l'Artugna 150 - Agosto 202

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ANNO XLIX / AGOSTO 2020 / NUMERO 149-150 PERIODICO DELLA COMUNITÀ DI DARDAGO / BUDOIA / SANTA LUCIA


L’EDI TO RIALE di Roberto Zambon

dove eravamo rimasti? Cari lettori, è passato molto tempo dall’ultima volta che l’Artugna è entrata nelle vostre case. Ben otto mesi! A Pasqua, il Coronavirus ci ha impedito di pubblicarla. Neanche il terremoto del maggio 1976 aveva fermato l’uscita del nostro 100 Periodico. C’è riuscito un piccolo essere, subdolo ed invisibile, un virus che ci ha costretti a cambiare modo di vivere. Sembrava che il morbo potesse essere «imprigionato» solo in qualche zona, ma ben presto si capì che tutti eravamo in grande pericolo: l’epidemia si era trasformata in una terribile pandemia diffusa in gran parte del pianeta. Da noi, tra la seconda metà di febbraio e la prima decade di marzo, vennero applicati alcuni

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in Italia e più di 600 mila in tutto il mondo. Non parliamo degli immani danni all’economia; ma a questi, pian piano e con tanta fatica si potrà porre rimedio! Molte attività, molte manifestazioni sono state cancellate. Nel nostro piccolo, non ci saranno quest’anno il Dardagosto e la Festa dei Funghi. Tale scenario può facilmente indurre alla perdita della fiducia, alla disperazione: ma noi come cristiani, come uomini e donne razionali non dobbiamo cedere alla paura, non dobbiamo lasciare che

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provvedimenti miranti a frenare, se non proprio a bloccare, la diffusione del virus. Provvedimenti sempre più restrittivi: chiuse le scuole, chiusi i ristoranti e i bar, perfino i cimiteri. Vennero proibiti gli assembramenti, le uscite dal territorio comunale senza validi motivi... Anche le Messe, i funerali e le tutte le funzioni religiose (con presenza di fedeli) vennero interdette. Neanche in tempo di guerra furono emanati provvedimenti così pesanti, anche se giusti e necessari. E in questo clima abbiamo celebrato la Pasqua! Tra maggio e giugno, grazie al rallentamento del contagio, vennero prima attenuate e poi cancellate molte misure. Fino ad oggi, il bilancio nel nostro Comune è stato senz’altro positivo poiché non abbiamo registrato alcun contagio. Molti nostri lettori, però, abitanti nelle regioni più colpite d’Italia, sono stati più sfortunati. Alcuni, purtroppo, sono morti! Ad oggi, fine luglio, il bilancio è molto grave ed è destinato ancora a peggiorare. Quasi 36 mila morti

lei ci incateni e ci condizioni. #Tutto andrà bene# scrivevano i bambini nel disegno di un grande arcobaleno. Quando si vede l’arcobaleno la tempesta sta terminando: passerà anche questa pandemia, come tutte le tempeste. Incominciamo a vedere la luce in fondo al tunnel! Tanti sono i segnali della ripresa: anche la stampa di questo nuovo numero de l’Artugna, il 150 , vuol essere un segnale di fiducia e di speranza! Un’ulteriore tappa lungo il cammino incominciato nel lontano 1972.


Esci dalla tua terra e va...

LA LETTERA DEL PLEVÀN di don Maurizio Busetti

Così si è sentito dire il patriarca Abramo all’età di 75 anni. «Esci dalla tua terra dalla casa di tuo padre e vai nel paese che io t’indicherò. Farò di te una grande nazione». E Abramo parte all’avventura, ormai vecchio, con la moglie sterile oltre che anziana. E riceve in premio il figlio tanto agognato: Isacco. Anch’io, giunto all’età di 70 anni, ho sentito la stessa chiamata da parte del Signore. Certo a me il Signore non chiede di lasciare il Tigri e l’Eufrate per andare ad accamparmi in una terra completamente sconosciuta. Io dovrò passare il Livenza, il Piave, il Po e il Tevere ma trovo una Comunità affettuosa e gioiosa di accogliermi. Dove so di essere trattato bene e dove potrò svolgere compiti pastorali che ben si adattano alla mia indole. Certo non è facile lasciare la mia terra amata fin dall’infanzia dove ci sono i ricordi più belli, gli affetti più cari, la quasi totalità dei quali è ormai approdata all’altra sponda della vita. Le nostre belle chiese nelle quali ho svolto il mio servizio di liturgia e di preghiera e delle quali ho curato il decoro con l’attenzione e l’orgoglio di parroco. La chiesa di Dardago nella quale sono stato ordinato sacerdote il 30 luglio 1978, dove la serie dei miei antenati in oltre tre secoli hanno pregato, celebrato, gioito, sofferto, pianto. I tanti compaesani e parrocchiani che ho amato, stimato, servito e dai quali sono stato ricambiato con simpatia ed affetto, anche da coloro che non sempre hanno condiviso le mie scelte o miei atteggiamenti. I nostri cognomi che stanno via via estinguendosi con l’arrivo di gente nuova che non conosce le nostre tradizioni che, per la quasi totalità, non partecipa mai alla vita del paese, che resta tappata nel proprio guscio, nelle proprie attività e amicizie di fuori. Il nostro dialetto che, ormai, conosciamo e parliamo solo noi delle generazioni più attempate e che resterà solo un ricordo nel dizionario pubblicato qualche anno fa. E poi i nostri cimiteri dove riposano tanti parenti, amici, conoscenti, parrocchiani. Quello del mio paesello che custodisce tantissime persone conosciute, i miei affetti più cari e dove speravo che, quando avrebbe voluto il Signore, anche le mie ossa riposassero accanto a loro nell’attesa della risurrezione...

A questo punto la chiamata del Signore per la mia vita. «Esci dalla tua terra! Non è tempo di crogiolarti nei ricordi, nei rimpianti, nelle malinconie, nelle nostalgie alle quali il tuo animo è avvezzo. Inizia una nuova fase della tua vita, (penso ormai l’ultima, viste le tante primavere che incombono sulla mia groppa), hai ancora qualcosa da dare. Entra nel Santuario, lasciati abbracciare dall’Amore Misericordioso, mettiti sotto lo sguardo gioioso ed affettuoso di Madre Speranza, vivi con dei confratelli e renditi disponibile a quanti hanno ancora bisogno di te». E io ho risposto: «Eccomi, Signore, vengo a compiere la tua volontà». Saluto tutti voi con affetto. Vi ho voluto bene. Non sempre magari sono riuscito ad esaudire le attese di tutti. Ma ognuno è portato a fare alcune cose, altre no, ma ho cercato sempre di fare il mio dovere. Ringrazio tutti i miei collaboratori che con competenza, impegno e generosità mi hanno aiutato gratuitamente. Senza di loro sarebbe stato impossibile seguire tre parrocchie. Un grazie grande, grande, a don Vito Pegolo che si è sobbarcato l’impegno di sostituirmi per otto mesi e che continuerà ad essere il vostro pastore per un po’ di tempo ancora. Restiamo uniti nella preghiera, nell’amicizia e nell’affetto. Se verrete a trovarmi potrete godere della bellezza dei luoghi (la verde Umbria), della gustosità della cucina ma, soprattutto, della gioia spirituale particolare che trasmette il Santuario. Vi lascio come ricordo la frase molto bella e significativa che Madre Speranza ha lasciato ai suoi Figli: TODO POR AMOR (Tutto per Amore).

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www.parrocchie-artugna.blogspot.it


LA RUOTA DELLA VITA NASCITE Benvenuti! Abbiamo suonato le campane per l’arrivo di... Giuseppe Esposito di Luigi e di Lucia Zambon – Dardago Laura Ariet di Matthias e di Theresa – Monaco di Baviera IMPORTANTE Per ragioni legate alla normativa sulla privacy, non è più possibile avere dagli uffici comunali i dati relativi al movimento demografico del comune (nati, morti, matrimoni). Pertanto, i nominativi che appaiono su questa rubrica sono solo quelli che ci sono stati comunicati dagli interessati o da loro parenti, oppure di cui siamo venuti a conoscenza pubblicamente. Naturalmente l’elenco sarà incompleto. Ci scusiamo con i lettori. Chi desidera usufruire di questa rubrica è invitato a comunicare i dati almeno venti giorni prima dell’uscita del periodico.

LAUREE, DIPLOMI Complimenti! Licenza Media Inferiore Federico Bastianello, Federico Braido, Madhi Cancian, Virginia Cancian, Sara Chisu, Luca Ferrarelli, Thomas Foscarini, Alessandro Giust, Sabrina Marando, Madalina Mata, Adriano Sabahi, Lorenzo Tommasello, Anna Vago, Michael Ron Whitney, Marco Zambon Licenza Media Superiore Francesca Lacchin – Liceo Linguistico Alessia Pauletti – Liceo Linguistico Greta Zanolin – Liceo Linguistico Angelica Zuliani – Liceo Scienze Applicate Noemi Chiandotto – Liceo Scienze Applicate Laura Baracchini – Liceo Turistico Maria Dorigo – Liceo Scienze Umane Bianca Zimmer – Liceo Scienze Umane Alessandro Zaccaria – ISIS A. Malignani Sonia Alfieri – Liceo Artistico Alessia Pellegrini – IIS F. Flora Gabriele Cavallari – IIS E. Torricelli David Andreazza – IIS E. Torricelli Gabriele Pujatti – Liceo Scientifico – Chieri (Torino) Marco Turri – Liceo Scientifico Fracastoro – Verona Laurea Lucia Marcandella – Laurea magistrale in filologia e letteratura italiana – Università Ca’ Foscari – Venezia Francesca Pujatti – Master of International Business – Melbourne (Australia) Giulia Ianna – Laurea triennale in Biotecnologie – Università di Udine Francesco Turri – Laurea magistrale in Management of Creative Business Processes – Copenhagen Business School, Copenhagen Omar Kaol – Laurea triennale in Ingegneria Aerospaziale – Università di Padova

DEFUNTI

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Riposano nella pace di Cristo. Condoglianze ai famigliari di…

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Andrea Lachin di anni 83 – Santa Lucia Giovanni Andreazza di anni 75 – Budoia Franca Pignat di anni 73 – Budoia Adelina Chiaradia di anni 67 – Santa Lucia Nadia Carlon di anni 70 – Budoia Renzo Carlon di anni 79 – Budoia Annetta Aramu di anni 91– Budoia Angelo Fort di anni 89 – Santa Lucia Rosanna Biritteri di anni 87 – Budoia Silvio Dedor di anni 72 – Budoia Ruggero Zambon di anni 90 – Berna (Svizzera) Antonio Zanolin di anni 67– Range (Polcenigo) Franca Bocus di anni 89 – Milano Verginia Signora di anni 98 – Erba (Como) Isabella Bravin di anni 61 – Castello d’Aviano Mirella Zambon Sclofa di anni 83 – Trieste Ernesta Calderan di anni 98 – Castello d’Aviano Giovanna Zambon Petol di anni 102 – Monza Norina Burigana di anni 90 – Budoia – Verona

Gino Gasparini di anni 79 – Mirano Antonietta Del Maschio di anni 88 – Budoia Bianca Zambon Signora di anni 86 – Budoia Anna (Rina) Carlon di anni 89 – Budoia Renata Angelin di anni 83 – Budoia – Vallenoncello Robert Raoul Cotton di anni 76 – Dardago Giancarlo Angelin di anni 81 – Milano Claudia Zanin Vettor di anni 68 – Milano Nando Zambon Rosit di anni 51 – Londra Daniela Zambon Petol di anni 71 – Parma Emanuela Besa di anni 64 – Santa Lucia Umberto Saccon di anni 87 – Trento Angela Pizzinato di anni 83 – Milano Iole Zambon Pinàl di anni 70 – Milano Teresa Zambon di anni 91 – Aviano Giorgio Igne di anni 85 – Sacile Giorgio Zoccoletto di anni 82 – Mestre (Venezia)


L’ARTUGNA PERIODICO DELLA COMUNITÀ DI DARDAGO BUDOIA / SANTA LUCIA BUDOIA

DARDAGO

SANTA LUCIA

IN QUESTO NU MERO

149-150 ⁄ ANNO XLIX / AGOSTO 2020

www

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@ direzione.artugna@gmail.com

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Direzione, Redazione, Amministrazione Via della Chiesa, 1 · 33070 Dardago [Pn] Conto Corrente Postale 11716594 IBAN IT54Y0533665090000030011728 dall’estero aggiungere il codice BIC/SWIFT BPPNIT2P037 Direttore responsabile Roberto Zambon · cell. 348.8293208 Per la redazione Vittorina Carlon Impaginazione Vittorio Janna Contributi fotografici Archivio de l’Artugna, Ezio Burelli, Leontina Busetti, Vittorio Janna, Luigi Modolo, Francesca Romana Zambon Ed inoltre hanno collaborato Francesca Fort, Francesca Janna, Espedito Zambon, Flavio Zambon Stampa Sincromia · Roveredo in Piano/Pn

2 Editoriale 3 La lettera del Plevàn di don Maurizio Busetti

32 Me agna Nuta di Fernando Del Maschio

4 La ruota della vita

33 Al foĉ salvàre di Flavio Zambon Tarabìn Modola

6 #SPECIALE COVID-19

34 ’n te la vetrina

7 Budoia nel tempo del ‘Corona’ di Alessandro Fontana

36 Lasciano un grande vuoto...

8 Dalla sala consiliare lauree in videoconferenza di Lucia Marcandella

44 L’inno alla vita

9 Comune di Budoia, Covid-19 free di Ivo Angelin

46 Associazione Amici di Laura

10 Essere medico a Milano ai tempi del Covid-19 di Simona Ianna Tavàn

40 La Cronaca 45 I ne à scrit... Il bilancio 47 Programma religioso

12 Mascherina e... musiàl di Adelaide Bastianello 14 Il tempo della didattica a distanza Come papà, come insegnante di Fabio Zambon «Maestro, posso tenerti la mano?» di Pietro Bocus 16 Sani in un mondo malato di Mario Povoledo 19 Santuario di Collevalenza a cura di padre Ireneo Martìn 22 L’aga de la Salera di Fabrizio Fucile

Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione di qualsiasi parte del periodico, foto incluse, senza il consenso scritto della redazione, degli autori e dei proprietari del materiale iconografico.

25 Si chiude una pagina di fede di Mario Povoledo 26 Graffito a Dardago di Dunio Piccolin 28 Sandro & Vanni in «pension» di Pietro Ianna 29 Casa Licata, un gioiello di architettura moderna di Leontina Busetti 30 Con Madre Speranza... in pellegrinaggio a Collevalenza di padre Ireneo Martìn

IN COPERTINA #Covid-19. Una visione di speranza e di apertura alla vita. Libera interpretazione grafica del messaggio «Tutto andrà bene». Cercare di contenere il dilagare del Coronavirus con un musiàl, ‘museruola’ un tempo usata per i bovini, e far spuntare attraverso le maglie metalliche un grande fiore, quale simbolo di vita. [foto di Francesca Romana Zambon]

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Autorizzazione del Tribunale di Pordenone n. 89 del 13 aprile 1973 Spedizione in abbonamento postale. Art. 2, comma 20, lettera C, legge n. 662/96. Filiale di Pordenone.

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#SPECIALE COVID-19 AGOSTO 2020 / 149-150

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Abbiamo vissuto – speriamo che la coniugazione al passato sia corretta – mesi che ricorderemo a lungo, per il silenzio che ci circondava, per le piazze deserte, per l’impossibilità dei rapporti personali, per i bollettini giornalieri sul numero delle persone contagiate, guarite o decedute. Di fronte alla fragilità personale e collettiva, di fronte ad un nemico invisibile ed impalpabile ci sentiamo indifesi, esposti e smarriti. Sarebbe bello che tutto ciò ci aiutasse a capire che chi vive accanto a noi ha le nostre stesse paure e ci facesse sentire come nostri i problemi dell’altro.


