ASA Magazine Anno 1 – Numero 1 – Settembre 2017 – Rivista bimestrale
LA RIVISTA DELL’ ASSOCIAZIONE STAMPA AGROALIMENTARE ITALIANA Registrazione Tribunale Lg. 48/1948 – Tutti i diritti riservati – Dir. Resp. Roberto Rabachino
Inchiesta
La pasta, l’alimento principe sulla tavola degli italiani
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ASA al servizio della corretta comunicazione
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’Associazione Stampa Agroalimentare Italiana è uno strumento di raccordo e di sintesi, di stimolo e di supporto, di analisi e di costruttiva critica. La nostra mission è offrire supporto e collaborazione a tutti quei giornalisti e/o operatori dell’informazione che hanno nella serietà, nella moralità, nella sensibilità, nel rispetto e della deontologia professionale, le loro principali caratteristiche. Iniziative, progetti, eventi collegati ai nostri associati troveranno il giusto spazio all’interno del nostro sito, nei nostri social, nella nostra rivista e nella nostra newsletter inviata settimanalmente a più di 30.000 iscritti. Sensibile alle tematiche legate alla professionalità degli operatori della comunicazione di settore, ASA è anche uno strumento di formazione per i propri iscritti con un programma di corsi specialistici a loro dedicati in forma gratuita.
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ASA MAGAZINE n. 1 / 2017 – Settembre 2017 – Rivista Bimestrale Registrazione Tribunale Lg. 48/1948 Direttore Responsabile N. 1 / SETTEMBRE 2017 Rivista Bimestrale
Roberto Rabachino C.so Galileo Ferraris, 138 - 10129 Torino Tel. +39 011 5096123 - Fax +39 011 5087004 direttore.asamagazine@asa-press.com
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Enza Bettelli C.so Galileo Ferraris, 138 - 10129 Torino Tel. +39 011 5096123 - Fax +39 011 5087004 redazione.asamagazine@asa-press.com bettelli@asa-press.com
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Comitato di Redazione e Controllo
Roberto Rabachino, Giorgio Colli, Patrizia Rognoni, Riccardo Lagorio e Saverio Scarpino
Hanno collaborato a questo numero
Roberto Rabachino, Marcello Masi, Enza Bettelli, Jimmy Pessina, Rosanna Cavaglieri, Gudrun Dalla Via, Giovanna Turchi Vismara, Paolo Alciati, Lorenzo Poggianella, Silvana Delfuoco, Nicoletta Curradi, Giorgio Colli, Salvatore Longo, Riccardo Lagorio, Carmen Guerriero
Per la fotografia
Jimmy Pessina, Roberto Rabachino, Gladys Torres Urday, Carmen Guerriero, Enza Bettelli e immagini di Redazione
Sommario L’importanza di comunicare
a cura di Roberto Rabachino, Presidente Nazionale ASA
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APPROFONDIMENTO Siamo davvero sicuri che semplificare sia la cosa migliore da fare? di Marcello Masi La pasta, l’alimento principe degli italiani di Riccardo Lagorio Ayur-Veda, saggezza millenaria per longevità e salute perfetta di Carmen Guerriero
BIO Anche nel “BIO” piccolo è bello di Gudrun Dalla Via Contro lo spreco scegli vegetali brutto anatroccolo di Rossana Cavaglieri
TURISMO NAZIONALE Salento: Sacro&Profano
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di Jimmy Pessina
TURISMO INTERNAZIONALE Belgrado. La Città Bianca tra Oriente e Occidente di Enza Bettelli Da Tirano a St. Moritz tra lusso, alta cucina e mondanità di Jimmy Pessina Arcipelago della Bahama. La Svizzera tropicale di Jimmy Pessina Corsica, l’isola dai tanti volti e da vivere in tutte le stagioni di Giovanna Turchi Vismara
AGROALIMENTARE NAZIONALE Il gianduiotto, 152 anni e non sentirli di Paolo Alciati Il multiforme gusto del Gargano di Nicoletta Curradi
AGROALIMENTARE INTERNAZIONALE California Roll di Lorenzo Poggianella Il mondo agroalimentare francese
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di Salvatore Longo
NEWS DALL’ITALIA Un tartufo “tagliato per il design” di Silvana Delfuoco Pietre e gola di Riccardo Lagorio Con Tipicità è ripartito il futuro di Jimmy Pessina RAI2: Signori del Vino
NEWS DAL MONDO Riflessioni su Vinexpo 2017 di Giorgio Colli ANUGA business e futuro di Salvatore Longo
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L’importanza di comunicare
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a comunicazione costituisce il fulcro di ogni dinamica sociale e plasma integralmente la vita dell’uomo. Comunicazione è conoscenza, informazione, cultura e quindi, sviluppo e condivisione.
Solo da pochi decenni ne è stata riconosciuta la centralità, nelle società più statiche del passato aveva un ruolo marginale. Anche sul piano interpersonale si sono registrate profonde trasformazioni che rendono sempre più rilevante e nevralgico il ruolo del comunicare: nelle relazioni di coppia, nella famiglia, nella scuola, sul lavoro, nel rapporto tra pubblica amministrazione e cittadini, tra produttori e consumatori.
È appunto grazie all’avvento del “democratico sviluppo dei media” che la comunicazione è divenuta l’elemento più distintivo dell’epoca attuale. Eppure nonostante l’evoluzione tecnologica e la diffusione di nuovi strumenti, con il crescente afflusso di informazioni e messaggi, la qualità dello scambio è a rischio. Comunicare non deve e non può coincidere solo ed esclusivamente con la semplice trasmissione di un messaggio. Nel senso pieno del termine la comunicazione è infatti un processo complesso di interazione e cooperazione fra più attori, di cui l’informazione è solo uno degli elementi. Anche i media e l’informazione, e in modo particolare associazioni come la nostra, sono chiamati a questo compito, nell’ottica di un contributo allo sviluppo professionale della comunicazione di settore e della corretta informazione. Questo è il motivo che ci ha spinti a creare questo nuovo “magazine”! Un consenso comune sull’importanza della partecipazione, e quindi degli strumenti di informazione e comunicazione, sarà la caratteristica peculiare della nostra linea editoriale. Sono (siamo) certi che anche noi sapremo offrire il nostro sostegno per una corretta e laica informazione in un settore fondamentale per il benessere dell’intera umanità. Buona comunicazione a tutti! Roberto Rabachino, Presidente Nazionale ASA
Siamo davvero sicuri che semplificare sia la cosa migliore da fare? Come è noto il linguaggio si evolve di continuo. Nascono tutti i giorni nuove parole e nuovi modi di dire. di Marcello Masi – Conduttore Linea Verde RAI1
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ra le nuove generazioni la comunicazione si rinnova, grazie alla rete globale, ancor più rapidamente. In questa trasformazione senza pause è coinvolta tutta la società. Naturalmente alcune epoche, alcuni periodi storici, sono stati più fecondi, altri
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meno dinamici. Le novità linguistiche di tutte le epoche hanno formato il linguaggio che scriviamo e parliamo tutti i giorni, indispensabile per comunicare le nostre idee, le nostre esigenze, i nostri pensieri. Eppure i nostri anni ci hanno ormai abituato a qualcosa di rivoluzionario. Grazie alle immagini, infatti, molte
parole sono diventate quasi superflue. Le distruzioni provocate da un cataclisma, la morte violenta di un uomo o un bacio appassionato visti in tv, sul computer o al cinema hanno travolto il nostro modo di comunicare. In questo senso la pubblicità è l’esempio più evidente di
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questa rivoluzione senza precedenti. In molte campagne l’uso delle parole è stato semplicemente abolito. Del resto l’emozione si trasmette più facilmente con un’immagine che tutti possono immediatamente comprendere piuttosto che con una frase, magari complessa. Inoltre l’immagine è universale e non ha bisogno né di traduzione né di traduttori. Di conseguenza anche la parola ha subito un’accelerazione violenta. Per rimanere al passo della forza dirompente dell’immagine la parola si è trasformata in concetto, in titolo, in slogan. Se a un nostro figlio o nipote gli si chiede come va e lui risponde “scialla”, questo significa molte cose insieme. Questa parola arabeggiante, di origine controversa, ma usatissima dagli under 30, più che una parola è un contenitore di stati d’animo, di emozioni, non necessariamente positivi e non necessariamente negativi. La traduzione di “scialla” va supportata, per essere pienamente compresa, dalle espressioni del viso di chi la pronuncia. Nello stesso tempo “scialla” è un concetto omnicomprensivo capace di sintetizzare un discorso.
Anche i media sempre più spesso rincorrono l’immaginazione, l’unica alternativa efficace dell’immagine. Ed ecco spuntare: “mani pulite”, “calcio scommesse”, “riscaldamento globale”, “furbetti del quartierino”, “films pulp”, “Milano da bere”, “Roma ladrona”, “cerchiobottismo”, “metanolo” eccetera, eccetera… eccetera. Insomma la parola per difendere la sua dignità e la sua stessa sopravvivenza oggi cerca aiuto nei migliaia di collega-
menti immediati che i nostri neuroni possono realizzare in un istante leggendo o sentendo un concetto. Una semplificazione linguistica che apre, però, un universo. Un contenitore capace di sintetizzare vicende sulle quali sono stati versati mari d’inchiostro chimici, naturali o virtuali che siano. Questa rivoluzione è ormai nel Dna di ognuno di noi e non possiamo più farne a meno. Per farsi comprendere da sempre più vaste platee i comunicatori fanno
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spesso ricorso a parole che colpiscono immediatamente, senza spiegazioni e tanto meno approfondimenti. Ed è proprio in questa coda che si nasconde il veleno. Siamo davvero sicuri che semplificare sia la cosa migliore da fare? A mio modesto parere una cosa è parlare correttamente e con termini comprensibili da tutti, altra cosa è semplificare ad ogni costo. Un esempio per tutti: “chilometri zero”. Questa espressione negli ultimi mesi è diventato un vero e proprio tormentone. Non c’è discorso “ecosostenibile” che non contenga questa espressione. Eppure “chilometri zero” non sono sinonimo di qualità e garanzia di attenzione all’ambiente. Vi ricordo che potrebbero servirvi un bel piatto di spaghetti alle vongole, o una bella pizza al pomodoro rigorosamente a chilometri zero senza che voi siate felici. Se nel primo caso vi trovaste in un ristorante di un porto pieno di rifiuti industriali e residui di petrolio e nel secondo in una pizzeria che innaffia i propri pomodori con le acque di un fiume inquinato. ▣
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o scenario
La consultazione pubblica online sulla trasparenza delle informazioni in etichetta dei prodotti agroalimentari, svolta sul sito del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali nel corso del 2016, a cui hanno partecipato 26mila cittadini, ha evidenziato che oltre l’85% degli Italiani considera impor-
La pasta, l’alimento principe sulla tavola degli italiani
Pregi e problemi di questo prodotto per il quale l’obbligo di origine in etichetta rappresenta un importante passo avanti per la massima trasparenza verso i consumatori e una maggiore tutela dei produttori. di Riccardo Lagorio
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tante conoscere l’origine delle materie prime per questioni legate al rispetto degli standard di sicurezza alimentare. In particolare ciò avviene per la pasta. E la pasta, come si sa, è l’alimento principe sulla tavola degli Italiani. Tuttavia la segnalazione dell’origine del frumento sulle scatole di pasta che mettiamo nel carrello della spesa risulta essere ancora tabù per molti pastai. Con l’obiettivo di chiarire l’origine del frumento, il Ministero delle Politiche agricole ha inviato a fine dicembre 2016 a Bruxelles, per la prima verifica, uno schema di decreto che introduce la sperimentazione dell’indicazione obbligatoria in etichetta dell’origine per la filiera grano-pasta in Italia. Il 20 luglio di quest’anno, nelle more di
una risposta che sarebbe dovuta arrivare da Bruxelles, il governo italiano ha giocato d’anticipo. Anche con l’intento di esercitare pressione affinché l’Unione europea si decida a emanare una norma sulla trasparenza dell’origine delle materie prime in etichetta e in barba a eventuali infrazioni che l’UE dovesse rilevare. È il sito stesso del MIPAAF a chiarire quali sono i punti fondamentali per l’etichettatura della pasta prodotta in Italia. Si specifica il nome del Paese nel quale il grano viene coltivato e il Paese di molitura. Se le fasi avvengono nel territorio di più Paesi si possono utilizzare le diciture: Paesi UE, Paesi non UE, ovvero Paesi UE e non UE. Se almeno il 50% del grano duro è col-
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tivato in un solo Paese, è ammessa la menzione del Paese e altri Paesi (UE o non UE). Alla base dell’opposizione all’ingresso di frumento estero pare vi siano anche ragioni di tipo salutistico, come l’utilizzo di erbicidi, tra
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ciazione delle industrie del dolce e della pasta italiane (AIDEPI) che considera la formula adottata sbagliata e in grado da confondere. La vera soluzione per incentivare trasparenza, qualità e competitività della filiera sono i contratti di coltivazione tra pastai e agricoltori, mentre parlare di etichetta sposta l’attenzione dal vero problema e cioè che
Antonio Sgambaro vent’anni fa decide di imprimere una svolta all’attività di famiglia con la decisione di produrre pasta biologica perché egli stesso allergico ai residui dei pesticidi. Ma non era possibile allora, racconta. Tuttavia Oggi il grano viene pagato abbiamo trovato il modo per 19-20 euro al quintale. evitare di utilizzare frumento Ovvero, per ogni ettaro, ad straniero, colpito da elevate un agricoltore vanno 700-800 quantità di pesticidi. Abbiamo euro; a fronte di costi di procoinvolto all’iniduzione pari a zio coltivatori 800-1000 euro. pugliesi ai quali È chiaro, comgarantivamo menta in una premi sul prezzo nota la CIA, la del grano per Confederazione Dove si coltiva il grano quotidiano. la produzione Italiana L’Italia è il principale produttore europeo di di frumento ad Agricoltori, che grano duro destinato alla pasta. La produzioelevato conteprima di tutto ne annua è di 4,9 milioni di tonnellate mentre nuto proteico serve un prezzo la superficie coltivata raggiunge 1,3 milioni e già nel 2001 che consenta di ettari, concentrati soprattutto in Puglia eravamo in agli agricoltori e Sicilia, che da sole rappresentano il 42% grado di prodi fare reddito. della produzione nazionale. A seguire Marche, durre pasta di Quello proposto Basilicata e Campania. Nonostante ciò sono grano duro itadalla domanda ben 2,3 milioni di tonnellate di grano duro liano certificato. di mercato è un che arrivano dall’estero in un anno senza che Ben prima che prezzo inaccetquesto venga reso noto ai consumatori in diventasse quetabile: a queste etichetta. stione di “sghei”. condizioni non Da questa conconviene proquista è nata durre. Tanto che a luglio 2016, proprio in occa- il grano italiano è oggi ancora una sensibilità aziendale insufficiente a soddisfare le che ci ha portato a ricersione della trebbiatura, si è esigenze dei pastai. care luoghi idonei alla coltideterminata una situazione vazione di grano vicini alla paradossale di immissione sul sede aziendale come l’Emimercato di ingenti quantità di lia e la bassa Lombardia per grano da oltreoceano, tale da e risposte del evitare emissioni di CO2, ma spingere il presidente naziomercato anche improntare l’azienda nale Dino Scanavino a invoverso una cultura rispetcare lo sciopero della semina. In questo scetosa dell’ambiente e che utiIn attesa che i prezzi risalisnario c’è chi ha lizza energia pulita. Da quella sero a livelli da permettere un privilegiato da anni l’utilizzo volontà è nata una filosofia di minimo di redditività. di frumento italiano. Come vita e un imprinting aziendale, il Pastificio Sgambaro, che insomma. Ma soprattutto, da Di tutt’altro parere l’Assoha sede nel Trevigiano. Pier cui il glifosato, prima della raccolta. Ma con implicazioni dirette anche sull’economia di un settore, quello agricolo, minacciato dall’ingresso in Italia da frumento straniero.
