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LA RUOTA DELLA VITA
I M P O R T A N T E Per ragioni legate alla normativa sulla privacy, non è più possibile avere dagli uffici comunali i dati relativi al movimento demografico del comune (nati, morti, matrimoni). Pertanto, i nominativi che appaiono su questa rubrica sono solo quelli che ci sono stati comunicati dagli interessati o da loro parenti, oppure di cui siamo venuti a conoscenza pubblicamente. Naturalmente l’elenco sarà incompleto. Ci scusiamo con i lettori.
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Chi desidera usufruire di questa rubrica è invitato a comunicare i dati almeno venti giorni prima dell’uscita del periodico. MATRIMONI
Felicitazioni a...
Nozze d’oro Giampietro Zambon e Luisa Zanus Fortes – Dardago
DEFUNTI
Riposano nella pace di Cristo. Condoglianze ai famigliari di... Vittorio Saccon di anni 97 – Santa Lucia Ida Dedor Barisél di anni 91 – Dardago Aurelio Zambon Cep di anni 94 – Milano – Dardago Lidia Soldà di anni 97 – Santa Lucia Anna Soldà di anni 90 – Santa Lucia Tiziano Basso di anni 86 – Dardago Franco Ianna Ciampanèr di anni 80 – Francia – Dardago Rino Sarri di anni 90 – Santa Lucia Marinella Leghissa di anni 60 – Zoppola – Santa Lucia Vittoria Santin di anni 99 – Budoia Roberto Dabrilli di anni 68 – Dardago Florio Bernardis di anni 75 – Budoia
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L’ARTUGNA
PERIODICO DELLA COMUNITÀ DI DARDAGO BUDOIA / SANTA LUCIA
DARDAGO BUDOIA SANTA LUCIA
IN 152 QUESTO NU MERO ⁄ ANNO L / APRILE 2021
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Direzione, Redazione, Amministrazione
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Direttore responsabile
Roberto Zambon · cell. 348.8293208
Per la redazione
Vittorina Carlon
Impaginazione
Vittorio Janna
Contributi fotografici
Archivio de l’Artugna, Paolo Burigana, Vittorio Janna, Flavio Zambon, Francesca Romana Zambon, Maria Grazia Zambon Ed inoltre hanno collaborato Guido Benedetto, Leontina Busetti, Riccardo Cozzi, Francesca Janna, Mario Povoledo
Stampa
Sincromia · Roveredo in Piano/Pn
Autorizzazione del Tribunale di Pordenone n. 89 del 13 aprile 1973 Spedizione in abbonamento postale. Art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone. Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione di qualsiasi parte del periodico, foto incluse, senza il consenso scritto della redazione, degli autori e dei proprietari del materiale iconografico. 2 Editoriale 2 Abbiamo bisogno di speranza di don Vito Pegolo 3 San Giuseppe, il padre coraggioso di don Kiran Thota 4 La ruota della vita 6 2020, Annus horribilis di Ivo Angelin 8 Lo scherzo al prete di Vittorio Janna Tavàn l’Artugna, amica mia, tanti auguri per i tuoi 50 anni! di Adelaide Bastianello
Verso il 50° compleanno de l’Artugna di Alves Bastianello Thisa
Cara l’Artugna, grazie per i tanti anni di compagnia di Ida Zambon 12 Credo di Alessandro Fontana 14 Disegnare il futuro di Silvano Scarpat 16 Le nuove generazioni ‘fanno memoria’
Da Budoia a Buchenwald, per Angelo un viaggio senza ritorno a cura di Vittorina Carlon 17 Lettera ad un ragazzo del futuro di Pietro Del Maschio 18 Storia e ricordi di un ramo della famiglia
Pinal Glir di Paola Livia Zambon 20 Il nostro Vaticano di Roberto Zambon 22 Che ato in non? Me clàme... e sòi de... di Vittorio Janna Tavàn 24 In punta di piedi sul ciglio estremo del mondo di Maurizio Mascarin 25 Raccolta fondi per Area Giovani del CRO di Fulvia Mellina 26 ...i à cambiat le orathions di Roberto Zambon 27 Solidarietà in tempo di Covid-19 a cura della Redazione 30 Passando a chieder luce alla Santa Lùcia! di Walter Arzaretti 32 Lavori sul Rujal de San Tomè di Giacomo Del Maschio 33 Budhuoia revoluthionaria! di Fernando Del Maschio
34 La Batinàda di Flavio Zambon Tarabìn Modola
36 ’n te la vetrina 37 Lasciano un grande vuoto... 42 La Cronaca 44 L’inno alla vita 45 Accompagnano le offerte
Il bilancio
Le punture di spillo a cura di Sante Ugo Janna 47 Programma religioso
IN COPERTINA
Giorgio Igne La mia croce, 30x50 cm.