12 MARZO 2020

Budoia nel tempo del ‘Corona’ Può sembrare incredibile ma pare sia necessario il più potente bombardamento mediatico mai ascoltato (e letto) per convincere noi italiani a lavarci le mani! Infatti, si tratta soltanto di queste semplici precauzioni per battere il virus: lavarsi, tenersi a breve distanza dagli altri anziché abbracciarli, baciarli e stringere le mani, fare a meno del bar, del cinema e delle partite di calcio. E non per sempre ma, se fossimo tutti sintonizzati con chi ci guida, soltanto per qualche tempo. Questo virus assassino infatti non ci cerca, siamo proprio noi che ci offriamo al suo attacco come vittime volontarie. Muovendoci scriteriatamente noi lo aiutiamo a propagarsi, diventiamo i suoi distributori e non saranno le parole de-

gli scettici, degli insipienti e dei presuntuosi/spocchiosi a fermarlo: lui ha bisogno proprio dello scetticismo e dell’ignoranza per spazzarci via dal nostro pianeta. Siamo infatti in piena ‘pandemia’ e se qualcuno non ha anco-

ra sentito questa parola, sappia che significa: «tutti morti»… ovviamente se noi tutti assieme non ci coalizzassimo contro il male con l’unico mezzo che abbiamo a disposizione: l’intelligenza che Dio ci ha dato. Budoia oggi è un luogo spento e questo è un buon segno: camminare per le sue strade significa non incontrare altri che qualcuno con il cane o in ordinata/paziente fila davanti alla farmacia, forse vedere una o due automobili che passano di fretta. Il passeggiare mi porta il suono delle campane e il sibilo di qualche aereo che si esercita nell’aria tersa e foriera di un’incipiente primavera. I bar sono chiusi e non si vedono quegli assidui clienti su cui potevi regolare l’orologio per la precisione dell’orario in cui, giungendovi a piedi, in bicicletta o in motorino – se non addirittura in macchina – venivano a occupare tavolini, sgabelli e sedie per bere qualcosa o anche per una partitina a scopa. Le scuole sono chiuse e mi mancano le immancabili grida, i richiami degli scolari all’uscita o a giocare nel cortile, all’aria aperta. Stamattina, parlando con il gestore dell’ultimo bar che stava chiudendo come prescritto dalle disposizioni difensive appena emanate, ci siamo detti che stiamo vivendo una strana specie di guerra, magari senza gli orribili disagi che una vera guerra comporta e ha comportato in passato, ma con morti e feriti in abbondanza e di cui >>

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di Alessandro Fontana

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>> ne conteremo ancora chissà quanti

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e chissà per quanto tempo. E poi, la stranezza di questa guerra sta anche nel non riuscire a vedere il nemico, come accade e accadeva nelle guerre ‘normali’ (una guerra e i suoi morti non sono mai ‘normali’!). Il Coronavirus non si vede e la poca gente cammina guardandosi attorno con sospetto, sempre increduli, come a dirsi di continuo: «Ma dov’è? Ma come fa a colpirmi? Come faccio io a essere causa del male di altri?». Camminavo assorto nei miei pensieri per una via del tutto sguarnita di uomini e mezzi quando dai vetri di alcune case mi sono giunti suoni attutiti di persone che parlavano tra loro e, più avanti, la musica della televisione o della radio e ancora voci. Mi sono immaginato che oggi è questo che succede nella maggior parte, forse in tutte le case di Budoia e, lo spero tanto, in quelle di tutta l’Italia. Nella mia casa è successa invece una cosa strana: in primavera abbiamo sempre lottato contro le formiche che in file ordinate assaltano la nostra cucina protesa sul giardino, entrandovi chissà da quale buco che non ho ancora trovato. Anche quest’anno, una diecina di giorni fa, i loro raid sono iniziati e io ha cominciato ad applicare qualche metodo di difesa con scarsissimo successo. Poi, da due o tre giorni le formiche sono sparite, senza una ragione apparente e mi sono detto: ma vuoi vedere che, contrariamente a certi connazionali di poca intelligenza, gli animaletti hanno obbedito alle prescrizioni del Governo, dei Prefetti, dei Sindaci e dei Sanitari iniziando dalla mia cucina, rinchiudendosi nelle loro tane? Non lo saprò mai, purtroppo, ma mi sta bene così.

Un giovane volontario della Protezione Civile consegna a domicilio le mascherine protettive.

dalla sala consiliare lauree in videoconferenza A causa dei recenti provvedimenti all’emergenza Coronavirus ho dovuto discutere la tesi a distanza. Ho provato a domandare al sindaco Ivo Angelin se avessi potuto usufruire della sala consiliare. Il sindaco mi ha dato piena disponibilità e, nonostante il poco preavviso, abbiamo organizzato il tutto con anche una prova della connessione il sabato prima. Lunedì 9 marzo ho conseguito la laurea magistrale in Filologia e Letteratura italiana discutendo la tesi, Il romanzo storico nella narrativa di Umberto Eco,

Che emozione! Al termine della discussione il sindaco Ivo Angelin, a nome del Comune, mi omaggia di un mazzo di rose rosse.


#SPECIALE COVID-19

di Ivo Angelin

Le amministrazioni comunali hanno avuto un ruolo determinante nella battaglia per affrontare la pandemia che ha colpito l’Italia ed il mondo intero. Abbiamo chiesto al Sindaco di illustrare l’attività dell’Amministrazione Comunale da lui diretta in questo difficile momento.

Comune di Budoia Covid-19 free Fin dall’inizio dell’emergenza Covid-19 l’Amministrazione Comunale ha scelto la linea della trasparenza, la linea della condivisione delle responsabilità, ha scelto di non minimizzare e di non nascondere la realtà. Abbiamo «tediato» i cittadini con informative continue, utilizzando tutti i canali dei social e anche con avvisi cartacei. Siamo intervenuti fin da subito con la distribuzione dei dispositivi protettivi, con l’intervento massiccio della Protezione Civile in costante coordinamento con i Carabinieri. Abbiamo cercato di assicurare in ogni caso tutte le attività con-

nesse, accessorie, funzionali a quelle consentite ed essenziali. Abbiamo rallentato, ma il nostro Comune non si è mai fermato. Nei mesi scorsi, sono state prese decisioni in alcuni casi anche più restrittive di quelle imposte dal Governo e dalla Regione, ricevendo da qualcuno critiche, alcune volte anche irrispettose. Il nostro obiettivo primario è stato – e lo è anche adesso – quello di salvaguardare la salute della nostra Comunità. Abbiamo affrontato insieme mesi molto duri di isolamento sociale per poter contenere il più possibile una eventuale diffusione della pandemia. Finora i risultati ci >>

Omar Kaol in videoconferenza dalla sala consiliare (utilizzando Google Hangouts Meet) con la commissione riunita a Venezia. La discussione ha avuto inizio con una mia presentazione del quadro complessivo della tesi, alla quale sono seguite tre domande da relatore e correlatori. La videoconferenza si è conclusa con la proclamazione e i complimenti della commissione. Avendo provato in triennale la discussione in presenza ho notato delle differenze. In primo luogo, discutendo a distanza, non si ha l’agitazione di trovarsi seduti davanti a una commissione e ho affrontato

l’esame di laurea con più tranquillità. Una seconda differenza riguarda la comunicazione con la commissione che è più frammentaria: ci si trova a sostenere un dialogo fatto di botta e risposta, senza possibilità di intervenire o interrompere i docenti e di creare una conversazione più fluente. Si è costretti ad aspettare che un interlocutore finisca di parlare per poter controbattere. Sostenendo l’esame conclusivo nella sala consiliare, hanno potuto ascoltarmi sia i parenti che gli amici e anche il sindaco che al termine della discussione mi ha fatto i complimenti. LUCIA MARCANDELLA

Al momento di chiudere questo numero, in redazione ci è giunta notizia che anche Omar Kaol ha discusso – tramite videoconferenza dalla sala consiliare – la laurea triennale in Ingegneria Aerospaziale con la commissione dell’Università di Padova.


Notevole è stato il lavoro della Protezione Civile durante la fase acuta della pandemia: qui durante la fase della preparazione per la consegna a domicilio delle mascherine protettive.

hanno premiato, grazie alla condivisione delle responsabilità, grazie alla partecipazione attiva di tutti, grazie all’attività dell’Amministrazione Comunale, siamo rimasti finora un Comune senza contagiati, un Comune Covid-19 FREE. L’allarme non è sicuramente cessato, il nemico invisibile è subdolo, le notizie di quello che sta succedendo in altri Stati sono drammatiche: non possiamo calare l’attenzione e dobbiamo continuare nel rispetto delle regole in vigore, anche adesso, perché so-

lo rispettando le regole dell’utilizzo delle mascherine e del distanziamento fisico riusciremo a tutelare noi stessi e a tutelare le persone che amiamo. Se possiamo dire di aver superato l’emergenza sanitaria acuta, non possiamo dire altrettanto dell’emergenza economica che si sta presentando nel nostro Paese in tutta la sua criticità, superiore a tanti altri Paesi Europei. Nel nostro Comune, anche sui temi sociali ed economici, l’Amministrazione Comunale ha cer-

cato di non dimenticare nessuno. Abbiamo deliberato una serie di iniziative importanti di sostegno sociale e di aiuti alle attività economiche che riguardano in sintesi esenzioni rate trasporto scolastico e pre/post scuola, buoni spesa alimentari, punti verdi, cantieri lavoro, esenzione TOSAP, contributi per pubblici esercizi, esenzioni TARI per utenze non domestiche, abbassamento aliquote IMU per immobili CAT D. Adesso dobbiamo guardare al futuro: stiamo ripartendo, magari lentamente, ma lavorando insieme come fatto finora sono convinto che ce la faremo. L’Amministrazione Comunale ha un obiettivo primario al quale sta dando la massima priorità ed è quello della riapertura in sicurezza a settembre delle Scuole. Credo che il raggiungimento di questo obiettivo sarà il più bel messaggio di speranza per tutti noi. Sono i bambini, sono i giovani il futuro e la scuola e l’istruzione sono pilastri fondamentali di una Società Civile. Un abbraccio a tutti.

essere medico a Milano ai tempi del Covid-19 AGOSTO 2020 / 149-150

di Simona Ianna Tavàn

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Sono Simona, vivo a Milano, da 26 anni svolgo la professione di medico palliativista prendendomi cura delle persone affette da una patologia in fase terminale di malattia e vorrei raccontarvi il mio lavoro ai tempi del Covid-19. L’arrivo del Coronavirus ha sicuramente sconvolto le abitudini

di tutti noi, costringendoci a vivere le nostre vite in modo diverso. Sì perché «la vita cambia in fretta, la vita cambia in un istante. Una sera ti metti a tavola e la vita che conoscevi è finita» come scrive Joan Didion. Ma noi umani abbiamo un grande spirito di adattamento, la


famosa «resilienza»... e così travolti dal lockdown la vita «casalinga», lo smart-working e la scuola attraverso le videolezioni sono diventati la normalità. Ma non per me perché non si può fare il medico in smart-working! Perciò la mia vita «lavorativa» è proseguita fuori casa nonostante la pandemia. Uscire al mattino, in macchina (era raccomandato recarsi al lavoro con mezzi propri evitando quelli pubblici) e attraversare le strade di Milano deserte, come accade nemmeno ad agosto, è stato surreale. Gli unici rumori che interrompevano il mio viaggio erano le sirene costanti delle autoambulanze. Giunta in Hospice, oltre al monitoraggio quotidiano della temperatura e il rito di igienizzare le mani, gli unici operatori presenti erano quelli «indispensabili» per la cura dei pazienti, il che vuol dire nessun volontario, niente pet-terapy, niente musico terapia. E infine, in un posto come l’Hospice dove il contatto umano è fondamentale quanto le terapie farmacologiche (se non addirittura più importante) sono comparse le divise e le barriere di protezione individuale. Le mascherine, come «veli», coprivano e continuano a coprire la maggior parte dei nostri volti, nascondendo quei sorrisi così importanti per permettere ai pazienti di affrontare la giornata. Sappiamo tutti quanto l’espressione del volto sia spesso più loquace delle parole stesse, ma in questo periodo solo agli occhi è permesso di sorridere. E poi le mani, sempre coperte dai guanti; mai la possibilità di un contatto, mai il calore di un abbraccio o la tenerezza di una carezza a mani nude. Vietato per

la sicurezza di tutti, in primis del paziente. Infine, ma non per importanza, sono cambiate le divise: una polo colorata per identificare gli operatori; blu per i medici, azzurra per gli infermieri, verde per gli Oss, gialla per la psicologa e rossa per la caposala. Una polo per farci riconoscere perché tra mascherine, guanti e capelli raccolti per i pazienti non è certo facile comprendere chi ha di fronte... E non è facile nemmeno per il loro familiari. Sì... i familiari che in Hospice anche nei momenti più bui e tragici di questa pandemia, hanno avuto il permesso di stare accanto al loro caro. Un solo familiare, solo uno per tutta la durata dell’assistenza. Può sembrare poco, lo comprendo ma rispetto ai numerosissimi malati di Covid-19 che sono deceduti da soli negli Ospedali Lombardi, posso dire che i miei pazienti nel dramma del momento e della malattia sono stati fortunati. Accanto a loro c’è sempre stato un familiare, un volto amato, una voce del cuore. E anche io sono stata molto fortunata come medico rispetto ai miei colleghi che hanno lavorato nelle terapie intensive, che hanno fatto turni massacranti sia fisicamente che emotivamente, che sono tornati a casa con il volto segnato dai DPI. Quei sanitari spesso diventati il simbolo di questa pandemia. Sono stata fortunata sia perché già mentalmente ed emotivamente preparata ad affrontare la morte quotidianamente sia anche semplicemente perché non mi sono ammalata. Non nego di aver avuto paura, ma non tanto per me che ho scel- >>

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#SPECIALE COVID-19

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to una professione potenzialmente «a rischio», quanto per le persone che amo. L’idea che si potessero ammalare o che potessi io stessa essere fonte di contagio mi ha portato a limitare i contatti interpersonali anche quando le direttive regionali hanno iniziato ad allentare le maglie. Questo perché, anche se in questo periodo il Covid-19 è meno

aggressivo, continua a vivere in mezzo a noi. Quindi continuo a mantenere alta la guardia e a suggerire la massima attenzione e protezione a tutti, perché quando con la fine dell’estate tutti i virus influenzali e parainfluenzali torneranno (perché «stagionali»), il Coronavirus (che nel frattempo è sempre stato con noi) dovrà trovarci pronti.

Ma adesso è giusto godere del sole e dell’estate... sempre nel distanziamento sociale e nei sorrisi attraverso le mascherine ;) Buona estate a tutti!

Come un tempo, durante il lavoro nei campi, si applicava agli animali il musiàl, piccola gabbia metallica, per evitare di compromettere il raccolto,

mascherina e... musiàl

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così noi oggi, per analogia, indossiamo una moderna mascherina per cercare di evitare il possibile contagio.

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di Adelaide Bastianello Milano: finalmente il 18 maggio, dopo tre mesi di segregazione in casa possiamo uscire. Per prima cosa, mamma ed io ci riprendiamo con gioia una «sana consuetudine» che ci manca da tanto a causa del periodo di chiusura: la «pausa caffè» del mattino, in pasticceria. Quindi con mascherina e gel per la sanificazione delle mani, ci godiamo, un po’ stralunate, la ripresa del contatto con il mondo meneghino.

Quello che ci colpisce alla prima uscita è il comportamento della gente. Guardinga, diffidente, le persone scendono dal marciapiede per non passarti vicino, tutti con mascherina ben posta sul viso. Si evitano i saluti, se non qualche accenno da lontano. In ogni caso riusciamo a conquistare un tavolino in un angolo con la visione sulla strada ed osserviamo... Notiamo che sono tutti molto attenti a proteggersi bocca e naso, a salvaguardare la propria sa-


#SPECIALE COVID-19

lute. Mentre assaporiamo il caffè, chiacchieriamo scambiandoci impressioni, pensieri, ricordi e, nel vedere tutte quelle persone camminare a testa bassa con la mascherina sul viso, la conversazione presto s’incanala su ‘ricordo che una volta...’. Mamma, come in un film già visto, per analogia rivede e mi descrive cuan che la dheva co’ so pare Toni, nono Gigi e un per de vacje, dho a le Grave, pa’ tajà erba. In banda via coreva dele cuie-

re co’ la blava. Le vacje alora le aveva da portà al musiàl. Il musiàl era per gli animali quello che è per noi oggi la mascherina. Con la differenza che veniva utilizzato per impedire ai bovini di danneggiare il futuro raccolto e non per proteggerli da malattie. Tutte le famiglie che avevano vacje ’n tel stale avevano i musiài. Ricorda pure che il nonno metteva loro il musiàl anche quando i dheva dho de Ingoria, unlà che i veva le vit, a solthità o solthà il terreno. Tra un filare e l’altro i veva semenat fasoi o patate e le mucche altrimenti avrebbero potuto mangiare le foglie delle viti o le piante dei fagioli e delle patate. Il musiàl era tollerato dall’animale, ma in ogni caso limitava la

sua libertà: la bocca era bloccata, non poteva far uscire la lingua per cacciare le mosche e poteva respirare solo col naso. A lavoro finito veniva tolto, anche perché per le mucche sarebbe stato troppo gravoso il tragitto verso casa, col traino del carro carico di erba o di attrezzi, senza l’adeguata respirazione. Musiàl e mascherina a protezione e difesa, un innegabile parallelismo tra i due oggetti e le due condizioni. Come gli animali, anche noi fatichiamo e mal sopportiamo l’uso prolungato delle mascherine che impediscono una sana e libera respirazione, ma che dobbiamo in ogni modo sopportare per salvaguardare non solo la salute degli altri, ma in modo particolare anche la nostra.

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Le vacje col musiàl in una foto degli anni ’50 del secolo scorso.

