ASA Magazine Anno 3 – Numero 10 – Marzo 2019 – Rivista bimestrale
LA RIVISTA DELL’ ASSOCIAZIONE STAMPA AGROALIMENTARE ITALIANA Registrazione Tribunale Lg. 48/1948 – Tutti i diritti riservati – Dir. Resp. Roberto Rabachino
Criminalità Salgono i reati del settore agroalimentare
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ASA al servizio della corretta comunicazione
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’Associazione Stampa Agroalimentare Italiana è uno strumento di raccordo e di sintesi, di stimolo e di supporto, di analisi e di costruttiva critica. La nostra mission è offrire supporto e collaborazione a tutti quei giornalisti e/o operatori dell’informazione che hanno nella serietà, nella moralità, nella sensibilità, nel rispetto e della deontologia professionale, le loro principali caratteristiche. Iniziative, progetti, eventi collegati ai nostri associati troveranno il giusto spazio all’interno del nostro sito, nei nostri social, nella nostra rivista e nella nostra newsletter inviata settimanalmente a più di 30.000 iscritti. Sensibile alle tematiche legate alla professionalità degli operatori della comunicazione di settore, ASA è anche uno strumento di formazione per i propri iscritti con un programma di corsi specialistici a loro dedicati in forma gratuita.
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ASA MAGAZINE n. 10 / 2019 – Marzo 2019 – Rivista Bimestrale Registrazione Tribunale Lg. 48/1948 Direttore Responsabile N.10 / MARZO 2019 Rivista Bimestrale
Roberto Rabachino C.so Galileo Ferraris, 138 - 10129 Torino Tel. +39 011 5096123 - Fax +39 011 5087004 direttore.asamagazine@asa-press.com
Redazione Centrale e Editing
Enza Bettelli C.so Galileo Ferraris, 138 - 10129 Torino Tel. +39 011 5096123 - Fax +39 011 5087004 redazione.asamagazine@asa-press.com bettelli@asa-press.com
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Comitato di Redazione e Controllo
Roberto Rabachino, Giorgio Colli, Patrizia Rognoni, Riccardo Lagorio e Saverio Scarpino
Hanno collaborato a questo numero
Roberto Rabachino, Stefano Borelli, Gladys Torres Urday, Jimmy Pessina, Carmen Guerriero, Giovanna Turchi Vismara, Franca dell’Arciprete Scotti, Settimia Ricci, Silvia Donatiello, Enza Bettelli, Paolo Alciati, Nicoletta Curradi, Redazione Centrale
Per la fotografia
Jimmy Pessina, Carmen Guerriero, Carmelo Sichinolfi, Franca Dell’Arciprete Scotti, Enza Bettelli, In a Half Shell Blog, Cambria Bold, Red Oyster
Sommario EDITORIALE È allarme olio italiano
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a cura di Roberto Rabachino, Presidente Nazionale ASA
APPROFONDIMENTO Prezzi top per i vigneti italiani
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di Stefano Borelli
Sul podio della MotoGP ™ c’è anche il Prosecco DOC
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a cura di Paolo Alciati
Controlli, nel 2018 oltre 54mila controlli effettuati
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a cura Redazione Centrale su dati MIPAAFT
DL Semplificazioni, è legge l’etichetta d’origine Made in Italy
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a cura di Gladys Torres Urday su dati Coldiretti
TURISMO NAZIONALE Dolomiti: i monti pallidi
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di Jimmy Pessina
Marche, opulenta bellezza di una terra plurale per definizione
40
di Carmen Guerriero
Oltrepò Pavese. Un lembo di Appennino in Lombardia
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di Giovanna Turchi Vismara
Romagna solatia...
56
di Franca Dell’Arciprete Scotti
Vino, cultura, economia, turismo per il rilancio dell’Irpinia
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di Carmen Guerriero
TURISMO INTERNAZIONALE Gran Canaria, un incontro di culture e gastronomia nel corso dei secoli
70
di Silvia Donatiello
Grecia, l’isola di Creta
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di Jimmy Pessina
In Bretagna, lungo la Strada dei Fari e alla scoperta degli antichi castelli di Giovanna Turchi Vismara
Alla scoperta della Grecia Occidentale di Franca Dell’Arciprete Scotti
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AGROALIMENTARE NAZIONALE
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Non è Pasqua se non c’è l’agnello in tavola!
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I mangiari della Quaresima
a cura di Settimia Ricci
di Enza Bettelli
AGROALIMENTARE INTERNAZIONALE
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Huître, oyster, oester, ostra … òstrega! di Paolo Alciati
NEWS DALL’ITALIA
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Criminalità, salgono i reati del settore agroalimentare a cura Redazione Centrale - Fonte Coldiretti
Il digitale entra nella filiera agroalimentare a cura Redazione Centrale su dati Ufficio stampa Osservatorio Smart AgriFood
Consorzio Soave presenta un modello di sostenibilità a cura Redazione Centrale
Toscana sempre più al top con i suoi vini di Nicoletta Curradi
Donne del vino e Design, dal 2 al 9 marzo esplode in tutta Italia la festa delle Donne del Vino di Carmen Guerriero
NEWS DAL MONDO
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Pau Roca nuovo direttore OIV da Redazione Centrale
Allunaggio, Visit USA Italy, viaggi speciali e originali per il 50° anniversario di Carmen Guerriero
È allarme olio italiano Ho deciso di pubblicare integralmente in questo mio spazio il comunicato della Coldiretti nel quale si evidenzia - per la prima volta nella storia - che la produzione nazionale potrebbe essere sorpassata da quella della Grecia e del Marocco. E’ un momento molto grave per il comparto italiano, corretto è dare il massimo di visibilità al grave problema.
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el 2019 addio a 6 bottiglie di extravergine Made in Italy su 10 sugli scaffali dei supermercati per effetto del crollo del 57% della produzione che scende ad appena 185 milioni di chili, su valori minimi degli ultimi 25 anni. E’ quanto emerge dall’analisi della Coldiretti presentata al primo Summit internazionale organizzato dall’Unaprol e dalla Coldiretti con la presenza degli agricoltori, degli industriali, della distribuzione commerciale e dei consumatori, insieme ai vertici del Consiglio Oleicolo Internazionale (Coi) e ai rappresentanti delle istituzioni nazionali. Sul tavolo la drammatica situazione degli ulivi italiani colpiti dai cambiamenti climatici, del propagarsi inarrestabile della Xylella e della concorrenza sleale provocata dalle importazioni low cost spacciate per italiane. In particolare sono state le Regioni del Mezzogiorno ad accusare le perdite maggiori, con la Puglia, che da sola rappresenta circa la metà della produzione nazionale, colpita da una flessione stimabile attorno al 65%, a causa delle gelate mentre continua inarrestabile la diffusione della Xylella che si stima abbia già determinato perdite per 1,2 miliardi di euro secondo la Coldiretti. Per la prima volta nella storia la produzione nazionale potrebbe essere sorpassata da quella della Grecia e del Marocco mentre si avvicina pericolosamente addirittura la Turchia e la Spagna allunga la distanza con ben 1,6 miliardi di chili e raggiunge un quantitativo quasi nove volte superiore. Senza interventi strutturali l’Italia rischia di perdere per sempre la possibilità di consumare extravergine nazionale con effetti disastrosi sull’economia, il lavoro, la salute e sul paesaggio. Con il crollo della produzione nazionale a crescere sono le importazioni dall’estero con aumenti record degli arrivi dalla Tunisia che fanno registrare un balzo in quantità di quasi il 150% secondo le proiezioni Coldiretti su dati Istat relative ai primi dieci mesi del 2018.
Aumenta cosi il rischio di frodi e sofisticazioni a danno del vero Made in Italy che colpiscono i produttori agricoli e i consumatori. Per non cadere nelle trappole del mercato il consiglio della Coldiretti per scegliere Made in Italy è quello di diffidare dei prezzi troppo bassi, guardare con più attenzione le etichette e acquistare extravergini a denominazione di origine Dop, quelli in cui è esplicitamente indicato che sono stati ottenuti al 100 per 100 da olive italiane o di acquistare direttamente dai produttori olivicoli, nei frantoi o nei mercati di Campagna Amica dove è possibile assaggiare l’olio EVO prima di comprarlo e riconoscerne le caratteristiche positive. Oggi nella stragrande maggioranza delle confezioni serve la lente d’ingrandimento per leggere le minuscole scritte, poste spesso sul retro, “miscele di oli di oliva comunitari”, “miscele di oli di oliva non comunitari” o “miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari” obbligatorie per legge nelle etichette dell’olio di oliva dal primo luglio 2009. “Per affrontare l’emergenza serve un intervento mirato per consentire ai produttori duramente colpiti dalle gelate di ripartire con un adeguato coordinamento istituzionale tra il livello regionale e quello nazionale” afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel denunciare “i ritardi accumulati con il rinvio della presentazione alla conferenza Stato Regioni del decreto per far partire il piano di interventi per fermare la Xylella fastidiosa in Puglia”. In questo scenario sul piano strutturale per rimanere competitivi e non essere condannati all’irrilevanza in un settore fondamentale per il Made in Italy deve partire al più presto il Piano Salva Olio presentato dalla Coldiretti per rilanciare il settore con una strategia nazionale e investimenti adeguati, anche per realizzare nuovi impianti, così come è stato fatto da altri Paesi concorrenti. A cura di Roberto Rabachino Presidente Nazionale ASA Fonte Coldiretti
Prezzi top per i VIGNETI ITALIANI Dal Nord al Sud scorriamo qualche dato di questi numeri da record. di Stefano Borelli
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Comprati un pezzo di terra”, si diceva una volta. Ad averlo fatto qualche anno fa, soprattutto se sopra c’era una vigna, avremmo fatto l’affare della vita. Lo si evince da un’indagine del sito di informazione Wine News dal quale emerge che le quotazioni di alcuni vigneti italiani hanno raggiunto
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prezzi da capogiro: in primis il Barolo e quelli del Brunello di Montalcino. Quest’ultima zona, dove i cru più importanti viaggiano intorno ai 900 mila euro per ettaro, ci danno un’idea dell’incremento di valore nel corso degli anni: + 4500 % dal 1996 ad oggi. Ma andiamo in ordine dal Nord al Sud e scorriamo qualche dato di questi numeri
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da record che, seppure lontani da quelli di zone come la Borgogna, il Bordeaux e lo Champagne, vedono l’Italia in netta crescita. Al primo posto, troviamo le zone del Barolo, dove un ettaro vale in media 1,2 milioni di euro, con punte di 2,5 milioni per le zone più vocate delle Langhe, da pochi anni indicato dall’Unesco come
patrimonio dell’Umanità. Sempre in Piemonte, restando nelle Langhe-Roero e nel Monferrato in provincia di Cuneo, le vigne dove si produce il Barbaresco, anch’esso da Nebbiolo, si attestano sui 600 mila euro ad ettaro. Andando in Veneto nel Veronese nella zona della Valpolicella, si produce uno dei vini più amati all’estero, l’Amarone. Qui i terreni sono quotati tra i 450 e i 600 mila euro ad ettaro.
Il Prosecco, coltivato in Veneto e Friuli, visto l’enorme successo che sta riscuotendo nel mondo, è un’altra delle star del momento. Quello della zona Docg di Conegliano Valdobbiadene ha un valore medio di 400 mila euro per ettaro. Circa un milione, invece, per la sottozona Cartizze. Nel Friuli gli ettari coltivati per il Prosecco, con il vitigno Glera, si scambiano a 200 mila euro. In Lombardia i terreni più cari
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sono quelli della Franciacorta, in provincia di Brescia, scambiati a circa 300 mila e quelli della Lugana, nella zona sud del lago di Garda, in netta ascesa e anch’essi vicini ai 300 mila ad ettaro. Nell’Alto Adige sono molto richieste le vigne dei bianchi, con cifre che vanno dai 500 mila ad un milione di euro per i territori più importanti. Arrivando in Italia centrale, troviamo il re Brunello. Si parte dai 600 mila euro per
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alcune vigne di Sangiovese che vent’anni fa si potevano comprare a prezzi molto più abbordabili. I cru più famosi, quelli che incorniciano il paese di Montalcino, e spesso acquistati da gradi gruppi venuti dall’estero, possono arrivare fino al milione di euro. Sempre in Toscana da segnalare il boom della zona del Bolgheri, terra di
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supertuscans. Le vigne dei territori che hanno dato vita al Sassicaia 2015, miglior vino al mondo del 2018 secondo la rivista Wine Spectator, ma anche all’Ornellaia e al Masseto, valgono intorno a 500 mila euro. Non da meno le zone del Chianti che si attestano sui 200 mila euro e quelle che danno un altro dei grandi vini toscani, il Nobile di
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Montepulciano, valore 150 mila. Per l’Italia centrale buona performance anche per i vigneti di Sagrantino di Montefalco in Umbria, che valgono circa 80 mila a ettaro. Nel Sud, facendo un salto di parecchi chilometri, le vigne più pregiate si coltivano sulle pendici dell’Etna, Qui, dove si producono grandi bianchi e rossi, i terreni si scambiano per 100 mila euro a ettaro. ▣
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Sul podio della MotoGP ™ c’è anche il Prosecco DOC Lo spumante più importante d’Italia diventa partner ufficiale di MotoGP™. a cura di Paolo Alciati
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ccanto all’esperienza positiva con la WorldSBK avviata nel 2013, il Consorzio di Tutela
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della DOC Prosecco e Dorna avviano una nuova era di collaborazione sul podio del Campionato Mondiale FIM MotoGP™. Il Prosecco DOC diventa
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supplier del campionato a due ruote più seguito al mondo, assumendo un ruolo chiave non solo sul podio, ma anche nel MotoGP VIP Village™. In cinque Gran Premi
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il Prosecco DOC sarà pubblicizzato a bordo pista: il Gran Premio della Red Bull nelle Americhe, l’HJC Helmets Motorrad Grand Prix Deutschland, il Gran Premio Octo di San Marino e della
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Riviera di Rimini, Motul Grand Prix of Japan e Australian Motorcycle Grand Prix. Inoltre, ad ogni gara, i diversi brand di Prosecco DOC saranno protagonisti, portando l’eccellenza italiana
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delle bollicine, all’attenzione dei mercati chiave del mondo intero. L’importante annuncio è stato dato ai primi di febbraio da Pau Serracanta, Direttore Generale Dorna Sport.
Grande soddisfazione è stata espressa anche da Stefano Zanette, presidente del Consorzio Prosecco Doc: “L’accordo con MotoGP™ che abbiamo perfezionato - precisa -
dà seguito e potenzia un percorso sui circuiti internazionali avviato dal nostro Consorzio con Dorna nel 2013 entrando nella WorldSBK (campionati mondiali SuperBike). AP P ROF O NDI M E NT O
Un’esperienza positiva che ha portato crescenti soddisfazioni facendoci toccare con mano cosa comporti, in termini di visibilità e riconoscibilità, la partecipazione ad eventi di respiro internazionale come un campionato mondiale. Dal punto di vista della brand reputation abbiamo raggiunto importanti risultati, e la scelta si è rivelata strategica anche per il fatto che ci permette di legare il Prosecco a momenti di festa e convivialità come il brindisi dei piloti sul podio a conclusione di ogni gara”. “Sono molto contento di questo nuovo accordo con il Consorzio Prosecco Doc” - afferma Pau Serracanta “non c’è dubbio che i piloti, veri eroi di questo sport, saranno lieti di celebrare le loro vittorie con stile, grazie a un prodotto eccellente, espressione dell’Italian Genio. Mi auguro che questo sia solo l’inizio di una collaborazione che prosegua per molti anni”. Oltre alla MotoGP™, è stato presentato a metà febbraio, a Barcellona, il primo Campionato Mondiale di moto elettriche, denominato MotoE™. Si correrà nel 2019 in cinque tappe europee che si svolgeranno nella giornata di gare della MotoGP™ ottenendo, sin da subito, un’altissima visibilità per piloti e aziende coinvolte. E il Consorzio di Tutela del Prosecco DOC non
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si è lasciato sfuggire l’occasione di raddoppiare: sarà infatti accanto ai piloti sia sul podio della MotoGP ™ sia su quello della MotoE™. “Sono appena rientrato dalla Spagna - racconta Zanette - e, presenti a Barcellona per il lancio della MotoE ™, c’erano tre realtà riconosciute come espressione della Genialità Italiana: Enel X (Title Sponsor, società di Enel dedicata esclusivamente alle soluzioni per la mobilità elettrica), ENERGICA (Official Manufacturer, azienda italiana scelta tra più competitors internazionali dopo due anni di test) e
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Prosecco DOC, partner ufficiale del triennio 20192021. Penso passeremo alla storia per aver supportato il primo campionato mondiale di MotoE™, a rafforzare il messaggio che come Consorzio di produttori del Prosecco Doc siamo più che determinati a proseguire sul fronte della sostenibilità.” Prosecco DOC è stato accolto con grande entusiasmo da Dorna, in particolare dal CEO Carmelo Ezpeleta e dal General Manager Pau Serracanta, che hanno brindato insieme a tutti i convenuti confermando l’entusiastico
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apprezzamento delle italiche bollicine. Di concretezza Stefano Zanette parla anche sottolineando l’impegno del Consorzio nella sostenibilità che “nel caso dei motori elettrici ha trovato espressione tangibile con questo campionato” e tocca un tema a lui molto caro concludendo con un “grido di dolore”: “Il riconoscimento più importante - afferma Zanette - rischiamo di regalarlo alla Francia. Pur essendo i primi ad aver effettuato scelte radicali sul fronte della sostenibilità, come spesso accade a chi
QUESTO IL CALENDARIO 10 marzo - Qatar Losail 31 marzo - Argentina Thermas de Rio Rondo 14 aprile - Stati Uniti Austin 5 maggio - Spagna Jerez + MotoE 19 maggio - Francia Le Mans + MotoE 2 giugno - Italia Mugello 16 giugno - Catalunya Barcellona 30 giugno - Olanda Assen 7 luglio - Germania Sachsring + MotoE 4 agosto - Repubblica Ceca Brno 11 agosto - Austria Spielberg + MotoE 25 agosto - Gran Bretagna Silverstone 15 settembre - San Marino Misano + MotoE 22 settembre - Spagna Aragon 6 ottobre - Thailandia Buriram 20 ottobre - Giappone Motegi 27 ottobre - Australia Philip Island 3 novembre - Malesia 17 novembre - Spagna Valencia
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In alto, a sinistra, Pau Serracanta, Direttore Generale Dorna Sports; a destra, Stefano Zanette, Presidente del Consorzio di Tutela della DOC Prosecco.
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In alto, da sinistra, Francesco Venturini, CEO di Enel X-Title Sponsor; Stefano Zanette; Livia Cevolini, CEO di Energica Official Manufacturer; Carmelo Espeleta, CEO di Dorna.
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arriva troppo in anticipo rispetto agli altri, non veniamo premiati, anzi. Incontriamo ancora molte resistenze, a diversi livelli, circa la nostra ‘storica’ richiesta di modifica al disciplinare. Così facendo vengono agevolati altri soggetti che potranno fregiarsi del primato pur essendo partiti dopo.
È il caso della Francia: Marie Guittard, Direttore INAO (Institute National de l’Origine et de la Qualité), nei giorni scorsi a Siena, nel corso di un convegno promosso da QUALIVITA, ha annunciato che anche la Francia sta valutando di inserire nei propri disciplinari di produzione ‘misure volte a
raggiungere la sostenibilità’. Sarebbe l’ennesimo scacco all’Italia”. Tutti pronti quindi per entrare nel vivo delle gare: l’apertura sarà prevista in Qatar dall’8 al 10 marzo e successivamente il primo podio della stagione in Argentina, dal 29 al 31 marzo. ▣
U N ’ A N I M A , U N A T E R R A , TA N T E S F U M AT U R E DIVERSE PER 3 TIPI DI PROSECCO DOC
Il suo profumo floreale e fruttato, sapore fresco, leggero e brioso: il Prosecco DOC è il vino simbolo del bere semplice, raffinato che si identifica con l’inconfondibile stile di vita Made in Italy. L’uva usata per il Prosecco DOC è principalmente Glera, un’uva bianca tipica del nord est d’Italia fin dall’età dei romani. I suoi rami sono di tonalità nocciola scura e producono una grande quantità di grappoli d’uva color paglierino. La più nota e diffusa è la tipologia Spumante, che presenta un perlage fine e persistente. In base al contenuto zuccherino, il Prosecco DOC Spumante può essere Brut, Extradry, Dry o Demi-sec. Colore: Giallo paglierino più o meno intenso, brillante, con spuma persistente. Profumo: Fine, caratteristico, tipico delle uve di provenienza; Titolo alcolometrico: 11,00% vol; Sapore: da brut a demi-sec, fresco e caratteristico; l’acidità totale minima è di 5,0 g/l; Estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l; Pressione: maggiore di 3 Bar.
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Il Prosecco Frizzante ha un perlage lieve e meno persistente. Colore: Giallo paglierino più o meno intenso, brillante, con evidente sviluppo di bollicine. Profumo: Fine, caratteristico, tipico delle uve di provenienza; Titolo alcolometrico: 10,50% vol; Il sapore può essere secco o amabile, fresco e caratteristico. Acidità totale minima: 5,0 g/l; Estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l; Pressione: compresa tra 1 Bar e 2,5 Bar. Nel Prosecco Tranquillo il perlage è assente. Colore: Giallo paglierino. Profumo Fine, caratteristico, tipico delle uve di provenienza; Titolo alcolometrico: 10,50% vol; Sapore: Secco o amabile, fresco e caratteristico. Acidità totale minima:5,0 g/l; Estratto non riduttore minimo: 14,0 g/l; Pressione: inferiore ad 1 Bar.
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"IL PROSECCO DOC È LEADER DEGLI SPUMANTI ITALIANI, CONTRIBUISCE IN MANIERA SOSTANZIALE ALL'ECONOMIA DI UN TERRITORIO, È SIMBOLO DI QUALITÀ, SUCCESSO E DELLO STILE DI VITA ITALIANO". AREA DI PRODUZIONE / CLIMA I vitigni che danno origine al Prosecco si trovano esclusivamente nei territori dell’Italia nord-settentrionale, tra le Dolomiti e il mar Adriatico. Grazie alla particolare interazione tra clima, suolo e tradizione vinicola nasce il Prosecco DOC, un vino unico. FATTORI UMANI Nella fertile area del Prosecco, l’arte nella coltura dei vigneti, sviluppata nei secoli, e la particolare tecnica di produzione dei vini spumanti, affinata negli ultimi anni, si sono unite alla passione dei produttori dando origine a un vino di qualità eccellente. DAL 17 LUGLIO
2009 2REGIONI 9PROVINCE
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RICONOSCERE IL PROSECCO D.O.C.
