ASA Magazine Anno 2 – Numero 4 – Marzo 2018 – Rivista bimestrale
LA RIVISTA DELL’ ASSOCIAZIONE STAMPA AGROALIMENTARE ITALIANA Registrazione Tribunale Lg. 48/1948 – Tutti i diritti riservati – Dir. Resp. Roberto Rabachino
Approfondimento Intervista al Capo del Dipartimento Ispettorato Centrale della Tutela della Qualità e Repressione Frodi Stefano Vaccari dirige ICQRF - Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, uno dei maggiori organismi europei di controllo dell’agroalimentare
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’Associazione Stampa Agroalimentare Italiana è la casa di tutti quei comunicatori che operano nel variegato mondo dell’agroalimentare e non solo. Non sindacale, libera e apolitica, ASA raggruppa tutti quei professionisti della comunicazione di settore che si riconoscono in questi fondanti valori. Formatasi nel 1992 e registrata legalmente nel 1993 con sede a Milano, è uno dei sodalizi più conosciuti e riconosciuti a livello nazionale ed internazionale. I suoi iscritti collaborano giornalmente in più di 600 testate giornalistiche nazionali e internazionali, in trasmissioni televisive, in blog e siti internet, negli uffici stampa e di promozione turistica del territorio, negli Enti di tutela del comparto agroalimentare. ASA è particolarmente sensibile a tutto il mondo del biologico con una redazione specifica dedicata all’argomento.
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’Associazione Stampa Agroalimentare Italiana è uno strumento di raccordo e di sintesi, di stimolo e di supporto, di analisi e di costruttiva critica. La nostra mission è offrire supporto e collaborazione a tutti quei giornalisti e/o operatori dell’informazione che hanno nella serietà, nella moralità, nella sensibilità, nel rispetto e della deontologia professionale, le loro principali caratteristiche. Iniziative, progetti, eventi collegati ai nostri associati troveranno il giusto spazio all’interno del nostro sito, nei nostri social, nella nostra rivista e nella nostra newsletter inviata settimanalmente a più di 30.000 iscritti. Sensibile alle tematiche legate alla professionalità degli operatori della comunicazione di settore, ASA è anche uno strumento di formazione per i propri iscritti con un programma di corsi specialistici a loro dedicati in forma gratuita.
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ASA MAGAZINE n. 4 / 2018 – Marzo 2018 – Rivista Bimestrale Registrazione Tribunale Lg. 48/1948 Direttore Responsabile N. 4 / MARZO 2018 Rivista Bimestrale
Roberto Rabachino C.so Galileo Ferraris, 138 - 10129 Torino Tel. +39 011 5096123 - Fax +39 011 5087004 direttore.asamagazine@asa-press.com
Redazione Centrale e Editing
Enza Bettelli C.so Galileo Ferraris, 138 - 10129 Torino Tel. +39 011 5096123 - Fax +39 011 5087004 redazione.asamagazine@asa-press.com bettelli@asa-press.com
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Comitato di Redazione e Controllo
Roberto Rabachino, Giorgio Colli, Patrizia Rognoni, Riccardo Lagorio e Saverio Scarpino
Hanno collaborato a questo numero
Alice Lupi, Marcello Masi, Paolo Alciati, Redazione Centrale ASA Magazine, Enza Bettelli, Giorgio Colli, Roberto Rabachino, Silvana Delfuoco, Jimmy Pessina, Carmen Guerriero, Franca Dell’Arciprete Scotti, Carlo Ravanello, Giovanna Turchi Vismara, Gianna Bozzali, Nicoletta Curradi
Per la fotografia
Jimmy Pessina, Carmen Guerriero, Serge Gelabert Rechte, Comité Martiniquais du Tourisme, Sebastien Conejero, Luc Perrot, Stephane Godin e Ludovic Ismael e immagini di Redazione
Sommario EDITORIALE Il biologico in vigna tiene, Italia leader mondiale a cura di Roberto Rabachino, Presidente Nazionale ASA
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APPROFONDIMENTO Intervista a Stefano Vaccari, Capo del Dipartimento Ispettorato Centrale della Tutela della Qualità e Repressione Frodi dei prodotti agroalimentari di Alice Lupi
L’erba del vicino? di Marcello Masi
Intervista a Stefano Zanette, presidente del Consorzio della DOC del Prosecco a cura di Paolo Alciati
Intervista a Carlos Veloso dos Santos, a.d. di Amorim Cork Italia di Paolo Alciati
Intervista al Presidente Associazione Italiana Sommelier Antonello Maietta a cura di Redazione Centrale ASA Magazine
Intervista a Donatella Cinelli Colombini, Presidente Nazionale Le Donne del Vino di Alice Lupi
Intervista a Stefano Zani, Direttore Generale SogeMI Spa, Società per l’Impianto e l’Esercizio dei Mercati Annonari all’Ingrosso di Milano di Enza Bettelli
La grappa, forse un risveglio? di Giorgio Colli
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BIO Sempre più “Bio” sulla tavola degli italiani: 60mila le aziende certificate a cura di Roberto Rabachino
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TURISMO NAZIONALE Lo sapevate? C’è una vigna a Torino di Silvana Delfuoco
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Turismo d’inverno in un Salento ricco di risorse come Carpignano Salentino di Jimmy Pessina
Monti Dauni, l’altro volto di una Puglia in attesa di Carmen Guerriero
Cucina principesca e tradizioni popolari: dai banchetti dei Gonzaga alla “bigolada” di Castel d’Ario di Franca Dell’Arciprete Scotti
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Trieste, la città dove il caffè è un rito
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Aprica, una montagna di emozioni
di Jimmy Pessina
di Carmen Guerriero
TURISMO INTERNAZIONALE
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L’Etiopia del Sud: popoli primitivi del fiume Omo
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Ambrosia al centro dell’Atlantico
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di Jimmy Pessina
di Carlo Ravanello
Francia: Rhône-Alpes, Alta Savoia non solo sci e alpinismo di Jimmy Pessina
Tre Oceani per le magiche località della Francia d’Oltremare di Giovanna Turchi Vismara
AGROALIMENTARE NAZIONALE
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Cerasuolo di Vittoria, una storia antica che si rinnova ogni vendemmia di Gianna Bozzali
Erbe spontanee, una piacevole riscoperta sulle tavole pugliesi di Nicoletta Curradi
AGROALIMENTARE INTERNAZIONALE
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Uova di Pasqua, il dolce must della primavera di Enza Bettelli
Il biologico in vigna tiene, Italia leader mondiale In controtendenza al crollo generale della produzione di vino in Italia, nel 2017 tiene solo quello biologico.
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on oltre 103mila ettari coltivati l’ltalia conquista la leadership mondiale per incidenza delle vigne biologiche sul totale per effetto di una crescita vertiginosa spinta dall’aumento straordinario della domanda con le vendite, che in Italia sono state pari a 275 milioni di euro (+34%), e le esportazioni che hanno raggiunto i 192 milioni di euro (+ 40%) nel 2016, secondo Nomisma. Si tratta di un altro capitolo della decisa svolta qualitativa che ha permesso all’Italia di cogliere le nuove opportunità che vengono dal mercato e di conquistare i vertici mondiali. Se per effetto delle condizioni climatiche anomale quest’anno, complessivamente, la vendemmia potrebbe essere al minimo storico
nazionale degli ultimi 50 anni, vola infatti la domanda del vino italiano all’estero che, per effetto di un aumento del 6% in valore nei primi cinque mesi dell’anno, fa registrare il record storico rispetto allo scorso anno quando erano stati raggiunti su base annuale i 5,6 miliardi di euro. La vendemmia del 2017, che per effetto del caldo e della siccità si classifica anche come la più precoce dell’ultimo decennio con un anticipo di circa dieci giorni rispetto allo scorso anno, è dunque in forte calo per il bizzarro andamento climatico con un inverno asciutto e più mite, un precoce germogliamento della vite che ha favorito danni da gelate tardive, ma anche siccità persistente e episodi localizzati di grandinate. Si mantiene comunque il primato produttivo mondiale davanti alla Francia dove le prime stime per il 2017 danno una produzione in forte calo sul 2016, per un totale stimato attualmente tra i 36-37 milioni di ettolitri a causa delle gelate tardive. E non va meglio neanche in Spagna dove a ridurre la produzione, oltre ad alcune zone colpite dalle gelate tardive, è la siccità che sta mettendo a dura prova i viticoltori. Dal punto di vista qualitativo, se non ci saranno sconvolgimenti, si prevede che la produzione made in Italy sarà destinata per oltre il 40 per cento ai 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc) e ai 73 vini a denominazione di origine controllata e garantita (Docg), il 30 per cento ai 118 vini a indicazione geografica tipica (Igt) riconosciuti in Italia e il restante 30 per cento a vini da tavola. Dalla vendemmia in Italia si attiva un motore economico che genera oltre 10,5 miliardi di fatturato solo dalla vendita del vino e che da opportunità di lavoro nella filiera a 1,3 milioni di persone. La ricaduta occupazionale riguarda sia le persone impegnate direttamente in vigne, cantine e nella distribuzione commerciale, sia quelle impiegate in attività connesse e di servizio. Secondo una ricerca di Coldiretti, per ogni grappolo di uva raccolta si attivano ben diciotto settori di lavoro dall’industria di trasformazione al commercio, dal vetro per bicchieri e bottiglie alla lavorazione del sughero per tappi, continuando con trasporti, accessori, enoturismo, cosmetica, bioenergie e molto altro. Fonte dati Nomisma e Coldiretti
Intervista a Stefano Vaccari, Capo del Dipartimento Ispettorato Centrale della Tutela della Qualità e Repressione Frodi dei prodotti agroalimentari Il Dipartimento dell’Ispettorato Centrale della Tutela della Qualità e Repressione Frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF) del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali è uno dei maggiori organismi europei di controllo dell’agroalimentare. E’ presente su tutto il territorio nazionale con 29 uffici ispettivi. I controlli riguardano gli aspetti merceologici e qualitativi dei prodotti agroalimentari e hanno lo scopo di tutelare il consumatore e salvaguardare la leale concorrenza tra gli operatori. di Alice Lupi
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ei è il Capo del Dipartimento dell’Ispettorato Centrale della Tutela della Qualità e Repressione Frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF) presso il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, può spiegarci come avvengono i controlli per tutelare
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questo settore? L’ICQRF è la principale Autorità di controllo dell’agroalimentare italiano e una delle maggiori a livello mondiale con 700 persone in servizio e 6 laboratori di analisi, tutti accreditati dall’UE, che assicurano un contributo fondamentale alla tutela della qualità dei
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prodotti italiani nel mondo. Qualche numero: nel 2017 abbiamo effettuato oltre 53mila controlli e sequestrato prodotti alimentari per un valore di più di 103 milioni di euro. Lavoriamo sia nella filiera che sul web dove siamo gli unici ad avere accordi e collaborazioni con le grandi piattaforme di commercio elettronico,
come eBay e Alibaba, per rimuovere i falsi prodotti italiani di qualità certificata dagli scaffali virtuali. Oltre 2.200 gli interventi effettuati in tal senso. Un lavoro intenso, quotidiano, per garantire la tutela delle produzioni nazionali, attraverso la verifica del rispetto delle norme, della tracciabilità e dell’effettiva origine delle materie prime, e la trasparenza e sicurezza ai consumatori. Molto spesso, non solo i media ma anche i consumatori, utilizzano parole come frode, contraffazione, sofisticazione, adulterazione come fossero sinonimi. Ravvede tecnicamente una confusione nell’uso terminologico? Senza entrare nei tecnicismi
della materia, possiamo subito chiarire che le frodi alimentari vengono classificate a seconda degli effetti che queste hanno sulla composizione e/o sugli aspetti esteriori dell’alimento. Per adulterazione intendiamo quindi la variazione volontaria della naturale composizione dell’alimento senza peraltro effettuare aggiunta di altre sostanze (ad esempio latte scremato e/o parzialmente scremato venduto come latte intero). L’alterazione consiste invece in un fenomeno solitamente accidentale che modifica la composizione chimica e organolettica di un alimento (vino acescente, irrancidimento degli oli, ecc.). La sofisticazione è la modifica volontaria della composizione naturale o legale di un alimento mediante l’aggiunta di una sostanza estranea (ad esempio l’aggiunta di olio di semi agli oli di oliva AP P ROF ONDI M E NT O
o l’aggiunta di saccarosio al vino). Infine, per contraffazione intendiamo la sostituzione di un alimento con un altro di minor pregio e con caratteristiche macroscopiche molto affini (vino generico con vino ottenuto da uve da tavola o margarina spacciata per burro). Olio d’oliva, formaggi, vino, salumi e anche acqua minerale. C’è un prodotto alimentare che si sottrae alla contraffazione? Le frodi vengono realizzate dove c’è convenienza economica. Il nostro sistema di controlli tuttavia è un esempio a livello mondiale, una garanzia per i consumatori, che ovviamente possono contribuire attraverso le loro segnalazioni. Più siamo informati e preparati nel
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conoscere quanto è scritto in etichetta, soprattutto in termini di tracciabilità e origine dei prodotti e delle materie prime che li compongono, più limitiamo le “aree grigie” di acquisto dove qualche volta possono esserci dei comportamenti fraudolenti. Le Indicazioni Geografiche e le Denominazioni di Origine agroalimentari sono soggette a disciplina comunitaria e nazionale, nonostante ciò sono ancora terreno per azioni di frode come l’agropirateria. Come ci si difende? L’utilizzo di nomi simili a quelli protetti, spesso utilizzati per le nostre maggiori produzioni come il Parmigiano reggiano o il Prosecco, è una pratica commerciale sleale molto pericolosa in quanto sottrae valore ai nostri prodotti. L’italian sounding rientra in questa casistica. In molti Paesi queste pratiche non sono punite e qui è necessario intervenire attraverso complessi sistemi di protezione giuridica. Ma in questo dobbiamo dire che l’Italia è all’avanguardia. Diverso è il caso delle frodi con rilevanza penale, dove un prodotto viene realmente falsificato. Tuttavia sono casi più limitati grazie sia al nostro sistema di controlli che
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all’azione dei singoli Consorzi di tutela.
possono essere per voi un valido supporto?
Aumentare la conoscenza e la consapevolezza dei consumatori, anche in relazione ai valori immateriali del cibo, è importantissimo. La filiera enogastronomica rappresenta, a pieno titolo, una sfera del patrimonio È un documento strategico culturale, così come la che ha l’obiettivo di base solida, fatta per lo riconoscere il valore delle più di piccole e medie Indicazioni Geografiche in ambito agricolo, ambientale e imprese agroalimentari, di commerciale. Ribadisce come un modello economico che ha effetti diretti anche sulla i prodotti IG costituiscano qualità sociale e sulla tutela un modo di intendere lo del paesaggio e dell’ambiente rurale. Ne sono la prova tangibile i riconoscimenti dell’Unesco che, oltre alla dieta mediterranea, ha recentemente inserito i vigneti che caratterizzano sviluppo, non solo un metodo il paesaggio delle Langhe, Roero e Monferrato così di produzione. Rafforzare come la pratica agricola questa visione strategica della vite ad alberello di è già di per sé un potente Pantelleria. I giornalisti strumento antifrode perché possono fornire un prezioso nei valori delle IG ci sono contributo raccontando anche l’etica produttiva e i luoghi, i prodotti e gli il rispetto di chi produce, effetti sociali del patrimonio valori incompatibili con le enogastronomico, quei valori frodi. La Dichiarazione di immateriali racchiusi nei cibi. Bergamo rafforza quindi la Così come è certamente nostra azione di tutela delle positivo raccontare il reale denominazioni, già attuata funzionamento del sistema di attraverso gli accordi con le controllo e di vigilanza delle piattaforme di e-commerce. produzioni. ▣ In che modo i giornalisti del settore agroalimentare Lo scorso ottobre è stata firmata la Dichiarazione di Bergamo. Ritenete possa essere uno strumento efficace contro questo genere di reati?
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L’ERBA DEL VICINO? Miracolo, la nostra erba sta diventando più verde di quella del vicino! di Marcello Masi – Conduttore Linea Verde RAI1
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errebbe da dire così registrando il moltiplicarsi degli investimenti fatti nei nostri vigneti da uomini di spettacolo famosi e famosissimi di ogni nazione europea. Depardieu, Sting, Carol Bouquet, solo per citarne qualcuno, producono vino in Italia e ne vanno giustamente fieri. La
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nostra terra sta diventando nell’immaginario dei più creativi una fonte di impegno e di guadagno. Non solo gli stranieri, naturalmente, anche molti personaggi italiani di successo nello sport e nello spettacolo hanno scoperto il piacere di produrre proprie etichette. Il fenomeno non è nuovo, ma in questi ultimi anni conosce
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un vero e proprio boom. C’è da esserne contenti. E sicuramente per queste star comunicare con un nome scintillante alle spalle un buon vino può anche rivelarsi un’operazione commerciale intelligente e positiva. D’altra parte la crisi economica che ha colpito soprattutto i prodotti finanziari ha aperto una seria riflessione tra investitori ed economisti.
