ASA Magazine Anno 4 – Numero 12 – Gennaio 2020 – Rivista Quadrimestrale
LA RIVISTA DELL’ ASSOCIAZIONE STAMPA AGROALIMENTARE ITALIANA Registrazione Tribunale Lg. 48/1948 – Tutti i diritti riservati – Dir. Resp. Roberto Rabachino
Autunno da Globetrotter per il Prosecco Doc Una ricca agenda di eventi mondiali promossi dal Consorzio di Tutela Prosecco Doc
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ASA MAGAZINE n. 12/ 2020 – Gennaio 2020 – Rivista Quadrimestrale Registrazione Tribunale Lg. 48/1948 Direttore Responsabile N.12 / GENNAIO 2020 Rivista Quadrimestrale
Roberto Rabachino C.so Galileo Ferraris, 138 - 10129 Torino Tel. +39 011 5096123 - Fax +39 011 5087004 direttore@asamagazine.it
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Comitato di Redazione e Controllo Roberto Rabachino, Giorgio Colli, Patrizia Rognoni, Riccardo Lagorio e Saverio Scarpino
Hanno collaborato a questo numero Roberto Rabachino, Jimmy Pessina, Maria Pia Gori, Nicoletta Curradi, Enza Bettelli, Gladys Torres Urday, Giovanna Turchi Vismara, Franca Dell’Arciprete Scotti, Redazione Centrale
Per la fotografia Jimmy Pessina, Franca dell’Arciprete Scotti, L’Espresso, Associazione Civita, Turismo Ceco
Sommario EDITORIALE SOS clima per agricoltura: nelle campagne sparita una pianta su quattro a cura di Roberto Rabachino, Presidente Nazionale ASA
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APPROFONDIMENTO Autunno da Globetrotter per il prosecco Doc di Paolo Alciati
Nutrizione: è una cosa seria, ma prendiamola con gusto di Enza Bettelli
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TURISMO NAZIONALE Umbria: un itinerario sensoriale di Franca dell’Arciprete Scotti
A Pianello Val Tidone alla scoperta delle Grotte di Rocca d’Olgisio di Giovanna Turchi Vismara
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TURISMO INTERNAZIONALE Il percorso di Unamuno a Gran Canaria di Silvia Donatiello
Stati Uniti, Arizona: Antelope Canyon, spettacolo della natura di Jimmy Pessina
Repubblica Ceca: un ricco patrimonio culturale di Franca dell’Arciprete Scotti
Savoia: il fascino delle perle Alpine di Franca dell’Arciprete Scotti
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AGROALIMENTARE NAZIONALE
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Cheese 2019, naturale è davvero possibile a cura Redazione Centrale
Riscatto e realizzazione: successo per la VII edizione del premio Semplicemente Donna di Nicoletta Curradi
NEWS DALL’ITALIA
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Dieci anni di birre artigianali di qualità di Maria Pia Gori
Festival FruttAmaMi terza edizione: via alle iscrizioni a cura Redazione Centrale
Dove mangiare e bere bene secondo la Guida de L’Espresso 2020 di Nicoletta Curradi
Modigliani torna nella sua Livorno con una grande mostra di Nicoletta Curradi
NEWS DAL MONDO
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Giornata internazionale Onu con attenzione allo sviluppo sostenibile a cura di Gladys Torres Urday su nota stampa CIA
Sos clima per agricoltura: nelle campagne sparita una pianta su quattro Negli ultimi 20 anni in Italia è sparita quasi una pianta da frutto su quattro fra mele, pere, pesche, arance, albicocche, con grave danno produttivo e ambientale. È quanto emerge dal rapporto Coldiretti “Sos Clima per l’agricoltura italiana” presentato al Villaggio contadino dello scorso 27 settembre a Bologna, nel giorno del terzo sciopero mondiale per il clima.
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l “frutteto italiano”, secondo l’analisi Coldiretti su dati Istat, ha visto un crollo netto del 23% in un ventennio. Il taglio maggiore ha interessato pesche e nettarine con la superficie quasi dimezzata (-38%), seguite da uva da tavola (-35%), pere (-34%), limoni (-27%), arance (-23%), mele (-17%), clementine e mandarini (-3%). Il danno, sottolineano i coltivatori, non è solo economico e occupazionale ma colpisce pure l’ambiente perché con la scomparsa dei frutteti viene a mancare il ruolo di contrasto dell’inquinamento e del cambiamento climatico svolto dalle piante, capaci di ripulire l’aria da migliaia di chili di CO2 e polveri pm10. Addio a 2 mln di mucche, pecore e capre - Due milioni di mucche, maiali, pecore e capre sono scomparsi dalle fattorie italiane negli ultimi dieci anni anche per effetto del riscaldamento globale che ha inaridito i pascoli, ridotto la disponibilità di foraggio, tagliato la produzione di latte e aumentato i costi per garantire il benessere degli animali in condizioni climatiche più difficili. È quanto emerge dal rapporto Coldiretti “Sos Clima per l’agricoltura italiana” diffuso al Villaggio Contadino di Bologna dove è stata inaugurata l’Arca di
Noè dell’agricoltura italiana con animali, piante e prodotti della Fattoria Italia minacciati dai cambiamenti climatici. ‘Fattoria Italia’, spiega Coldiretti, che “nell’ultimo decennio ha perso solo tra gli animali più grandi circa un milione di pecore, agnelli e capre, oltre a 600mila maiali e più di 100mila bovini e bufale. Un addio che ha riguardato soprattutto la montagna e le aree interne più difficili dove mancano condizioni economiche e sociali minime per garantire la permanenza di pastori e allevatori”. Da ‘alieni’ mezzo mld di danni nei campi - Dalla cimice asiatica al batterio della Xylella, l’invasione di insetti e organismi “alieni” portati nelle campagne italiane da cambiamenti climatici e globalizzazione degli scambi ha causato danni per oltre mezzo miliardo nell’ultimo anno con effetti “gravissimi”. È quanto emerge dal rapporto Coldiretti “Sos Clima per l’agricoltura italiana” diffuso al Villaggio Contadino a Bologna, dove è stata mostrata la “teca degli orrori” con le specie aliene che in Italia hanno fatto strage nei campi coltivati. L’ultimo arrivato, proveniente dalla Cina, “è la ‘cimice marmorata asiatica’ spiega Coldiretti - particolarmente pericolosa per l’agricoltura perché prolifica con il deposito delle uova almeno due volte all’anno con 300-400 esemplari alla volta. A favorirne la diffusione è stato un anno particolarmente caldo”. Questo insetto ha decimato i raccolti, distruggendo meli, peri, kiwi, ma anche peschi, ciliegi, albicocchi e piante da vivai “con danni alle produzioni ed un pesante impatto occupazionale”. a cura di Roberto Rabachino, Presidente Nazionale ASA da comunicato ANSA, Coldiretti e su dati ISTAT
Autunno da Globetrotter per il Prosecco Doc Dall’Australia a Merano, passando per Taiwan, Canada, Giappone e Russia le iniziative del Consorzio Tutela Prosecco Doc e gli abbinamenti che valorizzano la cucina italiana. di Paolo Alciati
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el loro continuo solcare il mappamondo, i Globetrotter del Prosecco Doc, dopo una intensa attività di masterclass tenute a Taiwan e rivolte ad operatori e wine lovers, sono approdati in novembre a Melbourne per partecipare, in qualità di sponsor principale, al Business Award Gala promosso dalla Camera di commercio italiana in Australia. Per la comunità di connazionali che vive nel Quinto Continente si tratta del più importante evento dell’anno e della migliore occasione per ripercorrere le
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tracce dei sapori della cucina italiana grazie a piatti ottenuti nel più rigoroso rispetto della tradizione. Il Prosecco, che verso l’Australia nei primi nove mesi del 2019 ha visto registrare un incremento delle esportazioni, in volume, del 13% sullo stesso periodo dell’anno precedente, nell’area ha sicuramente ancora molto da esprimere. La sua presenza nel continente, infatti, vale appena 22 mila ettolitri, circa l’1,60% dell’intero business mondiale, ma si tratta di una quota già doppia se confrontata, ad esempio, con quella dell’intera Asia. Nella serata di Melbourne,
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il 9 novembre, il Prosecco fornito da 11 aziende è stato servito in tre diversi momenti ed è stato il protagonista in occasione del conferimento di alcuni riconoscimenti a giovani imprenditori e a soggetti che a vario titolo contribuiscono al mantenimento dei rapporti fra gli Italiani d’Australia e il Bel Paese. Ma le rotte tracciate sulle carte del pianeta per i portabandiera delle bollicine veneto-friulane nell’autunno scorso sono state molto dinamiche. Fra il 20 ed il 24 ottobre le iniziative di rafforzamento dei rapporti commerciali hanno avuto come teatro varie
sedi istituzionali di Montreal, in Canada. Qui, oltre a progetti volti a ottimizzare la distribuzione del prodotto, soprattutto nel Quebec, si è parlato delle varie proposte di promozione delle terre del Prosecco in chiave turistica. Un balzo verso occidente sopra l’Oceano Pacifico ha quindi portato il sistema del Prosecco a Tokyo dove, fra il 29 ed il 30 ottobre, sono stati coinvolti clienti, operatori nel mercato giapponese e mezzi di stampa in degustazioni, seminari di approfondimento e momenti conviviali. La stagione è continuata e, fra i molti appuntamenti in calendario nel mese di novembre, quello che spicca più di altri è la trasferta a Mosca nei giorni 25 e 26 in occasione del “Tre bicchieri AP P ROF O NDI M E NT O
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A pagina 9, Tokyo, degustazione. In basso, l’evento a Melbourne, Canada. In questa pagina, Tokyo, Gambero Rosso. A pagina 11, Tokyo, premiazione. In basso, il Presidente Zanette con Yuri Bashmet a Mosca.
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World Tour”, autorevole ciclo di eventi dedicati al vino italiano di eccellenza organizzato dalla casa editrice “Gambero Rosso”. Nell’occasione il Consorzio ha proposto un seminario di approfondimento gestito dai curatori della guida “Vini d’Italia”, riferibile allo stesso editore, volta ad approfondire la conoscenza del territorio di produzione del Prosecco Doc e le sue caratteristiche, anche attraverso degustazioni di campioni forniti dalle varie aziende aggregate alla missione russa. Il giorno successivo ha preso il via un evento in collaborazione con “50 Top Italy - Guida dei migliori
ristoranti italiani nel mondo” che si è svolta all’Hotel Metropol, nel cuore della capitale russa. In questo caso il Consorzio di tutela ha partecipato ad un evento il cui focus è stato l’abbinamento del Prosecco con piatti a base di pasta. Il 27 novembre, infine, un brindisi con il Prosecco Doc è l’opportunità di cui hanno potuto godere, grazie ad un corner appositamente allestito nel backstage della Sala Grande del conservatorio statale “Pëtr Il’ič Čajkovskij”, l’orchestra Novaya Rossya, con la cantante solista Olga Borodina e il Maestro Yuri Bashmet dopo il concerto che li ha visti protagonisti.
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erano Wine Festival – dalla cena di Gala al confronto con i vini di Sardegna Una “sfida” con i meno popolari vitigni autoctoni sardi e un confronto fra cocktail in cui tenere testa al Bellini o al Rossini. Per il Prosecco Doc c’è stato anche questo nell’avventura altoatesina di Merano WineFestival, fra il 7 ed il 12 novembre scorsi, occasione in cui lo spumante venetofriulano ha letteralmente quadruplicato la sua visibilità rispetto alle precedenti edizioni. Il Consorzio, rappresentato in questa occasione da dieci etichette (Cantina Beato
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Bartolomeo da Breganze, Enoitalia, Mionetto, Santa Margherita, Serena Wines, Valdo, Villa Sandi, Viticoltori Ponte, Zardetto Spumanti e Zonin 1821), si è infatti reso protagonista dei momenti topici dell’evento, a cominciare dalla presenza sui tavoli dei 500 commensali della cena di gala di bottiglie di Prosecco Doc in abbinamento con il Carpione di fagiano, ortaggi e nero di golena realizzato dallo chef Massimo Spigaroli. Altre combinazioni con i piatti della cucina tradizionale locale sono stati suggeriti domenica 10 novembre
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mentre nell’intero week end il Prosecco Doc ha accompagnato soluzioni di finger food e piatti più elaborati, quali Bianco di faraona marinato e ragout di melanzane e Crema d’uovo, uova e “PRO”fumo di trota, Tempura di persico e rape rosse all’erba cipollina e Battuto di Fassone Piemontese. Ancora sabato 9 novembre è stata la volta del Tasting “Prosecco Doc & gli Autoctoni Sardi”, in cui tre produttori veneti si sono confrontati con colleghi dell’isola, mentre lunedì 11 lo spumante nordestino è stato declinato
come base per cocktail. Un virtuoso della materia, Andrea Lai, ha condotto una “classe” di apprendisti formata da giornalisti e altri ospiti nella realizzazione di due creazioni. Una da scegliere fra grandi classici come il Bellini o il Rossini, l’altra concepita apposta per il Prosecco Doc e battezzata Plaisir d’été. In occasione della presentazione della guida 2020 “Vinibuoni d’Italia” svoltasi al teatro Puccini, il Presidente del Consorzio di tutela Prosecco Doc, Stefano Zanette, ha sviluppato alcune considerazioni sul tema “Sostenibilità e responsabilità”.