Quando le debolezze sfiorano l’uomo, questi, suo malgrado, ne diventa testimone durante la propria esistenza. Redimersi? Pentirsi? Essere consci è già un grande risultato. Espiare non è di questo mondo che io salga o scenda dalla mia croce.
2020 di Ivo Angelin, sindaco di Budoia
Annus horribilis
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Ad un anno dallo scoppio della pandemia di Covid-19, il Sindaco ci presenta un’analisi dettagliata della situazione nel nostro Comune.
Care Concittadine e cari Concittadini, l’annus 2020 è stato horribilis per milioni di persone che nei quattro angoli della Terra hanno visto morire i loro cari. È stato horribilis per la paura che ha generalizzato, per il distanziamento fisico, per la percezione degli altri visti come possibili portatori di una minaccia, per il coprifuoco come in tempo di guerra, per il ripiegarsi su sé stessi nel tentativo di sopravvivere nella speranza di un possibile indefinibile sereno. Secondo i dati della Johns Hopkins University, alla vigilia di Natale 2020, il mondo contava oltre 78.5 milioni di contagiati ed un numero di decessi, arrotondato per difetto, di oltre 1,7 milioni di casi. In testa, per valori assoluti, ovviamente le aree più popolose: Stati Uniti, India e Brasile. Ma in termini relativi, ossia in rapporto al numero di abitanti, una ben diversa classifica. In testa il Belgio, la regione più cosmopolita dell’intera Europa, subito dopo la piccola Repubblica di San Marino, destinata ad anticipare la posizione dell’Italia, quindi la Slovenia.
Più impressionante di tutti il caso italiano. Un contagio più contenuto, rispetto agli altri Paesi: ottavo posto nella classifica generale. Meno esteso che in Francia e Gran Bretagna. Leggermente peggio di Spagna e Germania, che seguono a ruota. Ma con un numero di decessi ed un tasso di letalità tra i primi al mondo. In relazione alla popolazione i decessi sono stati pari a 116.5 ogni centomila abitanti.
Però nell’annus horribilis è successo qualcosa di straordinariamente positivo: la scienza si è alleata globalmente, aprendosi alla pluralità dei centri di ricerca mondiali, ha rotto i confini legati alle singole competenze e ha superato i confini politici, comprendendo che il vero nemico era il tempo. È
Andamento dei casi positivi e delle sorveglianze domiciliari nel Comune di Budoia da inizio pandemia fino al 17 marzo 2021
Il 18 marzo, Giornata Nazionale delle Vittime del Covid, tutta la Nazione ha ricordato le persone, oltre centomila sino ad ora, che sono decedute in Italia. Nella foto, la sobria cerimonia con la quale il Sindaco Ivo Angelin ha fatto memoria di questa immane tragedia. nato un progetto comunitario che ha saputo collegare le intelligenze e le specificità di tanti ricercatori, che durante l’anno 2020 hanno dato la vita ai primi vaccini anticovid. Un vero e proprio miracolo umano, in poco tempo, sono riusciti a creare i vaccini che serviranno a farci produrre gli anticorpi contro il virus.
La nostra resistenza al virus deve trarre la sua energia nella cooperazione tra persone, nel sacrificio della ricerca continua, per poter finalmente contenere la pandemia. Noi come persone possiamo fare tanto, ogni giorno, avendo cura del luogo dove abitiamo, di noi stessi, dello spazio che ci ospita e delle persone che ci frequentano e imparano a conoscerci.
Purtroppo, anche in questi primi mesi dell’anno 2021 il virus continua a imperversare e per sopravvivere si è inventato le varianti.
Nel nostro Comune, grazie al vostro impegno nel rispetto delle regole, grazie al lavoro continuo svolto dall’Amministrazione Comunale, la situazione Covid-19, almeno per ora è sotto controllo, come testimonia il grafico allegato.
Non dobbiamo però abbassare la guardia perché l’allarme non è sicuramente cessato, il nemico invisibile è subdolo, le notizie di quello che sta succedendo in altre ex province e regioni, adesso mentre sto scrivendo, sono molto pesanti, dobbiamo continuare nel rigoroso rispetto delle regole in vigore anche adesso.
Alla fine di questo nuovo anno 2021 sono convinto che ognuno di noi si guarderà dentro e scoprirà che può trasformare ciò che è stato davvero difficile, in un potenziale sprone per guardare avanti; con umiltà dobbiamo accettare che la vita ci insegna a vivere soprattutto attraverso le difficoltà.