Oggi si riscoprono sicurezze antiche che sono fatte di materia. E cosa c’è di più concreto della stessa terra? Ma non è di questo che voglio parlarvi. Vorrei invece dire un
bravo assoluto ai tanti che in questi anni di guadagni a buon mercato e senza sudore hanno continuato a credere nella fatica e nella propria cantina. E nonostante il canto costante delle sirene, hanno tenuto duro investendo testardamente sul miglioramento della vigna, sulla qualità dell’uva e del vino. Vorrei dire bravo a quei produttori che nonostante le cose non andassero a gonfie vele hanno scommesso sul lavoro, hanno mandato i figli a studiare per garantire continuità e maggiori conoscenze. Sono loro il successo del made in Italy. Solo grazie a loro reggiamo botta a livello internazionale e non solo non piangiamo, ma possiamo anche sorridere. Aumentare il valore delle esportazioni non è cosa da poco. Abbiamo a che fare con eroi moderni. Gente che
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si sveglia alle 4 e mezza per andare nei campi e che, se non bastasse, gira il mondo a promuovere e vendere. Molte volte in perfetta solitudine contro tutto e contro tutti. Qualcuno è diventato ricco, la maggioranza riesce a vivere con dignità. Tutti però sono accomunati dall’orgoglio di fare una cosa giusta. Questa è l’Italia che amo, questi sono gli Italiani che ammiro e che stimo. E su questo non esistono distinzioni tra Nord e Sud. Il lavoro che paga è uguale dappertutto. In Piemonte come in Sicilia, Toscana, Veneto, Lazio, come in Lombardia e in tutte le altre Regioni. Tantissimi in questi anni non hanno mollato e oggi ci danno motivo di vanto mondiale. E’ grazie a loro che la nostra erba è sempre più verde. ▣
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Intervista a Stefano Zanette, presidente del Consorzio della DOC del Prosecco Quando si tratta di governare una nave che danza in un mare da mezzo miliardo di bottiglie, al timone ci vuole un comandante capace di evitare le secche e gli scogli. a cura di Paolo Alciati
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tefano Zanette è il presidente della DOC del Prosecco, una denominazione in continua espansione. Quest’anno gli ettari complessivamente coltivabili sono 24.450, una estensione da 1.200 proporzionale tra il Veneto (978 ettari) e il Friuli Venezia Giulia (222 ettari). Un ulteriore salto in avanti chiesto dai mercati mondiali, che hanno sempre più fame di bollicine: sulla base di analisi elaborate da
enti come Nomisma, Cirve e Oiv, è stimata una crescita del settore spumanti a livello mondiale pari ad almeno il 7% annuo per il prossimo triennio. Sulla scorta di questa prospettiva il Consorzio sta operando al fine di garantire uno sviluppo ordinato del sistema viticolo destinato alla produzione di Prosecco DOC. Uno sviluppo che tenga conto delle esigenze del mercato ma che risponda alle aspettative della popolazioni locali che anelano ad una AP P ROF O NDI M E NT O
preservazione del territorio. In questo senso particolarmente apprezzate sono state le scelte operate dal Consorzio che ha privilegiato le aziende biologiche, a regime di produzione integrata certificata e quelle disposte ad incrementare la biodiversità dei terreni mediante l’impianto di siepi e boschetti. Tali soluzioni tendono a rispondere alle attese dei residenti nelle province coinvolte nella DOC Prosecco, per la verità solo una fascia decisamente ridotta della popolazione vede nella viticultura non la bellezza e la tessitura dell’ambiente da parte dell’uomo ma un pericolo: stando ad un sondaggio Swg, circa tre cittadini ogni cento temono lo sviluppo mondiale del Prosecco. Una delle chiavi di interpretazione di questo sentimento è la paura “ecologica”. A causa di
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molta cattiva informazione, infatti, sono giunte accuse, peraltro prive di ogni fondamento, ai viticoltori delle nove province sulle quali insiste la denominazione. Presidente, la tensione sociale attorno al Prosecco inizia a sentirsi tra comitati che protestano e servizi giornalistici impostati all’attacco. Cosa sta facendo la DOC per muoversi verso la sostenibilità? “Contiamo di giungere nel più breve tempo possibile ad una certificazione che attesti la sostenibilità della nostra denominazione. Ciò avverrà mediante un sistema di gestione che non si limiti alle buone pratiche agricole, comprendendo anche il
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biologico e la lotta integrata, ma includa anche le buone pratiche socio-economiche. Si tratta di un modello capace di favorire il confronto con le comunità locali, al fine di promuovere e far meglio comprendere l’importanza delle operazioni di sostenibilità, adottate in un’ottica di miglioramento continuo”. In particolare, c’è un grande discussione attorno a Glifosate, Folpet e Mancozeb, tre molecole che si usano comunemente in viticoltura. Voi state lottando contro il loro utilizzo, come? “Nell’aprile 2017 abbiamo deciso una svolta storica, andando ad approvare in Assemblea una modifica del
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disciplinare di produzione che consenta l’integrazione delle norme per la viticoltura con misure tese ad eliminare quelle sostanze che creano maggiori tensioni tra la popolazione. Un primo passo era già stato compiuto con il “Vademecum viticolo”, masterplan che supporta le scelte dei produttori nella difesa vite. Da questo strumento erano già state eliminate talune sostanze, sebbene ammesse dalla normativa vigente, fonte di preoccupazione sia per le popolazioni residenti che per i consumatori. Per noi, infatti, è una priorità anche la percezione che i residenti hanno del nostro operato. Ma non intendiamo fermarci qui, stiamo infatti lavorando per adottare soluzioni più idonee al raggiungimento
di un obiettivo ancor più ambizioso: una certificazione di sostenibilità territoriale della Denominazione”. Ma in cosa consiste la svolta approvata in Assemblea dei soci? “Che dalle “buone prassi” si
passa agli impegni cogenti mediante il divieto di utilizzo di questi principi attivi. Una volta concluso l’iter di modifica del disciplinare tutti i produttori della nostra Denominazione non potranno più impiegare in vigneto le sostanze che lei ha citato. Una scelta coraggiosa, quella AP P ROF O NDI M E NT O
decisa dall’assemblea dei soci, che ci pone ai vertici mondiali nella battaglia per la sostenibilità. Come ho avuto modo di spiegare ai nostri soci, questa è una scelta che potremmo definire di responsabilità sociale, che non ha nulla a che vedere con le valutazioni
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scientifiche, di competenza d’altri enti. La scienza c’è invece stata di conforto nell’assicurare che, anche senza queste sostanze, è possibile fare una viticoltura di qualità. Mi appello ora al senso di responsabilità di ciascuno, è un passaggio difficile che io per primo ho voluto sperimentare nella mia azienda in modo da sapere con chiarezza ciò che avrei chiesto di fare ai produttori iscritti al sistema di controllo certificato della DOC Prosecco”. Il tema della sostenibilità ambientale si confronta anche con un periodo storico di transizione. Infatti, in questi giorni vi state confrontando anche con l’estensione
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della DOC. Che principi chiave ha proposto il Consorzio?
almeno il 5% della superficie oggetto della richiesta, la certificazione SQNPI.”
“D’ora in poi chi vuole coltivare Glera deve anche contribuire alla bellezza del paesaggio. Più siepi, più alberi, maggior biodiversità. Perché la bellezza del territorio di produzione è un ingrediente fondamentale del Prosecco, come del resto di ogni prodotto della terra. Le nuove idoneità a rivendicare Prosecco DOC saranno assegnate, per un massimo di tre ettari ciascuna, alle aziende che otterranno i punteggi più elevanti in ordine a scelte virtuose come: la certificazione biologica, la realizzazione e conservazione di siepi e boschetti, nella misura di
Peraltro, nella battaglia per la biosostenibilità non siete soli. A breve ci sarà il Vinitaly, lo scorso anno avevate presentato anche la collaborazione col biodistretto BioVenezia. Che significato ha questa esperienza?
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“Con Daniele Piccinin, presidente di BioVenezia, abbiamo condiviso alcuni delle sfide che attendono il nostro settore. BioVenezia è un’associazione dove i soci agricoltori, cittadini, operatori turistici, associazioni, università, tecnici agronomici e pubbliche amministrazioni stabiliscono un accordo
per la gestione sostenibile delle risorse locali, partendo dal modello biologico di produzione e consumo. Un ruolo fondamentale sarà riservato al cittadino per il quale si sta elaborando una status di sostenitore attivo nell’associazione”. Va detto che, sebbene si sentano gli echi delle polemiche, il mondo dei professionisti del vino riconosce che la Doc del Prosecco è all’avanguardia nella ricerca della sostenibilità. Come è stato ricevere il premio “Ecofriendly” all’ultimo Merano Wine Festival? “Apprezzo in modo particolare questo riconoscimento perché testimonia il serio impegno del Consorzio a favore della sostenibilità nella sua accezione più ampia. Il Premio Ecofriendly da alcuni anni viene attribuito dalla guida Vinibuoni d’Italia alle aziende vitivinicole virtuose e ai Consorzi che si sono distinti con progetti mirati alla sostenibilità ambientale perché comprendere la tipologia e l’entità dei problemi che riguardano la tutela dell’ambiente, attivare misure per minimizzare l’impatto delle attività imprenditoriali e ridurre i costi socioeconomici di ricaduta, aiuta a promuovere nuove responsabilità verso i consumatori, contribuendo ad
individuare le opportunità per innovare e risparmiare. Di fatto, hanno riconosciuto il nostro impegno per l’implementazione dello standard territoriale “Equalitas” basata sulla visione olistica capace di soddisfare i tre pilastri della sostenibilità: ambientale, sociale ed economica. E questa è la via che vogliamo seguire. Il mare attorno al momento è in tempesta, ma sono sicuro che presto approderemo ad un porto sicuro, con una denominazione nota a livello mondiale non solo per le sue bollicine, ma soprattutto per la sua ecosostenibilità”.
la salvaguardia del territorio come bene primario da tutelare. Questa, infatti, non è legata solo al settore vitivinicolo o al Prosecco, ma riguarda, oltre ai diversi sistemi produttivi, l’intera collettività. Su questi temi interessanti è stato proficuo il confronto condotto con i rappresentanti del Parlamento Europeo, della Commissione Europea e dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale.
Ma non solo. Recentemente avete acceso a Treviso il dibattito internazionale sulla tutela alla presenza dei rappresentanti dei 500 Consorzi e istituzioni che formano parte di “oriGIn”, la rete mondiale delle Indicazioni geografiche. Quali sono le sfide globali delle IG, oggi?
Certamente, in primis bisogna essere in grado di dimostrare la propria credibilità realizzando gli impegni assunti, ma non ci si può sottrarre dal sostenere anche coloro i quali contribuiscono a rendere noto alla gente comune l’importanza degli sforzi compiuti. Per questo motivo, grazie alla collaborazione di Earth Day Italia, nell’ambito della Giornata mondiale dell’ambiente, il Consorzio di tutela del Prosecco DOC ha dato il suo contributo al premio reporter per la Terra 2017, iniziativa tesa a gratificare i giornalisti e i fotografi che maggiormente si sono distinti sui temi dell’ambiente. Per noi è decisivo lavorare anche sul fronte della conoscenza”. ▣
“Come indicato da Claude Vermot-Desroches, presidente del Comitato interprofessionale del Comité e nuovo presidente di oriGIn, le sfide che attendono il mondo delle IG sono rilevanti e vanno dalle problematiche legate alla lotta alla contraffazione, fino alle risposte che siamo chiamati a dare, ciascuno nelle diverse filiere, circa la sostenibilità e AP P ROF O NDI M E NT O
Un impegno concreto, quello del Consorzio, non solo nel fare ma anche nel divulgare.
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Intervista a Carlos Veloso dos Santos
Abbiamo chiesto all’a.d. di Amorim Cork Italia di parlarci del progetto ETICO che da 7 anni recupera e ricicla i tappi usati con un guadagno che viene investito in attività solidali, un circolo virtuoso completo, riconosciuto come il primo d’Italia da Legambiente. di Paolo Alciati
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arlos Veloso dos Santos, in qualità di a.d. di Amorim Cork Italia, quale ritiene sia la chiave del successo nel panorama agroalimentare odierno? In Amorim Cork Italia, azienda leader nel mercato dei tappi in sughero, il segreto del successo ha diverse sfumature. Di sicuro aiuta lo sguardo curioso e l’essere appassionati precursori nel panorama imprenditoriale italiano, che non può prescindere dal valore della competenza. La perfezione per noi significa restituire un’esperienza, anche sensoriale, al cliente e il tappo diventa strumento di tutela e di rito: attraverso l’imbottigliamento prima e la
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AMORIM, UN’INDUSTRIA VERDE Amorim Cork Italia è la filiale italiana del Gruppo Amorim ed è l’azienda leader nel Paese per la vendita di tappi in sughero, che fornisce alle cantine di tutto il panorama nazionale dallo stabilimento di Conegliano, nel cuore dei colli trevigiani. Investimenti costanti nel settore Ricerca e Sviluppo, per assicurare un servizio all’avanguardia ai propri clienti, si aggiungono alla garanzia di benessere sul luogo di lavoro, al servizio di un binomio sempre più stretto fra tecnologia e natura. La ricerca della perfezione sensoriale è l’obiettivo con cui Amorim garantisce da sempre i prodotti più sicuri sul mercato.
stappatura poi. A suggellare il tutto c’è l’approccio sartoriale che Amorim Cork Italia riserva al consumatore, grazie ad un avanzato reparto ricerca e sviluppo, oltre a un contatto costante con i nostri clienti, da cui
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“annusiamo” in anteprima tendenze ed esigenze. Il sughero è e rimane la nostra fonte di ispirazione primaria: così duttile e forte allo stesso tempo, rispettoso del contesto e degli altri elementi con cui entra in
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contatto, ma capace di essere protagonista assoluto: esprime perfettamente la nostra realtà. Il progetto ETICO da oltre 7 anni contribuisce a un futuro migliore, ci spiega in cosa consiste? ETICO è un’iniziativa nata dalla volontà di Amorim Cork Italia di intercettare e recuperare i milioni di tappi in sughero che ogni anno vengono buttati nella spazzatura, per poterli avviare al riciclo. Ha da poco compiuto 7 anni di attività, coinvolgendo ben 35 partner su tutto il territorio nazionale: tra questi enti, istituzioni, aziende e 27 associazioni senza scopo di lucro, a supporto dei loro progetti solidali e formativi a livello capillare in tutta Italia. I tappi in sughero usati, infatti, vengono consegnati ad aziende specializzate nel ricavarne granina per la bioedilizia. Il guadagno che ricevono le associazioni, unito a un contributo spontaneo di Amorim Cork Italia, viene così da loro investito in attività solidali. Un circolo virtuoso completo, in grado di creare una catena di valore ambientale e sociale. Potremmo dire che ETICO insegna a fare impresa “Slow” in un mondo “Fast” grazie a una strategia che si fonda su un concetto di sostenibilità totale: ambientale, economica e sociale. Il percorso è
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sempre stato in continua ascesa: nel solo 2017 sono stati donati circa € 42.000,00 in beneficenza, per un totale di 60 tonnellate di tappi in sughero che troveranno nuova vita. Questi si vanno a sommare a quanto raccolto dal principio, il totale diventerà quindi di circa 290 tonnellate.
Quali applicazioni consente il sughero oltre ai tappi e che destinazione d’uso ha nello specifico quello derivante dal progetto ETICO? Il sughero ha un valore inestimabile anche da riciclato: diverse realtà con cui collaboriamo a livello globale si occupano di riutilizzarlo nel design d’arredamento, oppure per componenti automobilistici e addirittura aeronavali.
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È un materiale sempre più utilizzato anche per realizzare ecoassorbenti anti inquinamento, mentre il potenziale di quello raccolto con il progetto ETICO trova applicazione nella bioedilizia. Il suo essere inarrestabile fonte di vita ha infatti portato alla realizzazione del Corkgran Etico, granina generata dalla frantumazione dei tappi usati raccolti con il progetto e che è valso il riconoscimento allo stesso quale primo circolo virtuoso completo d’Italia ad opera di Legambiente. Un prodotto in sughero 100% naturale, di prima scelta, sicuro per l’uomo, eco-sostenibile ed eco-compatibile, come la nostra filosofia green impone. Garantisce inoltre durata nel tempo e alte performance termiche, risultando l’ideale per interventi di riqualificazione energetica, arrivando ad arricchire l’efficienza energetica delle pareti anche dell’80%! Di recente e in occasione della presentazione della Guida VINIBUONI D’ITALIA avete istituito il premio ETICORK, qual è il suo valore simbolico? Il volto sociale dell’azienda si è arricchito nel 2017 di una strategia “Eticork”: una forma di analisi e riconoscimento dei progetti solidal-enologici che si sono maggiormente distinti sul territorio nazionale per costanza, profondità
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sensibilizzare a una missione nello specifico: cedere ai nostri figli almeno il mondo che abbiamo ereditato dai nostri genitori o, magari, migliorarlo. Quali sono le ambizioni di Amorim Cork Italia per favorire un futuro ancora più ETICO?
di intervento e rilevanza sul territorio, realizzata in collaborazione con l’autorevole guida Vinibuoni d’Italia. Eticork vuole essere un “grazie” da e per l’umanità a chi fa impresa in modo
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virtuoso, con l’augurio che, in futuro, comportamenti simili diventino una nobile abitudine. Scopo finale di questa iniziativa vuole essere quello di creare una viralità positiva nella vita reale, vuole
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Contribuire a un mondo migliore è dovere di tutti. La Natura ci offre un dono inestimabile nel sughero, simbolo di continua rigenerazione. Il tappo è frutto del lavoro dell’uomo ma anche della Natura stessa. Un valore che non può e non deve essere buttato nella spazzatura, è un gioiello da lucidare per farlo brillare nuovamente. Sapere che oltretutto consente tanti progetti solidali, per non parlare della realizzazione di veri e propri sogni, come avviene per certe onlus più strutturate, dovrebbe essere una motivazione in più per sceglierlo da sempre, fin dall’acquisto della bottiglia. Di sicuro il prossimo importante obiettivo che vogliamo raggiungere è allargare le collaborazioni con le istituzioni, per essere sempre più capillari su tutto il territorio nazionale e arrivare a una vera e propria cultura del riciclo, farne una tendenza che possa essere innata nelle nuove generazioni. ▣
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Intervista al Presidente Associazione Italiana Sommelier Antonello Maietta Cultura, paesaggio, storia ed enogastronomia sono ormai argomenti integrati nell’offerta turistica e di conseguenza la figura del sommelier AIS ha ampliato le sue competenze, trasformandosi da semplice esperto di vino in un comunicatore dell’enogastronomia e del territorio. a cura Redazione Centrale ASA Magazine
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ntonello Maietta, Presidente dell’ Associazione Italiana Sommelier, si accinge a concludere il suo secondo mandato. Cosa rappresenta oggi AIS nel mondo della sommellerie? L’AIS con i suoi 40.000 iscritti è la più grande realtà di comunicatori del vino esistente al mondo, rappresenta quindi un punto di riferimento su questa materia, relativamente alla produzione, alla formazione, al consumo, ai rapporti istituzionali e ovviamente all’attività professionale dei sommelier, un aspetto che oggi travalica la figura legata alla ristorazione, coinvolgendo un ambito estremamente più allargato. Si può dunque dire che la figura del sommelier è cambiata in questi anni? Nel corso degli ultimi vent’anni si è registrato un grande cambiamento in tutto il settore: sono cambiati i consumi, si beve meno ma la qualità è cresciuta moltissimo. Il mercato del vino allarga la sua influenza verso settori, come quello turistico, che hanno generato dinamiche economiche nuove e in forte espansione. Cultura, paesaggio, storia ed enogastronomia sono ormai argomenti integrati nell’offerta
turistica e di conseguenza la figura del sommelier AIS ha ampliato le sue competenze, trasformandosi da semplice (si fa per dire) esperto di vino in un comunicatore dell’enogastronomia e del territorio. Una sorta di ambasciatore, pronto a diventare l’anello di congiunzione tra gli utenti e il complesso sistema che vede consumo e vendita quale parte conclusiva di un processo estremamente articolato. AP P ROF O NDI M E NT O
Come si conciliano le esigenze formative di chi si avvicina al mondo del vino per passione o cultura personale con quelle dei professionisti? I molti cambiamenti hanno necessariamente influenzato la didattica AIS, che si è evoluta, adeguandosi alle nuove esigenze. Oggi, più che mai, il diploma di sommelier non rappresenta un traguardo finale, quanto un punto di partenza che,
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grazie a un acquisito bagaglio di informazioni fondamentali, permette l’accesso verso specificità ulteriori. Gli appassionati potranno mettere a frutto le proprie conoscenze affinando i gusti personali o scoprendo nuovi percorsi sensoriali, partecipando agli eventi e alle degustazioni organizzate dalle numerose Delegazioni sparse sul territorio. Chi lo desidera potrà invece proseguire il proprio cammino formativo con successivi livelli di approfondimento, pensati principalmente per i professionisti, fino ai master post-universitari che AIS organizza insieme ai diversi atenei, quali Pisa o Milano. Da questi percorsi emergono professionisti estremamente qualificati, pronti a lavorare non solo nell’ambito della ristorazione ma anche a livello di marketing, distribuzione, export e ovviamente turismo. L’attività di AIS è esclusivamente rivolta all’Italia o anche all’estero? Il ruolo dell’Associazione a livello nazionale è indubbiamente prevalente, ma la scuola AIS gode di un’ottima reputazione anche fuori dai confini nazionali. Sono molte le richieste di sommelier AIS da parte di strutture alberghiere e importanti ristoranti da ogni parte del mondo. Da tempo esistono delegazioni locali
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in molti paesi stranieri che organizzano corsi, eventi e degustazioni. Una delle nazioni dove si è registrato il maggior interesse per i corsi AIS è il Giappone, ma anche in Cina, Gran Bretagna o negli Stati Uniti, per citarne solo alcuni, esistono punti di riferimento AIS strutturati e nuovi ne stanno nascendo. Grazie al rapporto con la Farnesina, da due anni AIS partecipa attivamente alla Settimana della Cucina Italiana nel Mondo, collaborando agli eventi organizzati dalle oltre 100 Ambasciate italiane aderenti e sedendo al tavolo di lavoro del progetto “Sistema Paese”.
convegni e presentazioni che accomunano il patrimonio artistico alla cultura del vino e dell’olio, parti inscindibili dell’identità nazionale. Da questa edizione, grazie alla collaborazione del Ministero dell’Istruzione, saranno previsti incontri tra gli studenti dei licei classici con quelli degli istituti agrari che, con la collaborazione dei sommelier AIS e di esperti di storia dell’arte, potranno condividere un’esperienza formativa trasversale.
