona Pasqua e buon 50° anniversario a tutti noi!
Abbiamo bisogno di speranza di don Vito Pegolo
Abbiamo bisogno di speranza in qualcosa che ci dia la gioia di poter vedere un domani migliore: purtroppo, la situazione della Pandemia ci rende insicuri e incerti su cosa fare. Siamo alla ricerca di capire e di vedere strade nuove. Nella Chiesa è in atto una riflessione per capire meglio la sua presenza nella società attuale, per rispondere in modo più coerente alle intenzioni di Gesù: essere «Buona Notizia», per tutti. Anche nelle chiese locali di tutto il mondo si sta iniziando un cammino sinodale (fatto insieme da tutti i cristiani, perché battezzati) che ci aiuterà a capire ruoli e impegni di ciascuno. Già si tenta di capire meglio il ruolo dei laici e quello proprio dei presbiteri, la centralità ed il ruolo delle donne nella comunità ecclesiale. In alcune diocesi s’inizia ad affidare incarichi importanti di amministrazione parrocchiale a laici (uomini e donne), mantenendo al Presbitero il ruolo della celebrazione dei sacramenti, «Messa, confessione...». Nella nostra, s’inizierà presto questo cammino sinodale: mi auguro che non sia solo una questione da «preti», ma che coinvolga tutto il popolo di Dio. Tutti hanno diritto di esprimersi ed aiutare insieme, con l’aiuto dello Spirito Santo, a capire il meglio per la comunità. Riporto un intervento del card. Mario Grech, segretario generale dei sinodo dei vescovi: «Abbiamo bisogno di un cambiamento di mentalità pastorale... che non significa andare verso una pastorale relativistica. Oggi, non viviamo più in un mondo cristiano, perché la fede non è più
LA LETTERA DEL PLEVÀN
San Giuseppe, il padre coraggioso di don Kiran Thota
presupposto scontato della vita sociale. È evidente la necessità di una nuova evangelizzazione. Molti battezzati non rientrano nel modello tradizionale cattolico. Si deve uscire da una chiesa confort verso il campo di battaglia quotidiana. Non é una scelta metodologica ma il modo di una chiesa che vuole andare in missione». Come comunità dell’Alto Livenza, siamo impegnati a terminare la visita pastorale interrotta per le restrizioni: seguirà anche una ridistribuzione e cambiamento di sacerdoti, e questo coinvolgerà la vita di molte comunità. Verso fine anno si inizierà il cammino sinodale: che bello affrontare insieme la vita. Siamo nel tempo Pasquale incontriamo chi ha ribaltato la pietra dalla tomba ed è ora speranza di Vita per tutti. Vi auguro di non nascondervi da Lui: andategli incontro, cercatelo come fecero le donne ed annunziate che è vivo e cammina con noi.
Nella lettera apostolica «Patris Corde» (Con cuore di Padre), Papa Francesco chiama San Giuseppe, Padre amato, Padre nella tenerezza, nell’obbedienza, nell’accoglienza, dal coraggio creativo e lavoratore. Queste parole mi hanno dato tanto coraggio in questa pandemia, dove ci sono tanti problemi che stiamo vivendo: i bambini a casa da scuola, il lavoro che viene a mancare, preoccupazione per gli anziani, per le case di riposo, per gli ospedali ecc.; quindi si parla solo di tamponi, vaccini, zona rossa, arancione, gialla, bianca... che stanno occupando il maggior tempo in TV, radio, giornali ecc. Questa realtà di oggi che tutti dobbiamo accettare, penso che l’abbia avuta anche San Giuseppe, magari in altre situazioni quando Gesù è nato a Betlemme. Il Pontefice dice che dobbiamo ricordare una caratteristica importante di Giuseppe: il «coraggio creativo». Il vangelo dice che Giuseppe era turbato quando pensava alla Vergine Maria incinta, durante il viaggio, quando non trovavano un alloggio. Poi la nascita di Gesù, deposto in una mangiatoia, la visita dei pastori, dei Magi venuti da lontano, la fuga in Egitto...
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In tutte queste situazioni il Santo protettore è rimasto fedele, per cui «San Giuseppe è l’uomo mediante il quale Dio si prende cura degli inizi della storia della redenzione» dice il Papa. Da dove San Giuseppe ha preso questa forza? Questa è la domanda che ci dobbiamo fare. San Giuseppe ascoltava sempre i messaggi degli Angeli e poi si fidava totalmente del Signore. Questa obbedienza e fiducia lo hanno accompagnato per arrivare a dimostrare il coraggio creativo con umiltà e semplicità. Pasqua vuol dire passaggio; chiediamo – per intercessione di San Giuseppe – il coraggio per superare questo periodo di pandemia. Prendiamo coraggio dall’evento di Gesù dove la Passione, la sofferenza hanno fatto la Via Crucis verso la resurrezione di speranza. Questa festa di Pasqua è un grande segno di sicura speranza.
Buona Pasqua! DON VITO, DON KIRAN
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LA RUOTA DELLA VITA MATRIMONI Felicitazioni a... Nozze d’oro Giampietro Zambon e Luisa Zanus Fortes – Dardago
DEFUNTI Riposano nella pace di Cristo. Condoglianze ai famigliari di...
IMPORTANTE Per ragioni legate alla normativa sulla privacy, non è più possibile avere dagli uffici comunali i dati relativi al movimento demografico del comune (nati, morti, matrimoni). Pertanto, i nominativi che appaiono su questa rubrica sono solo quelli che ci sono stati comunicati dagli interessati o da loro parenti, oppure di cui siamo venuti a conoscenza pubblicamente. Naturalmente l’elenco sarà incompleto. Ci scusiamo con i lettori.
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Chi desidera usufruire di questa rubrica è invitato a comunicare i dati almeno venti giorni prima dell’uscita del periodico.
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Vittorio Saccon di anni 97 – Santa Lucia Ida Dedor Barisél di anni 91 – Dardago Aurelio Zambon Cep di anni 94 – Milano – Dardago Lidia Soldà di anni 97 – Santa Lucia Anna Soldà di anni 90 – Santa Lucia Tiziano Basso di anni 86 – Dardago Franco Ianna Ciampanèr di anni 80 – Francia – Dardago Rino Sarri di anni 90 – Santa Lucia Marinella Leghissa di anni 60 – Zoppola – Santa Lucia Vittoria Santin di anni 99 – Budoia Roberto Dabrilli di anni 68 – Dardago Florio Bernardis di anni 75 – Budoia
L’ARTUGNA PERIODICO DELLA COMUNITÀ DI DARDAGO BUDOIA / SANTA LUCIA DARDAGO
BUDOIA
SANTA LUCIA
IN QUESTO NU MERO
152 ⁄ ANNO L / APRILE 2021
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2 Editoriale 2 Abbiamo bisogno di speranza di don Vito Pegolo 3 San Giuseppe, il padre coraggioso di don Kiran Thota
27 Solidarietà in tempo di Covid-19 a cura della Redazione 30 Passando a chieder luce alla Santa Lùcia! di Walter Arzaretti
4 La ruota della vita
32 Lavori sul Rujal de San Tomè di Giacomo Del Maschio
6 2020, Annus horribilis di Ivo Angelin
33 Budhuoia revoluthionaria! di Fernando Del Maschio
8 Lo scherzo al prete di Vittorio Janna Tavàn
34 La Batinàda di Flavio Zambon Tarabìn Modola
l’Artugna, amica mia, tanti auguri per i tuoi 50 anni! di Adelaide Bastianello Verso il 50° compleanno de l’Artugna di Alves Bastianello Thisa Cara l’Artugna, grazie per i tanti anni di compagnia di Ida Zambon 12 Credo di Alessandro Fontana 14 Disegnare il futuro di Silvano Scarpat
36 ’n te la vetrina 37 Lasciano un grande vuoto... 42 La Cronaca 44 L’inno alla vita 45 Accompagnano le offerte Il bilancio Le punture di spillo a cura di Sante Ugo Janna 47 Programma religioso
16 Le nuove generazioni ‘fanno memoria’ Da Budoia a Buchenwald, per Angelo un viaggio senza ritorno a cura di Vittorina Carlon 17 Lettera ad un ragazzo del futuro di Pietro Del Maschio 18 Storia e ricordi di un ramo della famiglia Pinal Glir di Paola Livia Zambon 20 Il nostro Vaticano di Roberto Zambon 22 Che ato in non? Me clàme... e sòi de... di Vittorio Janna Tavàn
Autorizzazione del Tribunale di Pordenone n. 89 del 13 aprile 1973 Spedizione in abbonamento postale. Art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone. Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione di qualsiasi parte del periodico, foto incluse, senza il consenso scritto della redazione, degli autori e dei proprietari del materiale iconografico.
24 In punta di piedi sul ciglio estremo del mondo di Maurizio Mascarin 25 Raccolta fondi per Area Giovani del CRO di Fulvia Mellina 26 ...i à cambiat le orathions di Roberto Zambon
IN COPERTINA Giorgio Igne La mia croce, 30x50 cm. Quando le debolezze sfiorano l’uomo, questi, suo malgrado, ne diventa testimone durante la propria esistenza. Redimersi? Pentirsi? Essere consci è già un grande risultato. Espiare non è di questo mondo che io salga o scenda dalla mia croce. Gianni Camol [foto di Vittorio Janna Tavàn]
2020
di Ivo Angelin, sindaco di Budoia
Annus horribilis
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Ad un anno dallo scoppio della pandemia di Covid-19, il Sindaco ci presenta un’analisi dettagliata della situazione nel nostro Comune.
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Care Concittadine e cari Concittadini, l’annus 2020 è stato horribilis per milioni di persone che nei quattro angoli della Terra hanno visto morire i loro cari. È stato horribilis per la paura che ha generalizzato, per il distanziamento fisico, per la percezione degli altri visti come possibili portatori di una minaccia, per il coprifuoco come in tempo di guerra, per il ripiegarsi su sé stessi nel tentativo di sopravvivere nella speranza di un possibile indefinibile sereno. Secondo i dati della Johns Hopkins University, alla vigilia di Natale 2020, il mondo contava oltre 78.5 milioni di contagiati ed un numero di decessi, arrotondato per difetto, di oltre 1,7 milioni di casi. In testa, per valori assoluti, ovviamente le aree più popolose: Stati Uniti, India e Brasile. Ma in termini relativi, ossia in rapporto al numero di abitanti, una ben diversa classifica. In testa il Belgio, la
regione più cosmopolita dell’intera Europa, subito dopo la piccola Repubblica di San Marino, destinata ad anticipare la posizione dell’Italia, quindi la Slovenia. Più impressionante di tutti il caso italiano. Un contagio più contenuto, rispetto agli altri Paesi: ottavo posto nella classifica generale. Meno esteso che in Francia e Gran Bretagna. Leggermente peggio di Spagna e Germania, che seguono a ruota. Ma con un numero di decessi ed un tasso di letalità tra i primi al mondo. In relazione alla popolazione i decessi sono stati pari a 116.5 ogni centomila abitanti. Però nell’annus horribilis è successo qualcosa di straordinariamente positivo: la scienza si è alleata globalmente, aprendosi alla pluralità dei centri di ricerca mondiali, ha rotto i confini legati alle singole competenze e ha superato i confini politici, comprendendo che il vero nemico era il tempo. È
Il 18 marzo, Giornata Nazionale delle Vittime del Covid, tutta la Nazione ha ricordato le persone, oltre centomila sino ad ora, che sono decedute in Italia. Nella foto, la sobria cerimonia con la quale il Sindaco Ivo Angelin ha fatto memoria di questa immane tragedia.
Un abbraccio a tutti voi.
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Andamento dei casi positivi e delle sorveglianze domiciliari nel Comune di Budoia da inizio pandemia fino al 17 marzo 2021
nato un progetto comunitario che ha saputo collegare le intelligenze e le specificità di tanti ricercatori, che durante l’anno 2020 hanno dato la vita ai primi vaccini anticovid. Un vero e proprio miracolo umano, in poco tempo, sono riusciti a creare i vaccini che serviranno a farci produrre gli anticorpi contro il virus. La nostra resistenza al virus deve trarre la sua energia nella cooperazione tra persone, nel sacrificio della ricerca continua, per poter finalmente contenere la pandemia. Noi come persone possiamo fare tanto, ogni giorno, avendo cura del luogo dove abitiamo, di noi stessi, dello spazio che ci ospita e delle persone che ci frequentano e imparano a conoscerci. Purtroppo, anche in questi primi mesi dell’anno 2021 il virus continua a imperversare e per sopravvivere si è inventato le varianti. Nel nostro Comune, grazie al vostro impegno nel rispetto delle regole, grazie al lavoro continuo svolto dall’Amministrazione Comunale, la situazione Covid-19, almeno per ora è sotto controllo, come testimonia il grafico allegato. Non dobbiamo però abbassare la guardia perché l’allarme non è sicuramente cessato, il nemico invisibile è subdolo, le notizie di quello che sta succedendo in altre ex province e regioni, adesso mentre sto scrivendo, sono molto pesanti, dobbiamo continuare nel rigoroso rispetto delle regole in vigore anche adesso. Alla fine di questo nuovo anno 2021 sono convinto che ognuno di noi si guarderà dentro e scoprirà che può trasformare ciò che è stato davvero difficile, in un potenziale sprone per guardare avanti; con umiltà dobbiamo accettare che la vita ci insegna a vivere soprattutto attraverso le difficoltà. Sono fermamente convinto che abbiamo iniziato un percorso virtuoso, ancora irto di difficoltà, ma che ci porterà fuori da questo straziante incubo reale.
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L’ANNO DEL CINQUANTESIMO
Dardago. In un freddo pomeriggio di gennaio ci troviamo in Canonica... oggi è previsto di fare un po’ di riordino nell’archivio de l’Artugna. Riviste, libri, foto, cartoline, disegni, bozzetti, fogli sparsi… sono da catalogare. Tra le mani capita una vecchia busta, una fra le tante. Stupore! Al suo interno un cartoncino con un messaggio: «Questo bollettino non s’ha da fare né oggi né mai». Lettere ritagliate e incollate disordinatamente compongono, in forma anonima, un monito... un avvertimento. In un istante, come una folgorazione, la mia mente mi porta a rivivere ‘quella sera’ d’estate di tanti, tanti anni fa... in Redazione...
lo scherzo al prete
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Tutto ebbe inizio nei primi mesi del 1972 quando a don Giovanni venne l’idea di fare un ‘bollettino parrocchiale’ per comunicare con l’intera Comunità, sia quella in paese che quella lontana. A tale scopo aveva riunito in Canonica un gruppo di giovani, quasi tutti poco più che ventenni. Il progetto incontrò subito pareri favorevoli e non mancarono proposte, suggerimenti. Era necessario però trovare un nome. C’era chi, più legato alla tradizione, proponeva ‘un qualcosa’ che richiamasse l’ex bollettino «la Voce del Pastore» e chi invece voleva cambiare. Trovato l’accordo, alla fine, si decise per… l’Artugna. Esce così il primo numero e, per Pasqua, giunge nelle case del paese. Le ‘piccole’ divergenze legate al nome sembravano ormai dimenticate… o quasi; nei mesi successivi, infatti,
tra una riunione e l’altra, i giovani della Redazione decisero di organizzare uno scherzo al Pievano... ‘Quella sera’ di fine giugno è in corso una riunione: don Giovanni – dietro alla sua Olivetti – scrive, organizza il lavoro e ‘dirige’ i redattori in erba. «Don Giovanni, è arrivata posta per l’Artugna?» domanda qualcuno e altri chiedono: «Don Giovanni... non ha ancora controllato la posta?». Dopo ripetute insistenze, esce e ritorna con una busta, che apre davanti ai nostri occhi. Un improvviso silenzio cala nella stanza. Estrae il cartoncino, si fa serio e... sbianca! Lo scherzo dura solo pochi secondi e quel ‘singolare’ silenzio è interrotto da fragorose e liberatorie risate, immediatamente seguite da rassicuranti spiegazioni. Esemplare la sua reazione.
di Vittorio Janna Tavàn
Accettata di buon cuore la burla, torna con due bottiglie di vino per brindare al giornale. Un coro spontaneo: «Prosit! Lunga vita al ‘bollettino’... l’Artugna!».
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Con il cartoncino tra le mani rileggo quelle parole ingiallite e ripenso alla spensieratezza, all’incoscienza che accompagnavano i giorni e il lavoro di quella ‘verde’ Redazione. Ripenso alla figura, alle idee e alla sensibilità del pievano-fondatore, che conservò questo cartoncino ‘nascondendolo’ in archivio. Ripenso a quel lontano brindisi che ancor oggi, dopo quasi 50 anni, mantiene tutta la sua forza benaugurante... una ‘benedizione’.