VENETO - FRIULI VENEZIA GIULIA
TREVISO PORDENONE
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SPECIFICITÀ PRODOTTO, TIPOLOGIE Vino dal colore giallo paglierino brillante con perlage fine e persistente, caratterizzato da profumi di fiori bianchi, mela e pera. Al gusto si presenta fresco ed elegante con moderata alcolicità. -Spumante (>3 atm) Residuo zuccherino (g/l): BRUT 12
EXTRA DRY 17
-Frizzante (1 - 2,5 atm) -Tranquillo (<1 atm)
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CASE SPUMANTISTICHE
CENNI STORICI “Ed or ora immolarmi voglio il becco con quel meloaromatico Prosecco”; così recitava Aureliano Acanti nel suo “Roccolo Ditirambo” nel 1754. Il Prosecco, però, era conosciuto già dai romani come cita Plinio nella sua “Historia Naturalis”, ma è verso la fine dell’Ottocento che, grazie alla spumantizzazione, il Prosecco diventa come oggi tutti lo conosciamo.
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TRIESTE
DRY 32
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CONSUMO Si abbina ai piatti della grande tradizione gastronomica italiana. Il carattere versatile lo rende perfetto per l’esplorazione di nuovi orizzonti gastronomici della cucina internazionale. Grazie alla moderata alcolicità il Prosecco DOC si presta ad aperitivi, brindisi e a momenti di ritrovo. COME RICONOSCERE IL VERO PROSECCO DOC? Presenza della fascetta di Stato a garanzia dell'origine e della qualità.
COME LEGGERE L’ETICHETTA? - Prosecco DOC o Prosecco Denominazione di Origine Controllata - Prodotto in Italia - Fascetta di Stato - Spumante / Frizzante
METODO DI PRODUZIONE 1. Vendemmia delle uve; 2. Diraspatura (separazione acini dai raspi); 3. Pressatura (separazione mosto dalla buccia); 4. 1° fermentazione (trasformazione mosto in vino); 5. 2° fermentazione o spumantizzazione in autoclave (il vino diventa spumante o frizzante); 6. Imbottigliamento e etichettatura;
Vietata la vendita alla spina
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Controlli, nel 2018 oltre 54mila controlli effettuati 54mila controlli, 561 interventi fuori dei confini nazionali e sul web, con un incremento, rispetto al 2017, del 90%. Oltre 700 notizie di reato, più del doppio rispetto allo scorso anno. a cura Redazione Centrale su dati MIPAAFT
È
on line sul sito del Ministero delle Politiche agricole alimentari, forestali e del turismo il Report 2018 dell’attività operativa dell’Ispettorato Centrale Repressione Frodi (ICQRF) del MIPAAFT, con i dettagli sugli interventi contro frodi, fenomeni di italian sounding e contraffazioni ai danni del Made in Italy agroalimentare e dei consumatori. “Il nostro sistema di controlli è riconosciuto tra i migliori al mondo. Il fatto che i nostri prodotti siano tra i più copiati vuol dire che a livello di storia, qualità e controlli siamo sopra la media mondiale”. Così il Ministro delle Politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, sen. Gian Marco Centinaio. - “Come Governo siamo in prima linea nel contrasto al fenomeno
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della contraffazione del made in Italy, lesivo dei diritti dei consumatori ma anche degli interessi economici dell’intera filiera agroalimentare. I risultati dell’ICQRF dimostrano il nostro impegno. Per tutelare ancora di più le nostre produzioni abbiamo messo nella legge di bilancio nuove risorse e più ispettori antifrode: erano oltre 10 anni che non si investiva in modo così deciso nella protezione del made in Italy. La mia priorità è difendere gli agricoltori italiani e i consumatori”, conclude Centinaio. I risultati operativi dell’ICQRF, organo tecnico di controllo del Ministero, nonché autorità italiana per la protezione dei prodotti Dop e Igp, e tra le principali autorità antifrode nel food a livello mondiale, confermano la qualità del sistema dei controlli italiano.
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Nel 2018 il settore agroalimentare si è confermato strategico per l’economia italiana con oltre 42 miliardi di euro di export e l’ICQRF, con la sua quotidiana azione a tutela del made in Italy, ha contribuito significativamente a mantenere alta la reputazione della qualità dei prodotti italiani.
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l report in sintesi
I risultati operativi del 2018 confermano la qualità del sistema dei controlli italiano e il posizionamento dell’ICQRF tra le principali Autorità antifrode nel food a livello mondiale I controlli antifrode sono stati 54.098, di cui 40.301 ispettivi e 13.797 analitici. Gli operatori ispezionati sono stati oltre 25.000 e i prodotti controllati circa 53.000.
Le irregolarità rilevate hanno riguardato il 20,3% degli operatori, il 12,4% dei prodotti e 8,7% sono stati i campioni con esito analitico irregolare. Il contrasto ai comportamenti criminosi nel settore agroalimentare è stato particolarmente intenso e anche nel 2018 ICQRF è stato protagonista delle più
rilevanti operazioni di polizia giudiziaria in tale ambito. Qualche dato: - 721 le notizie di reato (+58% sul 2017) e 4.194 le contestazioni amministrative (+13%). Ad esse si aggiungono 2.629 diffide emesse nei confronti degli operatori; - circa 17,6 milioni di kg di AP P ROF O NDI M E NT O
merce sequestrata per un valore dei sequestri di oltre 34 milioni di euro; - 561 gli interventi fuori dei confini nazionali e sul web a tutela del Made in Italy agroalimentare (oltre 2.700 nel quadriennio), con un incremento sul 2017 di oltre il 90%. A livello internazionale e sul web, l’attività dell’ICQRF di tutela del Made in Italy agroalimentare si conferma la più rilevante a livello europeo: su internet, in particolare, l’ICQRF ha consolidato la cooperazione con Alibaba ed eBay, sottoscrivendo nuovi protocolli d’intesa con le due piattaforme di e-commerce che hanno allargato sensibilmente la sfera di intervento dell’ICQRF sul web ed ha ottenuto risultati di rilievo anche su Amazon. ▣
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DL Semplificazioni, è legge l’etichetta d’origine Made in Italy Diventa legge l’obbligo di indicare in etichetta l’origine di tutti gli alimenti per valorizzare la produzione agroalimentare nazionale e consentire scelte di acquisto consapevoli ai consumatori contro gli inganni dei prodotti stranieri spacciati per Made in Italy. a cura di Gladys Torres Urday su dati Coldiretti
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d annunciarlo è il presidente della Coldiretti Ettore Prandini dopo il voto di fiducia alla Camera sul Dl Semplificazioni che, assieme alla moratoria alle trivelle, contiene la norma che impone l’indicazione della provenienza. “E’ una nostra grande vittoria con l’Italia che si pone oggi all’avanguardia in Europa nelle politiche per la trasparenza dell’informazione ai consumatori” aggiunge Prandini nel ringraziare per il sostegno e l’impegno il Ministro delle Politiche Agricole Gian Marco Centinaio, il Ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio ed i parlamentari che hanno creduto in questa battaglia di civiltà.
La norma consente di estendere a tutti i prodotti alimentari l’obbligo di indicare in etichetta il luogo di provenienza geografica ponendo fine ad un lungo e faticoso contenzioso aperto con l’Unione europea oltre 15 anni fa. In particolare si affida a disposizioni nazionali l’attuazione dell’obbligo che, sulla base del Regolamento quadro sull’etichettatura n. 1169 del 2011, tiene conto della necessità di assicurare la tutela della salute pubblica e dei consumatori, di prevenire frodi e di consentire il corretto svolgimento delle attività d’impresa sulla base di una corretta concorrenza. Sono previste sanzioni in caso di mancato rispetto delle norme che vanno da 2mila a 16mila euro, salvo che il fatto costituisca reato. AP P ROF O NDI M E NT O
L’obiettivo è dare la possibilità di conoscere finalmente la provenienza della frutta impiegata in succhi, conserve o marmellate, dei legumi in scatola o della carne utilizzata per salami e prosciutti fin ad ora nascosta ai consumatori, ma anche difendere l’efficacia in sede europea dei decreti nazionali già adottati in via sperimentale in materia di etichettatura di origine di pasta, latte, riso e pomodoro Una misura importante anche di fronte al ripetersi di scandali alimentari nell’Unione Europea dove si sono verificati nel 2018 quasi dieci allarmi sul cibo al giorno che mettono in pericolo la salute dei cittadini e alimentano psicosi nei consumi per le difficoltà di confinare rapidamente l’emergenza. Le maggiori
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preoccupazioni sono proprio determinate dalla difficoltà di rintracciare rapidamente i prodotti a rischio per toglierli dal commercio con un calo di fiducia che provoca il taglio generalizzato dei consumi che spesso ha messo in difficoltà ingiustamente interi comparti economici, con la perdita di posti di lavoro. L’esperienza di questi anni dimostra l’importanza di una informazione corretta con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine nazionale dei prodotti che va esteso a tutti gli alimenti. Secondo una ricerca di Beuc (l’organizzazione europea dei consumatori) il 70% dei cittadini europei (82% in Italia) vuole conoscere da dove viene il cibo sulle loro tavole, che diventa 90% nei casi di derivati del latte e della carne. In un momento difficile per l’economia dobbiamo portare
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sul mercato il valore aggiunto della trasparenza in una situazione in cui ancora 1/4 della spesa degli italiani resta anonima. L’etichettatura di origine obbligatoria è stata introdotta per la prima volta in tutti i Paesi dell’Unione Europea nel 2001 dopo l’emergenza mucca pazza nella carne bovina per garantire la trasparenza con la rintracciabilità e ripristinare un clima di fiducia. Da allora
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molti progressi sono stati fatti anche grazie al pressing della Coldiretti ma resta l’atteggiamento incerto e contradditorio dell’Ue che obbliga a indicare l’origine in etichetta per le uova ma non per gli ovoprodotti, per la carne fresca ma non per i salumi, per la frutta fresca ma non per i succhi e le marmellate, per il miele ma non per lo zucchero. ▣
DOLOMITI: I MONTI PALLIDI Tra queste Alpi giovani, a cui il tempo non ha ancora smussato spigoli e guglie, si è realizzato uno dei più felici incontri tra tecnologia e civiltà contadina. Testo e foto di Jimmy Pessina
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iste ampie per tranquille esplorazioni da una valle all’altra. Canaloni a tuffo nelle pinete. Quinte di rocce e cascate gelate. Gole colme di neve polverosa. Centinaia d’impianti sempre più veloci, efficienti, collegati. Anelli di fondo e itinerari battuti nella neve per chi vuole spostarsi solo a piedi, con lo slittino o con le racchette. E, soprattutto, un paesaggio unico, che è il vero atout delle Dolomiti nel confronto con altri comprensori alpini dove lo sci è di casa. Una natura tanto originale da attrarre, fin dal Settecento, scienziati, geografi, studiosi di geologia, aristocratici
curiosi, scrittori: fra i tanti Saussure, Von Humboldt, Tolstoj. E da supportare oggi, con grazia e perfetta organizzazione, la presenza di migliaia di sciatori, mai ammassati in una sola area ma distribuiti sull’immensa ragnatela di piste nel territorio delle tre provincie di Belluno, Bolzano e Trento. In più, tra queste Alpi giovani, a cui il tempo non ha ancora smussato spigoli e guglie, si è realizzato uno dei più felici incontri tra tecnologia e civiltà contadina. Il risultato è l’araba fenice del turismo: da un lato, tradizioni mantenute con passione, mobili dipinti, stube accoglienti, tendine di pizzo e vasi di gerani, più boschi, prati, frutteti e vigne amorosamente pettinati e T URI S MO NAZ I ONAL E
A pagina 28, Dolomiti, le tre cime di Lavaredo. A pagina 30 e 31, Cortina. A pagina 32, Cortina in primavera. A pagina 33, Cortina, dall’alto: lago di Misurina, i Cadini, le Tofane.
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protetti solo con interventi rispettosi dell’agricoltura biologica, mucche coccolate come cagnolini, con tanto di collare di fiori nei giorni di festa. Dall’altro, servizi funzionanti a perfezione per gli abitanti ma anche per i visitatori: ski bus gratuiti che alleggeriscono enormemente il problema del traffico e dei parcheggi, impianti di risalita moltiplicati a ogni stagione per eliminare le code, strutture telematiche che forniscono informazioni immediate sugli alberghi, la neve, i trasporti, le iniziative speciali che di stagione in stagione valorizzano il patrimonio artistico, i monumenti, il folklore locale a beneficio di chi non si limita a sciare d’inverno e a
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passeggiare quando la neve non c’è più. Tralasciando l’area del Brenta, isolata a ovest dell’Adige, i principali poli d’attrazione invernale delle Dolomiti sono Cortina d’Ampezzo, l’anello del Sella Ronda, il ghiacciaio della Marmolada e l’area di San Martino di Castrozza: una capitale della mondanità alpina e una serie di splendidi e famosissimi percorsi sciistici. Per scoprirne altri, ugualmente appassionanti, l’occasione giusta è la manifestazione Grand Prix Dolomiti Superski, varata dal Consorzio che riunisce gli impianti di risalita di dodici valli nel più grande carosello sciistico del mondo. Non si preoccupi chi ha appena
superato lo spazzaneve: non si tratta di una gara riservata agli emuli della valanga azzurra, ma di una serie di feste sulla neve. Sono infatti state stabilite dodici date per giornate con musica, animazione e giochi, ognuna su un diverso tracciato. Chi a fine stagione avrà percorso tutte le piste, naturalmente nei giorni fissati, potrà, esibendo i timbri su un tesserino rilasciato dagli uffici del Supeski, ottenere un attestato di conoscenza delle nevi della zona e concorrere al sorteggio di un premio. Le piste scelte per il Grand Prix sono tra le più impegnative delle Dolomiti: nere o rosse, ma sempre lunghe, ricche di sorprese e incastonate in scorci di
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A pagina 34, Sella Ronda in inverno e in estate. In questa pagina, Pale di San Martino Castrozza e Plan Corones. A pagina 36, Sesto Alta Valle Pusteria. A pagina 37, Anterselva e il lago. A pagina 38 e 39, la Marmolada.
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paesaggio alpino di rara suggestione. Da provare, per esempio, la Silvester di Plan Corones, una pista di 5 km per 1231 metri di dislivello. Oppure la Trametsch alla Plose, in Val Isarco, a pochi minuti da Bressanone.
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E ancora, l’Olimpia/Alpe Cermis a Obereggen in Val di Fiemme, la Monte Elmo a Sesto in Alta Val Pusteria, la Salère a Pescul nel Civetta, la Tre Valli al Passo San Pellegrino. Naturalmente nel calendario del Gran Prix
non mancano piste celebri come l’Olimpia delle Tofane di Cortina, entusiasmante tracciato di Coppa del Mondo. Analoghi meriti sportiva vanta la Gran Risa a La Villa in Alta Badia, dove ogni dicembre ha luogo la gara di slalom
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gigante valida per la Coppa del Mondo di sci. Alberto Tomba la considera uno dei tracciati più belli del Circo Bianco, a pari merito con il gigante di Adelboden in Svizzera. Questa nera con variante più semplice (2300
metri, pendenza che va dal 36 al 53%), parte dal Piz la Ila, dove un ristorante, il “Club Morzino”, accoglie per la cena clienti che arrivano con il gatto delle nevi. Si mangia al lume di candela in uno scenario suggestivo e poi, T URI S MO NAZ I ONAL E
volendo, si può scendere a valle in sci con l’ausilio dei fari di un battipista. E’ solo uno dei tanti piccoli, accattivanti riti invernali delle Dolomiti. ▣
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Marche, opulenta bellezza di una terra plurale per definizione Un territorio vastissimo, disteso tra mare e monti, costellato da antichi borghi, alte torri, dolci declivi, tra campi di girasoli, olivi secolari e filari ordinati di vigneti. Testo e foto di Carmen Guerriero
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n viaggio nelle Marche riserva sorprese insperate, tra natura, fede, tradizioni monastiche, ma anche storia, arte, enogastronomia e poesia, quella de L’Infinito di Leopardi che, quest’anno, compie 200 anni. Recanati, cuore de “L’Infinito”, si prepara, infatti, a celebrare il bicentenario dalla stesura di uno dei più celebri componimenti della storia della poesia firmato da Giacomo Leopardi, con un progetto complesso di arte e poesia, lungo un anno tra mostre, spettacoli, conferenze, pubblicazioni. Il progetto “Infinito Leopardi” è promosso dal Comitato Nazionale per le celebrazioni
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del bicentenario, istituito dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MIBAC), con la partecipazione di Regione Marche, Comune di Recanati, Centro Nazionale Studi Leopardiani, Casa Leopardi, Centro Mondiale della Poesia e della Cultura e Università degli Studi di Macerata. L’anno dedicato al celebre poeta sarà suddiviso in due momenti principali: la prima parte dal 21 dicembre 2018 fino al 19 maggio 2019 e la seconda dal 30 giugno al 3 novembre 2019 (inaugurazione prevista il 29 giugno, giorno in cui nacque Leopardi). Qui, in piazza “Sabato del villaggio”, il settecentesco Palazzo Leopardi, casa natale del poeta, ancor oggi abitata dai suoi discendenti,
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In questa pagina, dall’alto: Loreto, cupola della Cattedrale e piazza della Madonna con loggia e fontana. A pagina 42, Macerata, Mostra di Lorenzo Lotto. A pagina 43, interno del Teatro Feronia, S. Severino Marche; in basso, colonne doriche dell’antico tempio di Feronia, abbazia di San Lorenzo in Dodolio.
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offre una visita ai luoghi familiari dove visse e si formò il celebre poeta, con un’ampia esposizione di oggetti, volumi, manoscritti e la ricca biblioteca del padre Monaldo. Poco distante, a Loreto, “vero cuore mariano della cristianità” secondo il Santo Papa Giovanni Paolo II, il santuario della Santa Casa di Maria è il fulcro territoriale da cui si estendono i Cammini Lauretani, una molteplicità di vie di fede che, fin dal Trecento, è stata meta pellegrinaggio oltre che di semplici devoti, anche di re e regine, principi, cardinali e papi provenienti da ogni angolo del mondo. Il Santuario, dedicato alla Vergine Maria, è un tripudio straordinario di opere d’arte pittoriche, architettoniche e scultoree, come i superbi bassorilievi di marmo che inglobano la dimora della Santa Vergine, trasportata, secondo la leggenda, dagli Angeli nella notte tra il 9 e 10 dicembre del 1294, tant’è che papa Benedetto XV nominò la Beata Vergine di Loreto “Patrona di tutti gli aeronautici”. L’ampia piazza antistante il Santuario è circondata dal palazzo Apostolico e dal grandioso porticato a doppio ordine di logge progettato dal Bramante. Al centro campeggia l’elegante fontana Maggiore di Carlo Maderno e Giovanni Fontana, esempio dell’arte barocca della prima metà del Seicento.
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L’architettura esterna della Basilica è frutto di vari rifacimenti che ne hanno, nel tempo, conferito l’aspetto di fortezza medievale con caratteristici camminamenti di ronda, visitabili con una guida esperta, attraverso 124 gradini in pietra elicoidali piuttosto stretti ed impervi. Non ci sono ascensori. Il turismo religioso allarga sempre più i confini dell’esperienza multisensoriale con un nuovo approccio che ruota
sull’arricchimento personale oltre che spirituale e mira a trasformare il pellegrino di oggi in turista del futuro nel momento in cui ritorna nei luoghi di fede. “La ricerca di riflessione su se’ stessi è sempre uno dei motivi che spinge a viaggiare - sostiene il dott. Nicola Ucci, patron della BTRI, Borsa del Turismo Religioso Internazionale - a cercare esperienze a contatto con la natura, la cultura e l’arte”. Ecco allora che una visita nei luoghi di culto si
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trasforma in preziosa occasione per cogliere altri aspetti del territorio, spesse volte, come in questo caso, di insospettabile bellezza.
Viaggiando verso l’interno, la città di Macerata, la più “giovane” città delle Marche, accoglie il visitatore con l’imponente Arena
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Sferisterio di Ireneo Aleandri, uno dei più importanti esempi di architettura Neoclassica, inaugurato nel 1829, con quasi 2500 posti, 104 palchi, un palcoscenico di dimensioni imponenti e un’ottima acustica naturale, perfetta per l’opera lirica. Fu finanziato dai Cento Consorti, cittadini maceratesi benestanti, per destinarsi uno spazio per il gioco della palla col bracciale, sport in voga nella metà dell’Ottocento. L’edificio, che dal 1967 richiama pubblico da tutto il mondo per l’unicità delle sue proposte artistiche e per il fascino del luogo, ospita ogni estate l’appuntamento annuale con la prestigiosa stagione lirica, il Macerata Opera Festival, oltre a
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spettacoli pubblici, come la celebrazione di feste, l’organizzazione di giostre, parate equestri, manifestazioni politiche e sportive, l’accoglienza di circhi equestri e cacce di tori. Il centro storico ruota intorno a Piazza della Libertà risalente al Cinquecento, sicuramente il secolo d’oro per la città di Macerata, progettata da Cassano Da Fabriano, sulla quale prospettano edifici pubblici e monumentali come il Palazzo del Comune, al centro della cui facciata un clipeo coronato circonda l’immagine della Madonna della Misericordia, in mosaico, cui la città è dedicata dal 1952. E anche la Loggia dei Mercanti, la Chiesa di San Paolo, il Teatro Lauro Rossi, il Palazzo della Prefettura, grande e
austero edificio in cotto, antica residenza dei legati pontifici, e l’imponente Torre Civica, alta 64 metri, emblema dello splendore della cosmologia dell’epoca (1492) nonché della fede, col carosello dei Magi adoranti la Vergine con il Bambino. Più avanti, la Basilica della Madonna della Misericordia origina da un’antica cappella votiva del 1447, eretta, secondo la leggenda popolare, in un solo giorno, per allontanare il pericolo della peste. Costruito in varie fasi, l’attuale edificio fu innalzato attorno all’affresco rappresentante la Madonna della Misericordia, che era sul muro dell’orto del Vescovo, in piazza del Duomo. Nel 1734 è stata ricostruita su disegno dell’architetto Luigi Vanvitelli, decorata da Francesco
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A pagina 44, salone dell’Eneide, Palazzo Bonaccorsi, Macerata. In basso, casa della famiglia Leopardi. In questa pagina, Macerata, Museo della Carrozza.
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Mancini e Sebastiano Conca, che è riuscito a racchiudere in poco spazio, un santuario dalle splendide forme, ricco di luce, affreschi, stucchi e marmi policromici e un ciclo di affreschi, ricco di grazia e colori, sulle storie della vita di Maria.
Poco oltre, il settecentesco Palazzo Buonaccorsi, dell’omonima famiglia, è una complessa aggregazione di edifici preesistenti su progetto dell’architetto romano Giovan Battista Contini allievo del Bernini, proprietà del Comune dal 1967 e sede
In questa pagina , bassorilievo della trasposizione della Casa di Maria. In basso, bassorielivi della Santa Casa di Nazareth. A pagina 47, Macerata, Palazzo Buonaccorsi: Mostra di Lorenzo Lotto. In basso: Madonna di Loreto, affresco dalla chiesa San Francesco di Assisi, e affresco della volta del Santuario della Basilica della misericordia.