Oltre al Ministero degli Esteri, AIS ha rapporti anche con altre istituzioni?
La nostra Associazione è entrata nel suo cinquantatreesimo anno di attività, dunque vanta un passato che ha contribuito fortemente a scrivere la storia della sommellerie. L’intensa e vivace attività attuale conferma un presente in buona salute, con una crescita numerica sia degli iscritti che dei partecipanti ai corsi. Un quadro che induce all’ottimismo per gli anni che verranno, dove immagino un’Associazione Italiana Sommelier sempre più attiva e vicina a produttori e consumatori, impegnata quotidianamente nella divulgazione di quel grande patrimonio culturale rappresentato dal vino, dall’olio e dai suoi territori. ▣
In un programma di comunicazione adeguato al proprio ruolo, l’Associazione Italiana Sommelier ha attivato collaborazioni con diversi dicasteri: MIPAAF, MIBACT e MIUR, oltre al già citato MAECI, rapporti che trovano massima espressione nell’ambito della Giornata Nazionale della Cultura del Vino e dell’Olio, prevista quest’anno il 21 aprile e che vede coinvolte tutte le 22 emanazioni regionali AIS in un evento che gode della media partnership di RAI e TGR. Attraverso il Ministero della Cultura vengono messi a disposizione importanti siti museali dove organizzare
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Come immagina il prossimo futuro di AIS, anche alla luce di quanto costruito fino a oggi?
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Intervista a Donatella Cinelli Colombini, Presidente Nazionale Le Donne del Vino In Italia le donne sono circa la metà degli addetti dell’agricoltura, il 28% delle cantine sono dirette da donne, ma nelle stanze dei bottoni del vino la percentuale femminile scende ancora al 10%. di Alice Lupi
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e Donne del Vino è un’Associazione nazionale, nata nel 1988, che vanta 750 iscritte tra produttrici, vignaiole, ristoratrici, enotecarie, sommelier e giornaliste. Ha l’intento di diffondere la cultura e la conoscenza del vino attraverso la formazione e la valorizzazione del ruolo della donna nel settore vitivinicolo. Alla guida, da dicembre 2015, vi è Donatella Cinelli Colombini, produttrice. Donne e vino, due protagonisti dello spazio sociale. Facendo il punto della situazione, crede che il comparto vitivinicolo viva ancora il problema del genere? Si, anche se non siamo nella situazione dello Sri Lanka dove hanno autorizzato la mescita del vino alle donne solo quest’anno. Vorrei citare un esempio: in Australia erano convinti che le donne avessero raggiunto, nelle cantine, ruoli simili a quelli maschili. Invece, controllando, hanno scoperto che le wine maker donne sono solo il 9%. Nell’isola dei canguri quasi la metà degli studenti di enologia sono donne, quindi dopo la laurea avviene una selezione feroce, molto più dura di quella che colpisce i colleghi uomini. In Italia è più o meno lo stesso, le donne sono circa la metà degli addetti
dell’agricoltura, il 28% delle cantine sono dirette da donne ma poche di loro sono professioniste (cioè non sono mogli o figlie di titolari) e nelle stanze dei bottoni del vino la percentuale femminile scende ancora al 10%.
accrescere le prospettive delle donne nel settore del vino.
L’impegno a diffondere cultura e conoscenza del vino è nelle finalità dell’Associazione, in che modo realizzate questo obiettivo?
Le Donne del Vino sono la più grande associazione femminile del mondo del comparto enologico. Credo sia servita da esempio sia alle associazioni estere sia a quelle italiane di settori simili, come le Donne dell’Olio o le Donne del Riso. La nostra Associazione sta crescendo di circa 50 socie l’anno e chiede un grande impegno partecipativo a tutti i suoi membri. Facciamo tantissime iniziative locali e nazionali. Credo che Le Donne del Vino stiano dando un esempio di dinamismo, creatività, etica e capacità aggregativa di cui tutto il Paese ha bisogno. Nel 2018 faremo azioni in favore dei vigneti storici per salvaguardare il patrimonio viticolo più antico, diffonderemo i corsi sulla disostruzione che salva dal soffocamento da cibo (muoiono circa 50 persone all’anno), creeremo un data base di opportunità formative nelle nostre aziende per le giovani sotto i 30 anni che guardano al vino come un possibile sbocco lavorativo…
Nel corso di 30 anni di attività Le Donne del Vino hanno organizzato
degustazioni, convegni e incontri, viaggi di studio, eventi di charity, corsi di formazione, incoming di delegazioni estere e azioni di comunicazione e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Un lavoro assiduo e coerente che ha favorito la crescita del profilo femminile nell’ambito del vino e della società italiana tutta. In una società che fatica a fare squadra, secondo lei qual è il segreto che ha caratterizzato la longevità dell’Associazione Le Donne del Vino? La consapevolezza che solo stando insieme saremmo riuscite ad AP P ROF O NDI M E NT O
Quest’anno l’Associazione compie 30 anni, facendo un bilancio quali voci evidenzierebbe?
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La passione e l’intuizione sono caratteristiche distintive delle donne. Quale contributo ritiene abbiano dato e continuano a dare in ambito imprenditoriale? Uomini e donne hanno cervelli diversi, che comunicano in modo diverso: lui per obiettivi, lei creando relazioni. Circostanza che può essere trasformata in un punto di forza, in uno stile femminile di vendere il vino che usa meno i contenuti tecnici e più il racconto dei luoghi e delle persone, cioè lo storytelling. Su questo presupposto stiamo organizzando i primi corsi di wine marketing al femminile che hanno preso il via a febbraio e si svolgeranno con master class intensive di un giorno in Veneto, Toscana
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e Puglia. Vino – creatività – lungimiranza contraddistinguono la sua carriera professionale. Penso ad esempio a Cantine Aperte, quale merito incondizionato riconosce all’enoturismo quale propulsore della cultura vitivinicola? Il cibo e il vino sono la seconda motivazione di viaggio verso l’Italia e al primo posto fra le cose apprezzate dai turisti che ritornano dal nostro Paese. Il turismo del vino è importante perché crea un comparto produttivo parallelo al vino dei distretti viticoli, da liquidità alle cantine e crea per loro quasi un “mercato di esportazione” sotto casa. Un turista estero su due riparte con una bottiglia in valigia.
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Oggi ci sono oltre 20.000 cantine italiane aperte al pubblico. Oggi i comunicatori del vino, tra professionisti e autodidatti, sono numerosissimi, prevalentemente fanno uso dei social network. Secondo lei, in questa ipercomunicazione cosa manca e quale rischio fa correre al comparto? Non vedo grandi rischi quanto piuttosto grandi opportunità. Anch’io sono una blogger autodidatta e sono seguita da un numero crescente di follower. E’ bello trasmettere ad altri le proprie competenze e raccontare i luoghi del vino che, per tante persone, sarebbero altrimenti inaccessibili. ▣
Intervista a Stefano Zani, Direttore Generale SogeMI Spa, Società per l’Impianto e l’Esercizio
dei Mercati Annonari all’Ingrosso di Milano Abbiamo chiesto all’avv. Zani di parlarci del progetto, ormai in via di attuazione, relativo al sistema di qualificazione nazionale dei Mercati ortofrutticoli all’ingrosso che prevede l’attribuzione del marchio “Qualità&Sicurezza” agli operatori che aderiranno al progetto. di Enza Bettelli
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ome è nata l’idea del progetto?
L’idea nasce nel 2014 in ottica EXPO 2015: con l’obiettivo di riqualificazione e promozione del mercato all’ingrosso e delle sue peculiarità, SogeMi, il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (MIPAAF) ed Unioncamere, hanno avviato un progetto per un maggiore controllo di tutta la filiera, attraverso l’attribuzione ai propri operatori di uno specifico marchio.
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La progettualità rappresenta il punto di partenza per dar vita ad un’iniziativa di valenza nazionale, volta ad implementare un sistema di qualificazione ad adesione volontaria a disposizione di tutti i mercati nazionali, con un unico marchio di riconoscimento promosso da Unioncamere. Obiettivi: • Fare sistema all’interno del mercato e tra mercati. • Promuovere le attività svolte dagli operatori e dai mercati stessi. • Valorizzare il ruolo del mercato all’ingrosso
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all’interno della filiera agroalimentare. Il 3 agosto 2015, all’interno del Padiglione Italia ad Expo, è stato sottoscritto il protocollo di collaborazione tra Mipaaf, Unioncamere e SogeMi (come capofila della rete d’impresa Italmercati) per lo sviluppo di un sistema di qualificazione dei Mercati ortofrutticoli all’ingrosso nazionali, attraverso la creazione di uno specifico marchio. L’iniziativa prevede la partecipazione al progetto e l’adesione allo schema di certificazione dei mercati aderenti a Italmercati ed
In questa pagina, Stefano Zani, Direttore Generale SogeMI Spa. A pagina 37, Nicola Zaffra, Responsabile del Mercato Ortofrutticolo e Responsabile Qualità e Sicurezza Alimentare di SogeMi SpA.
diffusione a livello nazionale ai mercati aderenti. Entrambe sono rappresentate – insieme ad Unioncamere – nel Comitato di Coordinamento e Garanzia (CCG) del progetto “Qualità&Sicurezza”. E in SogeMi chi è il responsabile di questo progetto?
il coinvolgimento attivo di Fedagromercati. Esiste qualcosa di simile presso altri mercati esteri? No; esistono marchi dei singoli Mercati, anche a livello nazionale (Cuor di CAR – Roma), ma non esiste un progetto di qualificazione che coinvolga i diversi Mercati.
Al progetto partecipano anche Italmercati e Fedagromercati. Qual è il ruolo di ciascuno? L’iniziativa prevede l’adesione allo schema di qualificazione della rete di impresa Italmercati ed il coinvolgimento attivo degli operatori grossisti dei Mercati, Italmercati la AP P ROF O NDI M E NT O
Il dott. Nicola Zaffra, Responsabile del Mercato Ortofrutticolo e Responsabile Qualità e Sicurezza Alimentare di SogeMi SpA. Quando diventerà effettivo il progetto? Sono in programma iniziative per farlo conoscere ai consumatori? Il 6 dicembre 2017 si è tenuto il primo incontro di presentazione agli
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operatori del Mercato di Milano, organizzato da Fedagromercati ed Unioncamere. Si procederà nei prossimi mesi ad individuare operatori del Mercato che intendono sviluppare le attività necessarie per il rilascio ed uso del marchio. MIPAAF si farà garante di attivare iniziative atte alla promozione del marchio mentre Unioncamere, con l’ausilio delle Camere di Commercio locali, Italmercati e Fedagro, si faranno promotori della progettualità favorendone la diffusione sul territorio nazionale. Quali vantaggi immediati per i consumatori? Il progetto prevede la valorizzazioni delle attività svolte dai Mercati, non solamente correlate alla qualità dei prodotti, ma anche a temi come tutela della sicurezza dei lavoratori, il recupero delle eccedenze alimentari e la riduzione degli sprechi, la sostenibilità ambientale, etc. Il consumatore, acquistando prodotti provenienti dai Mercati qualificati, avrà la garanzia che gli operatori partecipanti (ed i mercati) soddisfino i requisiti.
Roma hanno ottenuto la qualificazione nel mese di settembre 2017. Nel 2018 seguiranno gli altri Mercati della rete d’impresa Italmercati.
qualificazione, quella degli operatori, avverrà a partire dal corrente mese di febbraio; ad oggi abbiamo ricevuto un riscontro positivo da parte degli operatori del Mercato.
Per ora Qualità & Sicurezza è limitato al settore ortofrutticolo. E’ prevista una estensione ad altri settori per il futuro?
C’è un disciplinare che gli operatori sono tenuti a rispettare per poter apporre il logo Qualità & Sicurezza?
Non sono esclusi sviluppi in altre filiere/settori, per i centri agroalimentari che dispongono di altre merceologie. All’interno del Mercato di Milano è comunque sempre esistito un severo controllo qualità. Questo nuovo progetto cosa aggiunge? Garanzia che tali attività vengano svolte da un soggetto terzo e riconosciuto (Unioncamere), con il supporto del Ministero (MIPAAF). Definizione di procedure ed obiettivi condivisi , creando aggregazione e sinergie tra le diverse componenti della filiera del mercato (produttori, grossisti e , in una seconda fase, distributori finali) per un efficientamento dell’intera catena distributiva.
Quali altri Mercati italiani hanno aderito a questo progetto?
Essendo a base volontaria, quanti operatori hanno già aderito all’interno del Mercato?
SogeMI ed il CAR di
L’avvio della seconda fase di
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Sono stati redatti e registrati Disciplinare e Regolamento di rilascio ed uso del marchio che prevedono in capo agli operatori del mercato e all’Ente Gestore: 1. un sistema di controllo e verifica (certificato da apposito ente) della tracciabilità , del rispetto delle norme comunitarie, dell’assenza di contaminanti chimici e microbiologici, del corretto utilizzo degli imballaggi e dell’etichettatura; 2. l’applicazione di un sistema di autocontrollo e del relativo piano di campionamento analitico da parte dell’operatore del mercato; 3. l’applicazione di un sistema di procedure relativo a tematiche indicate nel disciplinare; 4. la verifica sui fornitori, attraverso appositi autocontrolli e protocolli di fornitura (che garantiscano la rintracciabilità del prodotto, l’effettuazione di analisi a campione, l’applicazione di sistemi di autocontrollo HACCP ed il possesso delle autorizzazioni necessarie); 5. adesione ad un programma
di verifiche (audit) su base annuale su due livelli: a) audit sul mercato, eseguiti dalla Camera di commercio territorialmente competente direttamente o avvalendosi di un soggetto terzo ed indipendente; b) audit sugli operatori, eseguiti dall’Ente Gestore avvalendosi di un soggetto terzo ed indipendente: viene accertato il soddisfacimento dei requisiti previsti e disciplinati mediante interviste, esami documentali e verifica delle modalità operative impiegate. A chi è delegato il compito di controllare che i prodotti
a cui è stato apposto il logo rispondano ai requisiti richiesti?
devono superare il controllo documentale ed ispettivo annuale.
Il controllo sui Mercati (SogeMI o CAR per esempio) viene effettuato da Unioncamere. I controlli sugli Operatori sono svolti dal Mercato utilizzando una strttura di controllo che prevede la partecipazione della Camera di commercio territorialmente competente e di enti esterni accreditati in grado di assicurare requisiti di terzietà, indipendenza e competenza tecnica. Ai fini del mantenimento della Qualificazione e del Marchio, il Mercato e gli operatori
A che punto è il progetto di riqualificazione dell’area del Mercato dopo l’incontro con il sindaco Sala di fine novembre?
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Il prossimo step è rappresentato dalla Delibera del Consiglio Comunale di Milano che permetterà di chiudere il percorso approvativo, permettendo l’avvio delle procedure di gara per la realizzazione dei nuovi padiglioni del Mercato Ortofrutticolo. ▣
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L A G R A P PA , forse un risveglio? Quest’anno ricorre un anniversario importante ANAG, l’Associazione Nazionale Assaggiatori di Grappa per i quaranta anni dalla fondazione. di Giorgio Colli
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otoriamente negli ultimi anni le vendite e i consumi della grappa hanno subito una contrazione dei volumi. Alcuni mercati, tra cui l’Italia, hanno ridotto i consumi interni e si è abbassato il livello degli anni d’oro corrispondente a oltre 35 milioni di bottiglie. I distillatori si sono mostrati pessimisti su un possibile rilancio e si sono orientati a produrre altre bevande alcoliche che possono consentire una maggiore diversificazione di prodotto, con meno rischi imprenditoriali, puntando
talvolta su bevande alcoliche con trend crescente. Così si sono viste note distillerie di grappa che distillano e vendono anche rum, whisky di varie tipologie, vermouth, ecc. E’ stato pubblicato recentemente il rapporto annuale sulle prospettive dell’agricoltura della Commissione europea che fa il punto sulle tendenze di mercato da oggi al 2030. La prospettiva sembra un rallentamento dei consumi di vino e una diminuzione del consumo dei distillati in generale e dei vini fortificati. In questo quadro non AP P ROF O NDI M E NT O
entusiasmante sono emerse iniziative nel settore che paiono rivitalizzare il mondo della grappa. Per l’occasione si presentano tre eventi favorevoli al consumatore e al buon conoscitore di grappa nel 2018. Vediamoli. Quest’anno ricorre un anniversario importante ANAG, l’Associazione Nazionale Assaggiatori di Grappa per i quaranta anni dalla fondazione. Sono in programma due giorni di studio a Milano il 5 e 6 maggio con convegni e giornate di lavoro, degustazioni e incontri con i distillatori di grappa.
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A pagina 39, Grapperia Nardini. In questa pagina, piccione con scorzanera, battuto di pinoli, uva passa e salsa alla grappa. Sotto, cacio e grappa. In basso, Giorgio Colli durante la conferenza. A pagina 41, Batteria di caldaiette per distillare la grappa.