Sono fermamente convinto che abbiamo iniziato un percorso virtuoso, ancora irto di difficoltà, ma che ci porterà fuori da questo straziante incubo reale.
Un abbraccio a tutti voi.
Dardago. In un freddo pomeriggio di gennaio ci troviamo in Canonica... oggi è previsto di fare un po’ di riordino nell’archivio de l’Artugna. Riviste, libri, foto, cartoline, disegni, bozzetti, fogli sparsi… sono da catalogare. Tra le mani capita una vecchia busta, una fra le tante. Stupore! Al suo interno un cartoncino con un messaggio: «Questo bollettino non s’ha da fare né oggi né mai». Lettere ritagliate e incollate disordinatamente compongono, in forma anonima, un monito... un avvertimento. In un istante, come una folgorazione, la mia mente mi porta a rivivere ‘quella sera’ d’estate di tanti, tanti anni fa... in Redazione...
lo scherzo al prete
1 5 2 / 2 0 2 1 E L I R P A 8 Tutto ebbe inizio nei primi mesi del 1972 quando a don Giovanni venne l’idea di fare un ‘bollettino parrocchiale’ per comunicare con l’intera Comunità, sia quella in paese che quella lontana. A tale scopo aveva riunito in Canonica un gruppo di giovani, quasi tutti poco più che ventenni. Il progetto incontrò subito pareri favorevoli e non mancarono proposte, suggerimenti. Era necessario però trovare un nome. C’era chi, più legato alla tradizione, proponeva ‘un qualcosa’ che richiamasse l’ex bollettino «la Voce del Pastore» e chi invece voleva cambiare. Trovato l’accordo, alla fine, si decise per… l’Artugna. Esce così il primo numero e, per Pasqua, giunge nelle case del paese. Le ‘piccole’ divergenze legate al nome sembravano ormai dimenticate… o quasi; nei mesi successivi, infatti, tra una riunione e l’altra, i giovani della Redazione decisero di organizzare uno scherzo al Pievano... ‘Quella sera’ di fine giugno è in corso una riunione: don Giovanni – dietro alla sua Olivetti – scrive, organizza il lavoro e ‘dirige’ i redattori in erba. «Don Giovanni, è arrivata posta per l’Artugna?» domanda qualcuno e altri chiedono: «Don Giovanni... non ha ancora controllato la posta?». Dopo ripetute insistenze, esce e ritorna con una busta, che apre davanti ai nostri occhi. Un improvviso silenzio cala nella stanza. Estrae il cartoncino, si fa serio e... sbianca! Lo scherzo dura solo pochi secondi e quel ‘singolare’ silenzio è interrotto da fragorose e liberatorie risate, immediatamente seguite da rassicuranti spiegazioni. Esemplare la sua reazione.
di Vittorio Janna Tavàn
Accettata di buon cuore la burla, torna con due bottiglie di vino per brindare al giornale. Un coro spontaneo: «Prosit! Lunga vita al ‘bollettino’ ... l’Artugna!». ’ Con il cartoncino tra le mani rileggo quelle parole ingiallite e ripenso alla spensieratezza, all’incoscienza che accompagnavano i giorni e il lavoro di quella ‘verde’ Redazione. Ripenso alla figura, alle idee e alla sensibilità del pievano-fondatore, che conservò questo cartoncino ‘nascondendolo’ in archivio. Ripenso a quel lontano brindisi che ancor oggi, dopo quasi 50 anni, mantiene tutta la sua forza benaugurante... una ‘benedizione’ .
Una stella fatta di carta
La ‘stella’ de l’Artugna è composta da 152 numeri, raccolti e rilegati in 8 volumi, più di 5.000 pagine per testimoniare l’identità, la vita e la storia delle nostre Comunità. Pagine che si aprono sul passato, ma che con perseveranza ci indicano i valori su cui puntare per guardare al futuro. Come dopo un lungo viaggio riviviamo i momenti salienti, così rileggiamo piano piano le sue pagine ovunque desiderino portarci. Ci auguriamo di trovare la forza per continuare... seguendo la luce della ‘stella’ .
l’Artugna, amica mia
di Adelaide Bastianello
tanti auguri per i tuoi 50 anni!
1972. Nasce l’Artugna come periodico della Comunità Dardaghese.
Due pilastri, due maestri, don Giovanni Perin ed il maestro Zanchet iniziarono a mettere le basi al primo numero insieme a due/tre giovani pieni di entusiasmo e di voglia di fare, con una vita davanti, tanti sogni e belle speranze come è giusto che sia in una gioventù sana.