Una stella fatta di carta La ‘stella’ de l’Artugna è composta da 152 numeri, raccolti e rilegati in 8 volumi, più di 5.000 pagine per testimoniare l’identità, la vita e la storia delle nostre Comunità. Pagine che si aprono sul passato, ma che con perseveranza ci indicano i valori su cui puntare per guardare al futuro. Come dopo un lungo viaggio riviviamo i momenti salienti, così rileggiamo piano piano le sue pagine ovunque desiderino portarci. Ci auguriamo di trovare la forza per continuare... seguendo la luce della ‘stella’.
l’Artugna, amica mia tanti auguri per i tuoi 50 anni! 1972. Nasce l’Artugna come periodico della Comunità Dardaghese. Due pilastri, due maestri, don Giovanni Perin ed il maestro Zanchet iniziarono a mettere le basi al primo numero insieme a due/tre giovani pieni di entusiasmo e di voglia di fare, con una vita davanti, tanti sogni e belle speranze come è giusto che sia in una gioventù sana. Bello vedere tutto questo lungo percorso a ritroso nel tempo, a distanza di cinquant’anni; come i sogni di ognuno si siano evoluti, intrecciati negli anni insieme al periodico, come abbiano camminato insieme condividendo gioie e do-
lori, esperienze e soddisfazioni, nascite e morti. In questo periodo, come ho già detto lungo ben cinquant’anni, l’Artugna è stata alimentata con amore e sentimento come si alimenta un matrimonio, come si coltiva un tenero albero appena piantato. Piano piano, numero dopo numero, anno dopo anno essa è cresciuta insieme ai suoi redattori che si alternavano nel sostenere questo giovane virgulto; col passare degli anni diventava sempre più forte, più importante e si faceva conoscere al di fuori del paese, del comune, della regione per la qualità dei suoi contenuti,
per il suo stile e per il suo continuo rinnovamento. Mano a mano che passavano gli anni l’Artugna cresceva e si fortificava insieme alla sua redazione, che è composta anche da persone sparse nel mondo, a Venezia, Trieste, Milano, Roma e all’estero. E come un bell’albero ha prodotto ottimi frutti che hanno lasciato segno nell’editoria locale, come non ricordare Sot ’l Crep, Crode, Vere no’ Vere, Pa’ tra la vos, le Pergamene, Comot e moltissime altre iniziative non meno belle e di valore. Nel complesso si possono contare ben 21 opere editoriali. Credo che neppure don Giovanni,
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di Adelaide Bastianello
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L’ANNO DEL CINQUANTESIMO
mentre metteva le basi del suo primo numero, 50 anni fa, avrebbe mai sognato che l’Artugna si sarebbe potuta evolvere così tanto e bene. Avevo 24 anni alla sua «nascita» e non ho vissuto i suoi esordi, anch’io muovevo i miei primi passi nel mondo degli adulti, del lavoro, inoltre abitavo a Milano troppo lontano a quei tempi per esserci veramente, la tecnologia era ancora sconosciuta a noi, però ho recuperato alla grande negli anni successivi. Essa mi è ha fatto compagnia in alcuni momenti difficili, mi ha fatto crescere, mi ha insegnato a
pensare, a farmi domande, mi ha fatto conoscere meglio e apprezzare le mie radici e mi ha narrato tanto delle persone e delle famiglie che venivo a conoscere dai racconti ascoltati in famiglia. L’Artugna festeggia 50 anni oggi, ma è come avesse più di un secolo. Le storie che racconta risalgono ai primi anni del ’900 e anche oltre con narrazioni, testimonianze, riferimenti e foto storiche. Se sfogli uno a uno tutti i fascicoli raccolti in più di dieci volumi ti accorgi di avere tra le mani una enciclopedia del costume, delle usanze, tradizioni e vita contadina nell’area Pedemontana del secolo
scorso; troverai argomenti di ogni genere, dalla storia alla politica, dalla geografia locale alle documentazioni, dalla poesia alle comicità in dialetto locale. Insomma un bel passatempo ed un arricchimento culturale di tutto rispetto. Per un matrimonio 50 anni, le nozze d’oro, sono un bel punto d’arrivo... per un albero è ancora «gioventù». L’augurio che mi viene spontaneo dal cuore è che continui così e che la nuova generazione la protegga e la annaffi con «acque» nuove, fresche e cristalline come quelle del nostro Cunath, che la accompagnino e le diano vita e vigore per tanti anni ancora.
verso il 50° compleanno de l’Artugna
di Alves Bastianello Thisa
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Da quando è uscito il primo numero de l’Artugna sono passati... anzi volati, quasi 50 anni! Il «mio periodico quadrimestrale» compagno di vita, l’ho sempre apprezzato per i suoi contenuti. La
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sua, in questi anni, è sempre stata una presenza costante e puntuale capace di rendermi felice nel farmi conoscere fatti e avvenimenti di vita che, di stagione in stagione, hanno coinvolto le tre Comunità.
Ma le sue pagine, al mio cuore, non hanno parlato solo di fatti di cronaca. Attraverso i suoi articoli, ho potuto sempre ‘dialogare’ di spiritualità, di storia, di folclore, d’arte e poesia. Ancor di più ho apprezzato l’impegno, e l’amore quasi materno, rivolto a custodire la parlata di Dardago; significativi e interessanti sono stati gli esempi e i racconti scritti nel nostro bel dialetto: la lingua di mio padre e di mia madre, e per i miei avi... approfondite ricerche di genealogia per la ricostruzione delle nostre famiglie. Notizie, storie, fatti di tempi passati? No, sempre attuali perché utili alla scoperta e valorizzazione delle radici. Sin dal suo esordio ho stimato il valore della sua informazione e del suo aggiornamento capace di tener viva, non la semplice curiosità, ma l’intima conoscenza delle cose. Pur non conoscendo molte persone del pae-
se, al di là di parenti e amici perché vivo lontana, costantemente e in modo intenso mi ha fatto provare l’intimo senso di appartenenza all’ambiente nativo dei miei genitori, dei miei nonni. E non è poco... *** Cara l’Artugna, ora lascia che ti dia del tu, scusami la confidenza. In questi quasi 50 anni ci siamo conosciuti, abbiamo molto chiacchierato e mi hai fatto tanta compagnia, perciò
ti auguro di non venir mai meno alla tua missione, non interrompere mai. Non stancarti, non sai quanto ti apprezzo specialmente quando rientro a Dardago, «il mio paese», dove sono custoditi i ricordi beati dell’infanzia e quelli meno lieti che la vita mi ha riservato... ma sono sempre i «miei ricordi». Grazie. Continua la tua opera! Mantieni in vita il passato, descrivimi attentamente il presente, progetta e portami verso il futuro. Ultimo, ma non per questo me-
no importante, dal profondo del mio cuore desidero ringraziare tutti i tuoi collaboratori, un plauso alla loro dedizione e alla loro costanza. Perché – non lo scordo – un giornale è fatto da uomini, con le loro capacità, con le loro idee, ma soprattutto... con le loro passioni. Ciao. Ti aspetto, non mancare...
cara l’Artugna grazie per i tanti anni di compagnia Cara l’Artugna, una mattina, tra la veglia e il sonno, l’ora migliore in cui affiorano le idee giuste e spesso risolutive, mi si è accesa, come un flash, la voglia di scriverti una lettera, ora che entriamo nel 50° anno di pubblicazioni. Sì, giusto due righe, per ringraziarti dei tanti anni in cui ci hai tenuto compagnia durante le tre festività più importanti: Natale, Pasqua, Ferragosto. Dopo i pasti spesso abbondanti e con i nostri familiari, ti davamo una sfogliata per cogliere globalmente il contenuto e leggerti poi, nei momenti di maggior calma. Credo che molti si siano ritrovati tra la tue pagine, magari solo tra gli annunci dei matrimoni, nascite, anniversari, licenze elementari e medie, diplomi, lauree e defunti, la colonna, ahimè, più lunga. Hai accolto e condiviso articoli su aggiornamenti della comunità, conoscenze del territorio e dintorni, poesie e storie divertenti anche nel nostro dialetto per non dimenticarlo. Inserti preziosi sulla guerra
con la testimonianza di persone locali che hanno attratto maggiormente la nostra attenzione e coinvolto nelle loro storie e avventure vissute. Gli alberi genealogici, motivo di ricerca, aggregazione, discussione
e domande: «Chi elo chel la?» per scoprire spesso di essere pure parenti anche se alla lontana, ma il ceppo è quello! Noi ti aspettiamo, sfogliamo, leggiamo, senza renderci conto del lavoro e impegno costante che richiede il portarti avanti. Le due cifre (50) fan capire quanti anni siano trascorsi dalla tua prima edizione, incredibilmente volati, durante i quali sei sempre uscita puntualmente. Solo il Covid-19 ti ha colpito e bloccato, mancando per la prima volta all’appuntamento della Pasqua 2020, causa il lockdown totale in vigore fino al 4 maggio. Certo, anche tu invecchiando, come tutti, per continuare il tuo lungo cammino senza fine, avrai bisogno di più sostegno e collaborazione che ti auguro di trovare sempre nella nostra fantastica realtà locale che ci accomuna fin dalla radici. Eccellenti nozze d’oro! Con affetto.
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di Ida Zambon
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Ovunque il guardo giro Eterno Dio, ti vedo, nell’opre tue ti ammiro ti riconosco in me.
di Alessandro Fontana
Io non credo in Dio per via di imposizione familiare oppure di costrizione scolastica o di ambientazione sociale; né credo per paura di ritorsioni divine o erroneamente credute sacre: io credo per convinzione mia propria, per conseguenza immediata dopo aver esaminato con attenzione tutto quanto mi è d’attorno e dentro me stesso, con la mente sgombra da ogni condizionamento. Al tempo in cui a scuola s’imparavano a memoria le poesie dei grandi della nostra letteratura (che meraviglioso esercizio ginnico per il cervello!), tra altre notevoli eredità, imparammo l’aria composta dal poeta Pietro Metastasio (1698-1782) che qui riporto in parte:
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Ovunque il guardo giro Eterno Dio, ti vedo, nell’opre tue ti ammiro ti riconosco in me.
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Fu quell’ultimo verso che mi s’impiantò nella coscienza di me stesso e del mio essere nel Creato. Questo verso dice una verità: se ci guardiamo dentro, noi stessi riconosciamo, capiamo il mistero
della nostra esistenza. Non è cosa semplice né facile ricercare la radice dell’essere ma, se ci pensiamo, tutta la nostra vita è una continua ricerca: dalle più banali e misere necessità fisiche alle più eccelse esigenze spirituali; sta a noi volere e decidere, tra quelle, le priorità cui dedicarci nei tempi e nei modi che ci sono possibili. Alla fine di una lunga e definitiva ricerca, io non credo di essere conseguenza del caso (così come ogni altro essere umano, il mondo animale e vegetale e tutto ciò che muta e si riproduce) quindi di un’accidentale e sconsiderata miscela di elementi ingarbugliati da fattori fisici e chimici o da radiazioni cosmiche o da forze elettromagnetiche. Non credo di essere il frutto di materia e di forze non guidate, non creazione né generazione, quindi evento casuale, unico e quindi irripetibile, prodotto in un crogiolo senza volontà e senza respiro. Non credo nemmeno alla evoluzione della specie (tesa a spiegare la presenza della nostra umanità sulla terra) e alle mai dimostrate teorie tese al sostegno di una idea affascinante ma balza-
na proprio perché senza fondamento e verifica scientifica. Questa dell’evoluzione è l’ipotesi di menti stanche, addormentate nella facile bambagia dell’auto-esaltazione di chi crede di aver trovato la formula perfetta per la spiegazione di ogni mistero. Bisogna ammetterlo: è davvero facile trovare la soluzione dei ‘perché’, che da sempre tormentano la mente umana, con la storiella dell’evoluzionismo ma riconosco che anche la convinzione di un Dio creatore potrebbe sembrare un facile appiglio cui, infatti, molti si aggrappano, spesso senza sapere perché. E invece l’idea di Dio non è per nulla facile, anzi... Mi chiedo infatti come sia possibile che la combinazione di alcuni elementi chimici possa generare un seme e che questo seme a sua volta generi una pianta e questa pianta generi dei frutti, ma non in continuità né sempre gli stessi nella forma o in ogni punto della
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Un uomo piccolo di fronte alla maestà di una notte stellata, seduto su una spiaggia a rimuginare sull’Orsa Maggiore e sull’infinito. Tutta la scena è contenuta dai raggi di un Sole che tutto racchiude, anche la sedia dell’uomo che ha lasciato la sua comodità
Antico piatto smaltato dipinto da Alessandro Fontana.
terra o in tutto l’universo, e che quei frutti a loro volta producano ancora tanti altri semi a sé stessi uguali o quasi uguali e così via per miliardi di anni. E perché ciò avvenga v’è sempre l’indispensabile presenza dell’acqua senza cui nulla si manifesta e si mantiene sia fra i vegetali che fra gli animali, umanità compresa. Continuo a chiedermi come sia possibile che assieme a quel seme in ogni punto della terra si riproduca la stessa sequenza ma producendo semi diversi, milioni di semi diversi che a loro volta producono miliardi di piante e miliardi di miliardi di frutti ancora e sempre diversi tra loro. E mi chiedo ancora come sia pensabile, o soltanto immaginabile che uno spermatozoo vagante nello spazio abbia incontrato per caso un ovulo anch’esso in trasferta cosmica e da questo contatto si sia prodotto un cervello con un fegato, con un sistema nervoso, con mani, braccia, pelle, unghie, e poi sentimenti, desideri, emozioni, spinte a fare, a non fare, a correre, a costruire e tutto quanto. Non solo, ma questo prodotto sarà maschio o femmina,
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alto o basso, giallo, bianco, o nero, intelligente o sciocco, sano o malato, affamato o inappetente e solo sulla terra, per quanto ne sappiamo, pianeta del nostro sistema solare. Qualcuno mi ha risposto obiettando che tutta la creazione della vita dipende dal DNA e io gli ho rimandato tutta la mia disponibilità anzi la convinzione a crederlo: come si potrebbe non esserne convinti? Ma questa convinzione null’altro fa che spostare il problema ancora a monte, quindi alla catena, alla spirale dei geni e dei cromosomi che vagano imperterriti nel nostro sangue e nelle nostre ossa accendendo ancora la stessa domanda: quale fabbro ha messo insieme quella catena? Quell’insieme di catene? E perché? Per la nostra intelligenza umana è chiaro che il DNA non sia una generazione spontanea o, peggio, un frutto casuale, assolutamente inimmaginabile. Se così fosse oggi l’avremmo già prodotto, non modificato uno già esistente, ma prodotto ex novo. Ci sarebbero già i prodromi di tale possibilità. E invece... non c’è nulla nei laboratori dell’umanità che
non sia già esistente sia a livelli complessi sia a livello semplice, primario, elementare. Ma la vita, quella che cerchiamo da sempre, non la troviamo in nessuna officina se non nel vasto campo delle nostre idee e dei nostri desideri. Anche Einstein ne era convinto e infatti ha confessato: «Io vorrei conoscere uno solo dei pensieri di Dio: tutto il resto è solo un dettaglio». E penso che possiamo credere al più avanzato cervello mai prodotto sulla Terra. Ma se noi conoscessimo uno solo, il più piccolo pensiero di Dio, saremmo Dio anche noi: e invece non lo siamo e mai lo saremo. E poi ancora una considerazione: gli elementi chimici che ci sono qui sulla Terra sono gli stessi che si trovano in tutto l’Universo, sono gli stessi che lo compongono in ognuno dei trilioni di corpi solidi, liquidi e gassosi che riempiono l’infinito spazio che ci avvolge. Quegli elementi si possono trovare puri o combinati tra loro in infiniti modi e in quantità inimma-
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per cercare di capire.