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Nelle giornate dal 9 al 11 febbraio in Toscana i docenti dei corsi ANAG si sono riuniti per un seminario a tempo pieno: approfondimento e verifica. I docenti delle conferenze provenivano da varie Università con lunga esperienza su specifici aspetti del distillato grappa. Le richieste di partecipazione ai seminari sono state numerose e non tutte accolte. Il programma prevedeva conferenze di aggiornamento sull’ analisi sensoriale, tecniche di distillazione e quattro ore per un approfondimento intorno agli altri distillati. La finalità è stata: sensibilizzare i docenti ANAG alle problematiche e alle peculiarità dei distillati presenti nel mondo. Con scadenza annuale gli assaggiatori di grappa
organizzano il Concorso Alambicco d’Oro, vengono premiate le migliori grappe nelle varie tipologie: giovani, aromatiche, invecchiate, ecc. Per un distillatore vincere con una grappa al Concorso ”Alambicco d’Oro” significa ottenere ottime ricadute pubblicitarie immediate e vendere bene il prodotto. Il terzo importante evento: Hoepli pubblica il volume “Il grande libro della grappa” curato da Cesare Pillon e Giuseppe Vaccarini. Un libro formato strenna scritto sulla grappa con la sua storia soprattutto dagli anni quaranta in poi. Per la storia della grappa degli ultimi secoli i ben noti volumi della Biblioteca internazionale dell’acquavite nella collana voluta da AP P ROF O NDI M E NT O
Alessandro Francoli offrono quanto di meglio esiste in Italia. Ovviamente non mancano i capitoli dedicati alla distillazione, frequenti i cenni alle problematiche fisico-chimiche del processo stesso, con tavole sinottiche che sintetizzano il complesso coacervo delle norme giuridiche del settore. Una parte è dedicata alla problematica specifica della degustazione della grappa, fortemente diversa da quella del vino. Segue un’ampia presentazione dei prodotti delle varie distillerie. Non mancano alcune note sulle grappe che possono essere usate in cucina. Alcune grappe si possono inserire in piatti e specialità della tradizione con abili rivisitazioni utilizzate da cuochi emergenti. ▣
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Sempre più “Bio” sulla tavola degli italiani: 60mila le aziende certificate La certificazione approda nel Registro delle Imprese: più trasparenza per mercato e consumatori. A cura di Roberto Rabachino – Fonte UnionCamere
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iù consumatori attenti a salute e ambiente, più richiesta di prodotti biologici, più aziende che scelgono di produrre in modo più naturale e, da poche settimane, più trasparenza per conoscere meglio un universo in forte espansione. A oggi sono circa 60mila le aziende italiane con certificazione “Bio”, 24mila delle quali (quasi il 40% del totale) accreditate dal sistema di certificazione nazionale solo negli ultimi tre anni. Da inizio anno – a seguito dell’intesa tra ACCREDIA, Unioncamere e InfoCamere - la ‘mappa’ aggiornata degli operatori con certificazione
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Bio è ancora più accessibile grazie all’inserimento delle informazioni nelle visure rilasciate dalle Camere di Commercio. La novità rientra nel processo di continuo miglioramento di qualità, completezza e trasparenza delle informazioni presenti nelle banche dati delle Camere di Commercio, perseguito attraverso l’integrazione di informazioni sulle imprese gestite da altre Pubbliche Amministrazioni.
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a mappa delle imprese “Bio”
A inizio dicembre 2017, le imprese in possesso di una
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certificazione Bio erano 59.461. Per la maggioranza, si tratta di realtà localizzate nel Mezzogiorno (il 55,8%), più del doppio di quelle con sede al Nord (il 23,4%) e quasi tre volte quelle del Centro Italia (il 20,8%). Più della metà (il 56%) delle imprese certificate si concentra in sole cinque regioni con la Sicilia in testa (15,9), seguita dalla Calabria (13,4), dalla Puglia (11,6), dalla Toscana e dall’Emilia Romagna (7,7). I numeri del biologico nel Belpaese raccontano di un settore che si è fortemente trasformato e irrobustito negli ultimi anni, passando da tendenza rivolta a mercati di nicchia a vero e proprio stile di vita per
milioni di consumatori italiani. Al tempo stesso, il biologico sta rivestendo un ruolo sempre più importante come opportunità di rilancio per molte aziende del nostro agroalimentare. Mentre nell’agricoltura tradizionale ogni anno numerose imprese chiudono, cedendo il passo a realtà più grandi e strutturate, il settore del biologico sta andando in controtendenza, a dimostrazione che anche aziende di dimensioni più piccole, grazie all’applicazione dei principi dell’agricoltura biodinamica, possono stare con successo sul mercato. Tornando ai dati, con riferimento BI O
all’attività svolta, l’81% opera direttamente nel settore agricolo e circa il 7% nel commercio. In particolare, le aziende che svolgono esclusivamente produzione Bio sono 44.482 (il 75% dell’universo delle certificate) e di esse una su tre ha sede in due sole regioni del Mezzogiorno: Calabria o Sicilia. Approfondendo l’analisi delle imprese Bio per forma giuridica, l’11% (6.490) è costituito da società di capitale. Di queste, oltre il 90% è una PMI ovvero con un volume d’affari uguale o inferiore ai 50 milioni di euro. Più della metà (il 55,2%) rientra nella definizione di micro impresa (con un fatturato non superiore ai 2 milioni di euro), e la metà ha un capitale sociale inferiore ai 50mila euro.
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os’è la certificazione biologica
In una parola (per giunta ormai abbreviata) si celano significati complessi, qualcosa di più di un nome su un’etichetta e più vicina a una filosofia che ha l’ambizioso obiettivo di tutelare la salute salvaguardando l’ambiente. L’agricoltura biologica sfrutta infatti la naturale fertilità del suolo con lo scopo di rispettarla e favorirla ricorrendo a interventi limitati. Questa particolare tipologia di agricoltura, inoltre, ha
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lo scopo di promuovere la biodiversità ed escludere l’utilizzo di prodotti di sintesi (concimi, diserbanti, anticrittogamici, insetticidi, pesticidi in genere) e di organismi geneticamente modificati (OGM). L’agricoltura biologica è disciplinata a livello comunitario dal Regolamento CE 834/2007 e dai successivi regolamenti di applicazione relativi alla produzione biologica e all’etichettatura per le seguenti categorie di
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prodotti: • Prodotti agricoli vivi o non trasformati; • Prodotti agricoli trasformati destinati a essere usati come alimenti; • Mangimi; • Materiale da propagazione vegetativa e sementi per la coltivazione. La certificazione “Bio” è un attestato che garantisce il rispetto di rigidi requisiti atti a evitare o ridurre la “contaminazione” da parte
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dell’uomo. L’organismo di certificazione di prodotto è responsabile per la verifica della conformità del prodotto ai requisiti fissati per la certificazione, alle norme tecniche volontarie o ad altri riferimenti normativi. La certificazione di prodotto è basata sulla fiducia sullo specifico processo di fabbricazione. Questo assunto implica l’estensione di tale situazione di conformità nel tempo. ▣
Lo sapevate? C’è una vigna a Torino Vigneto secolare, di impianto seicentesco, dalla storia affascinante e comune, perché legata alle vicende e passioni di teste coronate. di Silvana Delfuoco
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a prima a venire in Villa, negli anni ‘20 del XVII secolo, fu Ludovica, sposa quattordicenne di Maurizio di Savoia, figlio di Carlo Emanuele I, che per lei aveva gettato, come si suol dire,
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alle ortiche addirittura una porpora cardinalizia. E poi toccò a Polissena d’Assia, a Elisabetta Teresa di Lorena, a Maria Antonia Ferdinanda di Spagna, e via via alle altre Regine di Casa Savoia, almeno finché Torino rimase capitale del Regno: tutte
accomunate dalla stessa predilezione per la Villa. Era questa, con i suoi giardini e la sua Vigna, appena a due passi dalla città e, soprattutto, dal Palazzo Reale e dalle sue rigide incombenze, il luogo prediletto di villeggiatura. Dove, infatti, se non in Villa,
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ci si poteva rifugiare, lontano dalla noiosa vita di corte e dai tormenti dell’etichetta?
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a Villa e la Vigna: una nuova vita
Ma il tempo che passa non sempre è galantuomo e tanto meno, ahimè, lo sono gli uomini che nel tempo vivono. Compromesse dall’incuria e soffocate sotto il peso di rovi ed erbacce, la Villa e la sua Vigna, nel corso del Novecento, erano arrivate a non essere nemmeno più visibili a chi dalla città decideva di incamminarsi sui sentieri della collina. Un degrado non da poco per un gioiello architettonico
alla cui costruzione avevano collaborato artisti del calibro di Filippo Juvarra. E un danno pressoché irrimediabile a un vigneto che molto avrebbe avuto da raccontare sul passato ampelografico della collina torinese. Ma, come succede nelle favole – e questa un po’
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lo è, visto che si parla di regine e di principesse – è arrivato l’atteso lieto fine. Senza, per altro, l’intervento di una bacchetta magica, ma quello, decisamente più affidabile, dell’umana lungimiranza. Nel 1994 sono iniziati i lavori di restauro, a cura della Sovrintendenza
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per i Beni Culturali e Artistici del Piemonte, che hanno portato alla riapertura al pubblico nel 2007 della Villa e del suo Giardino. E nel frattempo, a partire dal 2004, si è deciso anche per il reimpianto dell’antico vigneto, affidato per la messa in opera all’azienda vitivinicola Balbiano di Andezeno, nei pressi di Chieri.
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l “vino di Torino”
Per la scelta del vitigno da reimpiantare si è proceduto a numerose ricerche storiche e ampelografiche, condotte dall’azienda Balbiano insieme con il professor Vincenzo Gerbi della Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Torino e con la dottoressa Anna Schneider del CNR Torino. Infine la scelta è caduta su di una selezione clonale del Freisa. “Sugli
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antichi vitigni del passato non ci sono notizie attendibili cui sia stato possibile rifarsi - ha detto Franco Balbiano, titolare dell’azienda - quindi abbiamo deciso di dar vita a un vino che fosse tipico delle nostre zone”. E così, dopo la prima vendemmia del 2008, dal 2011 il vigneto di Villa della Regina è stato inserito all’interno dell’area DOC Freisa di Chieri, diventando il cuore della “Strada Reale dei Vini torinesi”, ultima nata dei percorsi dedicati al vino in Piemonte. E si è quindi gemellato con il vigneto urbano “Clos Montmartre” di Parigi e con il vigneto della reggia asburgica di Schönbrunn nei pressi di Vienna. Così Torino, insieme con Parigi e Vienna, è diventata la terza città europea in possesso di un autentico vigneto urbano. In grado ora di offrire agli appassionati, ma anche ai
semplici curiosi, persino l’emozione di un “Brindisi a Corte”. Nel corso del 2018, infatti, su iniziativa della Città Metropolitana di Torino e dell’ATL Turismo Torino e Provincia, verranno organizzate una serie di visite guidate nelle Residenze Sabaude – tra cui ovviamente la Villa della Regina e la sua Vigna – con itinerari tra vigneti e ambienti aulici per scoprire aspetti della vita domestica dei Savoia, degustando vini e prodotti gastronomici del territorio. La visita alla Villa della Regina è prevista per domenica 27 maggio 2018. Ma il territorio sabaudo riserva anche altre sorprese e altri giardini di delizie… ▣ Info: www.residenzereali.it www.vignadellaregina.it www.stradarealevinitorinesi.it
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CONSORZIO TUTELA VINI DELLA MAREMMA TOSCANA
diversificate che incidono profondamente sulle caratteristiche della
Il Consorzio Tutela Vini della Maremma Toscana nasce nel 2014
Attraverso la partecipazione a manifestazioni internazionali o la
dopo il conferimento della DOC con l’obiettivo di promuovere la qualità dei suoi vini e garantire il rispetto delle norme di produzione previste dal disciplinare, dedicandosi, inoltre, alla tutela del marchio
ricca e variegata gamma di vini proposta.
presenza presso sedi istituzionali sia in Italia che all’estero, il Consorzio è inoltre impegnato nella valorizzazione della Denominazione Maremma Toscana e del territorio da cui essa proviene con l’obiettivo
e all’assistenza ai soci sulle normative che regolano il settore.
di far conoscere la peculiare produzione della Maremma Toscana
Oggi il Consorzio conta 269 aziende associate, di cui 193 viticoltori
risalgono ai tempi degli Etruschi.
(per la maggior parte conferenti uve a cantine cooperative), 1 imbottigliatore e 75 aziende “verticali” - che vinificano le proprie uve e imbottigliano i propri vini - per un totale di 5,5 milioni di bottiglie
DOC e la storia di questa originale zona vitivinicola, le cui origini
Importanti azioni di incoming destinate a operatori del settore italiani e stranieri, oltre a un ricco programma di eventi, tavole rotonde e
prodotte all’anno.
convegni, permettono al Consorzio di presentare l’eterogenea realtà
Il Consorzio opera nell’intera provincia di Grosseto, una vasta area
storica e culturale, promuovendo al contempo le migliori tecnologie
della Maremma non solo enologica, ma anche turistica, agricola,
nel sud della Toscana che si estende dalle pendici del Monte Amiata e raggiunge la costa maremmana e l’Argentario fino all’isola del Giglio, corrispondente alla zona di produzione della DOC Maremma Toscana, dove sono presenti 8.770 ettari di vigneto. Un’area geografica caratterizzata da condizioni pedoclimatiche molto
nel rispetto della natura. Lo scopo della DOC Maremma Toscana è oggi quello di affascinare e stupire gli amanti del bello e del buono di tutto il mondo, valorizzando le diversità di questo sorprendente territorio e ampliando gli orizzonti del gusto toscano attraverso la varietà e la qualità di questi pregiati vini.
www.consorziovinimaremma.it | info@consorziovinimaremma.it
TURISMO D’INVERNO in un Salento ricco di risorse come Carpignano Salentino Puglia, terra di incontri e culture: dal Salento griko alle Murge e Gravine Arbëresh. Turismo d’esperienza: la raccolta delle olive e la produzione dell’olio extravergine di oliva. Testo e foto di Jimmy Pessina
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l Salento è una terra le cui origini affondano nella notte dei tempi, intrecciandosi con il mito, la leggenda… Le testimonianze dell’antica presenza dell’uomo in
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zona risalgono alla remota preistoria, quando l’Uomo di Neanderthal abitava le grotte che punteggiano il paesaggio, in particolare le cavità naturali del Capo di Leuca, che hanno restituito parti di manufatti
e rudimentali arnesi (punte di lancia, pietre ed ossa levigate). Agli albori della civiltà (Paleolitico) appartengono anche le famose Veneri di Parabita, ritrovate presso una
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grotta dell’omonimo piccolo centro e raffiguranti la Dea Madre. Al Paleolitico appartiene anche un eccezionale monumento, la famosa Grotta dei Cervi di Porto Badisco, il mitico approdo di Enea, con il suo straordinario patrimonio di pitture rupestri dall’arcano significato culturale. Il X millennio a.C. ha rappresentato la svolta per la storia dell’uomo con il passaggio da forme di economia itinerante (caccia e raccolta di frutti spontanei), tipiche del Paleolitico e Mesolitico, verso forme di economia stanziale proprie del Neolitico, grazie alla scoperta dell’agricoltura
e dell’allevamento. Naturalmente rivolta verso la Mezzaluna Fertile, la Puglia fece da tramite per il passaggio anche in Italia da forme di vita nomadi verso insediamenti stanziali. Le tracce del Neolitico nel Salento sono particolarmente notevoli. Da segnalare un eccezionale ritrovamento fatto a Carpignano Salentino, nel 2001, ossia la scoperta di una Sepoltura a Grotticella risalente al Neolitico Finale (III millennio a.C.) recante i resti ossei di ben sei individui e parte del corredo funebre dell’ultimo individuo inumato. Il Salento è la patria del Megalitismo. Il territorio è
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punteggiato dai menhir (dal bretone men - pietra e hir - lunga), enigmatici prismi di pietra detti anche pietrefitte, serviti forse per l’osservazione degli astri e l’interpretazione del cosmo. Moltissimi anche i dolmen (dal bretone taol piatta e men - pietra), misteriosi sistemi di pietre disposte a formare un ambiente a camera, utilizzato per scopi sepolcrali e rituali. Tipiche del Salento sono le specchie (forse dal latino specola, ossia luogo per osservare), incomprensibili cumuli di grosse pietre le cui funzioni non sono state ancora definitivamente
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chiarite, lasciando adito ad interpretazioni fantastiche che le vogliono come luoghi di sepoltura di fantomatici capi tribù o come enormi scrigni di favolosi tesori custoditi dal demonio. Il Salento ha visto nel passato le culture dei Messapi, dei Romani, dei Bizantini, dei Normanni, degli Svevi, di Federico II e degli Angioini. Adesso i Salentini si ritengono un popolo degli ulivi. Donne e uomini, giovani e anziani, contadini e medici, artisti e persone comuni. È nato il popolo degli ulivi, che si ribella all’eradicazione, che si legherà ai tronchi millenari per impedirne la strage. C’è un popolo straordinario senza politici, che si appella
alla propria intelligenza, alla propria passione, che rivendica il possesso della propria terra, che rifiuta la politica dell’emergenza, che sa che non c’è risarcimento possibile per un solo ulivo eradicato, che pretende studi e conoscenza, trasparenza e partecipazione. Che rifiuta qualsiasi intervento distruttivo che cambierà il volto del Salento. «Questa è casa mia, terra mia e lassù è sempre aperta la porta». Vai per ulivi, guardali e toccali. Abbracciane uno in silenzio. Fermati sotto la sua chioma, siediti sulle sue radici. Ascolta la sua storia. Osservalo come farebbe uno scienziato o un poeta, un fotografo, un pittore
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o un giornalista, un contadino e un bambino. Lasciamo la storia e veniamo ai giorni nostri, con il turismo d’esperienza alla scoperta dei capolavori dell’arte bizantina, dal mare alle antiche lingue ancora parlate in Puglia il griko nel Salento e l’arbresh nel Tarantino. Carpignano Salentino ha accolto tra il 18 e il 22 gennaio un gruppo di giornalisti tedeschi e italiani per far scoprire le bellezze sue e del Salento. Questo evento è stato reso possibile, grazie alla lungimiranza del Comune che ha partecipato e vinto un Bando della Regione Puglia, Assessorato alle Industrie Turistiche, per realizzare un
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educational tour, nell’ambito del Programma operativo Regionale FESR-FSE 201420120, Asse VI, Azione 6.8. A progettare l’educational è stata la giornalista Carmen Mancarella, direttrice responsabile della rivista: “Turismo e cultura del Mediterraneo, Spiagge”, che da oltre dieci anni si batte per far conoscere la sua terra. Nel programma è stato possibile scoprire Melpignano, dove ogni anno si celebra la Famosa Notte della Taranta, e Sternatia e dove ancora oggi gli abitanti parlano tra loro
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la lingua grika. E la visita a San Marzano di San Giuseppe, dove resistono le tradizioni arbresh, importate dai coloni albanesi nel 1500 al seguito del grande condottiero Schanderberg. A San Marzano, nel cuore del Primitivo Doc, è stata anche l’occasione per degustare l’eccellente vino Primitivo di Manduria nelle Cantine San Marzano. Fari puntati anche e soprattutto sulla grande tradizione della coltivazione e della produzione dell’olio extravergine di oliva. I giornalisti si sono divertiti a raccogliere le olive con
i produttori e i soci della più grande cooperativa del Salento, la San Giorgio, e al termine hanno partecipato a una degustazione di olio extravergine di oliva. Infine, per chiudere in bellezza, una sosta nel sito archeologico di Roca Vecchia, dove si trova la più bella piscina naturale al mondo, la Poesia, eletta tale dai lettori e dai giornalisti del National Geographic. I giornalisti sono stati ricevuti dall’Assessore Anna Preti di Melendugno e dall’archeologo Niko Scarano che ha svelato le grandi scoperte che stanno emergendo proprio in questi
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giorni dal Sito archeologico di Roca Vecchia, un’antica città ricca e importante, affacciata sul Mediterraneo. Non ha potuto mancare una visita ai faraglioni di Sant’Andrea e Torre dell’Orso. Soddisfatto il sindaco di Carpignano Salentino, Paolo Fiorillo: “Siamo felici di accogliere nella nostra comunità i giornalisti italiani e tedeschi. Grazie al supporto di Carmen Mancarella, perché il nostro territorio ha tutte le carte in regola per attrarre turisti stranieri, essendo ricco di storia, arte e cultura. Infatti, è noto l’amore che i tedeschi nutrono per il turismo culturale. Non dimentichiamo che il professore Rohlfs,
tedesco, è stato il più grande studioso della nostra Cripta, definita la Cappella Sistina dell’Arte Bizantina. Le nostre chiese e santuari sono di una bellezza unica e alcuni con pavimenti in mosaico, dove la nostra scuola è unica. E noi abbiamo veramente tanti gioielli da sfoderare, per attrarre sempre di più i turisti anche in bassa stagione e in pieno inverno”. L’assessore al turismo Lucia Antonazzo, ha voluto sottolineare: “Utilizzando fondi del Mibact, il Comune di Carpignano Salentino ha ulteriormente arricchito la sua offerta turistica e culturale: il nuovo Museo archeologico Musarca, che racconta
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come il nostro borgo fosse abitato sin dalla Preistoria. Nel programma abbiamo poi voluto inserire un momento dedicato alla produzione dell’olio extravergine d’oliva anche per far passare il messaggio che produciamo ancora olio extravergine d’oliva eccellente da ulivi sani e che la xylella non ha intaccato il nostro sistema produttivo, contrariamente a quanto si pensa a livello europeo ed internazionale. Tutte le strutture ricettive, ristoranti compresi, di Carpignano Salentino hanno offerto il meglio della loro accoglienza”. ▣
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MONTI DAUNI, L’altro volto di una Puglia inatte La Puglia è un territorio ideale per quei viaggiatori che cercano l’emozione di una destinazione particolare e di qualità, un viaggio tanto più appassionante quanto più ci si addentra nella sua conoscenza. di Carmen Guerriero
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erba l’emozione di una destinazione inattesa un viaggio nei Monti Dauni, un angolo di Puglia diversa, dove il tempo indugia lento tra ulivi secolari, vigneti, orti, borghi di pietra, siti archeologici, castelli imponenti incastonati, come gemme, in un paesaggio di opulenta bellezza, tra il verde dei boschi e l’azzurro del mare. La Puglia è un territorio ideale per quei viaggiatori che cercano l’emozione di una destinazione particolare e di qualità, un viaggio tanto più appassionante quanto più ci si addentra nella sua conoscenza, per vivere un’esperienza autentica a tutto campo, in tutte le stagioni dell’anno ed in molti modi, da serene passeggiate nei deliziosi dedali di viuzze dei centri storici, alle camminate salutari nei sentieri dei boschi, ai tratturi da percorrere in bici, in moto o a cavallo. E, poi, il calore emozionante della gente! Ovunque è palpabile, reale, sincero, sicuramente un elemento fondamentale per una bella esperienza di viaggio.