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tra difficoltà e opportunità

L’anno scolastico è terminato. Se ‘tutto andrà bene’, si riprenderà a settembre con scolaresche suddivise e con presenze scaglionate.

il tempo della didattica a distanza La sperimentazione e l’utilizzo del metodo di ‘didattica a distanza’ ha caratterizzato il tempo dell’emergenza. Computer e wi-fi, Google Meet, programmi e piattaforme, hotspot, whatsapp, account, mail… parole che ‘rimbalzavano’ tra le pareti domestiche e che erano utilizzate quotidianamente non solo da studenti e insegnanti, ma anche da mamme, papà e persino dai nonni!

DAD (didattica a distanza) è un acronimo con cui studenti e insegnanti hanno dovuto fare l’abitudine. Ma il confronto diretto è insostituibile.

come papà, come insegnante

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di Fabio Zambon

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La primavera del 2020 non è stata un periodo facile per molti di noi a causa del SARS-CoV-2 (Severe Acute Respiratory Syndrome – Coronavirus – 2), noto ai più come Covid-19 o semplicemente Coronavirus. Dal punto di vista didattico per me sono stati mesi davvero impegnativi: avevo mia figlia, a casa da scuola, da seguire per i compiti e

le mie classi dell’istituto Kennedy da gestire. Questa situazione di emergenza ha evidenziato le carenze della didattica a distanza (DAD) sia per le scuole primarie che secondarie, la necessità di disporre di supporti tecnologici quali pc, tablet, smartphone e di una buona connessione a internet. Per i piccoli di prima elemen-

tare, il lavoro di noi genitori consisteva nel controllare il materiale inviatoci quotidianamente dalle maestre via posta elettronica o sms: schede da convertire e stampare, dettati e favole in formato audio. Tutti gli esercizi svolti dovevano essere poi scansionati e inviati alle insegnanti per la correzione. Video-lezioni con l’orsetto Fio-


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rello e qualche incontro online con maestre e compagni di classe hanno alleggerito un’esperienza non proprio positiva per questi bambini che hanno bisogno del contatto fisico, soprattutto con le figure di riferimento nel contesto scolastico, ovvero le maestre. Ben più pesante la situazione con le mie classi di scuola superiore. Le prime settimane di lockdown sono state all’insegna della formazione seguendo tutorial, webinar e video vari per appren-

dere le modalità della didattica a distanza secondo le linee guida del Miur. Le lezioni tradizionali sono state sostituite da videolezioni e da numerose dispense da me redatte per facilitare gIi alunni ovviando anche ai frequenti problemi tecnici di connessione internet. Non tutte le zone purtroppo hanno una buona copertura. Nel complesso, per noi insegnanti, la mole di lavoro è aumentata notevolmente, in particolare

per quanto riguarda le verifiche scritte dell’apprendimento. Facile per i ragazzi copiare e nessuna possibilità di controllo. Negli scrutini finali si è tenuto conto di tutte le problematiche riscontrate dalle classi e si è cercato di «ammorbidire» i giudizi, favorendo le promozioni e limitando i debiti formativi. Come sarà il nuovo anno scolastico? Arricchiti dall’esperienza vissuta speriamo di ricominciare a settembre tornando alla normalità.

«Maestro, posso tenerti la mano?»

Questa è la foto di uno dei quaderni dei miei bambini di seconda. Può sembrare una foto banale ma non è così: è il risultato di grandi sforzi, che hanno richiesto severità e molte ore di lavoro. Notate la precisione? Gli spazi rispettati? L’uso delle penne? È un modo per dirmi: «Maestro mi sto impegnando, per me e per te», e io lo so. In questi giorni sto correggendo i compiti via registro elettronico, passando 5-6 ore al computer, nel tentativo di trovare un modo per far sentire loro la mia vicinanza. Ma questa realtà virtuale non potrà mai sostituirsi alla vita fatta fino a questo momento. Mi manca tutto di loro. Mi mancano i loro volti, i sorrisi sdentati, i grembiulini, i quaderni, le grida, le risate, i pianti, i diari, gli abbracci, le domande inopportune, le matite colorate, le penne colorate (ma quante ne hanno?), le

barzellette, la fila, le dimostrazioni di affetto («Maestro, posso tenerti la mano?»). Non voglio che pensiate che noi insegnanti siamo in vacanza, perché non è così. Per quanto mi riguarda è un momento triste, in cui la parte che mi rende felice

ogni giorno è presente solo virtualmente. Mi alzo e penso che tutto questo deve finire presto, perché voglio di nuovo entrare in aula coi miei bambini e ridere insieme a loro, ma di un riso più bello, più consapevole, un riso nuovo, che saprà apprezzare la libertà.

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di Pietro Bocus

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sani in un mondo malato il coronavirus rivela la fragilità dell’uomo

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di Mario Povoledo

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Siamo immersi in un tempo drammatico e misterioso. Un virus, il più minuscolo degli organismi presenti in natura ha imposto un fermo planetario, a un mondo che continuava a specchiarsi e a compiacersi della propria onnipotenza. Nessuno poteva immaginare che qualcosa di più sconvolgente potesse insidiare la nostra vita e la natura. Già, la natura, sfregiata, abbandonata, sottovalutata e maltrattata, dimenticata soprattutto dai potenti della terra, ci presenta il conto. E alla fine lo paghiamo tutti. Salato!

Insieme alla sofferenza, al dolore, alla privazione della libertà personale, alle restrizioni imposte – i nostri vecchi si ricordano ancora i tempi vissuti durante la guerra – abbiamo tutti capito che non c’era da scherzare e, a sofferenze e dolori, si è aggiunto anche il peso di fermarci e pensare a quanto siamo deboli e fragili e, come un piccolo elemento del cosmo, può sconvolgere ogni cosa, senza distinzioni di razza, di ceto sociale, di classe e di portafoglio. Ce l’ha fatto capire, senza tanti giri di parole, Papa Francesco, in quel-

la serata urbi et orbi, in una Piazza San Pietro battuta dalla pioggia e insolitamente deserta, ove si erano concentrati lo spirito, il cuore e il pensiero di tutta l’umanità e dove resterà a futura memoria quell’audace preghiera, quel grido rivolto a Dio, quasi a rimproverargli una sorta di «disinteresse» per l’uomo creato a sua immagine e somiglianza e lasciato drammaticamente solo, in quel mare in tempesta: «Ci siamo accorti – disse – di essere avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose materiali e frastornati dalla fretta,


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18 marzo 2020. Una impressionante colonna di mezzi militari attraversa il cuore di Bergamo con a bordo i feretri delle salme. Lasciato il cimitero monumentale, ormai al collasso, si dirige verso varie località italiane. Il 18 marzo sarà la Giornata dedicata alla memoria delle vittime del Coronavirus.

non ci siamo mai ridestati di fronte a guerre ed ingiustizie planetarie; non abbiamo ascoltato il grido dei poveri e del nostro pianeta ammalato, abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato». Il Papa ci ha fatto capire, se ce ne fosse bisogno, che tante volte il delirio di onnipotenza – ecco la pia illusione – offusca le menti e fa tenere alta solo quella sete di protagonismo che ci fa dimenticare di essere fragili, perché umani, quindi limitati. Ci ha an-

che fatto capire che dobbiamo considerarci un’unica Patria, una sola famiglia che sa tenere alta la testa e sa tirare fuori, non da un cilindro di un mago ma da menti pensanti e cuori palpitanti, le migliori energie. Noi Italiani, siamo spesso considerati come lo Stivale di un’Europa vecchia, distante e calcolatrice, divisa su tutto, unita solo da freddi trattati economici e da una moneta chiamata euro. Non era questo lo spirito di unità voluto dai Padri fondatori (fra i quali il nostro Alcide De Gasperi). A questa Europa, manca l’anima, che ti fa ragionare e ti fa discernere quando il bisogno di unità e di condivisione diventa alto e si deve avere il coraggio di scegliere, per il bene di tutti! Ma alla fine, anche gli Stati più riottosi, hanno dovuto copiare da noi. Quando è in gioco il nostro destino gli Italiani sanno fare squadra. Che soddisfazione, anche se in un momento drammatico! Ci ha anche voluto ricordare a non confondere la Patria vera con quella della globalizzazione che risulta essere una patria fredda, poco amata ed estranea, venuta su

più dalle analisi di mercato che dalle mani e dalla volontà degli uomini. Una patria che ha per bandiera una schiera grigia di numeri e cifre, che stavolta sono servite a contare i morti, aggiornare il computo dei contagi e la triste ragioneria di posti mancanti nei reparti di terapia intensiva. Nessun dramma umano ci è stato risparmiato e, anzi, ne abbiamo conosciuti di nuovi, come la lunga fila dei camion dell’Esercito Italiano, con le bare a bordo, diretta dov’era possibile trovare una sepoltura, con l’ultimo gesto di pietà verso i morti, solo dopo una breve preghiera e la benedizione, con l’atroce privazione dell’ultimo saluto in vita, una vita strappata e poi lasciata sola nell’ultimo viaggio che, per chi ha la fortuna di credere, ci incammina verso l’incontro con Dio che rimane, – come dice Sant’Agostino – «il termine ultimo di ogni umana attesa». Una nota positiva lasciata dal coronavirus durante il lockdown, è la regressione quasi totale di tutte le criminalità, che, purtroppo, si ri>>

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27 marzo 2020. Un’immagine che passerà alla storia. Papa Francesco si rivolge a Roma e al mondo (Urbi et Orbi), parlando ad una piazza San Pietro deserta, resa ancora più triste dalla pioggia battente.

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>> presenteranno dopo la riapertura

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della normale attività. Ora l’ultimo danno che il coronavirus può fare, il più grave di tutti, è di colpire anche i nostri centri della memoria: ci butteremo alle spalle una brutta esperienza, avendo anche fretta a farlo, poiché la vita – come abbiamo imparato a viverla nelle lezioni di quotidianità prima che venissero interrotte da questo brutto «incidente» – non è altro che un infinito presente, un consumismo che non riguarda più solo le merci, la Borsa o la finanza, ma ci interpella sul rispetto della dignità umana, sul futuro, con il rischio di un impoverimento mondiale, con una moltitudine di senza lavoro. Dopo il tutto chiuso, urge il desiderio di ritornare alle proprie occupazioni, con serenità e in sicurezza. Ciò che non dovremo dimenticare è proprio il fatto che questa fragilità è stata messa a nudo, ci è stata sbattuta in faccia, come a renderci consapevoli, una volta per tutte, che fa parte di noi e dobbiamo tenerne conto. Abbiamo vissuto la solitudine delle piazze e vie deserte, le chiese vuote, le fabbriche, gli uffici le attività commerciali, artigianali, produttive e le aule scolastiche chiuse, il fermo immagine di una comunità, di una Nazione, di un mondo impaurito e tristemente solo. È di effetto la figura del Presidente della Repubblica, solo, all’Altare della Patria il 25 aprile. Abbiamo assistito ad episodi che ci hanno fatto pena, con persone in fila, anche per ore, nei supermercati o, per i più disperati, alla ricerca di un tozzo di pane, di un piatto di pasta per sfamare i propri cari, non lesinando, purtroppo e per disperazione anche l’eccesso di andare contro la legge. Abbiamo capito che, nono-

25 aprile 2020. Un’immagine significativa: il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, scende dall’Altare della Patria dove, in forma quasi privata con mascherina e senza cerimoniale, ha reso omaggio al Milite Ignoto.

La speranza non cede: «Andrà tutto bene», frase scritta sugli striscioni appesi ai balconi in tutta la Nazione, come il motto con l’arcobaleno fissato in un’abitazione di via Pozzi a Budoia.

stante tutto ci sono ancora cittadini che pur di farla franca, per stolto tornaconto personale, abbiano cercato di ingannare, con false dichiarazioni le Forze dell’ordine che hanno il compito di far rispettare la legge, fregandosene di poter essere un pericolo per tutti. Poi, con la fase di riapertura, molti, troppi

hanno continuato con assurdi e pericolosi assembramenti, come se niente fosse successo, sbagliando nuovamente. In questa complessa e variegata situazione, abbiamo bisogno di chi ci aiuta a vedere chiaro e a rialzarci. E se questo virus ha scelto per manifestarsi, un tempo di crisi per l’uma-


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nità, è anche vero che sulla sua strada ha trovato chi ha dato radici alla speranza. Agli appelli alla responsabilità, hanno risposto «presente» una ventina di giovani, ragazzi/e, delle nostre Comunità, mettendosi a disposizione delle autorità locali, inseriti negli Albi speciali della Protezione Civile comunale, per fare qualcosa di utile. Un bel segnale che li distingue dalla massa apatica di tanti loro coetanei e che qualificherà in positivo il loro futuro.

Quel grazie di cuore, quel debito di riconoscenza lo rivolgiamo a tutti i nuovi Samaritani del 2020 per aver aiutato il prossimo in difficoltà. «Andrà tutto bene». Non è stato solo uno slogan messo a fianco dell’arcobaleno ed esposto accanto al nostro Tricolore, (con la gente, reclusa in casa e poi uscita spontaneamente sulle terrazze, sui balconi, sui tetti dei palazzi, a cantare, a pregare, a gridare, distanti fisicamente ma virtualmente uniti), ma sarà un nuovo modello

di un futuro che avrà non solo mutato il nostro stile di vita, ma ci darà, sani in un mondo malato, una nuova speranza. Se forse non sarà tutto come prima, resterà a perenne memoria la grande solidarietà che ci ha spinti a darci una mano a vicenda e ci cambierà, ne sono sicuro, interiormente. Sì, andrà tutto bene, se, senza distinguo di parte, tutti rispetteremo le regole!

Santuario di Collevalenza che bello se potesse essere conosciuto di più...! Don Maurizio Busetti, da ottobre del 2019, si trova nella comunità F.A.M. del Santuario di Collevalenza. Molto volentieri fa vita comunitaria con i Padri e aiuta nel servizio della Parola, dell’Eucaristia e soprattutto nel ministero della Confessione. Intervistato da padre Ireneo Martìn, rettore del Santuario, racconta la sua esperienza di vita concreta particolarmente durante questo periodo del Coronavirus, tempo d’isolamento «forzato».

Come cambia la vita del Santuario con il Coronavirus?

Giunto qui ad ottobre dell’anno scorso sono rimasto molto meravigliato dall’accorrere di pellegrini al Santuario per pregare, per visitare la tomba di Madre Speranza, per fare il bagno nell’acqua, per chiedere una grazia e in primo luogo per una buona confessione. Mi sono subito reso disponibile per questo servizio e ho potuto notare come la gente fosse preparata e, in generale, si confes-

sasse bene. Era molto tempo che non vivevo così bene quest’esperienza che è stata per me una grazia grande. Al mattino mi svegliavo con il desiderio di incontrare la gente, di rendermi disponibile all’ascolto delle confessioni, alla celebrazione dell’Eucarestia, alla predicazione della Parola di Dio. Con il Coronavirus tutto è cambiato. L’obbligo di non uscire di casa, la chiusura della Chiesa e poi l’apertura solo in determinati orari e senza celebrazioni pubbliche ha praticamente svuotato il Santuario delle presenze. Dovevamo celebrare in privato, senza la gente. >>

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a cura di padre Ireneo Martìn

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Era veramente una pena. Il Santuario, sapendo che suo compito è principalmente il servizio religioso non ha voluto lasciare però senza nutrimento spirituale la gente. Attraverso la diretta streaming ha fatto sì che la Santa Messa al mattino, la preghiera del mezzogiorno ed il rosario e le devozioni serali potessero entrare in tutte le case dei devoti affinché non si sentissero abbandonati.

Qual è il messaggio che parte dal Santuario in questo tempo di pandemia?

Il Santuario di Collevalenza è il Santuario dell’Amore Misericordioso. Suo compito principale è diffondere il messaggio della Misericordia di Dio predicato e vissuto dalla Beata Speranza di Gesù. In questo tempo particolare di pandemia il messaggio che il Santuario vuole portare è che dobbia-

Don Maurizio durante un’omelia nel Santuario.

mo pregare e far penitenza perché il Signore permette anche delle prove gravi come questa per farci convertire e intraprendere la

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Il Santuario dell’Amore Misericordioso e la Casa dei Padri.

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via della salvezza. Convertirci dal peccato che rovina l’uomo e il mondo. Non principalmente il peccato del bambino che ruba la marmellata alla mamma e la mangia di nascosto, peccato facilmente confessabile. Ma il peccato di voler costruire un mondo a prescindere da Dio, nell’usare comportamenti contrari alla volontà di Dio, in uno sviluppo che invece del rispetto della natura e del servizio dell’uomo costruisca strumenti e promuova comportamenti in contrasto col bene comune. E questo a tutti i livelli. Cominciando dalle cose più semplici come non insozzare le strade, non gettare rifiuti tossici ma anche sacchetti di plastica in mare. Nel non praticare l’aborto o l’eutanasia come mezzi per risolvere problemi economici o sociali. Il coronavirus ci ha fatto vedere


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Nel Santuario lei sacerdote diocesano come ha vissuto il periodo dell’isolamento?