QUESTIONE DI NUMERI
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apripista, abbiamo sconquassato un sistema che pensava di produrre pasta con grani stranieri dice con orgoglio.
duttivo, ha portato a compimento il progetto di creare una filiera completa dal grano alla pasta. Questa prevede il coinvolgimento di tutti gli attori di questo processo: aziende agricole, stoccatori, società sementiere, agronomi e ovviamente molino e pastificio. La finalità è poter disporre di grano 100% italiano, indi-
dizionali di grano duro e una remunerazione garantita agli agricoltori. Dal canto suo il pastificio ha la garanzia di ricevere un frumento dall’alto valore proteico, almeno il 14%, ci dicono. Le aziende agricole coinvolte sono 700 per oltre 10mila ettari coltivati a grano. Un modo concreto per salvaguardare l’agricoltura italiana, insomma.
Nel Teramano, tra le mura di un altro pastificio, si indica già l’origine italiana della semola. Anzi, nel caso del frumento San Carlo si tratta di grano raccolto nei terreni di proprietà dell’azienda stessa, vicinissimi allo Salvatore stabilimento Curcio, ingedi produzione. gnere civile siciMassimo Di liano, è tornato Felice, responin maniera prosabile qualità Grano tenero o grano duro? rompente alla del pastificio Si tratta in verità di specie vegetali differenti, terra e ha scelto Verrigni, non si dalle quali si ottengono prodotti diversi. La il frumento stupisce che si farina bianca (tipo 00, 0, 1 o farina integrale) Bidì, suggepossa produrre deriva dal grano tenero, mentre il grano duro rito dall’istituto pasta con grano dà vita alla semola. Una legge del 1967 e un di Granicoltura esclusivamente DPR del 2001 prevedono che il termine pasta di Caltagirone, italiano, specie si possa utilizzare solo se la materia prima è per creare una quando come semola (salvo un 3% di farina di grano tenelinea di pasta noi si conoscono ro). che da quattro i produttori e se anni viene utilizne apprezza la zata nei migliori rispettabilità da ristoranti dell’isola. L’idea mi spensabile per produrre anni. è nata mentre osservavo le pasta premium, riconosciterre dove sono cresciuto. E, bile dall’etichettatura, Pasta Poi c’è chi come la famicon l’obiettivo di elaborare un Armando. Vengono stipulati glia De Matteis, grazie alla modello di agricoltura etica appositi contratti che prevepresenza di un molino intedono la semina di varietà tra- e sostenibile per ricavare grato nel proprio ciclo pro-
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QUESTIONE DI GRANO A proposito di celiachia Il glutine è un componente del grano che ha funzioni di riserva per la crescita del germe. Tra i suoi composti compaiono la gliadina e la gluteina, una proteina solubile in presenza di ambiente basico ma non in ambiente acido. Il grano primitivo conteneva uno scarso quantitativo di glutine ed era dotato di un equilibrio dei suoi componenti. Anche la varietà Senatore Cappelli garantiva queste caratteristiche. Sino agli anni Sessanta. Nel 1974, per ovviare a problemi di allettamento del Senatore Cappelli, un gruppo di ricercatori del CNEN (Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare) indusse una mutazione genetica del grano duro esponendolo a raggi gamma e incrociandolo con varietà americane. Si ottenne un frumento nano, con più alta produttività e precocità. Si ottenne un grano non-OGM, ma dal corredo cromosomico alterato. Pare che la modifica genetica del frumento sia correlata alla modificazione della gliadina, in grado di produrre il malassorbimento da parte del corpo umano. Inoltre si importa dagli Stati Uniti, dal Canada e dall’Ucraina una varietà di grano denominata Manitoba. Questa possiede 28 coppie di cromosomi in ogni cellula. Ma per millenni nel bacino mediterraneo e in Medio oriente si è consumato frumento con un corredo cromosomico pari a 14. Anche la variabilità genetica potrebbe contribuire, secondo alcuni, a scatenare reazioni allergiche, disordini immunitari e intolleranze. Che non sono imputabili al frumento in sé, ma alla sua manipolazione e alla sua origine.
dai miei campi cibo buono e sano, mi sono attrezzato per mettere a coltura i terreni che mio nonno e mio padre utilizzavano. La produzione di grano è di circa 3800 kg per ettaro, secondo i principi dell’agri-
coltura bioetica, senza utilizzo di sostanze chimiche o di sintesi. Impossibile rimanere indifferenti agli intriganti nomi della dozzina di formati, tutti trafilati in bronzo: dai Soffi di Eolo, simili a gnocchetti, ai Giri di Gioia, affini ai
fusilli. Ma, una volta assaggiata, diventa soprattutto difficile rinunciare a questa pasta saporita e dal colore brunogrigiastro. ▣
T U T T I A FA R E I L T I F O P E R I L S E N AT O R E C A P P E L L I Nel 1915 presso il Centro di Ricerca per la Cerealicoltura di Foggia, Nazareno Strampelli riesce a ottenere, per selezione genealogica, da un frumento nordafricano, una nuova varietà a cui viene conferito il nome di Senatore Cappelli. Il Cappelli a cui ci si riferisce è il Marchese Raffaele, senatore del Regno d’Italia, impegnato nelle trasformazioni agrarie in Puglia e sostenitore dell’attività di Strampelli per mezzo di campi sperimentali, laboratori e risorse.
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CONSORZIO TUTELA VINI DELLA MAREMMA TOSCANA
diversificate che incidono profondamente sulle caratteristiche della
Il Consorzio Tutela Vini della Maremma Toscana nasce nel 2014
Attraverso la partecipazione a manifestazioni internazionali o la
dopo il conferimento della DOC con l’obiettivo di promuovere la qualità dei suoi vini e garantire il rispetto delle norme di produzione previste dal disciplinare, dedicandosi, inoltre, alla tutela del marchio
ricca e variegata gamma di vini proposta.
presenza presso sedi istituzionali sia in Italia che all’estero, il Consorzio è inoltre impegnato nella valorizzazione della Denominazione Maremma Toscana e del territorio da cui essa proviene con l’obiettivo
e all’assistenza ai soci sulle normative che regolano il settore.
di far conoscere la peculiare produzione della Maremma Toscana
Oggi il Consorzio conta 269 aziende associate, di cui 193 viticoltori
risalgono ai tempi degli Etruschi.
(per la maggior parte conferenti uve a cantine cooperative), 1 imbottigliatore e 75 aziende “verticali” - che vinificano le proprie uve e imbottigliano i propri vini - per un totale di 5,5 milioni di bottiglie
DOC e la storia di questa originale zona vitivinicola, le cui origini
Importanti azioni di incoming destinate a operatori del settore italiani e stranieri, oltre a un ricco programma di eventi, tavole rotonde e
prodotte all’anno.
convegni, permettono al Consorzio di presentare l’eterogenea realtà
Il Consorzio opera nell’intera provincia di Grosseto, una vasta area
storica e culturale, promuovendo al contempo le migliori tecnologie
della Maremma non solo enologica, ma anche turistica, agricola,
nel sud della Toscana che si estende dalle pendici del Monte Amiata e raggiunge la costa maremmana e l’Argentario fino all’isola del Giglio, corrispondente alla zona di produzione della DOC Maremma Toscana, dove sono presenti 8.770 ettari di vigneto. Un’area geografica caratterizzata da condizioni pedoclimatiche molto
nel rispetto della natura. Lo scopo della DOC Maremma Toscana è oggi quello di affascinare e stupire gli amanti del bello e del buono di tutto il mondo, valorizzando le diversità di questo sorprendente territorio e ampliando gli orizzonti del gusto toscano attraverso la varietà e la qualità di questi pregiati vini.
www.consorziovinimaremma.it | info@consorziovinimaremma.it
AY U R - V E DA saggezza millenaria per
longevità e salute perfetta Coltivare la coscienza e la meditazione sono tra i passi fondamentali per raggiungere l’armonia tra mente e corpo Testo e foto di Carmen Guerriero
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icordo ancora oggi, con commozione, i miei timidi approcci all’Ayur-Veda, il sistema di conoscenze mediche naturali ultramillenario, la “Scienza della Vita” per la “Salute perfetta” che coltiva l’equilibrio di mente e corpo. “Ayur-Veda Amritanam”, ovvero, l’Ayur-Veda è per la longevità, recita il Carata Samhita, il testo più antico
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ed autorevole dell’Ayur-Veda, risalente a molte migliaia di anni fa, che ne definisce gli scopi. Esiste, infatti, una stretta correlazione tra la mente ed il corpo, tra il modo in cui pensiamo e sentiamo ed il modo in cui il nostro corpo funziona, per il quale, anche secondo la moderna neuroimmunoendocrinologia, ogni pensiero ed ogni emozione sono in grado
di innescare una serie di reazioni biochimiche a catena, con effetti nella produzione di ormoni specifici e nell’attivazione del sistema immunitario. A tali risultati era già pervenuta l’Ayur-Veda, oltre 5000 anni fa, concludendo che “la materia è in posizione subordinata rispetto alla coscienza individuale”. “Noi non siamo materia fisica
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che ha imparato a pensare – ha affermato il dott. Chopra, ma, piuttosto, pensieri che hanno imparato a creare”. L’idea che corpo e anima possono crescere e svilupparsi soltanto insieme, si trova in tutte le culture antiche. Si pensi al modello greco di scuola e di educazione proposto da Aristotele nella Politica, ed a quello, poi, quello di Giovenale nelle Satire (X, 356) , dove il mens sana in corpore sano tendeva a stigmatizzare la vanità dei valori o dei beni (come ricchezza, fama e onore) che gli uomini cercano, con ogni mezzo, di ottenere. Solo il “sapiens” si rende conto che tutto ciò è effimero e, talvolta, anche dannoso. “L’uomo dovrebbe aspirare a due beni soltanto: la sanità dell’anima e la salute del corpo; queste dovrebbero essere le uniche richieste da rivolgere alla divinità che più degli esseri umani sa di cosa ha bisogno l’uomo stesso. Per godere di uno stato di salute perfetta è, dunque, necessario, in primo luogo, coltivare la coscienza. L’Ayur-Veda è un insieme di tecniche cognitive in grado di ravvivare la “vigilanza”, la scintilla dell’intelligenza interna che opera costantemente in noi, per attivare il processo di coscienza del sé
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e influenzare profondamente tutto il corpo. La più semplice ed universale tra queste tecniche mentali è la MT, Meditazione trascendentale, che non è una religione, né una filosofia, né si basa sulla concentrazione, ma consiste in un naturale “abbandono” al riposo silenzioso, anche per pochi minuti al giorno, per eliminare lo stress e la fatica accumulati e rivitalizzare la fisiologia. Durante la meditazione,
l’organismo sperimenta uno “stato ipometabolico di riposata vigilanza”, differente, dal sonno (come ebbe a documentare il dott. Wallace, fisiologo americano, sulla prestigiosa rivista “Science”del 1972), che consente di avvicinarsi sempre più alla conoscenza di sé, dei proprio limiti, alla sperimentazione della saggezza della mente, del corpo e del respiro, per un diffuso miglioramento generale delle proprie condizioni. L’equilibrio mentale influenza positivamente quello fisico che riceve consapevolezza e contribuisce ad affinare com-
portamenti alimentari adatti a mantenere o promuovere la salute attraverso i 5 sensi. In particolare, il senso del gusto rivela non solo i sapori (dolce, amaro, salato, acido, astringente e piccante), ma il contenuto, la qualità ed anche le conseguenze che un determinato alimento può avere sulla nostra costituzione. Colori (cromoterapia), profumi (aromaterapia), sapori, sensazioni (caldo e freddo), percezioni e suoni, sono componenti fondamentali alla base di una buona dieta ayurvedica, ma l’equilibrio è definito dalla quantità, che deve variare secondo le caratteristiche costituzionali del soggetto, in base al sistema tridoshico. Attraverso la costante e corretta osservanza delle regole in accordo al principio Tridoshico (Vata, aria/movimento, Pitta, fuoco/trasformazione, Kapha, assimilazione/ stabilità), ogni individuo è in grado di sperimentare uno stato di armonia tra mente e corpo che porta al controllo, alla stabilità e di conseguenza all’equilibrio della salute, per realizzare, nel tempo, la naturale vocazione ad uno stile di vita sano, felice e longevo. Una maggiore consapevolezza per trasformare la propria vita. ▣
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Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese
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#ILTUOFUORIPORTA
Sai che esiste un luogo ricco di natura, emozione, cultura e gastronomia a pochi passi da te? L’Oltrepò Pavese con le sue colline, i fiumi, i borghi storici, le terme, i vini e la buona tavola ti invita per una gita fuori porta o una lunga vacanza. Grazie alle sue strutture ricettive, l’Oltrepò Pavese è il posto ideale per trascorrere meravigliosi momenti con la tua famiglia e i tuoi amici. Lasciati ispirare dai numerosi percorsi che si snodano tra le colline o lungo il Grande Fiume, goditi una passeggiata tra i verdi filari di vite, concediti una piacevole pausa sotto il bersò di un ristorante con i piatti tipici della zona, accompagnati dagli ottimi vini per cui l’Oltrepò è famoso e conosciuto da sempre. E adesso rilassati, sei in Oltrepò Pavese.
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Così vicino, così sorprendente.
Anche nel “BIO”, piccolo è bello Avere la certezza di trovare, durante tutto l’anno, alimenti provenienti da coltivazione biologica, nei supermercati vicino a casa oppure nei negozi specializzati, ormai molto numerosi: ecco, si tratta di una grande fortuna, anche se diventata ormai quotidianità irrinunciabile. Teniamo però presente anche le coltivazioni “bio” più piccole, a chilometro zero o quasi, cioè in aziende vicino alla nostra abitazione, oppure addirittura… sul nostro balcone o terrazzo. di Gudrun Dalla Via Foto: Attilio Locatelli/Cascina Coldognetta – Stefano Longoni/Agraria del Murné
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n piccolo produttore vicino a casa. Che cosa chiedere.
Magari ci passate vicini più volte nel giro di pochi giorni, o lo vedete nel mercatino
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locale, una o due volte alla settimana, oppure si tratta di un agriturismo dove qualche volta vi piace mangiare, rilassarvi, far giocare i bambini. E vi hanno detto che coltivano ortaggi, piante aromatiche e magari frutti di bosco in modo biologico. Quale occa-
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sione migliore per fare un po’ di scorta da portare a casa? Cose fresche, appena raccolte: al supermercato, anche nelle migliori condizioni, frutta e verdura avranno comunque qualche giorno di vita. Oppure confetture o altre conserve, preparate con metodi tradizio-
nali – quante tentazioni! Ma… ci sarà da fidarsi? Questi piccoli produttori, dei quali magari siete nel frattempo diventati anche amici, vi assicurano di aver coltivato tutto secondo le regole del “biologico”. Però non riescono ad esibire la certificazione degli Enti preposti al controllo. I motivi sono diversi. Solo i prodotti confezionati possono essere muniti dei contrassegni con la certificazione “da coltivazione biologica”. Se andate personalmente nel campo a scegliere i pomodori, i cavoli o le rape da portare a casa, ciò ovviamente non è fattibile. Né lo è per le carote esibite sul banchetto al mercato rionale.