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Borghi di Pietra
Bovino. “Bandiera Arancione” dal 2013, si fregia anche della menzione di “Borgo più Bello d’Italia”, con il suo T URI S MO NAZ I ONAL E
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A pagina 56, Sant’Agata di Puglia. In questa pagina, Sant’Agata di Puglia: castello e panorama. In basso, antico frantoio. A pagina 59, panorama e cattedrale di Bovino. A pagina 60, Bovino: B&B Le Pietre del Borgo e il castello. A pagina 61, Troia: Cattedrale, dolce “La Passionata” della pasticceria Casoli e vino “Nero di Troia” della cantina Elda.
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incantevole dedalo di vicoli tortuosi che conservano l’antica armonia urbanistica risalente alla ricostruzione del borgo e delle mura difensive dopo la distruzione longobarda, la Cattedrale ed il Castello Ducale dal fascino squisitamente Medioevale. Ogni anno a marzo si tiene la “Disfida del soffritto di maiale”, evento organizzato dagli enti locali in collaborazione con Slow Food. Delizioso il b&b Le Pietre del Borgo, un’antica dimora storica convertita con attenzione e cura all’ospitalità ed al benessere, con gli ambienti sottostanti, parzialmente incassati nella pietra viva, destinati ad una SpA. Migliorabile la colazione. Sant’Agata di Puglia. Piccolo borgo medievale premiato con la Bandiera Arancione dal Touring Club T URI S MO NAZ I ONAL E
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fu trasformato in residenza ducale e, poi, in una residenza abitativa fino alla metà dell’Ottocento, finché non fu abbandonata. Dal 2000 il castello è di proprietà del Comune. Suggestivo è l’antico frantoio, di proprietà della famiglia Nova dal 1500, ricavato all’interno di una grotta appositamente scavata per contenerlo. Inizialmente, il frantoio era composto da una macina in pietra locale mossa da un asino e da due presse in legno locale, azionate manualmente attraverso l’uso di un monaco (asse in legno a forma di cilindrica mosso da quattro uomini), che schiacciavano le olive e, dunque, provocando la fuoriuscita dell’olio. Rimasto attivo fino al 1927, unico del suo genere, è ancora oggi perfettamente funzionante e, grazie alla Pro Loco di S. Agata di Puglia che nel 1993 lo ha reso agibile, è aperto al pubblico e visitabile.
Italiano, è un unico centro storico che segue l’armonia dei declivi collinari con le tipiche case in pietra, le dimore storiche e i portali decorati dagli stemmi nobiliari, vero e proprio museo diffuso lungo i vicoli del borgo.
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Domina su tutto l’imponente Castello Imperiale, simbolo cittadino, antica roccaforte di controllo militare sulla valle del Calaggio in epoca bizantina e longobarda, poi sotto il dominio normanno, svevo, angioino, aragonese e infine Orsino, sotto cui
Troia, è un affascinante borgo medievale dall’ammaliante origine che si fa risalire all’eroe greco Diomede, nel XII – XI secolo a.C., situato alle pendici del Subappennino Dauno, a ridosso del Tavoliere delle Puglie. Qui si trova una delle più famose Cattedrali di Puglia, quella dedicata alla Vergine Maria Assunta che, con la sua superba architettura, definisce chiaramente l’indissolubile
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legame della storia della città a quella della Chiesa, ben visibile ancora oggi nell’arte dello splendido rosone della Cattedrale, massimo esempio del romanico pugliese, prodigio di arte e tecnica. Il rosone sulla facciata centrale è composto da undici “spicchi” di pietra traforata, quindi asimmetrico, una particolarità che lo rende unico al mondo, anche per il numero degli Apostoli, 11 e non, invece, 12, segno della volontà di escludere “il traditore” Giuda Iscariota. Qui fu celebrato nel 1093 il primo concilio di Troia da Papa Urbano II, il Papa delle crociate. Mutuando la Passione ed i suoi colori purpurei, i coniugi Lucia Casoli e Nicola Mecca, proprietari della Pasticceria Casoli a Troia, hanno creato il loro dolce più famoso, “La Passionata”, una risposta Dauna alla più
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popolare Cassata Siciliana: tre tipi di ricotta, pecora, bufala e mucca, su biscuit mediterraneo, rivestito da marzapane di mandorle di Toritto al vino “Nero di Troia”, che regala le caratteristiche sfumature violacee del vitigno, sintesi delle migliori tradizioni dolciarie apprese dai diversi popoli nel crocevia della transumanza storica. Accanto, il Museo della Cattedrale conserva gli exultet, lunghissime pergamene vergate a mano da abili calligrafi del XII secolo, che rappresentano scene della Bibbia, l’Eden e la resurrezione di Gesù con vivaci colori. Orsara di Puglia, grazioso borgo circondato da un patrimonio naturalistico unico, “Bandiera Arancione” del Touring Club. Il richiamo più forte è quello enogastronomico: cacioricotta, caprino, asparagi, pane di grano duro
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e vini, per cui è stata insignita del marchio di “Cittaslow” da Slow Food. Esempio lampante alla Trattoria Pane e Salute, un piccolo e caratteristico locale che regala un incredibile viaggio nel tempo fra tradizioni
contadine e genuinità, con un forno a paglia in pietra focaia che dal 1526 cuoce il pane per la comunità. Il proprietario del forno Angelo Di Biccari, conosciuto da tutti come Angelo Trilussa, racconta fiero la storia del suo forno,
utilizzato dalle massaie della cittadina che dopo aver preparato e portato l’impasto aspettavano di essere chiamate al forno per ritirare la pagnotta su cui veniva incisa l’iniziale del cognome della famiglia proprietaria. Nell’attiguo locale, la sera si servono pizze, pani e focacce realizzate secondo ricette rurali della tradizione locale, come la pagnotta di pane ripiena di cime di rape e patate. Lucera, la Capitanata, detta Chiave di Puglia per la sua posizione strategica nel territorio, ha origini antichissime, come possono testimoniare i reperti ritrovati che risalgono al neolitico, all’età del bronzo, alla presenza dei Greci, dei Dauni fino all’epoca romana e imperiale, come il bellissimo anfiteatro Augusteo, dall’architettura ancora intatta. Nel medioevo Federico II,
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il “Puer Apuliae”, fece della città una delle roccaforti del suo potere e vi trasferì anche una colonia della popolazione saracena dalla Sicilia, costruendo sul colle più alto, il Monte Albano, il Palatium, imponenti mura e la maestosa Fortezza svevoangioina che ancora oggi domina la città. Dello stesso periodo la duecentesca torretta saracena e la Via alle
Mura nei pressi di Porta Troia. La Basilica Cattedrale, al centro della città, è degli inizi del 300 ed è dedicata a Santa Maria, patrona della città, in splendido stile goticoangioino per celebrare la vittoria degli Angioini sui Saraceni. Accanto alla Basilica, il Caffè Letterario, una pasticceria artigianale che offre ottimi dolci di produzione propria, insieme a cortesia e qualità.
Sempre in piazza, il Palazzo Nobiliare della Famiglia Petrilli (ovvero Biblioteca Comunale) tra i palazzi gentilizi più belli della città, ricco di splendide corti, arredi sontuosi ed affreschi originali, ancora oggi ben conservati. Pietramontecorvino. Qui l’imponenza della torre normanna è ingentilita dalla grazia del borgo, con le
ECCELLENZE ENOGASTRONOMICHE Un viaggio in Puglia non deluderà mai sotto l’aspetto enogastronomico: un paradiso di vino, di olio extravergine, formaggi, funghi “cardoncelli”, ricotta, fiordilatte, cacioricotta, prosciutto e lardo di Faeto, capocollo, soppressata, salsiccia, piatti tradizionali e genuini, dolci e taralli, il meglio della cultura e della tradizione culinaria, qui, del Tavoliere e dei Monti Dauni. Prodotti di eccellenza sono pregiate qualità di grano, come il Senatore Cappelli e l’Armando, i vitigni autoctoni, come il Tuccanese recuperato dalla Cantina di Leonardo Guidacci ed il Nero di Troia, dall’ammaliante mito di Diomede, eroe della guerra di Troia (attuale provincia di Çanakkale, in Turchia) che piantò i primi tralci di vite sulle rive dell’Ofanto, dando origine all’uva di Troia! Prodotto d’eccellenza dei Monti Dauni, il Nero di Troia è un vitigno autoctono a bacca nera e spessa, polpa carnosa e dolce, buona alcolicità, intensa colorazione e straordinari profumi. Ma anche il Rosato, una qualità sempre più richiesta e apprezzata, con i vini dell’Azienda Agricola Masseria Duca d’Ascoli, a Castelluccio dei Sauri (FG), Puglia, i vini della giovane Azienda Agricola
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Elda di Foggia, dell’ing. Marcello Salvatori. Cantina La Marchesa l’Azienda Agricola e Paglione della famiglia Faccilongo, sono aziende di Lucera impegnate nel recupero dei vigneti autoctoni come il “Cacc’e Mmitte”, vino robusto dal profumo intenso, che richiama il tradizionale procedimento per la vinificazione locale di “caccia fuori” dal palmento, col tino a forma di vasca con pareti di mattoni o calcestruzzo che serviva per pigiare e fermentare il mosto, e “metti” nel palmento rimasto vuoto l’uva di un altro proprietario viticultore. Il turismo “parte dai cittadini residenti, dalla loro qualità della vita, dalla capacità di essere felici, dalla loro cura verso la terra che abitano” – ha detto il Presidente fondatore di Slow Food Carlo Petrini. E’ il segreto di questo lembo di terra dei Monti Dauni, cuore verde di Puglia, sintesi del rapporto fra uomo e territorio, capace di regalare emozioni fortissime attraverso l’ineffabile chiave di lettura dei racconti della gente, degli edifici storici, dei muretti a secco, della cultura contadina, delle strette vie dei centri storici, delle tradizioni recuperate, dei sapori e dei profumi autentici, oggi dimenticati.
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case arroccate le une sulle altre, come un presepe, ed il Palazzo Ducale che domina su tutto, imponente e maestoso, dove è possibile, in certi periodi, partecipare alle evocazioni storiche con accompagnamento musicale del gruppo OraFolk, al tiro con l’arco e cene medievali in costume e con piatti a tema, realizzati dalla Scuola di Cucina Castel di Pietra, che ha sede proprio nel Palazzo. A poca distanza dal Palazzo, l’unica sede della Birreria Artigianale Montalto, che produce tre tipologie: abituale, aromatica e particolare, a bassa fermentazione, tipologia Pils. ▣
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A pagina 62, Pietramontecorvino. A pagina 63, Lucera: anfiteatro Augusteo, cattedrale, fortezza Svevo Angioina, mosaico al Museo civico Fiorelli. A pagina 65, al panificio Pane e Salute di Orsara: pancotto con cime di rapa, forme di pane, salsicce con patate e peperoni. In questa pagina, eccellenze gastronomiche, ravioli alla burrata con Canestrato foggiano, birra artigianale Montalto a Pietramontecorvino.
Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese
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#ILTUOFUORIPORTA
Sai che esiste un luogo ricco di natura, emozione, cultura e gastronomia a pochi passi da te? L’Oltrepò Pavese con le sue colline, i fiumi, i borghi storici, le terme, i vini e la buona tavola ti invita per una gita fuori porta o una lunga vacanza. Grazie alle sue strutture ricettive, l’Oltrepò Pavese è il posto ideale per trascorrere meravigliosi momenti con la tua famiglia e i tuoi amici. Lasciati ispirare dai numerosi percorsi che si snodano tra le colline o lungo il Grande Fiume, goditi una passeggiata tra i verdi filari di vite, concediti una piacevole pausa sotto il bersò di un ristorante con i piatti tipici della zona, accompagnati dagli ottimi vini per cui l’Oltrepò è famoso e conosciuto da sempre. E adesso rilassati, sei in Oltrepò Pavese.
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Così vicino, così sorprendente.
Cucina principesca e tradizioni popolari: dai banchetti dei Gonzaga alla “bigolada” di Castel d’Ario Cacce, feste, musica. Al centro la gioia del cibo. di Franca Dell’Arciprete Scotti
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ella corte rinascimentale dei duchi Gonzaga erano celebri i banchetti di Palazzo Te. Alcuni dei quali memorabili, uno offerto all’imperatore Carlo V in visita a Mantova nel 1530 e l’altro alla regina Cristina di Svezia nel 1655. A questo rituale del gusto, a questo spirito conviviale, Mantova ha dedicato una serie di eventi nel corso del 2017, quando era Capitale di Ea(s)t Lombardy, Regione Europea della Gastronomia. A Mantova si arriva per due motivi: il ricco patrimonio artistico culturale e il cibo. In questa città del “buon vivere” si visitano musei e monumenti, si godono
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concerti sul lungolago, teatro, festival letterari, passeggiate sotto i portici, escursioni in motonave sul Mincio, magari al tramonto, e si degustano eccellenti piatti tipici accompagnati da frizzanti vini
Qui è stata presentata la riedizione Skira del volume “La Cucina mantovana di principi e di popolo” scritto nel 1963 da Gino Brunetti, pseudonimo di don Costante Berselli.
E qui si sono svolti il Convegno “La cucina mantovana e l’Europa”, un prelibato banchetto ispirato a piatti e ricette illustrate nel libro, a cura dell’Accademia Gonzaghesca degli Scalchi
bianchi e rossi. Luogo di accoglienza Palazzo Te, uno dei più straordinari esempi di villa rinascimentale suburbana manierista, progettato e decorato da Giulio Romano per Federico II Gonzaga, nel primo 1500, come luogo destinato all’ozio del principe e ai fastosi ricevimenti. AG RO ALI M E N T ARE NAZ I ONAL E
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radici nel Cinquecento, l’età delle raffinatissime signorie italiane di cui i Gonzaga furono tra gli esempi più illustri. Il Banchetto degli dei, raffigurato nella Camera di Amore e Psiche a Palazzo Te, opera di Giulio Romano, è la autorappresentazione più suggestiva dei Gonzaga e dei loro fasti. Proprio in questo periodo si sviluppò non solo la ricchezza delle ricette, ma anche l’arte della presentazione dei piatti, serviti su trionfi preziosi che creavano una vera scenografia della tavola. E nacquero anche i primi volumi dedicati all’arte della cucina, come quello composto nel 1662 da Bartolomeo Stefani, cuoco della corte gonzaghesca che codificò le tradizioni gastronomiche mantovane nell’opera “L’arte di ben cucinare”, presto diffusa presso le corti italiani ed europee. Interessante riscoprire, insieme con le tradizioni e il Festival della Pasticceria tradizionale mantovana. In tavola dolci ottocenteschi e dei primi anni del Novecento ormai introvabili, come il Talismano della Felicità, crocchetta fritta di crema, o la Bocca di Dama, una torta a base di mandorle, o ancora la Torta alla Gabinet, fatta con savoiardi, amaretti e uva Spagna. Si scopre così che la cucina della tradizione alta mantovana affonda le
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della cucina, anche la ricchezza dell’intera filiera enogastronomica. Come l’azienda Genuitaly di Bigarello che produce con il marchio Il Pastaio Mantovano
ottima pasta fresca nei vari formati tipici della tradizione, dai tortelli mantovani alla zucca con amaretti e mostarda, agli agnoli con ripieno di carne.
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O l’azienda agricola Calciolari di San Rocco di Quistello, leader nella produzione della zucca “Capel da pret”, di cui ha conservato e coltivato i semi, o la Cantina Sociale di Quistello, famosa per la produzione di Lambrusco Mantovano DOP dal vitigno Lambrusco Grappello Ruberti, per il Bianco di Quistello frizzante e per il Mosto Cotto da uve Lambrusco. Se la città di Mantova conserva tradizioni principesche, i dintorni tramandano divertenti tradizioni popolari. A Castel d’Ario, ad esempio, si svolge la “Bigolada”. Era il 1848, quando, con un moto di rivolta contro gli Austriaci, sulla piazza del paese di Castel d’Ario nel mantovano, furono distribuiti gratuitamente polenta, aringhe, bigoli con le sardelle (in dialetto: bigoi con le sardèle), vino. Era nata come protesta ed è diventata poi una grande festa, nella quale si riconoscono oggi tutti i cittadini di Castel d’Ario. La Bigolada, oggi, è una grande manifestazione popolare di piazza che si svolge ogni anno, il mercoledì delle Ceneri: a tutti i presenti vengono distribuiti 12/13 quintali di fumanti bigoli con le sarde, cioè gli spaghetti conditi con acciughe e tonno, cotti in grandi paioli proprio nella piazza centrale, mentre l’intero paese fa festa. In contemporanea, infatti,
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sono organizzate mostre, sfilate di maschere e giochi di piazza. Sandro Correzzola ha raccolto la storia e i migliori
aneddoti riguardanti la Bigolada nel volume La Bigolada di Castel d’Ario, edito dall’Editoriale Sometti di Mantova.