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A pagina 48, l’Arena Sferisterio di Ireneo Aleandri, simbolo di Macerata. In basso, la Torre Civica di Macerata e la Torre dell’Abbazia di San Lorenzo in Dodolio, San Severino Marche. In questa pagina, interno della Santa Casa della Beata Vergine Maria. A pagina 50, Pinturicchio, Madonna col Bambino.
dell’Accademia di Belle Arti fino al 1997. Al primo piano, accolgono il visitatore l’ampio atrio pavimentato in legno di quercia, la loggia ed i saloni decorati, i bellissimi soffitti a cassettoni ed il fasto delle pitture che raggiunge l’apice nello splendore artistico del Salone dell’Eneide, dalla grandiosa volta a botte ed è affrescata con le nozze di Bacco ed Arianna, opera di Michelangelo Ricciolini, mentre alle pareti corre il ciclo di dipinti su tela delle mitiche gesta dell’eroe virgiliano. Il palazzo ospita oggi
collezioni comunali, il Museo della Carrozza e le raccolte di arte antica e moderna. Fino al 10 febbraio 2019, Palazzo Buonaccorsi ha ospitato la mostra sul pittore rinascimentale Lorenzo Lotto (1480-1557), 25 opere tra tele, carteggi (come l’atlante nautico che disegna gli spostamenti dell’artista da Venezia alla costa marchigiana) e due grandi pale in prestito dall’Hermitage di San Pietroburgo. Molto interessante anche il Museo della Carrozza, sempre nel Palazzo
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Buonaccorsi, un percorso storico attraverso le epoche che hanno segnato la nascita, l’auge ed il declino delle stesse, con possibilità, a sorpresa!, di effettuare un viaggio virtuale in carrozza scegliendo anche gli itinerari (proiettati e descritti all’interno). Duecento anni e 350mila volumi, 10mila manoscritti, 300 incunaboli per la Biblioteca Mozzi e Borgetti, sempre a Macerata, che sorta nel 1773 nei locali della soppressa sede del Collegio della Compagnia di Gesù,
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oggi è una delle biblioteche più rifornite delle Marche. Ancora all’interno, si incontrano le rovine di Septempeda, antica colonia romana in territorio piceno, sorta sul sito dell’odierna San Severino Marche, in prossimità della chiesa di S. Maria della Pieve. Costruita sulle rovine dell’antico tempio pagano dedicato alla dea Feronia, protettrice della natura, degli animali selvaggi (dal latino fera ferae, le fiere), dei boschi e delle messi, l’Abbazia di San Lorenzo in Dodolio è stata fondata dai monaci benedettini nel XII secolo ed è caratterizzata, all’esterno, da un’alta torre campanaria trecentesca alla base della chiesa, dal portale romanico e dalla pianta rettangolare, disposta su tre livelli. L’interno, a tre navate, ha possenti colonne, dipinti del Pomarancio nel catino absidale e frammenti di un importante ciclo di affreschi di Jacopo e Lorenzo Salimbeni
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nella cripta medievale. Sempre dei fratelli Salimbeni, molte delle opere custodite presso la Pinacoteca civica “Padre Tacchi Venturi”, che, tra l’altro, vanta la Madonna della Pace del Pinturicchio, capolavoro artistico di
ricchezza policroma e dettagli. Nel centro cittadino, il Teatro Feronia è, come lo Sferisterio di Macerata, opera dell’architetto Aleandri, una
struttura elegante e slanciata verso l’alto, con pianta a ferro di cavallo, tre ordini di palchi e loggione, che, per primo, sperimenta nella volta del soffitto le “unghiature” bibianesche che costituiranno in seguito una cifra distintiva del suo stile architettonico teatrale. Il sipario, splendido esempio di arte neoclassica, evoca il tempio dedicato alla dea Feronia nell’antica Septempeda e rappresenta la sacerdotessa Camurena Cellerina che compie il rito di liberazione di uno schiavo dinanzi al tempio della dea, tra la scena del sacrificio di un bue e quella del Fiume Potenza. La forte impronta neoclassica del tempo suggestiona anche le opere di Vincenzo Monti con la sua Feroniade, per cui la decisione di dedicare alla dea italica il teatro. Il teatro Feronia fu solennemente inaugurato nel 1828 con l’esecuzione di due opere di Gioacchino Rossini: Mosè in Egitto e Matilde di Shabran. ▣
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OLTREPÒ PAVESE
Un lembo di Appennino
in Lombardia Uno straordinario patrimonio di biodiversità e tradizioni che meritano di essere valorizzate. di Giovanna Turchi Vismara
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’Oltrepò Pavese, dalla caratteristica forma di un triangolo rovesciato e corrispondente all’estremo settore meridionale della provincia di Pavia, ingloba
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nel suo territorio il lembo più settentrionale dell’Appennino che si incunea in Lombardia a ridosso della Pianura Padana e delle sue aree metropolitane. Pianeggiante nella fascia dei terreni paralleli al Po,
l’Oltrepò, che ha come suo centro principale Voghera, si eleva verso Sud in affascinanti aree collinari e montane che purtroppo nei decenni passati hanno subito lo spopolamento e l’isolamento rispetto ai
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vicini centri economici, più produttivi e dinamici, tra cui in particolare Milano, Genova e Torino. Nella realtà l’Oltrepò possiede uno straordinario patrimonio di biodiversità e tradizioni che meritano di essere valorizzate. Alla bellezza dei boschi e delle riserve naturali si accostano il fascino dei borghi e dei castelli medievali, gli itinerari storici delle Vie del Sale e degli Abati e i sentieri tanto amati dai bikers, ove si allenava il grande campione Fausto Coppi. E a completare tale ricchezza si aggiungono cibo genuino, buon vino, ottimi frutti come ciliege e mele, funghi e tartufi tra i castagni e le roverelle. Gran parte del territorio si sviluppa lungo il crinale dell’Appennino, luogo che ha avuto molta rilevanza in passato in quanto passaggio
di transito dei pellegrini che dalla pianura si recavano al mare ligure per acquistare il sale. Oggi quel percorso identificato come Via del Sale è l’itinerario ideale per chi vuole venire a contatto con realtà diverse tra storia e natura in una atmosfera incontaminata. La Via degli Abati valica l’Appennino più a sud, collegando Pavia a Pontremoli, e ha il suo fulcro nel millenario centro monastico di Bobbio. Il cenobio fu fondato nel 614 dal monaco irlandese Colombano e divenne nell’Alto Medioevo uno dei principali luoghi di spiritualità e cultura in Europa. Produzione agricola e vitivicola sono le principali attività del territorio. A Casteggio, Broni, Stradella si espandono i più bei vigneti favoriti da una tradizione
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antica, da un suolo calcareoargilloso e salubri brezze appenniniche. Qui prevale la produzione di rossi, Barbera e Bonarda, ma anche le uve bianche - Riesling, Pinot Grigio, Chardonnay, Malvasia, Moscato, Sauvignon - danno buoni vini e spumanti. Santa Maria della Versa è sede di cantine specializzate nella produzione di spumanti. Posizionato a 416 metri di altitudine, sulla riva destra del torrente Staffora si trova Varzi, centro principale della zona montana dell’Oltrepò Pavese. E’ una località decisamente pittoresca caratterizzata da due antiche torri che risalgono al XV secolo e che fanno da cornice ad un centro storico composto da stretti viottoli e caratteristici portici. Nel centro del paese si trova il Castello Malaspina
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caratterizzato nella sua architettura da tre strutture di epoche diverse e con la sua torre quadrangolare che risale al XIII secolo come la parte più antica del castello. Di Varzi è notissima la produzione del salame,
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che è uno dei 14 prodotti D.O.P. presenti in tutta la Lombardia. Insaccato di altissima qualità, è il risultato di secoli di esperienza, ma è anche il frutto di un clima del tutto particolare dato dal connubio delle brezze marine liguri e delle fresche
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correnti montane della Valle Staffora. Forse già prodotto all’epoca dei Romani e poi dei Longobardi, le notizie certe su questa prelibatezza risalgono al secolo XIII, quando i Marchesi Malaspina, gli indiscussi signori del territorio, lo servivano ai loro illustri ospiti. Uscendo da Varzi, sulla strada che porta al Passo del Penice si raggiunge la località di Pietragavina ove su un’altura che domina l’abitato si trova il Castello dei Conti Dal Verme, altri signori dell’Oltrepò, con una torre a pianta quadrata. Edificato verso la metà dl XV secolo e restaurato in tempi recenti, è oggi una residenza privata. Tra le verdi colline dell’Oltrepò Pavese, a 687 metri di altitudine, immerso tra boschi di castagno si trova l’Eremo di Sant’Alberto di Budrio, costruito dallo stesso santo intorno al 1030. L’Eremo, luogo di silenzio e spiritualità, ha una storia antichissima ed ospitò illustri personaggi come Federico Barbarossa e Dante Alighieri,
di ritorno dal castello di Oramala dei marchesi Malaspina. Qui, come pellegrino, trovò il suo ritiro re Edoardo II d’Inghilterra e ancora oggi si può vedere il suo sepolcro, però ormai vuoto. Tra le tante interessanti località da visitare nell’Oltrepò Pavese c’è la Riserva naturale di Monte Alpe, nel comune di Menconico,
istituita nel 1983 e riconosciuta nel 1992 come unico Sito di Importanza Comunitaria (S.I.C.) dell’Oltrepò Pavese. Al suo interno si può passeggiare tra sentieri che si inerpicano tra pini neri, carpini neri, castagni e roverella e si può provare l’emozione di incontrare numerosi animali, caprioli, tassi, scoiattoli ed anche cinghiali. Vi si trovano anche la rana appenninica e 41
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differenti specie di uccelli tra cui la pernice rossa, il falco lodolaio, il picchio muratore. Tra altri itinerari naturalistici è da citare nel comune di Valverde il Giardino delle Farfalle per la salvaguardia e l’incremento di questi meravigliosi lepidotteri. E’ su un colle alto 800 metri frequentato dall’uomo da ben 2500 anni, ma rimasto bellissimo e intatto. Qui nel VI secolo a.C. c’era un sito dell’età del ferro. Nei secolo XI i Malaspina, su uno sperone roccioso, eressero una rocca di cui resta solo un torrione cilindrico di arenaria. Vicino è rimasto l’oratorio seicentesco della Madonna della Neve intorno al quale volano in una magica atmosfera miriadi di farfalle. Chi desidera venire a contatto con queste splendide realtà o organizzare gite a piedi o in bicicletta lungo i sentieri immersi nella natura, può consultare un esaustivo libretto pubblicato dal Touring Club Italiano dal titolo: Oltrepò Pavese. L’Appennino in Lombardia. ▣
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Romagna solatia... La proverbiale ospitalità romagnola si assapora soprattutto nei piccoli borghi dell’entroterra, tra antichi cammini, rocche fortificate e delizie enogastronomiche. Testo e foto di Franca Dell’Arciprete Scotti
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na grande R connota da oggi il magico territorio della Romagna. Grazie a una nuova immagine coordinata che vuole superare i campanili, la Romagna vuole esaltare le caratteristiche di una terra che unisce nel segno dell’ospitalità tante attrattive,
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dalla cultura al divertimento, dal benessere al cibo. Territori diversi, ciascuno con tesori turistici e identità proprie, che formano un mix eccellente, Appennini e Riviera, le città d’arte e i grandi eventi di piazza, il silenzio della natura e le tradizioni più autentiche. In un grande abbraccio, questa terra attraversata
da alture e pianure e che si specchia nel mare, sceglie il claim “Romagna, lo dici e sorridi”. Ed è indiscutibile che la Romagna, terra autentica, è ancora più autentica nei piccoli borghi, che conservano più di altri i valori del territorio, dall’artigianato tipico alle ricette gustose, dalle feste estive sotto le
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stelle alle sagre a tema, dalle pievi storiche, alle abbazie, alle rocche. Borghi attraversati un tempo dai famosi cammini che collegavano tutta Europa, legati a nomi di santi, di predicatori, di poeti. Andiamo alla scoperta allora di quel magnifico quadrilatero che si stende tra Bertinoro, Predappio, Castrocaro e Forlimpopoli, tutti in provincia di Forlì Cesena. Simbolo dell’atmosfera di questi luoghi è la colonna dell’ospitalità di Bertinoro che, proprio nella piazza affacciata sul famoso balcone della Romagna, aperto a perdita d’occhio sul mare Adriatico, ricorda l’antico rito per cui le famiglie nobili si contendevano il diritto di ospitare i pellegrini di passaggio. Ancora oggi la prima domenica di settembre la città rievoca l’antico rito offrendo agli ospiti la possibilità di pranzare presso
le famiglie locali. E l’accoglienza prosegue nella invitante Cà de Be’ o Casa del vino dove si possono degustare tutti i migliori vini romagnoli, tra cui gli eccellenti Sangiovese di Romagna e Albana nelle sue varietà secco, dolce, passito e spumante, che è stato il primo vino bianco italiano a ottenere il riconoscimento di D.O.C.G. Come non ricordare a questo punto l’origine leggendaria del nome della città per cui Galla Placidia, figlia dell’imperatore Teodosio, avrebbe detto, assaggiando il vino locale servito in una coppa di terracotta, “Sei degno di berti in oro?”. www.visitbertinoro.it www.bertinorowines.it L’accoglienza è imponente a Castrocaro, dove spicca nel paesaggio a distanza di chilometri, la sagoma della fortezza millenaria
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appartenuta agli Imperatori del Sacro Romano impero poi alla Chiesa e infine ai Medici durante il Granducato di Toscana, per la sua posizione strategica sulla via che portava oltre l’Appennino e quindi a Roma. Al di là delle terrazze aeree, delle stanze del castellano, le corti e la chiesetta di Santa Barbara, colpiscono soprattutto i poderosi Arsenali Medicei realizzati nel 16º secolo, tre enormi e scenografici ambienti, in parte scavati direttamente dal Sasso Spungone, la tipica roccia arenaria che caratterizza questa zona e che dà forte mineralità ai vini, ricca di inclusioni marine, a testimonianza del mare antichissimo che copriva questa zona. Oggi, invece, Castrocaro ospita, al posto degli antichi guardiani della fortezza, i moderni turisti del benessere che apprezzano le acque
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A pagina 56 e 57, Bertinoro. A pagina 58 e 59, Castrocaro. A pagina 60, la Rocca di Caminate. A pagina 61, Predappio.
salsobromoiodiche scoperte a metà dell’Ottocento da un medico fiorentino, che hanno dato origine al ricco fenomeno del termalismo nello Stabilimento Termale, nel Grand Hotel Terme e nel Padiglione delle Feste inaugurati nel 1938 dal principe Umberto di Savoia, e decorati nel prezioso stile Art Déco. www.proloco-castrocaro.it Vicino a Castrocaro non si può dimenticare Terra del Sole, l’originale città ideale T URI S MO NAZ I ONAL E
fatta costruire da Cosimo I dei Medici nel 1564, secondo un preciso progetto urbanistico a cui chiamò i migliori ingegneri e architetti del Cinquecento. Ha una vicenda in parte analoga anche la città di Predappio, città di fondazione ad opera di Benito Mussolini, che volle dare lustro alla piccola località dove visse la sua infanzia, la contrada Dovia, dove la mamma era stata maestra, ai piedi di quella che oggi è Predappio Alta. In questa città degli anni ’20, dal tipico impianto razionalista, si visitano l’ex Casa del Fascio con la classica torre littoria, il palazzo del Varano, divenuto sede del municipio, il palazzo delle Poste, il cinema teatro, le case popolari, il Mercato dei viveri e la casa natale di Mussolini. Vicino, a pochi chilometri, la famosa Rocca delle Caminate, anche questa di storia millenaria, appartenuta agli Ordelaffi e i Malatesta, signori di queste terre, e poi dal 1927 donata alla famiglia Mussolini come residenza estiva. Famoso il faro tricolore installato in cima alla torre, che era visibile a 60 chilometri di distanza. www.predappioalta.org www.comune.predappio.fc.it E infine approdiamo a Forlimpopoli, terra più delle altre del buon vivere e della buona cucina.
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Come dimenticare il suo cittadino più illustre, Pellegrino Artusi, autore de “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” del 1891, con 700 ricette, vera summa della cucina italiana domestica, semplice ed economica? Scrittore, gastronomo e critico letterario, Artusi è il padre indiscusso della cucina italiana, che seppe esprimere anche nella lingua, italianizzando i tanti francesismi allora diffusi nell’arte culinaria. Alla sua figura celebre Forlimpopoli ha dedicato la Casa Artusi dove, oltre a degustare le sue ricette autentiche, seppur rilette e modernizzate, si possono seguire corsi teorici e pratici ad opera di grandi chef e
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delle famose “mariette”, casalinghe esperte che prendono il nome dalla sua fedele domestica. Regina della cucina romagnola è la pasta tirata a mano, i tortelli, la piadina e poi tutti i sughi di carne e di verdure, gli arrosti e le fritture. Ad Artusi Forlimpopoli dedica non solo questo centro, primo centro di cultura gastronomica di cucina domestica in Italia, ma anche un premio e i premi Marietta ad honorem, oltre alla grande festa Artusiana lunga nove giorni tra giugno e luglio con stand, degustazioni, rivisitazione di ricette nei ristoranti e mille iniziative culturali. www.casartusi.it www.forlimpopolicittartusiana.it www.ungiornonellarocca.com prolocoforlimpopoli@libero.it Un fiore all’occhiello: Fattorie Faggioli di Civitella di Romagna, nell’Appennino tosco romagnolo, sono un’azienda agrituristica eco sostenibile che produce coltivazioni bio, con fattoria didattica e appartamenti per famiglie, per vivere esperienze di benessere e relax. Definita dall’Unione Europea “fattoria pilota” per progetti di governance territoriale. www.fattoriefaggioli.it ▣ Informazioni www.stradavinisaporifc.it www.terradelbuonvivere.it www.aptservizi.com T URI S MO NAZ I ONAL E
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Vino, cultura, economia, turismo per il rilancio dell’Irpinia!
Pro Loco Planca lancia il progetto sul Greco di Tufo. di Carmen Guerriero – foto di Carmelo Sichinolfi
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ell’ “Anno nazionale del turismo lento”, anche l’Irpinia, cuore della Campania nonché una delle province più belle d’Italia,
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prepara la promozione turistica del suo territorio su più fronti insieme ad Istituzioni, Enti ed Associazioni, per evidenziare come il patrimonio culturale, artistico, religioso e
enogastronomico sia parte integrante dell’identità italiana. Al centro di un sistema di Parchi Naturalistici di grande rilievo ambientale e paesaggistico, grazie ad un
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elevato indice di biodiversità, l’Irpinia è, da sempre, terra di transito tra il Mar Tirreno e il Mar Adriatico, compresa tra l’Appia Traiana e la Regina Viarum dei Romani, tant’è che, ancora oggi, sono visibili tracce di antichissime frequentazioni dall’epoca preistorica a quella greca, sannita, romana e medioevale. Luogo unico per tipicità e biodiversità, disteso tra panorami sereni, antichi rustici, casali e case di corte, lunghi filari di vigneti, borghi di pietra, piccoli paesi, dove assaporare, senza fretta, il gusto delle cose autentiche, l’Irpinia è terra d’elezione per un “turismo lento”, dove l’emozione è filo conduttore di
itinerari che intrecciano storia, arte, fede, tradizioni, leggende, paesaggi e cultura enogastronomica. Qui, oltre mille anni fa, in un prezioso remoto lembo di terra compresa nei comuni di Altavilla Irpina, Chianche, Tufo, Montefusco, Prata di Principato Ultra, Petruro Irpino, Santa Paolina e Torrioni, gli antichi Greci, piantarono “le viti che portarono attraversando il mare Adriatico”. Era il Greco di Tufo, oro d’Irpinia, senza dubbio il più antico vitigno dell’Irpinia, DOC dal 1970 e DOCG nel 2003, un vino talmente prezioso ed elegante in colore, profumi e finezza, da conquistare, già nell’antichità, i banchetti più
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esclusivi e i palati più esigenti. Nessuna sorpresa, dunque, che proprio dalla piccola cittadina di Chianche, in provincia di Avellino, il progetto Greco di Tufo, Oro d’Irpinia, sia partito un format dedicato alla valorizzazione del territorio e della produzione vitivinicola del Greco di Tufo DOCG compreso nell’areale degli otto Comuni vocati della DOCG (Altavilla Irpina, Chianche, Tufo, Montefusco, Prata di Principato Ultra, Petruro Irpino, Santa Paolina e Torrioni). Pensato in maniera itinerante, con edizione annuale, a rotazione, l’evento si è svolto lo scorso 16 febbraio 2019,
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organizzato dalla Pro Loco Planca di Chianche, in collaborazione con la giornalista Carmen Guerriero, che ha anche moderato l’evento, ed ha avuto il patrocinio della Camera di Commercio di Avellino, Ente Provinciale del Turismo di Avellino, UNPLI Prov. AV, Provincia di Avellino, Associazione Nazionale Città del Vino, Federazione FISAR e PMI International, Confederazione delle piccole e medie imprese nel mondo. L’evento ha visto la presenza vivace di istituzioni, giornalisti, imprenditori, produttori, associazioni di categoria ed esperti del settore, segno
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tangibile di grande interesse per il prodotto “vino”, in questo caso, Greco di Tufo, percepito come un Patrimonio comune di cultura, economia, turismo, parte integrante dell’identità italiana, raccogliendo il consenso anche di produttori delle aziende partecipanti che hanno potuto confrontarsi non solo con un pubblico interessato, ma anche con altre realtà produttive. Nata nel 1985 per incrementare “qualsiasi genere di attività sulla vita artistica di Chianche, dell’Irpinia e della Regione Campania”, la Pro Loco mira a rafforzare le attività di
sensibilizzazione della cultura e la tradizione del vino, coinvolgendo imprese, cittadini ed intero territorio in attività di promozione del Greco di Tufo e delle altre eccellenze del territorio nonché preservare le risorse naturali e paesaggistiche attraverso uno sviluppo sostenibile del territorio. “Il valore universalmente riconosciuto del Greco di Tufo rappresenta lo storico legame della nostra terra con il vino e premia il ruolo fondamentale che i viticoltori hanno su questo territorio di qualità, producendo vini di eccellenza, frutto di grande lavoro, competenza e tanti
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sacrifici” - ha sottolineato Pasquale Cecere, Presidente Pro Loco Planca. “La nostra terra è il nostro futuro, l’eredità che i nostri padri hanno lasciato a noi e che noi, a nostra volta, lasceremo ai nostri figli. Il progetto mira a rafforzare le attività di sensibilizzazione per la cultura e la tradizione del vino e coinvolgere imprese, cittadini e l’intero territorio in attività di promozione della risorsa vino Greco di Tufo, al fine di preservare le risorse naturali e del paesaggio, attraverso uno sviluppo sostenibile del territorio. Abbiamo approntato un ricco dossier che coinvolge tutti gli otto Comuni e le Pro Loco dell’areale della DOCG Greco di Tufo, che prevede diverse azioni ed attività su più fronti da realizzare nel breve T URI S MO NAZ I ONAL E
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In alto, da sinistra: Carmen Guerriero, Pasquale Cecere, Teobaldo Acone, Floriano Zambon. Salvatore Guerriero, Felice De Martino. In piedi, Domenico Biancardi.