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A pagina 12, Merano Wine Festival: il Presidente Zanette tra Alessandro Scorsone e Mario Busso, curatori nazionali della guida Vinibuoni d’Italia. In questa pagina, Merano Wine Festival: Il direttore Luca Giavi e il Presidente Stefano Zanette.
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l fenomeno Prosecco analizzato in Kazakistan
Doppio appuntamento per il Prosecco Doc in Kazakistan nelle date del 3 e del 5 dicembre. Il presidente del Consorzio di tutela Stefano Zanette, il direttore Luca Giavi e il vicedirettore Andrea Battistella, si sono recati ad Almaty e Nur-Sultan, città del Kazakistan,
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per presentare in eventi dedicati il “fenomeno Prosecco”, dalla storia del prodotto alle tipicità dei territori d’origine, dai criteri di coltivazione e lavorazione fino alle numerose e sempre crescenti opportunità di inserimento nelle abitudini alimentari e nei gusti dei cittadini di ogni angolo del pianeta. Ad Almaty, negli spazi del Mercure Almaty City Center, alla presenza
dell’ambasciatore italiano, Pasquale d’Avino, e di fronte a 140 partecipanti, Battistella ha descritto le ragioni della progressiva crescita sui mercati del Prosecco Doc. Ad assistere, oltre agli esponenti della diplomazia, anche delegati dell’Istituto per il commercio estero (Ice) ed operatori della ristorazione, del mondo ricettivo e delle
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enoteche della zona. La chiusura è stata affidata ad esperienze di degustazione del Prosecco, in particolare nelle versioni Extra Dry e Brut, in abbinamento con assaggi in versione Finger Food di specialità gastronomiche italiane. Il modello di promozione è stato replicato due giorni dopo, a NurSultan, il nuovo nome della capitale del Paese assunto soltanto pochi mesi fa, sostituendo il precedente, Astana. Qui l’impegno della descrizione del Prosecco e di tutte le sue potenzialità è stato affrontato da Zanette e Giavi, con analogo riscontro di consensi.
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ompagno d’arte nella Russia più glamour
Si è conclusa infine all’Ermitage, in occasione del 255° compleanno del museo statale di San Pietroburgo, l’agenda di appuntamenti del Consorzio di tutela del Prosecco Doc per il 2019 in terra russa. Le bollicine veneto friulane hanno riempito i calici fra le opere d’arte di una delle sedi più ricche e prestigiose del mondo proprio il 6 e il 7 dicembre, date in cui, ogni anno, si celebra la fondazione di un luogo che riceve ogni anno più di 2,5 milioni di visitatori attratti dagli oltre tre milioni di dipinti, sculture e pezzi di arte decorativa. ▣
A pagina 14, Kazakistan: da sinistra, Tino Vettorello, Luca Giavi, l’ambasciatore italiano Pasquale d’Avino, il vice ministro al commercio kazako Kairat Torebayev, Stefano Zanette e un rappresentante della Renco SpA. In questa pagina, Russia, degustazione all’Ermitage.
www.prosecco.wine/it
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NUTRIZIONE:
è una cosa seria, ma prendiamola con gusto Dieta sana ma non punitiva, abbiamo intervistato su questo importante argomento il dottor Giorgio Donegani, tecnologo alimentare, esperto di nutrizione ed educazione alimentare. di Enza Bettelli
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rmai siamo tutti consapevoli dell’importanza di nutrirsi in modo corretto e che non è mai troppo presto per iniziare una dieta sana ed equilibrata. Un principio fondamentale che andrebbe insegnato ai bambini fin dall’età scolare perché si avviino all’adolescenza prima e all’età adulta poi con le giuste prospettive per una vita in buona salute. Ne abbiamo parlato con il dottor Giorgio Donegani, uno dei più importanti esperti in questo settore, cofondatore nel 2011 della Fondazione italiana per l’Educazione alimentare, di cui è stato presidente e direttore scientifico. Negli anni ha articolato la sua attività in diverse direzioni, portandole avanti parallelamente: la docenza, l’educazione alimentare, la consulenza alle aziende del settore, la divulgazione scientifica. E’ stato, infatti, docente di tecnologie alimentari presso Food Genius Academy e di Merceologia degli alimenti e Legislazione igienico sanitaria presso il Politecnico del commercio di Milano. E’ socio onorario ASA e membro di diversi comitati e associazioni scientifiche e, proprio come membro del comitato tecnico scientifico Scuola e Cibo del MIUR, ha partecipato alla
stesura delle linee guida per l’educazione alimentare nella scuola italiana, pubblicate nel 2011 e aggiornate nel 2015. Progetta e realizza programmi di educazione alimentare a livello nazionale e internazionale, collaborando con istituzioni pubbliche e società private. Dottor Donegani, lei è un instancabile sostenitore della necessità di avviare un giusto rapporto con il cibo fin dall’infanzia. Quanta collaborazione c’è da parte delle famiglie nell’abituare i bambini, anche i più piccoli, ad apprezzare i cibi più adatti alla loro crescita? Oggi c’è sicuramente una grande attenzione delle famiglie all’alimentazione dei piccoli. Un’attenzione che è sorretta generalmente da un atteggiamento propositivo e collaborativo, e che è frutto di maggior consapevolezza di quanto sia importante una sana alimentazione sin dai primi anni di vita, per impostare un futuro di salute e benessere. Purtroppo, a fronte di questa crescente attenzione per l’educazione alimentare, assistiamo oggi a un’incredibile proliferare di fake news e informazioni imprecise, spesso studiate e diffuse ad arte con il preciso intento di sfruttare la sensibilità delle famiglie sull’argomento
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alimentazione per poterne condizionare i comportamenti di acquisto e consumo. E a scuola? Le mense scolastiche sono spesso sotto accusa, ma ci sono anche esempi virtuosi. In alcune città vengono proposti menu bio e il Ministero della Salute ha avviato quest’anno il programma di educazione alimentare Maestranatura. La scuola è oggi chiamata a un compito estremamente importante perché si trova a dover supplire, almeno in parte, a quella educazione alla salute e a un sano rapporto col cibo che era prerogativa pressoché esclusiva dell’ambiente familiare. Oggi i ritmi velocissimi imposti dal lavoro e dai mille impegni quotidiani che riempiono la vita di ciascuno, bambini compresi, lasciano poco spazio all’esercizio di quella che da sempre è stata l’attività fondamentale per trasmettere il sapere del cibo: cucinare. Un tempo la cucina di casa era l’ambiente fulcro di tutte le attività familiari, oggi è spesso fisicamente ridotta a un piccolo “angolo cottura”, che già nel nome esprime la qualità di rapporto col cibo per cui è stato pensato. Ben venga allora l’impegno nella scuola per ricreare ambiti esperienziali che vadano a colmare quella
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distanza che mai prima d’ora è stata così forte tra il momento della preparazione del cibo e il suo consumo. In questo quadro, la ristorazione scolastica costituisce un’occasione educativa imperdibile: non solo attraverso la qualità del servizio che propone, ma anche per le attività di educazione alimentare che può sostenere in collaborazione col corpo docente e con le famiglie. Sono moltissime le realtà di ristorazione virtuose che si fanno carico di questa responsabilità sociale, e dispiace purtroppo che molte volte gli sforzi delle aziende ristorative non vengano riconosciuti dagli
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utenti: è impressionante il divario che in troppi casi si riscontra tra la qualità reale del servizio e la qualità percepita da chi ne fruisce. Credo che il dialogo e la condivisione di un contratto educativo tra le famiglie, le scuole e le aziende di ristorazione siano condizioni fondamentali per massimizzare l’efficacia dell’educazione alimentare e stabilire anche un flusso di informazione che dalla scuola raggiunga le famiglie proprio attraverso il tramite dei ragazzi. Bambini e adolescenti si lasciano coinvolgere dalla pubblicità e preferiscono snack e altri prodotti
confezionati a una prima colazione sana, quando addirittura vanno a scuola senza mangiare nulla. Cosa suggerisce ai genitori per invogliare i loro ragazzi a cambiare abitudini? La scarsa attenzione che ancora oggi si riserva alla prima colazione costituisce un vero problema: non solo è fondamentale per reintegrare l’energia persa nel digiuno notturno, ma è il pasto che detta poi i ritmi corretti di tutta la giornata alimentare. Sono state indagate le cause per cui sono ancora molti (il 41% secondo i dati più recenti del sistema di monitoraggio
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così il primo pasto del mattino, anziché essere un momento fondamentale di piacere e di riunione della famiglia, finisce per essere considerato uno sgradevole obbligo da sbrigare in qualche modo. In realtà, bastano quindici minuti per godersi una buona prima colazione, ritrovandosi tutti a tavola davanti a un piccolo buffet di prodotti tra i quali scegliere ciò che vogliamo: a fronte di un piccolo impegno i vantaggi sono enormi tanto sul piano nutrizionale quanto su quello relazionale. La merenda è un altro momento importante nella giornata per bambini e ragazzi, ma di nuovo i prodotti industriali hanno spesso la meglio sulle preparazioni casalinghe. A volte la scelta è dettata dalla facilità d’uso, ma come si potrebbero conciliare salute e praticità?
OKkio alla salute) i bambini che saltano la colazione o ne consumano una insufficiente, e tra i maggiori responsabili compare la mancanza di tempo. In realtà, oggi preparare una sana prima colazione rapidamente e senza rinunciare al gusto è molto
facile: latte, cereali, miele, pane, yogurt, frollini, muesli, frutta… Sono tutti prodotti che non richiedono cottura né una particolare preparazione. Il problema è che si considera il tempo per la colazione “rubato” ad altro, nell’urgenza di far presto,
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C’è da dire una cosa: oggi imperversa una mentalità “antindustriale”, che condanna qualsiasi prodotto venga dall’industria a favore del “fatto in casa”, senza tener conto degli sforzi che l’industria stessa fa per migliorare di continuo le proprie proposte, e per renderle adeguate alle necessità dei consumatori. Può sembrare assurdo affermare che un succo
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100% di arancia in brick sia nutrizionalmente migliore di una spremuta fresca, eppure è così: la spremitura industriale permette di estrarre dalla parte bianca delle arance (l’albedo) tutta quella esperidina e quei fattori antiossidanti preziosissimi che si perdono nella preparazione casalinga. Così come è sbagliato comperare il latte crudo per poi bollirlo al momento dell’uso convinti che sia il modo migliore per preservarne la naturalità: il latte così trattato risulta di gran lunga peggiore del normale latte pastorizzato che l’industria ottiene con tecniche tali da ridurre al minimo le perdite nutritive. E l’elenco potrebbe continuare, ma ciò che importa non è sottolineare la maggiore adeguatezza delle preparazioni casalinghe o delle preparazioni industriale, quanto piuttosto la necessità di riportare il confronto da una dimensione
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fondamentalmente “ideologica” a un livello che invece consideri obiettivamente tutti gli elementi che fanno la qualità di un prodotto. Io stesso ho progettato dei “kit” merenda (l’ABC della merenda di Parmareggio è considerato
un caso-studio d’eccellenza) semplicemente cercando di tradurre ciò che la scienza della nutrizione oggi ha messo perfettamente a fuoco, in un’offerta pratica nell’uso, ma sostenibile sotto il punto di vista economico,
nutrizionale e ambientale. “Merendina” è un termine ombrello che raccoglie sotto la stessa denominazione prodotti diversissimi tra loro, mettendo sullo stesso piano quelli che al primo posto tra gli ingredienti mettono la farina (come nelle merende tradizionali) e quelli che invece sono costituiti essenzialmente da zucchero e grassi. Per orientarsi in un magma che mette insieme buoni e cattivi, e conciliare salute e praticità, a mio avviso è importante riacquistare quella capacità critica personale che slogan stereotipati e fake news vorrebbero escludere. Gli strumenti per informarsi ci sono e credo sia soltanto attraverso l’informazione che si possa smettere di essere considerati “consumatori”, ruolo assegnatoci dal mercato, e diventare “compratori”, termine che viene da comparare, cioè confrontare, e che attribuisce alla persona la responsabilità di
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scegliere esercitando critica e buon senso.
sulla confezione dei prodotti a fare la scelta giusta? Cosa è indispensabile controllare che sia presente o assente tra gli ingredienti elencati?
Mettere in tavola sempre pasti sani ed equilibrati richiede, a monte, fare gli acquisti alimentari in Certamente l’etichetta, sia modo consapevole. Quanto aiutano le etichette quella di composizione sia la
dichiarazione nutrizionale, è uno strumento fondamentale per avere un’idea della qualità di ciò che si acquista. Il modo di leggerla varia da prodotto a prodotto, e non è facile dare delle indicazioni pratiche di carattere generale.
CHI E’ GIORGIO DONEGANI Il dottor Donegani è autore di oltre 30 libri sui temi dell’alimentazione pubblicati da diverse case editrici, l’ultimo in ordine di tempo si intitola Free from fake, edito da Biomedia nel 2019, disponibile sia in versione cartacea sia in versione digitale (www.biomediashop.net). Inoltre collabora con numerose testate nazionali sui temi della sicurezza alimentare e della sana alimentazione, e partecipa come esperto a trasmissioni televisive (RAI, TV2000, Mediaset) e radiofoniche (Radio 24, Radio Popolare).