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ginabili: in effetti formano acqua, aria, acidi, basi, rocce e poi anche materiali organici: alberi, animali e infine anche uomini con i loro scheletri e i loro organi; perfino con la loro linfa e il loro sangue. Ma da dove viene il motore che anima, che muove, che da la vita a ognuno di quegli alberi, di quegli animali e di questi uomini? Da dove discende quella spinta che c’è fino a un momento prima che ci venga tolta? Non basta che tutti
quegli elementi e le loro combinazioni stiano insieme nelle giuste quantità e nelle giuste condizioni fisiche: qualcosa le deve animare, le deve tenere in «vita». Qualche giorno fa, in una raccogliticcia chiacchierata di persone che mai avevo incontrato prima, la discussione è caduta sull’esistenza di Dio e sul ‘credere’ o ‘non credere’. Uno dei presenti mi fa: «Io da anni sono un genetista. Io non cre-
do. Da anni studio i geni mentre Lei forse non sa neanche cosa siano.» Io gli ho risposto con la massima umiltà possibile: «È vero, io non lo so. Ma il giorno in cui lei mi porterà il primo gene creato da lei o da chiunque altro io prenderò in considerazione la sua alternativa. In attesa, spero che il suo ‘non credere’ le dia pace, soddisfazione e la certezza di essere nel giusto».
«L’enciclica di Papa Francesco, Laudato si’, sulla cura della casa comune»
di Silvano Scarpat
disegnare il futuro
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PARTE PRIMA
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Sorprendentemente la Chiesa cattolica con l’enciclica di Papa Francesco Laudato si’ (24 maggio 2015) ha fatto uno strepitoso balzo in avanti, ha spiazzato tutti. Le basi dell’enciclica sono il pensiero antico dei Padri della Chiesa, di San Benedetto e San Francesco, di San Tommaso, e quello recente di Romano Guardini, teologo italo-tedesco (1885-1968) e di Papa Benedet-
to e le dichiarazioni accorate dei vescovi del sud del mondo. La traccia è il Cantico delle creature di San Francesco (1182-1226), scritto verso la fine della sua vita nella lingua del popolo. «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba».
siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell’etica, della bontà, della fede, dell’onestà, ed è arrivato il momento di riconoscere che questa allegra superficialità ci è servita a poco» (229). Ho avuto il privilegio di poter insegnare per quarant’anni, religione, alle medie e poi alle superiori. Arrivavo a scuola spesso in bicicletta, un’ora di strada o più, all’andata e al ritorno, con ogni tempo. L’ecologia era la parte del programma che suscitava
strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana. Le ferite causate all’ambiente naturale e a quello sociale tutte sono causate in fondo dal medesimo male, cioè dall’idea che non esistano verità indiscutibili che guidino la nostra vita» (6), dal relativismo. Papa Francesco, alla fine dell’enciclica riprende lo stesso pensiero: «Già troppo a lungo
maggior interesse nei ragazzi. «L’insegnante deve essere un po’ profeta: intuire negli occhi dei ragazzi le cose che essi vedranno chiare domani» (don Milani). Insieme abbiamo seminato e piantato centinaia di alberi, anche quelli che attorniano l’attuale sede del Majorana di via Colvera a Pordenone. Per le gite preferivamo la montagna;
quando era possibile, preparavamo noi il cibo e tutto il resto. Ci si spostava con i mezzi pubblici, a piedi o in bicicletta. Il mio più grande desiderio è che i ragazzi abbiano un’adolescenza e giovinezza spensierate. Per questo, quanto la Chiesa Cattolica insegna riguardo alla sessualità è una grande legge di libertà e di rispetto. La castità e il pudore custodiscono le sorgenti della vita. Rappresentanti del popolo Mapuche (indiani del sud America, tra Cile e Argentina, che resistono all’esproprio della terra e delle acque), con cui eravamo in contatto e che vennero più volte a farci visita nei loro splendidi costumi, parlando delle usanze ancestrali del loro popolo dicevano le stesse cose. Ci servono i riti: il fidanzamento, il matrimonio. Occorre ritrovare la centralità della Domenica, vestirsi a festa e stringersi attorno ai ragazzi per sostenerli e trasmettere loro le cose più belle. Venendo a far catechismo a Budoia, sono rimasto colpito dalla bellezza dei paesi e delle case, dall’intreccio armonico delle vie, dal passaggio lieve dal centro abitato alla campagna, dal salire incessante da un paese all’altro verso la sorgente, dal farsi delle colline e della montagna sempre più vicine, come protezione e corona. Molte case hanno mantenuto l’architettura tradizionale, splendida nella sua semplicità, il sasso e il legno abbinati come in natura, gli archi in pietra e i cortili interni, di ciottoli e d’erba. Mentre «più l’uomo si mette a disporre di tutta la natura, più se ne distacca e si rinchiude in un mondo lunare di asfalto e di calcestruzzo» (H. De Lubac, Il dramma dell’umanesimo ateo). [continua ]
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Quel «per» significa che «la bontà del Creatore è iscritta, si ritrova nella terra, nel sole, la luna e le stelle e nelle creature tutte che sono testimonianza vivente dello splendore di Dio» (Rocco Montano, Cultura e letteratura). «L’amore di Dio è la ragione fondamentale di tutto il creato» (Laudato si’ 77). «Papa Benedetto ha ricordato che il libro della natura è uno e indivisibile e include l’ambiente, la vita, la sessualità, la famiglia... Il degrado della natura è
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le nuove generazioni ‘fanno memoria’
DA BUDOIA A BUCHENWALD
per Angelo, un viaggio senza ritorno una Pietra d’Inciampo lo riporta alla memoria della Comunità
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a cura di Vittorina Carlon
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«Una persona viene dimenticata soltanto quando viene dimenticato il suo nome» (da un passo del Talmud, uno dei libri sacri dell’ebraismo). Non è così per il nostro concittadino Angelo Sanson, catturato, deportato ed assassinato nel lager di Buchenwald, nel 1944, perché le nuove generazioni si sono impegnate a «fare memoria». Alessia Sarri, Irma Barbieri e Tommaso Casale, studentesse e studente del liceo pordenonese «LeopardiMajorana», hanno realizzato, a ricordo del sacrificio del giovane, la posa della Pietra d’Inciampo avvenuta il 23 gennaio nei pressi della casa paterna in via Capitan Maso. L’iniziativa rientra nel progetto di ricerca e di realizzazione di materiali finalizzati alla posa delle Pietre, ed è unicum del genere da parte di una scuola. Al piano di lavoro, sostenuto fortemente dalle dirigenti, Teresa Tassan Viol e Rossana Viola, e gestito dalle professoresse Susanna Corelli e Silvia Pettarin, hanno collaborato le amministrazioni comunali, l’ANPI di
Pordenone, il Circolo della Stampa...; per l’amministrazione comunale di Budoia l’iniziativa è stata gestita dalla consigliera con delega alla Cultura, Anna Ulian. Aderisce al progetto europeo, ideato dall’artista berlinese Gunter Demnig, per mantenere viva la Memoria delle vittime dell’ideologia nazi-fascista che non hanno fatto ritorno alle loro case, installando nel luogo simbolo della vita quotidiana, la loro abitazione, la Pietra d’Inciampo: un inciampo non fisico bensì emotivo e menta-
le, che invita il passante a riflettere su quanto accaduto in quel luogo e in quella data, per non dimenticare, per lasciare un pensiero e per costruire un mondo privo di odio e di violenza.
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A Buchenwald, nella regione della Turingia in Germania Orientale, in un bosco di faggi come il toponimo lascia intendere, nel 1937 fu eretto il più grande complesso di concentramento nazista che prende il nome dall’omonima località, nato con lo scopo di detenere e
La ‘Pietra d’Inciampo’, collocata in un angolo del luogo in cui sorgeva l’abitazione di Angelo. Alla cerimonia erano presenti anche le classi quinte della scuola di Budoia. Foto in alto. Angelo Sanson. A destra. Lapide della famiglia Sanson, nel cimitero di Budoia.
punire oppositori politici, ebrei, rom, omosessuali ma anche persone disabili e senzatetto. Tra gli oltre quattromila italiani internati, si annovera sventuratamente anche il nostro concittadino Angelo Sanson, nato il 13 gennaio 1924, il cui destino purtroppo negò sogni e progetti di vita. Era figlio di Adriano Sanson e di Domenica Panizzut conosciuta come la Nina comare per la sua professione di levatrice comunale lasciatale in eredità dalla madre Caterina Del Maschio. Deportato nel lager come prigioniero per motivi politici, Angelo subì sicuramente le efferatezze perpetrate agli sventurati prigionieri: dal lavoro di quindici ore il giorno, scavando fosse per poi richiuderle, al traino di carri con carichi pesanti costretti e minacciati contemporaneamente a cantare (definiti con sarcasmo umiliante ‘cavalli cantanti’); dalla morte per soffocamento tra gli escrementi ai pericolosi esperimenti medici di vivisezione, di reazioni ad alcuni veleni e vaccinazioni; dal patire gravi
sevizie e violenze al sopportare condizioni igieniche e sanitarie tali da favorire epidemie; dal trasporto degli internati ai forni crematori e ad ogni altra sorte di orrori. Ricompensato con cibo scarso, al limite della fame. Angelo fu assassinato il 27 dicembre 1944. Ai genitori, uniti al loro secondogenito Daniele Anselmo (Nello per i familiari), straziati dal dolore, non rimasero che cinque cifre impresse nella loro mente: 40093, il numero di matricola dell’amato figlio.
A seguito di quella tragedia, il padre Adriano non visse a lungo, morì a soli sessant’anni nel 1955, mentre la madre continuò ad aiutare le partorienti a dare alla luce i loro figli fino ai primi anni del Cinquanta del Novecento, e nel 1962 si spense a sessantaquattro anni, portando con sé il suo immane dolore.
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Nel giorno della Memoria la nipote, figlia di Nello, così ricorda lo zio con suo scritto posto accanto alla Pietra d’Inciampo.
Ciao zio, porto il tuo stesso nome, solo al femminile, e il tuo stesso cognome e, anche se non ti ho mai conosciuto, ti ho sempre ricordato teneramente nelle mie preghiere. So che questa «pietra d’inciampo» non potrà renderti giustizia per quello che ti è stato tolto, ma so anche che sarà, comunque, motivo di gioia e di consolazione. Ben tornato a casa! ANGELA SANSON
Riportiamo un pensiero (datato il giorno di Pasqua) scritto da uno studente dodicenne per la commemorazione delle vittime dell’Olocausto, nella ricorrenza internazionale della Giornata della Memoria, il 27 gennaio.
Budoia, domenica 4 aprile 2021
Caro ragazzo del futuro, qualche tempo fa era la giornata della Memoria per ricordare e onorare milioni di persone vittime dell’Olocausto, ed è di questo che ti vorrei parlare... L’Olocausto fu la persecuzione degli Ebrei durata sei anni; tutti gli ebrei, o le persone riconducibili alla religione ebraica, furono in costante fuga perché appunto perseguitati
dai nazisti. Una volta catturati, gli Ebrei erano portati in campi di sterminio dove venivano marchiati per sempre non solo nell’anima ma anche sulla pelle, perché veniva loro stampato col fuoco un numero sul braccio e da quel momento in poi erano privati di tutto: di un nome, dei capelli, dei vestiti, del rispetto e della dignità. Furono anni molto difficili per loro. Durante questa giornata della
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lettera ad un ragazzo di Pietro Del Maschio del futuro
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Memoria viene ripetuta più e più volte questa frase: «per non dimenticare». Il significato è quello di tramandare il ricordo dell’accaduto che non deve mai essere dimenticato per nessun motivo. Oggi, nel 2021, sono rimasti ancora pochi testimoni sopravvissuti a quei momenti di disumanità e violenza vissuta sulla loro pelle, ce ne saranno sempre di meno con il passare degli anni... perciò non bisogna dimenticare per far sì che non possa esserci una seconda volta, un secondo Olocausto. A quell’epoca a capo dei nazisti c’era Adolf Hitler, dittatore tedesco, fu lui a ordinare la persecuzione degli ebrei, per fortuna però c’erano delle persone che chiaramente non
avevano la sua stessa ideologia perciò si opposero, ma la Germania, essendo una nazione potente, riuscì a «sottometterli» e mandarli anche loro nei campi di sterminio o ucciderli. Un esempio è quello di Rudolf Fischer che si oppose alla dittatura di Hitler e allora fu ucciso. Nel tempo a venire, però, molte persone ritenevano che l’accaduto fosse solo una messa in scena e che non fossero veramente morte tutte quelle persone: si tratta dei negazionisti. Mi sembra difficile pensare una cosa simile quando a testimoniare, ad esempio, c’è la senatrice Liliana Segre, che ha visto morire la sua famiglia davanti ai suoi occhi nei campi di sterminio, che continua a
ricordare e a divulgare quello che le è successo. Non credo che debba essere molto facile farlo. Sappiamo che è molto corta la memoria degli esseri umani, presi come sono dalle cose di tutti i giorni, ed è per questo che ci siamo inventati le pietre d’inciampo, che, mescolate alle pietre normali, pavimentano i luoghi dove si ritrovano le comunità per far tornare la memoria. Ma questo è oggi e chissà come sarà il mondo quando leggerai questa lettera! Spero che comunque saprai trovare, se ne avrai mai uno, il momento per far ritornare questo ricordo.
NEL NOSTRO TERRITORIO
Storia e ricordi di un ramo della famiglia
Pinàl Glir
Giomaria n. 1779
sposa Domenica Anzelin Giovanni
Vincenzo
n. 1807
n. 1811
Giuseppe n. 1815
sposa Teresa Zambon
di Paola Livia Zambon
Giomaria
Angelo
Pietro
Osvaldo
Domenico
n. 1834
n. 1838
n. 1840
n. 1842
n. 1845
Francesco n. 1849
sposa Maddalena Zambon
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A ntonio e Regina1 si sposarono
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molto presto come si usava agli inizi del secolo scorso. Lui la portò nella casa di famiglia dei Glir in via Rivetta, ma quando la famiglia si allargò con i primi figli, costruì – anche con il loro aiuto – una casa appena fuori del paese, nei Magreit. La casa aveva il piano terra e due piani e inizialmente fu finita solo parzialmente con possibilità di ricavare ancora molte altre stanze. Il lavoro nei campi dava poche soddisfazioni. Il terreno era tanto avaro, arido e sassoso e, così, Antonio, come moltissimi suoi compaesani, durante i mesi più miti, la-
Antonio
Armelina
Vincenzo
n. 1881
n. 1879 m. 1950
sposa Regina Vettor Taribol n. 1887 m. 1970
n. 1883
sposa Teresa Zambon n. 1887
Guerrino
Carmela
Igino
Armido
n. 1905 m. 1988
n. 1907 m. 1984
n. 1909 m. 1991
n. 1913 m. 2006
sposa Lucia Olga Spanio
sposa Teresa Bressan
sposa Virginia Carlon n. 1909 m. 2008
sciava la famiglia per andare a lavorare altrove, anche in Svizzera con alcuni dei figli maschi più grandi. Tornava d’inverno perché l’edilizia, nei mesi freddi, non dava lavoro. In assenza del marito, Regina pensava alla famiglia e alla
n. 1914 m. 1991
n. 1916 m. 1979
campagna come molte sue compaesane. Antonio era un ometto dall’aspetto mite, Regina era più imponente e aveva uno sguardo molto autoritario, pur se ironico. Era molto furba. Si capiva subito
chi dei due comandava in famiglia. In effetti la sua severità affettuosa sortì ottimi risultati: tutti e sei i suoi figli erano bravi, buoni, bene educati e nella vita ebbero fortuna e successo, quasi tutti nell’edilizia. Guerrino aveva un magazzino di vendita di piastrelle avviatissimo a Venezia; Gino, dirigente di una grande impresa con molti operai alle sue dipendenze, era impegnato nella costruzione di dighe in montagna e di centrali idroelettriche; Armido e Danilo dapprima erano soci in un’impresa di posa piastrelle; poi Armido scelse il settore turistico – alberghiero, gestendo un albergo a Jesolo e Danilo aprì un negozio di piastrelle, legno, arredo bagno e rubinetteria a Mestre, ancora oggi in attività sotto la direzione del genero Guido e del nipote Francesco. La figlia Maria – rimasta ben presto vedova e con due figli, Lisetta e Corrado – avviò uno studio contabile a Padova: il suo coraggio, il suo impegno e la sua bravura l’hanno premiata con tanta fortuna.