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E la Pro Loco di Castel d’Ario, nata nel 1969 per la valorizzazione turistica del paese, attraverso attività culturali e ricreative che possano recare lustro a questa piacevole località, ha creato il progetto La Bigolada, che unisce cultura, storia, tradizione e gastronomia. Nel 1867 la cittadina assunse il nome attuale coniato dal poeta Giosuè Carducci, che, riferendosi al castello di epoca romana, riprese la leggenda secondo la quale il villaggio era stato fondato dal centurione Dario o Ario. Il Castello, uno dei principale castelli recintati medioevali a pianta pentagonale irregolare con una torre ad ogni vertice, presenta la Torre della Fame, dove furono ritrovati alcuni scheletri forse dei membri della famiglia di Pico della Mirandola e dei Bonacolsi, rinchiusi all’interno della struttura e lasciati morire di fame. Ma il personaggio che dà lustro a Castel d’Ario è Tazio Nuvolari, uno dei più grandi piloti di ogni tempo: a lui Castel d’Ario ha dedicato ben due monumenti: un busto in bronzo, realizzato subito dopo la sua morte, nel 1956, dallo scultore casteldariese Giuseppe Menozzi e una statua con a fianco una Bugatti, opera dello scultore mantovano Andrea Zangani, realizzata in occasione del 50° anniversario della sua morte. ▣
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TRIESTE, la città dove il caffè è un rito Trieste si scopre guardandola dall’Adriatico, come la si vede dalla cima del molo Audace, davanti a piazza dell’Unità d’Italia. In posa. Testo e foto di Jimmy Pessina
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ltima stazione orientale d’Italia e, insieme, primo approdo occidentale dell’Est. Una terra il cui sole d’estate ha il profumo inconfondibile del Mediterraneo, e che d’inverno si arrende alla gelida bora. Lo sanno bene i triestini, che
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di questo vento e delle sue violente raffiche vanno un po’ fieri. Forse, perché alla fin fine, si ferma proprio qui, in un angolo d’Italia, dopo aver viaggiato in chissà quali luoghi. E spazza città e mare, vicoli e strade, rive e moli, e la piazza più bella e cara: piazza Unità, che i più vecchi chiamano ancora
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piazza Grande. E’ qui il cuore geografico e sentimentale di Trieste, quasi il sinonimo della città, l’antico luogo di scambi e di commerci, e oggi punto d’incontro elegante e vagamente borghese sul quale passeggiare e guardare le onde. La domenica, invece, sul molo e nella piazza, la scena cambia, si consuma non solo il giorno delle bandiere, ma anche il giorno dell’effimero. Come in tante altre città è il momento dello struscio, che a Trieste si chiama “liston”. A metà mattina ai Triestini piace ritrovarsi nel salottino a
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cielo aperto della città, palcoscenico ideale per la passerella dei bei vestiti, convenevoli e tazzine di caffè. Da gustare nel grande Caffè degli Specchi. Al banco o seduti ai tavolini en plein air, uno dietro l’altro, sfilano i cappi, ossia i cappuccini che a Trieste e solo a Trieste, sono i comunissimi caffè macchiati. Il tempo, però, è passato. Il golfo, una volta
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percorso da navi mercantili e da crociera, ora è quasi vuoto. Al posto del viavai di prue che portarono lavoro e ricchezza c’è il via vai delle vele di diporto. Al posto dei grandi piroscafi oceanici ci sono i traghetti che fanno rotta verso la Turchia e la Grecia. Sogni e poesie sono svaniti, ciò che resta è l’incanto delle suggestive manovre di ingresso e uscita
dal golfo dei battelli. Ancora una volta vale la pena fermarsi e stare a guardare. Guardano anche i triestini che camminano lungo le rive, sedendosi sulle bitte o sulle panchine. Dalla Piazza Unità, alle spalle del Municipio, lo sguardo corre svelto su, su, in alto, verso il colle di San Giusto con le rovine antiche, e sotto, tra i tetti delle case, abbraccia Cittavecchia,
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il quartiere cantato dal poeta più grande di Trieste: Umberto Saba. Nelle vie solitarie, animate ai rumori delle osterie, nei primi anni del Novecento vagò a lungo anche un altro grande della letteratura: James Joyce, che nei quartieri più poveri trovò la gente semplice che amava. Tra tutti gradiva il Pirona, in largo Barriera, tutt’ora aperto al pubblico con le vetrine
originali e l’arredamento rigorosamente Liberty. Il più antico, il Caffè Tommaseo, nasce nel 1825 dietro la Borsa. Si fanno pochi passi davanti al Teatro Verdi e si entra in piazza Unità, su cui si affaccia il Caffè degli Specchi, aperto nel 1839. Poco lontano, se si risale lungo il Canale Ponterosso, si trova il Caffè Stella Polare, attivo dal 1867, dove all’inizio del
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secolo scorso si riunivano gli irredentisti. E’ ancora intatto il Caffè San Marco, che risale al 1914, pieno di stucchi e decorazioni, in cui si possono incontrare uomini di cultura come Claudio Magris e che aveva tra i suoi abituali clienti anche la scienziata astrofisica Margherita Hack. ▣
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APRICA, UNA MONTAGNA DI EMOZIONI Su un passo a 1200 metri di quota tra le province di Sondrio e Brescia, Aprica offre una montagna di emozioni tra sport invernali, escursioni nei parchi, benessere ed enogastronomia da vivere ed assaporare tutto l’anno! di Carmen Guerriero
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uggestivo comune montano sospeso tra la Valtellina e la Valcamonica, Aprica, nonostante i 1200 metri di quota e la presenza della neve da dicembre ad aprile (mediamente), vanta inverni secchi ed estati ventilate e serba, come uno scrigno, tante emozioni! All’interno del Parco delle Orobie Valtellinesi, istituito nel 1989, c’è l’Osservatorio EcoFaunistico Alpino Aprica, diretto da Bernardo Pedroni, biologo naturalista che cura visite guidate organizzate attraverso un itinerario didatticonaturalistico attrezzato, dove conoscere e osservare da vicino le specie animali e vegetali presenti in apposite “aree faunistiche”, come camosci, stambecchi, caprioli, lepri bianche, rapaci notturni e diurni, il gufo reale e, fino a poco tempo fa, anche l’orso bruno Orfeo, morto da poco. Altra emozione, imperdibile, è la riserva di Pian di Gembro, uno spettacolo della natura, incorniciato dalle maestose cime del gruppo dell’Adamello. Riserva Naturale dal 1988, è una conca pianeggiante (superficie 126,5 ettari) formatasi in seguito al ritirarsi dei ghiacciai dell’era Quaternaria, in cui si trova una torbiera una cavità ad imbuto che nella parte più profonda è 11 metri! con due laghetti dalle acque molto acide ed acquitrinose, dove T URI S MO NAZ I ONAL E
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avviene la trasformazione dei resti di vegetali essenzialmente palustri e lacustri in torba, una sorta di carbone vegetale molto più economico e dal basso potere calorifico. Qui, dalle acque, spuntano delle piante carnivore (Drosera rotundifolia e Pinguicola alpina), dalle foglie a forma di mano pelosa, atte a catturare piccoli insetti (zanzare per lo più), per poi digerirli tramite enzimi prodotti dai peli ghiandolari. Nelle acque delle due maggiori pozze, dove si raccolgono le acque di scolo della torbiera, vivono specie anfibie tra cui il Tritone crestato. Il fascino e la ricchezza naturalistica di questa zona sono costituiti anche dalla presenza di pini silvestri, dal caratteristico profumo balsamico, e di betulle bianche, eliofile, coperte di licheni, spugne naturali, segno di un ambiente intatto e salubre! In bici,
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a piedi, con gli sci o lo slittino, una visita alla Riserva di Pian di Gembro è un’esperienza indimenticabile ed un’occasione preziosa di arricchimento! Sempre sul filo delle emozioni, il Museo dello Sci di Aprica offre
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la memoria storica e gloriosa di vittorie sportive con un’affascinante racconto attraverso 170 pezzi, dagli sci d’epoca risalenti al 1890 fino ai nostri giorni, su 530 raccolti, più scarponi e slitte. Da anni i cultori di questa parte di storia
montana Angelo Negri, Elio Negri e Piero Moncecchi cercavano uno spazio per poter allocare sci e scarponi che sono stati esposti, in qualche occasione, in mostre temporanee al centro direzionale. Ora il Museo è una realtà che
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A pagina 82, piste da sci a Corteno, Pian di Gembro. A pagina 83, osservatorio EcoFaunistico Alpino Aprica. In basso, Ristorante Ambrosino. A pagina 84, Museo dello Sci. A pagina 85, Ca’ dei Cumeleri e Valtellina Superiore Inferno DOCG. In questa pagina, Bottaia Plozza e Franciacorta Plozza. A pagina 87, Baita Le Lische.
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presto troverà uno spazio espositivo maggiore. L’oggetto per me più bello? L’alpenstock di Papa Karol Wojtyla, incastonato in un’opera d’arte lignea! Aprica è anche sapori e profumi di una tradizione ricca e gustosa, tutta da scoprire. Ad iniziare dalla “Ca dei Cumeleri”, nell’antica contrada Ospitale, l’ultimo degli antichi crotti, ovvero forni dove ci si rifugiava per condividere con la famiglia e gli amici il piacere del cibo e del vino, come testimonia il lungo corridoio a volta costellato di ricordi, vecchie foto e attrezzi di lavoro. La proprietà è del signor Claudio Negri, soprannominato simpaticamente “nonno Caio”, che lo cura e gestisce insieme alla famiglia ed è titolare
anche della macelleria storica in corso Roma. All’interno c’è ancora il vecchio forno del pane dove le signore, fino a pochi decenni fa, sfornavano le pagnotte di segale, ogni 40 giorni circa. Una volta cotto, il pane si faceva, poi, essiccare appeso a delle cordicelle al soffitto e si manteneva croccante e saporito per settimane. Più all’interno si trova lo “ambolt“, ovvero la cantina, ove i vini erano conservati grazie ad una temperatura costante, sia d’inverno che d’estate. In degustazione, oggi, il Valtellina Superiore Inferno, un vino DOCG la cui produzione è consentita in questa piccola ed impervia zona della provincia di Sondrio e che deve il suo nome alla ripida pendenza dei vigneti ed all’elevata T URI S MO NAZ I ONAL E
temperatura estiva a cui sono sottoposti. Sul fondo del crotto, il vano della ghiacciaia dove venivano conservati carne e, soprattutto, formaggi, i tradizionali bitto, casera e stravecchio e la slinzega di manzo, un salume tipico, considerato una bresaola più pregiata. Immerso in un panorama naturale mozzafiato e prossimo agli impianti sportivi, La Baita Le Lische, è un ristorantino arredato in tipico stile valtellinese, ideale per un ristoro dopo l’attività sportiva oppure per trascorrere una serata insieme agli amici o alla famiglia. La cucina è principalmente quella tipica della tradizione valtellinese, come bresaola e sfinzega, bitto e casera, lardo con miele di castagno, sciatt con
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casera, risotto alla rapa rossa e, ovviamente, lo Tzigoiner, uno dei piatti più particolari che si trovano nei ristoranti valtellinesi e svizzeri, uno spiedino di fettine di manzo avvolte intorno ad un legno di abete e cotto alla brace. Specialità e menu tipico anche per la Baita Ristoro Pasò Palabione, rifugio proprio sugli impianti di Aprica&Corteno, che offre la comodità logistica insieme a buona offerta di pietanze tipiche, tra cui piatti a base di carne di capriolo e di polenta taragna e funghi porcini. Nel centro cittadino di Aprica, invece, il ristorante Ambrosini, stessa proprietà dell’omonimo hotel Ambrosini, ambienti tipici, calorosa accoglienza ed un’ottima colazione con prodotti freschi e torte artigianali, scalda il cuore con le sue atmosfere caratteristiche e le
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emozioni, con profumi intriganti di pizza verace napoletana - eh sì, buon naso non mente, ho scoperto, infatti, che il pizzaiolo è campano! Ottimi i pizzoccheri, sapidi, gustosi ed equilibrati nei diversi sapori degli ingredienti, tutti riconoscibili! Sciatt rivisitati nel formato, mignon la proposta, ma classici nel gusto. Sul Pian di Gembro, il rifugio omonimo ha riservato sorprese gastronomiche inattese, con salumi e formaggi di qualità ed una versione degli “sciatt” davvero gustosa, a base di farina di grano saraceno, birra come lievitante, grappa, acqua gasata e, ovviamente, il formaggio casera. Poco distante, a Tirano, in provincia di Sondrio, l’azienda vitivinicola Plozza Vini dal 1919, vanta il primato di aver commercializzato per
prima il vino valtellinese per antonomasia: lo Sforzato, vino di grande finezza e personalità grazie alle concentrazioni ed agli aromi che si sviluppano con l’appassimento delle uve. Con una produzione annua di circa 350.000 bottiglie, la cantina è contraddistinta anche da una forte predisposizione all’innovazione ed a prodotti sempre più ricercati, con soluzioni di pregio anche nel packaging, con etichette raffinate e fatte a mano, in legno, in pietra. Questo è solo una degustazione, per restare in tema vinicolo, degli incredibili tesori della Valtellina. Tante emozioni ancora aspettano di essere sperimentate, vissute, assaporate per un’esperienza unica ed indimenticabile. ▣
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L’ETIOPIA DEL SUD: Popoli primitivi del
Se il nord dell’Etiopia è famoso per i suoi monumenti storici e cultu subsahariana, la regione di sud-ovest verso i confini con il sud del S vanta le sue maggiori peculiarità nell’ambiente e nelle popolazioni c Testo e foto di Jimmy Pessina
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l fiume Omo
urali, un unicum nell’Africa Sudan e il nord del Kenya che lo abitano.
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an mano che si procede a sud verso l’Equatore l’altopiano cede il passo a basse pianure infestate dalla mosca tze tze, i coltivi alle savane, il fresco all’umidità tropicale, le genti semitiche alle scure popolazioni nilotiche. Siamo nel bacino dell’Omo, fiume più lungo e consistente del Po (800 km) e l’ultimo enigma geografico del continente, che alla fine del 1800, all’epoca del primo tentativo coloniale italiano, vide le eroiche gesta dell’esploratore Vittorio Bottego, il quale a prezzo della vita accertò per primo l’immissione del fiume nel lago Turkana in Kenya e quindi la sua totale indipendenza dal bacino del Nilo. La bassa valle dell’Omo costituisce ancora oggi una delle aree più intatte e incontaminate del continente, una delle ultime wilderness dove la civiltà materiale è rimasta per ora ancora ai margini. Mancano le grandi mandrie di animali selvatici dell’Africa australe, ma gli animali ci sono, mimetizzati nelle estese savane dei parchi nazionali Omo e Mago, abbondano gli uccelli e fauna e flora offrono parecchi endemismi, come si può riscontrare nei grandi laghi che occupano il fondo dell’immane spaccatura geologica della Rift Valley, popolati da ippopotami e coccodrilli e da milioni di
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uccelli a formare uno dei migliori luoghi africani per il birdwatching con oltre 300 specie diverse. Ma soprattutto qui si concentrano alcuni dei gruppi etnici più affascinanti dell’intero continente, in un incredibile miscuglio di genti nilotiche, bantù e camite-cuscite. Si tratta di un numero elevato di piccole popolazioni animiste, come Surma, Mursi, Hamer, Karo, Konso, Dorze e tante altre, che parlano 45 dialetti diversi, i quali hanno mantenuto intatte tradizioni e stili di vita
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grazie al loro isolamento e alla feroce ostilità verso gli estranei e gli stessi vicini. Vivono quasi nudi in villaggi di paglia con un’economia
di sussistenza ferma alla protostoria, per l’esattezza all’epoca neolitica, basata sull’allevamento di bovini e ovini (zebù e capre), un po’ di agricoltura, caccia, pesca
e produzione di miele, ma le loro bellissime donne usano fantasiose acconciature e vistose scarificazioni tribali, mentre gli uomini vestiti di pelli, quando non sono nudi del tutto, hanno il corpo e il viso dipinti con gesso e creta come fossero appena usciti da una foto del secolo scorso. Un mondo che non sembra essere cambiato quasi per niente dai tempi di Bottego, quando gli esploratori italiani erano impegnati a scoprire dove finissero le acque dell’Omo, ma destinato presto a scomparire, travolto dalla nostra “civiltà”. Non a caso è
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di Australopithecus e di Homo, nonché dei più vetusti strumenti litici usati dall’umanità, ma che una gigantesca diga sul fiume, costruita da Italiani, sta rischiando di distruggere nel giro di poco tempo.