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Prima di tutto direi di non dare troppa importanza ai claim strillati sulla confezione, soprattutto quelli che valorizzano il “senza”. Oggi infatti si cercano gli alimenti più per quello che non contengono che per quello che ci offrono di buono. È un atteggiamento innaturale, viziato da un’informazione che punta a creare ansia e paura, come se entrare in un supermercato equivalesse ormai ad affrontare un percorso ad ostacoli, badando a tutti i rischi che il cibo ci può riservare. In realtà una cosa che dovrebbe essere chiara è che mai come oggi gli alimenti in commercio sono stati sicuri: sia grazie alle migliorate tecniche produttive, sia per il livello raggiunto dalle tecnologie di conservazione, sia per l’efficacia del nostro sistema
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di controlli. Un altro elemento cui fare attenzione è, naturalmente, l’elenco degli ingredienti. La tendenza è a ridurne il numero ed è certamente positiva se va nel senso di migliorare le caratteristiche di genuinità dei prodotti, ma la “short list” non può diventare il criterio di scelta assoluto: le patatine fritte contengono solo tre ingredienti (patate, olio e sale), ma non per questo sono alimenti sani… La lista corta degli ingredienti può avere un senso soprattutto per quanto riguarda l’uso degli additivi, perché spesso alcuni vengono utilizzati per mascherare la scarsa qualità delle materie prime: il glutammato è un esaltatore di sapidità che non serve se si usano ingredienti di per sé saporiti, così come c’è da riflettere sull’effettiva necessità di usare coloranti
e aromi per “dare il trucco” ai prodotti. Ancora, si può ragionare sui motivi per cui esistano prodotti della stessa categoria con conservanti e altri senza: perché utilizzare conservanti se se ne può fare a meno? La risposta è semplice: per evitare l’uso di conservanti bisogna utilizzare materie prime di alta qualità e lavorare in modo impeccabile, cosa che alza i costi… I grassi e l’olio di palma in particolare sono due elementi che spingono i consumatori a scegliere prodotti che ne sono privi. Questo pregiudizio è sempre corretto? Per quanto riguarda i grassi in generale, i LARN (livelli di assunzione di riferimento di energia e nutrienti per la popolazione italiana) messi
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a punto dalla Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU) indicano che dai grassi deve provenire ogni giorno una quota compresa tra il 20 e il 35% delle calorie complessive introdotte nella giornata. I grassi, infatti, sono nutrienti essenziali che non vanno assolutamente eliminati dalla dieta, neppure quando l’obiettivo sia quello di perdere peso. Quanto all’olio di palma, potrebbe costituire un eccellente caso studio per descrivere come si possa costruire e montare una fake news con l’obiettivo di condizionare in modo pesantissimo l’opinione pubblica e di conseguenza le scelte produttive. Sul piano della salute, lo stesso ISS (Istituto Superiore di Sanità) ha ribadito che non ci sono rischi connessi al consumo di olio di palma, così come l’EFSA si è espressa con toni assolutamente tranquillizzanti, eppure entrambi i pareri sono stati stravolti nella presentazione che i media ne hanno dato al pubblico, “grazie” anche al sostegno interessato di una forza politica che ha cavalcato abbondantemente la guerra al palma, un po’ come ha fatto con quella ai vaccini. A questo va aggiunta anche una campagna demagogica centrata sulla insostenibilità della produzione di olio di palma (l’olio di palma
certificato sostenibile esiste e le aziende responsabili sono attivamente impegnate nella sua diffusione). Il risultato triste è che in Italia (unico paese al mondo) l’olio di palma è stato di fatto abbandonato, spesso a favore di grassi decisamente meno validi e sicuri, con costi sociali elevati perché molte piccole aziende non hanno potuto reggere le spese per la riformulazione dei loro prodotti, e con un impatto ambientale pesante perché anche la scelta apparente più virtuosa, quella dell’olio di girasole alto-oleico (quanti sanno che è un prodotto che non esisteva in natura, ed è stato ottenuto per mutagenesi chimica?), richiede per la produzione un consumo di terreno e di acqua immensamente superiore a quello necessario per l’olio di palma. Tornando a parlare di prevenzione, oggi il peggior veleno da cui guardarsi è la cattiva informazione che demonizza alimenti della tradizione e promuove a salvifici prodotti a noi estranei (si pensi alla curcuma, allo zenzero, ai semi di chia, alle bacche di goji, all’assurdo del sale dell’Himalaya…), dimenticando che non è sui singoli alimenti che si può puntare ma che va considerato l’insieme della dieta, collocata peraltro nel
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quadro dell’intero stile di vita. In questo periodo si parla molto della dieta EatLancet, proposta da un team di esperti mondiali come possibile modello a salvaguardia dell’umanità e del nostro pianeta. Ma potrebbe essere davvero così risolutiva? La dieta Eat-Lancet, che peraltro ricalca in molti aspetti quella mediterranea, a mio avviso è frutto di un approccio sbagliato e riduzionista che riporta indietro nel tempo quello che è stato un cammino importante nella scienza della nutrizione. Arrivati a comprendere come l’alimentazione di per sé sia solo uno dei fattori che influenzano la salute, nostra e del pianeta, lo sforzo deve essere quello di collocare le scelte alimentari nella dimensione complessa di ogni paese e di ogni cultura. Pensare a una dieta “tipo” valida per tutti significa negare in partenza la complessità dell’atto alimentare, ed è a mio avviso un esercizio di pura teoria che ha ben poco significato. Tanto più che la validità di qualsiasi dieta si valuta prima di tutto in relazione alla sua applicabilità, e studi importanti ci dicono che anche soltanto sotto il profilo economico la dieta Eat-
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Lancet sarebbe inaccessibile a circa un miliardo e ottocento milioni di persone sul pianeta. Però il cibo non è solo un semplice nutrimento. Lo affermava già Brillat Savarin che “l’animale si nutre, l’uomo mangia”. Come possiamo recuperare il gusto sano e naturale senza però scadere nel banale e noioso? E’ possibile concedersi qualche eccezione, naturalmente senza trasformarla in abitudine? Mi sono chiesto perché si sia diffusa così fortemente l’idea che tutto ciò che è buono e goloso sia per forza malsano. Credo che un po’ sia frutto di una dimensione orientata al peso del peccato più che alla gioia del sano piacere (la gola è tra i sette peccati capitali, e con tutto quello che poteva fare Eva per attirarsi l’ira di Dio, è stata punita per aver mangiato una mela…). In realtà io credo che non esista un alimento veramente sano se non è anche buono e gratifica la dimensione dei sensi, così come non ci può essere un alimento davvero buono se poi ci fa star male. Detto questo, e ricordando che gli effetti del cibo sull’organismo dipendono sempre dalle quantità che ne mangiamo, direi che anche
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quando riguardi i cosiddetti junk food, l’eccezione non solo è concessa, ma diventa persino salutare se serve a sciogliere le tensioni e a regalarci un po’ di buonumore. Da molti anni lei si occupa di educazione alimentare, soprattutto quella per bambini e adolescenti, sia come autore di pubblicazione sia con corsi e seminari. Quali sono gli argomenti che interessano di più i ragazzi e quali quelli nei quali i genitori si sentono meno preparati? Parlando dei genitori, certamente l’alimentazione nella prima infanzia è un argomento che suscita molte ansie e paure, così come sono oggetto di attenzione e perplessità le diete più o meno assurde che si susseguono promettendo miracoli e che affondano le radici del loro successo proprio nel clima di incertezza in cui si vive oggi il rapporto con il cibo. Per i ragazzi, come per i genitori, questa incertezza è frutto soprattutto di una mancanza di esperienza diretta con il cibo. Il successo dei programmi televisivi e dei blog di cucina è indicativo di come sia cambiato il rapporto con ciò che mangiamo. In una società dove conta più l’immagine della sostanza,
il cibo si fotografa, si filma, si racconta, si giudica… ma ci si limita a vederlo sugli schermi, è senza sapore, senza odore, inconsistente… è un cibo al quale si può attribuire qualsiasi prerogativa perché non si mangia. Ecco, quello che mi guida negli incontri che faccio, è il richiamo all’importanza di tornare a fare esperienza diretta del cibo: sceglierlo, conservarlo bene, mondarlo, cuocerlo nel modo giusto… la cucina implica l’uso di tutti sensi ed è un costante esercizio di “problem solving” (E’ giusta questa consistenza? Ci vorrà del sale? E la temperatura?), che obbliga ad ascoltare le nostre sensazioni e a esercitare costantemente il pensiero critico. Cucinare, cucinare, cucinare: interessa e diverte sia i bambini sia gli adulti, e mentre si cucina si imparano un sacco di cose, con la possibilità di recuperare quelle conoscenze che si sono perse nel tempo. Perché l’educazione alimentare fatta attraverso la cucina in fin dei conti ripercorre la strada del sapere che, di generazione in generazione, ha portato naturalmente i nostri vecchi a consegnarci le chiavi della dieta mediterranea, modello di salute alimentare tanto semplice quanto gustoso. ▣
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UMBRIA: UN ITINERARIO
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Turismo wellness ed enogastronomico per scoprire un’Umbria gustosa e sofisticata tra vigne, cantine e magnifici resort. di Franca Dell’Arciprete Scotti
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e tutti conoscono l’Umbria come cuore verde d’Italia, regione di santi e di spiritualità, santuari e piccoli
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borghi, non tutti sanno che l’Umbria è anche una regione dalla ricca offerta enogastronomica e di benessere. Il territorio invita alla sosta,
alla contemplazione, alle degustazioni lente e profonde. Tra i borghi, spiccano torri merlate, chiese romaniche, colline ondulate e ricche
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campagne, dove ovviamente splendono vigneti e oliveti. Dal verde della primavera e dell’estate, ai caldi colori aranciati dell’autunno, al candore soffice delle nevi invernali, tutto parla di accoglienza e ospitalità. Visitare le cantine e scoprire direttamente profumi e sentori dei vini presso i produttori è una vera esperienza. Ad oggi 61 cantine appartengono al Movimento Turismo del Vino dell’Umbria, l’associazione no profit, derivazione regionale del Movimento Turismo del Vino, che rappresenta una formula unica al mondo capace di racchiudere in sé oltre mille tra le migliori aziende vitivinicole e distillerie italiane in tutte le 20 regioni. Tutte condividono il Decalogo
dell’Accoglienza, che costituisce un vero e proprio sigillo di garanzia, sinonimo di professionalità per una vera “Accoglienza coi Fiocchi”. http://www.mtvumbria.it http://www.stradevinoeolio. umbria.it/
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rima tappa Torgiano, con la famose cantine Lungarotti: tre secoli di storia familiare, anche molto al femminile, pionierismo nella moderna enologia italiana, lancio dell’Umbria oltre i confini nazionali, lungimiranza e sperimentazione, creazione del Rubesco ormai affermato sui mercati mondiali, attenzione alla sostenibilità e alla bio certificazione. Dagli anni ’60 Lungarotti
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diviene il simbolo dell’eccellenza umbra in Italia e nel mondo, con le sue produzioni di Torgiano e Montefalco. Merito dell’azienda, attraverso la Fondazione Lungarotti Onlus, la diffusione dei saperi, delle arti e della cultura della civiltà millenaria del vino e dell’olio. Il Museo del Vino (MUVIT) e il Museo dell’Olivo e dell’Olio (MOO) ne sono un’eccellente imperdibile testimonianza: 3500 reperti, diversi percorsi tematici che raccontano circa 5000 anni di storia, attraendo oltre 10mila visitatori all’anno. Lungarotti è stata anche antesignana nell’Enoturismo, questa nuova forma di turismo, sempre più diffusa. Visite e degustazioni guidate, esperienze in
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A pagina 26, Montefalco. A pagina 27, Montefalco, Chiesa di San Francesco: affreschi di Benozzo Gozzoli. In alto, Borgobrufa. A pagina 29, nonna Marcella della Cantina Goretti.
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vigna e nei musei, ospitalità nell’Agriturismo Poggio alle Vigne, tra i vigneti del Rubesco, proposte enogastronomiche targate Lungarotti presso l’Enoteca della Cantina, e all’Osteria del Museo, in cui sperimentare il connubio vino e cucina tipica. www.lungarotti.it
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ui vicino, a Borgobrufa, si apre la spa più grande dell’Umbria. E’ quella di Borgobrufa Resort, appena incoronato da 5 stelle, in posizione panoramica che regala da qualsiasi punto una vista da togliere il fiato: un borgo che
ruota attorno al benessere, con il casolare, la villa nobile e le altre costruzioni tipiche umbre circondate da una distesa di olivi e vigneti. Accanto alle novità legate alla riapertura e al rinnovo, alcuni punti fermi: la natura che incanta lo sguardo grazie alla splendida posizione del Resort, il territorio umbro che con i suoi prodotti tipici entra nella spa, oltre che nella cucina. Anche dalla spa si gode il panorama sulle dolci colline umbre, mentre il profumo delle erbe, abbinato al benefico calore, inebria i sensi nella Sauna e nel Bagno di vapore. www.borgobrufa.it
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icino a Perugia, proseguendo il nostro percorso per grandi vini, un’altra tappa sarà la cantina Goretti sulla Via del Cantico, eccellente non solo per i suoi vini, Arringatore, Sagrantino, Grechetto, ma soprattutto per la varietà e ricchezza di proposte di enoturismo: dai massaggi con i prodotti di winetherapy, alle passeggiate a cavallo per le vigne, ai giri in elicottero con partenza dalla tenuta, alle famose lezioni di cucina umbra con nonna Marcella. La grande attenzione per le origini e per la propria storia, ha portato al restauro della
trecentesca torre di proprietà, emblema delle etichette dei vini Goretti, baluardo della tenuta di Pila e oggi complesso multifunzionale con sale degustazione e camere, per accogliere tutti coloro che visitano questa parte dell’Italia del vino. www.vinigoretti.it
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a Perugia, grande città d’arte, il nostro itinerario ci porta verso piccoli borghi, veri gioielli da godere con un turismo slow. Montefalco, definito la “Ringhiera dell’Umbria” per i suoi belvedere sui rilievi dell’Appennino, del Subasio
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e dei Monti Martani, invita a un tour delle sue splendide mura medievali, intramezzate dalle porte, tra cui quella di Federico II, che sostò a Montefalco nel viaggio verso il sud, dando proprio alla cittadina il simbolo del falcone. Imperdibile la chiesa-museo di San Francesco che rappresenta una sintesi della storia, della cultura e della tradizione di Montefalco, famosa per gli affreschi di Benozzo Gozzoli denominati “Storie della vita di San Francesco”. Una breve passeggiata porta a vedere piazze, chiese, belle residenze signorili del XVI secolo, tutte entro le mura.