Bello vedere tutto questo lungo percorso a ritroso nel tempo, a distanza di cinquant’anni; come i sogni di ognuno si siano evoluti, intrecciati negli anni insieme al periodico, come abbiano camminato insieme condividendo gioie e dolori, esperienze e soddisfazioni, nascite e morti.
In questo periodo, come ho già detto lungo ben cinquant’anni, l’Artugna è stata alimentata con amore e sentimento come si alimenta un matrimonio, come si coltiva un tenero albero appena piantato. Piano piano, numero dopo numero, anno dopo anno essa è cresciuta insieme ai suoi redattori che si alternavano nel sostenere questo giovane virgulto; col passare degli anni diventava sempre più forte, più importante e si faceva conoscere al di fuori del paese, del comune, della regione per la qualità dei suoi contenuti, per il suo stile e per il suo continuo rinnovamento.
Mano a mano che passavano gli anni l’Artugna cresceva e si fortificava insieme alla sua redazione, che è composta anche da persone sparse nel mondo, a Venezia, Trieste, Milano, Roma e all’estero. E come un bell’albero ha prodotto ottimi frutti che hanno lasciato segno nell’editoria locale, come non ricordare Sot ’l Crep, Crode, Vere no’ Vere, Pa’ tra la vos, le Pergamene, Comot e moltissime altre iniziative non meno belle e di valore. Nel complesso si possono contare ben 21 opere editoriali. Credo che neppure don Giovanni,
mentre metteva le basi del suo primo numero, 50 anni fa, avrebbe mai sognato che l’Artugna si sarebbe potuta evolvere così tanto e bene.
Avevo 24 anni alla sua «nascita» e non ho vissuto i suoi esordi, anch’io muovevo i miei primi passi nel mondo degli adulti, del lavoro, inoltre abitavo a Milano troppo lontano a quei tempi per esserci veramente, la tecnologia era ancora sconosciuta a noi, però ho recuperato alla grande negli anni successivi.
Essa mi è ha fatto compagnia in alcuni momenti difficili, mi ha fatto crescere, mi ha insegnato a pensare, a farmi domande, mi ha fatto conoscere meglio e apprezzare le mie radici e mi ha narrato tanto delle persone e delle famiglie che venivo a conoscere dai racconti ascoltati in famiglia.
L’Artugna festeggia 50 anni oggi, ma è come avesse più di un secolo. Le storie che racconta risalgono ai primi anni del ’900 e anche oltre con narrazioni, testimonianze, riferimenti e foto storiche. Se sfogli uno a uno tutti i fascicoli raccolti in più di dieci volumi ti accorgi di avere tra le mani una enciclopedia del costume, delle usanze, tradizioni e vita contadina nell’area Pedemontana del secolo scorso; troverai argomenti di ogni genere, dalla storia alla politica, dalla geografia locale alle documentazioni, dalla poesia alle comicità in dialetto locale. Insomma un bel passatempo ed un arricchimento culturale di tutto rispetto. Per un matrimonio 50 anni, le nozze d’oro, sono un bel punto d’arrivo... per un albero è ancora «gioventù» . L’augurio che mi viene spontaneo dal cuore è che continui così e che la nuova generazione la protegga e la annaffi con «acque» nuove, fresche e cristalline come quelle del nostro Cunath, che la accompagnino e le diano vita e vigore per tanti anni ancora.
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verso il 50° compleanno de l’Artugna
di Alves Bastianello Thisa
Da quando è uscito il primo numero de l’Artugna sono passati... anzi volati, quasi 50 anni!
Il «mio periodico quadrimestrale» compagno di vita, l’ho sempre apprezzato per i suoi contenuti. La sua, in questi anni, è sempre stata una presenza costante e puntuale capace di rendermi felice nel farmi conoscere fatti e avvenimenti di vita che, di stagione in stagione, hanno coinvolto le tre Comunità. Ma le sue pagine, al mio cuore, non hanno parlato solo di fatti di cronaca. Attraverso i suoi articoli, ho potuto sempre ‘dialogare’ di spiritualità, di storia, di folclore, d’arte e poesia. Ancor di più ho apprezzato l’impegno, e l’amore quasi materno, rivolto a custodire la parlata di Dardago; significativi e interessanti sono stati gli esempi e i racconti scritti nel nostro bel dialetto: la lingua di mio padre e di mia madre, e per i miei avi... approfondite ricerche di genealogia per la ricostruzione delle nostre famiglie. Notizie, storie, fatti di tempi passati? No, sempre attuali perché utili alla scoperta e valorizzazione delle radici. Sin dal suo esordio ho stimato il valore della sua informazione e del suo aggiornamento capace di tener viva, non la semplice curiosità, ma l’intima conoscenza delle cose. Pur non conoscendo molte persone del pae-
se, al di là di parenti e amici perché vivo lontana, costantemente e in modo intenso mi ha fatto provare l’intimo senso di appartenenza all’ambiente nativo dei miei genitori, dei miei nonni. E non è poco...