Quando scoppiò la guerra, furono tempi duri per tutti, per quelli che restarono a casa, perché avevano moglie e figli, e per quelli che partirono. Armido e Danilo, per cinque anni della loro vita, ne passarono di tutti i colori. Armido, addirittura fu portato prigioniero in America (dove a dire la verità fu
Ricostruzione dell’albero genealogico a cura di Roberto Zambon.
trattato bene, non come a Guantanamo). Danilo si fece a piedi tutta la Jugoslavia fino all’Albania, in condizioni asprissime di freddo e fame; erano un esercito di disperati che per sopravvivere barattavano le loro cose con i contadini del luogo. Talvolta, spinti dalla disperazione, rubavano in qualche pollaio. Il ritorno fu ancora più arduo. Senza bussola e mappe regolava la direzione del sole, attraversando pianure e montagne. Arrivò a Dardago stanchissimo, magrissimo e spaventato. Si rifugiò nel granaio dei genitori fino al termine della guerra. Agli inizi degli anni ’50, quando Regina restò sola e cominciò ad avere qualche problema di salute, la figlia Carmela tornò definitivamente al paese natio. Fu una fortuna per Regina che fu servita e riverita, come piaceva a lei, fino alla morte.
Giobatta n. 1854
Giuditta
Leone
Regina
Concetta
n. 1886
n. 1889
n. 1892
n. 1896
Danilo
Maria
n. 1915 m. 2000
n. 1918
sposa Angela Bastianello Thisa
sposa Giovanni Modoni
n. 1918 m. 2008
n. 1897 m. 1956
NOTE 1. Antonio (1879-1950) e Regina Vettor Taribol (1887-1970) sono i capostipiti del ramo degli Zambon Pinal Glir a cui si fa riferimento. L’altro ramo dei Glir fa capo a Vincenzo (1883-1969) e Teresa Zambon Thampogna (1887-1958).
Danilo Zambon Glir, il primo in basso a destra, davanti l’entrata della chiesa con alcuni amici dardaghesi.
una donna affascinante e un’ottima narratrice. Quando la casa era affollata, la figlia Carmela era indaffarata per preparare manicaretti di ogni tipo, particolarmente ansiosa di trovare l’apprezzamento della sorella Maria, cui era molto affezionata. Carmela era molto benvoluta in paese perché aveva un carattere affabile e dolce, era disponibile e generosa specialmente con le persone che avevano problemi. Purtroppo si ammalò e fu la prima dei fratelli ad andarsene. Con la sua morte cominciò la diaspora; forse fu una coincidenza, perché nel frattempo i nipoti erano cresciuti, i fratelli invecchiati. Si sa: le cose cambiano con gli anni e i soggiorni dei «cittadini» a Dardago si diradavano anno dopo anno.
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Luigi n. 1852
In estate la casa si riempiva di nipoti che passavano qualche periodo di vacanza in campagna. La Regina amava sedersi sulla poltrona di vimini, le sere d’estate, in cortile, circondata dai nipoti. Raccontava storie del passato, avventure sue e del marito, racconti di fantasmi e leggende antiche: era
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il nostro
Vaticano
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di Roberto Zambon
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I cortili o cortifs sono una delle tante caratteristiche di nostri paesi. Chiusi da un portone che si affaccia sulla strada, sono la dimora di diverse famiglie, il più delle volte di un unico ceppo. A Dardago, uno dei più antichi e forse il più singolare è il Vaticano, posto alla fine del primo tratto di via San Tomè, all’incrocio con Via Rivetta. Già il nome è molto particolare ed è difficile trovarne la spiegazione. Alcuni fanno riferimento ad un ipotetico monastero, altri ad una «casa del vescovo»... I paesi son pieni di piccoli misteri destinati a rimanere tali finché non si trova una spiegazione documentata. Di certo il Vaticano racchiudeva la vita di diverse fa-
miglie. In un primo tempo il cortile era situato solo nella parte alta, vicino al particolare portone. Verso sud, dove si trovavano prati e campi, era chiuso da un cancello. Con l’aumento della prole, le famiglie costruirono altre abitazioni occupando la 2 parte bassa del cortile. Del cancello rimangono solo le due colonne (vedi foto). Una cosa è certa, tutte le famiglie che popolavano il Vaticano erano Zambon Pinàl, almeno nella prima metà dell’Ottocento, quando i vari nuclei cominciarono ad essere chiamati con altri nomi. Su l’Artugna è già stato ricordato che alcuni rami del grande albero
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Pinàl del Vaticano presero il nome di Rosìt e di Ite. È possibile affermare che anche i Pala sono una costola dei Pinàl. Infatti il soprannome Pala è abbastanza recente perché sui registri appare solo nella seconda metà dell’Ottocento. In un paio di generazioni si nota il passaggio da Pinàl a Pala. Infine una curiosità relativa al nome di un altro ramo dei Pinàl, i Thampela o Thampogna che occupavano la parte più a nord del cortile. Questi nomi, ancora utilizzati dalle persone «meno giovani» non appaiono nei registri dei battesimi della parrocchia.
1. Cartolina viaggiata nel 1961, probabilmente scattata l’anno prima. La foto è interessante anche perché appaiono ancora i portoni in legno che, fino agli anni ’50, venivano chiusi la sera. Riguardo al riconoscimento dei tre giovani (il piccolo davanti al portone, la ragazzina all’entrata del negozio e il ragazzo con la bicicletta) ci sono pareri discordanti. Aspettiamo vostri riconoscimenti su Facebook.com/ArtugnaPeriodico. 2. Il singolare portone d’ingresso, il cui arco si differenzia dalla quasi totalità degli archi d’entrata dei cortili dardaghesi. 3. L’ultima casa del Vaticano, partendo dall’ingresso, è la casa della famiglia di Fedele (n. 1886), fotografata il primo agosto 1949. Parte della famiglia è sul poggiolo. 4. Di certo nel Vaticano vivevano diverse famiglie, tutte o quasi imparentate tra loro. In un primo tempo, le abitazioni erano situate solo nella parte alta, sopra e vicino al portone.
Grazie per foto e informazioni a Roberto Zambon di Ferruccio, nato e vissuto per anni nel Vaticano di Dardago.
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5. Verso sud, dove si trovavano prati e campi, il cortile era chiuso da un cancello di cui, ora, si intravvedono solo i resti delle colonne. Dal cancello in giù, il cortile si sviluppa per qualche decina di metri.
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che ato in non?
di Vittorio Janna Tavàn
me clàme... e sòi de...
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Questa era la domanda di rito, che a Dardago dava inizio al dialogo fra due sconosciuti. Quando poi un ‘vecchio’ del paese, incrociandoti, desiderava far la tua conoscenza, la creàntha suggeriva di far seguire al nome il soprannome della famiglia d’origine. Il nome... unito ad un soprannome. Non servivano altre parole, altre informazioni. Bastava così.
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Nomen omen, dicevano gli antichi romani: nel nome è racchiuso il nostro destino. Il particolare fascino che accompagna il nome è come un bagaglio che portiamo sempre con noi, è parte della nostra persona e ci segue nel lungo cammino della vita. Alcuni sostengono che addirittura possa plasmare l’aspetto fisico e il nostro carattere. Comunque sia, nulla toglie che nell’immaginario collettivo si fantastichi e ci s’immagini che «Riccardo» possa essere forte e generoso, «Annabella» dolce e affascinante, «Leonardo» intelligente e studioso, «Raffaello» bello, fragile e sensibile. Il nome raramente è scelto e affidato al caso. Spesso ci riporta al passato, al ricordo di qualche parente o antenato, un modello di riferimento amato e rispettato dalla famiglia. E quando gli antenati non sono
particolarmente ispiratori, ecco in aiuto la letteratura, l’arte e persino i moderni mezzi di comunicazione, quali cinema e televisione, con i loro ‘modelli’ a volte discutibili, ma sempre attrattivi. Spuntano allora nomi come Eros, Kevin, Thiago, Susan, Violet, Grace... che, seppur in contrasto con le nostre consuetudini, possono divenir ‘moda’. Come testimoniato dal racconto di una cronista che, trovandosi in un paesino veneto, chiese ad un bimbo il suo nome e si sentì rispondere: «Màicol, siòra!». Il nome ha in sé sempre un potere magico. Oltre a distinguere la persona e a renderla unica è anche la ‘parola’ alla quale siamo più affezionati. Basti pensare che, se utilizzata opportunamente nel dialogo, rende la comunicazione più confidenziale e più lineare. Anche il marketing utilizza questa particolare tecnica per essere
più convincente e penetrante. Spesso riceviamo e-mail o comunicazioni che iniziano in questo modo: «Ciao Giuseppe, Lucia, Mario... oggi per te abbiamo riservato quest’offerta esclusiva... che ti cambierà la vita...». Un messaggio personalizzato, al quale non restiamo indifferenti, pur sapendo che è proposto in migliaia di copie. E allora, se è dimostrato che ‘siamo’ (anche) il nostro nome e riceviamo i benefici che ne derivano, pensiamo alle decine se non centinaia di persone che conosciamo. Ognuna con il suo carattere, con la sua personalità. Proviamo a pronunciare i loro nomi. Ogni nome, ogni suono generato, in italiano oppure in variante linguistica, ci porta in un mondo unico, come uniche sono le nostre impronte digitali. Buona lettura!
DARDAGHESE
A Abbondio Achille Adamo Adelaide Adele Agostino Alberta /Alberto Albino Alessandro Alfredo Amelia Aniceto Angela /Angelo Anna Annibale Antonia /Antonio Assunta Attilio
Bondio Chile Damo Dele Dele Ustín (Ostín) Berta /Berto, Bertin Bino Isandro, Insandro Fredo Melia Nícete Àndola /Àndol, Andolèto, Andolùt Nuta, Neta Nible Tonina /Toni, Tone, Tonin Sunta Tilio
B Bartolomeo Basilio Battista Beniamino Benvenuta Benvenuto Biagio
Bartol, Bortol Bilo Tita Mino Nuta Nuto Blas
C Caterina Claudio
Catina, Cati Càio
D Domenica Domenico Dorino
Mena, Menega, Nene, Nena Méne, Menego, Meno, Menuti Rino
E Egidio Elpidio Elisabetta Eleonora Emiliano Emilio Enrico Eraclio Ermenegilda Ermenegildo Espedito Eugenia /Eugenio Euridice Evaristo Evelina
Gidio Pidio Beta Nora Miliano Milio Rico Rachio Gilda Gildo Spedito Gènia /Gènio Dice Varisto Velina
F Felice Ferdinando Fiorenzo Fiorina Fortunato Francesco
Lice Nando Fiori Fiori Nato Checo, Chechi, Franco
G Genoveffa Gervasio Giacomo Giorgio Giovanni Giovanni Battista Giovanni Maria Girolamo Giuseppe Giuseppina Giustina /Giustino Gregorio Guglielmo
Genova Giaio Iàcun, Jàcun, Mino, Meto Giorgi Nani, Giani, Naneti Batistin, Tita Bia, Biuti, Dòmaria Momi Bepi, Bepin. Bepo, Pino Bepa, Bepina, Pina Tina, Ustina / Tino Gori, Gorio Gèlmo
ITALIANO
DARDAGHESE
I Igina /Igino Iolanda
Gina /Gino Iole
L Leonardo Lodovico Lorenzo Lucia Luciano Luigia Luigi
Nardo Vico Renso, Lorenth Cia Ciano Gigia, Gigiota, Gigeta, Gigiuta Gigi,Gigeto
M Maddalena Margherita Maria Massimiliano Matilde Matteo
Lena, Nena Rita Mariùta, Marièta, Mariuccia, Miliano Tilde Matio
N Nicolò
Nicolèto, Colèto
O Oloferne Omero Onorina Onorio Osvalda Osvaldo Otello Ottavio Ovidio
Ferne Mèro Nene Norio Svalda Svaldo, Svalt, Svaldìn Tèlo Tavio Vidio
P Paolo Pellegrino Pietro
Pàol, Pol, Paolin Pelegrin Piero, Perìn, Piereto, Pieri
R Raffaele Raimondo Rizieri Rodolfo Romildo Ruggero
Faele Mondo Ceri Dolfo Mildo Gero
S Sante Scolastica Sebastiano Serafino Simone Stanislao Stefano
Santo, Santino Colastica Bastiàn Fino Simòn Stani Stièfin
T Teodolinda Teodolindo Teodora Teodoro Teresa
Linda Lindo Dora Doro Geia
U Umberto
Berto
V Valentina Valentino Vincenza Vincenzo Vittorio
Tina Tino, Tini, Valentin Cencia, Cencina Cencio Toio
Ringrazio Flavio Zambon per la collaborazione
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Da sinistra: Espedito Zambon Tarabìn, Antonio Zambon Mao con il fedele Ziko e Marco Bocus Frith.
alcuni nomi cambiano...
Il muretto del Sagrato, palsa di rito non solo per i giovanissimi, ma anche per i ‘ragazzi’.
ITALIANO
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BUDOIA FESTA DELL’IMMACOLATA 2020
in punta di piedi, sul ciglio estremo del mondo
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di Maurizio Mascarin Primario responsabile dell’Area Giovani, CRO Aviano
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Quest’anno, a differenza degli anni scorsi non potendo essere presente, mi sono permesso di scrivervi alcune righe per portarvi il saluto mio e dell’Area Giovani del CRO di Aviano. Come team ogni giorno ci prepariamo ad affrontare la vita e la malattia, ma nonostante gli sforzi e gli «allenamenti», l’anno trascorso è stato particolarmente difficile. Ippocrate ci ha insegnato che la medicina «può solo evitare i mali evitabili», non sposta le montagne, né può garantire l’immortalità. I ragazzi, però, non guariscono solo attraverso le cure mediche. Loro chiedono di più, e lo fanno senza
parlare. Li ascoltiamo nel loro silenzio così come nel loro rumore, interpretandone gli sguardi, i pensieri, i gesti. La loro sincerità e limpidezza ha rivoluzionato la nostra vita, come la malattia ha rivoluzionato le loro giovani vite. I nostri ragazzi ammalati di tumore si ritrovano spesso a calpestare un terreno non più edificabile da alcun progetto di vita. Loro si sentono troppo grandi per chiedere aiuto, ma sono troppo giovani per affrontare da soli la malattia e il percorso che ne deriva. Talvolta abbandonano i veli del pudore per dar sfogo alle proprie
emozioni ed è in quel momento che abbiamo imparato ad avvicinarci, in punta di piedi, con grande rispetto perché la natura dei giovani è sì impetuosa ma molto fragile. Da loro abbiamo appreso che non si può focalizzare tutta l’attenzione alla sola ricerca di una cura per il cancro. Bisogna soffermarsi nel mezzo perché anche lì ci sono tante, troppe cose da fare. Ancora dopo tanti anni di lavoro mi meraviglio nel vedere come questi ragazzi vengano forgiati dalla malattia. I pregiudizi ciechi e superficiali vengono abbandonati per nutrirsi di concetti concreti, reali...
Una grande commozione ha suscitato la lettera pervenuta dal dr. Maurizio Mascarin, quest’anno assente per la prima volta per comprensibili motivi e che più di ogni altra considerazione esprime le difficoltà degli operatori sanitari che si prodigano nella cura, anche psicologica, di bambini e ragazzi loro affidati. Parole che estendiamo a tutta la Comunità e che rivelano un mondo pieno di impegno, speranza, amore, accompagnate dalle immagini del Reparto e dei collaboratori che vi operano. Un grazie a tutti per il generoso sostegno che ha permesso di raccogliere 910,00 euro, di cui 100,00 euro offerti dall’ANA Sezione di Budoia. di Fulvia Mellina
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raccolta fondi per Area Giovani del CRO
che li aiutano a riscoprire i valori veri della vita. Si ritrovano «in punta di piedi, sul ciglio estremo del mondo», ma sono destinati a tessere il filo della vita, non a morire... Cari amici di Budoia, io, il mio team ed i ragazzi vi siamo grati per quello che fate ogni anno come collettività. Il senso di comunità che respiriamo ogni giorno ai piedi di queste montagne è palpabile e ci permette di fare cose che da soli non potremmo realizzare. Pregate per i nostri ragazzi, perché abbiano la forza ed intorno a loro l’amore per continuare a lottare per la vita. Anche se siamo stati messi a dura prova dagli eventi dell’anno appena trascorso, confido che tutto ciò ci aiuti a far crescere una nuova e più solidale umanità basata sui veri valori. Auguro un Buon Natale a voi ed alle vostre famiglie. Grazie ancora per tutto l’aiuto che da diversi anni portate al nostro reparto. Un caro saluto.
Anche quest’anno, nonostante le difficoltà e le limitazioni, non poteva mancare la solidarietà: la tradizionale raccolta fondi a favore dell’Area Giovani del CRO di Aviano. Non torte e dolci casalinghi offerti dalle famiglie ma una semplice cassetta posta al centro della Chiesa nella quale deporre un contributo e l’iniziativa è andata avanti ugualmente, con l’entusiasmo di sempre. Santa Messa officiata da don Vito ed una liturgia semplice in linea con le disposizioni sanitarie.