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Nel convento di Santa Chiara, dove vivono le suore di clausura, c’è la vite di Sagrantino più vecchia di Montefalco e dell’Umbria, che ha 150 anni. Un vitigno diventato celebre, da anni un vero fenomeno di moda. La Strada del Sagrantino conduce appunto attraverso le colline coltivate con questo vitigno dalle cantine più celebri. La Cantina Scacciadiavoli, costruita nel 1884 dal Principe Ugo Boncompagni Ludovisi, oggi di proprietà della famiglia Pambuffetti, è una delle più antiche del territorio. Una curiosità: il nome Scacciadiavoli deriva dal soprannome dato ad un
esorcista che viveva in un borgo al confine con la proprietà. info@scacciadiavoli.it
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n altro splendido borgo è Todi, anche questo tipicamente medievale, che dall’alto di una collina domina l’incantevole valle del Tevere. Le sue tre cerchia di mura, etrusche, romane e medievali, racchiudono innumerevoli tesori. A cominciare dalla centralissima Piazza del Popolo, su cui si affacciano alcuni degli edifici più importanti del centro storico: il Palazzo Comunale, il
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A pagina 30, cantine Lungarotti, museo del vino. In alto, Todi, cantina Roccafiore. A pagina 32, Montefalco, cantina Scacciadiavoli; in basso, Benozzo Gozzoli: scena della Benedizione del popolo e della città di Montefalco, particolare.
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duecentesco Palazzo del Capitano e il Palazzo dei Priori. Il Duomo, un po’ defilato, si alza sopra una lunga scalinata con la sua bella facciata romanica,
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mentre a breve distanza non si può dimenticare una sosta nella Chiesa di san Fortunato, che conserva nella cripta la tomba del grande Jacopone da Todi. C’è anche una Todi
sotterranea, che rivela le Cisterne costruite dai Romani, e utilizzate per raccogliere l’acqua piovana. Di fronte a Todi, in posizione panoramica, la chicchissima Residenza Roccafiore offre agli enoturisti più sofisticati il Ristorante Fiorfiore dove degustare i vini in abbinamento al menù degustazione della cucina umbra, visite guidate alla cantina di produzione e d’invecchiamento. www.roccafiore.it ▣
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A PIANELLO VAL TIDONE
alla scoperta delle Grotte di Rocca d’Olgisio Tra i dolci colli piacentini testimonianze antiche, splendidi vigneti e una tipica gastronomia. di Giovanna Turchi Vismara
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tto milioni d’anni fa c’era il mare. Poi attraverso i millenni le acque si sono andate ritirando scoprendo lentamente una terra di vera bellezza fatta di colli alti e dirupanti ma anche di alture più dolci alternate da brevi e sinuose vallate divenute successivamente oggetto di un laborioso lavoro dell’uomo. Oggi questi dolci colli piacentini, che hanno come loro centro la deliziosa cittadina di Pianello Val Tidone, si presentano in affascinanti paesaggi con zone boscose e cime su cui svettano antichi campanili alternate da grandi distese di grano e curatissimi vigneti che regalano al territorio ottimi vini. Il Gutturnio in particolare è il vino tipico del territorio piacentino, ma altri notissimi sono l’Ortrugo, il Cabernet, la Malvasia. E tali vini Doc ben si accostano sulle tavole alle prelibatezze dei prodotti genuini, quali salumi, formaggi, carni pregiate, frutto degli allevamenti locali. E ancora il famoso gnocco fritto e i tipici pisarei e fasò. Proprio lungo i fianchi di queste colline fin dai tempi preistorici l’uomo ha trovato spazi dove insediarsi. Per quelle terre considerate poi vie di comunicazione sono passati i Galli, gli Etruschi, i Romani fino a giungere al Medio Evo, ove il territorio ha
assunto anche importanza strategica come dimostra il maestoso Castello di Olgisio. Incastonato sulla omonima rocca, e spesso al centro di guerre e contese e testimone di epiche gesta e suggestive leggende, domina la Val Tidone e la Val Chiarone e le sue possenti mura poggiano probabilmente su un antichissimo luogo di culto. Lungo le pareti scoscese e rocciose della Rocca d’Olgisio, nascoste da una folta, intricata e lussureggiante vegetazione, un appassionato ricercatore del territorio, Antonio Zucconi, ha rinvenuto a partire dagli Anni Novanta alcune grotte che hanno conservato testimonianze dell’uomo preistorico. Ci sono sequenze di ripidi gradini, fori per palificazione, camminamenti, cocci di terracotta o di ceramica, pietre incise, tutte testimonianze che spaziano dall’età del bronzo a quella del ferro e riconosciute dai membri della Sovrintendenza ai beni archeologici dell’Emilia Romagna. Ad ognuna di queste numerose cavità riportate alla luce dopo millenni di oblio, il nostro appassionato scopritore ha assegnato un nome. Una delle prime rinvenute è la Grotta della Goccia che mostra all’interno gradini scavati nella roccia, degradanti verso una potenziale necropoli e due piccoli gruppi di selce. Qui
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nel corso di un ulteriore sopralluogo con la dottoressa Piera Saronio è stato rilevato dalla stessa anche un frammento di ceramica protostorica, riportato in superficie in seguito al dilavamento del suolo dopo un forte temporale. Altre testimonianze incise nella roccia sono state rinvenute nella Grotta Nera. Sul fondo della spelonca, in un alveolo naturale si trova un bellissimo giaciglio ricavato a scalpello con intagli profondi a lisca di pesce nella parte frontale. Alla sua sinistra, un alveolo è stato trasformato in un forno da cottura con a fianco un focolare ove sono visibili i fori per inserire i sostegni del pentolame. E davanti all’ingresso un ignoto scalpellino ha segnato nella roccia dei piccoli gradini. Ancora più interessanti sono state le scoperte avvenute sulle due grotte sovrastanti la Grotta Nera con parecchi frammenti di ceramica ad impasto di una ciotola protostorica. Altra esaltante scoperta è stata, dopo aver superato non senza gravi difficoltà una complessa parete rocciosa, il rinvenimento di un’enorme opera a gradoni scolpita nell’arenaria e affacciata sul vuoto, volta verso il Monte Aldone, il rilievo più alto della valle. Qui l’uomo preistorico ha costruito il suo altare sacrificale formato da cinque gradoni lavorati a lisca di pesce come i
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rilievi della Grotta Nera. Sul primo restano ancora ben visibili le incisioni dell’antico scalpellino, mentre al centro degli ultimi due sono presenti due grossi e profondi fori nella solita forma tondeggiante, allo scopo di una palificazione. Ma le ricerche del nostro appassionato, ben descritte nel suo volume “La scoperta delle grotte di Rocca d’Olgisio”, non si sono limitate alle zone impervie e rocciose, ma hanno spaziato anche in zone di pianura e lungo il corso dei piccoli fiumi che scorrono nel territorio, il Tidone, il Chiarone e il Tinello, con il ritrovamento di pietre che riportano fossilizzati i segni di vite antiche. Nel territorio di Pecorara, in una zona caratterizzata da prati verdi e dorate distese di campi di grano, il nostro indefesso ricercatore ha rinvenuto le tracce di un sito risalente al Paleolitico e poco più lontano ha individuato un affioramento di materiali
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risalenti al Neolitico. Purtroppo molti di quei resti sono stati cancellati da successive costruzioni avvenute ai tempi nostri. Tra i rinvenimenti di questo territorio, oltre a aver riportato alla luce un tratto di strada lastricata altomedievale che collega Rocca d’Olgisio con la Val Trebbia c’è da segnalare il ritrovamento, in località
di Rocca Pulzana, di un grande megalite presente al centro di alcuni insediamenti preistorici. Questo presunto dolmen misura un’altezza di 2 metri e 80 centimetri, una lunghezza di un metro e 80 centimetri e uno spessore di oltre 70 centimetri. Tutti questi reperti e tanti altri ancora sono tutti dovuti all’indefessa passione di un ricercatore amatoriale che
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accosta alle sue escursioni anche presentazioni di interessanti mostre ed organizza escursioni e visite presso le grotte, desideroso che anche i più giovani possano venire a contatto con i segni di un importante passato, unico nel suo genere, che ha caratterizzato questa parte tanto bella dei colli piacentini. ▣
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Il percorso di Unamuno
A GRAN CANARIA
Ovvero, come parlare di un’isola partendo da uno scrittore, e viceversa. di Silvia Donatiello
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robabilmente, a descrivere la bellezza più nascosta di Gran Canaria meglio di chiunque altro è stato Miguel de Unamuno, al punto da spingere le stesse autorità dell’isola a dare vita al progetto il “Percorso di Unamuno a Gran Canaria” che comprende diverse iniziative: la costruzione del belvedere di Unamuno ad Artenara, con una scultura dello scrittore; il posizionamento nei pressi del “Parador de la Cruz” di Tejeda di una placca di bronzo con la figura di Don Miguel, e l’apposizione di un’altra placca commemorativa nell’edificio di Teror nel quale pernottò il grande scrittore. Questo
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A pagina 38 e 39, da sinistra: Tejeda, Mirador de Unamuno, Las Palmas. In questa pagina, itinerario e, in basso, Miguel de Unamuno a Gran Canaria. A pagina 41, in alto, Las Cumbres. In basso, Bentayga.
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percorso, inaugurato il 28 febbraio 1999, nel corso degli anni ha visto ciascuna tappa alimentare l’interesse e la curiosità verso le altre.
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a chi era Miguel de Unamuno?
Lo scrittore, che meriterebbe maggior notorietà in Italia, ha fatto parte della Generazione del ’98 ed è stato il creatore del genere letterario spagnolo Nivola. La descrizione della Nivola appare per la prima volta nel romanzo Nebbia,
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dello stesso Unamuno. Il genere fu creato per evidenziare la distanza dell’autore dalla corrente letteraria del Realismo, che caratterizzava la gran parte dei romanzi della fine del XIX secolo. Con questo nuovo genere letterario, Miguel de Unamuno si concentrò particolarmente sull’evoluzione e l’aspetto psicologico dei suoi personaggi, contrapponendosi al narratore onnisciente in terza persona tipico del Realismo. L’idea quindi prevale rispetto alla forma, quasi annullando
la distinzione tra autore e personaggi, che talvolta arriva a scomparire del tutto (come in Nebbia). De Unamuno descrive così la sua concezione del termine Nivola in un breve scritto pubblicato nel 1935: «[...] Anche di una novella, come di un poema epico o di un dramma, si fa un progetto; ma poi la novella, il poema epico o il dramma si impongono a colui che se ne crede l’autore. O gli si impongono i personaggi, le sue creature immaginate. Così si imposero Lucifero e Satana dapprima, e Adamo ed Eva poi, a Geova. E
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questa sì che è una nivola, o un poema opico, o una tragedia! Così mi si è imposto Augusto Pérez». Il suo pensiero nasce dal contrasto fra le istanze della ragione e quelle della vita in una visione di tragica lotta, senza tregua e senza pace. Così il suo modello ideale è la figura di Don Chisciotte, al quale cui dedica il famoso Vita di Don Chisciotte e Sancho del 1903. L’eroe di Cervantes viene ora inteso come suprema incarnazione dell’idealismo umano, che persegue una meta, ricercata e amata non come termine di possesso, ma come miraggio.
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Questo contrasto, questa visione della vita come lotta, così presente nei suoi scritti e nel suo pensiero filosofico, è ben raffigurato dalle parole che usa per descrivere il paesaggio dell’interno di Gran Canaria: “È un enorme sussulto quello che nasce dalle viscere della terra, sembra una tempesta pietrificata, ma una tempesta di fuoco, di lava, più che di acqua”. E, affacciandosi sugli immensi canyon che caratterizzano il paesaggio dell’isola, queste parole si insediano nell’anima oltre che nella mente di chi le ha lette, rimanendo
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A pagina 42, tramonto al Picco di Las Nieves Teidal. A pagina 43, Belvedere della Degollada e, in basso, Temisas (Aguimes). A pagina 44, dune di Mas Palomas. In questa pagina, Roque Nublo e, in basso, Valsequillo Tenteniguada. A pagina 47, belvedere Pozo de la Nieve e, in basso, San Bartolomé de Tirajana.