Cara l’Artugna, ora lascia che ti dia del tu, scusami la confidenza. In questi quasi 50 anni ci siamo conosciuti, abbiamo molto chiacchierato e mi hai fatto tanta compagnia, perciò ti auguro di non venir mai meno alla tua missione, non interrompere mai. Non stancarti, non sai quanto ti apprezzo specialmente quando rientro a Dardago, «il mio paese» , dove sono custoditi i ricordi beati dell’infanzia e quelli meno lieti che la vita mi ha riservato... ma sono sempre i «miei ricordi» .
Grazie. Continua la tua opera! Mantieni in vita il passato, descrivimi attentamente il presente, progetta e portami verso il futuro.
Ultimo, ma non per questo meno importante, dal profondo del mio cuore desidero ringraziare tutti i tuoi collaboratori, un plauso alla loro dedizione e alla loro costanza. Perché – non lo scordo – un giornale è fatto da uomini, con le loro capacità, con le loro idee, ma soprattutto... con le loro passioni. Ciao. Ti aspetto, non mancare...
cara l’Artugna
di Ida Zambon
grazie per i tanti anni di compagnia
Cara l’Artugna, una mattina, tra la veglia e il sonno, l’ora migliore in cui affiorano le idee giuste e spesso risolutive, mi si è accesa, come un flash, la voglia di scriverti una lettera, ora che entriamo nel 50° anno di pubblicazioni.
Sì, giusto due righe, per ringraziarti dei tanti anni in cui ci hai tenuto compagnia durante le tre festività più importanti: Natale, Pasqua, Ferragosto.
Dopo i pasti spesso abbondanti e con i nostri familiari, ti davamo una sfogliata per cogliere globalmente il contenuto e leggerti poi, nei momenti di maggior calma.
Credo che molti si siano ritrovati tra la tue pagine, magari solo tra gli annunci dei matrimoni, nascite, anniversari, licenze elementari e medie, diplomi, lauree e defunti, la colonna, ahimè, più lunga.
Hai accolto e condiviso articoli su aggiornamenti della comunità, conoscenze del territorio e dintorni, poesie e storie divertenti anche nel nostro dialetto per non dimenticarlo. Inserti preziosi sulla guerra con la testimonianza di persone locali che hanno attratto maggiormente la nostra attenzione e coinvolto nelle loro storie e avventure vissute.
Gli alberi genealogici, motivo di ricerca, aggregazione, discussione e domande: «Chi elo chel la?» per scoprire spesso di essere pure parenti anche se alla lontana, ma il ceppo è quello!
Noi ti aspettiamo, sfogliamo, leggiamo, senza renderci conto del lavoro e impegno costante che richiede il portarti avanti. Le due cifre (50) fan capire quanti anni siano trascorsi dalla tua prima edizione, incredibilmente volati, durante i quali sei sempre uscita puntualmente.
Solo il Covid-19 ti ha colpito e bloccato, mancando per la prima volta all’appuntamento della Pasqua 2020, causa il lockdown totale in vigore fino al 4 maggio.
Certo, anche tu invecchiando, come tutti, per continuare il tuo lungo cammino senza fine, avrai bisogno di più sostegno e collaborazione che ti auguro di trovare sempre nella nostra fantastica realtà locale che ci accomuna fin dalla radici. Eccellenti nozze d’oro!
Con affetto.
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di Alessandro Fontana
Io non credo in Dio per via di imposizione familiare oppure di costrizione scolastica o di ambientazione sociale; né credo per paura di ritorsioni divine o erroneamente credute sacre: io credo per convinzione mia propria, per conseguenza immediata dopo aver esaminato con attenzione tutto quanto mi è d’attorno e dentro me stesso, con la mente sgombra da ogni condizionamento.
Al tempo in cui a scuola s’imparavano a memoria le poesie dei grandi della nostra letteratura (che meraviglioso esercizio ginnico per il cervello!), tra altre notevoli eredità, imparammo l’aria composta dal poeta Pietro Metastasio (1698-1782) che qui riporto in parte:
Ovunque il guardo giro Eterno Dio, ti vedo, nell’opre tue ti ammiro ti riconosco in me.