termine, la maggior parte delle quali avrà effetti destinati a durare nel tempo”. L’evento segue il solco definito giuridicamente dal Testo Unico 238/16 che ha riconosciuto vino, vite e territori vinicoli come “patrimonio culturale nazionale da tutelare e valorizzare negli aspetti di sostenibilità sociale, economica, produttiva, ambientale e culturale (art.1)”, un vero e proprio manifesto politico, che eleva vino, vite e territorio a patrimonio culturale italiano. Come
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risultato dal nuovo Rapporto sul Turismo del Vino in Italia presentato a febbraio in BIT a Milano, l’enoturismo è in costante crescita, con oltre 14 milioni di visitatori l’anno, un giro d’affari che sfiora i 3 miliardi di euro ed un potenziale molto più ampio. “Il turismo del vino è un capitolo irrinunciabile per lo sviluppo dei territori rurali e interni - ha precisato Floriano Zambon, Presidente Nazionale Città del Vino - ed è una scommessa sul futuro del nostro Paese, sui territori e la difesa dell’ambiente,
sull’imprenditoria, sui giovani e il lavoro, sulla cultura e sugli scambi internazionali. Alle istituzioni diciamo di crederci di più e di fare il possibile per far emergere tutto il potenziale enoturistico italiano. Il turismo del vino può dare una mano a tante famiglie e alle economie locali, è un canale di sviluppo
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e un modo per combattere una fetta di disoccupazione”. Gli ha fatto eco Teobaldo Acone, Ambasciatore delle Città del Vino, che ha rimarcato il valore imprescindibile della “Formazione, promozione e comunicazione” per la promozione del territorio. “Il compito che dovrà svolgere l’Associazione Città del Vino è quello di favorire l’avvio di questo progetto in quanto esperta in materia” - ha continuato Acone - “ma nello stesso tempo fare formazione per i giovani e organizzare il lavoro per far partire, ad esempio, il Consorzio di tutela dei vini irpini e le strade del vino”. “L’Italia, con la sua preziosa vocazione vitivinicola di qualità è una realtà che riflette non soltanto il prestigio del Made in Italy che tutto il mondo ci invidia, ma anche, sul piano commerciale, le difficoltà che, specie le piccole e medie imprese, incontrano nella gestione, commercializzazione e comunicazione dei loro prodotti sul mercato - ha spiegato Salvatore Guerriero, Presidente Nazionale di PMI International, Confederazione delle piccole e medie imprese nel mondo - per vari motivi, come scarsezza di risorse, dimensioni ridotte, incapacità o inadeguatezza di affrontare mercati in maniera efficace”. PMI sta lavorando a un progetto totalmente dedicato al supporto delle piccole e
medie imprese del vino italiano attraverso la creazione di una rete comune dedicata e una flessibilità organizzativa adeguata caso per caso, in base ai bisogni e alle esigenze di ciascuna realtà produttiva”. Ha concluso i lavori l’Avv. Domenico Biancardi, Presidente della Provincia di Avellino, impegnato attivamente sul fronte della promozione del territorio irpino e delle sue eccellenze tipiche per un turismo di qualità e destagionalizzato, al vaglio di un tavolo tecnico presieduto da un pool di esperti dei vari settori il 28 febbraio. “Il nostro obiettivo è realizzare in sei mesi la Fondazione Irpinia per la valorizzazione e la promozione turistica del patrimonio culturale e ambientale del nostro territorio - ha spiegato il Presidente Biancardi. Stiamo costruendo una piattaforma digitale per raccontare l’Irpinia e fare realmente turismo con professionisti ed esperti del settore. La Regione è ancora poco attenta alle aree interne. Basti pensare che la legge regionale sul turismo è ferma dal 2014! Va bene la formazione, ma senza un’azione sinergica non ci può essere futuro per il turismo in Irpinia. È una strada obbligata per garantire una visione unitaria del territorio. Serve maggiore condivisione: spero che la Regione faccia la sua parte
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fino in fondo”. Nell’occasione, si è svolta la cerimonia di consegna della bandiera di Città del Vino, per ratificare l’ingresso della Pro Loco Planca nell’Associazione Città del Vino, il cui obiettivo è di aiutare i Comuni (con il diretto coinvolgimento di Ci.Vin srl, sua società di servizi) a sviluppare intorno al vino, ai prodotti locali ed enogastronomici, tutte quelle attività e quei progetti che permettono una migliore qualità della vita, uno sviluppo sostenibile, più opportunità di lavoro. Raccontare i territori, i produttori, le loro storie e i loro prodotti è fondamentale per incrementare il turismo di qualità, perché “quando salvaguardiamo l’economia tuteliamo il lavoro e salviamo la dignità”. L’Irpinia è un territorio molto ricco, con una grande storia che ha lasciato testimonianze importanti e un patrimonio unico di ricchezze, capace di attirare l’attenzione dei “viaggiatori del territorio”, di quei turisti che intendono il viaggio come occasione di crescita e di arricchimento delle proprie conoscenze, della propria cultura. Non solo, dunque, turismo del vino per la promozione della risorsa vino Greco di Tufo, ma anche turismo per famiglie, turismo enogastronomico, turismo giovanile, viaggi verso borghi storici, viaggi verso le mete di
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pellegrinaggio e turismo matrimoniale, un settore in crescita, con un fatturato annuo vicino ai 380 milioni di euro. L’enogastronomia è, infatti, sempre più un importante driver di viaggio. Ben il 45% dei turisti italiani negli ultimi tre anni ha svolto un viaggio con questa motivazione, con un aumento del 48% rispetto all’anno precedente. A questo importantissimo segmento si aggiunge quello del turismo religioso internazionale, che si articola sia nella sua dimensione pastorale e di fede (attraverso il pellegrinaggio), sia in quella culturale, in cui la pratica turistica ha come meta luoghi con una forte connotazione religiosa, ma con motivazioni diverse, riconducibili all’arte, alla cultura, alla spiritualità, all’etica sociale. Secondo il WTO (Word Trade Organization) sono oltre 300-330 milioni i “turisti religiosi” nel mondo, con un notevole giro di affari (stimato in oltre 18 miliardi di dollari) e con trend crescente verso località considerate sacre o con ricco patrimonio culturale, storico e artistico, sia in Europa sia in altri continenti. In questo senso, l’Italia è certamente una delle destinazioni principali dei flussi turistici mondiali (per i cattolici), considerando la presenza del Vaticano e di Roma, oltre ad altre realtà note quali Assisi, Padova,
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San Giovanni Rotondo, Loreto e altre ancora. L’offerta religiosa del Bel Paese si sostanzia di circa 1.500 santuari, 30.000 chiese, 700 musei diocesani, oltre che di tantissimi monasteri e conventi. In tutti questi luoghi si concentra gran parte del patrimonio culturale – e artistico – italiano ed essi rappresentano tappe fondamentali sia per i pellegrinaggi sia per il turismo culturale e religioso. L’Irpinia non è da meno, se si considerano il superbo Santuario di Montevergine (AV), con la B.V. Maria, la “Madonna nera” o “Mamma schiavona” nel gergo affettuosamente popolare, oltre alla settecentesca Abbazia di Loreto (AV), capolavoro del Vàccaro, con una ricchissima Biblioteca di libri rari e preziosi che è oggi uno dei centri di cultura più importanti dell’intero Mezzogiorno. Il più piccolo, ma non meno importante, areale della DOCG Greco di Tufo serba autentici capolavori artistici che aspettano di essere riscoperti e valorizzati attraverso itinerari religiosi ad hoc, come la Chiesa Collegiata di Santa Maria Assunta del XVIII secolo e l’impronta di San Bernardino ad Altavilla Irpina (AV); la Grotta di San Michele Arcangelo e la Chiesa Madre Santa Maria Assunta con annesso oratorio di Tufo (AV); la Chiesa dell’Annunziata,
che è una basilica paleocristiana con anche alcune catacombe a Prata Principato Ultra (AV); la Chiesa Arcipretale di Santa Paolina e San Felice a Santa Paolina (AV); Chiesa e monastero di San Domenico e Monastero di Sant’Egidio a Montefusco (AV); la Chiesa di San Michele Arcangelo a Torrioni (AV); la chiesa di SS Maria di Montevergine in contrada Lago e la chiesa di San Batolomeo a Pretruro Irpino (AV). L’Irpinia è anche terra di leggende e di antichi racconti popolari di stregoneria e di briganti che hanno abitato boschi e montagne, alimentando credenze e fatti reali, come illustrato dal Prof. Felice De Martino con il suo libro “Il Giudice brigante”. L’intento del progetto è di poter dare un forte messaggio culturale, volto a costruire una nuova cultura del bere, che parta dalla necessità di condivisione e strategia d’azione, abbracciando ambiente, sostenibilità, agricoltura, turismo e innovazione tecnologica. “Riteniamo di essere riusciti a compiere un primo passo lungo questa strada, sensibilizzando pubblico, produttori ed associazioni – ha aggiunto il Presidente Pro Loco Cecere – ad un discorso condiviso che qui inizia, ma che – nei nostri intenti – sarà continuativo nel tempo”. Arrivederci al 14 e 15 Giugno 2019! ▣
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GRAN CANARIA un incontro di culture e
gastronomia nel corso dei secoli Dalla cultura preispanica al giorno d’oggi. di Silvia Donatiello
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are un tour della storia delle Isole Canarie, sottolineando gli elementi che hanno
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caratterizzato i diversi periodi, non è un compito facile. Tuttavia, fornire una panoramica dello sviluppo storico dell’arcipelago, mettendo
in evidenza soprattutto quegli aspetti che contribuiscono a spiegare la gastronomia odierna delle isole è un viaggio interessante nel tempo.
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A pagina 70, Agüimes, Temisas. In questa pagina, dall’alto, Las Palmas: piazza Santa Ana, Vegueta e il Guiniguada, Ciudad Jardín e il porto. A pagina 72, dall’alto, Las Palmas: vista dal Pambaso, spiaggia Las Canteras, Barranco di Guiniguada e la Cattedrale.
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opolazione preispanica delle isole
Negli ultimi anni lo sviluppo della ricerca archeologica ha fornito sufficienti informazioni sulla popolazione autoctona delle isole per fare una nuova lettura delle cronache, dei miti trovati nelle principali fonti storiche, con il fine di conoscere questo periodo. Affrontare la preistoria delle Isole Canarie significa conoscere sia l’origine della popolazione preispanica sia le caratteristiche del suo insediamento e adattamento all’ambiente naturale T U RI S M O I NT E RNAZ I ONAL E
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che costituisce lo spazio geografico delle diverse isole di cui ancora oggi se ne intravedono le origini nell’alimentazione. Attualmente riteniamo che la popolazione aborigena delle Canarie abbia avuto origine tra le popolazioni berbere del Nord Africa che si spostavano verso sud, mosse da due tipi di circostanze. In primo luogo il processo progressivo della desertificazione nordafricana che spinse i popoli del sud delle montagne dell’Atlante a cercare nuovi terreni agricoli e pascoli per i loro bovini. In secondo luogo i resti umani più antichi e gli habitat trovati dagli archeologi nelle isole corrispondono a un periodo compreso tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., cosa che induce gli storici a pensare all’espansione del confine dell’Impero Romano in Nord Africa verso le montagne dell’Atlante Sahariano e il rifiuto da parte di alcuni settori della popolazione dell’area di integrarsi in quell’impero, come causa dello spostamento di queste popolazioni lungo la costa atlantica del Nord Africa e il suo successivo passaggio alle diverse isole dell’Arcipelago delle Canarie, cercando di trovare in esse i mezzi di vita e di sostentamento che non trovarono nel loro luogo di origine. Probabilmente l’insediamento delle Isole è avvenuto in diverse ondate migratorie,
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ciascuna delle quali contribuiva con gruppi di coloni che, con la stessa origine, avrebbero formato
diversi strati culturali. Il bagaglio di tradizioni sociali che ciascuna di queste popolazioni porta dall’Africa,
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insieme alla necessità di generare mezzi che permettano loro di adattarsi alle caratteristiche del nuovo spazio geografico di ciascuna delle isole su cui arrivarono, formeranno diverse forme
di vita, organizzazione sociale e uso delle risorse economiche. In questo modo gli insediamenti aborigeni si stabiliscono, in generale, accanto a fonti e sorgenti che assicurano loro la
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fornitura costante di acqua, assumendo la forma di villaggi costituiti da edifici con una struttura architettonica primitiva (di solito circolare, muri in pietra e vegetazione sul tetto), anche se troveremo, soprattutto in luoghi dall’altitudine elevata e di difficile accesso, un habitat in grotte sia naturali che scavate. L’economia praticata da queste persone varia da un’isola all’altra a seconda delle possibilità dell’ambiente. Così, nelle isole di La Palma e Fuerteventura è essenzialmente basata sull’allevamento, a Gran Canaria prevalentemente agricola, mentre nelle isole di Tenerife, La Gomera, El
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A pagina 73, piantagione di banane e Cenobio di Valeron. In questa pagina, pecore e casolari entroterra. A pagina 75, mandorli e piantagione di banane. A pagina 76, mulino di gofio. A pagina 77, gofio e mousse di gofio.
Hierro e Lanzarote è un mix di agricoltura e pascolo. Un’economia, quindi, indirizzata alla sussistenza di ciascun gruppo di popolazione, sviluppata con strumenti molto rudimentali
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e soggetta costantemente a intemperie o altri vincoli naturali (siccità, esaurimento e limitazioni di terreni agricoli e pascoli, etc.). La cultura materiale, d’altra parte, è molto rudimentale, essendo
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la pietra, il fango, la pelle degli animali o il legno le principali materie prime. In termini di organizzazione, in generale, troviamo società più o meno complesse, divise in strati o gruppi, che si distinguono per il loro diverso livello di ricchezza e il grado di appropriazione dei mezzi di produzione (fondamentalmente terra e bestiame). Così troviamo l’esistenza di una nobiltà aborigena dominante sia a Gran Canaria sia a Tenerife,
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insieme ai settori della popolazione composti dai gruppi economicamente dipendenti dai titolari delle risorse economiche. Nel complesso sembra ci fossero forme di gerarchia politica come strutture o forme di governo basato sulla monarchia (Menceyes a Tenerife, Guanartemes a Gran Canaria, o diversi capi tribali nelle isole minori). Questi monarchi esercitavano il loro potere su una parte o sull’intera
isola. Troveremo poi un unico capo tribù per l’intera isola di Lanzarote e lo stesso per El Hierro; Fuerteventura sarà divisa in due regni, La Gomera in quattro, La Palma in dodici, Gran Canaria in due e Tenerife in nove demarcazioni territoriali. In generale la religione di questi popoli era basata sul culto di elementi naturali, principalmente il Sole, che favoriva o danneggiava le condizioni di vita. Il potere
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politico e religioso era sempre strettamente legato a tutta la popolazione (capi o sovrani inclusi) disposta a rispettare il piano divino per il favore permanente degli dei e di non provocare
la loro ira e attirare così la sventura (carestie, malattie, ecc.). Questo sarà lo scenario che troveranno esploratori, navigatori e conquistatori europei dal tardo Medioevo,
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approdando sulle isole Canarie, dove inizieranno un processo storico che culminerà con l’integrazione dell’arcipelago nel regno di Castiglia alla fine del XV secolo.
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IL GOFIO Dell’epoca aborigena, le isole conservano, soprattutto a Gran Canaria, una lunga tradizione dell’impiego del “gofio” sia in piatti dolci sia salati. Il gofio è un alimento ottenuto dalla macinazione di cereali tostati e consumato anche in Argentina, Cile, Repubblica Dominicana, Cuba, Porto Rico, Venezuela e Uruguay. Prodotto di rapida preparazione, economico, saporito e versatile, il gofio è l’alimento canario per antonomasia che sin dalla notte dei tempi ha accompagnato le popolazioni indigene preispaniche fino ad arrivare ai giorni nostri. Il termine gofio è l’esempio più evidente dei contributi delle isole Canarie al lessico ispano-americano. Nel gennaio 2012, a livello europeo, è stata presentata una domanda di registrazione del «Gofio Canario» nel registro delle Indicazioni Geografiche Protette. Le materie prime autorizzate per il gofio canario (solo per i prodotti trasformati) sono cereali (frumento, miglio, mais, orzo, segale, avena, riso), leguminose (fave, ceci, soia) e sale marino. La produzione del gofio canario è
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caratterizzata dalla presenza del “mastro mugnaio”, le cui competenze si tramandano di generazione in generazione. E oltre il logo dell’Unione europea e la dicitura dell’Indicazione Geografica Protetta, l’etichettatura del prodotto - quando la produzione del gofio è stata elaborata con mulini di pietra può menzionare la dicitura “artigianale” o “prodotto con mulino di pietra”. Il Gofio oggigiorno è possibile trovarlo sia nei guachinche, trattorie o piole ubicate soprattutto in un contesto rurale, sia nei ristoranti più raffinati. Il Gofio Escaldado è la versione salata più famosa, una crema accompagnata da verdure e carne o pesce. Mentre se si visita la località di Tejeda a Gran Canaria, a circa 1500 m di altitudine, nel pieno centro dell’isola, bisogna assolutamente visitare le famose pasticcerie nelle quali, oltre ai dolci a base di mandorle - grazie all’estesa produzione locale - si può provare la mousse di gofio o i brownies di gofio. Nella cultura popolare, fino a pochissimi anni fa il gofio veniva usato come cereale nel caffelatte mattutino, come colazione per grandi e piccini.
onquista delle o metalli preziosi. In questo Isole Canarie senso l’arcipelago fornirà una base per la fornitura di scali importanti per le navi battenti La conquista questi percorsi o utilizzando delle Canarie le sue risorse umane e deve essere situata nel materiali per ottemperare alle contesto dell’espansione richieste dei mercati europei atlantica dei vari stati che richiedono schiavi, europei, nel loro tentativo cocciniglia e canna da cui di aprire percorsi e canali di sono stati ottenuti i coloranti comunicazione con le Indie, circumnavigando il continente per una fiorente industria tessile. africano, per il commercio Il processo di conquista è delle spezie, sete, schiavi
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lento (durerà quasi tutto il XV secolo) e portato a termine in due fasi le cui caratteristiche condizioneranno la successiva evoluzione storica di ogni isola. La fase iniziale è identificata come fase di Maestro, dal momento che durante questo periodo le stesse isole (Lanzarote, Fuerteventura, La Gomera e El Hierro) verranno conquistate da nobili europei (francese come Jean de
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Bethencourt o castigliano come Hernán Peraza o Diego de Herrera) i quali, servendo i monarchi di Castiglia, intraprendono la conquista come una società privata, ottenendo dalla stessa diritti feudali per la terra e i popoli conquistati. Diritti che avranno un carattere ereditario e condizioneranno le forme di sfruttamento economico e controllo sociale e politico delle isole menzionate fino al XIX secolo. La seconda fase del processo di soggiogazione delle Canarie è dato dalla conquista Reale, così chiamata perché gli stessi re di Castiglia sono coinvolti direttamente, ponendo le isole conquistate in quel periodo (Gran Canaria, La Palma e Tenerife) sotto il
loro controllo diretto. Qui dobbiamo distinguere tre agenti coinvolti nel processo: i monarchi che hanno ordinato la conquista, i commercianti e i banchieri (principalmente genovesi) che l’hanno finanziata con fondi in cambio di concessioni economiche sostanziali sulle isole conquistate. Infine, i conquistatori che hanno organizzato gli eserciti militari assoggettando gli aborigeni, beneficeranno della distribuzione a posteriori delle terre conquistate con un accordo che teneva conto della gerarchia militare e politica occupata da ciascuno. Intorno all’anno 1496, con il completamento della conquista di Tenerife l’ultima a cedere - le isole Canarie diventano parte della Corona di Castiglia.
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In generale il processo di conquista non sempre segue le stesse linee guida, cambia a seconda del periodo, delle pretese dei conquistatori e degli atteggiamenti degli indigeni. Quindi, possiamo trovare situazioni di conquista più o meno pacifica, come nel caso di Jean de Bethencourt a Lanzarote, o di un vero e proprio genocidio come nel caso di Diego de Herrera a La Gomera. La fine della conquista è la fine della cultura e degli stili di vita degli aborigeni. Alcune di queste caratteristiche persisteranno per alcuni anni prima di soccombere, nel corso del tempo, all’emarginazione o persecuzione che subiscono coloro che si ostinano a mantenerle.
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A pagina 79, mulino di gofio a Valleseco. In questa pagina, mappa di Gran Canaria. A pagina 81, mappa del Tropico del Cancro e mappa di Gran Canaria, Exposición de Productos de Artesanía. A pagina 82, bodegas Las Tirajanas. A pagina 83, mappa di La Isleta.
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sole Canarie dal 16 ° secolo
La storia delle isole Canarie dal XVI secolo è condizionata da un’ulteriore colonizzazione da parte di vari gruppi di persone che vi si stabiliscono attratti dalle possibilità di progresso economico offerte: campi agricoli, partecipazione ai circuiti di commercio atlantico tra le Indie e l’Europa, fornitura di manufatti alle isole, ecc. La maggior parte dei residenti sono spagnoli (Galizia, Castiglia, Andalusia, Aragona, etc.) dediti all’agricoltura, sia della propria terra, sia al servizio di altri proprietari. Oltre ad essi arrivano, inoltre, Portoghesi, Genovesi e Fiamminghi che si dedicano
allo sviluppo e all’utilizzo e alla commercializzazione di zucchero locale, generando grandi fortune, attraverso la quale l’economia delle Canarie è integrata nei mercati internazionali. Troviamo, inoltre, gruppi di popolazione africana moresca e nera, che vengono portati sulle isole dopo essere stati catturati per essere utilizzati come schiavi nelle piantagioni di canna da zucchero, nei mulini o nel servizio domestico. Infine, gli Inglesi e gli Irlandesi che verranno attratti dalla produzione e dall’esportazione di vino, prodotto quest’ultimo che, dalla seconda metà del XVI secolo, sostituirà progressivamente, per importanza economica, la canna da zucchero.
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I diversi gruppi di popolazione saranno integrati rapidamente, formando un quadro sociale che fornirà alla popolazione delle Canarie una propria idiosincrasia e un peculiare carattere cosmopolita e aperto alle influenze esterne. L’economia delle Canarie durante questo periodo ruoterà attorno alla produzione e al commercio di alcune colture esportate richieste dai mercati internazionali (specialmente quelli europei). Questi prodotti, di ottima qualità grazie al clima delle isole, portavano anche grandi
benefici a coloro che ne controllavano il commercio. Durante il XVI secolo, il principale prodotto di esportazione era la canna da zucchero, dalla fine del XVI secolo, l’intero XVII secolo e gran parte del XVIII secolo saranno i vini delle Canarie il prodotto più richiesto all’estero. La produzione di colture esportate non ha interessato tutte le isole allo stesso modo. Alcuni hanno avuto un ruolo più rilevante di altre. Così, la produzione di canna da zucchero si è verificata principalmente sull’isola di Gran Canaria,
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mentre il vino si trovava soprattutto a Tenerife, il che rende quest’isola il centro economico e politico delle Isole Canarie durante quei secoli. Con il contribuito della commercializzazione di questi prodotti, altri ne vengono portati nelle isole e a loro volta da Gran Canaria o Tenerife sono distribuiti nel resto dell’arcipelago. Allo stesso tempo, si sono sviluppate le isole in cui i prodotti di esportazione derivati dall’agricoltura sono destinati anche al mercato interno, commercializzando in quelle isole in cui gli abitanti o la maggior parte di essi, destinano le loro terre alla produzione di prodotti specifici per l’esportazione o la loro terra non produce abbastanza per il proprio consumo. Il meccanismo economico appena descritto non ha sempre funzionato in modo efficace. In certi momenti della storia delle isole Canarie, i prodotti citati hanno cessato di essere esportati, temporaneamente o definitivamente, a causa della guerra o della competizione con altri paesi (ad esempio, la canna da zucchero di Gran Canaria non poteva superare la concorrenza di quella prodotta nelle colonie americane). Di conseguenza il capitale non veniva più inviato alle isole, le importazioni vennero ridotte e ne scaturirono periodi di
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scarsità alimentare e di impoverimento. Gran parte della popolazione soffriva allora la fame e la miseria, costringendo molte persone a optare per l’emigrazione alla ricerca di mezzi per sopravvivere. La società delle isole durante l’Ancien Règime è complessa e con molte divisioni, con ogni gruppo sociale conforme al grado di appropriazione della terra arabile e alla sua partecipazione ai circuiti commerciali delle Canarie. Per oltre trecento anni l’immagine dell’Arcipelago è determinata dalla serie di circostanze qui sopra descritte e sarà solo dalla seconda metà del XIX secolo che subentreranno le condizioni che permetteranno l’entrata delle Canarie nell’era moderna.