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...i à cambiat le orathions Papa Francesco ha presentato recentemente una nuova versione del testo di alcune preghiere. Sono variazioni marginali, ma sono bastate a sollevare commenti e critiche.
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di Roberto Zambon
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Per il Padre Nostro, probabilmente la preghiera più nota tra quelle modificate, la variazione è piccola ma significativa: il «non indurci in tentazione» è stato cambiato con «non abbandonarci alla tentazione». Tralasciamo le critiche da bar (non sono più le preghiere di una volta; cambiano tutto...) e vediamo di capire il motivo della variazione. Non si tratta, naturalmente, di cambiare il Padre Nostro: i Vangeli sono scritti in greco e il testo originale della preghiera di Gesù è immutabile. Il problema è piuttosto la traduzione, cioè come tradurre correttamente il testo originale in una lingua attuale che si evolve continuamente. L’originale greco del testo del Vangelo di Matteo (6,13) riporta un verbo che significa letteralmente portarci, condurci e la traduzione nel latino inducere ne rispettava il senso. Però, in italiano era stato tradotto con il verbo indurre che significa spingere a... far sì che ciò avvenga. Come se pregassimo il Padre a «non spingerci a cadere in tentazione». Già nel 2017, Papa Francesco affermava: «Sono io a cadere, non è Lui che mi butta nella tentazione per poi vedere come sono caduto. Un padre non fa questo, aiuta ad alzarsi subito».
1. Confesso a Dio Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli e sorelle, che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni, per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa. E supplico la Beata e sempre Vergine Maria, gli Angeli, i Santi e voi, fratelli e sorelle, di pregare per me il Signore Dio nostro. 2. Il Signore pietà viene sostituito da: Kyrie, eleison; Christe, eleison; Kyrie, eleison. 3. Gloria Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini amati dal Signore. Noi ti lodiamo, ti benediciamo... (e prosegue come il solito) 4. Padre nostro Da qui la scelta del «non abbandonarci alla tentazione» per esprimere meglio il fatto che Dio custodisce il cammino dei suoi fedeli, anche quando sono nella tentazione, ma non permette che siano vinti da questa. Ecco il testo delle quattro preghiere dopo le modifiche apportate. Le parole modificate sono in carattere neretto.
Padre Nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo cosi in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori e non abbandonarci alla tentazione ma liberaci dal male.
Corrispondenza inoltrata a Natale dal Centro missionario «Sacro Cuore» al Gruppo parrocchiale delle «Adozioni a distanza» di Budoia
Solidarietà in tempo di Covid-19 a cura della Redazione
A tutte voi che con il vostro esempio e la vostra testimonianza di vita ci avete insegnato cos’è la solidarietà fatta non di gesti clamorosi né di tante parole, bensì dell’impegno e del sacrificio quotidiano, gli auguri più affettuosi di buon Natale e di un nuovo anno più sereno e semplice. Sentitevi sempre ricordate con i vostri cari nella preghiera da parte delle suore e dei bambini che ben conoscono il vostro nome e il vostro cuore. Un grande abbraccio affettuoso e riconoscente ad ognuna di voi. GRUPPO MISSIONARIO «SACRO CUORE» DI PORDENONE
Cari Amici Benefattori, con questa frase del Vangelo mi rivolgo a tutti voi per ringraziarvi di tutto il bene che fate per il piccolo. Poi uno di loro vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo (Luca 17:15). Quest’anno tutti noi e voi, stiamo vivendo in un modo molto speciale a causa della pandemia. All’inizio di febbraio i bambini hanno ricevuto il materiale scolastico ma si sono fermati e l’anno scolastico è stato chiuso, hanno cercato di prendere lezioni in forma virtuale ma non è stato possibile, poiché molti non avevano cel-
lulari moderni o non avevano segnale di internet. La quarantena è durata sette mesi, le famiglie erano confinate per tre mesi, dopo di che sono usciti a cercare il pane e a chiedere cibo al governo. La provvidenza è stata presente mediante il vostro aiuto, noi suore siamo andate loro incontro con «los viveres» gli alimenti (farina, olio, pasta, zucchero, riso); a più di qualcuno glieli abbiamo portati a casa. La maggioranza delle famiglie è stata contagiata dal virus, ma non sono andati in ospedale perché erano pieni e non venivano accolti, ritornavano a casa ammalati.
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...dalla Bolivia
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Con l’aiuto dei medici del nostro centro di salute, siamo andate da loro, chiamate anche telefonicamente per vedere le loro condizioni e aiutare con i medicinali; molti si sono curati con le erbe medicinali. Qualche famiglia ha scelto di ritornare al campo, perché lì avevano almeno patate da mangiare. [...] Volevamo condividere con voi quello che abbiamo vissuto, sicuramente anche voi avete passato questo momento difficile. Siamo molto grati per aver continuato ad aiutarci e noi vi accompagniamo con le nostre preghiere.
Come l’immagine della mamma, che piena di speranza trasporta i suoi due figli, vogliamo dirvi il nostro incoraggiamento e forza perché non siamo soli, che Dio Padre vi benedica e accompagni. Grazie grazie di vero cuore.
Carissimi Amici del Centro del Bambino, siamo alla vigilia delle grandi feste natalizie, feste un poco particolari per tutti noi vissute con momenti di preoccupazione ma soprattutto
Hanno compiuto il secondo compleanno e Ramiro in ottobre è ritornato in famiglia. Ci siamo dedicate giorno e notte a loro, rallegrandoci di vederli finalmente a camminare, a progettare un futuro abbastanza incerto. Dopo il primo mese d’incertezza cominciò il ritorno del personale infermieristico riprendendo con noi i turni di lavoro con solo Ramiro e Jesus: è così che potemmo organizzarci per andare a distribuire alimenti alle famiglie più bisognose. In seguito abbiamo cominciato a visitare le famiglie dei bambini che erano ritornati a casa ed i 40
Sopra. Sono i bambini del Centro Infantile «San Giuseppe», che ringraziano di cuore insieme ai loro genitori, alle suore, alla maestra e a suor Sara Garcia.
con fiducia che il Signore Gesù che viene ci proteggerà e ci farà sentire che Lui è il più importante. La prima settimana di marzo abbiamo avuto la prima persona con il virus e da quel giorno tutto è cambiato, il personale è andato a casa, le mamme ed i bambini sono ritornati in famiglia per la paura del contagio e sono rimasti con noi questi due tesori: Ramiro e Jesus. Sono arrivati qui con noi in settembre 2019: è da più di un anno che sono qui con noi.
piccoli che seguivamo in ambulatorio, portando latte e alimenti base per la famiglia. In questi viaggi di 150-200 km abbiamo trovato nuovi bambini denutriti che stiamo seguendo ogni due settimane per prendere il peso, la taglia, consegnare il latte, alimenti per la famiglia e vedere se la mamma si è responsabilizzata, perché i bambini aumentino di peso. A due famiglie, che proprio non hanno quasi niente, le abbiamo
SUOR SARA GARCIA, SUOR SABINA MACHACA E LA COMUNITÀ DELLA BOLIVIA
portato anche il lettino e la biancheria per i loro figli. Per noi è una nuova esperienza, una nuova organizzazione per raggiungere i bambini denutriti e assicurare che la vita è più importante di altre cose o altri bisogni. Si pensava di riprendere il servizio normalmente alla metà o fine ottobre, invece, per un bisogno urgente, a metà settembre abbiamo ricevuto un bambino grave con la mamma mettendoli in quarantena, e così che la provvidenza ci ha anticipato sulla decisione, ed in poco tempo ha recuperato molto. Come in tutti i paesi anche la Bolivia ha passato mesi difficili: la
gente in casa senza lavoro, gli ospedali super pieni, gente che moriva per la strada senza assistenza, chi aveva paura del contagio ma anche chi non ci credeva a questa malattia tanto feroce. Qui in San Carlos la maggioranza si sono ammalati e si curavano con la medicina naturale, pochi furono i morti e, per i gravi, i padri salesiani misero a disposizione un ambiente per loro. Ora qui da noi sembra sia passato tutto, nessuno usa più la mascherina però si mantengono la distanza e le altre attenzioni per evitare il contagio. Per il Centro seguiamo un protocollo per le mamme interne, per quelle che
vengono in ambulatorio e per il personale di servizio. Così, carissimi, continuiamo il lavoro per dare vita e aiutare più che si può le famiglie bisognose. Ringraziamo di cuore tutti quelli che ci aiutano a ‘dar vita’ con la loro solidarietà e preghiera. Un saluto ad ognuno, vi ricordiamo al Signore che Lui ci protegga in questa pandemia, che possiamo avvicinarci sempre di più a lui in queste feste Natalizie e ci doni un anno più sereno. Un abbraccio ad ognuno. SUOR CLARA E SORELLE DELLA COMUNITÀ
Carissimi signor parroco, comunità parrocchiale e gruppo missionario, è con grande gratitudine che vengo a voi per l’augurio più caro per questo Natale speciale. Accompagno e prego anche per la nostra Italia, per quanto questa pandemia ci sta toccando con trepidazione, paura, dolore, morte. Penso alle famiglie colpite con più sofferenza. Ricordando con la liturgia il Dio che è venuto e che verrà dobbiamo sperare sempre e adorare il Dio-Bambino con fede e serenità. Lo so che non è facile; anche qui in questo paese africano la vita non è facile né meno dura. Mi trovo con queste persone a lottare, a sperare nonostante le morti, la mancanza di tutto, la
mancanza d’acqua, il caldo forte. Mi trovo a ricevere ammalati adulti e bambini che si presentano all’ospedale in condizioni pessime e qui non c’è l’ambulanza che trasporta ma una bicicletta o un pulmino sgangherato. Le lacrime cadono sotto la mascherina e gli occhiali e con il cuore pieno di do-
lore invoco il Signore che guardi giù e in fretta. Il Natale ci aiuti ad essere buoni e pieni di fiducia nonostante tutto. [...] SUOR MARIA PEDRON (infermiera, vicino alla missione diocesana in cui opera don Lorenzo Barro)
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...dal Mozambico
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13 DICEMBRE 2020
foto di Paolo Burigana
Una riflessione dopo la Festa di Santa Lucia. di Walter Arzaretti
passando a chieder luce alla Santa Lùcia!
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Le campane a stormo suonano una fede secolare.
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Sono a Santa Lucia! Doppiamente: in questo giorno 13 dicembre, domenica stavolta, e sito, Santa Lucia di Budoia, dove l’antica vergine e martire è contemporaneamente patrona e luogo geografico. Terminata la messa pomeridiana, solenne e concelebrata per quanto si è potuto in piena pandemia, soddisfo molto volentieri don Vito Pegolo, amichevole guida attuale delle tre comunità cristiane budoiesi: egli mi fa presente che si scrive poco di questi paesi (e parrocchie), che sono così belli. E come è vero e persino commovente in una giornata tersissima, di un azzurro pulito che si staglia qui sulla coltre candida della fresca nevicata che ha coperto il Cavallo e non solo: un paesaggio da fiaba, o da presepe, che, salendo dalla città, ho potuto abbracciare con unico colpo d’occhio, da Giais a Mezzomonte, individuando una sequenza lunga di paesi e campanili; e poi «respirare» inerpicandomi lungo la stradina che porta,
sopra la località, all’incantevole poggio panoramico della chiesa «luciana» alla quale anche il bosco circostante apre il varco. Sono tornato quassù dopo tanto tempo. Le campane a stormo annunciano la funzione e allargano il cuore. Sono note «argentine» che mi suonano dentro una fede secolare: del 1299 le prime notizie dell’edificio sacro, più volte rimaneggiato e definitivamente consacrato giusto 250 anni fa (1770). È la prima data da rammentare, pietra a fondamento dell’articolo raccomandatomi con delicato invito dal parroco pro tempore, come lo sono della «carina» chiesa l’esteso affresco quattrocentesco della morte violenta della giovane siracusana (tanto fu eclatante da finire menzionato per i secoli dei secoli nel Canone Romano della messa!) e una pala che viene attribuita al nostro Grigoletti, morto 150 anni fa (1870). Ridiscendo al piano e non posso non considerare i sacrifici delle
questo un «pensiero» pure natalizio? Gesù non è nato piccolo, povero e (apparentemente) in un luogo insignificante? È anche considerando gli ultimi capoluoghi di Giuda come Santa Lucia di Budoia che può avere altro significato, più vero, il Natale. È qui che potremmo ritenere egualmente appaganti le Feste covid, senza lamentare tante impossibilità. Confinati ora dentro la regione? A Lùcia – la dizione latina del nome della santa (u accentata) offre un senso pieno – che ci fa sperare luce nonostante la realtà dell’incipiente buio in uno dei tramonti più ravvicinati dell’anno,
Nadal un piè de gal»!) e vince soprattutto per l’arrivo dell’Atteso, il cui nome è «Dio potente» (Isaia 9,5) – su tutto, covid compreso – che «spezza il giogo che opprimeva, la sbarra sulle spalle e il bastone dell’aguzzino» (cfr Is 9,3). Guardando a Lucia, privata della vista senza volerlo, chiederò che a tutti siano dati subito occhi, cioè consapevolezza piena e volontà: della necessità di collaborare con il sacrificio di convenienti comportamenti perché il buon Dio ci faccia grazia almeno dell’inversione di rotta della già lunga pandemia e ci restituisca poi alla nostra vita sociale, che comprende quella della
Nillo Carniel, che per quarant’anni edificò e rese un po’ importante Santa Lucia e che da vent’anni esatti (26 dicembre 2000) veglia dal Cielo sul suo piccolo gregge (500 anime, allora ancor meno): terza data «angolare» per non ricusare di prendere la penna in mano. Siamo in tempo di restrizioni, e di sconsigliati viaggi. Potrebbe però diventare momento di riaccorgerci di quanta bellezza sta nel piccolo e nel vicino a noi. Non è forse
chiedo – dopo l’esperienza fatta in questa sua festa – «altra luce», dell’anima, per dare ricchezza autentica a «questo» Natale. L’ho fatta, questa riflessione, rincasando nell’oscurità. Alla santa della luce ho chiesto oggi, suo e nostro caro 13 dicembre, di diradare il buio, non solo esistenziale, di questa stagione della storia. Lo chiederò anche a Natale, la festa della luce che dopo il solstizio rimonta sulle tenebre («a
fede, sulla ripresa della cui manifestazione comunitaria, che è essenziale, graveranno molte fatiche. Abbiamo bisogno presto della luce, Signore, «bambino nato per noi» (Is 9,5), e subito del sostegno della speranza! Del tuo Natale! APRILE 2021 / 152
generazioni passate (fine ’800) per dotarsi di un altro luogo ove pregare fra le case: è la più capiente chiesa di San Giuseppe ad accogliere la celebrazione. Noto all’ingresso la lapide che ricorda il salesiano monsignor Domenico Comin, missionario in Ecuador (come già è stato da anni don Vito!), fra il popolo kivaros, fino all’ultimo dei suoi tanti 89 anni iniziati qui nel 1874: un pioniere della fede nel nuovo mondo divenuto vescovo cent’anni fa, nel 1920: seconda data miliare per scrivere di Santa Lucia (di Budoia!). Inizia a suonare adesso l’organo, imponente opera voluta da don
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lavori in corso...
sul Rujal de San Tomè
Individuare gli eventuali problemi prima che possano causare danni significativi e onerosi. Questo è il valore nascosto dell’attenta manuntenzione delle opere.
Cascata Perèr lungo il rujal. L’acqua scorre copiosa... A lato: il punto individuato dove eseguire i lavori per regolare il flusso dell’acqua.