Il sacerdote e, soprattutto, quello diocesano viene ordinato per la comunità. Suo compito è creare la comunità e nutrirla con la Parola e i Sacramenti e guidandola verso i pascoli della vita. Non si concepisce normalmente, salvo casi particolarissimi, un sacerdote avulso da una comunità. E anch’io ho svolto per ben 42 anni questo ministero. La presente situazione indubbiamente ha po-

sto a me come a tutti i miei confratelli una grande difficoltà di adattamento oltre che una forte sofferenza interiore. Il non poter accostare la gente, il non poter celebrare in pubblico, il non poter confessare, predicare mi è molto mancato. Mi sentivo come un leone in gabbia. Ma questa situazione mi ha dato modo di pregare di più. Mi ha aiutato a riflettere che non sono indispensabile: di Indispensabile c’è solo Lui che arriva al cuore della gente come e quando vuole. Mi ha fatto capire che non bisogna dare tutto per scontato e che il nostro ministero non è un lavoro ma un dono del Signore che può chiederci di svolgerlo anche attraverso il silenzio, la preghiera e la sofferenza partecipando così più intimamente alla vita dei fratelli. La teologia dice che Gesù ha salvato gli uomini non tanto con la predicazione e i miracoli ma restando inchiodato sulla croce, umanamente impotente. Questo dobbiamo sperimentare anche noi.

Preghiera e meditazione nella cripta presso la tomba della Beata Madre Speranza di Gesù.

Posso dire allora che questo tempo è stato un tempo prolungato di Esercizi Spirituali.

Il Santuario riprenderà vita dal 18 maggio?

Il 18 maggio il governo dà inizio alla fase 2 di questo periodo. Finalmente con l’accordo tra Governo e Vescovi Italiani possiamo riprendere, pur con tutte le cautele di sicurezza, le nostre attività pastorali. Il Santuario spalanca di nuovo le sue porte. Il grande Crocifisso del Santuario, la Beata Speranza di Gesù nella cripta, l’acqua delle piscine ma soprattutto i sacerdoti nei confessionali aspettano i pellegrini perché facciano l’incontro con l’Amore Misericordioso, ottengano il perdono dei loro peccati, inizino una vita nuova in Gesù Cristo e depositino il loro ringraziamento, le gioie ma soprattutto le afflizioni, le tragedie, i dolori che la vita ha loro riservato perché vengano tutti presentati al Padre della Misericordia e si possa ottenere sollievo e pace. Che bello se questo Santuario potesse essere conosciuto in tutta Italia e non solo nel Centro Sud. Sarebbe un tuffo comune della nostra terra nella divina misericordia. Abbiamo tanto bisogno di questo dono dall’Alto. Sono tantissimi, belli, antichi i santuari alla Madonna e ai Santi in Italia e giustamente vengono onorati e visitati. Ma ce n’è uno solo dedicato all’Amore Misericordioso. Ci porta la forza del cuore del messaggio evangelico: Dio è Amore. Approfittiamone.

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come una piccolissima entità possa distruggere il mondo intero. E può farsene un baffo di mascherine, guanti, distanziamenti e protezioni, tutte cose utili per difenderci, ma la nostra salvezza sta nelle mani di Dio.

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la cianisela dell’ecumenismo

l’aga de la Salera

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di Fabrizio Fucile

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Continua su questo numero de l’Artugna il secondo racconto delle tre vocazioni maturate nella famiglia Da Ros. Avevo chiesto a padre Luigino di scegliere un tema attorno al quale costruire la nostra intervista: la nostalgia di casa durante i suoi primi anni di servizio e la forza della fede in questa esperienza; i ricordi d’infanzia; punti di incontro e di diversità tra la sua esperienza giovanile a Santa Lucia e il suo lavoro in Africa; la semplicità del paese e quella della missione. Gli avevo scherzosamente chiesto se l’acqua della Salera avesse in qualche modo favorito la sua vocazione e quella di don Rito. Dopo un po’ di tempo, una sera ho ritrovato nella posta elettronica le sue parole che disegnano la bella storia che lo porta dal Friuli al Cameroun, la strada percorsa dal picenin de Piero e de la Silia fino a giungere nel continente Nero, il fil rouge che collega le nostre colline alle sconfinate distese dell’Africa. Sintetizzare, cambiare, contestualizzare secondo lo schema interlocutorio che avevo immaginato non avrebbe reso giustizia a questo sollecitato, ma spontaneo e genuino ricordo. Propongo quanto Luigino ha desiderato consegnare a chi avrà il piacere di leggerlo.

Santa Lucia. La storica fontana della Salera, centro di aggregazione delle donne del paese per il bucato, per l’approvvigionamento quotidiano domestico dell’acqua, per l’abbeveraggio degli animali.

S ono nato a Budoia il 20 giungno del 1946. Mi sono portato il nome dicevano, poiché non avevo da ereditarlo da nessun parente. Sono andati a trovarmi il nome sul calendario. Il 21 giugno, infatti, è san Luigi Gonzaga; ma la mamma mi ha fatto registrare all’anagrafe come Luigino perché ero tanto piccolo, diceva. Don Alfredo Pasut invece, che mi ha battezzato il 29 giugno mi ha chiamato Luigi perché non c’è san Luigino. I Da Ros erano arrivati a Budoia da qualche decennio da Vittorio Veneto e facevano i mezzadri delle terre dei Lacchin-Patrizio di Sacile. Famiglia numerosa quella dei nonni Giovanni e Caterina: 10 figli, 5 maschi e 5 femmine. Mio padre Pietro era il più grande. Giuseppe, il terzo dei maschi, è morto in Albania nel 1941 da fuoco amico, mentre i nostri soldati si preparavano alla Campagna di Russia. Della casa di Budoia mi ricordo la grande cucina con il larin sopraelevato con un alto gradino e una panca tutt’intorno dove noi bambini stavamo al caldo mentre le donne preparavano la polenta e i minestroni. C’erano due grandi tavoloni. Uno era riservato agli uomini: nonno Giovanni, sempre a capotavola, s’informava sull’andamento dei lavori nella stalla, in campa-


fiero di stargli vicino e rispondere per primo alle domande del catechismo. Già a Budoia il nonno Giovanni, la domenica mattina, raccoglieva tutti noi fioi e ci portava a messa. Dato che ero il più piccolo mi teneva sulle ginocchia o sopra il banco perché volevo vedere il prete che celebrava. Con i compagni di scuola non avevo tante occasioni di gioco perché dopo la scuola ero sempre impegnato a dare una mano nei lavori in campagna e in casa. Ricordo che eravamo ‘na bela squadra de fioi che dalla Zanze, Fasolina, dai Gambron e dai Fort fino al Forno ci univamo per andare su a scuola, al catechismo e a messa insieme. Un giorno di primavera del 1957 abbiamo avuto la visita di padre Camillo Prosdocimo, un Missionario Oblato di Maria Immacolata. Vestito con un giubbotto sopra la tonaca nera, il grande crocifisso che gli Oblati hanno come divisa, era venuto da Oné di Fonte (Tv) con il famoso Galletto, la moto Guzzi di moda all’epoca. Le indicazioni per venirmi a trovare gli erano state date dal cugino padre Santino Bisignano (vedi lo scorso numero dell’Artugna, ndr) che stava completando gli studi teologici nello Studentato internazionale degli Oblati a Roma. I miei lo hanno accolto semplicemente con pane e salame e un got de vin mentre io ero molto impressionato da quel personaggio che mi intimidiva, ma che era anche simpatico. A un certo punto mi ha chiesto se volevo fare il prete e io ho risposto subito di sì. Era, forse, l’animo ancora innocente che ha lasciato uscire un’impronta divina? Non lo so. Dopo quel sì ne ho ancora detti tantissimi e continuo a dirli quotidianamente. Ma questa è la storia di tutti gli innamorati, non è vero? Così, dopo altri incontri, ai primi di ottobre sono andato alla Scuola Apostolica di Oné per completare la quinta elementare e poi le scuole medie. Don Gelindo non era contento perché avrebbe preferito che fossi entrato nel seminario di Pordenone. All’occasione di una visita pastorale del vescovo mons. Vittorio De Zanche, mio padre aveva chiesto che fossi trasferito dagli Oblati al seminario diocesano. Venivo

in vacanza in famiglia una volta all’anno, a luglio. Quella volta mio padre mi disse questa sua decisione e io gli risposi direttamente: Se lascio i missionari è meglio che resti a casa e faccio il contadino come te! Anzi, gli aggiunsi: Compra un trattore e così faremo i grandi anche noi come gli altri. È stato un momento molto difficile per i miei genitori, mia mamma spesso piangeva, senza farsi vedere, perché sapeva che ero molto sensibile, ma grazie alla loro fede non mi hanno mai contraddetto in questa decisione che avevo dentro, ma che – direi – non veniva da me, e loro lo sentivano! Alla vigilia dell’ordinazione sacerdotale mia mamma mi ha spiegato il suo segreto: mi aveva consacrato al Signore fin dall’inizio e non voleva ritirare il dono che gli aveva fatto! Grazie, mamma Cecilia! Nel frattempo era arrivato a Santa Lucia come parroco don Nillo Carniel e sono convinto che lui abbia aiutato molto i miei genitori a sostenermi, anche con sacrifici economici, nella mia scelta della vita missionaria. Intanto in me si era chiarita questa chiamata e durante tutti gli anni di formazione pregavo sempre di diventare un buon missionario oblato e di avere la grazia di partire, come gli altri più grandi di me, per il Laos, la missione affidata agli Oblati italiani in quel momento. Qual-

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gna, del fieno e delle vigne; e anche sulle opere cioè i lavori che qualcuno faceva per terzi sia come scambio di manovalanza, sia per recuperare qualche soldino utile ai bisogni della famiglia. Ho ancora impressa la lunga tavola dei bambini: eravamo una squadra de fioi, che mangiavano prima e poi andavano fuori in cortile per non disturbare i grandi. Nell’agosto del 1951 mio padre ha preso in affitto una casa a Santa Lucia, in Via Polcenigo, che poi ha comprato nel 1957. Ricordo bene questo trasferimento: da Budoia fino a Santa Lucia, dho sul confin. Nel cortile di casa e dietro, sotto la collina, c’erano tante erbacce e ortiche. Qualche volta si vedevano anche le bisse orbe. Per questo mia mamma Cecilia allevava i dindiot (tacchini) perché tenevano lontane le bestie e proteggevano le galline. Avevamo qualche pecora, due mucche, l’asino, il maiale, i conigli. Mio padre d’inverno faceva el porthiter ed era molto richiesto per la sua maestria nel confezionare i salami. Quando sono diventato un po’ più grande il mio compito era quello di dar da mangiare ai conigli: erba fresca, non bagnata, altrimenti morivano e prendevo le sgridate. E poi le rathe: non potrò mai dimenticare la scena di don Rito Cosmo che scavava una fossa per mettere l’acqua affinché le anatre sguazzassero rumorosamente, altrimenti scappavano via verso il ruial sotto la collina, e poi toccava a noi fioi andare a cercarle per riportarle a casa. I suoi erano nostri vicini e lui veniva a trovarli ogni tanto. Mi piaceva vederlo, sempre con la sua veste nera, che faceva tutti i lavori necessari per aiutare la sua mamma. Andavo spesso di là dal muretto e a fargli tante domande, ma lui non mi ha mai chiesto di seguirlo nella sua congregazione dei Padri Cavanis. Poi ho cominciato la scuola e il catechismo. Ero molto timido e anche mingherlino: il primo anno piangevo sempre quando mi accompagnavano a scuola e volevo che mia mamma o mia sorella mi stessero vicino. La figura di don Gelindo Ragogna era come un monumento nero per me. Ma poi ho imparato a fare il chierichetto ed ero

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che anno tornavo in paese anche per Natale e Pasqua. Dopo la messa della mattina andavo con la bicicletta ad aiutare mio padre in campagna. Don Nillo mi aggiornava sempre degli avvenimenti del paese e di anno in anno mi trattava sempre con più corresponsabilità. Credo che sia stato uno dei miei migliori formatori. Dopo il grande evento ecclesiale del Concilio Vaticano II mi interpellava molto sul senso della Chiesa, come comunità locale concreta. Discutevamo a lungo dopo le celebrazioni e mi chiedeva qualche piccola attività per i giovani, di far visita ad alcu-

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ne famiglie o altre cose. Da qui è cresciuto il mio sentimento di appartenenza alla comunità per cui è scaturita evidentemente la richiesta ai miei superiori di ricevere l’ordinazione sacerdotale nella mia chiesa e tra la mia gente. La Provvidenza ha disposto che mi imponesse le sue mani e ungesse le mie con il sacro crisma lo stesso mons. De Zanche che mi aveva cresimato a Castello di Aviano l’8 dicembre 1956. Poi don Nillo mi ha fatto conoscere mons. Freschi: entrambi mi hanno molto incoraggiato e sostenuto nel periodo della missione in Cameroun con le offerte della parrocchia e anche attraverso l’Ufficio missionario

diocesano. Ecco un’altra ragione del radicamento effettivo nella mia Chiesa locale, e ogni volta che ne avevo l’occasione, dicevo alla gente che ero inviato anche a nome loro, come testimone di una Chiesa più antica, per l’edificazione spirituale e anche materiale di una Chiesa nuova. La mia prima missione dal 1973 al 1981 è stata come la realizzazione concreta del mio sogno missionario perché ho visto come nasce la comunità cristiana. Tra quelle montagne del Nord Cameroun, ora purtroppo devastate dalle guerriglie predatorie di Boco Haram, molti giovani chiedevano di conoscere Gesù e il Vangelo: era un cammino catecumenale comunitario. La preparazione alla Pasqua era come quella dei primi tempi della Chiesa: vivevamo gli Atti degli Apostoli. Dentro di me, malgrado tante difficoltà di ogni genere, cresceva sempre più la mia adesione personale al Signore: essere cristiano e missionario era per me la stessa cosa. Intanto nascevano anche delle famiglie cristiane e alcuni dei loro figli si domandavano se potessero un giorno diventare anch’essi preti o consacrati come eravamo noi missionari bianchi. I superiori mi hanno, quindi, inviato a completare gli studi teologici alla Pontificia Università Gregoriana per dedicarmi poi alla formazione dei giovani seminaristi e religiosi in Africa. Per 15 anni ho cercato di dare il mio modesto contributo alla fondazione delle strutture formative, parte essenziale delle giovani Chiese del Cameroun, dello Zaire, del Congo e del Senegal passando poi la mano, appena possibile, ai giovani formatori africani affinché fossero loro stessi a trasmettere quanto avevano ricevuto ai più giovani, secondo il motto del grande missionario san Daniele Comboni: l’Africa agli africani! Ed è per questo che nel 2002 – anche per alcuni problemi di salute – i miei superiori mi hanno dato l’obbedienza per l’Italia non come un rientro, ma come una nuova missione in questa nostra terra di antica cristianità. Dopo quasi tre anni a Palermo sono ora ad Aosta come parroco della Chiesa-Santuario di Maria Immacolata, Regina della Valle d’Aosta. Mi piace venire a Santa Lucia almeno una volta all’anno e ci starei più a lungo evidentemente, perché la sento sempre come la mia terra. Le cose so-

no molto cambiate, ma lo spirito della comunità paesana si rinnova con forme nuove, molto semplici, ma belle, perché aperte a tutti, nel rispetto e nell’accoglienza di tutti, nella diversità di ciascuno. Questo sentimento unisce molto e io, come cristiano e missionario, do a questa simpatica collaborazione e solidarietà il nome di amore scambievole, in tutte le sue declinazioni umane, che è il comandamento nuovo di Gesù ai suoi discepoli. Auguro quindi ai miei carissimi paesani di Santa Lucia, ora sempre più uniti e collaborativi con quelli di Budoia e Dardago, di riscoprire la freschezza del Vangelo come la più vera e valida rivoluzione, ancora da completare. Negli anni del ’68 si respirava anche da noi la voglia di un vero cambiamento delle strutture ormai vuote dei contenuti di una civiltà cristiana al tramonto, si diceva. Con alcuni giovani del paese avevamo avuto delle discussioni molto vivaci, e quasi delle sfide, per le scelte diverse che stavamo facendo. Ho un ricordo riconoscente di quegli anni perché mi hanno dato l’occasione di mettere a fuoco la mia scelta religiosa e missionaria. Sono partito per l’Africa convinto che solo col Vangelo, vissuto e testimoniato con opere concrete, si poteva portare un po’ di sviluppo, non solo per l’aspetto economico, ma come aiuto a che ognuno raggiunga sempre meglio il compimento di tutti gli aspetti umani della sua persona. Oggi la penso ancora così e mi sembra evidente che noi tutti avremmo ancora molto da offrire al progresso della nostra società se attingessimo, senza remore, alle potenzialità infinite della nostra fede cristiana. Non siamo, quindi, alla fine della Chiesa nelle nostre terre, come qualcuno forse ha pensato vedendo svuotarsi le nostre Chiese, ma solo all’inizio di una nuova ripartenza che avrà un ruolo molto importante, certamente con forme diverse da quelle tradizionali, per la crescita della nostra gente in collaborazione e sinergia con tutti gli altri abitanti dell’Italia e dell’Umanità. *** Grazie, Luigino, per la visione di speranza di una Chiesa in cammino, capace di rispondere alle sfide attuali e di ripartire con forza accompagnando ciascuno verso il suo traguardo e verso la meta del Regno.