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toria contemporanea
La storia contemporanea delle Isole è caratterizzata in primo luogo dallo smantellamento del precedente modello economico, anche se da un lato viene mantenuta l’esistenza di prodotti di esportazione (la cocciniglia durante la seconda metà del XIX secolo, la banana, il pomodoro e le patate). In secondo luogo, aumentano le necessità dell’industria del turismo, che deve essere in grado di offrire una gran varietà di prodotti nella ristorazione per diventare un’industria interessante capace di attrarre capitali; di conseguenza l’equilibrio tra le colture esportate e quelle
destinate al consumo interno viene interrotto, spingendo sempre di più verso le importazioni, il che aumenta il grado di dipendenza esterna dell’economia delle Canarie. Per ultimo approfittano del processo di internazionalizzazione del sistema capitalista e del fenomeno imperialista e coloniale di fine Ottocento. Dal raggiungimento dei Porti Liberi nel 1852, i porti delle Canarie e soprattutto il Porto di La Luz a Gran Canaria, traggono vantaggio grazie alla loro ubicazione come punto di scalo obbligatorio nella navigazione delle navi europee verso le colonie africane e asiatiche, nonché nei confronti dei mercati dell’America Latina, generando, sotto la protezione del
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porto, numerose attività commerciali ed economiche che danno luogo alla formazione di enormi fortune e alla grande richiesta di forza lavoro. Quest’ultima causerà un intenso movimento migratorio verso le principali città (Las Palmas de Gran Canaria e Santa Cruz de Tenerife) dai campi o dalle isole periferiche. La società delle Canarie si sviluppa così sulla base della posizione che ciascun gruppo occuperà nel processo economico descritto. In generale troviamo una borghesia che controlla l’esportazione di banane, pomodori e patate a cui attualmente viene aggiunta l’attività turistica e con essa l’importazione di merci e di approvvigionamenti interni. Al controllo di questa borghesia sulle risorse
economiche delle Canarie dobbiamo aggiungere la presenza di capitale straniero investito nelle attività sopra citate, un elemento più o meno permanente nell’economia dell’isola dalla fine del XIX secolo. Infine, lo sviluppo contemporaneo è condizionato dai cambiamenti politici che hanno avuto luogo dal XIX secolo in Spagna, motivati dal processo di attuazione dello Stato liberale in cui la partecipazione dei cittadini è canalizzata attraverso i partiti politici. Il processo nelle isole Canarie sarà fortemente mediato dalla presenza della cosiddetta “querela insulare” tra Las Palmas de Gran Canaria e Santa Cruz de Tenerife, attraverso la quale i gruppi sociali dominanti delle due capitali competono
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per conquistare il favore del potere centrale al fine di raggiungere il controllo politico ed economico delle isole. In questo quadro, parallelamente al turismo e soprattutto grazie ad esso e al commercio che ha rappresentato la costante economica delle Isole Canarie e soprattutto di Gran Canaria, si sono sviluppati sempre più la gastronomia locale, i mercati di frutta e verdura, così abbondanti sulle isole, e il recupero delle antiche tradizioni e ricette culinarie. Tra tutti spicca il gofio, piatto preispanico la cui origine è attestata, tra l’altro, nell’opera di José Pérez Vidal dal titolo La aportación de Canarias alla Población di América (1955) nonché da docenti universitari. ▣
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Grecia, l’isola di
C R E T A Il fascino di Creta rimane custodito lontano dai divertimenti chiassosi di questa zona, nascosto ancora nei dettagli quotidiani della vita greca di provincia. Testo e foto di Jimmy Pessina
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e davvero, dice lo storico Fernand Braudel, il Mediterraneo va dal primo ulivo alla prima palma (da nord a sud), a Creta siamo già in un altro mare. E in un altro continente. Il sottile confine meridionale è un’ignara striscia di sabbia, sulla punta nordorientale dell’isola: Vai. E’ il palmeto che si è spinto più in alto nella rete convenzionale dei meridiani: il sogno esotico degli europei più conservatori. Vai è l’ultima spiaggia, più giù è già Africa. Così Monì Préveli, sulla costa occidentale: lido di difficile imitazione. Qui le palme scortano un torrente
fino al mare. Si può stare sul bagnasciuga o risalire il ruscello, arrampicandosi poi sui massi e cascate. Gola profonda anche a ovest, a Samarià, dove si può discendere la forza dall’origine, in montagna, fino alla spiaggia: qualche ora di sana marcia e una levataccia per i più pigri. L’avventura inizia con la xiloskala, la “scala di legno” che s’inabissa in una vegetazione alpina fatta di pini e fiori selvatici, dove solo le onnipresenti chiesette ortodosse in calce bianca tradiscono la natura mediterranea del luogo. Fino al punto più stretto, le Sideroportes, le “porte di ferro”, dove basta allargare le braccia per toccare le
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pareti del canyon. In alto, oltre cinquecento metri, la striscia indaco del cielo greco d’estate è il tetto della gola. Nei punti più impervi delle pareti di roccia si muove, in perfetto, difficile equilibrio, la cri-cri, la capra cretese. Ancora a occidente, Elafonissos: e qui sembra di essere in Sardegna. Un promontorio di sabbia rosa allungato sul mare che richiede una tortuosa strada (alla fine sterrata) di avvicinamento, ma soddisfa le attese. Sulla perpendicolare, nella punta nord, Falàssarna. Una spiaggia dritta e lunghissima, davanti un mare trasparente. Mitica. Pare infatti che una volta fosse un’isola e
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A pagina 84, Creta, spiaggia del sud. A pagina 85, porto di Elounda. A pagina 86, classico porto di Creta e spiaggia di Balos. In questa pagina , faraglioni a sud est e spiaggia di Soujia, l’unica con i sassi.
venisse calpestata dal passo pesante e indifferente di Polifemo, il gigante cattivo dell’Odissea. Lo afferma Tim Severin, accademico e esploratore inglese che si è imbarcato su un’antica galera e con rigoroso metodo scientifico ha ripercorso
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il viaggio raccontato da Omero. Dall’altra parte di Creta, verso est è Aghios Nikòlaos, c’è Istro: una mezzaluna di sabbia troppo affollata di turisti, ma davvero irresistibile. Ancora due occasioni di mare sulla costa meridionale: Aghio Pàvlos,
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tra le più appartate, da conquistare con tante curve in macchina e una discesa libera a piedi in una scarpata di sabbia che deposita direttamente davanti al mare (la fatica vera è la risalita). A Màtala, con le caverne dove
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rimbalza ancora l’eco della musica hippy, che suonava quando le antiche tombe, scavate nella costa a falesia, erano il rifugio spensierato dei figli dei fiori. Le escursioni a Creta sono interne: a Anòghia, alle spalle
della costa settentrionale, dove d’inverno si scia e d’estate arrivano pochi turisti, in cerca di prodotti dell’artigianato di qualità (soprattutto tappeti, cuscini, coperte, borse tessute di vivaci colori a mano); a
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A pagina 88, spiaggia di Xerokambos e veduta dal Monte Ida. In questa pagina , monastero di Arkadi.
Zaròs, nell’entroterra del litorale sud, dove gli ulivi cedono improvvisamente il passo ai castagni, le triglie di scoglio alle trote e il mare alla montagna. All’altopiano di Lassìthi, disseminato di mulini a vento come un polder olandese o la Mancha di Spagna: antica e moderna centrale eolica che alimenta un’agricoltura minimalista di olive, patate, fichi, mele e pere. Oppure sono viaggi interiori a Cnosso, Festo, Kàto Zàkros,
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Arkadi, tra le rovine di una civiltà lontana anni luce e bellissima. Basta entrare nel museo di Iraklion (dove sono conservati molti reperti originali dei siti archeologici), che come tutta la città ruota intorno a platìa Eleftherìas, per immaginare come doveva essere bello vivere a Creta tra il 3400 e il 1200 avanti Cristo. In una società che non difende le città con mura di cinta, perché non pensa alla guerra, ma è tutta dedita alla coltivazione dell’arte e della bellezza: e tra l’arte scolpita nel granito degli Egiziani e l’arte del marmo dei Greci preferisce quella degli affreschi e del gesso finemente lavorato. Un trionfo di piante e animali dipinto sui muri che sembra illustrare la natura lussureggiante dell’Africa nera anziché quella di un’isola mediterranea: scimmie azzurre che colgono crochi di un rosa mai visto, pesci alati, tori con zanne di cinghiale, ali di farfalle che diventano corna di cervi e giaggioli che finiscono come fiori di papiro. Una flora e una fauna fantastiche che fanno da sfondo a uomini e donne dai corpi seminudi e allenati: l’incomponibile contrasto tra la gioia delle danzatrici a seno nudo, davanti al pubblico seduto sotto gli ulivi blu degli affreschi di Cnosso, e i corpi trascurati dei turisti moderni, esposti sulle spiagge. Per ritrovare un po’ di poesia bisogna salire sul bastione di
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Martinengo, che chiude a sud la cinta muraria di Iràklion, spessa anche 15 metri, costruita da Venezia; dove le coppiette si appartano davanti al tramonto e ai versi di Nikos Kazantzakis, incisi sulla tomba: “Non credo in niente. Non spero in niente. Io sono libero”. Se l’archeologia ha riparato al museo di Iraklion, in loco sono rimasti qualche originale e tante copie. Suggestioni, soprattutto: a Festo più che a Cnosso. Festo ha due vantaggi: un terremoto in meno sulle spalle (quello catastrofico del 1570 avanti Cristo) e una posizione davvero invidiabile, con la vista che arriva fino alla cima nuvolosa del monte Ida e alla valle di Massarà. Un balcone inimitabile, soprattutto in A G R OAL I ME N T ARE I N T E R NAZ I ONAL E
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primavera quando sboccia in un prato di anemoni violetti, rossi e bianchi, margherite gialle, giacinti e asfodeli. Il respiro del passato si avverte anche a Réthimnon, sulla costa settentrionale, dove i volumi imponenti delle opere di difesa veneziane sopravvivono accanto alle silhouette snelle di minareti turchi (suggestivo il centro storico della città). E’ una delle poche pause concesse dalla speculazione edilizia del turismo di massa, che ha colonizzato il litorale settentrionale, da Hanià a Aghios Nikòlaos, passando
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da Iraklion. Il fascino di Creta rimane custodito lontano dai divertimenti chiassosi di questa zona, nascosto ancora nei dettagli quotidiani della vita greca di provincia. Ha scritto bene Mario Praz in “Viaggio in Grecia”: “...mi piacerà sempre ricordarmi dell’insegna del Kapheneìon to Kanarini, il Caffè dei Canarini. Il nome degli uccelli figurava in giallo e sospese alla tettoia erano una mezza dozzina di gabbie di canarini. Il loro canto trillava per tutto il vecchio porto e l’acqua era più azzurra per quella nota di giallo”. ▣
A pagina 90, reperti archeologici e Isola del Minotauro. A pagina 91, classica bancarella di souvenir. In basso, confettura di carote e panzanella greca con friselle. In questa pagina, spiaggia a sud ovest, di fronte alla Libia.
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In Bretagna, lungo la Strada dei Fari e alla scoperta degli antichi castelli Le coste bretoni presentano la più alta concentrazione al mondo di fari e i castelli testimoniano i segni del loro passato medievale. di Giovanna Turchi Vismara
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aesaggi di una selvaggia bellezza e un incredibile patrimonio di storia e antiche tradizioni caratterizzano la Bretagna, penisola della Francia
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situata nell’estremo ovest dell’Europa, protesa tra la Manica a Nord e l’Oceano Atlantico a Sud. Lungo i suoi 2730 km di coste alquanto articolate, segnate da profonde insenature e promontori rocciosi a picco
sul mare e costellate da tante pittoresche piccole isole, si verificano le maree più grandi d’Europa. Le coste bretoni, proprio a causa dei numerosi scogli e delle forti correnti che si formano tra l’Atlantico e
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la Manica, presentano la più alta concentrazione al mondo di fari, in particolare nel Finistère, resi necessari fin dai secoli passati per garantire la sicurezza della navigazione. Attualmente, molti di questi fari hanno subito importanti innovazioni tecnologiche pur non essendo più abitati grazie alle tecniche di navigazione assistita, altri protetti in qualità di monumenti storici costituiscono testimonianza della storia degli uomini e delle tecniche. Da questi
fari oggi aperti alle visite si possono godere dei panorami mozzafiato. Il Faro dell’isola Vergine, a Plouguerneau, il più alto d’Europa, è un gigante di granito che conta 365 gradini di una scala a spirale per raggiungere la sua cima. Il Faro di Saint-Mathieu emerge dalle rovine di un’antica abbazia. E’ un elegante edificio costruito nel 1835 e dotato di 163 gradini. La sua luce indica ai marinai il cammino della gola di Brest. Il panorama che si
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gode dall’alto e che spazia dalla Pointe du Raz all’isola di Ouessant nelle giornate di bel tempo è spettacolare, ma lascia letteralmente senza fiato nei giorni di tempesta. Il Faro di Trézien, considerato il guardiano del canale del Four, è un edificio in granito che si erge in mare a 500 metri dalla riva, nei pressi della punta di Corsen ove le acque del Canale della Manica si mescolano con quelle dell’Atlantico. Il faro guida le imbarcazioni attraverso lo Chenal du Four.
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Il Faro dello Stiff su l’Ile D’Ouessant, progettato da Vauban, è il più antico faro bretone ancora in attività, ed è in funzione dal 1700. Particolarmente interessante è la visita al Museo dei Fari sull’isola di Ouessant. Qui si possono vedere, oltre all’ottica gigante del Faro del Créac’h, lanterne a carbone, lenti di Fresnel e tanti altri oggetti che ripercorrono tre secoli di storia e di evoluzioni tecniche. Non particolarmente conosciuti ma ricchi di storia i castelli della Bretagna testimoniano i segni del loro passato medievale spesso rivisitati da influenze architettoniche dei secoli successivi. Possono essere inespugnabili fortificazioni
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militari di fronte all’Oceano o case castello nel cuore di piccole città. Affacciato sul mare, posizionato in cima ad una scogliera a picco sul mare e sulla brughiera, il Fort La Latte fu costruito nel XIV secolo, rimaneggiato nel XVII e restaurato all’inizio del XX. Dal suo cammino di ronda si può ammirare un panorama mozzafiato su tutta la costa di smeraldo. Costruito nel XIII secolo il Castello di Suscinio, con la sua vasta cinta muraria fiancheggiata da 6 torri, si innalza tra graziose e piccole fattorie circondato da boschi e paludi, e si affaccia sul mare sull’ansa di Landrezac. Fu ampliato sotto l’impulso dei Duchi di Bretagna e fu la
residenza preferita di Anna di Bretagna. Costruito nell’XI secolo, il Castello di Vitré è uno dei migliori esempi delle fortificazioni delle Marche di Bretagna. All’interno ospita un ricchissimo museo e ben otto delle numerose sale sono ricche di decorazioni che si rifanno a epoche diverse dal XVI al XIX secolo. Il Castello di Josselin, con la sua sontuosa facciata in stile gotico fiammeggiante e le maestose tre torri che dominano sul fiume Oust nel cuore del Morbihan, è considerato fortezza del Medioevo e gioiello del Rinascimento bretone. Con i suoi quasi dieci secoli di vita è ancora proprietà dei suoi fondatori, la famiglia De
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Rohan, i cui membri sono ricordati in molti ritratti di famiglia appesi nelle sale. Nel grande salone è oggetto di ammirazione il magnifico camino monumentale costruito nei primi anni del XVI secolo. In stile completamente diverso è il Castello di Trévarez riconosciuto Patrimonio del XX secolo. Nel cuore di un parco di 35 ettari, in piena epoca Belle Epoque, il politico James de Kerijégu diede inizio nel 1893 a questa prestigiosa dimora
che domina sulla valle del Aulne. Ogni anno al Castello di Trévarez viene invitato un artista contemporaneo ad esprimere il suo punto di vista sul luogo. L’opera creata appositamente per il castello è accompagnata da un’esposizione temporanea nelle antiche sale. Le stesse in inverno ospitano l’evento “Natale a Trévarez”, dedicato alla creazione e alle storie di Natale per grandi e piccini. Altri antichi castelli invece sono stati attualmente trasformati in hotel di lusso.
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Ne è un esempio il Castello di Nessay, sulla penisola di Saint-Briac-Sur-Mer. Questo elegante edificio ottocentesco, un tempo casa di famiglia, è oggi un hotel 4 stelle che offre 17 camere, ognuna con la propria identità e tutte con vista sul mare. Il ristorante offre una cucina familiare caratterizzata dai prodotti del luogo (www. lenessay.com). Il Castello di Boisgelin a Pléhedel trasformato in ristorante-hotel vanta la presenza di Mathieu
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Kergourlay, giovane chef bretone stellato, che offre una cucina caratterizzata dai prodotti del territorio e da quelli provenienti dal giardino della tenuta, uniti a originali sapori esotici e marini. (www. mathieu-kergourlay.com) Nella cucina bretone hanno notevole rilevanza le spezie. Il loro uso risale a partire dalla metà del XVIII secolo, quando la Bretagna coprì un ruolo fondamentale sulla famosa rotta delle spezie proveniente dall’Asia. Oggi gli chef più noti e i nasi più impegnati sono coinvolti a creare le miscele più varie per le ricette più sfiziose. In Bretagna sono ricche di
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sorprese anche le sue città. Rennes, la capitale, è una città moderna e dinamica, in continuo divenire, ove convivono in magica armonia tesori antichi e moderni, si va dai mosaici di Odorico al nuovissimo Centro Congressi nato nell’ex convento dei Giacobini, un edificio ricco di storia del XIV secolo. Anche la Street Art fa bella mostra di sé lungo le strade con affreschi, sculture e installazioni. Rennes è solo a 1h25 da Parigi grazie alla linea ad alta velocità inaugurata nel 2017. E’ ricca di fascino Brest, seconda città della Bretagna. In gran parte distrutta durante
la seconda guerra mondiale, ha saputo reinventarsi anche con le sue numerose costruzioni del XX e XXI secolo. E’ imponente il ponte d’Iroise, inaugurato nel 1994, che scavalca l’Elorn e che consente di ammirare il porto di Brest da uno straordinario punto di vista. Una eccezionale panoramica dall’alto su Brest si può ammirare dalla funivia che porta a Le Fourneau, il Centro nazionale delle arti di strada. ▣ Informazioni www.tourismebretagne.com www.france.fr
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ALLA SCOPERTA della Grecia Occidentale Etolia Acarnania, Acaia, Ilia: un territorio sorprendente e poco conosciuto, intrecciato con i momenti fondamentali della storia greca. Testo e foto di Franca Dell’Arciprete Scotti
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on solo Atene e le isole sono mete da ricordare. La Grecia classica ha indubbiamente il suo fascino. Giovani, coppie, gruppi di amici: chi non ha fatto, almeno una volta nella vita, il viaggio ad Atene per
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contemplare l’Acropoli, il Partenone, la Plaka, il Pireo? E chi si è sottratto, giovane o meno giovane, al fascino indimenticabile delle isole greche sparse nell’Egeo, da Mykonos a Santorini, da Sifnos a Naxos? Eppure la Grecia riserva altre bellissime località, meno note
al grande pubblico, e, proprio per questo, da scoprire, prima che siano invase dal turismo di massa. Nella regione della Grecia Occidentale, ad esempio, le tre province dell’Etolia Acarnania, Acaia e Ilia, possono rivelare tesori di cultura e arte.
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E sono ideali per programmare un bel viaggio di primavera, quando il clima è dolcissimo, le giornate luminose e il sole alto. Un sole netto che splende sui templi di Olimpia, su poche colonne alte e possenti dai capitelli dorici e altre slanciate nello stile ionico. In questo luogo sacro, legato al mitico fondatore Pelope, si riunivano i popoli greci ogni quattro anni e per un mese regnava la pace. Era il centro atletico e religioso più importante del territorio ellenico, dove si affermavano gli eroi greci, prestanti e lucenti d’olio, premiati solo con la corona di ulivo, mai con denaro. Ai piedi della lussureggiante collina del Kronios, tra i fiumi
Alfeo e Kladeo, Olimpia oggi è ancora un luogo sacro, ricco di fascino. Tra gli ulivi, i pini e i cipressi, in un clima incantevole e ventilato, anche in piena estate, si passeggia tra gli scavi avviati a fine Ottocento, concludendo la visita nello splendido Museo Archeologico. Ci guardano, distaccati e sereni, l’Ermes di Prassitele, la Nike di Peonio, i frontoni del tempio di Zeus con le lotte di uomini e semidei. E ancora qui, dopo 2000 anni, da quando nel 1896 le Olimpiadi furono riportate in vigore da Pierre de Coubertin, si svolge la cerimonia dell’accensione del fuoco, che poi sarà portato da un atleta fino alla città prescelta.
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A pagina 100, la laguna di Missolungi. In questa pagina , il lago Kaiafa. A pagina 102, Naupaktos. A pagina 103, Olimpia. A pagina 104 e 105, Patrasso e Missolungi.