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N ei mesi estivi e autunnali ap-
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pena trascorsi le forti precipitazioni hanno portato nella canaletta «rujal» una quantità sovrabbondante di acqua meteorica che, a causa della condotta insufficiente e del fogliame accumulato, ha provocato la fuoriuscita lungo la strada in località Masiere causando il dissesto della carreggiata e inondando i terreni a monte del Mulin de Bronte percolando all’interno della abitazione attraverso gli interstizi del sasso a vista, causando notevoli danni. L’amministrazione comunale, portata a conoscenza del grave fatto, ha provveduto a finanziare l’intervento di manutenzione straordinaria con un contributo a favore dell’associazione «El Comitato
del Rujal de San Tomè» che eseguirà i lavori come per il passato. Infatti, a giorni, non appena ricevute le necessarie autorizzazioni, i volontari inizieranno i lavori di regimazione del flusso idrico sulla canaletta per controllare la portata delle acque piovane che consisteranno nel: 1. ripristino della vasca di decantazione a monte della cascata de Perèr alla fine del pianoro ex cava, che regolerà la quantità di acqua che scorrerà lungo el rujal per finire nel laghetto «Pinàl»; 2.inserimento di uno scolo in acciottolato grossolano, per far defluire l’acqua in più, che non si verserà nel tubo che attraversa l’Artugna, affinché non scorra vista e penetri nell’attuale tombotto
contenente i contatori dell’utenza idrica; 3. ripristino della carreggiata stradale dissestata; 4. collocazione, i più anziani avranno ricordo, di due manufatti in tavolame all’altezza dei due salti a fianco dei fabbricati in modo tale che la gettata, così regolata, oltrepassi la muratura del Mulin piccolo e di quello grande onde evitare le infiltrazioni di acqua all’interno delle due abitazioni attuali; detti manufatti al tempo del Mulin funzionante, servivano ad attivare o disattivare il movimento rotatorio delle due ruote in legno che, per caduta e non per scorrimento, girando in senso orario, azionavano le macine all’interno dei due mulini.
foto di Paolo Burigana
di Giacomo Del Maschio
ADHÉS VE CONTE SERIE DI RACCONTI E ANEDDOTI IN PARLATA LOCALE, ACCADUTI NEI NOSTRI PAESI
Continua la pubblicazione dei racconti in parlata budoiese
Budhuoia revoluthionaria! di Fernando Del Maschio
rufante! Ma se te la tire pai ciaviei... ’Sta volta ve contarai qualche fato come che i me lo à contat i me veci o come che lo ai vedhut mi de parsona. No voi tocià le barufe par fà la Glesia de Budhuoia in tel 1800, par no passà da campanilista. Scominthie invethe con la question de l’acuedoto. Se no me pense mal, l’era poc prima de la guera del 15-18 e el Consei del Comun el veva deciso da ingrandì l’acuedoto fat scuasi 50 ains prima. La dhent però no la voleva paià pi tasse e alora un bel grun i se à ciatat in platha denant el munithipio par no fà dhi dentro i consiliers, anthi ’na femena (’na volta le femene no le vigneva tociadhe dai carabiniers) la veva implenit de tera la seradhura de la porta del munithipio. El sindic nol saveva cossa fà e ’l à clamat i carabiniers de Pordenon ch’i è vignuth su subito a ciaval. La dhent la thiava: «No volon spese!» e alora el tenente, siabola sfodhradha: «Caricate la folla!». I militars i à fat drithà
i ciavai e, a vedhe ste thatate pararia, la pi part i é sciampath. Sol che ’na diesena de omis i stadhi ciapadhi e seradhi dentro in te ’na stanthia de la botega de Bof. Cualchedun el veva portat da ciasa ’na baioneta de la guera d’Africa e se i la ciatava ’l era bruta. Par fortuna che in te la stanthia ’l era ’na stua de tera, cossi i à podhut sconde le baionete sote la thenisa. Pi dhe cualchedun però el veva in scarsela la britola, come scuasi dhuth i omis ’na volta. A la fin: chiei de le baionete i è stadhi liberath; chi altres i è stadhi portadhi in preson par doi o tre dis.
El pora Piero Remondin el me contava che no i se à fermat, ma i à tentat de velenà l’aga a San Tomè co budhele de vacia marthe. Cuan che ere sindic e i me capitava in Comun par protestà che non rivava l’aga de l’acuedoto, pi de cualche volta i diseve: «Se fos stat par cont dei vostre veci, dhessadhe anciamò a to l’aga a Fontana!» e i contave el fato, magare co in man un’ombra da Renè. La vos de la dhent non sempre ’l è vos de Dio! Adhes v ’in conte ’n altra. Dopo el Curato Vecio e don Manfè, ’l è stat curato a Budhuoia
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L a dhent de Budhuoia no ’l è ba-
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don Piero Corona dal 1920 al 1924. Da chel che i me à contat, ’l era un prete aveduto e studhiat. I diseva che da dhovin el veva studhiat lege e che i veva restat la passion de le cause in tribunal. Spes la dhent no i lo ciatava in canonica, parchè l’era dhut a sentì qualche causa e cualche mali-
thioso el pensava ancia pedho. La dhent no ’l era contenta par gnent de sto curato, cussì i se à metut insieme un bel po’ de dhovins e batent dei bandons pa’ le strade i thiava: «Fora don Corona, ghe daremo el bacalà!». I é dudhi avanti cussì un po’ de dis fin ch’el curato ’l è dhut via.
NOTA DELL’AUTORE
Come già detto, racconto i fatti come a me riferiti dai vecchi di casa quando ero giovane, senza la pretesa che corrispondano esattamente alla verità storica. Se qualche attento lettore conosce altre versioni di quanto narrato, è pregato di farmelo sapere. Quando invece racconto fatti a me contemporanei, devo per forza fidarmi della mia memoria che, ringraziando il Signore, è ancora abbastanza buona.
Storie, pacassàde, scherthi, de Dardaĉ de ’na volta...
la Batinàda
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di Flavio Zambon Tarabìn Modola
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F ra le vècie usanthe che ’na volta i aveva i nostre veci i ’n era una clamada la «batinàda», al dì de uncuòi ’sta parola, a tàins de neàltre dardaghesi, no la dis niènt, ma cualche vecio ’l sà chel che ’l era. ’L era un schertho che, a diferentha, de la fava (che ’l è dudha avanti fin ’n te i ani sessanta) ’l è sconparit verso i ani vinti, se pol dise fin poĉ dopo la prima guera mondiàl par chisto che adess savòn pì poĉ su come che ’l vignèva fat, ma co un fià de pathientha chelcossa soi riussit a trovà domandando a chei pì veci de mi de chel che se tratava, come che ’l vigneva fat, a chi che ’l era indirithat e su chi che i lo feva. ’Na volta la dhent la viveva manco de adess, e chisto ’l era un motif ància parchè i se sposava pì dòvins che in te i nostre temps (adess ànthi no i se maridha nencia pì, i se poia, i convif!). Fin ai primi del novethento un dòvin cuàn che ’l veva vinti-vintiun ains ’l era giusto da maridà, cussì una bupata cuan che i ’n aveva distoto-disnove. De solito al meis de fevrer ’l era al meis dei sposalithi, ’l era ància tre-cuatro nothe in te un dì, de solito ’l era al mèrcol
al dì dedicàt a le nothe. Cussì dopo, se deit a vede ’n tel registro de i batiàth, in novenbre al plevan ’l veva al so da fa a batià canis, in te chei temps un canai al vigneva batiat subito dopo nassut, parchè spes al moreva poce ore dopo esse vignut al mondo e tante volte moreva ància la mare. I nostre veci no i aveva problemi del controlo de fa fioi, scuasi ogni an, specialmente ’n te i prins de ogni matrimonio, le copie dòvene le sfornava un fiol, i rivava cussì su la cuarantena che i veva diese-dodese fioi fra ma’sci e fèmene. E tante volte, voto, pa’ duth i parth che le aveva avut, voto, pa’ la scarsa nutrithion, voto, parchè no l’era medesine pì de cualche femena la moreva lassando al so òn da missòl co una carovana de fioi. Ma ale volte ància cualche on al moreva bastantha dòvin, tant da lassà la so femena co diversi fioi da mantigne. Ecco che alora sia chi che l’era restàt vedovo, che chi chel l’era restada vedova ’l aveva al bisogn de poiasse a culchedun pa podhè tirà avanti la baraca. Sucedeva che dei omis vedovi, i se maridhass co dele vedove o ància co una vedrana bastantha in là co i
ains, o ancia che qualche femena, pur de no restà in famea a fa la serva ai fradei o a le cugnade, la se maridas co un vedovo magare pare dei thincue-sie fioi. Ma un cont ’l era maridasse, in glesia, in prime nothe, da dòvins, co dut in regola, ’n altro cont ’l era sposasse da vedovi e in là co i ains, disòn dopo i trentathincue-cuaranta. ’N tel prin caso le nothe le vigneva fate de solito a le diese de matina, co tanti invidhadhi, co la musica e dopo co ’l prantho de nothe a ciasa del sposo, ’n tel secondo caso invethe, nència che fos stat un disonor, le nothe i le feva la matina prest a le thincue o a le sie altre che col plevan e a le volte da compares i lo feva i doi nonthui. Al dì de uncuòi al motivo de sta strana usantha nessun i lo sa. Naturalmente prima de maridhasse vigneva fat le publicathions che le vigneva piciade su la porta de la glesia, ma ’n tel caso nostre no vigneva metùt al dì de le nothe, chisto parchè i nuith i veva pura che la dhent del paeis i fess la «batinàda». Pa’ fa la «batinàda», intant la dhent la doveva savè al dì che ’l era programat pa’ el sposalithio, de solito o i nonthui o cualche parent dei nuith, i feva la spia
nuith i vigness fora, ’na volta finida la cerimonia. Dopo una miedhora se verdeva la porta de la glesia l’era un nònthol, al vardava de ca e de la e dopo al diseva ai nuith, «No l’è nessun podeit di in pase» i sposi no i aveva fat nència doi s’cialins che da unlà che i batinadors i se aveva scondut i saltava fora e alora l’era dut un fracas, i tacava a bate bandòns, sece, pignate, de dut, ància al tanburo. Proveit a inmaginave come che i restava i sposi i era inebetith e ància un poĉ inervosith, tant che
l’on al diseva «Ma come ali fat a savè che stamatina se sposeane!». Intant la baraonda ’l aveva sveiat scuasi dut al paeis, la dhent la tacava a vigne fora da le ciase e la deva a fa i conplimenti, e ància dise parole de schertho verso i nuith, vigneva tirat fora qualche fiasco de vin o de sgnapa e, intant che la «batinàda» la deva par le vie di Dardaĉ, la dhent e i sposi bel belo i tornava a le so ciase. L’unica testimoniantha scrita, de ’l esecuthiòn de ’na «batinàda», che soi riussìt a ciatà ’n tel archivo de la nostra pleif, ’l ài ciatada ’n tel diario de le messe de don Romano difati al dì 3 dethènbre 1911 al scrif: «Ieri sera e l’altra sera battinata pel matrimonio Vettor». Se prima da scrive sta ricerca aveve dei dubi adess i se i ’na dontàt ’n altri doi, come mai elo stat fat pal sposalithio Vettor doe batinàde, in doi dis diferenti e dopo parchè de sera? L’unica risposta la podarave esse che le nothe le sea stade fate de not e no de matina pa svià i batinàdors, ma che chisti i aves instess savut l’ora del sposalithio, ma al parchè doe batinàde resta un mistero! Comuncue che sea, tains ani fa ’n tel nostre paeis la dhent la se divertiva co poĉ, duth, dai pìthui a i grains i feva ’na vita de sacrifici, ma ogni tant i se straviava ància lor. Sigur che se i podes vede come che al mondo ’l è canbiat i vignarave un colpo ’n tel vede dute ste robe nove, duta sta bondantha! Me vin da pensà se chel proverbio che ogni tant se sent dise, in special modo dala dhent pì vecia, al pol esse ànciamò valido «Se stava meio cuan che se stava pedho!». Mah...
Disegno di Guido Benedetto.
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e i visava la dhent che cussì la se organisava. Come vignevela fata, de solito un cuindese-vinti, o ància de pì, de omis i se meteva dacordo la sera prima e un al diseva: «Mi porte un bandòn co’ un bachet, ti te porte le sece de lata e i cuerci», a ’n altro i diseva «ti te porte al tanburo che al sona to pare» e cussì via. La matina dopo a l’ora stabilida i se ciatava sul sagrat de la glesia, intant che drento ’l era tacàt la funthion, e i se platava drio i murs o drio i bars e i spetava che i
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’N TE LA VETRINA Il lavoro, un bene universale In questi mesi difficili, causa Covid, per molte persone e famiglie è venuto a mancare anche il lavoro. Si incrementa così il triste fenomeno della disoccupazione, creando nuove povertà. Queste foto presentano alcuni nostri concittadini in attività lavorative, svolte in paese o in città lontane. Pur differenti, concorrono tutte al rispetto della dignità della persona, allo sviluppo e al bene della collettività. Ancora una volta avvertiamo e riscopriamo il vero valore del lavoro, quale bene universale.
Lido di Venezia, primo dopoguerra. Giovani dardaghesi, agli inizi della loro carriera nella ristorazione, posano sorridenti durante una pausa lavoro. Da sinistra: Angelo Bocus Ciùti, ?, Onorio Zambon Tarabìn.
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Dardago, 1933 circa. Un pomeriggio di lavoro agreste. L’erba del prato drio cjasa, par de là de l’Artugna, è interamente falciata. Francesco Bastianello Thisa (a sinistra) con la colt dà l’ultimo tocco per ravvivare il filo della falth. A destra il figlio Giuseppe e, al centro, l’ultimogenito Camillo con la restelina a cui spetterà il compito di raccogliere l’erba.
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Dardago, 1942. Rosa Zambon Pinàl alla corleta con la figlia Vittoria Santin. L’arte della filatura della lana veniva insegnata alle ragazze sin dalla giovane età. Rosa, oltre che per la sua famiglia, filava la lana anche per chi, in paese, ne aveva necessità.
Tu innamorato della vita, dono meraviglioso che sapevi rispettare. Tu innamorato di Milano, la città che ti ha dato il lavoro e ti ha fatto incontrare la donna di una vita intera, l’adorata moglie Nicoletta, mia madre. Tu innamorato di Dardago «il paese più bello del mondo». E l’amore per Dardago è stato sempre un amore indiscusso e speciale. Ogni anno quando ci tornavi, appena aprivi il portone di casa, eri raggiante ed emozionato come un innamorato che ritrova il suo primo ed unico amore. Il cortile, che ai nostri occhi appariva deserto e silenzioso, ai tuoi appariva un brulicare di persone ed animali, come era stato il cortile della tua infanzia contadina. Finalmente il tempo dell’attesa era terminato e potevi lasciarti cullare dai ricordi, sempre così vivi nella tua memoria. Dardago ti dava una energia straordinaria e lavoravi la sua terra straordinaria con sempre rinnovata energia. Dalle passeggiate nei boschi portavi sempre a casa un dono che
DANIELA
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L’ARTUGNA PORGE LE PIÙ SENTITE CONDOGLIANZE AI FAMIGLIARI
LASCIANO UN GRANDE VUOTO
Aurelio Zambon Cep Aurelio, mio padre
la natura faceva trovare sulla tua strada e, se alle volte era un po’ avara, non ti avvilivi e ti accontentavi anche solo di un fiore, ma di certo speciale perché della tua terra. Instancabile, ti riempivi gli occhi dei luoghi amati e per riposare, seduto in cortile, ti dedicavi ad un nuovo cestino con il legno e le stecche delle sponde dell’Artugna. A Dardago non ti sentivi mai solo, il suo caldo abbraccio scaldava il tuo cuore. Negli ultimi anni, quando l’età iniziava a toglierti ogni giorno qualche piccolo frammento di autonomia, tornare a Dardago non era più così scontato ed ogni volta, ne eri consapevole, era un regalo speciale ed inaspettato che la vita ancora ti donava. La festa alla chiesa di San Tomè, ai primi di luglio, ti metteva a dura prova, ma che felicità esserci ancora una volta! E che festa ritrovarsi a tavola tutti insieme! Ma il tempo passa e decide per noi, senza chiederci il permesso. Ad ottobre 2020, il giorno del rientro a Milano, aspettavi in cortile il momento della partenza, stranamente seduto e silenzioso. Il cuore ti diceva che il temuto momento del distacco era arrivato, ma questa volta era diverso, tu già sapevi che questo, sarebbe stato il distacco... per sempre e hai sussurrato «io qui non tornerò più». La mattina del 30 dicembre ti sei arreso e sei stato accolto nelle braccia di mia madre e di mia sorella. Sorrido sapendoti al sicuro, unica consolazione, che allevia il mio dolore per averti perduto per sempre.
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Qualcuno ha detto che nella vita alcuni di noi sono capaci di creare dei puntini che, in vita, non possiamo connettere guardando al futuro; si possono connettere solo guardando al passato, ma dobbiamo aver fiducia che si connetteranno! Liliana Zambon vedova Minca.