Fu quell’ultimo verso che mi s’impiantò nella coscienza di me stesso e del mio essere nel Creato. Questo verso dice una verità: se ci guardiamo dentro, noi stessi riconosciamo, capiamo il mistero della nostra esistenza. Non è cosa semplice né facile ricercare la radice dell’essere ma, se ci pensiamo, tutta la nostra vita è una continua ricerca: dalle più banali e misere necessità fisiche alle più eccelse esigenze spirituali; sta a noi volere e decidere, tra quelle, le priorità cui dedicarci nei tempi e nei modi che ci sono possibili.
Alla fine di una lunga e definitiva ricerca, io non credo di essere conseguenza del caso (così come ogni altro essere umano, il mondo animale e vegetale e tutto ciò che muta e si riproduce) quindi di un’accidentale e sconsiderata miscela di elementi ingarbugliati da fattori fisici e chimici o da radiazioni cosmiche o da forze elettromagnetiche. Non credo di essere il frutto di materia e di forze non guidate, non creazione né generazione, quindi evento casuale, unico e quindi irripetibile, prodotto in un crogiolo senza volontà e senza respiro.
Non credo nemmeno alla evoluzione della specie (tesa a spiegare la presenza della nostra umanità sulla terra) e alle mai dimostrate teorie tese al sostegno di una idea affascinante ma balzana proprio perché senza fondamento e verifica scientifica. Questa dell’evoluzione è l’ipotesi di menti stanche, addormentate nella facile bambagia dell’auto-esaltazione di chi crede di aver trovato la formula perfetta per la spiegazione di ogni mistero.
Bisogna ammetterlo: è davvero facile trovare la soluzione dei ‘perché’ , che da sempre tormentano la mente umana, con la storiella dell’evoluzionismo ma riconosco che anche la convinzione di un Dio creatore potrebbe sembrare un facile appiglio cui, infatti, molti si aggrappano, spesso senza sapere perché.
E invece l’idea di Dio non è per nulla facile, anzi...
Mi chiedo infatti come sia possibile che la combinazione di alcuni elementi chimici possa generare un seme e che questo seme a sua volta generi una pianta e questa pianta generi dei frutti, ma non in continuità né sempre gli stessi nella forma o in ogni punto della
Un uomo piccolo di fronte alla maestà di una notte stellata, seduto su una spiaggia a rimuginare sull’Orsa Maggiore e sull’infinito. Tutta la scena è contenuta dai raggi di un Sole che tutto racchiude, anche la sedia dell’uomo che ha lasciato la sua comodità per cercare di capire. ’
Antico piatto smaltato dipinto da Alessandro Fontana.
terra o in tutto l’universo, e che quei frutti a loro volta producano ancora tanti altri semi a sé stessi uguali o quasi uguali e così via per miliardi di anni. E perché ciò avvenga v’è sempre l’indispensabile presenza dell’acqua senza cui nulla si manifesta e si mantiene sia fra i vegetali che fra gli animali, umanità compresa.
Continuo a chiedermi come sia possibile che assieme a quel seme in ogni punto della terra si riproduca la stessa sequenza ma producendo semi diversi, milioni di semi diversi che a loro volta producono miliardi di piante e miliardi di miliardi di frutti ancora e sempre diversi tra loro.
E mi chiedo ancora come sia pensabile, o soltanto immaginabile che uno spermatozoo vagante nello spazio abbia incontrato per caso un ovulo anch’esso in trasferta cosmica e da questo contatto si sia prodotto un cervello con un fegato, con un sistema nervoso, con mani, braccia, pelle, unghie, e poi sentimenti, desideri, emozioni, spinte a fare, a non fare, a correre, a costruire e tutto quanto. Non solo, ma questo prodotto sarà maschio o femmina, alto o basso, giallo, bianco, o nero, intelligente o sciocco, sano o malato, affamato o inappetente e solo sulla terra, per quanto ne sappiamo, pianeta del nostro sistema solare.
Qualcuno mi ha risposto obiettando che tutta la creazione della vita dipende dal DNA e io gli ho rimandato tutta la mia disponibilità anzi la convinzione a crederlo: come si potrebbe non esserne convinti? Ma questa convinzione null’altro fa che spostare il problema ancora a monte, quindi alla catena, alla spirale dei geni e dei cromosomi che vagano imperterriti nel nostro sangue e nelle nostre ossa accendendo ancora la stessa domanda: quale fabbro ha messo insieme quella catena? Quell’insieme di catene? E perché?