Chiedere ed ottenere la certificazione “bio” è impegnativo e costoso, perché comporta regolari controlli e pratiche burocratiche non indifferenti. Questo impegno e costo può essere sostenuto solo da aziende che abbiano costantemente un certo livello di produzione. I piccoli o piccolissimi produttori non se lo possono permettere, pur se lavorano con impegno e scrupolo. Come fare allora per distinguere un produttore seriamente impegnato, magari vicino a casa vostra, da qualche “ecofurbo”? (Purtroppo, come in tutti i settori, ne esistono anche qui…) Forse non siete (ancora)
grandi esperti delle coltivazioni “bio”. Però qualche domanda mirata potrebbe esservi utile per capire, sia la motivazione sia il metodo usato dal vostro potenziale fornitore. Ecco alcuni suggerimenti: Se vi propongono delle patate “bio”, chiedete dove si riforniscono della “semenza”, delle patate da piantare. In effetti, non è, oggi come oggi, facilissimo trovarle da coltivazione biologica, ma… è possibile. Un vero appassionato saprà anche dirvi il nome delle varietà piantate e le loro caratteristiche. Chiedete come si difendono dalle piante infestanti. (In agricoltura/orticoltura convenzionale si ricorre al diserbo chimico, che però costituisce uno dei più gravi problemi di residui tossici in ciò che mangiamo; vedi anche sul sito ASA, piattaforma BIOLOGICO, convegno http:// www.asa-press.com/bio2016/ bio2016-index.html). Non esistono ad oggi prodotti naturali per il diserbo, da spargere semplicemente su terreno. Le alternative sono: - Diserbo manuale - Diserbo termico (con un piccolo e maneggevole attrezzo che procura uno shock termico alle piante infestanti e le fa disseccare in pochi giorni). - Pacciamatura o copertura del terreno.
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La prima può essere eseguita con materiali organici come sfalcio d’erba, cortecce o legno frantumato, cartoni, lapillo vulcanico. La seconda è in uso da alcuni anni. Però in agricoltura “bio” si rinuncia all’uso della pla-
stica e si ricorre a materiali di origine organica, come per esempio i polimeri di mais, che si decompongono entro un anno, però permettono di coprire ugualmente il terreno, mantenendolo ad una temperatura mite e costante, ad una
umidità giusta, e impedendo il proliferare di piante indesiderate. Gli ortaggi vengono semplicemente piantati entro piccoli fori praticati nel manto di copertura.
CHIEDETE ANCHE Come si concima? Ottimo il compost, meglio se di produzione propria, oppure sostanze naturali come per esempio la cornunghia. Bene anche lo stallatico, in polvere o in pellet. NO per i vari nomi di fantasia, dietro i quali solitamente si nascondono i concimi di sintesi. Sarà la passione che traspare dalle parole del vostro interlocutore a convincervi del suo impegno sincero per una terra sana e prodotti sani. Magari vi parlerà di energie rinnovabili, di risparmio di acqua, nell’irrigazione, di conservare la fertilità e la stabilità del suolo, di biodiversità – tutti argomenti che dimostrano un suo vero interesse nell’argomento.
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dealisti o realisti?
Per impegnarsi nel “bio”, occorre essere idealisti? All’inizio, venti o trent’anni fa, probabilmente era così. Nel frattempo, i consumatori hanno cominciato a comprendere il valore di un’alimentazione sana e la sua importanza anche per la salute dell’ambiente e il futuro del nostro pianeta, e quindi coltivare “bio” è diventato un business, un mestiere quasi come un altro (anche se una buona dose di ideali non guasta …). Però è sempre bello parlare con i pionieri, quelli che da
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molti anni si impegnano a diffondere il messaggio e che – magari in dimensioni territoriali ridotte – coltivano con metodi rigorosamente biologici o biodinamici. Noi abbiamo parlato con Attilio Locatelli, il quale ha fondato una azienda pilota in Valsassina, una trentina d’anni fa, – un’iniziativa che ha coinvolto poi decine di altre aziende “bio”, di dimensioni piccole o medie, nella zona. La Cascina Coldognetta oggi è un agriturismo che accoglie, tra l’altro, pullman di bambini, curiosi di avere un contatto con la terra, ad imparare “come si coltiva una carota”, a fare il “percorso dei sensi”. La trasmissione su MelaVerde ha riscosso un entusiasmo tale che è andata in onda una seconda volta, e si attende un seguito. Una curiosità: il “bio”, in questo caso, non si limita ad ortaggi e frutti, ma vengono prodotti anche vari tipi di caramelle ed alcuni cosmetici, questi ultimi – ovviamente – anche senza parabeni o petrolati, senza silicone, cruelty-free, ecc. Attilio riferisce, con l’entusiasmo che gli è proprio, degli studi in corso sulla naturale fertilità del terreno, su funghi e batteri amici della fertilità e antagonisti di insetti dannosi, e molto altro ancora… BI O
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n giardino, sul terrazzo, sul balcone
Avete mai pensato di coltivare non solo i fiori ma anche qualche ortaggio o pianta aromatica, in pochi metri quadrati di terra, oppure in cassette? Il raccolto è limitato a pochi mesi all’anno (a meno che vi portiate qualche vaso sul davanzale interno delle finestre), ma le soddisfazioni sono immense.
due anni fa ha aperto un centro (Agraria del Murné) ad Airuno in provincia di Lecco ed è già diventato un punto di riferimento per tanti coltivatori piccoli o hobbisti. Egli proviene da una famiglia di coltivatori “convenzionali” (scioccati per le sue scelte) e si dedica con passione alla ricerca, allo studio, alla sperimentazione, allo scambio di informazioni, all’organizza-
Da dove cominciare? Per andare sul sicuro, rivolgetevi ad un fornitore affidabile per prodotti “bio”, sia di semenze e piantine, sia di quanto vi serve come terriccio, per concimare, eccetera, e che sia disponibile a darvi tutti i consigli per cominciare e per proseguire nell’impegno. Noterete però che chi si impegna nel “bio” è motivato e molto ben disposto a darvi suggerimenti. Ne abbiamo parlato con Stefano Longoni, che circa
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zione di incontri formativi. Chi avesse qualche dubbio sulle proprie possibilità di coltivarsi degli ortaggi rimarrà folgorato dalle cassette fuori dal suo negozio, dove in poco spazio si vedono melanzane meravigliose, peperoni, pomodori, zucchine, fagiolini, insalate… tutte coltivate in cassette. E tutte coltivate – ovviamente – con criteri “bio”. ▣
Contro lo spreco scegli i vegetali brutto anatroccolo Mele piccoline, carote un po’ storte. Sono buone, sane e non hanno niente da invidiare alle cugine perfette che fanno bella mostra di sé sui banchi del supermercato. Le trovi ai mercatini bio o presso le aziende che vendono direttamente al pubblico. di Rossana Cavaglieri Foto di Enza Bettelli
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l rientro, per ricominciare sotto il segno dei buoni propositi, fai un regalo alla natura. Porta in tavola i frutti e gli ortaggi un po’ sgraziati, le seconde scelte, le mele piccole o le carote storte. Oltre a risparmiare concedi una possibi-
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lità a questi brutti anatroccoli vegetali destinati nella maggior parte dei casi a marcire sui campi, quando l’industria non li ricicla in succhi e mangimi. Lo rivela un rapporto dell’associazione inglese Global Food Security: il 40 per cento dell’ortofrutta prodotta non arriva nemmeno al negozio. “Succede anche
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da noi: ogni anno per ragioni estetiche si butta l’equivalente di centomila TIR di ortofrutta” osservano gli esperti del Last Minute Market, organizzazione antispreco che in Emilia Romagna ha recentemente attivato un sistema di raccolta dell’ortofrutta lasciata sui campi (www.lastminutemarket.it). “Eppure, questi
prodotti non hanno niente da invidiare, in quanto a bontà, agli altri dal look più accattivante. Sono sicuri perché sottoposti agli stessi controlli sanitari, l’unico difetto è la pezzatura”. “I consumatori valutano le dimensioni di frutta e verdura, e più sono grosse meglio è” commenta Paolo Steccanella, membro del direttivo dell’AIAB (Associazione Italiana Agricoltura Biologica) del Veneto e coltivatore. “Ma la natura non si lascia standardizzare e la selezione che
porta sul mercato solo i prodotti perfetti ha un prezzo per il Pianeta. Per far arrivare a maturazione i frutti di un certo calibro, per esempio, i contadini dell’agroindustria usano sulla pianta in fiore fitormoni diradanti e alleganti. Sostanze vietate invece nel biologico dove si dà anche più spazio alla biodiversità. Non solo pezzature diverse, che si trovano sfuse nelle cassette, ma anche varietà antiche di mele e pere, per esempio: vengono da piante locali molto resistenti,
sono sane e gustose e solo l’aspetto può essere originale. Dietro il look a volte bruttino il contenuto di sostanza secca, vitamine e minerali, dicono le analisi, è più elevato rispetto alle cugine coltivate con la chimica “. Insomma, come sempre se punti sul bio non sbagli. E anche qui, volendo, trovi le seconde scelte che, negli spacci aziendali, costano la metà. Tra mele mini e patate buffe i primi ad apprezzarle, puoi scommetterci, saranno i bambini. ▣
UNA VORAGINE DI SPRECHI l nostro sistema agroalimentare è “bucherellato” quasi come quello della rete idrica, con perdite lungo tutta la filiera. Si arrivano a buttare fino a 5 milioni di tonnellate di cibo all’anno: nell’Unione Europea sono 88 milioni. Secondo stime del Politecnico di Milano i consumatori sarebbero responsabili del 43% degli sprechi (le promozioni e gli sconti favorirebbero gli acquisti eccessivi), mentre il 57% si genera lungo la filiera precedente. Il nostro Paese, però, è tra i pochi in Europa ad avere varato lo scorso settembre una legge (la numero 166, Legge Gadda) che ha lo scopo di ridurre il cibo buttato lungo la catena di produzione e distribuzione, per favorire le donazioni dei prodotti invenduti. L’obiettivo finale è tagliare lo spreco del 30% entro il 2025 e del 50% entro il 2030.
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SALENTO: Sacro&Profano Sulla via dei pellegrinaggi alla scoperta di piccoli borghi e santuari Testo e foto di Jimmy Pessina
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entre sulle spiagge impazza la movida e si balla fino al tramonto tra happy hour, cocktails e musica sparata a tutto volume per la gioia di giovani e giovanissimi, nel Capo di Leuca si può vivere una vacanza all’insegna del turismo lento, fatto di silenzi e pace interiore: riscoprendo la via dei pellegrinaggi che da Roma portavano fino
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a Santa Maria di Leuca, ai confini del mondo, attraversando sentieri selvaggi dove la natura è incontaminata. L’itinerario è stato provato con successo da un gruppo di giornalisti italiani e francesi, ospiti di un educational organizzato dall’Unione dei Comuni Terra di Leuca, grazie al bando ospitalità della Regione Puglia, in partenariato con la rivista di turismo e cultura del
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Mediterraneo, Spiagge, diretta da Carmen Mancarella (www.mediterraneantourism. it). “Le vie dei pellegrinaggi”, spiega il presidente dell’Unione, Luca Durante, “sono il pretesto per valorizzare paesaggi mozzafiato, piccoli borghi e santuari dove il tempo sembra essersi fermato. Vogliamo costruire un itinerario culturale e ambientale tematico che valorizzi le immense risorse di questa parte del Salento”.
ha la possibilità di prendere il pullman e ritornare ad Alessano, per riprendere l’auto. Si inizia a camminare al buio e nel silenzio lungo stradine di campagna e poi si arriva nel pieno della luce a Santa Maria di Leuca, dopo una breve sosta al convento del Padri trinitari a Gagliano.
tra fichi d’india, macchia mediterranea, muretti a secco e ulivi a terrazza sul mare, che un tempo venivano percorsi dai contrabbandieri, quando il sale era monopolio di Stato. Ognuno di loro aveva una pozza nella scogliera aguzza e ne estraeva il sale. Per portarlo in paese percorreva a piedi nudi i sentieri pietrosi tanto che i contrabbandieri venivano chiamati gli scarcagnati. Correvano tanto, per non essere arrestati dai finanzieri, in agguato tra i muretti a secco!
“L’obiettivo”, dicono il sindaco Vincenzo Passaseo e il consigliere delegato al turismo, Massimo Chirivì del Comune di Salve, “è di destagionalizzare il turismo, lanciando il messaggio che non abbiamo solo la risorsa mare, ma anche natura e cultura”. Provare per credere. Infatti, nella notte del 14 agosto con partenza all’ una dal camposanto di Alessano - zona Macurano, la Diocesi di Ugento Santa Maria di Leuca organizza un pellegrinaggio che arriva all’alba al Santuario di Santa Maria di Leuca, dove, dopo aver assistito alla Messa, si
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“Siamo fortunati ad avere le vie del Sale”, dice il sindaco Biagio Martella. “Grazie all’opera di valorizzazione e conoscenza, si è creato tanto sviluppo turistico intorno a questa grande risorsa, rimasta, per nostra fortuna, intatta”.