L’ARTUGNA PORGE LE PIÙ SENTITE CONDOGLIANZE AI FAMIGLIARI
LASCIANO UN GRANDE VUOTO
Io sono nata qui! in ricordo di Liliana Zambon ved. Minca
Di puntini Liliana ne ha creati tanti e sono i riferimenti e le convinzioni di una vita iniziata a Dardago il 24 marzo del 1927.
...passate per Budoia, per favore! Svoltiamo a sinistra, allora, e arriviamo nella piazza Umberto I e poi svoltiamo in via Roma diretti verso Dardago.
Mamma..., la strappiamo ai suoi pensieri. Ricordi la notte del 20 luglio 1969?
Lei, silenziosa, è rapita da mille pensieri che le affollano la mente. Le calde lunghe estati di quella giovinezza trascorsa assieme alla cugina Enrichetta: intervalli di serenità negli anni rubati ai giovani dalla guerra.
Certo che la ricordo, eravamo tutti con vostro padre Giorgio e la zia Marisa attaccati al televisore a casa di Enrichetta assieme a Marco, Vittorina e Magda: lo sbarco sulla luna! Che notte! Eravate piccoli voi, 12 e 10 anni. Come è cambiato tutto, ma nei suoi pensieri ritorna come era o come lo vedeva allora. Siamo oramai in via Brait: la scuola elementare, il ricordo della maestra e dei compagni di classe. Il primo contatto con quel mondo dell’insegnamento che lei ha poi vissuto come una missione.
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Ho scelto il lavoro più bello che esista, ci diceva sempre.
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Liliana con la cugina Enrichetta in Piancavallo, in una gita di gruppo. Era il 21 agosto 1947.
Quanto ha amato i suoi studenti e quanto è stata ricambiata. Chi la riconosceva per strada, la fermava e l’abbracciava trasferendole da adulto una parte di quel calore che lei aveva saputo alimentare in loro da adolescenti. L’insegnamento! ...quella missione non l’ha mai abbandonata, nemmeno dopo la pensione. Assieme a Giorgio aveva costruito il suo progetto di vita fondato su valori che non ha mai smesso di trasmettere; ed anche da quel letto dell’ospedale, quando
non avremmo mai pensato di non rivederla più. Oggi è il 15 agosto, ci disse, ricordandoci della festa della Madonna assunta al cielo. Ma forse voleva dirci qualcosa di più... Dardago: la piazza Vittorio Emanuele..., chiude gli occhi, riappare quell’enorme albero ferito da un fulmine che gli ha creato uno squarcio abbastanza grande da permettere a generazioni di bambini di giocare a nascondino. Il 15 agosto: la messa solenne nella chiesa di Santa Maria Maggiore, la musica, le bancherelle, la piazza gremita. Il palo della cuccagna. La giostra... ... caldo. Tanto caldo! I parenti e gli amici per stare assieme la sera di Ferragosto, prima di andare in piazza. I tavoli preparati nel giardino della casa di Dardago. Le luci che dal poggiolo della camera scendono fino all’albero ed illuminano i piatti che Liliana aveva preparato. Colori di un tempo che riaffiorano timidamente: mamma vieni con noi? Andate avanti, metto a posto e vi raggiungo! Lei era così! Svoltiamo in via della Chiesa. Siamo arrivati, mamma! Dardago. Lei non risponde intenta a veder scorrere immagini di una vita che ruota attorno a quella casa: Angelo, suo padre, l’aveva costruita con i sacrifici di un lavoro che lo aveva impegnato fin da quando, da bambino adolescente, si era trasferito a Capodistria. Adolescenza che né a lui né alla amata sposa Benvenuta era stato permesso di vivere... ma avevano costruito nella loro terra, la loro casa per la loro famiglia! E Liliana, sentiva fortissimo il legame con tutto ciò.
nipoti. La gioia di condividere ricordi ed emozioni. Passano gli anni e le nuove generazioni entrano nelle immagini, con la continuità delle tradizioni. I nipoti! Liliana ha vissuto due vite: i nipoti Giulia ed Andrea sono stati la sua seconda giovinezza! Li ha amati, li ha protetti, ha sentito forte il compito di trasmettere anche a loro i valori in cui ha fondato la sua vita. Per la prima volta ha parlato loro di quel periodo buio della guerra e del suo fortissimo senso della Patria, della famiglia, della terra in cui è nata. Mamma rientriamo? Sì, ma passiamo per via San Tomè! D’accordo! Percorriamo via Rivetta, svoltiamo a sinistra in vicolo Busetti per immetterci in via San Tomè. Pochi metri e poi ci dice:
Agosto 1979. Liliana con la sua famiglia, il marito Giorgio Minca e i figli Maurizio e Livio, in Valle d’Aosta.
io sono nata qui! Ci indica quella casa sulla sinistra vicino alla Piazza Vittorio Emanuele, ma il significato è ben più ampio. Nelle sue ultime ore in ospedale quando le dicevamo di avere pazienza perché era necessario affrontare un periodo di riabilitazione, con disarmante tranquillità ci rispose: io sono friulana ed ho superato tante cose. Pazienza, sarà quello che deve essere ...è così!
Questa era Liliana! Purtroppo, il Signore ti ha voluto vicina a lui il 16 agosto. Già ..., mamma. Lasci un grande vuoto nelle nostre vite, ma abbiamo avuto la fortuna di avere una grande mamma! Ora abbiamo collegato i tuoi puntini che si chiudono sulla famiglia e sul suo significato più alto. Grazie, mamma! I FIGLI LIVIO E MAURIZIO
E poi arrivava agosto! Pian, piano la casa si riempiva dei fratelli e dei
Agosto 1962. Liliana con i figli Maurizio e Livio, nel giardino della loro casa a Dardago.
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Scorrono... rapide le immagini. I genitori Benvenuta ed Angelo, i fratelli Claudio, Rosella e Marisa i figli che trascorrevano assieme a lei le lunghe estati in quella casa aspettando Giorgio che puntualmente arrivava a fine settimana.
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Lucio Moderato un ricordo in contesto
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Lucio era nato a Sacile il 9 agosto del ’55. A quel tempo vivevamo a Roma. Papà lavorava per la Compagnie Internationale des Wagons-Lits, quella dell’Orient Express, da noi la Compagnia Vagoni Letto o semplicemente «la Compagnia», che in quegli anni in cui il traffico aereo era proprio all’inizio, collegava tutte le capitali europee. Da Roma andava a Parigi, Vienna, Amsterdam e anche Copenhagen, quindi era spesso fuori casa per diversi giorni. Aveva vinto anche il concorso per entrare in Alitalia, ma la mamma aveva paura che andasse sugli aerei, quindi era rimasto in Compagnia. Quando è arrivato il momento del parto, dato a che a Roma eravamo soli e papà era spesso fuori siamo venuti a Santa Lucia, dove ci ha raggiunti la nonna Anna (1877-1963), la Neta de’ Nart, che si doveva occupare di me, assieme all’Italia, la moglie di Beppino Pusiol, figlio dello zio Dolfo, fratello maggiore di mio nonno Andrea (1876-1929) mentre la mamma era in ospedale. La nostra casa era (è tuttora) nel gheto, l’acqua per lavarsi si prendeva «lavia de la fontana», la scala era esterna, e il «bagno» era in fondo all’orto. Questa era la vita a quel tempo nei nostri paesi. L’ospedale di Sacile forse rifletteva questo stato di arretratezza: un inconveniente relativamente frequente al momento del parto,
che se affrontato tempestivamente non avrebbe causato problemi, invece ebbe come esito una sofferenza perinatale che si sarebbe tradotta successivamente in una forma di spasticità muscolare. Ciò non impedì a Lucio di raggiungere gli obiettivi accademici e i traguardi professionali che si era prefissato di raggiungere, ma ne aumentò notevolmente i costi personali, fisici ed emotivi. Vorrei ricordare, e sono sicuro di farmi portavoce di Lucio, con profonda gratitudine, una persona che è stata molto vicina alla mamma fin dai primi momenti critici delle visite pediatriche per determinare l’entità del danno patito al momento della nascita e prevedere lo sviluppo futuro. Parlo di Elena Nart, prima cugina della mamma – ma io e Lucio la chiamavamo zia Elena, figlia di Tommaso, fratello della nonna Anna. Elena, e l’altra cugina, la Maria de’ Nart, sono state persone molto importanti nella vita della nostra famiglia, e di Lucio in particolare. Lucio si è laureato in Psicologia a Padova nel 1980. Erano gli anni difficili del terrorismo, della violenza, degli esami che saltavano, dei viaggi a vuoto, Lucio frequentava da pendolare dato che nel frattempo aveva già cominciato a lavorare in Lombardia nel mondo della disabilità. La sua tesi verteva su un progetto, allora pioneristico, di inserimento lavorativo di una persona con disabilità intellettiva, campo che costituì uno dei suoi principali interessi lavorati e sociali. Dopo la laurea veniva assunto dalla USL 68, l’Unità Sanitaria Locale che era uno dei risultati della legge
di riforma del Servizio Sanitario Nazionale del ’78. Alla fine degli anni Novanta passa a dirigere i servizi per l’autismo della Sacra Famiglia di Cesano Boscone, dove rimarrà fino al momento della scomparsa. In tutti questi anni si occupa sia di formazione sia di intervento, diventando un punto di riferimento per molte famiglie e molte istituzioni, come testimonia il titolo di Cavaliere conferitogli dal Presidente della Repubblica per il suo impegno sociale. Nonostante lavorassimo a distanza, quando ancora non era di moda lo smart working e non c’era neanche Internet, Lucio e io siamo riusciti a collaborare negli anni a diverse opere insieme: libri, articoli, filmati didattici pionieristici, programmi di valutazione, manuali. Vorrei ricordare gli ultimi nostri due lavori, che rappresentano il suo lascito scientifico: Potenziare le abilità cognitive e curriculari e Potenziare le abilità trasversali, pubblicati da Giunti Edu nella collana «CAPIRE come». Da quando siamo nati, non c’è stato anno in cui entrambi, indipendentemente da dove ci portava il lavoro, dai viaggi, dalle vacanze al mare o in montagna, non abbiamo passato almeno 10 giorni a Santa Lucia. Lucio aveva finito da poco la ristrutturazione della casa di famiglia nel gheto, perché l’idea di entrambi era di passare progressivamente sempre più tempo a Santa Lucia. Il COVID nel mio caso ha accelerato questa scelta, nel suo caso l’ha purtroppo impedita. PAOLO MODERATO
L’ARTUGNA PORGE LE PIÙ SENTITE CONDOGLIANZE AI FAMIGLIARI
Durante il rito esequiale di Ida, morta per Covid-19, è stata data lettura delle parole di saluto della figlia Nadia Zambon, anch’essa contagiata dal virus (e dimessa nello stesso momento in cui la mamma cessava di vivere) e impossibilitata a partecipare:
LASCIANO UN GRANDE VUOTO
Ida Dedor Barisél
«Mia mamma era una persona sempre allegra, bastava poco per farla contenta. Vivace, piena di vitalità, precisissima e sempre con il sorriso sulle labbra. Amante della compagnia, dei fiori e con un amore infinito verso gli animali. Ma le sue grandi passioni, fin da piccola, erano due: il canto e il ballo, in particolare il valzer. Mi raccontava sempre che quando era giovane, lei e mio padre, che lavorava a Venezia, andavano al Lido a ballare. Ecco, io vorrei fermare l’immagine di mia madre qui: un ultimo valzer con Onorio, l’amore della sua vita. Voglio cogliere l’occasione per ringraziare tutte le persone che mi sono state vicine: i miei familiari, i miei amici, i vicini. A tutti un grazie di cuore. E un grazie particolare a Maria che per tanti anni è stata un grosso punto di riferimento per mia madre. Ciao mamma, buon viaggio». TUA FIGLIA NADIA
Roberto Dabrilli
Negli anni cinquanta molti dei nostri compaesani si sono spinti in altri luoghi alla ricerca di una possibilità per migliorare la propria esistenza. Nulla di eclatante, un lavoro, un tetto sopra la testa, un po’ di serenità in cambio di tanti sacrifici. Fra questi c’è stato anche Antonio
A lui dedicheremo maggior spazio nel prossimo numero del periodico.
ALBERTO E FAMIGLIA
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Antonio Carlon Cec
Carlon Cec che con la moglie si è fatto ben volere in quella Svizzera dove tanti altri budoiesi hanno cercato di emanciparsi. Una scelta meditata e sofferta per un giovane orgoglioso delle sue origini, modeste ma piene di sentimenti. Il pascolo in montagna, la vita nei campi, gli aneddoti sui vecchi e le storie di vita paesana erano diventati ricorrenti nei suoi racconti da pensionato che si concedeva almeno una volta all’anno un passaggio a Budoia. Oggi non c’è più, i famigliari vogliono riportare le sue spoglie nel paese nativo, e noi lo ricordiamo per tutte le volte che è venuto a trovarci e la stima che ci ha sempre riconosciuto.
Mentre il giornale sta chiudendo, ci giunge la triste notizia dell’improvvisa scomparsa di Roberto Dabrilli, veneziano d’origine e dardaghese di adozione. Le Comunità di Dardago, Budoia e Santa Lucia gli sono riconoscenti per la professionalità e soprattutto per l’amore che ha manifestato ai nostri paesi, di cui Roberto ha instancabilmente immortalato eventi, persone, chiese...
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LA CRONACA DELLA COMUNITÀ DI DARDAGO / BUDOIA / SANTA LUCIA
Canbià par continuà
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Sono trascorsi 5 anni dalla costituzione della Cooperativa Cial de Mulin nel corso dei quali si sono acquisite esperienze e ottenuti risultati, come pure – considerata la novità dell’iniziativa – commessi degli errori.
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Il perdurare delle difficoltà operative, la complessa ed onerosa gestione amministrativa e gli ulteriori impedimenti subentrati con la situazione straordinaria, che stiamo tutti vivendo, hanno reso necessario procedere alla sua liquidazione. L’iniziale entusiasmo generale ha ‘guidato’ le fasi di preparazione dei terreni, piantumazione dei bulbi, raccolta del prodotto e ‘costruzione’ di un’adeguata immagine comunicativa. Nel tempo, con il sopraggiungere delle difficoltà operative, si è verificato un progressivo assottigliamento del numero dei soci impegnati nelle attività. Anche gli aspetti interpersonali, condotti con approccio individuale anziché collettivo, hanno concorso a complicare ulteriormente la gestione. Non è mancata comunque la cura dei bulbi, che sono numerosi e ben mantengono lo stato di vegetazione; si è provveduto inoltre al raccolto e alle lavorazioni per preservare la qualità dello zafferano e ottemperare le pratiche ammini-
strative. Considerata tale situazione e con la necessità di ‘fermare’ i costi fissi, la messa in liquidazione della Cooperativa è stata una scelta obbligata. L’operazione è stata realizzata con l’assegnazione ai soci della quota di competenza in zafferano e bulbi. Queste modalità sostanzialmente hanno permesso una restituzione in valore in linea con l’apporto originario. Alcuni soci provvederanno all’espianto e ritiro dei bulbi per una propria coltivazione, mentre numerosi altri hanno rinunciato ai bulbi di pertinenza a favore del Comitato del Ruial de San Tomè, affinché prosegua la coltivazione e riprenda la manifestazione Dardago fior di zafferano, conosciuta ed apprezzata in tutta la Regione. Entrambi sono messaggi positivi perché concorrono a tener desto l’interesse per questa coltivazione e a promuovere e far conoscere il territorio di Dardago e quello pedemontano. Un forte ringraziamento a tutti coloro che stanno ponendo le basi su cui ripartire, pur con modalità diverse, riattivando le motivazioni originarie.
vicino alle tane, e uccelli di medie dimensioni che richiedono un maggiore impegno, in quanto possono arrivare facilmente oltre la sua portata.
Sciacallo dorato.
Gli altri ospiti, la coppia di sciacalli dorati, si muovono tra la Foresta del Cansiglio, il Cavallo e nelle nostre zone ripariali lungo il torrente, spingendosi fino ai Magredi. Lo sciacallo dorato non è un animale invasivo, la sua presenza è discreta e poco numerosa. Non è stato introdotto dall’uomo nel nuovo territorio ma approfitta dell’assenza del lupo e dei cambiamenti climatici; ha potuto, infatti, espandersi grazie all’aumento delle temperature in Europa centrale.