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Patrimonio protetto dell’Unesco, tutto il sito di Olimpia è il luogo imperdibile della provincia dell’Ilia, la più meridionale delle tre province della Grecia Occidentale, che non solo offre il Tesoro di Olimpia, ma anche altri tesori meno conosciuti. Ad esempio Katakolon, con il suo porto pittoresco. E il lago di Kaiafa, ombreggiato da pini ed eucalipti, dove si apre la cittadina termale famosa per le acque curative che scaturiscono da una grotta dove, secondo il mito, il centauro Nesso era venuto a sanare la sua ferita provocata dalle frecce avvelenate di Ercole. Il lago era famoso anche
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presso scrittori e viaggiatori antichi, come Pausania e Strabone, che tessevano le lodi delle qualità terapeutiche delle acque. Ma una delle attrazioni di tutta la provincia dell’Ilia sono sicuramente le spiagge: 120 km di sabbia dorata e sottile che invitano a lunghe vacanze balneari. Come l’Ilia, anche l’Etolia Acarnania e l’Acaia sono zone ancora intatte ed ospitali. L’Etolia Acarnania è la provincia del Nord al di là del Golfo di Patrasso. Vastissima, fino al confine con la Macedonia, variegata e panoramica, verde e
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scoscesa, ricca di boschi e lagune, ha il suo centro nella città santa di Missolungi. Qui si verificò il famoso assedio e una tappa fondamentale della guerra d’indipendenza. Qui morì Lord Byron, nel 1821. Simbolo del patriottismo, dell’amore per la libertà e del romanticismo ottocentesco, il Giardino degli Eroi di Missolungi rivive tutta l’epopea della storia greca tra statue, cippi, lapidi. Vicino a Missolungi si apre una laguna vastissima e pescosa, punteggiata da case di legno che sembrano affiorare dall’acqua e strane barche sottili con cui si
pesca di notte alla luce delle lampade. Una cittadina deliziosa sulla costa è Nafpaktos, l’antica Lepanto, con il suo castello in alto sulla collina e il porto veneziano. Ricordo del periodo in cui tutta questa regione, insieme con le isole ioniche, fu sotto il dominio veneziano. Oggi nel Golfo di Nafpaktos, che separa l’Etolia dall’Acaia, domina un’opera modernissima e spettacolare: il ponte Charilaos Trikupis, inaugurato nel 2004. È un ponte sospeso mediante cavi, a più aperture, il secondo più lungo al mondo, di 2200 metri. Le sue fondamenta
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poggiano sul fondo marino a una profondità di 65 metri. Aldilà del ponte si apre l’Acaia, con il porto di Patrasso, che gli Italiani conoscono bene, punto di approdo di numerosi traghetti che arrivano da Ancona, Bari e Brindisi.
Animata, vivace, ricca, piena di ristorantini, si sviluppa tutta lungo il porto affollato di navi e traghetti. Il suo monumento più importante è l’enorme chiesa di Sant’Andrea, una delle più grandi chiese ortodosse in Europa, costruita nel
1908 in un nuovo stile architettonico bizantino. Tutto qui è sorprendente: l’altezza della cupola, la ricchezza dei mosaici, l’enorme lampadario in legno, la teca d’oro in cui è conservata la reliquia sacra dell’apostolo. ▣
C O M E A R R I VA R E In aereo: dall’aeroporto di Atene in cui arrivano tutti i voli europei si può affittare una macchina e costeggiare il golfo di Corinto e di Patrasso, fino alla Grecia Occidentale. In nave: si può arrivare a Patrasso con i traghetti, anche giornalieri, che collegano i porti italiani di Ancona, Bari, Brindisi, Trieste e Venezia e i porti greci di Zante, Cefalonia e Corfù. www.visitgreece.gr
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Non è Pasqua se non c’è l’agnello in tavola! Leggera e allo stesso tempo sostanziosa, ma soprattutto facilmente digeribile, la carne d’agnello appare sulle nostre tavole specialmente nei giorni di Pasqua, periodo in cui in ogni regione si preparano le ricette più svariate attingendo al ricco bagaglio della tradizione. a cura di Settimia Ricci
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n realtà questa carne delicata e dal gusto inconfondibile dovrebbe far parte della nostra alimentazione durante tutto l’anno, dal momento che costituisce l’alternativa più valida alle altre carni bianche che si consumano più spesso, come il pollo e il tacchino.
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iffusione
In realtà, nelle regioni dove maggiormente si pratica la pastorizia, come la Sardegna e l’Abruzzo, ma anche nella stragrande maggioranza delle regioni del Sud Italia come la Campania, la Puglia, la
Basilicata e la Calabria, la carne di agnello è diffusa in ogni stagione. Anzi, in queste zone l’agnello è uno dei piatti principali dell’alimentazione di grandi e piccini, come attesta la grande varietà di ricette esistenti per prepararlo. E se lo si vuole assaggiare al di fuori delle festività pasquali, una ottima occasione può essere quella di una vacanza in un agriturismo abruzzese, dove vi prepareranno sicuramente i prelibati arrosticini, oppure in un agriturismo sardo, dove è ancora possibile degustare il brodo di carne ovina nel quale si cuociono i malloreddus, un primo piatto davvero delizioso e sostanzioso. Oltre alla varietà delle
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ricette, è opportuno ricordare l’eccellenza delle carni in quanto provenienti da piccoli allevamenti a gestione familiare nei quali gli animali vengono portati al pascolo come una volta, abitudine che conferisce alle loro carni un sapore ineguagliabile.
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toria e tradizioni religiose
La diffusione e il consumo di questa carne nel periodo pasquale risalgono alle origini di due grandi religioni monoteiste: l’ebraismo e il cristianesimo. L’agnello, simbolo sacrificale per eccellenza, per la religione cristiana rappresenta Gesù Cristo
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ed è Giovanni Battista a definire Gesù nel Vangelo l’Agnello di Dio che prende su di sé il peccato del mondo e si sacrifica per redimere l’umanità. La Pasqua ebraica, invece, è una festa che dura otto giorni e celebra la liberazione del popolo di Israele dall’Egitto. Dio, dopo aver annunciato a Mosè e ad Aronne la liberazione del suo popolo ordinò che tutte le famiglie di Israele si procurassero un agnello per marcare con il suo sangue gli stipiti delle porte. Era il segnale che avvertiva l’angelo della morte di passare oltre risparmiando
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gli abitanti della casa ed evitando loro il terribile castigo che toccava ai primogeniti d’Egitto. Anche in questo caso, quindi, l’agnello è simbolo di sacrificio finalizzato alla salvezza.
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roprietà e caratteristiche
A livello nutrizionale, la carne d’agnello è ricca di proteine ideali per lo sviluppo della muscolatura, ed è consigliata quindi agli sportivi. Ma il suo contenuto proteico la rende
particolarmente digeribile e indicata per i bambini fin dallo svezzamento anche per l’adeguato contenuto di sali minerali e vitamine. L’agnello è inoltre una fonte preziosa di potassio che, oltre a garantire la funzionalità muscolare e cardiaca, è anche fondamentale per un corretto mantenimento del pH del sangue. E pur essendo una carne un po’ più grassa rispetto quella di bovino e pollo, mantiene però una proporzione equilibrata tra proteine e grassi e contiene inoltre vitamina B12, calcio, ferro, selenio e zinco,
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risultando ben tollerata da chi soffre di allergie alimentari. Quando si parla di ricette e metodi di cottura si nota l’uso di una terminologia differente, parlando a volte di agnello e altre volte di abbacchio. E a questo punto sorgono spontaneamente domande e interrogativi. Per chi ancora non lo sapesse, l’agnello è il piccolo della pecora che, pur avendo superato lo svezzamento, non ha ancora superato i 12 mesi di età e va distinto dall’abbacchio che invece è anch’esso il piccolo della pecora ma di età inferiore ai due mesi, perciò non ancora svezzato e quindi nutrito solo con il latte materno. Il termine abbacchio deriva dal latino “ab baculum”, che significa “vicino al bastone” e allude alla pratica dei pastori
di legare la pecora ad un bastone per impedirle di allontanarsi dal piccolo.
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agli, ricette e cotture
I metodi di cottura migliori per la carne di agnello sono: sulla griglia, arrosto o lessata. I tagli da richiedere in macelleria sono: - Il collo, usato intero o disossato per preparare lo spezzatino o il brasato. - La spalla, più soda e gelatinosa del cosciotto, solitamente usata per l’arrosto, che può essere anche disossata, farcita e arrotolata e si presta a tutti i tipi di cottura. - Il carré, ideale da fare alla griglia e per preparare le classiche cotolette.
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- Il petto, che è un taglio abbastanza grasso, saporito, dal quale si ricavano le puntine da grigliare. - La sella, di solito tagliata in due parti, è ottima arrosto e si presta a presentazioni coreografiche in occasione di solenni banchetti. La carne d’agnello dev’essere conservata in frigorifero per un massimo di due giorni, oppure più a lungo nel congelatore, anche fino a sei mesi, a patto di aver eliminato le parti grasse. Ogni regione ha le sue specialità ma le ricette più comuni sono l’abbacchio arrosto con patate alla romana, le cotolette impanate e fritte diffuse un po’ in tutte le regioni, le cotolette scottadito grigliate, gli arrosticini abruzzesi. ▣
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I mangiari della Quaresima Dura quaranta giorni, da Carnevale a Pasqua, il periodo di penitenza e digiuno che nel corso dei secoli è divenuto meno rigoroso, ma non per questo meno significativo. Testo e foto di Enza Bettelli
È
probabile che questa regola sia stata istituita in occasione del Concilio I di Nicea, cioè il primo Concilio Ecumenico cristiano che ebbe luogo da maggio a luglio nell’anno 325, promosso dall’Imperatore Costantino, all’epoca non ancora battezzato. Durante quei due mesi i vescovi presero molte decisioni fondamentali per la religione cristiana e tra queste come fissare la data della Pasqua. Inizialmente le restrizioni erano molto rigide: astinenza dai piaceri terreni, obbligo di mangiare di magro e il divieto di consumare carne, grassi e uova, oltre al digiuno totale nei giorni comandati. Le pene per chi trasgrediva erano assai severe, e si andava dalle multe, anche a chi vendeva carne nei giorni proibiti, fino alla condanna a morte sotto Carlo Magno. Tuttavia, nel corso dei secoli il rigore di questo periodo
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di penitenza si è a mano a mano mitigato e alcuni cibi una volta proibiti sono stati reintrodotti nel menu quaresimale, come per esempio i volatili acquatici. In seguito anche il cioccolato fu consentito, purché sotto forma di bevanda. Infatti, intorno alla metà del 1500 Papa Pio V aveva stabilito che i liquidi non rompevano il digiuno, ma poi si è discusso per quasi un secolo sulla sua vera natura prima che questa bevanda potesse entrare a far parte dello scarno elenco dei cibi consentiti. Naturalmente erano previste anche dispense per chi fosse di salute cagionevole mentre con una adeguata elemosina ci si poteva concedere un boccone tra quelli proibiti, come un uovo o un ricciolo di burro. Oggi queste regole, giunte a noi molto più permissive, vanno interpretate con un diverso approccio che non sia legato solo alla gastronomia poiché l’evoluzione della
moderna alimentazione e la dieta mediterranea hanno messo in disparte alcuni cibi “grassi”, si mangia meno carne e la schiera dei vegetariani e vegani si è molto ingrossata.
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li ingredienti dei mangiari di magro
Tolti tutti tipi di carni e di grassi e le uova restavano i vegetali, quei pochi freschi che la stagione invernale offriva e quelli essiccati. Anche pesci, naturalmente, ma a quei tempi il pesce di mare fresco era caro e si mangiava solo lungo le coste. Più ricca la varietà disponibile di pesci di acqua dolce: trote, lucci, gamberi oltre a lumache e rane. Buona parte dei pesci erano però essiccati o conservati in altri modi per farli durare a lungo in un’epoca in cui frigorifero e congelatore non erano ancora stati inventati.
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Baccalà e stoccafisso venivano preparati in cento modi diversi, con creative e squisite ricette che hanno arricchito la nostra tradizione gastronomica regionale. In tavola si portavano minestroni e zuppe preparati solo con acqua, pasta e ceci, pasta con la salsa di acciughe, zuppa di fagioli o di lenticchie, insalate e così via. Il tutto condito con un filo d’olio, se disponibile, e accompagnato da polenta, farinate, pane impastato solo con farina e acqua. Delle uova si usava unicamente l’albume mentre quelle di pesce servivano a legare e a dare colore ai pasticci da forno, il miele sostituiva lo zucchero e la
frutta secca dava più gusto ai biscotti e alle torte. Una lista della spesa così contenuta non ha però frenato la fantasia dei cuochi che riuscivano comunque a realizzare piatti gustosi e invitanti sfruttando sapore, consistenza e colore delle verdure disponibili: spinaci, radicchio, zucca ed erbe, racchiusi spesso in un morbido involucro di pasta e trasformati in golosi tortelli, tortelloni, ravioli, calzoni. Il compito di addolcire il lungo e duro periodo della Quaresima era affidato a dolci non-dolci, come i maritozzi laziali, una sorta di panini con l’uvetta; il pan di ramerino di Firenze impastato
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In questa pagina, pesce in umido. A pagina 112, acciughe salate e pasta con le acciughe. A pagina 113, maritozzi, biscotti al miele e cioccolata.
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con rosmarino, uvetta e olio; i deliziosi tortelli con le castagne o i ceci del Centro Italia; gli spaghetti romagnoli alle spezie con noci e zucchero; le matassine siciliane di capelli d’angelo fritte e avvolte nel miele; i biscottini quaresimali con farina di mandorle e olio tipici della Liguria e della Toscana. E tante altre ricette della nostra tradizione regionale, ormai purtroppo quasi dimenticati. ▣
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In questa pagina, dall’alto: pinzimonio, rane, polenta e baccalà. A pagina 115, tempura.
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DA TEMPORA A TEMPURA Intorno alla metà del 1500 i Gesuiti portoghesi iniziarono la loro opera di conversione in Giappone, insegnando anche i precetti delle Quattro tempora che prevedevano tre giorni di astinenza dalla carne all’inizio di ogni periodo. Durante questi giorni il menu era a base solo di verdure e pesce e per rendere più appetitosi questi modesti ingredienti i missionari li friggevano nell’olio dopo averli avvolti nella pastella. Un piatto semplice, ma davvero eccellente entrato nella tradizione giapponese con il nome di tempura e diffusosi poi in tutto il mondo.
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Huître,
oyster, oester, ostra… òstrega! Dimensione, qualità, gusto e sapore delle ostriche sono influenzati dai differenti luoghi di produzione, in base sia al quantitativo di sale presente nell’acqua sia al punto in cui sono sistemate durante l’allevamento. di Paolo Alciati – Foto: In a Half Shell Blog, Cambria Bold, Red Oyster
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ebbene non sia un prodotto tipico italiano, l’ostrica è da sempre molto apprezzata nella cucina mediterranea, tanto da essere uno dei cibi di provenienza prevalentemente estera maggiormente consumati nel nostro paese (in Italia gli allevamenti sono pochi e concentrati nella laguna veneta, nelle coste dell’alto Adriatico, al centro della costa orientale della Sardegna presso lo stagno di Tortolì e, da pochi anni, riprendendo una tradizione di oltre 120 anni addietro, anche nel Golfo dei Poeti, a Portovenere, nello Spezzino). Vi sono due varietà principali di ostriche allevate nel nostro continente: l’Ostrea Edulis o Ostrica Europea, con valve tondeggianti e piatte, la più pregiata e costosa, dal sapore armonico e delicato, e la Creuse, di forma allungata e concava, con sapore meno delicato e più salmastro. A questa categoria appartengono molte specie, ma quelle commercializzate in Italia sono la Crassostrea Gigas o Ostrica Giapponese, originaria dell’Oceano Pacifico ed importata in Europa negli
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anni ‘70, che è quella più allevata su scala mondiale con una produzione di milioni di tonnellate, e la Crassostrea Angulata o Ostrica Portoghese, la più diffusa nei ristoranti italiani. Crudo o cotto questo delizioso mollusco bivalve è molto digeribile, è un cibo leggero, magro come il pesce. Anche le ostriche grasse non sono ricche di grassi ma di glicogeno, uno zucchero di riserva. Una dozzina di ostriche può sostituire la carne o il pesce e le sue proteine sono di ottima qualità. Studi recenti dimostrano che le ostriche hanno un basso contenuto di colesterolo: da 3 a 4 volte meno della carne.
L’ostrica fornisce anche calcio e fosforo, necessari per la costruzione e la manutenzione del nostro scheletro. Sono presenti nelle ostriche oligoelementi, zinco, selenio e rame, antiossidanti che ci permettono di invecchiare bene in quanto aiutano a proteggere i nostri tessuti e, grazie all’apporto di vitamine, sono un alimento anti-astenico (anti-fatica). Inoltre non contengono glutine, forniscono buone quantità di acidi grassi polinsaturi ed un apporto calorico di circa 5 kcal ognuna. Il metodo di produzione è altamente sostenibile in quanto un’ostrica filtra tra i 200 e i 300 litri d’acqua
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al giorno trattenendo ossigeno per vivere, plancton per nutrirsi e calcio per accrescere il suo guscio. Un’ostrica comune produce tra 0.5 e 1.5 milioni di uova in un anno, una Creuse tra i 20 e i 100 milioni di uova in un anno… ma solo una di esse diventerà un’ostrica! Come per i vigneti c’è il “terroir” che, grazie al suolo, ai microrganismi, alla mineralità, ai diversi tipi di clima, temperatura, ventilazione, esposizione solare ed umidità differenzia la produzione dei vini, per le ostriche tutto questo ha un nome: “merroir”. Dimensione, qualità, gusto e sapore delle ostriche sono
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influenzati dai differenti luoghi di produzione, in base sia al quantitativo di sale presente nell’acqua sia al punto in cui sono sistemate durante l’allevamento: con acqua bassa prenderanno più sole, parte del sale evaporerà e le ostriche risulteranno più dolci e delicate, inoltre più l’acqua è ricca di plancton, più carnosa e piena sarà l’ostrica; la presenza di foci di fiume le rende più dolci mentre più gli allevamenti sono a nord, più le ostriche sono salate. Le denominazioni derivano dalle località di provenienza, dai nomi
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degli allevamenti o nomi commerciali di fantasia. A seconda del tipo di allevamento le ostriche si dividono in Fines, Spéciales (affinate per non meno di 2 mesi alla concentrazione di massimo 10 ostriche per metro quadrato) e Pousse (con affinamento tra 4 e 8 mesi e una concentrazione massima di 5 ostriche in un metro quadro). Le Fines possono diventare “de Claire” se vengono affinate per uno o due mesi nelle claires con una concentrazione massima di 20 ostriche per mq e ciò dona all’ostrica un caratteristico
gusto di nocciola, oppure “Verdi”, assumendo questa caratteristica colorazione solo se affinate tra novembre ed aprile in claires con acque dalla particolare colorazione blu dovuta alla presenza di un’alga unicellulare, la Haslea ostrearia o Navicule Bleue che si deposita sul fondo di questi bacini: il pigmento – la marennine - si fissa sulla carne gialla dell’ostrica e il risultato finale è questa meravigliosa colorazione verde. Le Spéciales de Claire sono le uniche che si possono fregiare del riconoscimento europeo di
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Indicazione Geografica Protetta - IGP - di Marennes-Oléron nella Charente-Maritime, il più importante luogo francese di affinamento delle ostriche nel cui territorio, dopo un processo di allevamento che può essere realizzato su tutto il litorale atlantico francese, si utilizzano antiche saline naturali di argilla dette claires. La Pousse en Claire (Label Rouge), prodotto eccezionale e orgoglio degli allevatori locali, è stata a lungo diffusa in maniera confidenziale, riservata a una clientela di addetti ai lavori. Carnosa e quasi croccante, in bocca si distingue per un
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lungo e intenso sapore aromatico e una lieve nota ferrosa, è definita “l’ostrica dei grandi momenti”. Ancora oggi, questa punta di diamante, la più tipica della gamma Marennes Oléron, è prodotta solo da pochi esperti professionisti. I Francesi, che sono i maggiori produttori europei con circa 144.000 tonnellate, equivalenti a circa 3 miliardi di ostriche, hanno sempre sostenuto che i periodi migliori per consumarle sono i mesi invernali, quelli con la “r”, quindi fino ad aprile (in francese gennaio si scrive janvier) anche perché le ostriche si riproducono da maggio a agosto e durante
questo periodo l’ostrica secerne il “latte”, liquido seminale, che potrebbe condizionarne il gusto. Al giorno d’oggi questo è vero solo in parte poiché ultimamente gli studiosi dell’Ifremer, Istituto Francese di Ricerca per lo Sfruttamento del Mare, hanno generato delle nuove ostriche concave, definite “quattrostagioni”, che sono sterili e quindi consumabili tutto l’anno. Sono ostriche “triploidi” perché contengono nelle proprie cellule tre coppie di cromosomi invece di due, come l’uomo e la maggior parte degli esseri viventi, ma non sono organismi geneticamente modificati
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perché non è stato né aggiunto né sottratto un nuovo gene o una parte di esso. Infatti, sono state
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escluse dagli elenchi degli organismi geneticamente modificati redatti dall’Unione Europea.
A livello commerciale l’allevamento di ostriche triploidi produce due principali benefici. Il primo è importante per gli allevatori, visto che queste ostriche meglio resistono a patologie diffuse tra i molluschi e la loro crescita avviene in due anni rispetto ai tre delle ostriche naturali. Il secondo consiste nel fatto che queste ostriche non riproducendosi non presentano il latte, che ne bloccherebbe la commercializzazione proprio nei mesi estivi, quando la richiesta da parte degli appassionati aumenta in modo
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consistente. Detto questo, bisogna tener presente che le varietà di ostriche sono numerosissime… basti pensare che il Grand Central Oyster Bar&Restaurant, il famosissimo locale situato al piano inferiore della Stazione Centrale di New York, che delizia i palati degli appassionati di tutto il mondo sin dal 1913, ne ha in carta ben 257, elencate in ordine alfabetico e con le indicazioni della dimensione, delle caratteristiche organolettiche e di provenienza. Pur essendoci un numero enorme di ricette per gustare le ostriche cotte,
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seguendo le indicazioni dei puristi, l’ostrica deve essere consumata cruda, fredda, viva e possibilmente senza condimento, perlomeno le prime due o tre di un ricco vassoio e, cosa indispensabile, va gustata
direttamente dalla conchiglia con il suo delizioso liquido salato, masticandola dolcemente e assaporandola lentamente per apprezzarne il sapore in tutte le sue delicate sfumature (… è permesso
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anche chiudere gli occhi per concentrarsi pienamente su questo meraviglioso dono del mare). È concesso inoltre gustarle anche con una spruzzata di Gin e una spolverata di pepe o due
gocce di Tabasco; c’è chi le apprezza condite con la salsa mignonette: un cucchiaino di aceto di vino bianco in cui è stato fatto marinare dello scalogno tritato e con l’immancabile aggiunta di pepe macinato al momento.