Ma i percorsi, lungo la via dei pellegrinaggi, sono tanti e ricchi di sorprese. E vanno ovviamente vissuti di giorno e in più giorni. La prima tappa del nostro itinerario sono le Vie del Sale di Corsano: sentieri selvaggi
Poco più a Sud si trova il Ciolo, con la sua litoranea costruita a ponte, su una scogliera a strapiombo sul mare, nota per i tuffatori. Tra macchia mediterranea e muretti di pietra a secco si arriva fino a Santa Maria di Leuca, il famoso Santuario sorto sul tempio della Dea
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Minerva che domina il mare, ultima tappa dei pellegrinaggi. Soffermatevi ad osservare bene le arcate, perchè risalendo pochi chilometri più a Nord, ecco Leuca piccola, frazione di Morciano di Leuca, una riproduzione fedele in miniatura del grande santuario di Leuca, con le sue arcate dove un tempo si svolgeva il mercato, la chiesetta e il rifugio sotterraneo per i pellegrini con l’osteria. Una curiosità è la targhetta in pietra con le dieci P che significano: Parole Poco Pensate Portano Pena Perciò Prima Pensa Poi Parla. Il sole del tramonto incedia di rosso la pietra, siamo davanti al Santuario di Santa Marina, nella piccola frazione di Salve, RUGGIANO. Che fosse tappa di pellegrinaggi lo dicono il pozzo e il ricovero per i pellegrini Che sia un luogo pieno di fascino, lo dice la sua struggente bellezza. Qui si venera la Santa orientale Marina che protegge dalle malattie del fegato sotto il segno dell’arcobaleno. Ma poco distante, ad Alessano, c’è un vescovo, non ancora Santo, che continua a far sentire il suo forte messaggio: è don Tonino Bello. La sua casa natia e la sua tomba, meta di continui pellegrinaggi, hanno fatto
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di Alessano, la capitale del turismo religioso in Puglia dopo San Giovanni Rotondo. Ogni week end pellegrini provenienti da tutta la regione Puglia e da tutta Italia si riuniscono per pregare e cantare sulla sua tomba. Don Tonino, vescovo di Andria Trani e Barletta, è stato un papa Bergoglio ante litteram. Si vestiva e viveva semplicemente. Aveva aperto le porte del vescovado a prostitute, malati, immigrati, drogati, ladri... era il rappresentante della chiesa a servizio dei poveri e degli ultimi. Morì a soli 52 anni nel ‘94 dopo aver partecipato alla marcia per la pace a Sarajevo. I fratelli e il dottore Giancarlo Piccinno hanno dato vita a una fondazione che pubblica anche un giornale, La Stola e
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il Grembiule, e ha l’obiettivo di divulgare il pensiero di don Tonino Bello, il quale peraltro era un grande scrittore. Quasi tutti i suoi libri sono stati pubblicati dalle edizioni Paoline: Maria, donna dei nostri giorni... la sua opera più bella. E’ anche un’avventura dello spirito imboscarsi nella centrale edicola libreria ad Alessano e acquistare i libri di don Tonino Bello per conoscerne il suo pensiero. “Alessano”, dice la sindaca, Francesca Torsello, “ha tante risorse da valorizzare e far conoscere. E’ la città di don Tonino Bello, ma ha anche un centro storico molto ricco con il quartiere ebraico ed eleganti palazzi gentilizi, per non parlare della grande
chiesa madre”. La vita è breve e bisogna viverla bene. Carpe diem... (cogli l’attimo)! Per ricordarlo angeli sotto le forme di scheletri decorano l’altare laterale Madonna del Carmine nella chiesa madre di Gagliano del Capo, una vera e propria rivelazione! Nella chiesa si conservano tele pregiate della scuola napoletana: tra tutte quelle del Oronzo Tiso. Il paese, a pochi chilometri da Santa Maria di Leuca, è caratterizzato dalla presenza di ben due centri storici! “Il turismo lento che stiamo proponendo”, spiega la vicensidaca Pieranna Petracca, “richiama ospiti desiderosi di riscoprire non solo la pace interiore, ma anche la bel-
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lezza del nostro territorio, il suo mare, la natura”. Tappa imperdibile è Tiggiano con il suo imponente palazzocastello magistralmente restaurato con la torre colombaia e un grande parco divenuto uno spazio aperto a servizio dei cittadini. Ma il nostro viaggio alla scoperta delle bellezze lungo la via dei pellegrinaggi non può non fare sosta a Salve, famosa per le sue case a torre (case fortificate contro l’avanzata dei Turchi che assalivano il Salento dal mare tra il XVI secolo e il XVII secolo) e il frantoio ipogeo dove una volta si produceva l’oro del Salento: l’olio di oliva il quale veniva usato non solo per la tavola,
ma anche e soprattutto per illuminare le vie, le piazze e le case di grandi città come Londra cui l’olio del Salento era diretto, una volta partito dal porto di Gallipoli! Dovete immaginare il Salento come gli Emirati Arabi di una volta: il suo olio era il petrolio... Salve è anche famosa perchè custodisce l’organo più antico di Puglia ancora funzionante nella chiesa madre (1628). Tappa imperdibile è poi la Centopietre di Patù, un monumento funebre costruito con i lastroni dell’antica città messapica di Vereto, per onorare Gimignano, un ambasciatore che nel IX secolo, portò ai nemici saraceni un messag-
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gio di pace, ma venne barbaramente trucidato. La sua tomba, la Centopitetre, si trova ora accanto alla chiesa di San Giovanni. Il sole picchia forte, è l’ora di una sosta in spiaggia. La scelta non può che cadere sulla lunghissima spiaggia delle Pescoluse color del deserto, marina di Salve. Ma si può anche scegliere di immergersi nelle sorgenti della vicina Torre Vado: polle di acqua dolce sgorgano tra gli scogli formando un idromassaggio naturale. E si ritorna a casa, ritemprati nel corpo e nello spirito in questo Salento Sacro&Profano che non smette mai di sorprendere. ▣
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BELGRADO La Città Bianca
tra Oriente e Occidente Testo e foto di Enza Bettelli
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elgrado ovvero Beli Grad (Città Bianca in serbo) ha da tempo lasciato alle spalle il periodo buio della guerra del Kosovo e del regime di Milosevic divenendo una delle capitali europee più in del momento. Una vera e propria rinascita trainata dalla presenza di giovani artisti serbi e internazionali che si distinguono per la loro genialità in vari campi, da quelli più tradizionali come musica e pittura fino ai più recenti styling e design. Una eclettica creatività che è ben supportata dai molti musei e dalle gallerie d’arte
distribuiti in tutta la città e che attraggono visitatori da ogni parte del mondo. Arte, ma non solo, perché a fare da richiamo ci sono anche i caffè e i locali che animano le sponde del Danubio e della Sava, le vie dello shopping e i quartieri più bohémien di Belgrado. Come Savamala, con i suoi ateliers di design; Dorćol, animatissimo giorno e notte soprattutto da giovani, e Skadarlija, una vera e propria piccola Montmartre dalle caratteristiche stradine di ciottoli. D’altra parte, non a caso Belgrado, che è una delle città europee più antiche, è definita la Porta d’Europa
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dove ancora oggi convivono varie etnie. La sua storia affonda nella notte dei tempi e nell’ultimo millennio Belgrado ha visto il passaggio di decine di eserciti che l’hanno di volta in volta conquistata, distrutta, ricostruita. E ogni popolo ha lasciato, ovviamente, la propria impronta, a cominciare da Celti, Ungheresi, Turchi e Austriaci, finché nel 2006 è divenuta capitale dello stato indipendente di Serbia. Attualmente Belgrado rappresenta il centro della vita economica, scientifica e culturale della Serbia oltre a essere un importante nodo di trasporti, dove si intersecano alcune delle principali vie di comunicazione dell’Europa orientale e occidentale. Ma questo non ne fa una città noiosa o formale, al contrario Belgrado è giovane, internazionale e all’avanguardia, animata a tutte le ore del giorno, addirittura effervescente la sera e la notte, quando la movida balcanica entra nel vivo.
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e tappe storiche e culturali in città
Proprio alla confluenza di Sava e Danubio sorge il vasto parco dell’antica Fortezza di Kalemegdan, visibile quasi da ogni parte della città e sede del Museo Storico di Belgrado. Sulla Fortezza svetta la maestosa
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Statua del Vincitore e da questo punto si può ammirare lo splendido panorama sui fiumi e la Piana di Pannonia. Un altro simbolo della città è il Tempio di San Sava, probabilmente la più grande chiesa ortodossa al mondo, visibile da vari punti della città e arricchito da preziose decorazioni in oro. La chiesa di San Marco è invece la fedele riproduzione del monastero
medievale di Gračanica in Kosovo e, insieme alla piccola Chiesa Russa, è ubicata all’inizio del bellissimo e molto frequentato Parco di Tašmajdan, sorto su una antica cava di pietra. Tra i molti monumenti che abbelliscono il Parco c’è anche una lapide in ricordo del bombardamento del 1999. Nel Museo del 25 Maggio, appena fuori dalla città, sono
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NOMINAZI DE
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ZEMUN Il villaggio di Zemun, una volta indipendente, fa ora parte del Comune di Belgrado, inglobato dall’estendersi di Novi Beograd verso nord. Dell’antica funzione di avamposto di resistenza contro i Turchi è rimasta la Torre del Millennio tra le rovine della fortezza medievale, dalla quale si gode una stupenda vista che, in condizioni ottimali, può arrivare fino al centro di Belgrado. Zemun ha mantenuto il suo carattere di antica cittadina sulla sponda del Danubio quasi interamente occupata da ristoranti e caffè che si affacciano sulla passeggiata che costeggia il fiume. Le case sono tipiche, basse e colorate, le strade lastricate con i ciottoli. A Zemun si va per mangiare il pesce di fiume, fare vela, nuotare e pescare. Ma è anche ritrovo di artisti per la presenza di numerose gallerie d’arte. Per raggiungere Zemun basta una mezz’ora di autobus dal centro di Belgrado, ma è molto più rilassante percorrere in bici la pista ciclabile che da Belgrado costeggia il Danubio per chilometri.
custoditi il Mausoleo di Tito e le testimonianze di cinquant’anni di storia con una considerevole e eterogenea raccolta di oggetti appartenuti all’ex Presidente della Jugoslavia. Tra i molti altri musei di Belgrado c’è quello dedicato a Nikola Tesla con un’ampia documentazione e alcune opere del fisico serbo. Il Museo Etnografico, di fronte allo Studenski Park e all’Università, è il più antico di Belgrado e conserva oggetti e testimonianze della vita quotidiana del popolo della campagna serba tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo.
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Nel Museo della Scienza e della Tecnica è invece esposta un’interessante raccolta di invenzioni, una vera chicca per chi ama la tecnologia.
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spasso per Belgrado
Il tratto più caratteristico della città sono i fiumi, il Danubio e la Sava che l’abbracciano su tre lati scorrendo lenti lungo i vecchi e i nuovi quartieri, le rive punteggiate dai grossi battelli fluviali (splavovi) che non trasportano merci ma sono ristoranti, caffè e locali notturni alla moda. Al centro
della Sava, Ada Ciganlija è un’isola verde, meta amatissima dai Belgradesi, che fa anche da punto di appoggio allo spettacolare Ponte d’Ada, il ponte strallato a un solo pilone più lungo al mondo. Anche in città c’è molto verde, con numerosi parchi, che invitano alla sosta con prati ben tenuti, zone attrezzate per grandi e piccoli e statue e sculture che li rendono ancora più belli. Un’altra attrattiva di Belgrado è l’architettura degli antichi edifici, soprattutto art nouveau: nel quartiere di Terazije, nella zona pedonale di shopping più famosa di Belgrado, la Knez Mihailova,
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Dopo il lancio di “Valpolicella RRR”, la prima certificazione sostenibile d’area in Italia, il Consorzio per la Tutela dei Vini Valpolicella ha organizzato una serie di iniziative per l’anno 2018 volte a rafforzare il proprio impegno nel campo della sostenibilità.
Sostenibilità in vigneto e tutela del territorio www.valpolicellarrr.com
2 febbraio 2018, Verona
Per maggiori informazioni: areatecnica@consorziovalpolicella.it
Il summit riunirà alcuni tra i più importanti enti territoriali da più parti del mondo promotori di protocolli di produzione e/o certificazioni sostenibili nel settore vitivinicolo. Oltre a dare la possibilità ai partecipanti di condividere le proprie esperienze, l’evento getterà le basi per la costituzione dell’International Sustainable Winegrowing Network”.
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e l’Hotel Moskva, considerato l’edificio simbolo di Belgrado. L’architettura classica e neoclassica è rappresentata nel maestoso Parlamento, dall’imponente Palazzo della Posta e dal Vecchio Palazzo Reale, mentre il Palazzo della Principessa Ljubica è costruito nel tradizionale stile balcanico. Agli edifici storici si mescolano quelli più anonimi dell’edilizia post guerra, ma basta andare nel quartiere di
Savamala per vedere come la street art dei graffiti riesce a dare nuova vita anche al muro più sconnesso. E poi ci sono anche edifici ancora diroccati, lasciati così per non dimenticare cos’è la guerra. Nella Città Vecchia (Stari Grad), sul lato destro di Sava e Danubio, percorrendo stradine acciottolate si arriva sulla sponda del Danubio con piccoli bar caratteristici. Sul lato sinistro della Sava sorge
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invece Novi Beograd, edificata nel periodo socialista del dopoguerra, con larghissimi viali alberati e condomini rigorosamente squadrati ai quali si alternano i palazzi istituzionali. Oggi questa zona è più simile a una city, ricca di banche, business e shopping, ma ha anch’essa una movimentata vita notturna grazie alle zattere che ospitano le discoteche di musica ultramoderna.
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tritata fine. Molti piatti sono a base di carne affumicata, ma non mancano la cotoletta di ispirazione austro-ungarica e lo stinco bollito. Il pesce, di acqua dolce, può essere fresco o affumicato, scegliendo tra trota, carpa, luccioperca e pesce siluro.
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apori di Serbia
La cucina serba si può definire cosmopolita poiché attinge alla cultura delle diverse etnie che hanno lasciato la loro impronta nel Paese nel corso dei secoli, soprattutto turca, ungherese, bulgara e greca. La cucina autoctona serba è costituita da ingredienti piuttosto semplici ed è sostanzialmente a base di carne, principalmente bovina (con la quale si prepara anche un eccellente prosciutto) e pollame. Molto diffuse le paste fresche
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e le torte salate, così come le minestre e le zuppe che aprono abitualmente il pasto e sono piuttosto ricche, con carne e verdure. Le più famose sono la čorba e la šumadija di pollo, sedano e pastinaca. Quando si inizia con l’antipasto, insieme all’insalata, le specialità più apprezzate sono i peperoni farciti con formaggio e panna, quest’ultima onnipresente in un pasto serbo insieme al pane di mais (proja). Notissimi i ćevapčići, cilindretti di carne di vitellone macinata, cotti alla griglia e serviti con cipolla fresca
I dessert ricordano quelli mediorientali, come la baklava, ma sono ugualmente popolari gli strudel (di mele, amarene o semi di papavero) e le palačinke, ovvero crespelle farcite in vario modo. Durante il pasto, oltre alla birra si beve vino locale. La rakija, cioè una grappa di erbe o di frutta che cambia nome a seconda dell’ingrediente base (per esempio šljivovica, di prugna e la più diffusa; kajsijevača, d’albicocca di gusto più morbido) chiude il pasto, ma molto spesso lo apre, secondo la tradizione serba. Per gustare i veri piatti serbi bisogna recarsi in una kafana, un locale simile alle nostre osterie, dove si può mangiare con sottofondo di musica tradizionale serba suonata di solito da un trio composto da fisarmonica, mandolino e flauto. Nelle kafana e in tutti i locali in genere le porzioni sono veramente molto abbondanti e può quindi essere prudente ordinarne solo mezza che costerà poco più della metà del prezzo intero indicato nel menu. ▣
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A N D A R E P E R M E R C AT I In città è facile fare la spesa nei numerosi mercati dislocati nei vari quartieri. In tutti si possono acquistare vegetali, pesce, formaggi, carni e pane oltre che abbigliamento e prodotti di artigianato. Frutta e verdura sono disposti sulle bancarelle con la stessa cura riservata alle vetrine di un elegante negozio, anche se il contesto è piuttosto semplice, ma ordinato e pulito. Il mercato più riconoscibile è quello di Zeleni Venac, vicino alla stazione dei bus, con le bancarelle protette da inconfondibili tetti a scacchi bianchi e rossi. Il mercato di Kalenić, poco distante dal Tempio di San Sava, è rinomato perché oltre agli alimentari vi si possono acquistare gli articoli più disparati e impensati. All’estremità di Skandarlija c’è il mercato Bajloni, il più grande del vivace quartiere di Dorćol, in una piazza circondata da bei palazzi ottocenteschi, facile da raggiungere grazie alla fermata del tram proprio davanti al suo ingresso. Alimentari, abiti nuovi e usati, libri riempiono le bancarelle di questo mercato mentre fuori dal recinto si possono acquistare dai contadini semplici e freschissimi mazzi di fiori o di erbe aromatiche. Un altro mercato tipico si tiene nella Piazza della Chiesa di Zemun, non molto grande ma ugualmente ben fornito.
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Da Tirano a St. Moritz tra lusso, alta cucina e mondanità L’UNESCO ha deciso: la ferrovia del Bernina-Express a 100 anni dalla costruzione è patrimonio mondiale dell’umanità. Testo e foto di Jimmy Pessina
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na volta tanto lasciamo a casa l’auto e dimentichiamo scarponi e zaino: prendiamo il treno e passiamo una giornata fra boschi, ghiacciai eterni, cime altissime e villaggi da favola. Sembra un sogno eppure è realtà, a portata di tutti, entrare per qualche ora in una dimensione quasi d’altri tempi, che ci riporta all’infanzia, quando al vertice dei desideri c’era un plastico ferroviario, ambientato tra le montagne: fedele riproduzione dell’ormai mitico - “trenino rosso” - del Bernina. L’ardita strada ferrata, realizzata tra il 1903 e il 1910, con incredibili soluzioni tecni-
che, è stata inserita dall’UNESCO, nel luglio di quest’anno, nel “patrimonio mondiale dell’umanità”. La linea della Ferrovia Retica che collega Tirano, in Valtellina, a St. Moritz, in Engadina, con una diramazione per Coira, la capitale del Cantone dei Grigioni, per suggellare gli storici legami con la terra Valtellinese. Costruita col massimo rispetto dell’ambiente, uno dei maggiori motivi d’attrazione di questa fascia di territorio italo - svizzero e il Trenino Rosso che la percorre è diventato, esso stesso, parte integrante del fantastico paesaggio alpino dominato dai quattromila metri del Pizzo Bernina.