CIAL DE MULIN – IL CONSIGLIO DIRETTIVO
Parchè no lo salvón? Bestis salvares
Un gatto selvatico e una coppia di sciacalli dorati, predatori dalle abitudini notturne, hanno scelto il loro habitat nelle vicinanze di Dardago, verso Val de Croda. Più grosso e corpulento del gatto domestico, il selvatico raggiunge la lunghezza totale di un metro; la differenza principale sta nella coda più lunga e grossa, barrata di anelli neri e con una macchia terminale ingrossata dello stesso colore, e nel mantello più fitto e più lungo del gatto normale. Lungo l’Artugna trova le sue prede, ratti e topi selvatici, che cattura solitamente
Ti ricordi il mosaico dell’asilo? Era collocato in una nicchia nel muro di cinta della scuola materna e per lunghi anni ha vegliato sui bimbi, rincuorato i passanti, salu-
El lunare pa ’l 2021
È fortunato il Comitato del Ruial de San Tomè ad avere tra i suoi soci volontari due fotografi di razza! Dalle centinaia di loro foto del nostro paese, è nata l’idea di fare un calendario, il primo: CONTRADE 2021. È andato a ruba! Non solo nei punti vendita locali. È volato negli Stati Uniti, in Belgio, nel Regno Unito, in Sicilia, in Liguria, in Lombardia e altrove.
El pont sul «Troi de Gor» Nello scorso mese di marzo i volontari della Pro Loco Budoia, guidati dal Presidente Maurizio Carlon, sobbarcandosi l’onere di portare a mano il necessario per l’esecuzione dei lavori (pali, attrezzi, gruppo elettrogeno, ecc.) in un luogo irraggiungibile da mezzi di trasporto, hanno provveduto alla completa ricostruzione del ponticello distrutto dalle forti precipitazioni verificatesi durante la trascorsa stagione autunno-invernale, ripristinando così la transitabilità del «Troi de Gor» che porta da Budoia a Polcenigo attraverso zone umide che costituiscono un ambiente di rara bellezza, di interesse turistico e naturalistico.
Detratte le spese di produzione, il ricavato di 430,00 euro è stato devoluto alla «Via di Natale» di Aviano, associazione che da numerosi anni si dedica all’assistenza sanitaria e sociale. Lunga vita al lunare, con l’augurio che diventi il calendario di tutto il territorio comunale.
ALESSANDRO BARACCHINI
EURIDICE DEL MASCHIO
’L é tornàdha la neif Dopo giornate «profumate di sole», preludio di imminente primavera con primule e violette che
adornano i prati e con orti festosi che mostrano prugni e albicocchi in fiore..., la neve improvvisamente è tornata a farci visita imbiancando le nostre montagne. Sì, domenica 14 marzo la sorpresa è stata generale. Lo spettacolo di vedere la Val Granda, la Thentolina, Candóle, Thérthins, Longiarethe... imbiancati sembrava di non essere a metà Quaresima ma prossimi alle festività natalizie. Da tempo gli studiosi ci dicono che i segni di «insofferenza» del tempo sono il chiaro segnale della trascuratezza che abbiamo nei confronti della natura. Riappacifichiamoci con l’ambiente e «serviamolo» in letizia. La Natura saprà come ricompensarci.
Sempre più collegati
In questo periodo caratterizzato dalla pandemia, in cui la mobilità è limitata se non proibita, acquista sempre maggiore importanza la possibilità di avere a disposizione strumenti che permettono di lavorare, o di partecipare alle lezioni scolastiche, da casa. Tali strumenti sono le apparecchiature elettroniche come l’hardware (computer o tablet), il software (programmi) ed
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tato chi arrivava e chi lasciava il paese. L’opera, realizzata da Luciano Bastianello Fuser tra il 1968-70, raffigura Gesù durante la salita al Calvario aiutato da Simone di Cirene. Rimossa durante i lavori di ampliamento dell’asilo, non ha più trovato una sua collocazione. Da anni abbandonata a se stessa, ha subìto l’incuria degli uomini e l’ingiuria del tempo. È bisognosa di cure urgenti. Riusciamo a salvarla? Forse, come fu con l’iniziativa «con un cop a paròn».
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un collegamento alla rete Internet abbastanza veloce ed affidabile. Nei nostri paesi, da anni esiste una connessione FTTH – FIBBRA di INASSET con la fibra ottica che arriva direttamente all’interno dei locali (uffici, luoghi di lavoro o abitazioni). È la tecnologia più performante, affidabile e stabile e prevede costi di installazione e canoni più elevati. Inoltre è attiva una modalità WIMAX EOLO. È necessario installare un’antenna ricevente puntata verso la stazione emittente. Si
raggiungono buone qualità di servizio che subisce dei degradi in giorni piovosi/nevosi. I costi d’installazione e i canoni sono inferiori rispetto alla connessione tramite fibra ottica. In questo periodo, per allargare il mercato e le opportunità di connessione sul territorio comunale, sono in corso i lavori per la posa della rete da parte della TIM, il cui termine è previsto per la fine del mese di aprile. In questo caso, la fibra arriva fino alla cabina da cui parte il doppino telefonico fino alle
L’ INNO ALLA VITA
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thento ains!
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Gina Selva Baruffi ha compiuto 100 anni a Venezia; l’evento è ricordato anche sul Gazzettino con un articolo di Tomaso Borzomì. Gina è di origini dardaghesi poiché è nipote di Angela Zambon Pinal, sorella del Pievano don Romano. Inoltre, la neo centenaria è sorella di Padre Agostino Selva di cui, più volte, si è scritto su l’Artugna e, anni prima, anche su La voce del Pastore.
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La Redazione porge sinceri auguri alle nostre centenarie
abitazioni o agli uffici. Questo metodo ha costi d’installazione e canoni più bassi del FTTH. Due elementi possono incidere sulla qualità del servizio: la distanza tra la cabina Telecom e l’utente e lo stato del doppino in rame telefonico preesistente. Sul sito internet del Comune https://comune.budoia.pn.it/notizie/370587/internet-budoia è disponibile il fascicolo «Opportunità di connessioni internet nel Comune di Budoia» che spiega in dettaglio le varie tipologie.
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thento ains!
La «nonna Berta» è nata a Dardago il 21 gennaio 1921, figlia di Giobatta Ianna Theco e Augusta Bastianello Thisa, primogenita di cinque fratelli. In giovane età andò a servizio in albergo a Jesolo ma i tragici fatti della guerra la costrinsero a rientrare in paese. Tornata la pace sposò Giobatta Zambon Thuciat; dall’unione nacque il figlio Antonino, Tonin. Rimase vedova dopo pochi anni di matrimonio con un figlio piccolo. Si è dedicata alla cura degli anziani genitori ed ai lavori della campagna. Spirito libero e indipendente, sempre di buonumore e pronta alla risata, ha abitato all’imbocco di via Rui de Col fino a quando l’età glielo ha permesso. Da qualche anno è ospite della casa di riposo di Aviano, dove attualmente è la più longeva. STEFANO ZAMBON
ACCOMPAGNANO LE OFFERTE Milano, 17 gennaio 2021
Worms, 10 febbraio 2021
In ricordo del nostro papà Antonio Bastianello Thisa. Papà, finché è stato possibile, ogni estate ritornava a Dardago e il suo paese d’origine era sempre nei suoi pensieri.
Buon Anno e tante grazie!
LE FIGLIE SILVIA E CLAUDIA
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Venezia, 12 febbraio 2021
IVO FORT
Grazie a lei che continua a leggerci dalla Germania.
FAM. RIZZIERI ZAMBON
Milano, 17 febbraio 2021
Grazie. Auguri a voi, anche per la vostra attività pesantemente toccata dal Covid!
Rinnovo l’abbonamento in ricordo dei miei fratelli Aurelio e Marino.
Bellegra (RM), 24 febbraio 2021
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DORINA ZAMBON
Venezia, 19 gennaio 2021
Penso che sia necessario mantenere i legami con le proprie origini. Buon Anno!
Ringraziandovi per il vostro sempre gradito lavoro.
Grazie. È un buon modo per ricordare due fedeli lettori de l’Artugna.
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In ricordo e memoria dei nostri cari: papà Girolamo, nonna Romana e nonno Gino. FABIO ZAMBON
GINO ZAMBON
_ Milano, 2 febbraio 2021
A tutta la Redazione, un augurio di superare presto questo periodo pesantissimo con la speranza di un futuro più sereno. Cordiali saluti DONATELLA ANGELIN
Grazie mille: estendiamo a tutti questo augurio importantissimo!
IL BILANCIO NUMERO 151 Situazione economica del periodico l’Artugna entrate Costo per la realizzazione
3.677,00
Preconfezionamento e spedizioni
358,00
Entrate dal 23.11.2020 al 05.03.2021
4.064,00
Totale
4.064,00
LE PUNTURE DI SPILLO
uscite
4.035,00
AFORISMI / MALDICENZE / PROVERBI / FREDDURE
A CURA DI SANTE UGO JANNA
UOMINI...
2. Uomini (a): Pensano tanto ansiosamente al futuro che dimenticano di vivere il presente, in tale maniera che non riescono a vivere né il presente, né il futuro. (Dalai Lama) 3. Uomini (b): Perdono la salute per fare i soldi e poi perdono i soldi per recuperare la salute. (Dalai Lama) 4. Uomini (c): Vivono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto. (Dalai Lama) 5. Non bisogna giudicare gli uomini dalle loro amicizie: Giuda frequentava persone irreprensibili! (Hemingway) 6. Antico Testamento: En passant vorrei farvi notare che Adamo, appena ne ha avuta l’occasione, ha dato la colpa alla donna. (Lady Nancy Astor) 7. Brevetti: Il torto di Dio è di non aver brevettato l’uomo. Per questo ce ne sono in giro tante cattive imitazioni. (Omboni/Poli)
1. Lawrence David Herbert (1885-1930) – scrittore inglese autore tra gli altri di «L’amante di Lady Chatterley» (1928). 2. 3. 4. Tenzin Gyatso – nato 6.7.1935 – XIV Dalai Lama del Tibet. 5. Ernest Miller Hemingway (1899-1961) – scrittore e giornalista USA – Nobel 1954 per la letteratura, autore tra gli altri di «Per chi suona la campana» (prima edizione luglio 1940 – vendita immediata di 100 mila copie). 6. Nancy Witcher Astor, viscontessa di Astor (1879-1964) – americana naturalizzata inglese, prima donna a prendere effettivamente parte al Parlamento britannico con il partito dei Conservatori. 7. Ida Omboni (1922-2006) – traduttrice e scrittrice italiana – negli anni ’60 inizia la sua collaborazione con l’attore e regista teatrale Paolo Poli.
APRILE 2021 / 152
1. Solitamente una donna preferisce essere bella anziché intelligente perché in genere l’uomo medio ha la vista più sviluppata del cervello. (Lawrence)
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Chi abbraccia la croce ha la forza di risorgere di padre Ermes Maria Ronchi* Il racconto della morte di Gesù in croce è la lettura più bella e regale di tutto l’anno. E mentre i credenti di tutte le fedi invocano Dio nei giorni della loro sofferenza, ora i cristiani vanno a Dio nei giorni della sua sofferenza (Bonhoeffer). [...] E vedo un uomo nudo inchiodato e morente. Un uomo con le braccia spalancate in un abbraccio che non si rinnegherà in eterno. Vedo un uomo che non chiede niente per sé, non grida da lì in cima: ricordatemi, cercate di capire, difendetemi... Fino all’ultimo dimentica se stesso e si preoccupa di chi gli muore a fianco: oggi, con me, sarai nel paradiso. Fondamento della fede cristiana è la cosa più bella del mondo: un atto di amore. [...] La croce è l’innesto del cielo dentro la terra, il punto dove un amore eterno penetra nel tempo come una goccia di fuoco, e divampa. Sul Calvario l’amore scrive il suo racconto con l’alfabeto delle ferite, l’unico indelebile, l’unico in cui non c’è inganno.
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[...] La croce rimane una domanda sempre aperta, di fronte ad essa so di non capire. Ma alla fine la croce vince perché convince [...]
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«Tu che hai salvato gli altri, salva te stesso, se sei il Cristo». Lo dicono tutti, capi, soldati, il ladro: «Se sei Dio, fa’ un miracolo, conquistaci, imponiti, scendi dalla croce, allora crederemo». Qualsiasi uomo, qualsiasi re, potendolo, scenderebbe dalla croce. Lui, no. Solo un Dio non scende dalla croce, solo il nostro Dio. Perché i suoi figli non ne possono scendere. Allora è solo la croce che toglie ogni dubbio, non c’è inganno sul legno, nei chiodi. Ogni nostro grido, ogni dolore dell’uomo, la sofferenza incomprensibile possono sembrare una sconfitta. Ma se noi ci aggrappiamo alla Croce, allora veniamo anche presi dentro la forza del suo risorgere, che ha il potere, senza che noi sappiamo come, di far tremare la pietra di ogni nostro sepolcro e di farvi entrare il respiro del mattino.
* Ermes Maria Ronchi (Racchiuso di Attimis, 1947) teologo dell’Ordine dei Servi di Maria
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DOMENICA DELLE PALME 28 MARZO Ingresso di Gesù in Gerusalemme
• Benedizione dell’Ulivo (ognuno porti da casa il suo ramo di ulivo)
Santa Messa di Passione
11.00
11.00
10.00
–
–
16.00
16.00
–
–
–
9.00
–
19.00
19.00
18.00
15.00
15.00
15.00
19.00
19.00
18.00
11.00
11.00
10.00
18.00
11.00
10.00
LUNEDÌ SANTO 29 MARZO • Solenne Adorazione Eucaristica delle 40 ore (Durante l’adorazione c’è la possibilità di confessarsi)
Santa Messa MARTEDÌ SANTO 30 MARZO • Solenne Adorazione Eucaristica delle 40 ore (Durante l’adorazione c’è la possibilità di confessarsi)
Santa Messa MERCOLEDÌ SANTO 31 MARZO • Solenne Adorazione Eucaristica delle 40 ore (Durante l’adorazione c’è la possibilità di confessarsi)
Santa Messa GIOVEDÌ SANTO 1 APRILE Ultima Cena di Gesù, istituzione dell’Eucaristia e Sacerdozio
• Santa Messa Vespertina in «Coena Domini». Riposizione del SS. Sacramento all’Altare del Sepolcro. Spogliazione degli Altari e adorazione. VENERDÌ SANTO 2 APRILE Ricordo della morte di Gesù. Digiuno e astinenza
• Azione Liturgica della morte di Gesù. Recita del Passio. Adorazione della Croce e Santa Comunione eucaristica SABATO SANTO 3 APRILE Vigilia di Pasqua, attesa della Risurrezione
• Veglia Pasquale. Benedizione del fuoco ed accensione del Cero Pasquale. Liturgia Battesimale. Santa Messa di Risurrezione. DOMENICA DI PASQUA 4 APRILE Alleluja, Cristo è risorto, alleluja
• Santa Messa Solenne LUNEDÌ DI PASQUA 5 APRILE • Santa Messa
Buona e Santa Pasqua
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SETTIMANA SANTA
PROGRAMMA RELIGIOSO
o ag rd a D
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foto di Paolo Burigana
E quindi uscimmo a riveder le stelle...
Inferno
[ canto XXXIV, vv. 136, 139.]
[...] salimmo su, el primo e io secondo, tanto ch’i’ vidi de le cose belle che porta ’l ciel, per un pertugio tondo.
Purgatorio
E quindi uscimmo a riveder le stelle.
[ canto XXXIII, vv. 142, 145.]
[...] Io ritornai da la santissima onda rifatto sì come piante novelle rinnovellate di novella fronda,
Paradiso
puro e disposto a salire alle stelle.
[ canto XXXIII, vv. 142, 145.]
[...] A l’alta fantasia qui mancò possa; ma già volgea il mio disio e ’l velle, sì come rota ch’igualmente è mossa, l’amor che move il sole e l’altre stelle.
Ciascuna delle tre cantiche termina con la parola stelle, come a suggellare il supremo compimento del mistico viaggio. Uscendo dall’Inferno, alla vista della luce delle stelle, Dante dimentica tutto il male visto e provato. Al termine del Purgatorio esulta nel sentirsi degno di salire alla pace e alla beatitudine celeste. Dopo la visione di Dio, in Paradiso, scopre che ciò che muove il sole, le stelle e l’universo è solo l’Amore. Un monito, un’esortazione agli uomini ad innalzare lo sguardo al Cielo, che sempre ci richiama con le sue infinite bellezze.
2021 ANNO DANTESCO
Dantedì 25 marzo, giornata dedicata al padre della Lingua Italiana