ASSOCIAZIONE ROSARIO PERPETUO

Parrocchia di Budoia

si chiude una pagina di fede

... DATI TRATTI DAL REGISTRO DELL’ASSOCIAZIONE Le socie... dal 1996 al 2019 Enrichetta Angelin Carlon*

di Mario Povoledo

Iride Ariet Lacchin Giuseppina Bocus Carlon (+)

Correva l’anno 1996, quando l’allora Parroco don Alfredo si aggregava all’Associazione Rosario Perpetuo, costituita presso la Basilica di Santa Maria Novella in Firenze, chiedendo ad un gruppo di donne di poter tenere anche a Budoia «l’ora di guardia», con la recita dei 15 misteri del Rosario (Gaudiosi, Dolorosi, Gloriosi) divenuti poi 20, per espressa volontà del Santo Pontefice Giovanni Paolo II con l’aggiunta dei misteri Luminosi. Per tale impegno si era scelta la data del primo giovedì di ogni mese e il gruppo costituito da 33 donne, si ritrovava in chiesa per questa devozione estesa in tutte le diocesi d’Italia. Ma il tempo passa e, vuoi perché chiamate a miglior vita, vuoi per l’età che avanza, dopo 24 anni si chiude anche questa esperienza di fede. Le sei fedeli rimaste hanno deciso di devolvere la somma raccolta da settembre 2017 a dicembre 2019, 1.400,00 euro, dalle oblazioni delle iscritte (da una precisa e limpida annotazione tenuta dalla signora Enrichetta Angelin Carlon), così suddivisa: 1.200,00 euro per la lucidatura delle tre lampade dell’Altare della Madonna, 100,00 euro per l’illuminazione della corona di luci del Simula-

Lidia Bonati Noemi Bortolini (+) Anna (Rina) Carlon Cardazzo* (+) Alba Carlon Busetti (+) Anna Aramu Carlon (+) Gioconda Carlon Del Maschio Graziella Carlon Maria Carlon Marianna e Ilde Carlon (+) Santina Del Maschio Sanson (+) Giuseppina Fort Puppin Gabriella Gambron Teresina Santarossa Gislon*

cro, 50,00 euro per la celebrazione di due Sante Messe per le Associate defunte da tenersi a maggio e ottobre, mesi dedicati alla recita del Santo Rosario e i rimanenti 50,00 euro all’Associazione di Firenze. La Parrocchia esprime gratitudine per queste donazioni e ringrazia le benefattrici non solo per il gesto di amore e di pietà verso la Vergine Maria e l’Altare a lei dedicato, ma anche per la preghiera del Rosario recitata secondo le intenzioni del Papa, per il bene della chiesa, la pace nel mondo, la concordia e l’amore nelle famiglie, nel lungo percorso di fede e di devozione intrapreso nella comunità parrocchiale.

Rosetta Gagliardi Gislon* Marisa Ianna Pujatti Gelsomina Marcandella Zambon Adriana Panizzut Zambon (+) Silvia Del Maschio Panizzut (+) Dina Panizzut Re Noemi Alberta Panizzut Lidia Ponte Ines Zambon Puppin (+) Gianna Signora Povoledo* Natalina Perut Signora Teresina Signora (+) Anna Vettor Dotto (+) Elisa Zambon (+) Caterina Zotti* Mimma socie iscritte fino al 2019 (+) socie defunte

Dalla sede dell’«Associazione del Rosario Perpetuo di Firenze» è giunto un ringraziamento Firenze, 28 febbraio 2020

Gentilissime Socie, ci tenevo personalmente a ringraziarvi vivamente per quanto avete fatto nel corso di questi anni a onore della Santa Vergine, che certamente ve ne renderà merito, e a lei signora Enrichetta per aver ricoperto il ruolo di zelatrice a servizio del gruppo. Continuiamo a rimanere uniti nella preghiera del Rosario; noi pregheremo per la vostra salute e perché il Signore vi assista sempre; voi ricordatevi di pregare per noi. Dio vi benedica insieme alle vostre famiglie e a tutti i vostri cari. Fraternamente, FR. GIAN MATTEO SERRA O.P. DIRETTORE

Nell’arco dei 24 anni di associazione furono devolute altre considerevoli offerte per i restauri dell’altare e dello stendardo della Madonna, dell’affresco del soffitto e per altre intenzioni del sacerdote di allora, per un totale di 1.900.000 lire e di 4.050,00 euro. Dal 2000 al 2019, il Gruppo ha sostenuto anche le Missioni con 2.165.000 lire e 6.685,00 euro.

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NEL NOSTRO TERRITORIO

Graffito a Dardago creatività e tradizione

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di Dunio Piccolin

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Dai primi giorni di luglio un’opera a graffito decora la parete esterna della casa di Antonio Zambon Mao in via San Tomè, contribuendo così ad abbellire la storica strada del paese.

Succede, alle volte, che non si conosca personalmente il proprietario della parete che si andrà a decorare: vengono comunicate le misure, inviate le foto della parete e le intenzioni sul soggetto. In questi casi faccio un sopralluogo in «incognita» diversi minuti prima dell’ora fissata per l’appuntamento con il proprietario, controllo la parete e visito il paese. Nei pressi dell’entrata di casa

noto una scritta, in bella evidenza, con il nome del «committente»: Toni Mao. Penso subito, oh no!: avrò a che fare con un «gattaro» e dovrò dividere il mio «egocentrismo» con chissà quale gatto, o quali gatti! Saprò successivamente che Mao è un soprannome di famiglia e che non possiede gatti, ma un solo cane, che riceve moltissima attenzione dal Toni Mao; il cagno-


lino nero, che sentirò chiamare centinaia di volte, si chiama Ziko. Il paesino per questo nuovo murales, il primo in Friuli Venezia Giulia, è Dardago, frazione di Bu-

doia, in provincia di Pordenone, e la parete è di una antica casa, da poco ristrutturata, che costeggia una storica e stretta via. Poco dopo, ho modo di dare forma alla

CHI È DUNIO PICCOLIN? Dunio nasce ad Agordo (Belluno) nel 1970 e risiede a Falcade sempre nel bellunese. Studia e si diploma all’Accademia di Belle Arti di Venezia nel 1992. Dal 1995 partecipa e avvia una serie di esposizioni collettive e personali in molte località venete. Dopo gli insegnamenti sulla tecnica ad affresco dà inizio ad una pregevole produzione (oltre un centinaio) di opere murali. Le sue composizioni sono presenti nel bellunese, in molte province italiane e all’estero in Svizzera, Polonia e nel lontano Perù. Dunio è artista poliedrico: pittore, affreschista, incisore, litografo, illustratore ed esperto nella tecnica di graffito tradizionale. Dal 2010 è direttore artistico del progetto «Agordo paese del graffito». Per le sue esperienze artistiche e per le sue realizzazioni è annoverato tra i maggiori artisti italiani.

persona che ha desiderato facessi un graffito per lui, accompagnato dall’inseparabile Ziko: la sensazione è buona e si può ipotizzare una felice convivenza nel periodo del soggiorno, ed è stato il primo sollievo. Le prime parole dette dal signor Antonio Zambon, furono: «La ringrazio per aver accettato di venire», e queste parole non hanno fatto altro che rinforzare l’iniziale buona impressione ricevuta. Dopo un caffè preparato dalla signora Tania, incomincia la nuova «avventura» per il graffito ispirato al «Ruial»: una lunga e artificiale canaletta per l’acqua di pietra scolpita ad «U», risalente al 1600, che una volta, costeggiava l’intero paesino di Dardago, quello di Budoia e di Santa Lucia. Qualche tempo fa, come ricorda Toni Mao, il corso d’acqua era anche teatro di uno dei giochi preferiti dei bambini del luogo, che immergendosi con i piedi, vi scivolavano dentro (la sbrissàda). Il resto del racconto del soggiorno (dal 29 giugno al 3 luglio 2020) è concentrazione per il lavoro, visite ai luoghi più interessanti del circondario, nuove conoscenze e buon cibo.

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L’artista bellunese in alcune fasi del lavoro e un particolare del graffito.

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in «pensión»

Sandro & Vanni Il Comune di Budoia, nell’anno 2019, ha perso due validi collaboratori che sono andati in pensione per raggiunti limiti di età per aver maturato i requisiti previsti dalla legge per godersi la meritata quiescenza. di Pietro Ianna

S i tratta di Alessandro Baracchini, responsabile affari generali e dei servizi alla persona, e di Vanni Quaia, responsabile dell’ufficio tecnico urbanistica e patrimonio. Due perdite significative e difficilmente sostituibili, vuoi per l’anzianità di servizio e la conoscenza e domestichezza della farraginosa macchina burocratica, vuoi per la competenza, la serietà e la professionalità con le quali hanno saputo svolgere le mansioni loro affidate. Due funzionari che godevano della piena fiducia e stima delle varie amministrazioni che si sono succedute, per il rapporto di collaborazione e condivisione che hanno saputo creare con i loro colleghi. Personalmente ho avuto modo di collaborare con loro per parecchi mandati e con amministrazioni guidate da quattro sindaci e pos-

so testimoniare con estrema franchezza quanto suesposto, aggiungendo che Sandro e Vanni – anche se di carattere completamente diverso tra loro – sono accomunati da profondi valori morali e professionali. Hanno saputo gestire il loro lavoro con impegno, passione, spirito di servizio e grande disponibilità verso i cittadini. Non sono mancati i momenti di scontro o di tensione ma sempre nel limite di un sereno confronto volto al bene del Comune e dei cittadini. Sandro ha cominciato a lavorare in Comune il 4 luglio 1978, come provvisorio per le pratiche del terremoto, poi per concorso è entrato in ruolo il 1° gennaio 1979. Ha ricoperto diversi ruoli fino a diventare – per meriti e capacità organizzativa – responsabile Affari

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Alessandro Baracchini e Vanni Quaia, dopo anni di lavoro e impegno, ora possono godersi la meritata «pensione».

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generali e Servizio alla persona. Importante è stato il suo impegno extra professionale nel volontariato che lo ha visto per molti anni presidente della Pro Loco e anima insostituibile nell’organizzazione della Festa dei Funghi. Attualmente è consigliere della Pro Loco a significare il suo forte impegno nel volontariato e il suo amore per Budoia. Vanni, assunto come funzionario tecnico il 15 giugno 1981, è per circa 20 anni responsabile dei Servizi Tecnici. Un campo d’azione vastissimo che va dai lavori pubblici, alla manutenzione del territorio, alla gestione e manutenzione tecnica del patrimonio comunale, all’ambiente e – non ultimo – alla spinosa gestione del comparto urbanistico e edilizia privata del Comune. In poche parole l’Ufficio tecnico di un Comune delle dimensioni di Budoia svolge una infinità di mansioni. Oserei dire, anche per esperienza personale, che è l’imbuto del Comune: alla fine tutto confluisce nell’ Ufficio tecnico. Vanni ha saputo gestire il tutto per tanti anni con saggezza ed equilibrio, in perfetta sintonia con i colleghi, con le varie amministrazioni che si sono succedute, con le scuole, offrendo sempre una grande disponibilità a chi si rivolgeva per un servizio o per un consiglio. L’esempio, la passione, l’impegno, la professionalità di Sandro e Vanni sono sicuramente un patrimonio che erediteranno coloro che avranno l’onore di occupare il loro posto.


NEL NOSTRO TERRITORIO

A BUDOIA

casa Licata un gioiello di architettura moderna di Leontina Busetti Percorrendo via Pordenone, dalle Crositole verso la campagna, penso che ad alcuni sfugga di passare accanto ad un gioiello di architettura moderna, oltretutto pubblicato da importanti riviste e segnalato anche sull’enciclopedia Treccani nella sezione architettura. È la casa del dottor Licata, da qualche tempo chiusa. Può sfuggire perché la recinzione è una rete molto semplice, che non la opprime, ed ha un giardino ora troppo rigoglioso. Il rosso dei mattoni che la ricoprono le dà un aspetto solido, il blu del portone la distingue e la ravviva, il bianco degli infissi la illumina. Ogni facciata è indipendente, non ha corrispondenza con le altre facciate, per cui da qualunque dei quattro lati la si guardi, è

di per sé definita, ma soprattutto ci fa intendere come all’interno la casa sia sempre invasa di luce. C’è una piscina, ma non si vede, è mascherata da muri perimetrali: ha quindi una sua intimità e riservatezza. È un’abitazione importante, ma non la dà a vedere, non vuole mostrarsi, è discreta nella sua razionale eleganza e nell’equilibrio dei suoi volumi. È lì da più di quarant’anni, ma come le opere d’arte non li dimostra: è un segnale di stile per tutta la zona e rimarrà tale.

In alto. Una delle facciate di Casa Licata.


con Madre Speranza... in pellegrinaggio a Collevalenza Il Santuario dell’Amore Misericordioso, fondato per volontà di Madre Speranza, sorge nel piccolo paese di Collevalenza nel Comune di Todi in Umbria. Definito la «piccola Lourdes», è luogo di ritrovo e di riferimento spirituale per i fedeli di tutto il mondo.

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di padre Ireneo Martìn, FAM_Rettore del Santuario

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Voglio iniziare questo pellegrinaggio con voi... al Santuario dell’Amore Misericordioso di Collevalenza (Perugia) fornendovi innanzitutto alcuni dati biografici di Madre Speranza: la Beata nasce in Spagna, a Santomera (Murcia), il 30 di settembre 1893, la prima di nove figli. Al Battesimo le è imposto il nome di Maria Josefa. Il 15 ottobre 1914 entra nell’unico convento di clausura delle «Figlie del Calvario» a Villena, aggregato nel 1920 all’Istituto delle «Missionarie Claretiane». Nella festa di Santa Teresa D’Avila lascia la terra riarsa dal sole del piccolo paese del Siscar e pronuncia quelle mirabili parole: «Mamma, vado a farmi santa». Diventa il suo programma di vita.

Nel 1930, esce dalle Missionarie Claretiane per fondare, la notte di Natale, a Madrid, la Congregazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso. Il 15 agosto 1951 fonda a Roma la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso. I suoi due grandi amori diventano i poveri e i sacerdoti. Per il «suo amato clero» si offre quale vittima sacrificale: «Insieme a Te, o Buon Gesù , pago io». Allo scopo di diffondere il concetto della grande tenerezza di Dio e del suo illimitato amore per gli uomini realizza, a Collevalenza, il primo Santuario al mondo dedicato all’Amore Misericordioso. Donna di eccezionale tempra e di grande cuore, svolge un’intensa attività come fondatrice e come apostola dell’Amore

Misericordioso. Spende l’intera sua esistenza per Lui e per dare a tutti la gioia di conoscerlo come padre e come tenera madre; lascia questa stessa missione alla Famiglia religiosa delle Ancelle e dei Figli, le due Congregazioni da lei fondate. I suoi numerosi scritti sono densi della sapienza che le viene dall’esperienza personale, intima, con il Buon Gesù. Muore a Collevalenza l’8 febbraio 1983. Oggi riposa nella Cripta del Santuario, monumento alla Misericordia di Dio, che lei stessa ha fatto costruire. Nel Processo di canonizzazione che è in corso, il 23 aprile 2002 la Chiesa la dichiara venerabile, riconoscendo le sue virtù; il 5 luglio 2013 viene firmato il Decreto sul miracolo ottenuto


Caro pellegrino, continua ancora il tuo itinerario spirituale, in questo luogo voluto da Dio, nella Celebrazione penitenziale delle Acque, rinnovando le promesse battesimali e nel segno accogliente del sacerdote che esercita il suo ministero; riconciliati col Padre Buono, che dimentica, non tiene in conto e perdona tutti i tuoi peccati; poi immergiti o lavati nell’Acqua del Santuario, che è segno della sua grazia e strumento della sua misericordia; un’acqua che nel piano di Dio rivelato a Madre Speranza dà sollievo all’anima e guarisce le malattie del corpo e quelle che la scienza umana non riesce a curare: tutto in una serena accettazione della volontà del Signore nella tua vita. Partecipa poi con fervore alla Santa Messa del Pellegrino e ringrazia, con tutta la Chiesa, l’Amore Misericordioso per il dono della vita e della tua vocazione cristiana, da continuare a vivere nella quotidianità della tua parrocchia. Caro pellegrino, se vuoi «sgranchire» un po’ le gambe e fortificare lo spirito, fa il pio esercizio della Via Crucis che si snoda lungo un viale alberato di circa un chilometro. Nella via, oltre agli immancabili

vengono alla mente immagini a lei care: la «scopa», che non si lamenta, non protesta e, silenziosa, lascia che la usino sia per una cosa che per l’altra; «l’asina di Balaam»… mansueta nell’obbedire; «il flauto», che chiama con la sua dolce melodia gli uccelli del «roccolo» o meglio attrae le anime a Dio; «la patata», che marcisce sotto terra e produce la pianta; «il chicco di grano», che muore e dà molto frutto... Fermati e prega Madre Speranza. Non dimenticarti: lei continua a essere «la portinaia del Buon Gesù e di coloro che soffrono». Infine visita «La casa di Madre Speranza». Entrare nelle sue stanze è un’emozione forte. I muri parlano, basta fare silenzio, spegnere le ansie quotidiane e... accendere le antenne del cuore. Non è difficile! Non c’è oggetto, suppellettile, mobile, foto, quadro che non sottolinei tutto questo e allora ci si accorge che occorre farsi guidare, farsi prendere per mano senza paura e senza fare resistenza. Perché la «Casa di Madre Speranza» è la casa di tutti. A te, caro pellegrino, la benedizione dell’Amore Misericordioso e... il grande desiderio di augurare a te e la tua famiglia «salute e pa-

ra, Gesù rimane per sempre nel suo cuore diventando così il suo «tabernacolo vivente». «...Perché Gesù non va allo stomaco, bensì al cuore», risponde la bambina alle donne incuriosite dal suo gesto innocente.

testi biblici, ci sono riferimenti a brani scelti, tratti dagli Scritti di Madre Speranza; li trovi anche lungo il percorso. Poi, ti raccomando, vai nella Cripta e sosta alla tomba di Madre Speranza. Mentre ti avvicini forse ti

ce» nello spirito Madre Speranza, una mamma che sempre accoglie. Buon pellegrinaggio... al Santuario di Collevalenza!