un territorio protetto dall’Unesco come patrimonio dell’umanità, anche per il rinvenimento di abbondanti resti fossili di animali antichi,
Per compiere l’esplorazione della valle dell’Omo occorre organizzare una vera spedizione etnografica, tutta compiuta in fuoristrada e basandosi su strutture ricettive non sempre all’altezza, tra le popolazioni
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più primitive del continente più primitivo. Il percorso parte da Addis Abeba, terza città per grandezza d’Africa e terza capitale al mondo per altitudine a 2.400 m, dove meritano una visita quantomeno il Mercato, il maggiore del continente, e il museo che ospita lo scheletro di Lucy, l’ominide etiope vecchio di 3,2 milioni di anni. Puntando verso sud in una natura esuberante tra piantagioni di caffè, foreste e villaggi con i tukul dal tetto conico si arriva ai grandi laghi della Rift Valley ed ai villaggi dei Dorze, abili tessitori di stoffe policrome dai colori vivaci, con escursione in
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barca sul lago Chamo per ammirare i coccodrilli più lunghi del continente. Dopo Arbaminch e Jinka si entra nella bassa valle dell’Omo, tra montagne, savane e paludi che si alternano a praterie e foreste. Qui vivono alcuni gruppi etnici tra i più selvaggi e interessanti d’Africa, come i Konso (abili intagliatori di statue lignee, preziosi oggetti di artigianato rituale), i pastori Tsemai, i cacciatori Banna e i pastori Ari, ognuno
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con proprie caratteristiche peculiari. Il parco nazionale Mago è povero di fauna ma ospita i pastori Mursi e Surma, tra le più singolari popolazioni della valle, feroci guerrieri che vivono ancora di caccia: gli uomini nudi sono famosi per i combattimenti con bastoni, il corpo dipinto con argilla e gesso e le cicatrici che indicano i nemici uccisi, le donne per i piattelli di terracotta con cui si deformano labbro inferiore
ed orecchie. Non risulta ben chiara la ragione dell’uso del piattello labiale, che comporta anche l’estrazione dei denti davanti, se sia cioè dovuta a soggettive visioni estetiche, oppure ad una deformazione voluta per sottrarre le femmine al turpe commercio degli schiavisti. Fatto sta che Mursi e Surma ne vanno fiere, e maggiore è il piattello più alto risulta il loro prestigio sociale. Tra le savane saline del Chew Bahir (ex lago
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Stefania) si incontrano gli Hammer, tra le genti più belle e dignitose dell’Omo; sono famosi per l’abbigliamento di pelle, i gioielli e le singolari acconciature: le donne per i riccioli di grasso e fango, gli uomini per le crocchie di argilla e piume d’uccello. I maschi, per dimostrare il loro coraggio, debbono esibirsi nel “salto dei tori”, saltando una fila di tori appaiati. Al suggestivo mercato di Turmi si possono incontrare i Karo,
maestri nel decorare i corpi nudi con pigmenti naturali, mentre le donne con le scarificazioni realizzano dei veri disegni sui propri corpi. Omorate, il villaggio etiope più a sud prima del Kenya, risulta abitato dai Galeb, pastori-guerrieri pieni di scarificazioni. Sulla via del ritorno, dopo i villaggi Konso, bravi produttori di gioielli con perline ed alluminio, attendono ancora due meraviglie: il cratere del
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vulcano spento di El Sod, con una lago nero pece sul fondo di 200 m da cui si estrae, in un ambiente da Inferno dantesco, sale, e poi i “pozzi cantanti” dei pastori Borana, profonde cavità da cui attingere manualmente l’acqua per le loro mandrie. Chiudono il percorso i suggestivi laghi della Rift Valley Shala, Abiata e Langano, assai ricchi di pesce e di uccelli acquatici. ▣
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AMBROSIA al centro dell’Atlantico
Prodotti ancor oggi secondo antichi processi artigianali, i vini delle Isole Azzorre godono di un sapore fresco e fruttato. Facciamo la loro conoscenza dopo aver preso confidenza con lo sterminato territorio dell’Arcipelago. di Carlo Ravanello
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i è capitato ben di rado di incontrare colleghi giornalisti o viaggiatori qualunque tanto curiosi da aver voluto visitare e conoscere le Azzorre, questo vasto arcipelago vulcanico emergente dalle profondità dell’Atlantico centrale. A tutti costoro ho voluto chiedere le loro impressioni di viaggio e tutti mi sono sembrati volersi rinchiudere in un’imbarazzata ritrosia. Questo perchè, nei miei, come nei loro ricordi, queste Isole non vivono in un contesto reale ma in un fantastico e caleidoscopico non-vissuto che affonda le sue radici lusitane nell’immenso Oceano
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conquistato da grandi navigatori a partire dal XV secolo. Colonizzatori audaci e coraggiosi, si sono lasciati alle spalle la spavalda magnificenza delle decine e decine di Imperios, gli improbabili teatrini sparsi su tutte le Isole e costruiti in ricordo delle medievali celebrazioni dello Spirito Santo che si svolgono ancor oggi per tutta la durata dell’estate, con contorni vagamente pagani. Così come hanno lasciato le sorprendenti ed incruente corride, dove il toro sembra condividere con gli spettatori la loro inguaribile saudade. Una profonda nostalgia di immensi mari T U RI S M O I NT E RNAZ I ONAL E
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A pagina 99, agricoltura e flora mediterranea a Terceira. A sinistra, il vulcano Pico e le currais a Pico. In basso e a destra, cratere vulcanico e flora tropicale a San Miguel. A pagina 103, il vino Terras de Lava e il Museo del vino a Biscoitos, Terceira.
e di grandi, pericolosissime montagne che ancora covano al loro interno ancestrali e mai sopiti fuochi. Tutte le Isole continuano a vibrare di questo fuoco e ne sono testimonianza le infinite caldere alimentate da quella fessura esplosiva che da Capoverde si estende, passando per le Canarie, fino all’Islanda. Si alternano quindi smeraldine colline coltivate a polverosi ed aridi altopiani coperti di ceneri; fresche
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acque sorgive a sobbollimenti fangosi e ricchi di mefitici gas. Queste sono...
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e Isole Azzorre
Isole che si trovano nell’Atlantico, al largo del Portogallo e sono più o meno allineate in posizione sud-est nordovest, a una latitudine compresa fra i 36 gradi e i 40 gradi nord (più
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o meno simile a quella della Campania e della Calabria). La longitudine è piuttosto allargata: si pensi che fra le due isole estreme, Santa Maria e Corvo, vi sono oltre 600 chilometri di distanza (come da Milano a Napoli) e che un volo aereo di congiunzione ci mette in media un paio di ore. A completare il quadro, basti ricordare che Flores e Corvo si trovano in una posizione praticamente equidistante fra Lisbona e Boston, totalmente isolate in mezzo a un Oceano che non di rado riversa su di loro venti a 250 km/h e onde alte oltre 20 metri! Con tutto ciò gli azzorrani – poco più di 250.000 che abitano consapevolmente questo arcipelago
vulcanico in continuo divenire, scoperto, si dice, dai genovesi sul finire del XIV secolo ma colonizzato dai portoghesi di Gonzalo Velho Cabral nella prima metà del XV - hanno trovato il modo di affiancare alla pesca, in cui sono maestri, una pastorizia di prima classe e una agricoltura coraggiosa e d’avanguardia. I loro mari interni sono territorio incontrastato di balene, capodogli, delfini e altri cetacei che fanno la gioia degli osservatori della fauna marina che giungono qui da ogni parte del mondo per non perdersi l’inconsueto spettacolo. Le condizioni pedologiche sono, per tutte le isole,
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quelle di terreni di origine vulcanica, basaltici e tufacei, ricchi di rocce effusive con abbondanti minerali, metalli pesanti e metalloidi: le numerose bocche effusive, tuttora attive, forniscono vapore e acque calde solforose. Le condizioni climatiche, viste le grandi distanze e la non trascurabile influenza della Corrente del Golfo, sono assai disparate e mentre Santa Maria e San Miguel, le più meridionali, presentano alcuni tratti subtropicali, al pari, diciamo, di Madera e di alcune isole delle Canarie, altre, come Terceira, Graziosa e Pico, hanno più parvenze mediterranee, mentre nelle più settentrionali e, in particolar modo
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nella piccola Corvo, si riscontrano, specialmente in alcuni mesi dell’anno, aspetti decisamente nordici non dissimili da quelli delle coste meridionali dell’Islanda e della Groenlandia.
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i loro vini
I primi ceppi di vite giunsero su queste Isole incantate durante il XVI secolo, ma solo l’ingegno umano riuscì a trasformare un paesaggio roccioso e apparentemente
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improduttivo in una straordinaria fonte di vita e di ricchezza. Con il passare del tempo il vino azzorrano guadagnò rapidamente fama anche al di fuori delle isole. Secondo molti storici, il “nettare atlantico” fece parte di molti banchetti di re inglesi e zar russi e anche scrittori come Eça de Queirós e il grande Leone Tolstoi lo menzionarono nei loro scritti. Attualmente, vengono commercializzate un paio di dozzine di marche di vini delle varie tipologie ufficialmente
riconosciute. Pico, Terceira e Graziosa sono le isole con la maggior tradizione – pur se non mancano interessanti presenze di vigne anche su tutte le altre - mentre gran parte della produzione viene esportata in Europa e negli Stati Uniti. Nel 2004, il paesaggio viticolo dell’isola di Pico, che occupa un’area di 158 ettari, fu definito dall’UNESCO Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Il merito di questo riconoscimento va attribuito a un territorio
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che, oltre alle famose vigne divise e protette dai muri a secco di pietra basaltica, dette “currais”, è arricchito da una particolare architettura rurale e da alcune specie rare di flora e fauna europea. Nelle Azzorre il matrimonio fra vini locali e turismo è molto sentito ed è una carta che l’Amministrazione delle isole intende giocare seriamente. La realizzazione di corsi destinati agli operatori della ristorazione e dell’alberghiero, la divulgazione durante le fiere delle marche regionali, le visite
agli impianti e alle cantine, così come la realizzazione di sessioni di degustazione sono esempi delle iniziative che si portano avanti per trasformare il vino in un vero prodotto turistico. Lungo questa linea di condotta e nell’intento di ricercare una qualificazione e una certificazione sicure è stato realizzato sull’isola di Pico il primo Laboratorio Regionale di Enologia: si tratta di un passaggio obbligato per uno svolgimento serio dell’attività vinicola isolana. Infatti, sulle pendici del vulcano Pico Alto che con i suoi
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2.351 metri è la vetta più alta del Portogallo, cui appartengono le Azzorre, la viticoltura
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è praticata, come abbiamo già ricordato, fin dal XVI secolo. Nel suddetto laboratorio, oltre alle normali attività di analisi, vengono effettuate ricerche per la determinazione dei migliori ceppi atti ad aumentare la qualità dei vini locali. Attualmente, sull’Isola di Pico sono piantati circa 70 ettari di vigna per il recupero e la conservazione del potenziale genetico di varietà autoctone, come Verdelho, Azzorre Arinto, Terrantez di Pico e Saborinho. Se l’isola di Pico è il centro principale della produzione vitivinicola delle Azzorre, anche a Terceira sono presenti impianti vitati,
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specie sulla costa settentrionale nei pressi di Biscoitos. La Cooperativa Agricola dell’isola di Pico, la più grande fra tutte le realtà vitivinicole isolane, commercializza otto marche di vino, con 5.000 ettolitri di prodotto all’anno. Con l’aggiunta di altri 2 Cooperative e di alcuni produttori privati la produzione totale delle Azzorre sale a 12 mila ettolitri, di cui solo 2.500 a Dop e Igp. I due vini più antichi (Cavaco Tinto e Branco) furono immessi sul mercato nel 1961. Il Basalto, nato nel 1994 come vino fruttato e giovane, appartiene alla categoria dei “Vinhos
de Mesa” (la stessa logica dei vins de village francesi), mentre il Terras de Lava Branco e Tinto, insieme al Frei Gigante, nati fra il 2004 e il 2005, fanno parte dei vini definiti con la menzione “Vinho Regionale dos Açores”. Oltre a ciò la Cooperativa picarota produce due vini liquorosi molto noti: il primo, denominato Lajido, è un vino da aperitivo secco ed asciutto, invecchiato tre anni in piccole botti di rovere americano; il secondo, l’Angelica, è un vino liquoroso dolce che accompagna con assoluta dignità i desserts più impegnativi. ▣
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Francia: Rhône-Alpes, Alta Savoia: non solo
sci e alpinismo Alla scoperta del massiccio dell’Aravis in parapendio. Testo e foto di Jimmy Pessina
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e volete passare una vacanza all’aria aperta in Francia e amate la montagna la zona del Massiccio dell’Aravis è quello che fa per voi. Situata
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tra Grenoble e Ginevra sulla Gran Route des Alpes, la Val D’Arve è dove si trovano i villaggi di Grand Bornard, La Clusas e Saint-Jean de Sixt. In inverno queste stazioni sono un vero paradiso
grazie alla piste da sci adatte a tutti i livelli di sciatori, molti dei quali praticano il “vecchio” stile telemark, e piste riservate per gli snowboard. Non mancano tracciati per lo sci da fondo e percorsi per gli amanti delle
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“ciaspole” (racchette), di moda per coloro che amano passeggiare tra i boschi incontaminati. In estate, invece, vi si praticano oltre che l’alpinismo (moltissime le vie ferrate), golf e escursioni guidate nelle splendide pinete e non manca la possibilità di effettuare percorsi a cavallo. Ma la vera chicca di questo lembo di Francia è il parapendio grazie ai suoi venti ascensionali che al mattino soffiano da nord verso sud e al pomeriggio da sud verso nord: con queste condizioni atmosferiche è possibile praticare tutto l’anno la disciplina. A Grand-Bornard ci sono stage di iniziazione al
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parapendio con soggiorni di 6 giorni e 6 notti il cui prezzo, oltre alla pensione completa, comprende anche il corso con istruttore diplomato e relativa attrezzatura. L’iniziazione al Parapendio è accessibile a tutti con la Scuola di GrandBornard e di La Clusaz. Per chi desidera provare l’ebbrezza di un volo, la partenza è da un punto dove si contempla tutto il Massiv d’Aravis, uno dei panorami che difficilmente si potranno dimenticare, dopo essersi librati in cielo nel silenzio più assoluto da oltre 3800 metri.
si vedono anche tutta la catena del Monte Bianco e del Gran Paradiso. E proprio per questo ogni sabato e domenica, e non solo, centinaia di appassionati si danno appuntamento su Le Gran-Bornard per un lancio e a volte il cielo sembra un caleidoscopio multicolore. Per gli amanti della buona tavola la zona riserva piacevoli sorprese, anche per i costi. Da non dimenticare il famoso formaggio Reblochon, da acquistare nelle fattorie! ▣
A quell’altezza oltre le cime del Massiccio dell’Aravis
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Dal 1946, il ristorante Pupurry propone una selezione dei migliori piatti della tradizione italiana, rivisitati in chiave contemporanea: dalla carne alla brace, da sempre eccellenza della cucina del ristorante, ai risotti e ai piatti di pesce. Una sala dall’elegante atmosfera d’antan e un giardino racchiuso tra olivi e oleandri accolgono gli ospiti, offrendo loro prodotti di qualità, un’ospitalità attenta e un’attitudine particolarmente benevola verso gli amici a quattro zampe. Ristorante Pupurry Via Gian Battista Bertini, 25 - Milano - Tel. 02 331 1829 www.ristorantepupurry.com
Tre Oceani per le
magiche località della FRANCIA D’OLTREMARE Circondate da tre oceani, Pacifico, Atlantico e Indiano, si estendono le magiche terre della Francia d’Oltremare. di Giovanna Turchi Vismara Foto di Serge Gelabert Rechte, Comité Martiniquais du Tourisme, Sebastien Conejero, Luc Perrot, Stephane Godin e Ludovic Ismael
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ngoli di mondo immersi in atmosfere da fiaba, paesaggi mozzafiato, lagune dalle acque cristalline, profumi intensi espressi da una flora dai colori più vari, fauna particolare e inoffensiva, e i sapori legati
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alla gastronomia locale regalano ai visitatori momenti indimenticabili di vita. Nelle cinque isole dell’arcipelago della GUADALUPA, nel mar dei Caraibi, si vivono le esperienze più varie a contatto con una natura dagli aspetti più diversi e una popolazione multiculturale,
calorosa e accogliente. A Basse-Terre, nel Parco Zoologico della Guadalupa, immersi tra oltre mille specie vegetali, si possono scoprire 85 specie di animali tra cui l’iguana dei Caraibi e l’orsetto lavatore, il Ti raccoon. E’ una totale immersione nei profumi più intensi entrare nel Jardin
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de la Rencontre, nuovo spazio ecologico di 15.000 mq ove si coltivano piante medicinali e si producono preziosi oli essenziali. Si può trascorrere una giornata da sogno nella riserva naturale della Petite Terre nella laguna blu circondata da sabbia dorata a bordo di imbarcazioni tradizionali con pausa barbecue a base di pesce e Punch. A Saint François nel nuovo ristorante La Table d’Amélie, con vista spettacolare sul mare, si possono gustare i sapori locali a base di specialità di pesce e dessert al rhum. A Grande-Terre è d’obbligo una visita al Memorial ACTe, centro culturale e museale sulla storia della schiavitù, che ha ottenuto dal Consiglio d’Europa il Premio Museo 2017. Dalla splendida spiaggia del Pain de Sucre si vive T U RI S M O I NT E RNAZ I ONAL E
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una particolare emozione nell’immergersi nelle acque turchesi di Les Saintes per esplorare i fondali marini. Nella Riserva Geologica di La Desiderade, l’isola più antica dei Caraibi, si possono trovare bijoux unici fatti con pietre semipreziose locali. E non può mancare la possibilità di degustare i migliori rhum del mondo, bianco, ambrato, invecchiato, liscio o in versione punch nelle tre autentiche distillerie artigianali a Marie-Galante. La MARTINICA, tra il Mare dei Caraibi e l’oceano Atlantico, è l’isola dell’eterna estate con 28° in media per tutto l’anno. Le varie occupazioni di popoli, le mescolanze di genti e culture
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provenienti dall’Africa e dall’India ne fanno un’isola piena di paradossi e contrasti che ne determinano il suo grande fascino. E i panorami sono i più vari. Chi vuole inoltrarsi nel cuore della foresta tropicale, con oltre 250 km di itinerari segnalati, viene a contatto con paesaggi dalla vegetazione rigogliosa e lussureggiante. Uscire invece per un’escursione in battello sul mare vuol dire scoprire la notevole varietà delle spiagge e provare l’emozione dei delfini che nuotano festosi intorno all’imbarcazione. Inoltre, da novembre ad aprile l’oceano, quasi per magia, si apre e offre una inattesa traversata del mare con la possibilità di raggiungere a piedi un isolotto, il Tombolo,
dall’eccezionale biodiversità. Inoltre sull’îlet Loup-Garau, un piccolo angolo di paradiso fuori dal mondo, si può assistere alla deposizione delle uova delle tartarughe. Anche la cucina della Martinica è ricca e varia di sapori. E’ stata ripresa la produzione del caffè Arabica Typica di cui si aspetta il primo raccolto nel 2020. Il rhum agricolo della Martinica è l’unico al mondo ad avere ottenuto la Doc dal 1996. Sono molte le distillerie che si possono visitare e tra queste la distilleria Clement a Le François, classificata monumento storico. Nell’oceano Pacifico, nella Polinesia francese, TAHITI e tutte le sue isole e atolli, che si estendono su una
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superficie di oltre cinque milioni e mezzo di chilometri quadrati, evocano fantasie di profumi e sapori: il profumo della vaniglia, la melodia dell’ukulele, l’essenza dei fiori di Tiaré e il sapore del cocco. La magia di queste isole è data da un mix di cime montuose e colorate barriere coralline, lagune turchesi e distese di sabbia bianca, spiagge orlate di palme e lussuosi e intimi resort. La cultura locale è ricca di affascinanti leggende, balli sensuali e ritmi ancestrali. Le Marae de Taputapuatea, sull’isola di Raiatea, sito sacro, collegamento tra il mondo dei vivi e degli antenati, nel 2017 è stata iscritta nel patrimonio
Unesco. Nelle acque profonde delle lagune polinesiane nascono le famose Perle Nere di Tahiti, considerate dono del Dio Oro, re del firmamento. In queste isole hanno amato soggiornare anche molti artisti, il più noto dei quali è Paul Gauguin arrivato alle isole Marchesi nel 1891 e nella principale, Hiva Oa, c’è ancora la casa dell’artista, la Maison du Jour. Fuori dalle rotte più comuni, nel Sud del Pacifico la NUOVA CALEDONIA è un’isola caratterizzata dai più ampi contrasti, che vanno dall’azzurro del mare al verde di una natura rigogliosa all’aridità della
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terra che evoca il Far West. Nella sua laguna, la più grande al mondo e dichiarata Patrimonio Unesco, vivono oltre 3000 pesci rari. Nella Grande Terre, l’isola principale lunga 500 km e attraversata da una catena montuosa, a bordo di un ultraleggero si può scoprire, in un paesaggio il più romantico del mondo, il cuore di Voh, un cuore disegnato in modo del tutto naturale dalle mangrovie e considerato il simbolo della Nuova Caledonia. Nell’esplorazione dei vari territori si possono incontrare i Kanak, gli indigeni con una storia di oltre 3.000 anni e scoprire tra allegria, musica e danza i loro affascinanti usi e costumi.