Per la nostra intelligenza umana è chiaro che il DNA non sia una generazione spontanea o, peggio, un frutto casuale, assolutamente inimmaginabile. Se così fosse oggi l’avremmo già prodotto, non modificato uno già esistente, ma prodotto ex novo. Ci sarebbero già i prodromi di tale possibilità. E invece... non c’è nulla nei laboratori dell’umanità che non sia già esistente sia a livelli complessi sia a livello semplice, primario, elementare. Ma la vita, quella che cerchiamo da sempre, non la troviamo in nessuna officina se non nel vasto campo delle nostre idee e dei nostri desideri. Anche Einstein ne era convinto e infatti ha confessato: «Io vorrei conoscere uno solo dei pensieri di Dio: tutto il resto è solo un dettaglio» . E penso che possiamo credere al più avanzato cervello mai prodotto sulla Terra.
Ma se noi conoscessimo uno solo, il più piccolo pensiero di Dio, saremmo Dio anche noi: e invece non lo siamo e mai lo saremo.
E poi ancora una considerazione: gli elementi chimici che ci sono qui sulla Terra sono gli stessi che si trovano in tutto l’Universo, sono gli stessi che lo compongono in ognuno dei trilioni di corpi solidi, liquidi e gassosi che riempiono l’infinito spazio che ci avvolge. Quegli elementi si possono trovare puri o combinati tra loro in infiniti modi e in quantità inimma-
ginabili: in effetti formano acqua, aria, acidi, basi, rocce e poi anche materiali organici: alberi, animali e infine anche uomini con i loro scheletri e i loro organi; perfino con la loro linfa e il loro sangue. Ma da dove viene il motore che anima, che muove, che da la vita a ognuno di quegli alberi, di quegli animali e di questi uomini? Da dove discende quella spinta che c’è fino a un momento prima che ci venga tolta? Non basta che tutti quegli elementi e le loro combinazioni stiano insieme nelle giuste quantità e nelle giuste condizioni fisiche: qualcosa le deve animare, le deve tenere in «vita» .
Qualche giorno fa, in una raccogliticcia chiacchierata di persone che mai avevo incontrato prima, la discussione è caduta sull’esistenza di Dio e sul ‘credere’ o ‘non credere’ .
Uno dei presenti mi fa: «Io da anni sono un genetista. Io non credo. Da anni studio i geni mentre Lei forse non sa neanche cosa siano. » Io gli ho risposto con la massima umiltà possibile:
«È vero, io non lo so. Ma il giorno in cui lei mi porterà il primo gene creato da lei o da chiunque altro io prenderò in considerazione la sua alternativa. In attesa, spero che il suo ‘non credere’ le dia pace, soddisfazione e la certezza di essere nel giusto» .
«L’enciclica di Papa Francesco, Laudato si’ , sulla cura della casa comune»
di Silvano Scarpat
disegnare
il futuro
PARTE PRIMA
1 5 2 / 2 0 2 1 E L I R P A 14 Sorprendentemente la Chiesa cattolica con l’enciclica di Papa Francesco Laudato si’ (24 maggio 2015) ha fatto uno strepitoso balzo in avanti, ha spiazzato tutti. Le basi dell’enciclica sono il pensiero antico dei Padri della Chiesa, di San Benedetto e San Francesco, di San Tommaso, e quello recente di Romano Guardini, teologo italo-tedesco (1885-1968) e di Papa Benedetto e le dichiarazioni accorate dei vescovi del sud del mondo.
La traccia è il Cantico delle creature di San Francesco (1182-1226), scritto verso la fine della sua vita nella lingua del popolo.
«Laudato si’ , mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba».
Quel «per» significa che «la bontà del Creatore è iscritta, si ritrova nella terra, nel sole, la luna e le stelle e nelle creature tutte che sono testimonianza vivente dello splendore di Dio» (Rocco Montano, Cultura e letteratura). «L’amore di Dio è la ragione fondamentale di tutto il creato» (Laudato si’ 77).
«Papa Benedetto ha ricordato che il libro della natura è uno e indivisibile e include l’ambiente, la vita, la sessualità, la famiglia... Il degrado della natura è siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell’etica, della bontà, della fede, dell’onestà, ed è arrivato il momento di riconoscere che questa allegra superficialità ci è servita a poco» (229).
Ho avuto il privilegio di poter insegnare per quarant’anni, religione, alle medie e poi alle superiori. Arrivavo a scuola spesso in bicicletta, un’ora di strada o più, all’andata e al ritorno, con ogni tempo. L’ecologia era la parte del programma che suscitava
strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana. Le ferite causate all’ambiente naturale e a quello sociale tutte sono causate in fondo dal medesimo male, cioè dall’idea che non esistano verità indiscutibili che guidino la nostra vita» (6), dal relativismo. Papa Francesco, alla fine dell’enciclica riprende lo stesso pensiero: «Già troppo a lungo maggior interesse nei ragazzi.