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Ostriche e Champagne? Abbinamento che divide, in modo quasi feroce, i sostenitori dai denigratori. Il mio pensiero nei riguardi dello Champagne è lo stesso di Madame Bollinger che rispondeva a chi le chiedeva quando fosse il caso di bere Champagne: “Lo bevo quando sono triste e quando sono contenta, quando sono sola e quando sono in compagnia, se non ho da fare e se ho da fare, altrimenti non lo bevo mai, tranne quando ho sete!” In questo caso, però, in linea di massima direi di no. Al di là dell’immagine un po’ troppo opulenta e fané di questo abbinamento, l’acidità del vino, l’effervescenza delle bollicine e lo zinco delle ostriche svilupperanno al palato sentori metallici poco piacevoli in contrasto anche con l’intenso salmastro dei molluschi. Bisogna però tener presente che lo Champagne non nacque come spumante secco ma come vino dolce, da qui l’abitudine del passato ad abbinare questi due simboli del lusso. Se poi a tutti i costi volete gustarli insieme (mi raccomando, niente limone né aceto allo scalogno!), scegliete almeno uno Champagne giovane, fresco, con
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profumi delicati e floreali, con sfumature leggere, preferibilmente un Blanc de Blancs, da uve Chardonnay; l’alternativa è uno Champagne che abbia avuto un lungo affinamento, meglio se anche in legno, che ha quindi smussato la sua acidità e può, con la sua burrosa morbidezza, accompagnare la sapidità spiccata del pregiato mollusco. E allora, quali sono i vini corretti da abbinare? La scelta è ampia e di grande soddisfazione, eccone alcuni: Muscadet, così chiamato per via del tipico aroma di muschio, è il favorito dei Francesi… e non solo. Preferibilmente della tipologia “sur lie”, cioè affinata sui lieviti, con i suoi sentori floreali e
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fruttati e la tipica nota iodata è proprio l’ideale, un grande classico! Chablis, il territorio su cui il “burroso” Chardonnay si sviluppa è ricco di fossili marini e gusci d’ostriche, quindi… Sancerre, agrumato e minerale, ha finezza e sapidità che ben si sposano con questi delicati molluschi. Riesling della Mosella, la vendemmia tardiva è perfetta, sempre e con tutto! Soave, grande mineralità data dal suolo vulcanico. Un territorio che dona grandi vini. Chambave Muscat… che ci fa un Valdostano con le ostriche? Come diceva qualcuno: “Provare per credere!”. Friulano, profumato ed equilibrato. L’eleganza del
Tocai (perché di questo straordinario vitigno si tratta) rende nobile qualsiasi piatto, figuriamoci con le ostriche. Verdicchio del Castelli di Jesi, ottimo bilanciamento tra morbidezza e sapidità. Zibibbo secco, con le ostriche dal sapore più intenso e sapido questo abbinamento fa risaltare la grande aromaticità di quest’uva maturata sotto il sole di Pantelleria, un vero matrimonio d’amore. Moscato d’Asti, non è così audace come sembra: fresco, dolce … ottimo. Da servire freddo per abbassare la sensazione zuccherina. La bassa gradazione alcolica lascia facilmente prevedere che non farà girar la testa e di ostriche in abbinamento se ne potranno gustare tante, tante, veramente tante! Lacrima di Morro d’Alba, un vino rosso dalle caratteristiche particolari, poca tannicità, grandi profumi e gradevolezza in bocca. …Qualcosa di particolare? Birra Stout, note tostate e affumicate, quasi una religione per gli irlandesi. L’acidità e l’amaro della birra esaltano in bocca il sapore sapido e intenso del mare. La leggenda racconta che il primo ad abbinare ostriche e birra stout sia stato il politico e
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scrittore britannico Benjamin Disraeli nel XIX secolo. Una curiosità: in Italia viene prodotta una birra scura leggermente amarognola, ispirata alla tradizione nordica, alla quale durante la bollitura vengono aggiunte ostriche fresche (Fin de Claire bretoni) e Telline del Litorale Romano Presidio Slow Food, che le conferiscono un finale salmastro, ma non invadente. Sidro, il tipico distillato di mele della Normandia, ottimo nella tipologia Brut. Intenso e corposo, ha tannini che donano un finale leggermente amaricante e acidulo. Sherry, iodio e frutta secca in un vino liquoroso e fantastico. Unica controindicazione: è talmente buono che c’è il rischio di eccedere nel quantitativo! Whisky, torbato e con note affumicate, sapido, potente e morbido. Un piccolo accorgimento: allungarlo con acqua per smorzare l’aggressività dell’alcool oppure vaporizzarlo direttamente sull’ostrica stessa. Vodka, il rituale la vuole ghiacciata, da bere “one shot”, subito dopo aver ingoiato l’ostrica. Sakè, la tipica bevanda giapponese ottenuta dalla fermentazione di riso, acqua e koji (Aspergillus oryzae),
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un fungo molto usato in Oriente. Con piatti sapidi e salati un sakè giovane e fruttato servito fresco è la perfezione! Per finire… un’altra curiosità: un imprenditore olandese, Matijn Wijn, ha ideato l’Oestertainment® (l’intrattenimento con le ostriche), un catering di ostriche, da poco sbarcato anche in Italia tramite la Red Oyster, che interviene alle feste con gli Oysterboys e le Oystergirls, ragazzi e ragazze con guanto in maglia d’acciaio, grembiulone e cinturone di cuoio a cui è agganciato un
secchiello stracolmo di ostriche di tre tipologie, le Creuse della Bretagna (n. 4), dal sapore fresco, elegante e leggero, le ostriche piatte dello Zeeland (Olanda) e le Ostra Regal irlandesi, corpose e salate. I ragazzi così bardati intrattengono i partecipanti alle feste, aprendo le squisite ostriche al momento e facendole gustare freschissime, illustrandone caratteristiche, sapori e sensazioni organolettiche e dispensando notizie e curiosità agli appassionati. Una iniziativa prelibata e preziosa! ▣
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Criminalità, salgono i reati del settore agroalimentare Fanno registrare un balzo del 59% nel 2018 le notizie di reato nel settore agroalimentare che si estendono ai principali comparti, dal biologico al vino, dall’olio all’ortofrutta, dalle conserve ai cereali. a cura Redazione Centrale - Fonte Coldiretti
È
quanto afferma la Coldiretti sulla base dei risultati operativi degli oltre 54mila controlli effettuati dall’Ispettorato Centrale Repressione Frodi (ICQRF)
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nel 2018, resi noti in occasione del sesto Rapporto Agromafie 2018 elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’ agroalimentare. I settori agroalimentari più colpiti da truffe e reati nel 2018 sono il vino con +75% nelle
notizie di reato, la carne dove sono addirittura raddoppiate le frodi (+101%), le conserve con +78% e lo zucchero dove nell’arco di dodici mesi si è passati da zero e 36 episodi di frode. Nell’ultimo anno sono stati
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sequestrati 17,6 milioni di chili di alimenti di vario tipo per un valore di 34 milioni di euro con lo smantellamento di un’organizzazione fra Campania, Puglia, Emilia Romagna, Sicilia e Veneto che importava zucchero da Croazia, Isole Mauritius, Serbia e Slovenia e poi lo immetteva nei canali del mercato nero attraverso fatture false per rivenderlo a prezzi stracciati a imprenditori che lo usavano per adulterare il vino. Più di un italiano su cinque (17%) è stato vittima di frodi alimentari nel 2018 con l’acquisto di cibi fasulli, avariati e alterati ed effetti anche sulla salute, secondo l’indagine Coldiretti dalla quale si evidenzia che ben l’88% dei cittadini nel momento di fare la spesa è preoccupato dell’idea che nei negozi ci siano in vendita prodotti alimentari pericolosi per la salute. Sotto accusa sono soprattutto i cibi low cost dietro ai quali
spesso si nascondono, infatti, ricette modificate, l’uso di ingredienti di minore qualità o metodi di produzione alternativi ma possono a volte mascherare anche vere e proprie illegalità, come è confermato dall’escalation dei sequestri. Le difficoltà economiche hanno costretto molti italiani a tagliare la spesa alimentare e a preferire l’acquisto di alimenti più economici prodotti spesso a prezzi troppo bassi per essere sinceri, che rischiano di avere un impatto sulla salute. L’agricoltura e l’alimentare sono infatti considerate aree prioritarie di investimento dalla malavita che ne comprende la strategicità in tempo di crisi perché del cibo, anche in tempi di difficoltà, nessuno potrà fare a meno, ma soprattutto perché consente di infiltrarsi in modo capillare nella società civile e condizionare la vita quotidiana delle persone in termini economici e salutistici.
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Di fronte al moltiplicarsi dei casi di frode e contraffazione alimentare più della metà italiani (51%) chiedono che venga sancita la sospensione dell’attività. «E’ necessario che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri, garantendo che dietro gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali ci sia un analogo percorso di qualità che riguarda l’ambiente, il lavoro e la salute», afferma il Presidente della Coldiretti Ettore Prandini che aggiunge «oltre ad applicare l’indicazione d’origine su tutti i prodotti va anche tolto in Italia il segreto sui flussi commerciali con l’indicazione delle aziende che importano materie prime dall’estero per consentire interventi mirati in situazioni di emergenza anche sanitaria che si ripetono sempre più frequentemente».▣
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Il digitale entra nella filiera agroalimentare Il mercato italiano dell’Agricoltura 4.0 nel 2018 vale fra 370 e 430 milioni di euro, il 5% di quello globale e il 18% di quello europeo; oltre 300 soluzioni già sul mercato, impiegate dal 55% delle aziende agricole intervistate. L’età e il titolo di studio non influiscono significativamente sull’adozione di soluzioni 4.0. a cura Redazione Centrale su dati Ufficio stampa Osservatorio Smart AgriFood
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ono 500 le startup nel mondo, per 2,9 miliardi di dollari di finanziamenti raccolti solo negli ultimi 2 anni, attive soprattutto in ambito eCommerce (65%) e Agricoltura 4.0 (24%). L’Italia è il Paese europeo con il maggior numero di startup ma con il finanziamento medio più basso. L’innovazione digitale entra nella filiera agrifood con soluzioni che aumentano la competitività dell’intero settore e migliorano qualità e tracciabilità del Made in Italy alimentare. Sono già 133 le soluzioni tecnologiche per la tracciabilità presenti sul mercato italiano e il
44% delle imprese che le hanno adottate ha migliorato efficienza ed efficacia, riducendo tempi e costi. Ma è l’Agricoltura 4.0 l’utilizzo di diverse tecnologie interconnesse per migliorare resa e sostenibilità delle coltivazioni, qualità produttiva e di trasformazione, nonché condizioni di lavoro – l’ambito di maggior fermento, con oltre 300 soluzioni 4.0 già disponibili, orientate soprattutto all’agricoltura di precisione e in misura minore all’agricoltura interconnessa (il cosiddetto internet of farming), impiegate dal 55% di 766 imprese agricole intervistate nella ricerca, con l’età e il titolo di studio che non
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influiscono significativamente sull’adozione di soluzioni 4.0. La crescente offerta tecnologica spinge un mercato in rapida espansione, che nel 2018 raggiunge un valore compreso tra i 370 e i 430 milioni di euro (+270% in un solo anno), pari a circa il 5% di quello globale e il 18% di quello europeo, generato da oltre 110 aziende fornitrici fra player affermati e startup. In questo contesto favorevole, anche le startup che propongono soluzioni digitali al settore agricolo e agroalimentare proseguono nella loro spinta innovativa: sono 500 le startup nel mondo, per un totale di 2,9 miliardi
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di dollari di investimenti raccolti, attive soprattutto in ambito eCommerce (65%) e Agricoltura 4.0 (24%). L’Italia si colloca davanti a tutti gli altri paesi Europei per numerosità, ma con appena 25,3 milioni di euro di finanziamenti (pari all’1% del finanziamento complessivo) appare ancora marginale per capacità di raccogliere capitali. Sono alcuni risultati della ricerca dell’Osservatorio Smart Agrifood della School of Management del Politecnico di Milano* e del Laboratorio RISE (Research & Innovation for Smart Enterprises) dell’Università degli Studi di Brescia, presentata al convegno “Il digitale scende in campo, ma la partita è di filiera!”
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presso l’Università degli Studi di Brescia. “L’innovazione digitale è una leva strategica per il settore agroalimentare italiano, in grado di garantire maggiore competitività a tutta la filiera, dalla produzione in campo alla distribuzione alimentare, passando per la trasformazione – dice Filippo Renga, Direttore dell’Osservatorio Smart AgriFood -. Il successo delle imprese agricole passa sempre di più dalla capacità di raccogliere e valorizzare la grande mole di dati che si genereranno, soprattutto per ottenere il controllo dei costi e l’aumento della qualità della produzione. Va evidenziato comunque che tra gli attori del settore emerge ancora poca chiarezza su come sfruttare queste opportunità;
un segnale che serve investire nella creazione di sane competenze, al di là delle mode”. “Anche nel settore agroalimentare cominciano a emergere chiaramente le opportunità generate da una valorizzazione strategica dei dati - rileva Andrea Bacchetti, Direttore dell’Osservatorio Smart Agrifood -. Il 71% delle soluzioni di Agricoltura 4.0 oggi è in grado di supportare le decisioni facendo leva sui dati anche con sistemi di analytics avanzati e quasi metà degli agricoltori intervistati, il 45%, è cosciente della rilevanza dei dati, ma non gli è ancora chiaro come valorizzarli. Una corretta gestione dei dati in digitale, inoltre, è cruciale per la tracciabilità, su cui siamo
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ancora agli inizi, mentre è già un chiaro fattore di sviluppo per le startup, che li sfruttano nell’85% dei casi analizzati”.
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’Agricoltura 4.0
Il mercato globale dell’Agricoltura 4.0 vale 7 miliardi di dollari (il doppio rispetto allo scorso anno), di cui il 30% generato in Europa. La crescita è ancora più rapida in Italia, dove il mercato ha un valore compreso tra i 370 e i 430 milioni di euro (+270%), che per circa l’80% è generato da offerte innovative di attori già affermati nel settore (ad esempio i fornitori di macchine e attrezzature agricole) e per circa il 20% da soluzioni di attori emergenti (soprattutto startup), che propongono sistemi digitali innovativi e servizi di consulenza tecnologica.
L’Osservatorio ha mappato 110 imprese del comparto (74% brand affermati e 26% startup) che offrono oltre 300 soluzioni tecnologiche di Agricoltura 4.0, con ruoli e posizionamento molto diversi lungo la filiera. Il 49% delle aziende sono fornitrici di soluzioni avanzate come Internet of Things (IoT), robotica e droni, il 22% di soluzioni di data analysis, il 16% di macchine e attrezzature per il campo, il 7% produce componentistica e strumenti elettronici, mentre nel 3% dei casi sono realtà produttive in ambito agricolo. Le soluzioni più frequenti sono i sistemi utilizzabili trasversalmente in più settori agricoli (53%), seguite da quelle rivolte al comparto cerealicolo (24%), ortofrutticolo (24%) e vitivinicolo (16%). Cresce, anche se molto lentamente,
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l’attenzione per l’internet of farming, abilitato dal 14% delle soluzioni offerte: quasi l’80% delle soluzioni è applicabile in fase di coltivazione, il 13% supporta la fase di pianificazione, il 4% il monitoraggio degli stock e il 3% la logistica aziendale. Da un’indagine condotta dall’Osservatorio su 1.467 aziende agricole (920 le compilazioni valide) emerge come le imprese italiane siano sempre più consapevoli delle opportunità offerte dal paradigma 4.0 (85% delle 766 rispondenti alla domanda sull’’impiego di soluzioni orientate al 4.0) e utilizzino sempre più frequentemente soluzioni orientate all’Agricoltura 4.0 (55%). Il controllo dei costi di produzione e l’aumento della produzione sono le esigenze più urgenti per le imprese, mentre i fabbisogni legati
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all’acquisizione, elaborazione e interpretazione dei dati sono considerati importanti ma non ancora prioritari. Il 55% delle aziende dichiara di utilizzare macchinari o tecnologie avanzate per la pianificazione delle colture, la semina, la coltivazione, il raccolto, e fra questi il 45% lo fa da più di cinque anni. Il 30% degli imprenditori ha meno di 40 anni e un terzo è laureato, ma l’età e il titolo di studio non influiscono significativamente
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sull’adozione di soluzioni 4.0, al contrario, invece, della dimensione dei terreni e dei settori di riferimento. Sotto i 10 ettari solo il 25% delle aziende adotta soluzioni 4.0, contro il 65% di quelle sopra i 100 ettari.
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l digitale al servizio della tracciabilità alimentare
Le tecnologie digitali hanno un grande impatto sull’efficienza e l’efficacia
dei processi di tracciabilità alimentare. Il 30% delle imprese che adottano soluzioni digitali di tracciabilità rileva una riduzione degli errori di inserimento dei dati e del rischio di manomissione, il 27% nota una diminuzione dei costi richiesti all’attivazione delle procedure di rintracciabilità e il 21% un risparmio di tempo per la raccolta dei dati. Anche i processi e le relazioni nella supply chain beneficiano di queste soluzioni, soprattutto
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per quanto riguarda i costi di gestione delle scorte (15%), la riduzione degli sprechi alimentari (14%) e il consolidamento dei rapporti di filiera (13%). Il 13% delle aziende ha anche riscontrato un aumento delle vendite, mentre il 14% evidenzia la necessità di puntare su soluzioni per migliorare i processi di certificazione. Le 133 soluzioni tecnologiche per la tracciabilità alimentare disponibili sul mercato italiano intervengono nei
processi di identificazione univoca, acquisizione del dato, registrazione, analisi, integrazione e trasmissione. Il 59% di queste soluzioni sono ancora “tradizionali” (trasformano il dato in digitale richiedendo un importante contributo umano) e le più diffuse sono piattaforme software per registrazione, integrazione ed elaborazione del dato (62%), seguite da soluzioni che combinano strumenti hardware e software (30%) e da strumenti N E W S DAL L ’I T AL I A
hardware come sensori IoT e lettori codici a barre (8%). Fra quelle più avanzate (42%), invece, le più utilizzate sono RFID (Radio-Frequency Identification, 20%), Cloud (19%), i Big Data Analytics (14%) e i sensori IoT (10%).
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a blockchain nell’agroalimentare
Cresce l’interesse per l’applicazione delle tecnologie Blockchain e Distributed Ledger nella filiera
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alimentare: sono 42 i progetti internazionali e italiani mappati dal 2016 al 2018, più che raddoppiati nell’ultimo anno. Si tratta di iniziative che, nel 24% dei casi, trovano applicazione in diversi ambiti, nel 21% sono dedicate alla filiera della carne, nel 17% all’ortofrutta e nel 10% al cerealicolo. Nel 50% dei casi è stato riscontrato un forte ruolo guida da parte degli attori della distribuzione e della trasformazione.
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e startup
Sono 500 le startup internazionali finanziate che offrono soluzioni digitali al settore agricolo e agroalimentare censite dall’Osservatorio, fondate a partire dal 2012, per un totale di 2,9 miliardi di dollari di investimenti raccolti. Gli Stati Uniti si confermano l’area con la maggior densità di startup (37%) e di finanziamenti alle nuove imprese (41%), seguiti dall’Europa (30% delle startup e 35% dei finanziamenti) e dall’Asia (20% delle startup e 20% degli investimenti). Dopo gli Stati Uniti, i singoli paesi più virtuosi per capacità di convogliare finanziamenti sulle nuove imprese sono Regno Unito (19%), Germania (12%), Cina (8%) e Israele (2%). L’Italia è il paese europeo con il maggior numero di startup,
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ma incide soltanto per l’1% sul totale dei finanziamenti ricevuti dalle nuove imprese, con solo 25,3 milioni di euro. Le startup internazionali si dividono tra fornitori di tecnologia (31%) e di servizi (16%), retailer (34%) e fornitori di servizi nel settore della ristorazione (19%). Oltre metà delle startup (55%) si rivolge a clienti privati, solo il 5% opera in un mercato di nicchia; l’8% vende i propri servizi sia ai consumatori sia alle aziende, offrendo servizi per la disintermediazione della filiera e vetrine per produttori o retailer, mentre il 37% propone servizi o prodotti tecnologici solo alle imprese, servendo in particolare le aziende agricole o zootecniche (68%) e le industrie di trasformazione (10%). L’eCommerce è il principale ambito di interesse per le startup, con il 65% delle nuove imprese internazionali attive e un’incidenza sui finanziamenti pari all’84% del totale. La maggior parte delle startup eCommerce offre soluzioni B2c per l’acquisito di prodotti agroalimentari (eCommerce Food, 57%), con modelli di business innovativi che puntano a far incontrare produttori agricoli e consumatori finali. Seguono le startup Food Delivery, piattaforme che mettono a confronto le offerte e consentono di ordinare piatti (36%) e gli
Aggregatori, piattaforme mirate a favorire lo scambio di informazioni, prodotti e attrezzature agricole (7%). Quasi un quarto delle startup, invece, opera nell’ambito Agricoltura 4.0 (24% delle startup e 11% dei finanziamenti complessivi), in cui emergono soprattutto le soluzioni digitali per il monitoraggio da remoto di terreni e coltivazioni (69%), seguite da servizi di analisi e integrazione dei dati per supportare gli agricoltori nel processo decisionale (27%) e da strumenti di mappatura di terreni e coltivazioni a partire dai dati sulla resa delle colture o da immagini ricavate da droni (24%). Più marginali le startup che offrono soluzioni per migliorare la qualità alimentare (8%) e la sostenibilità (4%) e quelle in ambito zootecnia di precisione (3%). Tra le tecnologie più rilevanti per l’innovazione del settore agricolo emergono i dati: li usa il 94% delle startup operanti nell’Agricoltura 4.0 e il 56% impiega tecnologie IoT per raccogliere e trasmettere dati in tempo reale sulle condizioni ambientali e per monitorare le attività delle macchine. Seguono i droni (24%) e i robot per le attività in campo (3%). I dati sono preziosi anche per la qualità alimentare: ne fa uso il 78% delle startup operanti in questo ambito, mentre il 75% sfrutta l’IoT. ▣
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Consorzio Soave presenta un modello di sostenibilità Conoscenza, competenza, condivisione, misurazione e validazione: sono 5 le parole chiave del modello di gestione avanzata del vigneto Soave che il Consorzio ha ufficialmente presentato a tutti i sindaci del Comprensorio, alle organizzazioni di categoria e a tutti i portatori di interesse. a cura di Redazione Centrale
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l modello si compone dell’insieme delle linee guida che il Consorzio e le aziende attivano all’interno di tutta la filiera produttiva e che è stato riunito in un documento di sintesi che di fatto anticipa le indicazioni della Regione Veneto sulle tematiche di preservazione di suolo, acqua, aria, biodiversità e paesaggio. In questo progetto sono coinvolti al massimo livello tutti gli operatori collegati alla produzione integrata nel vigneto quindi produttori, tecnici di campagna, istituzioni, rivenditori e ditte produttrici dei presidi sanitari e delle macchine operatrici. Il protocollo testato ormai da 3 anni sull’intero territorio della denominazione, parte
da due concetti semplici ma nello stesso tempo innovativi che tendono a una gestione sempre più sostenibile del vigneto. Il primo è il coinvolgimento di tutte le aziende del territorio, partendo dalla valorizzazione di competenze e tecnologie che da sempre proiettano il Soave a sperimentare nuove soluzioni sul fronte della tutela ambientale (dalla Certificazione ambientale, all’etichetta verde, fino al recente riconoscimento a Patrimonio agricolo di rilevanza mondiale). Il secondo è invece la validazione ex-post dei diversi processi di difesa attuati da ogni singola azienda in funzione della propria sensibilità e delle particolari condizioni agronomiche
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dell’annata. Questo vede l’applicazione del protocollo WBA (World Biodiversity Friends) su tutto il territorio e il calcolo dello stato di salute di suolo, acqua e aria con specifici indicatori biologici. I dati relativi alla stagione fitosanitaria 2018, che vedono raddoppiati i rilievi sulle aziende test rispetto all’anno precedente, indicano che l’80% delle aziende oggetto di rilevazione ha ottenuto mediamente un risultato di 15 punti percentuali superiore allo standard del protocollo, segno di uno stato di salute dell’ambiente positivo. Il lavoro effettuato negli ultimi tre anni ha portato a un incremento di 4 punti percentuali dello stato complessivo del sistema Soave, da 70,2%
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a 74,2% (il minimo è 60%), segno di un continuo miglioramento dato dalla crescente sensibilizzazione delle aziende verso questa tematica. «La conservazione dinamica e la gestione del paesaggio – dice Sandro Gini, Presidente del Consorzio – sono le “visioni” che hanno guidato
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l’operatività consortile e che possono diventare valore vero per il nostro territorio. Quello del Soave è ad oggi l’unico Consorzio italiano che utilizza il protocollo della biodiversità come sistema di misura – un vero e proprio termometro – in grado di valutare l’incidenza delle fasi produttive su terra, acqua,
aria. In questo modo la biodiversità diventa una sorta di “ponte” che gradualmente conduce le aziende produttrici, già impegnate in tema di rispetto dell’ambiente, verso il vero obiettivo finale: la sostenibilità dell’intero sistema produttivo.» ▣
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sempre più al top con i suoi vini Una Toscana che è sempre più terreno fertile per il sistema vino, come dimostrano gli astri nascenti nell’ambito della sommellerie. di Nicoletta Curradi
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ei giorni 8 e 9 febbraio si è svolta a Firenze alla Fortezza da Basso la nona edizione di BuyWine, la più importante vetrina B2B dei vini a denominazione della Toscana. L’evento, promosso dalla Regione Toscana in collaborazione con PromoFirenze, Azienda Speciale della Camera di Commercio di Firenze, ha visto la presenza di 215 aziende vitivinicole selezionate tramite bando regionale. Queste hanno avuto l’opportunità di
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interfacciarsi con 200 buyers provenienti da 44 Paesi, accuratamente selezionati da PromoFirenze, in base alla professionalità e competenza, nonché l’interesse commerciale espresso verso le aziende partecipanti. Oltre ai mercati consolidati, quali Germania, Scandinavia, Giappone, USA e Canada, tra i protagonisti della manifestazione vi erano i buyers dei mercati emergenti, tra i quali Macao, Malesia, Argentina, Cile, Filippine, India, Albania, Slovenia, presenti per la prima volta in fiera accanto ai più consolidati come
Germania, Scandinavia, Stati Uniti, Canada e Giappone. Aumentano le aziende con certificazione biologica o biodinamica: sono 80, il 37% del totale. Erano presenti anche 6 produttori di vino kosher made in Tuscany. Nel contesto di BuyWine si è inserito l’altro grande appuntamento organizzato da Regione e PromoFirenze, “PrimAnteprima”, che ha inaugurato ufficialmente la Settimana delle Anteprime di Toscana 2019. PrimAnteprima ha offerto la possibilità ad addetti ai lavori e stampa specializzata proveniente da tutto il mondo
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di degustare le annate appena immesse sul mercato da importanti Consorzi toscani quali: Carmignano, Colline Lucchesi, Maremma Toscana, Montecarlo, Montecucco, Orcia, Pitigliano e Sovana, Terre di Pisa, Val di Cornia e Valdarno di Sopra. L’evento clou è stata una tavola rotonda a cui ha partecipato l’assessore
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all’Agricoltura della Regione Toscana Marco Remaschi insieme ad illustri ospiti ed esperti. Sono stati presentati da ISMEA gli ultimi dati sulla produzione vitivinicola in Toscana e i trend di mercato, l’Università di Pisa ha illustrato uno studio sull’efficacia del modello commerciale di BuyWine, si è discusso poi di cambiamenti
climatici, del legame tra cantine e design e di come e dove si parla di vino toscano online nel mondo grazie ad una ricerca realizzata ad hoc. l programma delle Anteprime è proseguito con Chianti Lovers a cura del Consorzio Vino Chianti e Chianti Classico Collection alla Stazione Leopolda di Firenze. E’ stata l’edizione della
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conferma per Chianti Lovers, organizzato dal Consorzio Vino Chianti insieme al Consorzio Morellino di Scansano. Con 4.000 visitatori, 150 aziende, 400 giornalisti, blogger e influencer accreditati. Una affluenza di pubblico in linea con lo scorso anno che ha riempito il padiglione Cavaniglia della Fortezza da Basso di Firenze, per la prima volta occupato interamente dall’iniziativa. Chianti Lovers, l’attesa anteprima del Consorzio Vino Chianti, ha chiuso l’edizione 2019 in positivo. Il profilo di un grande gallo fatto di acini di Sangiovese uscito da una bottiglia di Chianti Classico ha accolto il pubblico della XXVI edizione della Chianti Classico Collection, un evento che cresce di anno in anno, come dimostrano i suoi numeri: 197 le aziende presenti in questa edizione che segna il record di presenze di produttori nella storia della “Collection”. 721 le etichette in degustazione per un totale di oltre 9500 bottiglie aperte e servite direttamente dai produttori e da una squadra di 50 sommelier nella due giorni di manifestazione, 61 le anteprime da botte dell’annata 2018 e oltre 90 le etichette di Chianti Classico Gran Selezione. Da notare che Giovanni Manetti è alla sua prima Collection da Presidente del Consorzio Chianti Classico.