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per sua intercessione. Il 31 maggio 2014 è proclamata beata da papa Francesco, che non si stanca di annunciare l’Amore Misericordioso. Caro pellegrino, benvenuto al Santuario. Il Crocifisso ti accoglie con le braccia aperte come il Padre buono accoglie il figliol prodigo nella parabola, mentre varchi la Porta Santa della Misericordia. A te pellegrino che sei sete di Dio ti chiedo: contempla il Crocifisso dell’Amore Misericordioso nel suo spirito e nei suoi tratti più significativi: lo sguardo sereno rivolto al Padre e nel cuore il segno del Suo Amore=Charitas, amore universale e fraterno: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato». Tra i simboli che completano l’immagine del Crocifisso vi è una grande ostia che ricorda l’Eucaristia, segno dell’Ultima Cena e memoriale del suo Sacrificio vittimale sulla Croce. Fermati e con stupore contempla nel tabernacolo l’inesauribile Amore, Gesù-Eucaristia che diventa «presenza reale» per aiutarti quando si fa sera nel cammino della vita. Un sogno che si fa realtà nella bimba Speranza, che «ruba Gesù» con appena 8 anni. Da allo-

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ADHÉS VE CONTE SERIE DI RACCONTI E ANEDDOTI IN PARLATA LOCALE, ACCADUTI NEI NOSTRI PAESI

Continua la pubblicazione dei racconti in parlata budoiese

me agna Nuta di Fernando Del Maschio

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M e agna Nuta, in famea la clamea-

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ne Ziana, ’l era suor de me mare e ’l é sempre stada in ciasa co noi, manco quan che la laorava a Venethia. Intan de guera e un bel poci de ains dopo ’l é stada a ciasa, cussì mi soi vignut su co me mare e liena. ’L era pitost de glesia e i plaseva liedhe le storie dei santh e la Bibia, che, mi no sai comot, no l’era chela catolica. Quan che soi nassut mi, ’l era drio a liedhe la vita de Sant’Antone de Padova, cussì soi stat batiat Fernando come el sant da dhovin. Fin da pithol la me contava dei miracui de la Madhona e dei santh e dhute le storie che ancia liena la veva sentut dai so veci. Fra le tante la me contava che so pora mare (morta dhovena quan che reane invasi) la dheva a lavà le strathe a Fontana, ’na che dongia la fontanela ’l era doe vasche de aga (chel che restava ’l é stat scancelat tra el 1965 e el ’70). Intan che le femene le lavava, se le tirava su el ciaf da la tola, le vedheva le fate sui Coi de Santrothia che le meteva a suià le so strathe. Me agna la clamava fate chele che altres i clama anguane, però, sicome ’l era ’na femena vedhuta, la dhontava: «Veito, Nino, ’na volta i veva puoc da magnà e alora la fan i feva vedhe le lusole!». ’N altra volta la me contava dei fuocs salvares. Come che credheva la dhent i era de le flame che se vedheva da lontan in tei bosc de nuot;

ma guai vithinasse: i te coreva drio par brusate. La me contava che un dhovin el veva vut coraio de dhi verso el bosc; el fuoc salvare i veva coret drio fin sul piol e i veva lassat su la porta de la ciambra el stamp brusat de la man. La me dhiseva ancia che liena da dhovena la veva vedhut de nuot de le flamele in tei bosc sote le mont, ma i era stath impiath aposta dai [...] che i veva el vithio de taià legne in te chel de chialtres. Cussì i meteva fora le vos dei fuocs salvares par podhé taià le legne, col seon par no fa rumor, e dopo i cuerdheva el thoc col lisp. Nessun el

veva coraio de vithinasse. ’N altra i me la contava come vera. Intan de guera la Ziana l’era in mont co so suor e so barba a fà fen. ’Na sera el barba ’l à cognut tornà a ciasa par no sai che afar, cussì le doe fiole ’l é restadhe misole in tel casonut fat de fras’ce e de fen. Sul medhanuot ’l é vignut vanti un temporal e fra el vent e i businors le senteva come se i strassinas ciadhene dhut intor el cason. Plene de pura le doe femene le à preat le aneme dei morth co le thento rechie, come che i veva dhit so agna Cencia Pasquala, e el rumor ’l é finit. El dì dopo su la traia là dongia i é passadhi col ciarboner copat dai todesc. «Eco» la feneva me agna «le ciadhene che senteane ’l era l’anema del ciarboner ch’el veva bisoin de bin». Mi pense invethe che ’l era el vent fra i nuseglers e la pura de le fiole! Sempre da me agna Nuta ài savut che ’na volta la dhent la veva gran devothion par Sant’Antone de Lamont, el sant sora le bestie; dhuti i stales (squasi un par ciasa) i veva un cuadro col sant e nessun laoava in tel stale la sera del 17 de dhener. Un an, in tel stale de la famea granda le femene le se à dismintiat de l’usantha e le à laorat a maia o altre come sempre. I omis i à pensat alora de fà un schertho e i à fat fenta de dì a dormì. Profitant del poc ciaro de


dienti le se volta e le se mof da la coa. Le femene le pensa suito a un castigo del sant e le se met a thià: «Sant’Antone benedet, perdonene!». Intant i doi in tela confusion i va

sul piol co chi altres, i se giava la giacheta come se i fos drio a spoiasse e i dis: «Sant’Antone el ve à castigat, stupidhate, cussì impareit a laorà el dhì de la so festa».

Storie, pacassàde, scherthi, de Dardaĉ de ’na volta...

prin ’l era chel de seràsse ’nte ’na stanthia al sigur ’l secondo l’ era chel de ciapà in man ’na cros o chelcossa a forma de cros. Provèit a inmaginave cuanta pura che la ciapava la dhent, ’nte cualche famea, tains ani fa, ’nte chele sere frede d’inver, thentha luna, cuan che la stava a s’cialdasse intor ’l fogher, e dut su un momento cualchedhun che ’l diseva: «No steit a mete ’l nas fora de la porta parchè stà not ’l è in giro ’l foĉ salvàre lo ài vedùt mi travers ’na sfesa del balcòn!» ’L era ’na superstithiòn, che fin a no tains ani fa, pì de cualchedhun anciamò i credeva. A conferma de chisto, mi me ricorde che là de ‘Tavan’, fin a pocs ani fa, su ’na porta de ’na cianbra, l’era ’l sen de ’na man, come se ’l fos stat fat col foĉ. Ma adess voi contave un fato, vero, che ’l à avut de mieth ’l foĉ salvàre o checossa de conpaign. Chel che ve contarài adess, ’l è sucedùt pì de un thentenèr de ani fa là de «Tavàn». Come che tains de vuialtre i savarà, là de ‘Tavàn’ ’na volta ’l era un grun de dhent, altre che adess che i cortifs i è duth goith!, vin che ’na bela sera d’autuno, savèit de chei autuni bei cuan che stava ància doe-tre stemane thentha plove e magare ància co’ ’l plen de luna,’na mare, come che la feva senpre, ’l à mandàt i so canais, che i era ’na diesena, a dormì, un de chisti cuan che ’l è stat fora pa’ ’l piol ’l à vedùt in lontanantha, verso i boscs un puntìn lustre e ’l à tacat a thià : «’L foĉ salvàre, ’l foĉ salvàre!» Duth i è s’cianpath e i se à sertàt ’nte le so cianbre e dut l’è finit là , pa’ chela sera. Vin che la sera dopo ’l è sucedùt la stessa storia, «’L foĉ salvàre, ’l foĉ salvare», i thiàva, e via che duth i s’cianpava a serasse in

al foĉ salvàre di Flavio Zambon Tarabìn Modola

A vèit da savè che a volta la dhent, voto pa’ ignorantha, voto pa’ timòr, ’l aveva pura de dut, ància de la so onbria. Dapardut ste pora persone, le vedeva strie, sencs, senpre in maniera bruta, mai in legria, ’l timòr de dhì, a volta morth, in inferno i feva avè sudithión de dut e cualchedhun che ’l aveva studiàt pì de lor al feva el rest. Provèit a imaginave che storie e chel che i contava i nostre veci, dosento o tresento ani fa, ’ntei stales, cuàn che i deva in fila, ’nte le sere de invèr, thentha luce, plens de frèit, cuante pure che i feva ciapà ai canais o ale fèmene, contando fiabe de diavui, de striòns, de fantasmi e de morth. Ància fora pa’ ’l dì i vedeva sencs strans. ’Na volta a fèmena ’l era stada tratada da stria parchè ’l era duda a fasse medeà la pupola del dèit pìthol, de la man thanca, che la se aveva taiàt col cortel, e proprio te chela ciàsa, a che ’l era duda a medeàsse, miedhora prima un òn ’l aveva ferìt a lentis te la coda e chista dopo ’l era s’cianpada ’nte un buss del mur; alora duth i aveva dita che chela fè-

mena ’l era la lentis ferida e i ’l aveva portada dal plevan a fala benedì. ’N altro fato, (ància chisto, come chel pena contàt, vero) ’l riguarda un òn che come che ’l vedeva, al infora de la glesia o dei altaroi, a cros, svelto, i la rompeva e ’l diseva un pater, ave, gloria, parchè ’l diseva che le cross, se no le era ’nte un lo sacro, le portava disgrathie. Però i canàis, che i era ància ’nte chei temps, dele tepe, cuàn che i lo vedeva in giro pa’ Darda svelti, co’ stecs, sass, froscs, insoma co’ cualsiasi roba, i feva cross dapardut, ’nte la strada, sui murs, sui portons, cussi stò pora òn i le desfava e ’l preava, therti dis a fortha de desfà e preà ’l se stracava pì che nò dhì a lavorà e ’l preà ’l bastava pa’ duth i paesans pa’ paedì i pecadi de un mese. Ma chel che ’l feva spavì de pì duth, dai grains ai pithui, ’l era ’l foĉ salvàre, che sarave stat chel che pa ’talian se clama «fuoco fatuo», chisto ’l era come ’na bala de foĉ che la coreva svelta come ’na saeta e chi che la ciapava ’l moreva, doi i era i rimedi pa’ salvasse da stò foĉ salvàre, ’l

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la lun a petrolio doi de lor i se à destirat in tei cianai, i à molat le ciadhene de le vace e a bassa vos i à scominthiat a dise a le bestie «Volt, volt!» «Stale, stala». Le vace obe-

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’N TE LA VETRINA

ciasa. La tertha sera capita la stessa roba. Ma la cuarta un on co’ pì coraio de duth ’l à volùt vèdei ciaro e pian pianin ’l à metùt ’l ciaf fora de la porta de la cianbra e ’l à vedùt sì stò lustre ma i ’l a vedùt fermo, no’ ’l se moveva come che ’l avarave dovùt fa ’l foĉ salvàre. Alora ’l à clamàt duth disendo de no vè pura e de vigne fora da le cianbre o, chi che l’era anciamò dabàs, da le stanthie; cussì ’nte ’n momento su pa’ i pioi e ’ntei cortifs l’era duth i «tavans», ’na sessantèna de persone, a vardà in dhò, verso i boscs de Darda stò lustre che no’ ’l se moveva. Alora chel on de prima ’l à dita «Che fòno? Scuasi scuasi mi volaràve dhì a vede da ’na che ’l vin chel lustre là, chi elo che alsa da vigne co’ mi a vede?» Nessun al prin momento ’l à rispondut, ma dopo un dòvin ’l se à fat avanti e ’l à dita «Vigne mi!». Cussì co’ ’na nica de pura e de timor i se à inciaminàt travers i orth e bel belo i è duth dhò pa’ «Stradòn», senpre vardando da dove che rivava chel ciaro, intant duth chei che i era restadi a ciasa, ma specialmente le fèmene, ’l è aveva tacàt a preà racomandando chei doi omis al Signor. ’Ntel fratenp i doi coragiosi i era rivath a «Colombera» e chel lustre ’l era senpre pì visin e no i lo vedeva pa’ l’aria ma ’l era par tera, rivadi ’nte l’entrada de un cianp de Momi «tarabin» i è duth drento ’ntel cianp e i co’ gran meravea i à vedut che chel lustre ’l era proprio davanti a lor, pian pianin i va tacàt e i à vedut che chel ciaro ’l vigneva dal riflesso che la luna la feva su ’n ala, bela neta, de ’n varsòr che ’l era stat lassàt là parchè, Momi, ’ntei dis passàth, l’aveva spethàt un prat pa’ po’ semenà la siala. Alora stì doi omis, prima i ò tràt un bel sospiro e po’ i se à metut a ride, cussì ridendo e scherthando i è tornath a ciasa; Duth chei de famea i era là che i li spetava, cuan che i à veduth che i rivava ridendo i à dita «Ma chisti i è matuthèi, chissà chel che i à tant da ride!» ma cuan che i à sentut chel che i aveva vedut i se à metùt a ride duth cuains e i è duth a dormì duth solevadi e contenth, altre che foĉ salvàre!

Cent’anni fa... L’influenza spagnola, conosciuta come «la spagnola», fu una pandemia influenzale, insolitamente mortale, che tra il 1918 e il 1920 uccise decine di milioni di persone nel mondo. Fu la prima delle pandemie del XX secolo. Per contrastare il contagio allora – come oggi – fu interdetto l’accesso a chiese, scuole, teatri, luoghi e mezzi pubblici. Come primo metodo di difesa per evitare la trasmissione della malattia fu richiesto l’uso di mascherine di tessuto. Nella foto di cent’anni fa tutti i componenti della famiglia si proteggono dall’eventuale contagio e... persino il gatto è dotato di mascherina! (foto cortesemente fornita da Silva Gasparutti Zambon)

Al tempo delle Lire... Questa bella fotografia, fornita dalla Teresuta Cianpanèr, ci riporta alla Festa degli Anziani organizzata nel cortile delle scuole l’11 agosto 1985, ben 35 anni fa. Tra le donne in primo piano, da sinistra si riconoscono Stana Krescevec Pinàl, Pia Zambon Pétol, Maria Zambon Biso, Luigia Ianna Tavàn, Teresa De Chiara Ciampanèr, Santina Carlon Lùthol. Un bel po’ di storia del secolo scorso! Testimone del tempo passato è anche il listino esposto dall’AFDS di Dardago che gestiva il chiosco: ingrandendo la foto si riescono a leggere i prezzi delle bevande: naturalmente in Lire!


La foto della mia prima supplenza a Dardago nella classe di terza elementare. Sostituivo il maestro Giacomo Zanchet. Sapevo di avere questa foto, la cercavo da tre anni: quando mio figlio, Paolo, me l’ha portata fui molto felice. Durante le feste del Dardagosto, ne parlai con uno dei miei allievi di allora, Antonio Vettor, che mi chiese la foto per farne una copia. Dalla foto è risalito al nome di quasi tutti gli scolari di allora.

Ho un ricordo bellissimo di quella classe: erano alunni educati, attenti, bravi. Vi assicuro che, forse per l’entusiasmo di essere nella scuola dove avevo frequentato le elementari, quella è stata l’esperienza più bella dei primi anni di insegnamento. Questi alunni hanno ora 72 anni; gli ultimi, quelli che ho lasciato nel 1990, quando sono andata in pensione, ne hanno 40 già compiuti. LUIGIA ZAMBON

Sopra, da sinistra: Luisa Bocus, Enrichetta Zambon Rosit, Rosanna Zambon Biso, Elida Rigo Moreal, Sonia Grassi, Francesca Busetti Frate, Irma Zambon Sclofa, Mariuccia Janna Tavàn, Angela Zambon Vialmin, Elvira Spina De la Cati, Modesta Zambon Tarabìn, Assunta Busetti Caporal, Irma Zambon Pinàl. Sotto, da sinistra: Franco Ianna Bernardo, Giacomo Del Maschio, Giuseppe Zambon, Antonio Vettor, ?, Respicio Pellegrini, Paolo Busetti Frate, Roberto Zambon, Roberto Pauletti, Pierino Zambon Tarabìn.