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Nella capitale, Noumea, si trova il Centro Culturale di Tjibaou, progettato da Renzo Piano. Nel cuore dell’Oceano Indiano, crocevia di genti e culture, si estende l’isola della REUNION, dalla natura magica e spettacolare. Ai lussureggianti paesaggi, alle acque turchesi e cristalline della fascinosa laguna blu si alternano rilievi spettacolari e tre straordinari circhi montuosi - Mafate, Cilaos,
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Salazie - dichiarati patrimonio dell’Unesco. Qui si trova uno dei vulcani più attivi del mondo, il Piton de la Fournaise, che con le sue eruzioni offre caleidoscopici spettacoli di luce. I mesi dell’inverno australe, da giugno a settembre, sono l’ideale per il whale watching che si effettua in modo sostenibile secondo una carta ufficiale aggiornata nel 2017 e alla quale si attengono gli operatori che propongono
incontri ravvicinati con i cetacei. Fa parte della storia dell’isola anche la produzione della Vaniglia Bourbon la cui coltivazione familiare, trasmessa di generazione in generazione, fu introdotta agli inizi del XX secolo quando l’isola si chiamava ancora Bourbon. E’ eccezionale anche la Vaniglia blu coltivata a Saint Philippe. ▣
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Dopo il lancio di “Valpolicella RRR”, la prima certificazione sostenibile d’area in Italia, il Consorzio per la Tutela dei Vini Valpolicella ha organizzato una serie di iniziative per l’anno 2018 volte a rafforzare il proprio impegno nel campo della sostenibilità.
Sostenibilità in vigneto e tutela del territorio www.valpolicellarrr.com
2 febbraio 2018, Verona
Per maggiori informazioni: areatecnica@consorziovalpolicella.it
Il summit riunirà alcuni tra i più importanti enti territoriali da più parti del mondo promotori di protocolli di produzione e/o certificazioni sostenibili nel settore vitivinicolo. Oltre a dare la possibilità ai partecipanti di condividere le proprie esperienze, l’evento getterà le basi per la costituzione dell’International Sustainable Winegrowing Network”.
CERASUOLO DI VITTORIA, una storia antica che si rinnova ogni vendemmia Si pensa che venisse chiamato Vinum Mesopotamium, perché prodotto tra i fiumi Ippari e Dirillo, area nota un tempo come plaga Mesopotamium, proprio nei pressi dell’attuale città di Vittoria. di Gianna Bozzali
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razzere di campagna un tempo erano attraversate da carretti ed operai che ogni giorno si recavano in vigna. Generazioni di
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contadini si muovevano per quei sentieri, immersi in paesaggi dal profumo d’Africa, per portare il loro vino sino alle coste vicine. Nei secoli hanno subito profondi cambiamenti ed
oggi sono sempre più spesso attraversati da turisti che vogliono riscoprire il fascino dei luoghi del vino. Di queste stradine nella zona di Vittoria, nel sud della Sicilia, ce ne sono davvero tante. Una città
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nata per il vino, così chiamata dal nome della fondatrice Vittoria Colonna Henriquez, che nei suoi 410 anni di storia ha rispettato questa vocazione producendo vini di pregio come l’unica Docg dell’isola, il Cerasuolo di Vittoria. Vedova del conte di Modica, cugino del Re di Spagna, Vittoria Colonna incentivava la produzione del vino concedendo privilegi a coloro che avessero piantato vigne; regalò ai primi 75 coloni, un ettaro di terreno a condizione che ne coltivassero un altro a vigneto favorendo la diffusione della viticoltura. L’immagine vitivinicola di questa zona è mutata profondamente in questi quattro secoli di storia: non
solo è cambiato il modo di fare vino, con produttori che prestano molta attenzione ai nuovi impianti dei vigneti, con potature tendenti ad ottenere rese contenute per ettaro o grazie ai notevoli progressi in cantina con l’utilizzo di pratiche che mirano a creare vini rispettosi della biodiversità e dell’ambiente, ma sono cambiate notevolmente le stesse cantine. Percorrendo quelle che un tempo erano solo delle trazzere, si possono ammirare distese di filari di vite che circondano elementi di architettura rurali di notevole prestigio che profondi interventi di recupero hanno riportato alla loro originaria bellezza. Luoghi che diventano soste piacevoli
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per i winelovers pronti ad ascoltare la storia di un vino che affonda le origini in un passato molto lontano. Il Cerasuolo di Vittoria viene prodotto, secondo disciplinare, con le uve Nero d’Avola e Frappato utilizzati in una percentuale che va dal 50 al 70% e dal 30 al 50% rispettivamente: il Nero d’Avola gli dà forza e struttura, mentre il Frappato gli conferisce eleganza, morbidezza, note fruttate ed una particolare freschezza, insolita a ritrovarsi in altri rossi siciliani. Oltre che alle virtù di questi vitigni, il Cerasuolo di Vittoria Docg deve la sua originalità alla magia del clima, alle escursioni termiche nel
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periodo invaiatura-raccolta, alla scarsa piovosità dei mesi estivi nonché alla variabilità dei suoli (rossi, alluvionali sabbioso-limosi, calcarei) e a quella altimetrica (da 0 a 500 m s.l.m.). Ha un colore che va dal rosso ciliegia al violaceo, un sapore secco, pieno, con una morbidezza in cui risaltano fragranti ritorni di frutta in polpa, armonico e dall’odore floreale, fruttato, di ciliegia. Esiste anche la versione “Classico” e in questo caso l’immissione al consumo non può avvenire prima del 31 marzo del secondo anno successivo alla vendemmia: il colore tenderà più al granato acquisendo sentori più complessi di cioccolato, cuoio, tabacco. La zona di produzione va oltre il territorio di Vittoria,
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comprendendo numerosi Comuni delle province di Ragusa, Caltanissetta e Catania. Un territorio variegato, dall’aspetto tipicamente mediterraneo, con vigneti vicini al mare, altri posti in zone particolarmente ventilati come nel Calatino ed altri in colline spesso dominate da secolari uliveti e maestosi alberi di carrubo, che influiscono notevolmente sulla produzione di un vino che seppur con caratteristiche simili cambia un po’ a seconda della zona. L’omologazione qui è impossibile ritrovarla. Il Cerasuolo di Vittoria ha però una storia molto più antica. Si pensa che venisse chiamato Vinum Mesopotamium, perché prodotto tra i fiumi Ippari e Dirillo, area nota
un tempo come plaga Mesopotamium, proprio nei pressi dell’attuale città di Vittoria. Da scavi effettuati sia a Pompei che a Cartagine sono emerse delle anfore riportanti incise la parola Vinum Mesopotamium. La Sicilia non era quindi nota solo per il vino Mamertino gradito a Cesare o per il Pollio siracusano, ma anche per questo rosso: era il vino prodotto dai vigneti che si affacciavano sul mare africano, quello dei calcareniti miocenici e delle sabbie
Alla pagina seguente, Massimo Maggio e Arianna Occhipinti.
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pleistoceniche, che partiva dai porti del sud della Sicilia ed arrivava sino in Africa. Forti di questa antica tradizione, i produttori stanno investendo molto sulla valorizzazione del Cerasuolo di Vittoria. 168 ettari, 39 i viticoltori, 36 i vinificatori, 36 gli imbottigliatori in tutto per circa 800mila bottiglie prodotte ogni anno. Una piccola Docg ma che sta molto a cuore ai siciliani. Importante il ruolo svolto dal Consorzio di Tutela del Cerasuolo che lo scorso anno ha ottenuto l’Erga Omnes divenendo così l’unico soggetto incaricato dal Ministero per le Politiche Agricole allo svolgimento delle funzioni di tutela, promozione, valorizzazione, informazione del consumatore per i vini di qualità del territorio. “Carta vincente di questo prodotto è la sua tipicità - afferma Massimo Maggio, Presidente del Consorzio di Tutela -. Mentre gli altri propongono vini fatti impiegando vitigni internazionali, la Sicilia offre un’eccellenza rappresentata da due vitigni autoctoni, Nero d’Avola e Frappato. Vi è qui
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uno strettissimo legame tra vino e territorio ed è questo che insieme al continuo progresso qualitativo ottenuto attraverso una gestione di vigne e cantine ispirata ai principi della sostenibilità economica, ambientale e sociale, fa la differenza”. E se i vini da un lato escono fuori, ottenendo importanti riconoscimenti all’estero, dall’altro attirano nei luoghi di produzione molti appassionati creando un frizzante
movimento turistico reso favorevole dalla presenza dell’aeroporto di Comiso, nonché di eventi di respiro nazionale come il Jazz Festival & Cerasuolo Wine o le iniziative promosse dalla Strada del Vino fra cui il Cerasuolo Night Party ed il Cerasuolo Runners, la mezza maratona che a Novembre raduna appassionati e sportivi che
corrono per ben 21 Km tra i filari. Grande la potenzialità di questo territorio che potrebbe dare molto di più se vi si investisse. “Dobbiamo puntare sui giovani dichiara Arianna Occhipinti, Presidente della Strada del Vino -. A loro dobbiamo trasmettere la passione per il vino. Oggi però mancano i viticoltori, sono pochissimi: gli imprenditori ci sono, ma servono i viticoltori, quelli che si dedicano, mettendo mano alla coltivazione della terra, al recupero dei vigneti. Se avessi una bacchetta magica riporterei qui le vigne vecchie. Ce ne sono poche, e ultimamente si tende pure ad espiantarle. È pur vero che l’uva non viene pagata bene e in passato ci sono state scelte politiche che hanno facilitato l’estirpazione delle vigne. Ma dobbiamo imparare a ritornare alla terra - conclude Occhipinti -, a promuovere la viticoltura e questo lo dico soprattutto ai giovani, per continuare a raccontare la bontà di un vino, del nostro Cerasuolo”. ▣
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BEVI RESPONSABILMENTE
www.lambrusco.net
www.enzopancaldi.it - ph: Carlo Guttadauro, Archivio www.lambrusco.net
Erbe spontanee, una piacevole riscoperta sulle tavole pugliesi Oltre alla riscoperta di sapori e aromi che si credevano ormai perduti, non va trascurato anche il carattere salutare delle erbe spontanee, che sono senza dubbio benefiche per il nostro equilibrio psicofisico. di Nicoletta Curradi
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iò che colpisce di più in Puglia, osservando soprattutto il paesaggio della zona del Tavoliere, in provincia di Foggia, sono le enormi distese di campi dove si raccolgono le erbe spontanee, spesso molto più appetitose di quelle coltivate. I contadini, ma oggi anche i più raffinati ristoratori della zona, le raccolgono lungo le siepi o nei campi coltivati, soprattutto dopo le piogge: cicoriette, finocchietti selvatici, cardi, crespini, barbe di becco, asparagi, maragliuli raccolti insieme a squisiti funghi
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diffuse soprattutto in Grecia, in Italia sono un’esclusività pugliese. Due sono le varietà più note: la muscari racemosum autoctona e la muscari comosum, meno pregiata, più grossa e che può essere coltivata. Raccolti nel periodo estivo-autunnale, nella cucina pugliese sono l’elemento base di molti piatti caratteristici. Si Altra verdura caratteristica possono gustare freschi, di questa regione sono i sott’aceto o sott’olio. Esistono lampascioni, detti anche lambasciuoli o lampagioni, dal varie ricette, ma la più conosciuta raccomanda di sapore gradevolmente bollirli e mangiarli in insalata amarognolo e dalle proprietà conditi con olio, aceto e pepe lassative ed emollienti. insieme alla carne. Sono Si tratta di cipollette dal bulbo ottimi anche in umido, alla griglia, fritti, al forno. Si tratta ovale, biancastro, avvolto di erbe povere, economiche, in squame rossicce e che, come i cardoncelli, tipici del territorio murgiano, così chiamati perché crescono generalmente accanto ai cardi selvatici, o ai “paparuli” dal singolare gusto pepato, tipici delle boscaglie foggiane, e alle lumachine di terra che si raccolgono nei campi da luglio a settembre.
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In questa pagina, dall’alto in basso, asparagina e lampascioni. A pagina 124, borragine e cicorietta.
ormai sempre più difficili da trovare. Nella provincia di Foggia la verdura selvatica dà origine a uno dei piatti più tipici, la minestra maritata in cui scarola, cicoria, sedano
e finocchietti selvatici vengono cotti in brodo di carne e insaporiti con pancetta di maiale soffritta e pecorino. Anche il pancotto, tipico piatto povero pugliese, nato per riciclare il pane raffermo, richiede l’utilizzo
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di erbe spontanee, ma con notevoli varianti. Le erbe fanno parte delle ricette del pancotto foggiano, di quello di Troia e di Orsara di Puglia. Invece il pancotto di Ascoli Satriano prevede solo patate novelle, aglio e peperoncino.
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non va trascurato anche il carattere salutare delle erbe spontanee, che sono senza dubbio benefiche per il nostro equilibrio psicofisico. Antipasti, primi, secondi e contorni in tutti i ristoranti si avvalgono dell’apporto salutare delle erbe spontanee.
È tipica la presentazione del piatto all’interno di una grossa pagnotta svuotata.
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Oltre alla riscoperta di sapori e aromi che si credevano ormai perduti,
Che ricchezza in questi paesi della Puglia, così vicini tra loro, eppure così diversi anche nelle tradizioni culinarie! Questa diversità li rende davvero sorprendenti per chi li visita e ne può scoprire l’inestimabile varietà. ▣
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U O V A D I PA S Q U A , IL DOLCE MUST D E L L A P R I M AV E R A Scambiarsi uova come dono è una millenaria tradizione che si è evoluta nel corso dei secoli senza tuttavia perdere il fascino della sua antica simbologia rimasta tra sacro e profano. Testo e foto di Enza Bettelli
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n tempo erano solo uova di gallina, simbolo della vita, il dono augurale che ci si scambiava per festeggiare l’arrivo della primavera e la rinascita
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della natura. Probabilmente i primi a introdurre questa usanza furono i Persiani, imitati poi da Egizi, Greci e via via dagli altri popoli antichi. Le uova erano a volte decorate con semplici disegni mentre i Cristiani
le dipingevano di rosso, il sangue di Gesù. Si usavano colori vegetali e per abbellirle vi si facevano aderire foglie e fiori. Nel Medio Evo i nobili donavano uova di gallina alla servitù mentre quelle che si scambiavano
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tra loro erano di materiali preziosi ornati di gemme. Questa usanza raggiunse il massimo livello artistico alla corte dello zar Alessandro III Romanov che fece creare dall’orafo e gioielliere Carl Fabergé un incredibile uovo di platino smaltato, il suo dono pasquale per la zarina Marija Fëdorovna. L’uovo fu realizzato secondo il principio delle matrioske e racchiudeva un secondo uovo in oro che a sua volta nascondeva una corona imperiale in miniatura e un pulcino, anch’esso in oro. Fabergé continuò a creare uova preziose per gli zar di Russia fino ai primi del Novecento, piccoli capolavori orafi che oggi i collezionisti sono disposti a pagare cifre a sei zeri.
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’uovo di Pasqua diventa dolce
Nel XVII secolo la tradizione pasquale prende una svolta decisamente golosa con la realizzazione delle prime uova di cioccolato. Probabilmente ideate per un’altra corte, quella francese di Re Sole, le uova erano inizialmente di cioccolato pieno finché in Inghilterra, nella seconda metà del 1800, l’azienda dolciaria Cadbury di Birmingham, ancora oggi attiva, iniziò a produrne di cave. L’inserimento di un piccolo dono all’interno ha poi contribuito non poco a incrementare il gradimento A G R O ALI M E N T ARE I N T E RN A Z I ONAL E
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delle uova di cioccolato, pensate soprattutto per i bambini ma perfette anche come contenitore inconsueto per doni speciali e personalizzati da far racchiudere tra i due gusci di cioccolato. Fondente e al latte, erano questi i primi gusti del cioccolato per le uova pasquali, ma con il tempo e il progresso tecnologico le varianti si sono moltiplicate in una vasta gamma che prevede anche tipologie insolite: bianco, gianduia, al peperoncino, soia, senza lattosio, senza glutine e quant’altro la fantasia della produzione industriale riesce a creare per attirare nuove fasce di compratori. E la produzione è ormai talmente diversificata che si può scegliere anche l’uovo ad hoc
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QUESTE NON SI MANGIANO A Pasqua non si usa decorare la casa come a Natale, ma in alcuni Paesi del Nord si prepara comunque una sorta di albero utilizzando i gusci vuoti delle uova di gallina. Per svuotarle si pratica un forellino con un grosso ago ad entrambe le estremità, si soffia quindi nel guscio per farne uscire il contenuto e una volta sciacquati e lasciati asciugare i gusci vengono dipinti e infine appesi facendovi passare un nastro o una cordicella. I gusci vuoti, più o meno riccamente decorati, si utilizzano anche per comporre originali centro tavola. Sempre al Nord le uova di legno sono una decorazione per la casa e spesso è compito dei bambini dipingerle con colori vivaci. E infine, le imitazioni Fabergé sono sempre interessanti mentre le uova di alabastro e di marmo sono meno appariscenti ma di sicuro pregio.
per età e sesso e i bambini sanno già quale giochino o quale personaggio troveranno all’interno dell’uovo. Una scelta senz’altro mirata e più funzionale, ma dove la mettiamo la trepida attesa di una volta, quando l’uovo veniva rotto e finalmente si scopriva cosa nascondeva? Ma non solo cioccolato. Per la Pasqua dolce le uova sono anche di zucchero, con o senza sorpresa e colorate con i tenui colori della primavera. Quelle di marzapane sono di solito piccole e piene, simili ai cioccolatini, mentre quelle di croccante hanno spesso grosse dimensioni per racchiudere sorprese voluminose o pesanti.
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olorare le uova
Belle da vedere e buone da mangiare, le uova
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colorate allietano la tavola e fanno allo stesso tempo da antipasto, sistemate in un cestino o nei portauovo individuali che diventano un piccolo dono per i commensali. Per colorare le uova si usano i coloranti e i pennarelli per alimenti, che però si possono facilmente sostituire con i prodotti naturali. Per creare disegni personalizzati basta avvolgere intorno all’uovo da colorare qualche giro di spago da cucina, un pezzetto di tessuto a trama larga o fissarvi foglie e fiori, come si faceva una volta. I risultati migliori si ottengono con uova a guscio bianco, comunque tolte dal frigorifero con circa 30 minuti di anticipo. Per la cottura occorre una casseruolina per ogni colore nella quale versare un litro di acqua e mezzo bicchiere di aceto bianco, mantenendo sempre questa proporzione e controllando che le uova
restino ben coperte dal liquido colorato. Il colorante va sciolto nel mix di acqua e aceto e il tutto fatto sobbollire per una decina di minuti per concentrare il colore. Si immergono quindi le uova nel liquido bollente (ecco perché non devono essere fredde, o si rompono) e si fanno sobbollire per 5-6 minuti. Dopo essersi raffreddate nel liquido di cottura, le uova vanno asciugate con molta delicatezza tamponandole e non sfregandole con carta da cucina, quindi unte con un velo di burro per dare loro brillantezza. I colori? 3 bustine di zafferano per il giallo; 2 cucchiai di spinaci o di prezzemolo tritati per il verde; barbabietola grattugiata in quantità variabili per ottenere dal rosa al rosso; 2 cucchiai di succo di mirtilli per il viola. ▣
M A G A Z I N E M A R Z O 2 0 1 8 AGROAL I M E NT ARE I NT E RNAZ I ONAL E
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GRAND TASTING FINEST ITALIAN WINES Verona, 14 Aprile 2018
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