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impresse nello sguardo che spazia su questi paesaggi che sembrano arrivare direttamente dall’era giurassica, in un salto temporale di millenni. Unamuno raggiunse le Canarie in due occasioni. La prima visita, nel 1910, fu ideata per sostenere i “Juegos Florales” di Las Palmas, organizzati dalla società culturale “El Ricreo”. La sua permanenza si protrasse per un intero mese, presso l’Hotel Continental, e fu in quel periodo che scoprì le polverose strade di Gran Canaria, dei municipi di Teror, Moya, Cruz de Tejeda e Artenara. Al termine del viaggio, Unamuno scrisse, fra altre, le seguenti parole rievocando le impressioni del paesaggio insulare: “Y lo interesante aquí, en esta isla de la Gran Canaria, está en el interior, está en las dos grandes calderas de este enorme volcán apagado hace siglos..”. “Le cose più interessanti qui, in quest’isola di Gran Canaria,
sono nel suo entroterra, fra i due grandi crateri di questo enorme vulcano, spento da secoli...” La sua seconda e ultima visita avvenne quattro anni più tardi, di sfuggita, mentre era diretto a Fuerteventura, isola nella quale fu esiliato a causa della sua opposizione alla dittatura di Primo de Rivera e dove restò finché non riparò a Parigi, quattro anni dopo. Grazie a questo suo dialogo ininterrotto con il paesaggio circostante, che l’autore illustra così bene nelle sue opere, è stata creata una guida didattica alla scoperta dell’isola, attraverso cinque itinerari che portano il visitatore ad addentrarsi nella Gran Canaria più incontaminata e segreta per scoprire, con le parole di Unamuno, le origini del suo popolo e della sua società. Cinque giornate che toccano luoghi del nord e del centro dell’Isola e che includono le località di Las Palmas de Gran Canaria, la capitale, nella prima giornata; Teror nella seconda giornata, le
cittadine di Moya e Agaete nella terza e las Cumbres, ossia le cime dell’interno di Gran Canaria nella quarta giornata. L’altro paesaggio di Gran Canaria, il Sud, da Tafira a Telde terminando a Maspalomas, è il protagonista della quinta e ultima giornata. Questo itinerario seguito con la guida offre due vantaggi: conoscere la cultura e la storia, attraverso gli scritti di Unamuno e di autori e poeti canari, e scoprire un paesaggio percorrendolo nel presente e nel passato allo stesso tempo. La maggior parte di questi territori (il 42% della superficie di tutta l’isola) fa parte della Riserva della biosfera mondiale di Gran Canaria, dichiarata dall’UNESCO il 29 giugno 2005. Inoltre, quest’anno la Montaña Sagrada e il Risco Caído sono stati nominati patrimonio mondiale dell’Unesco, luglio 2019. ▣ www.grancanaria.com
LA GUIDA La ruta de Unamuno en Gran Canaria “Il percorso di Unamuno a Gran Canaria”. Guìa Didàctica de José a. Luján Henriquez y Miguel Ángel Perdomo Batista. Ediciones Educativas Canarias. 2004” Guida didattica di José Luján Henriquez e Miguel Ángel Perdomo Batista. Edizioni Educative Canarie.” 2004
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Stati Uniti, Arizona: ANTELOPE CANYON, spettacolo della natura Probabilmente uno dei luoghi più fotografati degli Stati Uniti d’America, almeno per quanto riguarda i Parchi Nazionali. Testo e foto di Jimmy Pessina
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a storia dei Grandi Parchi
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il caso di dirlo. Tutti li conosciamo, sin dalla prima giovinezza e il loro fascino è scolpito nel ricordo dei film della serie “arrivano i nostri”, ambientati in paesaggi affascinanti. A ravvivare la memoria le mirabili tavole dei fumetti “western” e tra questi il mitico
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Tex Willer, creato dall’editore milanese Gian Luigi Bonelli e disegnato, nel 1948, da Aurelio Galleppini. A volte la fantasia supera la realtà. Per non vivere nel dubbio desideravo verificare sino a che punto le descrizioni immaginifiche dei grandi parchi degli Stati Uniti coincidessero, con una realtà in grado di stupirci. Iniziamo dal passato.
Giugno 1864: Abraham Lincoln decide con un decreto di proteggere la Yosemite Valley e la foresta di sequoie di Mariposa. Inizia così la storia dei Parchi Nazionali Americani. Oggi sono oltre cinquanta, concentrati, soprattutto, nel Sud-Ovest del Paese. Un patrimonio immenso, che sta agli Stati Uniti come il Louvre sta alla Francia e il Colosseo all’Italia. Chi firma i capolavori dell’ambiente? Certamente Madre Natura, con Il freddo e il caldo, la pioggia, la neve e i venti che continuano a disegnare il paesaggio, scolpendo nella roccia spettacolari archi, profondi canyon e solitarie mesas, così chiamate le grandi lastre di roccia, prodotte dall’erosione plurimillenaria. In queste pagine, uno dei parchi, tra i più affascinanti e interessanti degli USA, Arizona: Antelope Canyon. Una guida preziosa per organizzare una visita oltre oceano e godersi il meglio
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della natura a stelle e strisce. È con questo spirito scettico, inquinato dal dejà vu, che percorriamo le scabre pianure della riserva Navajo. Antelope Canyon è un nome che evoca paesaggi di un altro mondo, fasci di luce che filtrano fra rocce millenarie e colorano di viola e arancione brillante pareti di roccia arenaria, in mezzo al deserto. Un vero paradiso per i fotografi, l’Antelope Canyon si trova in Arizona ed è diviso in due parti, Upper
Antelope e Lower Antelope. L’Antelope Canyon è la prova concreta che l’azione dell’acqua e del vento, insieme al tempo, possono creare opere d’arte uniche e meravigliose, degne delle più surreali architetture o sculture concepite dall’uomo! Una visita all’Antelope, magari nel corso di un road trip attraverso gli Stati Uniti, facendo una deviazione per esplorare le altre meravigliose attrazioni di questa zona dell’Arizona, è un’esperienza che non
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scorderete facilmente. Abbiamo raccolto per voi tutto quello che serve sapere per partire alla scoperta dell’Antelope Canyon! In Arizona, vicino alla città di Page, l’Antelope Canyon è probabilmente uno dei luoghi più fotografati degli Stati Uniti d’America, almeno per quanto riguarda i Parchi Nazionali. L’Antelope è quello che viene definito uno slot canyon, una gola strettissima e profonda: per quanto le sue forme e i colori
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sembrino essere usciti dalla mente di qualche architetto surrealista pazzo, è solo la pazienza di Madre Natura, attraverso millenni di erosione di acqua, fango e vento ad avere creato tutto questo. Il nome deriva dall’animale che abitava questo canyon prima che diventasse una delle maggiori attrazioni dell’Arizona, la pronghorn antelope (antilocapra americana, in italiano), una specie di gazzella… Anche se la parola navajo per chiamare l’Antelope è traducibile all’incirca come “il luogo dove l’acqua scorre tra le rocce”. Non troppo poetico!
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ome arrivare all’Antelope Canyon
L’Antelope Canyon parte del Lake Powell Navajo Tribal Park, si trova in Arizona, in territorio navajo, vicino a Page. Page sorge a circa 900 chilometri da Los Angeles e dalla costa della California. Molti viaggiatori scelgono di raggiungere Page viaggiando in macchina, come parte di un road trip attraverso alcune delle zone più affascinanti di tutti gli Stati Uniti, fra cui il Grand Canyon, la Monument Valley e – un po’ più distante – il deserto del Mojave (con il celebre Joshua Tree). Page è dotata di aeroporto. Il maggiore hub dell’Arizona è però Phoenix, che dista circa 4 ore e 30 minuti in automobile, o poco più di un’ora con un volo interno. ▣ T U RI S M O I NT E RNAZ I ONAL E
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Repubblica Ceca: un ricco patrimonio culturale Alla scoperta dei siti Unesco di Boemia e Moravia meridionali: castelli, palazzi, giardini che si specchiano su fiumi tortuosi, stagni, laghi di tutte le dimensioni. di Franca Dell’Arciprete Scotti – Foto di Franca dell’Arciprete Scotti e Turismo Ceco
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na via ideale che colleghi i siti Unesco del sud lungo il confine con l’Austria può diventare un bellissimo itinerario nella Repubblica Ceca. Si attraversano piccoli borghi di campagna, città pittoresche, castelli sontuosi e parchi verdissimi. La Repubblica Ceca conta parecchi siti Unesco a cominciare da Praga, la sua imperdibile capitale, ma in questo itinerario, toccando una linea ideale che va da ovest a est, attraverso la Boemia e la Moravia, si toccano i siti dislocati tutti nella zona meridionale del Paese. Alcuni di questi da soli valgono il viaggio. Superato il confine con l’Austria, provenendo da
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Linz, ecco la prima perla, l’indimenticabile Cesky Krumlov. Paradiso per i fotografi a tutte le ore del giorno, perché il profilo inconfondibile del torrioncino che inquadra le potenti mura e la mole del castello dei Rosenberg si illumina dalla mattina al tramonto nei suoi colori rosa e verde. Il castello, secondo per imponenza solo a quello di Praga, è legato alla dinastia dei Rosenberg, per tre secoli signori quasi assoluti della Boemia Meridionale, signori dai redditi immensi, che fecero del castello una meravigliosa residenza nobiliare, dal caratteristico stemma della rosa a cinque petali. Uno scenario barocco appoggiato sui meandri della Moldava: vicoli tortuosi come le anse del fiume, case
pittoresche dipinte nei colori pastello, tetti a spiovente, insegne ricchissime, negozi di marionette e di cristalli, una città gotica di artigiani e alchimisti, piena di magia come la capitale. Una breve deviazione dall’itinerario Unesco ci porta a Ceske Budejovice. Un’altra fisionomia, connotata dalla grandissima piazza centrale, il municipio con gli stemmi sulla facciata, la fontana ornata di statue, i palazzi barocchi della ricca borghesia nelle vie del centro, e, nelle fortificazioni medievali, la casa più stretta della città. Qui a Ceske Budejovice non si perderà nemmeno l’occasione di una visita allo stabilimento della famosa birra Budweiser o Budvar. Fondato nel 1895, dal 1937 statalizzato, ha numeri
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o palazzo, riflesso sullo specchio d’acqua del Vajgar, trasformata da architetti italiani in una grandiosa villa con i palazzi collegati da portici e giardini, in cui il gioiello è il Rondel, il padiglione rotondo dedicato alla musica con una geniale acustica.
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alla Boemia alla Moravia meridionale
Proseguiamo il nostro itinerario passando dalla Boemia alla Moravia meridionale, fatta di boschi, ma anche di colline morbide, clima dolce e vini famosi. Qui si apre la deliziosa piccola Telc: anche
incredibili di produzione: cuore dell’azienda è la sala di cottura con enormi tini e caldaie in rame e acciaio. In questa zona, isolato in campagna, c’è il piccolo villaggio di Holasovice, protetto dall’Unesco come esempio perfettamente conservato di borgo in stile barocco rurale. Una piazza circondata da case omogenee, masserie, granai, botteghe, con i classici frontoni a volute, immersa
nel silenzio del sole, intatta come quattrocento anni fa, se non fosse per le pochissime macchine che l’attraversano. Più a nord merita una deviazione Jindrichuv Hradec, tutta concentrata intorno al suo Zamek
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qui un centro compatto immerge in un’atmosfera lontana, sospesa nel tempo. Tutte le case affacciate sulla lunga piazza conservano lo stile omogeneo della fine del Seicento, con alti frontoni arrotondati, decorati da stucchi che sottolineano le cornici, volute, profondi portici, graffiti e dipinti sulle facciate. Un complesso equilibrato e armonioso conservato invariato nei secoli, come in una fiaba e in una dimensione remota. A pochi chilometri, a Trebic, disposto sulle due rive del fiume Jihlava, uno splendido messaggio motiva la protezione dato
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dall’Unesco: “la coesistenza serena di Cristiani ed Ebrei, valore ancora attuale, si esprime nei due siti della Basilica di San Procopio e del quartiere ebraico”. “Sulle orme dell’abate e del rabbino”, infatti, come recita il motto dell’itinerario, si visita sulla collina la basilica di San Procopio cominciata nel 1230 e quindi di origine romanica, altissima e solenne, dal ricco portale decorato, una suggestiva cripta e interessanti affreschi medievali nella sagrestia. Al di là del fiume Jihlava, invece, si apre il quartiere ebraico, un complesso unico di 123 edifici storici,
due sinagoghe, l’ospedale, le scuole, la casa del rabbino, i magazzini, che conserva l’atmosfera rarefatta di un borgo dell’Ottocento. Case color ocra e mattone, addossate una all’altra, spesso comunicanti fra loro attraverso piccole strettoie, dominate dalla mole della ciminiera della famosa conceria di pelli che era l’azienda ebraica più importante. Sulla collina, invece, molto suggestivo il cimitero ebraico dove, sotto gli alberi e tra l’erba, si trovano circa 3000 tombe delle più famose famiglie della zona, la più antica delle quali
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risale al 1630. Infine, spingendosi più a sud, nella piena zona vitivinicola morava, proprio al confine con l’Austria, ecco il paesaggio culturale di Lednice Valtice, con l’enorme parco e i castelli legati al casato dei principi Liechtenstein, signori locali fin dal 1300, i quali vollero ridisegnare completamente il territorio per costruire un mondo ideale e perfetto. Fecero prosciugare le paludi lungo il fiume Dyje, creando un paesaggio nuovo punteggiato da laghetti coperti di ninfee, boschi ombrosi, prati e parchi fioriti. È il più grande territorio
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A pagina 55, Ceske Budejovice, e, in basso, birreria Budweiser. A pagina 56 e 57, Lednice. In questa pagina, Holasovice. A pagina 59, Cesky Krumlov.