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La tratta che unisce Tirano a St. Moritz, attraverso il Passo del Bernina, con una lunghezza di 60,6 km, supera pendenze massime del 7% e raggiunge i 2353 metri del Passo del Bernina, record assoluto d’altezza europeo per un treno senza cremagliera. Il convoglio con vetture panoramiche copre il tragitto in un paio d’ore, nel più assoluto e silenzioso confort di marcia. Il prezzo del biglietto di andata e ritorno è di 30 euro. Un viaggio affascinante che consente di ammirare due significativi e storici emblemi del turismo elvetico noti in tutto il mondo e precisamente il Kulm di St,Moritz e il Kronenhof di Pontresina.
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Entrambi hotel a 5 stelle hanno la magnificenza delle costruzioni regali. In effetti, sono stati realizzati a metà dell’800 proprio per ospitare la nobiltà dell’epoca, lord, principi, conti, marchesi, e così via nella scala gerarchica, sino ai grandi magnati della finanza, del commercio e dell’industria. La filosofia del successo dei due gioielli incastonati nell’Engadina è stata questa: “Aiutiamo i ricchi a spendere per creare benessere diffuso”. Un’idea vincente, ancor oggi, meno sacri lombi di sangue blu ma nuovi ricchi dalla Russia, dagli Stati Uniti e dai Paesi Arabi. Sin dall’inizio dell’era turistica nella piccola Engadina hanno pensato in grande. La progettazione dei due Grand Hotel è stata affidata, come per le dimore regali dell’epoca, ai più rinomati architetti, quindi
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una corte di artisti per gli affreschi e le decorazioni e gli arredamenti, in gran parte delle botteghe artigiane della Brianza, sempre al passo coi tempi anche per la tecnologia. Pensate che il Kulm Hotel di St. Moritz nel 1878 il grande lampadario della hall era già dotato delle prime lampade elettriche, mentre nelle dimore regali si usavano ancora candelabri o lampade a gas. Il successo del Kulm si deve, in gran parte allo sport della neve. Qui è stato costituito il primo club dello slittino (skeleton) e successivamente realizzata la pista per il bob. Non a caso qui hanno avuto sede le manifestazioni di apertura e di chiusura delle Olimpiadi invernali del 1928 e 1948. E sempre in tema sportivo il primo percorso elvetico di golf e oggi un nuovo campo a 9
buche su un pianoro a oltre 1.800 metri d’altitudine. Quasi superfluo aggiungere che, in una località termale, come St. Moritz, nel complesso alberghiero sia stata ricavata una sontuosa “spa” acronimo di “salus per aquam”. Derivante dalla cultura latina per la cura del corpo attraverso l’acqua fonte di benessere psico-fisico. Analogo il lusso del Grand Hotel Kronenhof di Pontresima, della stessa società proprietaria del Kulm, che ha valorizzato e ampliato un prestigioso edificio tardo barocco. Alta classe anche per la cucina come quella del Kulm, considerata l’università degli chef, dove mosse i primi passi impareggiabile Gualtiero Marchesi. ▣
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Arcipelago della
BAHAMA La Svizzera tropicale Un paradiso dorato in cui lusso e povertà convivono, con la musica come comune denominatore. Testo e foto di Jimmy Pessina
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’incantevole scenario delle spiagge candide e del mare trasparente e la festosa atmosfera dei grandi alberghi stile Usa maschera la realtà contradditoria dell’arcipelago della Bahama: grandi finanzieri e clandestini haitiani, ville hollywoodiane e bidonville, paradiso fiscale e inferno della povertà. E la cultura indigena è sempre più soffocata dall’invasione dei turisti americani e non solo che ne hanno fatta la meta abituale delle loro vacanze. Nel centro di Nassau, a pochi passi da Rawson Square, la piazza dove meglio si riconosce la vecchia impronta inglese dell’ex colonia britannica, il molo Prince George accoglie le modeste barche da pesca degli indigeni insieme agli yacht da esposizione del turismo milionario. Poco più al largo muove lentamente uno dei battelli destinate alle crociere locali stracariche di festosi turisti, marca USA: passa ma senza fermarsi, di fianco a Potter’s Cay, l’isoletta sotto il ponte che conduce a Paradise Island dove la popolazione locale acquista frutta tropicale e pesce freschissimo e donne dalla pelle nerissima offrono conch, il mollusco simbolo dell’arcipelago appena sgusciato. T U RI S M O I NT E RNAZ I O NAL E
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Lasciata la capitale Nassau, le strade che conducono verso l’interno dell’isola di New Providence o corrono lungo le coste (Nassau si affaccia sul litorale nordoccidentale) presentano tipologie architettoniche non meno contrastanti e contradditorie. Ville stupende immerse nel verde e protette da fitte siepi, residenza estiva, e spesso definitiva, di ricchi e potenti, si succedono senza soluzione di continuità le casette color pastello con l’intonaco un po’ scrostato e il giardinetto con il bucato steso ad asciugare, abitate da famiglie meno agiate.
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E la bidonville fatta di cubi di cemento con il tetto in metallo circondati da un minuscolo cortile tra gli alberi di pompelmo e l’acqua potabile che arriva grazie a una pompa situata vicino alla porta. Ad abitarvi la maggior parte sono gli immigrati haitiani, spesso clandestini, stabilitisi alla Bahama nel corso degli anni. Mentre il Gotha della nobiltà e del denaro si cimenta in una partita a golf su uno dei numerosi campi che si spingono fin sulla riva del mare, gioca a tennis in uno dei moltissimi campi dell’isola o si riposa sulla candida sabbia di Paradise Island, mostrando il volto più artificiale che ha questo
paradiso dorato. Bay Street, animato shopping center dell’isola, viale nel quale convergono e si diramano le strade e i vicoli di Nassau, ci mostra una realtà urbana fatta di problemi concreti, violenza, sporcizia, criminalità, spaccio di droga e di tensioni sociali sorte dalla convivenza di tipi e razze eterogenee: dal rasta ai finanzieri bianchi, dagli immigrati haitiani ai turisti americani (una presenza fissa per tutto l’anno), alla popolazione nera di origine africana impiegata nel terziario o nella pesca. E nonostante i progressi economici conseguiti, troppo grande resta ancora il divario che separa la minoranza
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bianca, ricchissima, dalla maggioranza di colore. Per i proprietari delle ville di stile hollywoodiano rinchiusi nel loro ghetto d’oro che possiedono quasi un terzo della terra dell’arcipelago, così come i turisti del viaggio organizzato giunti in aereo da New York o da Miami o sbarcati da una delle navi da crociera che quotidianamente batto il mare caribico, la realtà resta quella di un luogo di sogno e di divertimento, un mondo incantato e festoso dove il tempo scorre indolente tra giochi soft e sport distensivi, in una sorta di Disneyland tropicale. Per questo l’ambiente si è andato plasmando sui loro gusti e sulle loro richieste;
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così le centinaia di migliaia di turisti che ogni anno vengono qua in vacanza si ritrova a casa propria. D’altra parte l’arcipelago dista solo meno di mezz’ora da Miami e gli statunitensi possono accedervi senza passaporto. In effetti, è stile Usa: la lingua che si parla, che ha perduto l’inflessione inglese per assumere i caratteri dello slang americano, l’organizzazione dei servizi, tutti i prodotti importati, l’atmosfera stessa che si respira.
di propagandare l’immagine di safe paradise, un paradiso tranquillo, bucolico, fatto di lunghe spiagge di sabbia finissima e impalpabile incorniciate di palme lambite da un mare tiepido dalle mille sfumature di verde e blu, dove il sole splende tutto l’anno, interrotto da improvvise pioggerelle che tonificano colori e profumi e la vita scorre a ritmo di goombay, la musica locale. Alcuni appunti sull’arcipelago, i casinò ce ne sono due, uno
a Paradise Island e l’altro a Cable Beach, pochi chilometri a ovest di Nassau. Le slot machine sono accessibili 24 ore su 24, alla roulette e gli altri giochi dalle dodici alle 5 del mattino. Cay: questa parola, che si pronuncia come l’inglese key, deriva dal vocabolario indiano arawak cairi, che vuol dire “isola”, ma che in inglese ha assunto il significato di “piccola isola” e così, infatti, si chiamano quasi tutte le
Ogni cosa si paga in dollari Usa, le bibite sono servite in bicchieroni colmi di ghiaccio come a Manhattan, gli alberghi moderni, enormi, funzionali, stile “Holiday Inn”, hanno centinaia di stanze tutte con televisore, filodiffusione e l’aria condizionata sempre al massimo, e i casinò della città sono zeppi di slot machine spremute senza sosta da anziane signore che, come a Las Vegas, stringono in mano il tipico contenitore stracolmo di monete. Ci si diverte, dunque, ci si abbronza, e si torna a casa felici. Il gioco si ripete ininterrottamente tutto l’anno, riuscendo a soddisfare le più ambiziose attese del governo locale che, fin dai primi giorni dell’indipendenza (1973) ha cercato
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isole minori dell’arcipelago. Goombay: è il nome della musica di quest’arcipelago. Sebbene non sia del tutto originale, perché si chiama così anche alle Bermuda, il goombay della Bahama ha assunto con il passare degli anni una propria caratterizzazione. Potter’s cay: sull’isoletta proprio situata sotto il ponte che unisce Nassau a Paradise Island, si tengono il
“Native Market”, un mercatino di pesce, frutta e verdura freschissimi, destinato agli abitanti del luogo. Andateci per assaporare un aspetto della vita quotidiana dell’isola e per vedere i pescatori che estraggono il conch dalla conchiglia. Spiagge: tutte le isole e i cay delle Bahamas sono circondati di sabbia bianca e morbidissima, bordate di palme e cespugli fioriti.
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Divertimenti: a eccezione del gioco d’azzardo ai casinò, le serate bahamensi sono tutte all’insegna della musica, da ascoltare e per ballare. Non mancano piano bar e discoteche di stile internazionale. I locali più autentici, però, frequentati dalla popolazione locale, sono quelli over the hill, il cuore originale della capitale. Il più noto è il “Casablanca”. ▣
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Corsica, isola dai tanti volti e da vivere in tutte le stagioni
Un grande passato storico, la natura selvaggia e incontaminata, antiche cittĂ e una genuina gastronomia tradizionale rendono unica questa splendida isola. di Giovanna Turchi Vismara
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a Corsica, l’isola più vicina al cuore dell’Europa, vanta una storia antichissima e una natura spettacolare ancora verde e selvaggia. I suoi paesaggi sono decisamente sorprendenti. Grandiosi e verdi pianori si aprono tra guglie e alti picchi montuosi. Lungo gli oltre 1000 chilometri di coste si succedono a ovest e a sud calette rocciose e selvagge, falesie di calcare e spiagge di sabbia finissima, mentre ad est si alternano stagni e lunghe spiagge. Tutti questi caleidoscopici ambienti, con i loro giochi di contrasti, regalano all’isola un arcobaleno di colori dalle più diverse sfumature e attraggono i visitatori con il loro irresistibile fascino. Sono tante e accattivanti per i più diversi gusti le opportunità che l’isola è in grado di offrire in ogni periodo dell’anno grazie al suo clima particolarmente mite. Chi intende trascorrere una vacanza a contatto con il verde o esercitare sport acquatici, chi vuole scoprire le testimonianze di una cultura antica o più moderna, chi vuole gustare appieno i sapori di una genuina gastronomia ha solo l’imbarazzo della scelta. La Corsica, annessa alla Francia dal 1768 dopo una T U RI S M O I NT E RNAZ I O NAL E
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lunga guerra di indipendenza durata 40 anni, è stata segnata fin dall’antichità da civiltà megalitiche di cui porta tracce ancora visibili nella zona intorno a Sartene, territorio selvaggio e incontaminato. Nel corso della storia sull’isola si sono succeduti Greci, Fenici, Etruschi, Cartaginesi e Romani, e nel medioevo barbari e Saraceni. Nei secoli successivi si sono alternate guerre tra i signori locali e le varie amministrazioni: toscana, pisana, aragonese, genovese e inglese. Dopo la sua annessione alla Francia, i personaggi che ne hanno segnato la storia sono stati Pasquale Paoli, Sampiero Corso e Napoleone Bonaparte, nato ad Ajaccio il 15 agosto 1769. Dell’imperatore rimane nella parte vecchia della città la casa-museo che contiene vari oggetti, dipinti e ricordi, e in occasione del suo compleanno ogni anno in quel periodo vengono organizzate le fastose giornate napoleoniche. Anche nelle cittadella di Calvi, ove si presume sia nato Cristoforo Colombo, si svolgono nella Cattedrale per tutta l’estate concerti che hanno il loro culmine nel festival dal 12 al 16 settembre. Chi ama la vita a contatto con la natura non ha che da
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usufruire degli itinerari-scoperta di alcuni siti, organizzati nell’ambiente naturale dall’Ufficio Nazionale delle Foreste, all’interno del Parco Naturale Regionale creato nel 1972. La sua superficie di oltre 3500 kmq si estende da una parte all’altra dell’isola, fra Calvi e Porto Vecchio. E’ anche immancabile un’escursione alle Isole Lavezzi, davanti alle Bocche di Bonifacio, una delle cinque riserve naturali dell’isola. Qui ci sono spiagge di sabbia dorata, rocce grigio rosa e acque turchesi, base solo di uccelli marini e di qualche geco. E’ straordinaria la bellezza naturale intatta di Porto e dei Calanchi di Piana con una foresta di picchi ocra, rosa, rossi. Unico sito Unesco dell’isola. Gli amanti dell’acqua vi possono effettuare le attività più diverse, dalla vela alla canoa-kayak, al rafting e alle immersioni subacquee.
Queste, oltre alla purezza dell’acqua e alla particolare tipicità dei fondali marini, permettono di scoprire una fauna e una flora mediterranee ricche e affascinanti. Sull’isola ci sono numerosi club di immersione che si impegnano ad offrire accoglienza di qualità, immersioni in totale sicurezza con la guida di istruttori professionali, possibilità di trasporti e sistemazioni oltre a circuiti organizzati. Per quanti praticano la navigazione da diporto, i 16 porti turistici in Corsica sono adatti ad accogliere imbarcazioni di tutte le dimensioni. Inoltre numerose società di noleggio propongono una gamma estesa di barche a vela o a motore. Dalle acque al cielo, con le emozioni offerte dalla pratica del parapendio. Sette club ne propongono la pratica su numerosi siti nel Cap Corse, il Nebbio, la Castagniccia, il Niolo, la Balagne.
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E ancora, non si può tralasciare la scoperta dei tanti deliziosi villaggi. Ci sono quelli arroccati della Balagne, Pigna, Lumio, Feliceto, dalla vista spettacolare sul mare. I caratteristici villaggi del “dito”, Cape Corse lungo il Chemin de Lumière, il sentiero della luce, 12 chilometri da Pietracorbara a Barrettali, caratterizzato da piccole cappelle, ed Erbalunga, villaggio di pescatori, noto anche per il bel festival di musica nel mese di agosto. E non mancano i luoghi per soste divertimenti e per deliziarsi dei prodotti gastronomici locali, legati all’allevamento, all’agricoltura, alla caccia e alla pesca.
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A Bastia, la capitale, ove si trova la chiesa più grande dell’isola, San Giovanni Battista, e che vanta nel quartiere storico case antiche e oratori barocchi, è piacevole soffermarsi negli animati caffè di Place Saint Nicolas o acquistare nelle piccole arredatissime boutiques i tanti prodotti dell’artigianato locale. E la notte, piena di luci e suoni, è tutta da vivere nei caratteristici locali del Porto Vecchio. Qui nei ristoranti sul lungo mare, che si susseguono in una miriade di profumi e di colori, si possono gustare i piatti preparati con gli autentici prodotti del territorio, di terra o di mare, accompagnati dai rinomati vini locali.