Una Toscana che è sempre più terreno fertile per il sistema vino, come dimostrano gli astri nascenti nell’ambito della sommellerie: sono tutti toscani, infatti, i cinque sommelier che hanno conquistato i gradini più alti del podio del Miglior Sommelier d’Italia 2018. Un record che la Regione ha deciso di riconoscere assegnando loro una medaglia raffigurante il Pegaso. L’Assessore Remaschi ha premiato il campione italiano in carica Simone Loguercio di Firenze, il secondo classificato Valentino Tesi di Pistoia, i due terzi a pari merito Massimo Tortora di Livorno e Simone Vergamini di Lucca e Clizia Zuin di Firenze, sesta assoluta e prima tra le donne a livello nazionale. Cinque alfieri della Sezione Toscana dell’Associazione Italiana Sommelier, articolata in 13 delegazioni territoriali, che a livello regionale conta circa 4 mila soci. La regione Toscana può vantare quasi 60.000 ettari di vigneti, infiniti filari di viti che disegnano colline e panorami famosi in tutto il mondo. Il 92% di tali vigneti fornisce vini DOP. Importante anche il volume dell’IGP. Secondo i dati sulla produzione vini DOP relativi alla vendemmia 2018, mantengono la posizione di leader il Chianti (33,1%) e il Chianti Classico (12,7%) che insieme arrivano quasi
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al 50%. A grande distanza le altre DOP come Maremma Toscana (4%), Brunello di Montalcino (3,9%), Morellino di Scansano (3,2%), Nobile di Montepulciano (2,8%), Bolgheri (2,5%), Vernaccia di S. Gimignano (1,9%), Rosso di Montalcino (1,2 %), Rosso di Montepulciano (0,9%), Bianco di Pitigliano (0,5%). Il 33,3 % è ascrivibile a altre DO. Le province con maggiore superficie coltivata a vite sono Siena (19.870 ettari), Firenze (16.850 ettari) e Grosseto (8.890 ettari). Salta all’occhio la superficie media per azienda che è di soli 2,5 ettari con picchi di 5 ettari per la provincia di Siena e 0,32 per Massa. Il principale vitigno è il Sangiovese Nero (61,6 %), seguito da Merlot (7,55%), Cabernet Sauvignon (6,5%), Trebbiano Toscano (4,7%), Vermentino (2,5%), Sirah (2,1%), Canaiolo Nero (1,3%), Vernaccia di San Gimignano (1,3%) e altri. Le DOC con la superficie più piccola sono Capalbio e Grance Senesi con 3 ettari a testa. La più estesa è Maremma Toscana con 1.932 ettari che producono 89.000 ettolitri. Le DOCG con la superficie più piccola sono Chianti Colline Pisane con 2 ettari e Val di Cornia Rosso con 3 ettari. La più estesa è il Chianti con 10.165 ettari che producono 608.000 ettolitri. ▣
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DONNE, VINO E DESIGN
dal 2 al 9 Marzo
esplode in tutta Italia la festa delle Donne del Vino. Napoli brinda alla creatività! Vino e creatività sempre più “in rosa”. E’ questo il trend sempre crescente che connota e influenza le scelte di gusto e commerciali. di Carmen Guerriero
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l mondo del vino, così fortemente influenzato dalle scelte femminili, è indubbiamente fashion, legandosi alle scelte culturali delle persone che lo producono e lo consumano. Bottiglia e accessori per il vino non sono più percepiti come esclusivamente funzionali, ma si trasformano in elementi di arredo, sofisticati, divertenti o civettuoli, per la casa o la tavola. Cantine d’autore, etichette, accessori da vino, packaging e linguaggio
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alternativi saranno al centro degli eventi dedicati al tema «Donne vino e design» in tutta Italia da sabato 2 marzo per tutta la settimana successiva, fino al 9 marzo, con visite in cantina, performance, conferenze, piccole mostre, spettacoli organizzati dall’Associazione Nazionale Le Donne del Vino. Un modo per celebrare il significativo apporto di creatività, rinnovamento e qualificazione che l’imprenditrice donna è riuscita, nel tempo, a
realizzare con produttività e marketing d’impresa. «L’immagine del vino del terzo millennio appare decisamente femminilizzata grazie al nuovo ruolo delle donne nella produzione, nel commercio e soprattutto nei consumi – dice Donatella Cinelli Colombini, Presidente nazionale dell’Associazione – Per 8.000 anni il vino è stato un ambito quasi solo maschile, ma ormai non è più così. Oggi le donne guidano un terzo delle cantine italiane e il 24%
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In questa pagina, Le Donne del Vino in Campania in occasione della visita al Console degli Stati Uniti Mary Ellen Countryman. A pagina 150, dall’alto: Donatella Cinelli Colombini, Presidente Nazionale Le Donne del Vino; Daniela Mastroberardino, vice Presidente Nazionale Le Donne del Vino.
delle imprese commerciali al dettaglio del vino (dati CribisCrif). A livello mondiale sono loro a comprare la maggior parte delle bottiglie, il 40% dei corsisti wine expert Wset sono donne e in Asia, le giovani con gli occhi a mandorla stanno assumendo un ruolo protagonista del mercato. Ecco che la bellezza del vino diventa più importante che nel passato, proprio a seguito del maggior peso del giudizio femminile. Per loro, infatti, l’immagine conta, anzi conta molto». “Donne, vino e design è un’altra delle belle iniziative che vede le Donne del Vino protagoniste attive e propositive nella diffusione della cultura del vino. L’unità di intenti e la sinergia consolidata sono il collante necessario anche per il futuro sviluppo dei territori e, dunque, anche quello campano. A Napoli, terra secolare di N E W S DAL L ’I T AL I A
creatività, l’Associazione ha scelto di promuovere l’incontro attraverso un interessante momento culturale di confronto con designer del Dipartimento di Architettura e Disegno Industriale, Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” e professionisti di vari settori legati al mondo produttivo e ristorativo” – hanno specificato Valentina Carputo e Fosca Tortorelli, rispettivamente Delegata e Vice-Delegata de Le Donne del Vino della Campania - “Giovani laureati e studenti del CdS in Design e Comunicazione dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” presenteranno progetti/oggetti legati al mondo dell’enogastronomia”. L’evento, patrocinato dal Comune di Napoli, sarà festeggiato dalla delegazione campana con l’apporto significativo anche del Pan | Palazzo delle Arti Napoli, centro di Cultura dinamico nel settecentesco Palazzo Roccella in via dei Mille 60, con un convegno dal titolo “Dal Calice alla Cantina, emozioni e design al femminile” che si svolgerà sabato 2 marzo, alle ore 10.30, Sala Convegni al piano terra. Introduce: Valentina Carputo Delegata delle Donne del Vino della Campania; Produttrice Moderer: l’Arch. Fosca Tortorelli Giornalista e Vice Delegata delle Donne del
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Vino della Campania. Ci saranno vari interventi, tra cui quello di Nando Salemme, sommelier e patron dell’Osteria Abraxas, sita a Pozzuoli nel cuore dei Campi Flegrei, che in collaborazione con l’ADI (Associazione del Disegno Industriale) di Napoli ha sviluppato il Fresh, uno strumento per la stabilizzazione dei vini;
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nonché l’azienda vesuviana Cantine Olivella, che ha dedicato a diversi artisti le sue etichette, creando un legame sinergico ed espressivo del suo territorio di appartenenza. Lorella di Porzio, Presidente uscente de Le Donne del Vino Campania e ora Consigliere Nazionale, proprietaria del Ristorante Umberto di via Alabardieri
(Napoli), porterà il suo punto di vista sul tema del design in tavola. Chiuderà il dibattito l’Associazione Casa dei Cristallini, rappresentata dalla giornalista enogastronomica Monica Piscitelli, che racconterà del loro interessante progetto che lega arte e design all’educazione dei bambini. Brindisi finale con i vini delle produttrici socie. Interverranno: - Prof. Arch. Sabina Martusciello, Presidente Corso di Laurea Design e Comunicazione Unicampania - Prof. Arch. Doe Morelli, Delegata Orientamento Dip. di Architettura e Disegno Industriale Unicampania - Germana Gilostri, Designer - Lorella Di Porzio, Ristoratrice – Ristorante Umberto (Napoli) - Nando Salemme, Creativo - Ciro Giordano, Cantine Olivella e Presidente Consorzio Vini Vesuvio - Monica Piscitelli, giornalista enogastronomica (Ass. Casa dei Cristallini) La delegazione delle Donne del Vino della Campania in questa particolare circostanza lancerà anche il proprio profilo Instagram proponendo l’hashtag tematico dell’evento: #festadonnedelvino2019 #donnevinodesign #donnedelvino L’elenco delle iniziative, unite dal tema nazionale 2019 «Donne Vino e Design», è consultabile nel sito
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www.festadonnedelvino.it e riguarda iniziative molto diverse fra loro, anche se con regia e comunicazione centralizzata.
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hi sono le Donne del Vino.
Le Donne del Vino sono un’Associazione senza scopi di lucro che intende promuovere la cultura del vino e il ruolo delle donne nella filiera produttiva del vino. Nata nel 1988, conta oggi oltre 800 associate tra produttrici, ristoratrici, enotecarie, sommelier e giornaliste. Questi i numeri a gennaio 2019: 815 donne del vino, di cui la metà sono produttrici, 57 ristoratrici, 90
sommelier, 17 enoteche, 9 enologhe, 130 giornaliste, 30 socie onorarie e 72 attività diverse. Tra le sue più recenti azioni vanno ricordate la convention virtuale di Matera con Le Donne del Vino del Mondo con l’obiettivo di fare network fra le associazioni mondiali offrendo maggiori opportunità alla compagine femminile dell’enologia, la salvaguardia dei vitigni autoctoni italiani rari, la divulgazione dell’abbinamento vino rosato-pizza, le attività benefiche (raccolta fondi per le associazioni che si occupano di contrastare la violenza sulle donne, quella per aiutare i grandi ustionati delle zone povere del mondo e per i pastori del pecorino
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amatriciano che sono rimasti con le loro greggi nonostante il terremoto). Nell’ultimo triennio è stato anche fatto un sondaggio sul profilo delle Donne del Vino che ha rivelato come le cantine, con direzione femminile, siano molto più attente all’ambiente, internazionalizzate, diversificate e orientate sui vini di qualità rispetto alla media nazionale. Ogni anno, il sabato prima della Festa delle Donne, le socie aprono le porte delle loro attività per mostrare ai winelovers il mondo del vino al femminile. Dal 2016 le Donne del Vino sono anche attive con uno staff della comunicazione che si occupa dell’ufficio stampa, di social network e di un blog su www.ledonnedelvino.com ▣
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PAU ROCA nuovo direttore OIV Eletto in occasione della 16ª Assemblea generale dell’OIV, tenutasi a Punta del Este (Uruguay) ha assunto le sue funzioni di direttore generale dell’Organizzazione per un mandato di cinque anni. da Redazione Centrale
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au Roca è stato delegato della Spagna presso l’OIV dal 1992 e presidente del Gruppo di esperti “Diritto e informazione del consumatore” (DROCON) dal 2010 al 2016, è stato inoltre vicepresidente del Gruppo di esperti “Sviluppo sostenibile e cambiamento climatico” dal 2016 al 2018. Pau Roca parla correntemente il francese e l’inglese e possiede una specifica e profonda conoscenza del settore vitivinicolo mondiale, nonché l’esperienza acquisita alla guida della Federazione spagnola del vino (FEV), che ha diretto per oltre venti anni. Il nuovo direttore generale ha inoltre avuto una carriera professionale diversificata, che è iniziata con la ricerca scientifica oceanografica ed è passata anche dal settore oleicolo. Insieme alla presidente dell’Organizzazione, Regina Vanderlinde, il nuovo direttore generale dell’OIV ha già previsto un incontro con il Comitato organizzativo del 42° Congresso mondiale della vigna e del vino e una visita della sede di tale evento in Svizzera. Questa settimana sarà inoltre l’occasione per porgere gli auguri dell’OIV ai rappresentanti del corpo diplomatico, delle amministrazioni e dei professionisti del settore vitivinicolo. ▣
In alto, La Presidente Regina Vanderlinde e il Direttore Generale OIV, Pau Roca.
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Allunaggio, Visit USA Italy, viaggi speciali e originali per il 50° anniversario Per la straordinaria ricorrenza gli Usa festeggeranno questo eccezionale anniversario con miriadi di eventi, anche con una collezione di itinerari storici, luoghi grandiosi da visitare o da scoprire. di Carmen Guerriero
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l 2019 segna un significativo dato storico non solo per gli Stati Uniti d’America ma per la storia dell’umanità. Esattamente 50 anni fa l’Apollo 11 fu la missione spaziale che per prima portò gli uomini sulla Luna, gli statunitensi Neil Armstrong, Michael Collins e Edwin Aldrin Jr, il 20 luglio 1969 alle 20:18 UTC. Il mondo si fermò a seguire con trepidazione e incredulità le riprese, in diretta, dei primi passi sulla Luna mossi da Armstrong, il primo uomo che sia riuscito a mettere piede sul suolo lunare, 6 ore più tardi dell’allunaggio, il 21 luglio 1969. Per la straordinaria ricorrenza gli Usa festeggeranno questo eccezionale anniversario con miriadi di eventi, anche con una collezione di itinerari storici, luoghi grandiosi da
visitare o da scoprire, inclusi musei eccezionali oltre ai centri NASA e alle località di rilievo di ogni missione spaziale, in memoria dei traguardi raggiunti e del duraturo impatto del programma spaziale dell’Apollo. In particolare a Boston, nel Massachusetts, la JFK Library Foundation e la JFK Presidential Library hanno predisposto un ricco programma per celebrare il 50° anniversario dell’allunaggio. Proprio qui, infatti, il Presidente John F. Kennedy fu l’artefice di una missione scientifica senza precedenti nella storia degli Stati Uniti che convinse la nazione a mandare l’uomo sulla luna già prima della fine degli anni ’60. “I believe that this nation should commit itself to achieving the goal, before the decade is out, of NE W S DA L M ONDO
landing a man on the moon and returning him safely to earth” dichiarò il Presidente al Congresso già nel 1961. Otto anni dopo, il 20 luglio 1969 gli astronauti Neil Armstrong, Michael Collins e Buzz Aldrin furono i primi uomini a calpestare il suolo lunare e a segnare una conquista senza precedenti non solo per gli Stati Uniti d’America, ma per la Storia dell’Umanità. In Italia, l’Associazione Visit USA Italy propone un fitto programma di iniziative e proposte “stellari”, con un focus proprio sull’epopea dello spazio, attraverso i luoghi simbolo della corsa verso lo spazio degli anni 60. Già in Bit a Milano, Olga Mazzoni, Presidente di VisitUSA Italy, ha presentato il programma dell’Associazione in conferenza stampa, con un’ospite d’eccezione, il Dottor Luca Urbani che, oltre
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ad essere stato un astronauta dell’ASI, è un esperto ricercatore di medicina spaziale e nella quotidianità un medico chirurgo. Le sue testimonianze sull’esperienza vissuta nello spazio ed i duri addestramenti a cui sono sottoposti gli astronauti sono stati davvero interessanti. Un viaggio affascinante nella storia dell’astronautica che parte già dalla fine degli anni ’50, con John H. Glenn, il primo astronauta americano ad orbitare attorno alla Terra, uno dei “Magnifici sette” del programma Mercury che completarono il giro del nostro pianeta il 20 febbraio 1962. Un anno prima, il 12 aprile 1961, fu una missione russa con Yuri Gagarin a compiere l’impresa mai tentata dall’uomo con la Vostok 1.
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Senza dimenticare, però, la cosmonauta Valentina Tereshkova, prima e unica cosmonauta a compiere un viaggio in orbita in solitaria, seguita, dopo 19 anni, dalla russa Svetlana Savitskaya, In tutto 560 persone nello spazio dal 1961, data del primo volo del “cosmonauta” Juri Gagarin il 12 aprile 1961, un club d’élite che comprende anche alcuni astronauti italiani, fra i quali Luca Urbani, appunto. Poiché i viaggi tematici sono uno dei driver del turismo verso gli USA, Visit USA Italy ha predisposto e presentato una collezione di viaggi sul tema spaziale statunitense, grazie al contributo dei suoi soci specialisti della destinazione e degli Enti del Turismo
degli stati che sostengono l’Associazione “illustrando alcune tappe fenomenali della storia della missione fortemente voluta da JFK, ma anche di un’esperienza di viaggio negli Stati Uniti d’America, toccando mete anche inusuali, spesso non pubblicizzate, e proprio per questo motivo originali”. Come Pasadena (California), Cape Canaveral (Kennedy, Florida), il centro di controllo di Houston (Texas), luoghi di “culto” dell’astronautica americana, o i musei come il “Kennedy Space Center” di Orlando, l’”Intrepid Sea Air Space Museum” di New York ed il “National Air and Space Museum” di Washington. L’offerta di viaggio spazia anche su proposte originali di luoghi meno noti ma significativi per ampliare il
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raggio di comprensione della straordinaria impresa storica, come il “Cratere della Luna” a Idaho o lo “Space Camp” di Huntsville, in Alabama. Il 2019 segna anche un altro importante evento sul tema, inaugurando il “turismo spaziale”, l’ultima recente forma di turismo che mira a viaggi nello spazio. A parte casi isolati di viaggi spaziali, finanziati dagli stessi privati al costo di svariati milioni di dollari, sono previsti i primi viaggi che porteranno
i turisti ad imbarcarsi su una navicella spaziale che verrà sganciata in volo da un velivolo chiamato SpaceShipTwo VSS Unity a 15mila metri di altezza (un aereo di linea vola a circa 10mila metri ) per godere lo straordinario spettacolo della curva terrestre. Uno dei primi spazioporti sarà realizzato in Puglia, per la precisione all’aeroporto di TarantoGrottaglie. ▣
A pagina 154, Valentina Tereshkova, Memorial Museum of Cosmonautics, Mosca. In alto, Luca Urbani e Olga Mazzoni.
Per info: www.visitusaita.org NE W S DA L M ONDO
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