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disegnato dall’uomo in Europa: giardini all’inglese e alla francese, foreste intervallate da una rete di sentieri pedonali e ciclistici, da logge romantiche, tempietti neoclassici, minareti orientali, rovine romane, colonnati e cappelle secondo la moda del tempo, che tendeva a ripetere architetture esotiche e lontane. Boschi e architetture si riflettono nelle superfici di corsi e specchi d’acqua, dove sarà perfetta una gita in barca. Percorrendo l’itinerario si sentono echeggiare tra castelli, fortificazioni, palazzi, le gesta di nobili e ricche famiglie che hanno segnato il destino, non solo della Cechia, ma di tutta l’Europa: i Rosenberg,
gli Schwartzenberg, i Premyslidi, i Liechtenstein. Sono le dinastie che eleggevano l’imperatore del Sacro Romano Impero Germanico e poi governarono il territorio dell’impero austroungarico, legati da vincoli di fedeltà agli Asburgo. La loro storia rivive soprattutto negli interni sontuosi, che incantano con lavori in marmo, stucco, legno, vetro, con arredi sfarzosi, barocco e rococò, in bianco e oro, con quadri alle pareti e ritratti di antenati, con armerie ricche di corazze, mazze ferrate, fucili, bardature. ▣ Informazioni: info-it@czechtourism.com, www.turismoceco.it
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ui passavano la “Via delle spezie” e la “Via del sale”. Il sale, indispensabile agli uomini, agli animali e per la fabbricazione dei formaggi, proveniva dalle saline di Moutiers, già sfruttate in epoca romana e poi dai Savoia, quando la vendita diventò monopolio di Stato e fu imposto un dazio. Per approvvigionare dalla Maurienne tutta la Savoia e il Piemonte, era stato creato un sentiero lastricato che poteva essere percorso da carretti trascinati dai muli. A Pralognan il quartiere
SAVOIA: il fascino delle perle alpine Intimamente legata alla storia italiana, la Savoia è una regione di frontiera ricca di storia, di passaggi, di leggende. Testo e foto di Franca Dell’Arciprete Scotti
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vecchio si chiama Berrioz, che vuol dire “barriera” o dogana Si pagava il pedaggio e si poteva passare, salendo sui monti della Vanoise, seguendo il percorso più corto, ma più pericoloso, rispetto al Moncenisio. E quindi si chiedeva protezione prima di incamminarsi. La piccola cappella nel Berrioz è dedicata alla Madonna dei Sette Dolori che proteggeva mercanti, viaggiatori e contrabbandieri. Cappelle come queste sono diffusissime sulle Alpi: modeste all’esterno, ma ricche di altari dorati, stucchi e decorazioni
all’interno. Tutte influenzate dal linguaggio barocco come espressione della Controriforma. Oltre alle spezie e il sale, anche il formaggio era un prodotto ricercato e venduto al di là delle Alpi. Il formaggio della Savoia è il Beaufort, di pasta dura, saporito e profumato, che veniva riservato per la sua lunga durata a soldati e marinai. Oggi è uno degli ingredienti principali della cucina savoiarda. I passaggi di uomini non sono stati certamente solo pacifici. Attraverso la Vanoise, la Maurienne e il Moncenisio, sono passati
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eserciti famosi che hanno segnato la storia. Da Annibale, che secondo le ipotesi più recenti sarebbe passato a Bramans, a Carlo Magno che da qui arrivò fino a Susa, a Napoleone durante la campagna d’Italia. Una regione ancora più invitante da quando accoglie nel suo territorio la Perla Alpina di Termignon, un villaggio soleggiato nel Parco Nazionale della Vanoise, ai piedi dei passi alpini Moncenisio ed Iseran, vicinissimo al confine italiano con la Val Susa. Come tutte le Perle dell’arco delle Alpi, dalla Francia alla Slovenia, passando per Svizzera, Germania, Austria e Italia, anche Termignon valorizza l’ecoturismo, la mobilità dolce, il rispetto per l’ambiente. Modelli da seguire per un turismo sostenibile. In questa Perla Alpina francese l’attenzione a questi valori si pratica tutto l’anno: navette gratuite per il trasporto dei turisti, bus elettrici, un simpatico trottibus per sperimentare l’emozione delle passeggiate con i cavalli, teleferiche, skibus invernali ed estibus estivi. E poi ambienti protetti per l’integrità della flora e della fauna, divieto di costruzioni oltre un certo limite, risparmio energetico, massima valorizzazione dei prodotti locali nella gastronomia. Tutto ciò fa delle Perle Alpine
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dei piccoli paradisi per le vacanze, soprattutto per chi fa attività sportiva all’aria aperta. In inverno tutti gli sport sulla neve, sci, sci-alpinismo, passeggiate con le racchette, sci di fondo. In estate escursionismo, arrampicate, trekking. Termignon è strettamente legata a Pralognan la Vanoise, che ha alternato la sua presenza nel Consorzio delle Perle Alpine, anche perché in estate un sentiero a piedi non facilissimo, con 1000 metri di dislivello,
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permette di andare in un giorno da una all’altra, salendo sulle cime del Parco della Vanoise, che in inverno sono coperte di neve. Entrambe le località sono nel Parco Nazionale della Vanoise, caratterizzato dalla calotta glaciale più grande d’Europa, come la Grande Casse e la Grande Motte, a circa 4000 metri. Dei nove parchi nazionali francesi, quello della Vanoise è stato il primo, fondato nel 1963, gemellato dal 1972 con il Parco nazionale del Gran Paradiso, caratterizzato dalle
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stesse specie protette, tra cui soprattutto lo stambecco. Insieme costituiscono uno dei più grandi spazi protetti dell’Europa occidentale. Termignon copre da solo più di un terzo del Parco nazionale. L’attività agropastorale è ancora dominante e occupa gran parte dei suoi abitanti che in estate portano gli animali in alpeggio e in inverno si dedicano alla lavorazione del formaggio e dei latticini, oltre che ai servizi per il turismo Le brevi distanze tra le principali attrazioni della regione sono percorribili senza problemi e a tutela dell’ambiente grazie all’innovativo All-Inclusive Pass Exploration. Particolarmente innovativa anche la rete di autostop della regione Haute Maurienne Vanoise. Chi ama
pedalare può approfittare delle nuovissime e-bike. Pralognan, invece, il cui nome deriva da Pratolonginquo, “prato più lontano”, a 1400 metri di altezza, incassata tra le montagne, proprio nel cuore del Parco della Vanoise, è la più antica delle stazioni di turismo di montagna del dipartimento della Savoia. La sua fortuna nacque a metà del 1800, con gli alpinisti inglesi che cominciarono a frequentarla per fare escursioni. Qui l’ufficio del turismo organizza visite alle fattorie con degustazione dei prodotti locali, mentre in estate si svolge il festival del gusto, che valorizza e fa conoscere prodotti locali oltre che le ricette tradizionali inserite nelle carte dei menu. Un’altra località, già inserita in passato nel Consorzio Perle Alpine, e quindi meritevole di attenzione, è Les Gets, collocato in Alta Savoia, con un paesaggio più rilassante e aperto. Il sole illumina centro e dintorni fino al tardo pomeriggio e intorno scintillano le pareti bianche di neve del famoso
comprensorio Les Portes du soleil, affacciato sullo splendido panorama del Monte Bianco. Ovunque teleferiche e impianti di risalita per godere al massimo le piste in inverno e i sentieri da escursione in estate. A Les Gets, ogni due anni, si svolge in estate il Festival internazionale della Musica Meccanica. Deriva dalla presenza, dal 1988, nel più antico edificio del villaggio, del Musée de la Musique Mécanique, il più grande d’Europa, che raccoglie una collezione unica di più di 550 pezzi, compresa la prestigiosa collezione di automi del celebre profumiere Roger et Gallet, costruiti tra gli anni ‘30 e ’50. Carillons, scatole da musica, organetti di strada, pianole meccaniche e pneumatiche, violini automatici, orchestrine, grammofoni e fonografi: sono tutti presentati nel contesto della loro epoca attraverso le cinque grandi sale e una galleria del museo con esibizioni estemporanee di piccoli concerti. ▣ www.musicmecalesgets.org
Info: www.maurienne-tourisme.com www.haute-maurienne-vanoise.com www.lesgets.com www.alpine-pearls.com https://it.france.fr/it
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naturale è davvero
POSSIBILE Slow Food apre nuove prospettive per il futuro del cibo verso Cheese 2021. a cura redazione centrale su Comunicato Slow Food – Immagini Archivio Slow Food
È
durata solo quattro giorni ma per organizzare le proposte e condividere i contenuti con i produttori che ormai da dodici edizioni concorrono a decretarne il successo, insieme a Slow Food e alla Città di Bra, ci vorrebbero due anni. Ventiquattro mesi di stagionatura durante i quali prende forma una nuova edizione di Cheese, dettaglio dopo dettaglio: i temi emergono durante l’edizione precedente e dal confronto che Slow Food conduce costantemente con pastori, casari, affinatori, ma anche accademici e tecnici, italiani e stranieri. È quello che trova il
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pubblico in arrivo a Bra per la quattro giorni internazionale più importante dedicata ai formaggi a latte crudo. Una manifestazione corale, quindi, che si costruisce grazie al contributo della rete e che ormai è diventata bene comune degli stessi protagonisti. Ed è a loro che diamo voce in questa giornata finale per tirare le fila di quanto fatto in questa dodicesima edizione, per tracciare la strada dei temi e delle azioni che tutti insieme dobbiamo cominciare a percorrere a partire da domani e che vedremo a Cheese 2021. Partiamo dalla sfida più grande: accendere i riflettori sulla proposta di naturale
secondo Slow Food, che riguarda caci, salumi e pani. Non si tratta di un’idea nostalgica, ma innovativa e strategica per il futuro del cibo, per riconsegnare alla natura ciò che le appartiene, usando tutte le tecnologie che si sono affermate in questi anni, senza però ricorrere a iper-lavorazioni che alterano i processi produttivi. Naturale è possibile: ce lo hanno detto in questi giorni i casari e gli affinatori che hanno dibattuto le proprie visioni durante gli incontri e hanno risposto alle domande dei moltissimi visitatori, raccontando cosa vuol dire, assaggio alla mano, allevare gli animali al
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pascolo, produrre formaggi a latte crudo, non ricorrere a fermenti selezionati: «Quando assaggio un formaggio voglio sentire le caratteristiche uniche provenienti da quel singolo caseificio, da quegli animali, da quel pascolo» sostiene Bronwen Percival, direttrice tecnica di Neal’s Yard Dairy, una dei tanti grandi esperti del settore che non perdono mai un’edizione di Cheese. «Oggi tutti possiamo aggiungere fermenti fabbricati a migliaia di chilometri di distanza, che però uccidono i sapori e li rendono tutti uguali. No, grazie, a me non interessano quei formaggi». Protagonisti d’eccezione dell’edizione 2019 e portatori proprio di questi messaggi sono stati i produttori fermier che hanno animato e reso
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In alto, Carlin Petrini. A destra, Teresa Bellanova, Ministra dell’Agricoltura.