La Corsica è raggiungibile tutto l’anno in aereo o via mare dalle capitali francesi ed europee. Venti compagnie aeree servono i 4 aeroporti dell’isola: Ajaccio Campo dell’Oro, Bastia-Poretta, Calvi-Sainte Catherine, Figari-Sud Corse. Sei compagnie marittime assicurano i servizi nei 7 porti dell’isola: Ajaccio, Bastia, Propriano, Calvi, Ile Rousse, Bonifacio, Porto Vecchio. Dall’Italia i collegamenti sono con Corsica Ferries, Grimaldi, Moby Lines, Saremar. Per informazioni: www.visit-corsica.com ▣
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IL GIANDUIOTTO, 152 ANNI E... NON SENTIRLI Il gianduiotto o giandujotto è un cioccolatino autarchico e le sue origini si riconducono a motivazioni storico - politiche ben precise. di Paolo Alciati
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l 21 novembre 1806 Napoleone Bonaparte a Berlino decretò il cosiddetto Blocco Continentale, che vietava il commercio tra i Paesi soggetti al governo francese e le navi britanniche. Dal 1798, e fino al 1814, il Piemonte fu sottomesso alla dominazione napoleonica e tra i prodotti maggiormente esportati dagli inglesi (importati dalle loro colonie), vi era il cacao che, a causa dei provvedimenti presi da Napoleone, subì un considerevole ridi-
mensionamento. Cosa gravissima, se si pensa che, a fine Settecento, a Torino si era creata una vera tradizione di cioccolatai, che producevano 350 chilogrammi di cioccolato al giorno. Torino conosceva ormai da quasi 250 anni il cioccolato, esattamente da quando Emanuele Filiberto di Savoia era tornato dalla pace di Chateau Cambresis del 1559 con dei semi di cacao. Fino al 1826 in tutto il mondo il cioccolato veniva servito solo ed esclusivamente come bevanda liquida. Proprio in quel periodo Paul Caffarel, imprenditore di origine valdese, era proprietario di
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una fabbrica nel quartiere di San Donato a Torino, dove perfezionò una macchina che gli permise di produrre il primo cioccolatino: cioccolato solido ottenuto con la miscela di cacao, burro di cacao, acqua, zucchero e vaniglia. Nel 1852 il figlio di Caffarel, Isidore, fuse la fabbrica con quella di un altro importante industriale del settore dolciario, Michele Prochet dando vita alla Caffarel-Prochet, nello stabilimento situato in Borgo San Donato in Torino. Per rispondere alle richieste di cioccolato dei torinesi, decisero di sfruttare una collaborazione con la vicina Alba, scommettendo sul prodotto più famoso della zona: la nocciola Tonda Gentile delle Langhe. Prochet ebbe la geniale intuizione di amalgamare nell’impasto i pezzetti di nocciola tostati e macinati, rendendola così simile a una crema, alla quale venivano poi aggiunti il cacao e lo zucchero. Questa prelibatezza venne presentata al pubblico nel Carnevale del 1865 dalla maschera torinese Gianduja (“Gian d’la Douja”, tradotto letteralmente “Giovanni del boccale”), da cui prende il nome, che distribuiva per le strade della città questa bontà golosa e del tutto nuova chiamata, prima di allora, “givu”, che in piemontese significa “mozzicone di sigaro” e ricorda una piccola barca rovesciata e, da quel
momento, “Caffarel 1865”. La leggenda vuole che la forma del cioccolatino ricordi l’ala del tricorno indossato come copricapo da Gianduja. Il Carnevale del 1869 fu il punto di svolta per il Caffarel 1865 che piacque talmente tanto da mutare il nome in Gianduiotto, con cui divenne famoso. Così, dall’incontro tra il cacao e il Piemonte, e grazie alle restrizioni napoleoniche, nacque il Gianduiotto, composto con cioccolata di tipo “gianduia” prodotta a Torino. Siccome l’alta quantità di nocciole nell’impasto non permetteva che il cioccolatino fosse prodotto in forme, per lungo tempo il gianduiotto veniva tagliato a mano. A Torino
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alcune aziende producono ancora il Giandujotto tagliandolo e incartandolo a mano in carta dorata o argentata proprio come una volta, con la stessa ricetta. Il gianduiotto prodotto con questo metodo, per estrusione, è colato direttamente su piastre senza uso di stampi, con macchine progettate e realizzate appositamente e permette di produrre Gianduiotti con una pasta morbida e vellutata, spumosa all’interno che permette di sciogliersi più lentamente in bocca prolungando l’effetto di delizia. Il gianduiotto stampato è molto più industriale, con una percentuale minore di cacao ed è, per necessità, più duro, dovendosi staccare dallo
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stampo. La Caffarel depositò il marchio “Gianduia” ed è tuttora l’unica azienda a poter stampare il volto della maschera sull’incarto, ma tante ditte di Torino e Provincia o del Piemonte producono gianduiotti: Borgodoro, Domori, Feletti, Guido Castagna, Guido Gobino, La Perla di Torino, La Suissa, Fiorio, Novi, Pastiglie Leone, Peyrano, Pernigotti, Streglio, Venchi, Ziccat e tutte le piccole cioccolaterie torinesi, come la Ballesio Cioccolato e la Chocoleini e molte altre che producono ancora i gianduiotti tagliati a mano. Qualche curiosità sul gianduiotto e sul cioccolato, questo incredibile antidepressivo naturale che non ha controindicazioni se non quella dell’eccesso e dell’overdose: “fare una figura da cioccolataio” al giorno d’oggi non fa certo piacere a nessuno, ma da cosa nasce la frase che, come sovente accade, ha
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varie versioni? La più accreditata la diede lo storico Alberto Virgili in un suo libro del 1917: si narra che da tempo un cioccolataio andasse in giro per Torino con una ricca carrozza tirata da una quadriglia, diversamente dai borghesi che, di norma, ne usavano una trainata da due cavalli. Sembra che, vedendolo, il Duca Carlo Felice di Savoia si risentì e lo fece chiamare, chiedendogli di non ostentare abitudini regali poiché il re di Sardegna, di Cipro e di Gerusalemme non poteva permettersi di fare «na figüra da cicôlatè!»”. Un’altra versione sostiene che gli artigiani che preparavano la cioccolata calda, lavorando le fave di cacao si sporcavano facilmente e quando servivano la bevanda ai nobili, i primi consumatori, di sicuro non facevano una bella figura, ma… facevano “la figura dei cioccolatai”. Da quando questo detto divenne popolare, gli artigiani di questa prelibatezza preferi-
scono essere chiamati cioccolatieri. Un’altra situazione curiosa riguarda Andy Warhol, fotografo, regista e artista che raccontava di amare due cose di Torino… e una di queste era proprio il gianduiotto (…l’altra era la Fiat 600). E c’è anche un record: il gianduiotto più grande del mondo fu realizzato dalla Novi per essere esposto a Torino durante la manifestazione Eurochocolate del 2001: misurava 2 metri di altezza per 4 metri di lunghezza per 1 metro di larghezza con un peso di quaranta quintali, frutto di 150 ore di lavoro. Oggi, a poco più di 150 anni dalla sua creazione, il gianduiotto è conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo per la sua genuinità e per il suo gusto pieno e vellutato, oltre che per essere un prodotto Made in Italy unico, vera eccellenza dolciaria del nostro Paese. ▣
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www.enzopancaldi.it - ph: Carlo Guttadauro, Archivio www.lambrusco.net
Il multiforme gusto del Gargano L’equazione Gargano uguale mare non è così scontata. Il turista più curioso oggi rivolge il suo interesse ai cibi tipici e in questa zona della Puglia c’è solo l’imbarazzo della scelta per deliziare ogni palato. di Nicoletta Curradi
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state, tempo di vacanze. La Puglia è senza dubbio una delle mete più gettonate, anche a seguito degli ultimi fatti di terrorismo internazionale, che spingono a rimanere nei confini del nostro Paese. E turismo pugliese non significa solo mare, ma pure tradizione e tipicità in ambito gastronomico: il mare piuttosto rappresenta un volano per lo sviluppo di tutto il territorio, un elemento di promozione del paesaggio, della cultura e degli stessi prodotti agroalimentari locali.
salumi o conserve. Una delle zone pugliesi più ricche in ambito enogastronomico è indubbiamente il Gargano. Non solo spiagge bianche, scogliere a picco sul mare blu, acque
limpide, grotte scavate dal mare, boschi secolari, laghi costieri; questo promontorio, conosciuto anche come lo “Sperone d’Italia”, stupisce per la varietà di luoghi da visitare, ma anche per i suoi
Il cibo è certamente divenuto infallibile leva di comunicazione verso i turisti nazionali ed internazionali. La crisi costringe i vacanzieri a risparmiare e spinge all’acquisto utile di prodotti tipici come vino, formaggio, olio di oliva,
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innumerevoli prodotti tipici, come l’anguilla di Lesina, le alici nere di Vieste, il caciocavallo podolico del Gargano, il pane di Monte Sant’Angelo, la Muscisca (carne di pecora o capra), le orecchiette, gli agrumi del Gargano, la fava di Carpino, le ostie ripiene.
ziose vacche podoliche, oggi presenti in pochissime aree del Meridione, tra cui alcune zone del Gargano. Tuttora viene prodotto nelle aziende locali secondo le tecniche e le usanze di una volta, custodite e tramandate dai maestri casari del Gargano.
Sono cinque i prodotti tipici del Gargano per i quali Slow Food ha attivato altrettanti “presidi”: il caciocavallo podolico, gli agrumi del Gargano, l’anguilla di Lesina, la fava di Carpino e la carne di vacca podolica. Autentici tesori del gusto da tutelare dal rischio di scomparsa.
Gli agrumi del Parco nazionale del Gargano sono apprezzati in tutto il mondo per le qualità organolettiche e per il sapore delicato. Gli agrumicoltori del Gargano li coltivano con un complesso sistema di terrazzamenti e canali per l’irrigazione.
Il caciocavallo podolico è un prodotto ricercatissimo dei pascoli del Parco e viene ottenuto dal latte delle pre-
L’anguilla di Lesina è famosa in tutto il mondo per il suo sapore delicato e genuino, tanto che ormai è diventata un prodotto esportato
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nei mercati più ricchi delle città di tutto il mondo. Il presidio nasce per promuovere la pesca tradizionale nella Laguna di Lesina e per diffondere la conoscenza di questo prodotto. La fava di Carpino si distingue per la sua facilità di cottura e per l’alto contenuto proteico; fattori bio-climatici legati al territorio garantiscono la qualità ed il sapore che caratterizzano le gustose minestre della cucina tradizionale locale. E come non menzionare le colture dell’olivo e della vite, molto diffuse nel Gargano come in tutta la Puglia. Le olive della varietà Ogliarola Garganica sono la componente principale di uno degli
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oli extravergine in cui si articola la Dop dell’olio Dauno, che può avvalersi della menzione geografica Gargano. In questo territorio della bio-diversità mediterranea non può mancare la vite: le vigne nel Gargano sono conosciute in tutta Italia per la loro varietà di uva che consente di produrre diverse tipologie di vini. In quasi tutto il paesaggio garganico i vigneti sono gestiti tutt’oggi da agricoltori che effettuano la raccolta
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dell’uva, utilizzando metodi tradizionali, genuini, molto lontani dalle nuove e macchinose tecnologie. Vino tipico del Gargano è il Nero di Troia, rivalutato recentemente dai sommelier di spicco internazionale. E’ ottenuto da uve di Troia, zona situata nell’entroterra del Gargano ed ha un gusto particolarmente deciso, tannico, dolce e con un retrogusto di agrumi che gli con-
ferisce una sfumatura aspra, per palati meno sensibili. A Vico del Gargano, il Macchiatello rappresenta storia e tradizione al tempo stesso. E’ prodotto da una piccola vigna rimasta naturale e definita dalla popolazione come “banca genetica” dei vitigni. Si segnala inoltre come vino da tavola anche il Moscato Passito, ideale per i dessert. ▣
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CALIFORNIA ROLL
Alga all’interno e riso all’esterno, il sushi “al contrario” ha spopolato in California, e non solo, meritandosi l’appellativo di Goodwill Ambassador della cucina giapponese. di Lorenzo Poggianella Studente presso University of California Davis in Sustainable Agriculture and Food Systems Foto: Lotus Head www.freeimages.com
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l California Roll è stato inventato in Giappone come ogni altra varietà di sushi, vero? No. Allora in California come suggerisce il nome? No. Il roll più famoso al mondo è stato inventato in Canada dal Sushi Chef Hidekazu Tojo che ha aiutato a rendere il sushi una delle più popolari pietanze degli Stati Uniti e Canada.
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Nel 1971, il sushi non era largamente consumato nel Nord America come nei nostri giorni, anzi, non lo era per niente! Gli Americani, della cucina giapponese mangiavano solo tempura e teriyaki, non apprezzavano per niente le alghe. Il Sushi Chef Hidekazu Tojo, chef giapponese di Vancouver, British Columbia,
decise che doveva trovare il modo di fare successo; si ispirò ai piatti e ai sapori delle cucine occidentali, ribaltando il tradizionale sushi (hosomaki roll) e creando così l’insideout sushi (chiamato quindi in giapponese uramaki roll, ura = contrario/opposto) nel quale le alghe erano all’interno, nascoste dal riso all’esterno. Chef Tojo era ampiamente
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criticato dai Giapponesi che lo definivano pazzo, e sostenevano che questa invenzione era del tutto sbagliata; ma questo nuovo roll piaceva, per cui Chef Tojo non si lasciò frenare, anzi prese tre ingredienti che piacciono generalmente a tutti gli Americani: cetrioli, avocado e granchio, e ne fece un roll. Nacque così il California Roll che prende il nome dalla popolarità che
aveva assunto tra i clienti di Chef Tojo che venivano principalmente da Los Angeles. Questa invenzione funzionò come chiave di accesso per il mondo occidentale alla cucina giapponese: passo dopo passo, la gente iniziò a mangiare altre tipologie di sushi (nigiri, temaki...) e ad addentrarsi sempre più in questo mondo.