«L’insegnante deve essere un po’ profeta: intuire negli occhi dei ragazzi le cose che essi vedranno chiare domani» (don Milani).
Insieme abbiamo seminato e piantato centinaia di alberi, anche quelli che attorniano l’attuale sede del Majorana di via Colvera a Pordenone. Per le gite preferivamo la montagna; quando era possibile, preparavamo noi il cibo e tutto il resto. Ci si spostava con i mezzi pubblici, a piedi o in bicicletta.
Il mio più grande desiderio è che i ragazzi abbiano un’adolescenza e giovinezza spensierate. Per questo, quanto la Chiesa Cattolica insegna riguardo alla sessualità è una grande legge di libertà e di rispetto. La castità e il pudore custodiscono le sorgenti della vita.
Rappresentanti del popolo Mapuche (indiani del sud America, tra Cile e Argentina, che resistono all’esproprio della terra e delle acque), con cui eravamo in contatto e che vennero più volte a farci visita nei loro splendidi costumi, parlando delle usanze ancestrali del loro popolo dicevano le stesse cose. Ci servono i riti: il fidanzamento, il matrimonio.
Occorre ritrovare la centralità della Domenica, vestirsi a festa e stringersi attorno ai ragazzi per sostenerli e trasmettere loro le cose più belle.
Venendo a far catechismo a Budoia, sono rimasto colpito dalla bellezza dei paesi e delle case, dall’intreccio armonico delle vie, dal passaggio lieve dal centro abitato alla campagna, dal salire incessante da un paese all’altro verso la sorgente, dal farsi delle colline e della montagna sempre più vicine, come protezione e corona.
Molte case hanno mantenuto l’architettura tradizionale, splendida nella sua semplicità, il sasso e il legno abbinati come in natura, gli archi in pietra e i cortili interni, di ciottoli e d’erba. Mentre «più l’uomo si mette a disporre di tutta la natura, più se ne distacca e si rinchiude in un mondo lunare di asfalto e di calcestruzzo» (H. De Lubac, Il dramma dell’umanesimo ateo).
le nuove generazioni ‘fanno memoria’
DA BUDOIA A BUCHENWALD
per Angelo, un viaggio senza ritorno
una Pietra d’Inciampo lo riporta alla memoria della Comunità
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a cura di Vittorina Carlon
«Una persona viene dimenticata soltanto quando viene dimenticato il suo nome» (da un passo del Talmud, uno dei libri sacri dell’ebraismo).
Non è così per il nostro concittadino Angelo Sanson, catturato, deportato ed assassinato nel lager di Buchenwald, nel 1944, perché le nuove generazioni si sono impegnate a «fare memoria» . Alessia Sarri, Irma Barbieri e Tommaso Casale, studentesse e studente del liceo pordenonese «LeopardiMajorana» , hanno realizzato, a ricordo del sacrificio del giovane, la posa della Pietra d’Inciampo avvenuta il 23 gennaio nei pressi della casa paterna in via Capitan Maso.
L’iniziativa rientra nel progetto di ricerca e di realizzazione di materiali finalizzati alla posa delle Pietre, ed è unicum del genere da parte di una scuola. Al piano di lavoro, sostenuto fortemente dalle dirigenti, Teresa Tassan Viol e Rossana Viola, e gestito dalle professoresse Susanna Corelli e Silvia Pettarin, hanno collaborato le amministrazioni comunali, l’ANPI di Pordenone, il Circolo della Stampa...; per l’amministrazione comunale di Budoia l’iniziativa è stata gestita dalla consigliera con delega alla Cultura, Anna Ulian.
Aderisce al progetto europeo, ideato dall’artista berlinese Gunter Demnig, per mantenere viva la Memoria delle vittime dell’ideologia nazi-fascista che non hanno fatto ritorno alle loro case, installando nel luogo simbolo della vita quotidiana, la loro abitazione, la Pietra d’Inciampo: un inciampo non fisico bensì emotivo e mentale, che invita il passante a riflettere su quanto accaduto in quel luogo e in quella data, per non dimenticare, per lasciare un pensiero e per costruire un mondo privo di odio e di violenza. *
A Buchenwald, nella regione della Turingia in Germania Orientale, in un bosco di faggi come il toponimo lascia intendere, nel 1937 fu eretto il più grande complesso di concentramento nazista che prende il nome dall’omonima località, nato con lo scopo di detenere e
La ‘Pietra d’Inciampo’ , collocata in un angolo del luogo in cui sorgeva l’abitazione di Angelo. Alla cerimonia erano presenti anche le classi quinte della scuola di Budoia. Foto in alto. Angelo Sanson. A destra. Lapide della famiglia Sanson, nel cimitero di Budoia.