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unica l’area Piccoli&Naturali. «Finalmente è arrivato a Cheese uno spazio tutto per noi» commenta Daniela Saglietti, della Robiola di Roccaverano, Presidio Slow Food, «in cui dare voce a chi trasforma solo il latte dei propri animali e spesso non ha la possibilità e le quantità di prodotto necessarie per partecipare a eventi come questo». E altri produttori fermier sottolineano che «sarebbe importante per noi l’aiuto di Slow Food per ampliare ulteriormente la nostra capacità di distribuzione, rivalutando le botteghe locali
e sperimentando nuove prospettive di mercato». Il dibattito sul naturale, ultima evoluzione della ormai ventennale battaglia sul latte crudo, ha aperto quindi nuove prospettive per il futuro e ambiti da approfondire, grazie anche al contributo dato da ricercatori, studiosi, agronomi, veterinari, nutrizionisti. Pascoli ben curati e brucati dagli erbivori (che per l’appunto dovrebbero nutrirsi di erba e non di insilati) hanno la capacità di immagazzinare più CO2 di un bosco, ed è ciò di cui abbiamo bisogno in questo momento per fronteggiare la crisi climatica. E poi permettono di conservare il paesaggio; rafforzano la biodiversità della flora e della fauna; rendono le zone montane fruibili e rappresentano una risposta alla crisi della montagna dovuta al suo spopolamento; contribuiscono a generare una proposta turistica in armonia con il territorio; consentono di ricostituire comunità e nuove opportunità di lavoro nelle aree interne. Per far sì che il pensiero elaborato da Slow Food e diffuso nel mondo grazie a Cheese e alla sua rete si diffonda quanto più possibile, l’Università di Scienze Gastronomiche ha presentato il primo master internazionale annuale in Raw Milk and Cheese, che da gennaio 2021 ospiterà nell’ateneo di Pollenzo decine
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di studenti da tutto il mondo per imparare l’arte della caseificazione naturale. La proposta del master è stata accolta con entusiasmo dalla rete degli affinatori presenti a Cheese, che saranno tra i partner più attivi dei corsi: «È molto importante per l’avvenire del nostro mestiere e del nostro settore poter trasferire il nostro savoir faire e far acquisire competenze a una generazione a volte incerta sulla propria identità e sul futuro, dando loro la possibilità di realizzarsi in un mestiere. La vita ha un senso quando abbiamo uno scopo e il lavoro è sovente ciò che ci permette di esistere e di vivere» ha commentato Hervé Mons, il più grande affinatore francese, espositore di Cheese fin dalle prime edizioni. L’idea del naturale e della qualità dei formaggi contagia non solo ambiente, salute ed educazione, ma anche la politica. Con la ricerca le denominazioni europee tra valori identitari e mercato, Slow Food ha sottoposto a esponenti italiani ed europei un tema delicato e particolarmente urgente: serve riprendere in mano la normativa che regola le denominazioni per rendere il regolamento più rigoroso e garantire un’autentica qualità e identità alle produzioni tradizionali. Tema questo affrontato anche dalla neo
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eletta Presidente della Commissione europea Von der Leyen e ripreso a Bra nelle parole del vice capo dell’Unità Indicazioni Geografiche della DG Agri, Branka Tome, che intervenendo a Cheese sottolinea come «Slow Food ha avuto il coraggio di esaminare a fondo tutti i 236 disciplinari dei formaggi europei a denominazione di origine, mettendone in evidenza le distorsioni. La prima cosa che faremo adesso sarà creare una
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identity card per ogni prodotto in modo che sia possibile avere informazioni dettagliate per i consumatori». Il lavoro della Chiocciola ovviamente non si ferma qui: dopo l’analisi dei disciplinari del settore caseario adesso i riflettori sono puntati sui salumi, approfondendo temi come salute dei consumatori, benessere animale e qualità dei prodotti. Insomma, in questi quattro giorni in cui Cheese ha come sempre contagiato tutti con la sua atmosfera di festa,
si sono lanciate mille sfide, stretto alleanze e promesse di collaborazione, piantato semi che sicuramente porteranno a lavorare con entusiasmo alla prossima edizione, per un mondo ancora più naturale. Il successo di Cheese 2019 è il merito del contributo di moltissimi soggetti, dalle istituzioni ai sostenitori, dagli espositori allo staff, dai volontari ai visitatori. Grazie di cuore a tutti! Appuntamento a Cheese 2021! ▣
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RISCATTO E REALIZZAZIONE:
successo per la VII edizione del Premio Semplicemente Donna Grande partecipazione per il primo anno del Semplicemente Donna a Castiglion Fiorentino. di Nicoletta Curradi
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i è conclusa con un grande successo la VII edizione del Premio Internazionale Semplicemente Donna. Una due giorni ricca di emozioni che, il 22 e 23 novembre, ha portato a Castiglion Fiorentino e nelle scuole della provincia aretina il vissuto di donne e realtà esemplari, portatrici di valori positivi e messaggi di speranza. Determinate, coraggiose e sognatrici: le protagoniste dell’edizione 2019 hanno approfondito
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la delicata tematica della violenza di genere parlando di discriminazioni e dolore, ma anche di realizzazione e leadership femminile in ambiti considerati ancora di appannaggio maschile. “Siamo felici di aver incontrato anche quest’anno donne dalle qualità straordinarie - spiegano Angelo Morelli e Chiara Fatai, organizzatori e ideatori della manifestazione. – Le caratteristiche principali del premio sono la sua trasversalità e la sua capacità di parlare
ai giovani. Durante la cerimonia e nel corso del nostro tour per le scuole, ciò che è emerso da questa settima edizione è l’importanza di imparare a credere in se stessi, reagendo con forza e lottando sempre per le proprie idee e la propria libertà”. Condotta dalla giornalista di SkyTg 24 Monica Peruzzi, insignita quest’anno del Premio per l’Informazione, la cerimonia di premiazione del Semplicemente Donna ha visto il teatro “Mario Spina” di Castiglion
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Fiorentino gremito di spettatori visibilmente emozionati. A ritirare il riconoscimento sono infatti arrivate l’avvocato Nicoletta Milione, vittima di violenze da parte del marito, il segretario generale della Farnesina Elisabetta Belloni, il direttore d’orchestra Cinzia Pennesi, la neuroscienziata castiglionese Susanna Rosi, l’imprenditrice Luciana Delle Donne, ideatrice del brand Made in Carcere, l’Associazione Italiana Calciatori con il progetto #Facciamogliuomini, l’afghana Suraya Pakzad, executive manager di Voice of Women Organization
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e il progetto “Mamma e Bambino” a cui è stato assegnato il Premio speciale “Sos Villaggi dei bambini”. “Castiglion Fiorentino è una realtà aperta e sensibile dichiara il sindaco Mario Agnelli - Aver ospitato una manifestazione come il Premio Semplicemente Donna è dunque per noi motivo di vanto ed orgoglio. Un messaggio concreto che la nostra città lancia per spingere la popolazione ad una riflessione sui temi della violenza di genere e delle pari opportunità”. Importante e sentita anche la partecipazione degli studenti delle scuole superiori del
territorio che, per due giorni consecutivi, sono stati gli interlocutori privilegiati delle premiate e delle ambasciatrici. All’Istituto superiore Signorelli di Cortona e all’Isis Vegni delle Capezzine, storici partner della manifestazione, si sono infatti aggiunti il Liceo da Castiglione di Castiglion Fiorentino, il liceo classico Petrarca e il liceo Colonna di Arezzo. Un totale di circa settecento studenti che hanno potuto entrare direttamente in contatto con esperienze di toccante sofferenza, ma anche di riscatto e ferma lotta per i diritti umani. ▣
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Dieci anni di BIRRE ARTIGIANALI
di qualità Un progetto, quello di Birra Pasturana, che già nel nome trova forte la radicalizzazione nel paesino di origine, un piccolo comune nel basso Piemonte, dove la birra è riuscita a farsi strada nonostante le terre, qui, siano principalmente votate al vino. di Maria Pia Gori
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a prima cotta di Birra Pasturana (www. birrapasturana.it) risale al 14 maggio 2009, con quello che ancora oggi è il “cavallo di battaglia”: la Filo d’Arianna, birra chiara, fruttata, con una leggera nota acidula che la rende molto dissetante e beverina. Negli anni la produzione è aumentata, passando dalle iniziali 4 “base” Filo d’Arianna, Filo Doppio, Filo di Fumo e Filo Malpelo a un numero
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maggiore di referenze che comprende alcune birre prodotte regolarmente, come la Minotauro, Filo Forte, Filo da Torcere e Framboise, ad altre di produzione stagionale o occasionale. Birre buone, artigianali e spesso originali; tutte rigorosamente rifermentate. Il birrificio è guidato da Cristiano, Pierluigi, Simone e Stefano; quattro soci motivati fin dagli inizi dalla passione per la birra di qualità e dal desiderio di ritrovare
la tradizione delle realtà artigianali a filiera corta. La passione porta a sperimentare e dare libero sfogo alla fantasia, con il risultato di produrre a volte birre che difficilmente trovano eguali sul mercato. L’impianto di produzione, progettato autonomamente, ha capacità di circa 600 litri a cotta, per una produzione annua di circa 400 ettolitri, commercializzati sia in fusto, sia in bottiglia. Simone, il Mastro Birraio, seleziona
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e lavora con cura i migliori malti, luppoli e lieviti per birre principalmente ispirate alla scuola belga e britannica dell’alta fermentazione. Conosce bene il prodotto e dedica cura e passione a tutte le fasi della produzione, oltre che al servizio e alla consegna. Il tutto garantendo costante qualità, cosa non sempre facile, specialmente nel settore artigianale. Un progetto, quello di Birra Pasturana, che già nel nome trova forte la radicalizzazione nel paesino di origine, un piccolo comune nel basso Piemonte, dove la birra è riuscita a farsi strada nonostante le terre, qui, siano principalmente votate al vino. Ed è anche con il mondo del vino che Birra Pasturana sperimenta nuove produzioni: birre con mosto d’uva o vinacce, la frazione nobile del
prodotto. L’uso delle vinacce è stata, dal 2010, una novità nel settore. Tra le birre con uso di vinacce la Filo Forte Oro e la File Rouge. Vengono utilizzate vinacce di vini particolarmente aromatici, principalmente passiti. Tra le birre realizzate con mosto la Filare!, una birra non acida, che ricorda il prosecco, leggera e pulita. Il birrificio è stato inoltre tra i primi a produrre birre IGA (Italian Grape Ale), con utilizzo di diverse varietà di uva aromatizzate; l’unico stile riconosciuto come italiano. Tra le IGA la Filare!, con una parte di mosto di Cortese, la File Rouge, con vinacce passite a bacca rossa, la Barriga, con vinacce e successiva maturazione in barrique che hanno precedentemente contenuto vino, la Filo Forte Oro, con vinacce di passiti vari.
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Quest’anno ricorre il decennale di Birra Pasturana. In questa occasione e durante la rinomata manifestazione pasturanese Artebirra, è stata presentata 9-19: una birra APA, leggermente ambrata, dalle evidenti note agrumate e dal finale secco e pulito, enfatizzata da un corpo piuttosto asciutto, senza però raggiungere livelli eccessivi di amaro. Contiene luppoli e lievito americani, ha grado alcolico 4,6% ed è disponibile solo in fusto. Altre novità sono state proposte negli ultimi mesi. Miss Kriek e L’ora Sesta sono ancora una volta il risultato del connubio vincente birra-vino. Nate per essere assaporate lentamente, a temperatura ambiente, quasi come una grappa, sono maturate in barrique da grappa della distilleria Gualco di Silvano
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d’Orba (Al) per poi venire rifermentate in bottiglia. Miss Kriek è scura, complessa e accattivante, con grado alcolico 9,6%, prodotta con vinacce da Nebbiolo e ciliege amare e successiva aggiunta di mosto di visciole nella maturazione in botte. L’ora Sesta è una chiara extra strong con grado alcolico 12%, sentori che evocano chiaramente il distillato. Vista la
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particolarità del ciclo produttivo, sono disponibili in edizione limitata e in bottiglie da 33 cl. L’ultima nata è una “collaboration beer” per celebrare i 100 anni dalla nascita del Campionissimo Fausto Coppi: Moltiplica. Una birra inedita per la quale 4 birrifici del territorio (Pasturana, Fermento, Gedeone e Montegioco) hanno
messo a punto una ricetta unica, che ognuno ha “cotto” separatamente. La ricetta base è quella di una birra stile “Kölsch”: secca, dissetante, dal colore dorato, debolmente amara ma con dei decisi aromi fruttati. Moltiplica è chiara, con grado alcolico 5,2% e disponibile in fusti e in bottiglie da 0,75 cl. ▣
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Festival FruttAmaMi terza edizione: via alle iscrizioni! Festival della Natura e della Scienza. Food, Salute, Agricoltura, Ecologia, Ambiente, Innovazione, Medicina Quantistica, Biotecnologie, Beauty. a cura Redazione Centrale
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ruttAmaMi Festival dei Frutti della Natura per il corpo e per l’ambiente è ormai l’appuntamento unico e autorevole a Milano per salutisti, ambientalisti, vegani, vegan-crudisti, fruttariani, igienisti, greenlovers ed animalfriend e tutte le persone curiose, attente all’alimentazione, al benessere, all’ambiente e alla natura, o che semplicemente vogliono saperne di più su come vivere meglio. FruttAmaMi è un Festival multidisciplinare e anche nel 2020 darà spazio a dibattiti, approfondimenti e
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liberi pensieri tra salutisti, ambientalisti e chiunque abbia adottato uno stile di vita nel rispetto della Natura e per tutti quelli che seguono un’alimentazione vegana, vegancrudista, fruttaliana, igienista, ma anche... per chi vuole semplicemente saperne di più... Un evento perfetto per far incontrare Scienziati, Medici, Nutrizionisti e Ricercatori, Aziende, Chef, Media di settore e lifestyle. Due giorni intensi, volti a promuovere una sana alimentazione e il rispetto del corpo e dell’ambiente con uno stile di vita salutare, valorizzando la Natura, nella medicina e nella cosmesi per una vita in armonia con l’ambiente.
Una ricca esposizione di eccellenze food e non solo renderà i due giorni una vera goduria per i cinque sensi, e gli show cooking live permetteranno di farsi venire l’acquolina guidati da chef esperti e foodblogger per imparare il bello e il buono di un piatto. Ambassador confermato lo chef stellato veg Pietro Leemann. Interverranno anche altri ospiti prestigiosi, medici, scienziati, e aziende etiche e portatrici di eccellenze locali food, beauty, healthness. Sono attesi 1500 visitatori su due giorni di conferenze, show cooking, momenti di dibattito e una ricca carrellata di prodotti di eccellenza, food
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e non solo. La terza edizione di FruttAmaMi si terrà sempre a Novotel Milano Nord Cà Granda il 18 e 19 aprile 2020, location partner degli appuntamenti di Sapere. Il Sapore del Sapere, format di incontri tesoro di oltre 15 anni di iniziative sui temi dell’alimentazione sana, della salute e del benessere. ▣ Per informazioni e iscrizioni: comunicazionefruttamami@ saporedelsapere.it
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Dove mangiare e bere bene secondo la Guida de L’Espresso 2020 Presentata in ottobre in anteprima al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, è uscita la 42ma edizione della Guida de L’Espresso “I Ristoranti e i Vini d’Italia 2020”. Oltre 2200 le attività tra ristoranti, pizzerie e trattorie menzionate nelle 912 pagine tra cui ne spiccano dieci in vetta, ai quali sono stati conferiti cinque cappelli e 27 eccellenze che hanno raggiunto quattro cappelli. di Nicoletta Curradi – Foto L’Espresso
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utti confermati i cinque cappelli dello scorso anno a cui si aggiungono La Madonnina del pescatore di Moreno Cedroni, Il Seta di Antonio Guida e, con un balzo di ben due cappelli, Villa Feltrinelli di Stefano Baiocco. I nuovi cappelli d’oro sono Da Vittorio di Brusaporto (BG) e La Pergola del Rome Cavalieri (Roma).