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Il “California Roll” di Chef Tojo fu un successo così grande che il ministro giapponese della agricoltura lo nominò “Goodwill Ambassador” della cucina giapponese ed è quindi anche grazie a lui che il sushi ora è un fenomeno mondiale ed uno dei più apprezzati tipi di cucina del mondo. ▣
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Il mondo agroalimentare Francese
La tradizione agricola fa da traino alla leadership francese in Europa insieme all’industria agroalimentare. Le conclusioni al convegno promosso a Milano da Promosalons e da Paris Region Entreprises. di Salvatore Longo
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’antica tradizione agricola è alla base della leadership francese in Europa, sia per produzione agricola sia per l’industria agroalimentare, primo settore industriale nel Paese transalpino. Per l’aspetto produttivo sono
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molte le coltivazioni (cereali, semi oleosi, barbabietole da zucchero…) di cui la Francia ha il primato in Europa o è seconda come per il vino, su cui contende la leadership all’Italia. Altro fiore all’occhiello è l’allevamento (bovini, ovini, suini e caprini) che origina una produzione
di carne di circa 1.800/2.000 tec (cioè tonnellata equivalente carcassa) e di latte (è il secondo produttore europeo) che contribuiscono in modo importante all’export. La produzione agricola è concentrata principalmente in tre regioni: le aree in cui
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per la fertilità del terreno prevale la coltivazione dei cereali, situate soprattutto nel nord e nel centro del Bassin Parisien e definite come les pays de labours, quelle dell’ovest che ricchissime di pascoli sono ideali per gli allevamenti (pays de l’herbage et de bocage) e les pays de cultures specialisées situati in Bretagna, Valle della Loira e Valle del Rhône, oltre naturalmente alle grandi regioni vinicole (Champagne, Alsazia, Bordeaux, Borgogna, Roussillon…). Una così ampia e articolata produzione agricola non
poteva non tradursi in un’industria agroalimentare molto forte (carne, latte, produzioni di cereali, dolci, bevande e alcolici i comparti principali) il cui fatturato supera i cento miliardi di euro con diverse migliaia di aziende che danno un contributo fondamentale all’occupazione (anche giovanile) e alla bilancia commerciale del Paese. L’interconnessione tra il mondo agroalimentare e la grande distribuzione organizzata - che commercializza oltre i 2/3 dei prodotti alimentari in Francia (tale percentuale in Italia, anche se in
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evoluzione continua, è decisamente inferiore) - è molto stretta con problematiche continuamente nuove che si concretizzano in una gamma di prodotti e servizi sempre più vasta, complessa e innovativa modificando anche profondamente il sistema distributivo in cui la logistica riveste un ruolo crescente. La tradizionale filiera imperniata sulle figure del grossista e del dettagliante diventa sempre meno rilevante anche per l’espansione (notevole in Francia) delle vendite tramite internet che ha dato origine a piattaforme, generalmente
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collocate fuori dai centri urbani, in cui l’acquirente si reca a ritirare quanto acquistato. Una situazione molto dinamica che deve leggere o meglio anticipare stili di vita in rapido mutamento per le mode, per la crescita delle intolleranze e delle allergie e per una diversa e maggiore attenzione salutistica che oggi fa parte della cultura del consumatore. Tutto questo si riflette sulle scelte gastronomiche sia per le elaborazioni domestiche sia per i canali della ristorazione che in questi ultimi anni a loro volta si sono moltiplicati e differenziati. Un processo evolutivo avvenuto grazie a internet che, unito a una cultura informatica capillare o quasi, permette di usufruire (scaricando apposite App) di servizi una
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volta impensabili, irrealizzabili o costosi come la possibilità di farsi recapitare a domicilio un pranzo elaborato da chef anche famosi. Queste tematiche sono state trattate in un recente convegno promosso a Milano da Promosalons e da Paris Region Entreprises significativamente intitolato “Industria agroalimentare e rivoluzione digitale: innovare per crescere” durante il quale sono state illustrate - dopo una brillante introduzione del giornalista Armando Garosci su “L’impatto della rivoluzione digitale sulla filiera alimentare: produzione, retail, consumi” - in modo sintetico e puntuale le implicazioni sia sulla produzione (prof Coppola direttore della Luiss Enlabs) sia sulla distribuzione e i consumi (prof.sa Pontiggia
direttore dello specifico Osservatorio del Politecnico di Milano). Significativi gli interventi dei responsabili dei grandi Saloni dedicati dal sistema fieristico di Parigi al comparto agroalimentare, testimonianza dell’importanza anche nel nuovo millennio delle Esposizioni tematiche quando - realizzando la mission per cui sono state create - sono capaci di illustrare non solo i trend a medio/lungo termine, ma di rendere comprensibili a tutti i modi in cui affrontarli utilizzando i mezzi che le moderne tecnologie, in primis quelle informatiche, sono capaci di predisporre. La Ville Lumière può essere, infatti, considerata anche la capitale della gastronomia: lo chef che aspira a essere
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riconosciuto o consacrato star internazionale non può non essersi esibito anche in un famoso ristorante parigino e per chiunque voglia avere un’idea della realtà agroalimentare è una tappa d’obbligo la visita a 7 km a sud della capitale (vicino all’aeroporto di Orly) al Mercato Internazionale di Rungis, il più grande e importante per i prodotti freschi di tutto il mondo. Parigi, inoltre, con 15 Saloni agroalimentari (distribuiti tra i complessi espositivi di Porte de Versailles e quello di Paris Nord Villepinte) è un punto di riferimento per tutte le componenti del settore cui sono proposti in anteprima un panorama delle innovazioni e la decodificazione dei desideri dei consumatori. In quest’ottica sono stati molto interessanti gli inter-
venti dei rappresentanti di alcuni Saloni (tra i leader mondiali del proprio settore) come Natexpo - dedicato ai prodotti biologici ed ecologici (22-24 ottobre 2017) che presenterà tra le altre novità una App contro lo spreco alimentare mediante l’acquisto degli invenduti nei negozi, o Europain (3-6 febbraio 2018) portavoce di tutte le evoluzioni della Panificazione e Pasticceria visualizzando le soluzioni alle problematiche aziendali indipendentemente dalle dimensioni dell’attività e dal volume della produzione. Nell’autunno 2018 altri due appuntamenti testimonieranno il ruolo culturale e trainante dell’agroalimentare francese: Equiphotel (11-15 novembre) per il complesso settore dell’horeca decodificherà le tendenze ana-
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lizzando i nuovi codici di consumo e in appositi spazi come ‘Studio des Chefs’ prenderanno vita le diverse traduzioni in cucina di tendenze e innovazioni e Sial (21-25 ottobre) che - oltre a dedicare un posto d’onore a settori emergenti come quelli biologici, dietetici gluten-free e allo spazio start-up dei prodotti “Made in France” - presenterà in anteprima mondiale oltre 2.500 innovazioni per ispirare sempre più l’industria alimentare. La leadership internazionale dell’agroalimentare francese deriva, quindi, dall’interconnessione tra i protagonisti di un processo che ha come stella polare oltre alla qualità l’innestare i nuovi stili di vita nella cultura gastronomica del Paese innovandola senza tradirne le radici. ▣
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UN TARTUFO “tagliato per il design” Anteprima il 22 settembre alla 87ª Fiera del Tartufo Bianco d’Alba di Silvana Delfuoco Foto di Luca Privitera
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arà svelato il 22 settembre 2017, alla mostra de Truffle. Il Design Alessi incontra il Tartufo Bianco d’Alba, il nome del designer creatore dell’af-
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fettartufo prodotto dall’Alessi di Omegna. Un oggetto da sempre legato alla consumazione di questo magico tubero e per la prima volta proiettato nel mondo dell’arte. L’evento, anteprima
alla 87ª Fiera del Tartufo Bianco d’Alba che si svolgerà in città dal 7 ottobre al 26 novembre 2017, accenderà i riflettori sulla cultura, finalmente intesa nella sua accezione più ampia, scelta come tema di fondo attorno a
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WEB
Tutte le informazioni, gli eventi e le novità dell’87ª Fiera Internazionale del Tartufo Bianco di Alba sono sul sito: www.fieradeltartufo.org
SOCIAL
È possibile restare aggiornati con la Fiera attraverso le pagine social ufficiali della manifestazione. Facebook: www.facebook.com/tartufobiancoalba Instagram: www.instagram.com/tartufobiancoalba Twitter: @AlbaTruffle - twitter.com/AlbaTruffle Youtube: www.youtube.com/user/Tartufobiancodalba
HASHTAG
È possibile interagire con la Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba attraverso l’hashtag ufficiale dell’evento: #albatruffle
cui ruoterà tutto il ricchissimo programma di quest’anno. Mostre, esposizioni, show cooking, enogastronomia, incontri culturali, musicali, letterari, folcloristici e sportivi: quasi due mesi di appuntamenti che coinvolgeranno non solo Alba, ma anche tutto il suo territorio. È qui, infatti, che ogni anno, a partire dall’ormai quasi mitico 1928, si rinnova la magia del Tuber magnatum Pico, il fungo ipogeo dai misteriosi poteri – si sussurra anche afrodisiaci – divenuto in queste zone simbolo di un patrimonio di esperienze collettive che coinvolgono la ristorazione, l’ospitalità e l’autentico modo di vivere italiano.
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l Mercato, e non solo
Se cuore della Fiera sarà come sempre, ogni sabato e domenica dal 7 ottobre al 26 novembre, il Mercato Mondiale del Tartufo Bianco d’Alba, allestito all’interno del Cortile della Maddalena, non mancherà negli stessi giorni, anche l’Alba Truffle Show. Tra gli eventi in programma, attesissimi gli Show Cooking con i grandi chef di Langhe, Roero e Monferrato, e i gemellaggi con territori d’eccellenza enogastronomica. Tra questi, un felice ritorno: Parma, Città Creativa per l’Enogastronomia Unesco 2016, nei week end dell’11/12 e del 17/18 novembre, sarà
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presente con i suoi prodotti d’eccellenza, nonché con i piatti, preparati in diretta dagli chef del territorio.
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l Bocuse d’or sbarca ad Alba
Ad aprire la stagione del Tartufo, il 1° ottobre in piazza Risorgimento, sarà la competizione della Selezione del Bocuse d’Or Italia. Obiettivo della gara individuare il vincitore che guiderà il Team Italia alla selezione Europea di Torino nel 2018. Di fronte a una giuria di altissimo livello, capitanata da Enrico Crippa e composta da 30 chef provenienti da tutta Italia, si sfideranno
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i quattro concorrenti in gara: Paolo Griffa, Giuseppe Raciti, Martino Ruggeri e Roberta Zulian. E sempre ad Alba, capitale indiscussa della gastronomia che affonda le sue radici nelle dolci colline di Langa, per preparare al meglio la squadra italiana ad affrontare questa sfida, è nata l’Accademia Bocuse d’Or Italia presieduta da Enrico Crippa, chef tristellato del ristorante Piazza Duomo di Alba, e diretta da Luciano Tona. Con l’augurio
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che sia questa, finalmente, la volta buona per vedere uno chef italiano sul podio della più prestigiosa kermesse internazionale.
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infine, per sognare, le Ultimate Truffle Dinner
Ostriche, manzo di Kobe, caviale, foie gras, Champagne, Barolo e…, naturalmente, Tartufo. Questi gli ingredienti uniti e abbi-
nati insieme in due specialissime “cene delle meraviglie” dalla sapienza di due chef d’eccezione, Ugo Alciati e Flavio Costa: il 25 ottobre presso Guido Ristorante di Ugo Alciati e il 20 novembre presso il Ristorante 21.9 di Flavio Costa. Il ricavato delle due serate sarà destinato al progetto Breathe the Truffle, la campagna di crowdfunding per salvaguardare l’ambiente naturale del Tartufo Bianco d’Alba. ▣
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ra il 21 marzo 1987 quando 39 sindaci si riunirono a Siena per dar vita allʼAssociazione Nazionale Città del Vino. Erano sindaci e amministratori di Alba, Asti, Barbaresco, Barile, Barolo, Buonconvento, Canale, Carema, Carmignano, Castagneto Carducci, Castellina in Chianti, Castelnuovo Berardenga, Diano dʼAlba, Dogliani, Dozza, Firenze, Frascati, Gaiole in Chianti, Gattinara, Greve in Chianti, Jesi, La Morra, Marino, Melissa, Monforte, Montalcino, Montecarotto, Montefalco, Montescudaio, Neive, Nizza Monferrato, Ovada, Pramaggiore, Radda in Chianti, Rufina, San Severo, Siena, Treiso dʼAlba e Zagarolo. Da nord a sud, piccoli e grandi comuni, già allora un campione rappresentativo del ricco mosaico che è il vigneto Italia.
Città del Vino, la rete dei Comuni custodi del territorio
Le Città del Vino confermano ancora oggi la bontà di quella idea nata dopo i giorni dello scandalo del vino al metanolo che proprio lʼanno precedente, il 1986, gettò nella disperazione un sistema socio economico basato sul vino, causando vittime e infermità. Quello scandalo rappresentò uno dei motivi principali che spinsero quel gruppo di sindaci a far nascere le Città del Vino, intuendo che lʼoperazione che andava fatta – di carattere culturale, oltre che di marketing – era quella di rendere sempre più forte il rapporto tra vino e territorio, un rapporto che rappresenta ancora oggi lʼunicità del vino italiano, la sua originalità assoluta. Lʼobiettivo dellʼAssociazione è quello di aiutare i Comuni (con il coinvolgimento di Ci.Vin srl, sua società di servizi) a sviluppare intorno al vino, ai prodotti locali ed enogastronomici, tutte quelle attività e quei progetti che permettono una migliore qualità della vita, uno sviluppo sostenibile, più opportunità di lavoro.
Aderire a Città del Vino è semplice Possono aderire allʼAssociazione, in qualità di Soci Ordinari, tutti i Comuni che hanno una vocazione vitivinicola testimoniata dalla presenza di una o più Denominazioni di origine, o Comuni che, per storia e tradizione (sociale, economica, culturale) hanno un forte legame con il mondo del vino. Possono far parte dellʼAssociazione, in qualità di Soci Sostenitori, altri Enti e Associazioni pubbliche, private o pubblico/private che operano in territori a vocazione vitivinicola. Aderire è semplice. Per i Comuni si tratta di predisporre una delibera di Giunta o di Consiglio Comunale, in quanto lʼadesione è un “atto politico”; la delibera, oltre a prevedere la spesa annuale per il pagamento della quota associativa, deve dare atto di aver preso visione dello Statuto e del Regolamento, nonché della Carta della Qualità. Vedi anche: http://www.cittadelvino.it/articolo.php?id=MjMzNA==
Via Massetana Romana 58B - 53100 SIENA Telefono: 0577 353144 • info@cittadelvino.com - www.cittadelvino.it
Pietre e gola A Palazzolo Acreide (SR) la scommessa di un turismo diffuso passa per la storia la gastronomia. di Riccardo Lagorio
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er apprezzare il grande passato di Palazzolo Acreide bisogna salire sull’acrocoro poco fuori dal centro. Un’area archeologica che le sere d’estate rivive con un nutrito programma di opere classiche che animano il teatro d’origine greca. Di giorno ci si può abbandonare tra allori giganti e alberi da frutta visitando l’area archeologica che domina la valle dell’Anapo: uno accanto all’altro il luogo di riunione del senato cittadino, l’asse viario, le latomie, cave di pietra con la doppia funzione di prigione.
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corrono su 30 mila metri quadrati palme, bossi e tassi. Percorrendo le strade che portano alle numerose chiese del centro ci si lascia convincere dai profumi che escono Lasciata la scenografica sca- dalle macellerie per un assaggio della caratteristica linata della chiesa dedicata salsiccia, aromatizzata con a San Sebastiano, corso Vittorio Emanuele è un susse- finocchietto e peperoncino. Si lascia essiccare per qualche guirsi di palazzi nobiliari che giorno e ciò la rende diversa hanno contribuito a fare ottenel panorama delle salsicce nere dalla cittadina il titolo di Città Patrimonio dell’Umanità. siciliane: Palazzolo Acreide si trova a 600 metri sul livello Vale la pena fermarsi per un del mare, sui Monti Iblei, e bicchiere di latte di mandorle la sua posizione consente al Bar del Corso Infantino. questo pur breve periodo di Chi è appassionato di giarstagionatura. Peraltro i resti dini visita gli ampi viali della di consumi alimentari dei Villa Comunale dove si rinMa è la riscoperta dell’arte barocca che ha reso in tempi recenti celebre il centro siracusano, una città rinata dopo il terremoto del 1693.
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coloni greci di oltre 2500 anni fa testimoniano l’interesse di quelle popolazioni nei confronti del suino locale. Che oggi è in prevalenza dalle setole nere e spesse e appartiene alla razza locale siciliana. U niuru, semplicemente il nero, in segno di rispetto. In contrada Serravetrano si può visitare l’allevamento semibrado di Giovanni Musso da cui escono animali dalla carne soda e saporita. Ma passeggiando per Palazzolo Acreide ci si rende conto della presenza diffusa dell’offerta ristorativa. “Fino agli anni Cinquanta qui c’erano più di 30 osterie dove si mangiavano cose semplici: uova sode e polpette. Non era certo per consapevoli ragioni di turismo, ma per il piacere di stare insieme agli amici davanti a un bicchiere di vino” dice Paolo Didomenico, presidente
dell’Associazione dei ristoratori locali, Vicoli & Sapori, e patron del Ristorante Scrigno dei sapori. Oggi che l’enogastronomia è entrata a far parte a pieno titolo tra le voci più importanti come molla turistica, la ristorazione si è organizzata anche per far conoscere le potenzialità del territorio circostante. “Abbiamo pensato che rivitalizzare il centro storico di Palazzolo Acreide con i produttori e i ristoratori fosse una buona idea. Con questo intento è nata Vicoli & Sapori, una cena itinerante che proponiamo ogni anno l’ultimo fine settimana di luglio” racconta Andrea Alì, del Ristorante Sapori Montani. I ristoranti associati preparano pietanze in sintonia con l’obiettivo dell’iniziativa e i produttori hanno la possibilità di illustrare al pubblico le loro proposte.