Chi si riconosce? Sembra strano – la foto non è vecchissima – ma non abbiamo trovato nessuno che riconosce i bambini. «Assomiglia a...», «forse potrebbe essere...», ma nessuna certezza. Sapranno i nostri attenti lettori dare un nome ai piccoli dell’asilo? Dovrebbero essere nati nei primi anni ’80.

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(foto gentilmente fornita dalla signora Ana Jacinta Rodriguez)

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Giorgio Igne L’AMICO. LO SCULTORE SENZA FRONTIERE. La prima domenica di luglio, durante la santa Messa in San Tomè, la comunità ha ricordato l’amico scultore Giorgio Igne, scomparso il 7 febbraio a Sacile all’età di ottantacinque anni. Anche l’Artugna desidera ricordarlo non solo come artista ma soprattutto come uomo.

Un talento artistico, quello di Giorgio, riconosciuto nel mondo e l’attributo di «scultore senza frontiere» lo rappresenta a pieno titolo. Le sue opere ‘vivono’ in molti Paesi dall’Europa all’America Centrale, dall’Africa alla Bolivia, dall’Argentina fino alla lontanissima Terra del Fuoco.

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Giorgio Zoccoletto

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Grande e unanime è il cordoglio per la sua scomparsa! Venezia, Mestre, Vittorio Veneto, Treviso, Sesto al Reghena, Pordenone, Polcenigo, Budoia, Dardago... nomi di località, ma soprattutto rappresentano le molte comunità che l’hanno stimato e che ancora lo ricordano con gratitudine.

Come uomo ci ha ‘mostrato’ la virtù della generosità, espressa in iniziative solidali come volontario nei territori dell’ex Jugoslavia durante la guerra e nelle missioni in Bolivia e come collaboratore in molteplici associazioni locali. Grazie alla sua generosità e ai legami di amicizia con persone di Dardago la parrocchia custodisce dal 2014 due sue opere: un tondo raffigurante Cristo Risorto e la statua che raffigura san Tomè nel momento tra la sospensione del grande dubbio e quello successivo della rivelazione. Ci piace ricordare la frase pronunciata dall’amico scultore nel giorno dell’inaugurazione: «È una parte di me che lascio lì». Grazie, Giorgio! Dentro il ‘tuo’ san Tomè hai lasciato tutta la tua anima, hai raffigurato l’esistenza umana, fatta di errori, incertezze e ripensamenti. VITTORIO

Il ricercatore e storico Giorgio Zoccoletto è stato autore di saggi e di moltissime pubblicazioni. Alimentata da grande passione, la sua vasta produzione letteraria è stata sempre accompagnata da spontanea cordialità e da generosità d’animo che subito suscitavano in chi lo frequentava grande simpatia. La redazione de l’Artugna e le Comunità di Budoia e Polcenigo saranno sempre grate per il lavoro di ricerca che ha saputo svolgere: l’aver messo ‘in luce’ con il libro «I Sei Comuni» le vicende e gli accordi stipulati tra le nostre genti e la Serenissima, nel lontano 1793. LA REDAZIONE


BERNA 88774

Molti sono i ricordi che si affollano nella mia mente e, come in una giostra, si inseguono, si confondono tra loro sino a perdere i contorni. Immutate restano però le emozioni, con le quali... mi ritrovo bambino, adolescente in collegio, adulto, uomo sposato... sento cantare Lucia, la fidanzata divenuta poi tua moglie... rivedo crescere i tuoi figli, Tamara e Andrea...

Dardago, Milano, Berna... infanzia, giovinezza, maturità. Vissuti i primi anni in paese con semplicità e freschezza, superate le difficoltà successive causate dall’ultima guerra, Milano ti accoglie come giovane e promettente meccanico, collaudatore e ardito pilota per stabilire a Monza, alla guida di una Vespa, il record di velocità. Una passione, la tua, tutta italiana! Da Berna giunge l’inaspettata richiesta di collaborazione da uno sconosciuto concessionario Piaggio: la tua professionalità era stata riconosciuta. E quel giorno cambiò il tuo destino. Il rombo di quel motore ti portò definitivamente fuori dall’Italia... ma sempre ‘in presa diretta’ con Dardago. In Svizzera coltivi l’altra tua grande passione, quella artistica. Frequenti e ti formi alla Scuola d’Arte di Berna, partecipi a diverse mostre di pittura e scultura collettive e personali, ricevi numerosi premi e riconoscimenti. Fondi e dirigi per tanti anni il «Gruppo Arte» della città. Generoso e altruista, sei un punto di riferimento per molti connazionali presso la «Casa d’Italia».

Pittore, scultore, incisore, fotografo, restauratore, narratore, attore, poeta... uno spirito libero! Legato profondamente alle tue origini e alla tua terra, mantieni inalterato negli anni quel ‘sentimento’ di appartenenza al paese, appreso sin da bambino. Collabori con il periodico l’Artugna fin dai primi numeri con racconti di vita, illustrazioni, poesie, articoli di arte, fotografie e durante l’estate di alcuni anni fa organizzi in asilo una retrospettiva che ‘parlava’ di te. Curioso... istrione... creativo... l’arte ti rendeva libero. E ora lo sei ancor di più! Ciao, Gero. VITTORIO TAVÀN

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Caro Gero, siamo arrivati ad agosto, ma è triste per me pensare che non vedrò più l’Alfa rossa, quella targata BE 88774, parcheggiata in piazza, quale segno del tuo arrivo.

L’ARTUGNA PORGE LE PIÙ SENTITE CONDOGLIANZE AI FAMIGLIARI

LASCIANO UN GRANDE VUOTO

Ruggero Zambon Pinàl

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L’ARTUGNA PORGE LE PIÙ SENTITE CONDOGLIANZE AI FAMIGLIARI

LASCIANO UN GRANDE VUOTO

Giovanni Andreazza «La morte è parte della vita; di questo tutti siamo consapevoli e dobbiamo cercare di viverla in attesa di raggiungere la Patria del Paradiso che Dio, in Gesù Cristo, ha promesso a coloro che si sforzano, giorno dopo giorno di compiere il proprio dovere di cristiani e di onesti cittadini». Con queste parole, don Vito Pegolo, Amministratore delle nostre Parrocchie, ha voluto ricordare Giovanni e, sicuramente, questo è il ricordo indelebile nel pensiero delle tantissime persone locali e dei dintorni che hanno affollato la chiesa sia durante il Rosario sia per l’ultimo saluto terreno ad una persona che ha amato la vita, il lavoro, la famiglia, ha rispettato il prossimo e ha speso del tempo anche per la Comunità civile, rivestendo il ruolo di Consigliere Comunale.

La presenza numerosa è stata di conforto alla moglie Bruna, alla figlia Valentina e a tutti i familiari. Quando viene a mancare una persona cara, non ci sono parole che leniscano il profondo vuoto che lascia, ma la vicinanza nella preghiera è sicuramente di conforto. Come significativa è stata la presenza ufficiale del Sindaco Ivo Angelin, presente con il gonfalone del Comune, quasi a voler dire a Giovanni quel grazie di cuore per il bene fatto a servizio di tutti, e spronare tutti a voler bene e a fare Comunità insieme. Era una persona buona ma determinata Giovanni, che del duro lavoro dei campi, svolto con onestà e con rettitudine si era fatto conoscere ed apprezzare, sino alla fine, dopo aver sopportato con tanta dignità una lunga e penosa malattia che aveva fiaccato il suo corpo, accompagnata, purtroppo, da alcuni lutti a breve distanza di familiari stretti (il fratello Tommaso, la cognata Mirella) ma non il suo spirito. Lo spirito, l’anima sono eterni, quindi immortali! Ai familiari, rinnoviamo la nostra vicinanza e il nostro cordoglio. MARIO POVOLEDO

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Andrea Zambon

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15 dicembre 2019. Ci hai lasciati per unirti ai tuoi cari lassù. Ti ricordiamo così, sempre sorridente e con una grande voglia di lottare e di vivere. Nel 1991 un brutto incidente ha portato via una parte di te ed una parte di noi, ma questo non ci ha mai fermato e tu cui hai insegnato che non bisogna arrendersi davanti al fato e agli eventi della vita. Caro Andrea, ti abbracciamo forte; sappiamo che ora riposerai in pace

senza la pesantezza della tua condizione, leggero e pieno di luce, d’amore e di eterna beatitudine. Ciao Andrea, nostro adorato figlio, fratello e amico: sarai per sempre nei nostri cuori. I TUOI FAMIGLIARI


Daniela Zambon Cara Daniela, il virus ha colpito anche te, incredulità, rabbia, sgomento e dolore… tanto. Da oggi sei libera da ogni costrizione e sofferenza. Vogliamo immaginarti come uno splendido angelo con grandi ali. Prendi sotto la tua ala e proteggi Attilio, Edoard e tutti noi che qui siamo rimasti a chiederci perché… Ciao, «Gia». NIPOTE MARTA, SORELLA SILVANA

...e tutti quelli che ti volevano bene

Giancarlo Angelin Ciao papà, ciao Giancarlo, sì perché era già da parecchio tempo che per avere la tua attenzione dovevamo chiamarti Giancarlo, le parole papà o nonno non le riconoscevi più. Ti abbiamo visto intrappolato in questa malattia che giorno dopo giorno ti ha portato via tutti i tuoi ricordi e tutta la tua vita, ma non ti ha mai portato via l’amore di tutti noi. La mamma, con tanta fatica e pazienza si è presa cura di te, con tanto amore per tutto il tempo, tempo che piano piano ha poi sgretolato anche il tuo fisico. Ma tutti noi sapevamo che non volevi vivere una vita senza controllo e vedere nei tuoi occhi la sofferenza e l’impotenza ci faceva molto male. Sappiamo che adesso dal cielo continuerai a essere presente nei nostri cuori e tu sappi che anche se non sei più qui con noi, metteremo sempre in pratica tutti i tuoi insegnamenti. Buon viaggio papà… LE TUE FIGLIE

Nando Zambon Rosit Caro Nando, è doloroso e difficile pensare che queste parole le stiamo scrivendo perché tu ora non ci sei più e vorremmo davvero che tu fossi ancora qui con noi a condividere il tempo, la vita e l’estate insieme. Purtroppo sappiamo che non è così; sei andato via troppo presto lasciando un vuoto immenso. Ci siamo lasciati ragazzini a Dardago con la spensieratezza e l’allegria dell’età, per poi ritrovarci dopo anni, adulti, ognuno con il proprio bagaglio di vita. Ma la distanza che ci aveva separato non è stata difficile da colmare ed era diventato così piacevole ritrovarsi ogni estate e condividere le chiacchierate, un caffè, una cena, una gita, una camminata a Mezzomonte, una serata in piazza, una puntata alla pesca...

La tua simpatia coinvolgente, il tuo umorismo mai banale e la tua intelligenza vivace allietavano i nostri incontri; avevi grandi doti comunicative e le persone che ti hanno conosciuto conservano di te un bellissimo ricordo ed è per questo che è così difficile lasciarti andare... Siamo sicuri che la fede in Dio ti ha aiutato in questa dura e immeritata prova. Ora sei stretto nell’amorevole abbraccio di Dio Padre e starai sicuramente pregando per tutti noi, soprattutto per la tua mamma, per Chloe, per Sara e Sabina. Noi porteremo sempre nel cuore i doni preziosi che ci hai lasciato. Grazie, Nando! Con profondo affetto. I TUOI CUGINI


Nadia Carlon

LA CRONACA DELLA COMUNITÀ DI DARDAGO / BUDOIA / SANTA LUCIA

8 dethémbre del 2019, l’Imacolata a Buduoia

...esempio del più alto volontariato Ci ha lasciato Nadia Carlon, una delle colonne del Comitato provinciale dell’Unicef di Pordenone. Da oltre vent’anni sosteneva i progetti dell’Unicef dedicati ai bambini meno fortunati e lontani garantendo l’apertura della sede, l’accoglienza e informazioni di quanti vi si recavano. Per anni, fino a quando le condizioni di salute gliel’hanno permesso, ha allestito e gestito banchetti per raccogliere fondi in varie Campagne o proporre le nostre belle ‘pigotte’. Sempre disponibile e generosa verso tutti è stata ed è un esempio del più alto volontariato, quello che ha come obiettivo il bene dell’altro, della comunità. Volontaria discreta, ma sempre affettuosamente presente, fortemente motivata a sostenere

i diritti di tutti i bambini, assieme al marito Eros è stata punto di riferimento per gli altri volontari che ora addolorati così la ricordano: «Nadia cara, ci mancherai. Ricordiamo la tua bella persona, la tenerezza e semplicità con cui accoglievi noi tutti, la positività nei confronti della vita. Averti conosciuta è stato un grande dono. Ci hai insegnato che non ci sono calcoli quando si vuole fare il bene, con il tuo esempio e il tuo sorriso nel cuore andiamo avanti. Impossibile non volerti bene. Molti sono i bambini più sfortunati che in silenzio in questi anni hai aiutato ad avere una vita migliore e di questo tutti ti sono particolarmente grati». I FAMIGLIARI E IL COMITATO PROVINCIALE DELL’UNICEF

...ci donava un dolce sorriso Alla fine dell’anno scorso Nadia ci ha lasciati improvvisamente. Nel vuoto che si è creato, ora trova spazio il ricordo di una compagna di scuola semplice e buona. Negli incontri di questi ultimi anni era piacevole dialogare con lei scambiandoci le notizie e le esperienze delle nostre vite. Parlava in maniera calma e pacata e nonostante le difficoltà che la vita riservava, lei ci donava sempre

un dolce sorriso che le nasceva dal cuore e che trasmetteva tranquillità dell’animo e serenità. Ci manchi Nadia, tu ora non sei più con noi ma farai sempre parte di noi! GIULIANA A NOME DEI COETANEI DEL 1949

La tradizionale ricorrenza dell’Immacolata rappresenta un momento liturgico importante per la Parrocchia di Budoia che associa la Festa ad una raccolta fondi a sostegno dell’Area Giovani del C.R.O di Aviano. Un appuntamento con la solidarietà che continua dal 2008 con grande e affettuosa partecipazione della Comunità. Santa Messa celebrata da don Vito Pegolo, Amministratore Parrocchiale, accompagnata dal coro dei bambini del catechismo, veramente numerosi e partecipi e con l’esecuzione di musiche per organo e tromba a cura di due giovani musicisti, Federico Bortolin e Diego Rover. Nel suo intervento Il dott. Maurizio Mascarin. presente come ogni anno in rappresentanza del reparto che coordina con grande competenza e passione, ha ricordato l’impegno degli operatori sanitari e le sinergie in corso con le strutture ospedaliere di tutta Italia «affinché nella cura dei linfomi di cui il C.R.O è capofila, tutti bambini possano avere le medesime cure ed attenzioni. È importante il sostegno di tutti ed anche della Parrocchia di Budoia che da oltre 10 anni con le torte offerte dalle famiglie riesce a contribuire con continuità alla realizzazione dei nostri progetti. Grazie per l’invito ad essere qui con voi che ho raccolto con piacere, a nome di tutti i miei collaboratori e ai bambini e familiari che condividono cure, spazi, aiuti». Per finire, processione dell’Immacolata portata dai «Cappati di Palse» per le vie del paese e se-


Insieme pa’ i auguri de Nadhàl Don Vito, accogliendo il desiderio dei volontari della Parrocchia di Budoia, ha promosso, il 18 dicembre, un momento di incontro conviviale presso l’Oratorio a base di «Pizza e Panettone», allietato da un brindisi di augurio finale. «Un ringraziamento caloroso e fatto con il cuore va a tutti voi che operate nei vari settori: catechismo, liturgia, canto, pulizia, addobbi della Chiesa, gestione contabile ed amministrativa, con la speranza che ciò che state facendo con dimostrato impegno possa continuare».

Foto di gruppo, al termine della processione, con i bambini del catechismo.

C.A.D. (Comitato Artistico Dardago) formato da figure legate al mondo dell’arte per amore, per passione o per professione. Sono stati fatti alcuni incontri per individuare il nome del Progetto e per preparare una ‘bozza di regolamento’. Per lo studio del marchio è stato coinvolto Fabio Scarioni, un «creativo junior» milanese con origini dardaghesi (de Cariola).

Un libre su i misteri del mar

FULVIA MELLINA

Dardacolòrs: in therca de pitors pa’ i murs Da tempo si cullava l’idea di portare a Dardago qualificati «artisti di strada» per abbellire i muri delle case, come già fatto nel bellunese, nell’agordino e in altri paesi, impreziosendoli con disegni, immagini che raccontassero storie di tradizioni e cultura locali. Così lo scorso agosto, ad opera di un gruppo di persone, è nato il

Un sonoro applauso ha accompagnato le sue parole alle quali ha fatto seguito un gioioso scambio di auguri a suon di musica con il dichiarato proponimento di stare tutti insieme più spesso.