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Il curatore ha anche fatto presente come in Italia la situazione stia vivendo un forte periodo di staticità. “Non sono tempi di grandi cambiamenti né di svolte epocali quelli che sta attraversando la nostra ristorazione rispetto al fermento vivo di altre parti del mondo dove si affermano nuove realtà e nuove tendenze che riscrivono le regole mondiali del gusto mentre
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l’Europa mediterranea tira un po’ il fiato dopo due decenni di spinta. Un settore che si sta stabilizzando dopo anni dopati di un boom trainato dalla tv e da Expo”. Il premio Pranzo dell’Anno è stato assegnato a Lido 84, di Gardone Riviera (Brescia), Maître dell’Anno è Thomas Piras del Contraste di Milano, Cuoca dell’Anno Alessandra Del Favero di Aga a San Vito di Cadore (Belluno), Giovane dell’Anno è Paolo Griffa del Petit Royal del G.H. Royal e Golf di Courmayeur, Innovazione
in Cucina va a Inkiostro a Terry Giacomello di Parma e infine il premio Alla Carriera va a Tonino Mellino di Quattro Passi di Nerano (NA). Joia di Milano di Pietro Leemann è invece il Ristorante sostenibile dell’anno, mentre il Piatto dell’anno se lo aggiudica l’Osteria Francescana. Tra i tanti premi, il giovane pizzaiolo dell’anno è Valentino Tafuri della pizzeria Tre voglie a Battipaglia: apre la sezione che la Guida dedica alle 100 migliori pizzerie d’Italia, di cui 32 incoronate con le “Tre Pizze” (il N E W S DAL L ’I T AL I A
massimo del punteggio) con tanti nomi noti del settore – già premiati anche dal Gambero Rosso – come Franco Pepe, Renato Bosco, Gabriele Bonci. “Poco di nuovo, ma molto di buono, ha commentato ancora Enzo Vizzari, in casa nostra brillano perciò in modo più significativo le conferme dei valori noti che le novità”. Parte integrante della guida, la sezione dedicata ai vini d’Italia che come sempre cita I Migliori 100 Vini Rossi, I Migliori 100 Vini Bianchi, I Migliori 100
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Vini Spumanti, I Migliori 30 Vini Rosati e i Migliori 30 Vini Dolci. Per la prima volta quest’anno una inedita categoria include le migliori bottiglie sotto i 15 euro. Andrea Grignaffini sui Vini d’Italia parla di “non guida”, ma di una selezione severa del meglio del vino dello Stivale dell’ultimo anno, che va incontro a tutti i consumatori. Per ogni vino dei 460 classificati, oltre all’indicazione del prezzo, c’è un breve testo, un ritratto essenziale, capace di coglierne le peculiarità. Nessuna azienda ha più di un vino classificato. La Guida è disponibile in edicola e in libreria, ma anche in versione digitale in app per Iphone, IPad e dispositivi Android. ▣
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Modigliani torna nella sua Livorno con una grande mostra Livorno attendeva da un secolo questa mostra. Qui, Amedeo, si era formato artisticamente studiando i macchiaioli, qui si era ammalato per la prima volta gravemente ed era riuscito miracolosamente a guarire. di Nicoletta Curradi – foto Associazione Civita
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n evento unico e imperdibile: fino al 16 febbraio è aperta la grande mostra retrospettiva di Amedeo Modigliani (18841920) a Livorno, città natale dell’artista, in occasione del centenario della sua scomparsa. L’esposizione dal titolo “ Modigliani e l’avventura di Montparnasse. Capolavori dalle collezioni Netter e Alexandre” si tiene al Museo della Città di Livorno ed è organizzata dal Comune di Livorno insieme all’Istituto Restellini di Parigi
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con la partecipazione della Fondazione Livorno. Curata da Marc Restellini con il coordinamento di Sergio Risaliti, offre al pubblico l’occasione di ammirare ben 14 dipinti e 12 disegni di Modigliani raramente esposti al pubblico. Per celebrare il centenario della morte del pittore, che cade nel 2020, sono eccezionalmente riuniti nelle sale del Museo della Città i dipinti e disegni appartenuti ai due collezionisti più importanti che lo hanno accompagnato e sostenuto nella sua vita. Paul Alexandre, primo fra tutti, che era al centro
di un legame tra Livorno e Parigi, che lo ha aiutato al suo arrivo a Parigi e nel progetto scultoreo delle Cariatidi, oltre che durante i suoi ritorni a Livorno nel 1909 e 1913. Ma anche e soprattutto Jonas Netter che ha riunito, come un esperto e geniale collezionista, i più bei capolavori del giovane livornese. Tra le opere in mostra è visibile il ritratto Fillette en Bleu del 1918, opera di grandi dimensioni che raffigura una bambina di circa 8-10 anni il cui vestitino e il muro retrostante sono dipinti di un delicato colore azzurro, in un ambiente pieno di
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dolcezza e innocenza; il ritratto di Chaïm Soutine del 1916, suo caro amico durante gli anni parigini più difficili, seduto con le mani appoggiate sulle ginocchia, dove si percepisce la grande sintonia tra i due e la stima che Soutine provava per Modigliani; il ritratto Elvire au col blanc (Elvire à la collerette) dipinto tra il ‘18 e il ‘19 raffigurante la giovane Elvira, ritratta da Modigliani ben quattro volte, due da vestita e due nuda, conosciuta ed ammirata a Parigi per la sua folgorante bellezza e per il suo caldo temperamento italiano; il ritratto Jeune fille rousse (Jeanne Hébuterne) del 1919, che ritrae la bella Jeanne Hébuterne di tre quarti mentre si rivolge allo spettatore in un atteggiamento pieno di naturalezza ed eleganza e capace di catture l’attenzione con suoi profondi occhi azzurri. Dei disegni si possono ammirare alcune Cariaditi, tra cui la Cariatide (bleue) del 1913. Il disegno appartiene al secondo ciclo che, a differenza del primo - costituito da studi per sculture ispirate all’arte primitiva - non è uno schizzo preparatorio, ma un’opera a sé stante dove la figura femminile è più rotonda e voluttuosa con contorni più sfumati e colorati. Insieme alle opere di Modigliani saranno esposti, inoltre, un centinaio di altri capolavori, anch’essi collezionati da Jonas Netter a partire dal 1915, opere rappresentative della grande École de Paris. Tra queste si possono ammirare
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i dipinti di Chaïm Soutine come L’Escalier rouge à Cagnes, La Folle, L’Homme au chapeau e Autoportrait au rideau, eseguite dal 1917 al 1920, che ben rappresentano la poetica dell’artista e la sua maniera di raffigurare la realtà in modo atemporale e come espressione di tragedia interiore. Nell’Autoritratto, in particolare, Soutine si mette alla prova nel ritrarsi come i grandi artisti del passato, che tanto ammirava, in una posa quasi anonima e con lo sguardo senza rughe ma preoccupato, con le mani fuori dal campo, la cui faccia, con i piani irregolari, emerge da una sciarpa verde; opere di Maurice Utrillo come Place de l’église à Montmagny, Rue Marcadet à Paris, Paysage de Corse, dipinti dove gli spazi sono sereni e dove tutto è calmo e silenzioso, dove nulla traspare dei suoi soggiorni negli ospedali psichiatrici per tentati suicidi legati alla dipendenza dall’alcol; opere di Suzanne Valadon come le Trois nus à la campagne, con donne nude in aperta campagna, tema molto caro a Renoir e a Cézanne oltre che ad Andrè Derain che con Le Grand Bagneuses ha realizzato un’opera considerata uno dei capisaldi dell’arte moderna e dipinti come St.tropez e Portrait d’homme (Jonas Netter) di Moïse Kisling, artista polacco che ci ha lasciato uno dei ritratti più emblematici del collezionista Jonas Netter. Livorno attendeva da un secolo questa mostra. Qui, Amedeo, si era formato artisticamente
studiando i macchiaioli, qui si era ammalato per la prima volta gravemente ed era riuscito miracolosamente a guarire fino alla partenza per Parigi, centro nevralgico della scena e del mercato artistico, dove ebbe modo di esprimere il suo straordinario talento. Nella Ville Lumière, immergendosi nell’avanguardia artistica di allora, Amedeo aveva trovato l’energia necessaria per essere invincibile, come artista, come demiurgo e come detentore di verità e di conoscenza, alla pari dei più grandi del suo tempo. Era quasi riuscito a nascondere a se stesso la malattia, la dipendenza, l’inesorabile destino. La sua cultura, la sua erudizione, il suo talento, il suo fascino e il suo carisma fecero il resto. Ma a Livorno Modigliani restò sempre legato, tanto da tornarci più volte nel corso della sua breve vita. Per il curatore, Marc Restellini, ‘’la mostra è un ritorno a casa, sono felice di questa occasione e ringrazio e mi complimento con tutta l’Amministrazione per il coraggio e la rapidità delle scelte. Non poteva esserci decisione migliore di portare la mostra di Modigliani nella sua città nel centenario della morte. Qui a Livorno Amedeo Modigliani ha sviluppato la sua capacità creativa e lo spiritualismo ebraico e qui a Livorno mi auguro che la storia, e non solo il mercato, possano approfittare di questa meravigliosa opportunità per dargli la giusta posizione nella storia dell’arte occidentale’’. ▣
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Giornata internazionale Onu con attenzione allo sviluppo sostenibile A livello globale una donna su tre è impiegata nel settore agricolo, oltre il 40% della forza lavoro nei Paesi in via di sviluppo. a cura Gladys Torres Urday su nota stampa CIA – Agricoltori Italiani
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Sono una forza potente che può guidare il progresso globale. Le prime ad adottare nuove tecniche agricole, le prime a reagire nelle crisi e le prime imprenditrici di energia verde”. A sottilineare il valore assoluto delle donne rurali è oggi il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres, in occasione della Giornata
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mondiale dedicata. Con le parole di Guterres, l’Onu invita quest’anno tutti i Paesi, soprattutto quelli in via di sviluppo, a guardare alle donne e alle ragazze rurali per promuovere il progresso delle società e a rilanciare le loro capacità per resistere ai cambiamenti del clima. Sono tantissime le donne rurali, oltre un quarto della
popolazione mondiale, ma contano pochissimo - chiosa Guterres. A livello globale, una donna su tre è impiegata nel settore agricolo, oltre il 40% della forza lavoro nei Paesi in via di sviluppo: coltivano i campi, lavorano i prodotti, pompano l’acqua dai pozzi dove manca la rete idrica, cucinano, badano alle faccende domestiche, si occupano della prole e
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dell’intera famiglia, sono di riferimento per l’intera comunità rurale e sono in prima linea quando le risorse naturali e l’agricoltura sono minacciate da eventi di ogni genere. Ma il loro potere decisionale è minimo o nullo. “Le donne rurali ammonisce Guterres rappresentano la spina dorsale di molte comunità, ma continuano ad affrontare ostacoli che impediscono loro di realizzare il proprio potenziale”. Servono però riforme politiche, investimenti economici ma anche cambiamenti culturali per sostenere le donne rurali in questa difficile missione. Le donne rurali vivono peggiori condizioni familiari e lavorative rispetto agli uomini, non hanno pari opportunità, sono maggiormente sottopagate
o non retribuite, quindi più povere, meno istruite. Sovente non hanno diritti alla proprietà, tanto che meno del 13% dei proprietari di terreni agricoli è una donna, e lamentano grandi difficoltà di accedere al credito e di contrattare i prodotti agricoli sui mercati. “Il cambiamento climatico osserva ancora il segretario generale dell’Onu - aggrava queste disuguaglianze, lasciando le donne e le ragazze delle zone rurali più indietro. Un quarto dei danni e delle perdite totali derivanti dai disastri climatici tra il 2006 e il 2016 è stato subito dal settore agricolo dei Paesi in via di sviluppo, e le donne sono state colpite in misura sproporzionata in tali disastri”. “Allo stesso tempo, le donne delle zone rurali ricorda Guterres - sono N E W S DAL M ONDO
depositarie di conoscenze e competenze che possono aiutare le comunità e le società ad adattarsi alle conseguenze dei cambiamenti climatici attraverso soluzioni basate sulla natura e a basse emissioni di carbonio. In quanto agricoltrici e produttrici, esse svolgono un ruolo centrale nell’abbracciare pratiche sia tradizionali che moderne per rispondere alla variabilità climatica e a shock come siccità, ondate di calore e precipitazioni estreme. Ascoltare le donne delle zone rurali e amplificare le loro voci - conclude il segretario generale dell’Onu - è fondamentale per diffondere le conoscenze sui cambiamenti climatici e per esortare i governi, le imprese e i leader delle comunità ad agire”. ▣
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