Sono nate idee, proposte e il Dardagosto 2019 è stata l’occasione per ricercare persone interessate ad offrire la propria abilità artistica per un murale nel nostro paese. Recentemente il tutto è stato consegnato nelle mani del Sindaco per visione, analisi e fattibilità. Nel frattempo Toni Zambon Mao ci ha anticipato facendo realizzare dall’artista Dunio Piccolin un bellissimo esempio di graffito. AIDE BASTIANELLO

L’editore Daniele Marson di Santa Lucia ha pubblicato Aqua, misteri del mondo sommerso di Pietro Formis ed Emilio Mancuso, risultato il miglior libro dell’anno al prestigioso concorso fotografico «Underwater photography Book of the year». Si tratta di un libro dedicato al viaggio attraverso le forme, i colori, le luci e i comportamenti, dagli oceani ai mari tropicali, al Mar Rosso fino al Mar Mediterraneo. Complimenti per il successo raggiunto dalla piccola editoria.

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guita da un folto gruppo di fedeli. Sul sagrato, durante tutta la mattinata, le mamme volontarie hanno proseguito nella raccolta fondi offrendo gustosi dolci casalinghi molto apprezzati. Grazie alla maestra Annamaria che ha coinvolti i bambini della Scuola dell’Infanzia di Palse nella preparazione di biscotti e colorati disegni che hanno rallegrato il banchetto, alle catechiste per la preparazione dei bambini impegnati nelle letture e nei canti con grande gioia e a tutti coloro che hanno collaborato alla buona riuscita dell’iniziativa che ha permesso di raccogliere 1.260,00 euro di cui 100,00 euro – offerti dall’ANA Sezione di Budoia.

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A nof la curva de via San Tomè La curva, poco sopra il portone al numero 47 di via San Tomè – quello che, un tempo, chiudeva il cortile dei Busetti Caporal – era molto stretta e insidiosa visto il notevole traffico di veicoli e di... biciclette! L’Amministrazione comunale ha pensato bene di migliorare questo tratto con la demolizione del muro di cinta originale e la sua ricostruzione arretrando e addolcendo la curva. Le due foto danno l’idea dei lavori che permettono di affrontare la curva con maggiore visibilità (prima molto ridotta). Ovviamente, anche se la curva è più larga, bisogna sempre affrontarla con attenzione, riducendo la velocità: nel centro storico del paese, opportunamente, vige il limite dei 30 km/ora.

La senta de la luna

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Ezio, Angelo e Claudio restaurano ed installano una panchina sul Ciastelàt vicino a quella risalente a circa quindici anni fa. Un ringraziamento anche a Gianpietro per aver fornito e trasportato in loco il materiale. La prima ad inaugurare la senta è Luna, la simpatica e fedele cagno-

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Il tratto di via San Tomè, prima e dopo i lavori per il miglioramento della viabilità.

lina che accompagna sempre Arnaldo nelle passeggiate. Nasce così a Franco l’idea di definirla la senta de la luna. Il luogo è particolarmente interessante. Da qui si può ammirare un ampio panorama verso la pianura, scrutare la luna e le stelle dell’Orsa Maggiore e Minore nella volta del cielo e individuare in cima alla montagna, a sinistra della Val Granda, una zona il cui toponimo – guarda caso – è Luna!

A San Tomè con le mascherine Da molti anni, la prima domenica di luglio – dedicata all’apostolo San Tommaso – è caratterizzata dalla festa della famiglia presso la chiesetta di San Tomè ai piedi dell’omonimo Crep in Val del Croda, sopra Dardago. È una tradizione che richiama molti fedeli, anche di Budoia e di Santa Lucia. Quest’anno la festa è stata ovviamente condizionata dal periodo in cui stiamo vivendo. Erano presenti solo una quarantina di persone. Per rispetto delle norme antipandemia, la Santa Messa non è stata celebrata nella piccola chiesa ma all’esterno e i fedeli, tutti con la maschera protettiva, hanno mantenuto la distanza richiesta. La Messa, celebrata dal parroco, don Maurizio, era accompagnata da alcuni componenti del coro parrocchiale.


Durante l’omelia, è stata ricordata la figura di Giorgio Igne, lo scultore sacilese recentemente scomparso, che qualche hanno fa ha scolpito e donato la statua di San Tommaso. Al termine della cerimonia non è stato possibile preparare il consueto pranzo comunitario a causa delle rigorose regole imposte per evitare o ridurre i rischi di contagio. Appuntamento al prossimo anno, confidando nel ritorno della normalità.

Alle scritte vandaliche di un gruppo di graffitari sulla porta della centralina elettrica, sui pannelli informativi del progetto «Archivio

Tignuth e rincurath Ruial e Lagheto Pinàl Sono ormai tante le persone che frequentano la Val de Croda e in particolare amano percorrere il sentiero lungo il Ruial e sostare al Laghetto Pinàl. I luoghi sono belli per natura, ma sono anche tenuti bene, forse anche per questo riscuotono tanto successo. Con la passione che li contraddistingue, sono i volontari del Comitato del Ruial de San Tomè che si dedicano a tenere in ordine tutto il percorso del Ruial e l’area del laghetto. EURIDICE DEL MASCHIO

a cielo aperto», sulla segnaletica stradale, sui muri della biblioteca, se ne sono aggiunte altre – al tempo del coronavirus – che hanno imbrattato e deteriorato la parete esterna dell’abside della chiesa di Budoia, marcando così

Par amor de i giath

Anche nei nostri paesi esistono le colonie feline autorizzate dal Comune. Sono munite solitamente di piccole casette in legno o plastica dove i gatti possono ripa-

rarsi dalla pioggia e dove ricevono il cibo dai volontari. I rifugi sono un servizio non solo per gli animali ma anche per la popolazione e maltrattarli o abbandonarli è perseguibile dalla legge.

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A Buduoia, i à sporciat i murs de negre

l’intero paesaggio con il nero delle bombolette spray. Sono gesti incivili che offendono la collettività e l’elevato senso di civiltà della nostra gente.

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AUGURI DALLA REDAZIONE!

La gente di Santa Lucia è profondamente grata e ringrazia di cuore Orietta Pastorutti Polat per aver fatto restaurare la Madonnina del capitello sulla strada per la stazione.

L’ INNO ALLA VITA

El Capitel de la Madona a Santa Luthia

Il 13 dicembre 2019, Francesca Pujatti ha ottenuto la laurea Magistrale a Melbourne, Australia, conseguendo il Master of International Business con il massimo dei voti presso The University of Melbourne. Congratulazioni, Francesca, ed auguri di cuore per il tuo futuro!

È con grande piacere che vi presentiamo l’arrivo della nuova generazione a casa nostra. Il 3 dicembre 2019, abbiamo avuto la gioia di accogliere nostra bis-nipote, quarta generazione femminile. Vi presentiamo Jade, figlia di Charline, figlia di Sandrina, figlia di Claudine cosi diventata bis-nonna ed io bisnonno. Jade apre la porta alla nuova generazione, dopo che i figli ci hanno dato 14 nipoti, è arrivata la prima pro nipote che è entrata nella grande famiglia dei Puppin Putelate di Budoia.

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ELIO FR. PUPPIN

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Il lavoro di restauro è stato magistralmente eseguito da Maria Assunta Gambarini; Ciro Zaccaria, marito di Orietta ha ripristinato il tetto e gli scalini che contornano il capitello che ora ha un aspetto decisamente piacevole. L’inaugurazione è avvenuta l’ultima sera di maggio, con la recita del Santo Rosario. Lo arricchiva una composizione di rose, offerta da Regina Pagotto.


I NE À SCRIT...

VIA DELLA CHIESA, 1 / 33070 DARDAGO [PN] DIREZIONE.ARTUGNA@GMAIL.COM

Roveredo, 30 gennaio 2020

SERGIO GENTILINI

NOTE 1. Don Pietro Furlanis negli anni 1960 era parroco a Rorai Grande, poi mons. Abate a Sesto al Reghena: di lui conservo la Guida dell’Abbazia, da lui curata nel 1989, con la sua firma in prima pagina. Guida poi ristampata da don Giovanni Perin nel settembre 1998: due volumi che conservo gelosamente nella mia Biblioteca.

Grazie, Cavaliere Gentilini, per le sue parole di apprezzamento per «l’ampio e ben documentato ricordo» di don Giovanni Perin. Apprezzamento che si aggiunge ai commenti positivi di molti lettori. Grazie anche per la Sua offerta.

ACCOMPAGNANO LE OFFERTE Rinnovo il mio abbonamento ed invio i miei auguri per le prossime festività. GIAMPIERO SIGNORA CERNUSCO SUL NAVIGLIO

Grazie mille per la sua generosità. Ricambiamo gli auguri!

❦ Per l’Artugna, tanti cari saluti dal Canada. ANTENORE E GIACINTA NADIA BOCUS

Ringraziamo di cuore i fratelli Frith che dal lontano Ontario (Canada) si ricordano sempre del nostro periodico che li tiene uniti al loro paese d’origine.

Ringraziandovi, faccio tanti auguri a tutti! ANTONELLA ZAMBON – MILANO

Auguri anche a te, Antonella, e grazie per il contributo.

❦ In ricordo di Eutimia Pajalich. LOREDANA CARLON – VALLEGGIA

Ricordiamo la signora maestra Eutimia come una nostra affezionata lettrice.

❦ Siete sempre speciali e per noi, sempre nel nostro cuore. Grazie. DONATELLA BESA – VENEZIA

Grazie per le belle espressioni!

Auguri vivissimi di Buon Natale e lieto anno nuovo di serenità e pace per tutta l’umanità.

SILVANA ZAMBON – PORDENONE

Grazie per gli auguri che facciamo nostri: Pace e serenità per tutta l’umanità!

❦ Vi ringrazio per il vostro appassionato lavoro. Cordiali saluti. DONATELLA ANGELIN – MILANO

Un saluto e un grazie a te e ai tanti lettori che ci seguono da Milano.

Invio per abbonamento a l’Artugna e ricevete i miei più cordiali saluti. CARLA DEL MASCHIO MUNSINGEN BERNA SVIZZERA

❦ Vi ringrazio per l’Artugna e rinnovo l’abbonamento. ANGELINA DEL MASCHIO – SVIZZERA

Ringraziamo le sorelle Carla e Angelina per la loro generosità ed inviamo un caloroso abbraccio da Budoia.

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Spett. direzione, ho appena ricevuto il periodico, e come sempre mi piace sfogliarlo e poi soffermarmi sugli articoli che hanno catturato la mia attenzione. Questa volta mi son fermato a leggere con emozione l’ampio e ben documentato ricordo di don Giovanni Perin, che anch’io ho conosciuto: qualche volta a Roveredo, poi nel campeggio frequentato dai miei figlioli e poi a Sesto al Reghena, dove avevo già incontrato l’abate mons. Pietro Furlanis.1 Don Giovanni ci accoglieva a Sesto quando accompagnavo qualche gruppo di Anziani del Lavoro della Zanussi REX, sempre affabile e signorilmente accogliente e delicato, illustrandoci le pitture all’interno dell’Abbazia dopo la celebrazione della santa Messa. Una canna (ma non sbattuta dal vento come diceva San Giovanni il Battista) che il Signore riempiva di musica: coinvolgente e impegnato, come scrive bene l’amico artista Umberto Coassin, una delle varie voci che ricordano la figura di questo Sacerdote. Si impegnò molto senza risparmiarsi, sì è vero, ed eccolo in copertina sorridente e felicemente sereno tra i ‘suoi’ ragazzi, o quando accompagnava il Coro e i ‘suoi’ danzerini: una fiamma di gioventù e di generosa vitalità cristiana. Un plauso dunque per questo numero dedicato soprattutto a don Giovanni, e anche e come sempre, per la cura e la bellezza di questa rivista giunta al n. 148! Con fervidi auspici per un futuro sempre così intensamente intelligente e coinvolgente. Bravi, bravi tutti (anche al fotografo del pettirosso: bellissimo!) e… buon lavoro. Mandi, mandi.

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Milano, 16 luglio 2020

Gentilissimo Direttore, cari amici de l’Artugna, vi ringrazio di cuore per l’opportunità di condividere su queste pagine un progetto a cui tengo molto e che riguarda le persone con disabilità. Qualche tempo fa proprio su l’Artugna era stato pubblicizzato il mio racconto «Non lo so, io lo chiamo Amore» sempre a sostegno di progetti benefici. Oggi vengo a rendervi partecipi di una nuova sfida che riguarda l’autonomia e l’integrazione delle persone con disabilità adulte.

Una sfida che ho deciso questa volta di affrontare in prima persona insieme all’Associazione Amici di Laura di Usmate Velate (Monza Brianza) e che prevede nel periodo 2020-21: • Progetto Atinù la realizzazione di soggiorni in autogestione e la partecipazione dei ragazzi alla vendemmia e l’organizzazione di cene preparate insieme ai ragazzi in occasione di eventi o incontri con amici; • Progetto Crescere Abitando la riqualifica di un appartamento per permettere l’avvio di percorsi di autonomia abitativa e inclusione nel territorio. 100 Persone! Dipende tutto da Voi! Perché a differenza di altre volte, per realizzare questi piccoli, grandi sogni mi affido completamente alle persone, ad ognuno di voi, nella certezza che tutte le relazioni costruite in questi anni possano diventare la forza per sostenere questi ragazzi. Vorrei accorciare quella distanza che da sempre diventa la causa principale del loro isolamento e riportarli «dentro” quella «comunità» a cui appartengono. Piccole donazioni accessibili a tutti ma che coinvolgano un numero elevato di persone. 100 ma anche di più. Un’adozione a distanza, una sfida «in direzione ostinata e contraria». La tenacia il coraggio che servono vengo a prenderlo da Voi. Ho pensato di rivolgermi alla comunità di Dardago, quella di mia mamma Augusta, dei miei nonni Eugenio Zambon e Luigia Bocus. Ringrazio di cuore Roberto Zambon e tutte le persone che in questi anni mi hanno sempre teso una mano e riavvicinato a questa magnifica terra. Vi aspetto! Grazie! MIRKO CAMPINI

Dona a

Associazione Amici di Laura Usmate Velate (MB)_via Valletta, 6 Mirko Campini info mircocampini66@gmail.com

Banca Creval – Agenzia di Usmate Velate IBAN IT76W0521633950000000004001 Causale Atinù

IL BILANCIO NUMERO 148 Situazione economica del periodico l’Artugna

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entrate

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Costo per la realizzazione

uscite 3.945,00

Preconfezionamento e spedizioni

358,00

Entrate dal 01.12.2019 al 15.07.2020

5.015,00

Totale

5.015,00

4.303,00


programma religioso VENERDÌ 14 AGOSTO 2020 • Confessioni • Santa Messa

o ag rd a D

16.00 –

SABATO 15 AGOSTO 2020 FESTA DELL’ASSUNTA • Santa Messa Solenne 10.30 Processione con la statua della Madonna [ piazza, via Tarabin, piazzetta del Cristo, via San Tomè, piazza] Saluto del Pievano • Santa Messa – DOMENICA 16 AGOSTO 2020 • Santa Messa in cimitero • Santa Messa

11.00 _

ia do Bu

ia uc L a nt Sa

– 18.00

– –

18.00

– 11.00

– 10.00

FESTA DELL’ASSUNTA A causa delle difficoltà organizzative dovute alla normativa anticontagio, quest’anno non si terranno i tradizionali festeggiamenti.

Rilegatura dei vecchi numeri de l’Artugna Più di qualche lettore ci ha fatto presente che, da molto tempo, non proponiamo la rilegatura della rivista. Abbiamo verificato che l’ultimo volume è stato realizzato nel 2015 (rilegando 15 numeri – dal 119 al 133 – pubblicati negli anni 2010-2014). Di conseguenza proponiamo di rilegare i numeri dal 134 al 148, relativi agli anni 2015-2019. Chi fosse interessato può: > contattare personalmente la redazione (Vittorina Carlon – Budoia; Roberto Zambon e Vittorio Janna – Dardago) > telefonare al 348 8293208 > inviare una mail a direzione.artugna@gmail.com Il costo della rilegatura è di 25 euro. Eventuali numeri mancanti possono essere richiesti al costo di 10 euro cadauno (fino ad esaurimento). Eventualmente, oltre a questa rilegatura, è possibile richiedere anche la rilegatura di anni precedenti (max. 15 numeri a volume).

...e «Cent’anni dalla Grande Guerra» Ricordiamo, infine, che sono disponibili anche alcune raccolte complete dei fascicoli «Cent’anni dalla Grande Guerra», al prezzo di 50 euro.


Il graffito di via San Tomè ❖ Due bambini, a piedi nudi, si divertono a scivolare nel Ruial. Un cagnolino segue divertito la scena. Il capitello di Ciathentai segna idealmente la linea di confine tra l’abitato e la montagna. È l’interpretazione artistica dell’antico gioco che intere generazioni di ragazzi hanno praticato lungo il corso del Ruial. L’autore, Dunio Piccolin, è annoverato tra i maggiori artisti italiani del graffito murale e quello di Dardago è il primo eseguito in Friuli.

❖ foto di Francesca Romana Zambon


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