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Un appuntamento che va segnato sul calendario 2018 sin da ora e che permette di scambiare quattro chiacchiere con alcuni vignaioli della zona o conoscere la birra artigianale palazzolese Dea Mater, di cui va assaggiata la doppio malto nera, dai profumi agrumati e il vago gusto tostato. Le soste che ci hanno più conquistato durante l’edizione 2017? Il Tortino di patate e zafferano su vellutata di Ragusano DOP del Ristorante Al Punto giusto e il Panino siciliano, un hamburger con scaglie di Ragusano DOP e olio al cappero de La Corte di Eolo. Squisiti come la consueta ospitalità siciliana. Destinazione ideale per un fine settimana dal nord Italia, il periodo migliore per visitare Palazzolo Acreide è l’autunno. ▣
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Con Tipicità è ripartito il futuro!
Chiusa all’insegna di un “futuro possibile” la venticinquesima edizione. Testo e foto di Jimmy Pessina
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ma qui a Tipicità si è respirata aria di rinascita, di ripartenza. Il bello ed il buono è tornato al centro della scena, con un incredibile sfoggio di qualità, visione, creatività, voglia di presentarsi al mondo con ancor maggior forza!”. “A Tipicità si sono riaccesi i motori – sottolinea Serri - con 226 realtà presenti nel padiglione e oltre 11.500 biglietti staccati. A detta dei visitatori e sbirciando nei commenti sui social, è stata una Tipicità bellissima sotto l’aspetto scenografico, una vera EXPO, con tante aree interattive, colori caldi ed invitanti, ben 110 eventi”. Una Tipicità ancora più aperta al mondo!
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A Tipicità 2017 abbiamo visto un territorio che rinasce!”. Sono le parole del direttore Angelo Serri (nella fotografia) nel commentare gli esiti della venticinquesima edizione di Tipicità, appena conclusa. “Per le aree colpite dal sisma, ma in generale per le quattro regioni colpite, i problemi sono tanti e non di soluzione immediata – prosegue Serri -
Le animazioni nello stand della Cina, le performance in quello di Dubai, la presenza della Federazione Russa, gli incontri con l’Ambasciatore di Moldova forieri di nuovi e concreti sviluppi. E poi le Piccole Italie, dal Piemonte alla Sicilia, con percorsi che partono da Tipicità, ma poi si aprono ad altre opportunità nel corso dell’anno. Enorme anche la visibilità mediatica lasciata in dote al territorio, con oltre 400 articoli di stampa e con i palinsesti Mediaset e RAI che hanno dedicato all’evento numerosi servizi televisivi. “Ultimo, ma non meno importante – sottolinea Serri – la centralità assegnata alle località colpite dal terremoto. Aver
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scelto in maniera provocatoria la denominazione “Zona Rossa”, per evidenziare la nostra estrema attenzione alle aree colpite dal sisma, è stata una scelta vincente, nonché un’occasione per sottolineare il grande patrimonio di risorse detenuto da queste aree. L’alto Ascolano e l’interno del Maceratese, in particolare, attraverso Tipicità hanno ritrovato uno spirito di squadra che le fratture degli ultimi mesi avevano lacerato”. “Si è respirata una grande voglia di futuro e soprattutto una diffusa solidarietà che è poi la piattaforma sulla quale costruire il domani” conclude Serri, aggiungendo: “Tipicità si è prestata volentieri ad essere la casa di questo sentiment e con il Grand Tour delle Marche lavoreremo ancora più alacremente, insieme a tutta la community di Tipicita, per diffondere il seme di una consapevole e fattiva “rigenerazione” del nostro territorio!”. ▣
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RAI2: SIGNORI
DEL VINO Riparte il viaggio di Marcello Masi e Rocco Tolfa nei vitigni italiani.
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e eccellenze enologiche italiane tornano protagoniste su Rai2 con “Signori del Vino”, il programma condotto dai giornalisti Marcello Masi e Rocco Tolfa, che fa conoscere al grande pubblico questo meraviglioso prodotto della terra. A partire da sabato 9 settem-
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bre, alle 16.30, prende il via la terza edizione, che sarà caratterizzata dal racconto dei nostri vitigni tradizionali, attraverso le testimonianze dei produttori che li hanno salvaguardati e valorizzati, e che, in questo modo, hanno difeso un patrimonio che per quantità e qualità rappresenta un vanto per l’Italia nel mondo. La cadenza sarà set-
timanale, le puntate saranno disponibili su raiplay. Ogni regione racchiude sapori unici che si identificano con il territorio e regalano emozioni inimitabili: oggi gli eno gourmet di tutto il mondo sono sempre più alla ricerca di vini che evochino il territorio di provenienza in maniera inconfondibile e in questo l’Italia ha un tesoro unico, che
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va fatto conoscere, difeso e rafforzato. All’agronomo Marco Simonit il compito di spiegare i passaggi più importanti della viticoltura. Signori del Vino è un programma di Rai2 ideato e condotto da Marcello Masi e Rocco Tolfa, scritto con Riccardo Cotarella, Luciano Ferraro, Paolo Lauciani, Roberto Rabachino con la regia di Luca Nannini, realizzato in collaborazione con il MIPAAF (Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali). ▣ Fonte: Ufficio Stampa RAI
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Riflessioni su Vinexpo 2017 Il condizionamento climatico sembra diventare il pensiero dominante. di Giorgio Colli
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’ultima edizione che si è tenuta dal 18 al 21 giugno a Bordeaux Lac, come di consueto, ha riconfermato questo Salone come il più significativo riferimento del settore vino e alcolici nel mondo. Biennale, con 2300 espositori da 40 Paesi, ha mantenuto un buon livello tecnico delle conferenze e degustazioni guidate e non. Rispetto agli scorsi anni la realtà dei mercati ha condizionato più che in passato il suo svolgi-
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mento conferendogli un taglio un po’ più commerciale e leggermente meno tecnico. Un salon orienté business era lo slogan previsto dagli organizzatori. Molte le iniziative rivolte ai compratori internazionali e del settore alberghiero. Il mondo dei vini biologici ha avuto un posizionamento di rilievo probabilmente mai cosi importante. Sono stati raccolti 150 produttori provenienti da 8 Paesi, sostanzialmente arti-
giani vignaioli che con spazi ridottissimi proponevano e discutevano gli assaggi in un’area specialmente dedicata. A una così ampia proposta di vini in degustazione, alcuni di buon livello, non ha corrisposto un qualificato ciclo di conferenze scientifiche tale da colmare la scarsità di informazioni e cultura del settore. Un argomento ricorrente sono state le generali preoccupazioni dei produttori europei, francesi soprattutto, a causa
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I RISTORANTI DEL BUON RICORDO portabandiera della migliore cucina regionale italiana. dal 1964.
L’Unione Ristoranti del Buon Ricordo promette da oltre mezzo secolo un viaggio tra i sapori e i colori della cucina italiana. Le cento insegne racchiuse sotto il suo marchio, distribuite dal Nord al Sud dell’Italia e all’estero, rappresentano la migliore espressione della cucina regionale italiana e disegnano la mappa della gastronomia e dell’ospitalità Made in Italy. www.buonricordo.com
dell’incerto andamento climatico stagionale. Le diffuse gelate primaverili seguite da un caldo torrido con scarse previsioni di pioggia sono state viste come la conferma del cambio del clima negli ultimi 20 anni. Bisogna capire come reagiscono le viti; di irrigazione di soccorso nelle zone qualitativamente più vocate, non si parla; un proprietario di Château bordolese mi fece notare che non si disporrebbe di acqua sufficiente a irrigare! In questo contesto sono molti coloro che si pongono il quesito se la rigida normativa AOC non debba essere rivista per essere adattata alla nuova realtà. Con questi pensieri, il mix delle tipologie di vini sul
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mercato è passato in secondo piano. I vini premium registreranno la miglior crescita in tutto il mondo, il vino rosé continuerà ad aumentare la sua quota di mercato, così come gli spumanti, Cava, ecc. La concorrenza all’export sta diventando sempre più accanita; gli accordi del Cile e dell’Australia con la Cina stanno compromettendo la posizione dominante della Francia sul mercato. Come in Italia il numero degli abituali consumatori di vino è da anni in calo. Ben due intere giornate sono state dedicate alla libera degustazione dei Grands Crus de Bordeaux millesimo 2016 quasi tutti rossi. Un’occasione rara quanto preziosa. In estrema sintesi
questo millesimo ci ha dato vini di buona struttura ed equilibrio con tannini mai duri generalmente setosi. Come spesso accade, due tipologie risultano presenti: i vini quasi pronti e quelli olfattivamente ancora chiusi che richiedono qualche anno di affinamento. Sta comparendo una nuova lettura in chiave climatica del vigneto bordolese. Con il perdurare della siccità il Cabernet sarà a proprio agio mentre il Merlot avrà qualche problema Château de France (Leognan) è risultato quasi pronto, mentre i Pauillac con grande freschezza e tannicità, ci chiedono ancora pazienza. Per i vini botritizzati il millesimo 2016 potrebbe essere eccezionale con note fruttate ma che sviluppano precur-
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Benvenuto nel mondo di Cheese! Dal 15 al 18 settembre, a Bra, puoi scoprire il meraviglioso mondo dei formaggi a latte crudo dall’Italia e dal mondo. Quest’anno Cheese, l’evento organizzato dall’associazione Slow Food Italia e dalla Città di Bra, compie vent’anni e festeggia l’undicesima edizione con un focus sul latte crudo. Parlare di formaggi a latte crudo ora ha più senso che mai, perché sono più buoni, fortemente legati al territorio d’origine e sono espressione di biodiversità. A Cheese 2017 sono tutti protagonisti: gli espositori del Mercato italiano e internazionale, i Presìdi Slow Food, gli affineurs e i selezionatori… e per la prima volta in assoluto i formaggi vaccini, ovini e caprini proposti saranno solo ed esclusivamente a latte crudo. Il programma è ricco di eventi: dai Laboratori del Gusto alle Conferenze, dagli spettacoli alle attività per i bambini, dalle proiezioni di Cheese on the Screen agli appuntamenti della Piazza della Pizza e della Piazza del Gelato, dai percorsi guidati dagli studenti dell’Università di Scienze Gastronomiche agli appuntamenti alla scoperta della biodiversità. Inoltre ricca è l’offerta gastronomica tra Cucine di strada e Food Truck, Piazza della Birra e Chioschi regionali. C’è pure uno stand dedicato a chi è intollerante al glutine o semplicemente curioso di scoprire piatti speciali e alternativi. Tra le novità c’è lo Spazio Libero, dove assaggiare formaggi a latte crudo liberi da fermenti industriali, salumi liberi da nitrati e nitriti e ancora pane e pizza con lievito madre e birra Lambic a fermentazione spontanea. Seguiteci sul sito www.slowfood.it, sulla pagina Facebook e sul profilo Twitter di Slow Food Italia per scoprire gli aggiornamenti e le ultime novità e scaricate la App Cheese 2017 per iOS e Android. L’edizione 2017 di Cheese è possibile grazie all’impegno di aziende che credono nei valori e negli obiettivi della manifestazione, tra queste gli Official Partner: Cassa di Risparmio di Bra, Egea, Lurisia, Parmigiano Reggiano, Pastificio Di Martino, Quality Beer Academy, Velier. Official Sparkling Wine: Consorzio Alta Langa.
sori di aromi esotici con note di albicocca, mango e finale spesso mentolata. Per un accenno alle altre regioni vitivinicole francesi, l’Alsazia ha espresso un 2016 meno strutturato del 2015; la Champagne pesantemente condizionata della siccità ci ha dato un millesimo sodisfacente. La Valle della Loira ha avuto un ciclo vegetativo che i vitivinicoltori hanno definito di grande stress: probabilmente il 2106 non passerà alla storia, solo salvato parzialmente da un settembre favorevole. La Borgogna haprodotto purtroppo poco vino per condi-
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zionamenti climatici: si stima un calo del 30%. Ma sarà un vino che passerà alla storia, longevo, strutturati e fini i rossi (Vosne-Romanée); elegante freschezza per i bianchi della Côte de Beaune. I prezzi sono in forte aumento e si consigliano le prenotazioni. Semplificando si potrebbe concludere che la Francia enologica sembra essere meglio rappresentata dai Borgogna bianchi e dai Bordeaux rossi. Per contro i vini del sud stanno diventando più interessanti nel rapporto qualità-prezzo da quando i produttori si sono enologicamente orientati verso una maggior finezza dei loro vini.
Per la qualità del millesimo 2017 le previsioni sono molto caute. Quantitativamente si da per scontato che l’Italia sarà - per il terzo anno consecutivo - la prima Nazione vitivinicola al mondo con 44-46 milioni di ettolitri prodotti, seguita dalla Francia con 38 milioni di ettolitri, poi dalla Spagna. Chiaramente i volumi sono in calo rispetto al 2016. Come era prevedibile non è mancata la presentazione di nuovi prodotti. Il whisky Moon Harbour distillato e affinato a Bordeaux nelle botti dei grandi cru bordolesi (PessacLeognan, ecc), ha sorpreso per la grande eleganza e persistenza. ▣
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’appuntamento fieristico più importante per la ristorazione e l’agroalimentare italiani è Anuga, il Salone del food & beverage più importante al mondo, appuntamento fondamentale non solo per chi produce, ma anche per chi distribuisce o commercializza e per quanti fanno della gastronomia e della cucina il filo conduttore della propria esistenza o della propria attività. Salone biennale, Anuga nel 2017 si svolgerà dal 7 all’11 ottobre negli splendidi e funzionali padiglioni della Koelnmesse che l’ospita fin dalla prima edizione del 1951: oggi l’89% dei 7.200 espositori e il 69% dei circa 160.000 operatori proven-
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ANUGA
BUSINESS E FUTURO Appuntamento a Colonia il prossimo ottobre con il più importante Salone mondiale del food & beverage di Salvatore Longo gono da Nazioni diverse dalla Germania, garanzia di business a livello internazionale, frutto anche della rete di manifestazioni sul food & beverage che Koelnmesse organizza nel mondo (Brasile, Cina, Colombia, Emirati Arabi Uniti,
Giappone, India, Stati Uniti, Thailandia…). È quindi evidente come indipendentemente dai moltissimi Italiani che vivono in Germania, a volte da generazioni, e dalla consolidata passione per i nostri prodotti e la
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nostra cucina di gran parte dei Tedeschi - Anuga sia per l’industria alimentare italiana proiettata verso l’estero (nel 2016 il nostro export agroalimentare è stato di 34.364 milioni di euro) un appuntamento fondamentale come testimoniano le oltre mille nostre aziende espositrici ad Anuga 2015, costituendo la più numerosa e articolata offerta dopo quella dei padroni di casa. In Europa la storica centralità della Germania e la forza traente della sua economia (con 81 milioni di consumatori è il maggior mercato di prodotti alimentari nell’Unione Europea) rappresentano due fattori di attrazione per il commercio internazionale e italiano in particolare: dei 22.681 milioni di euro del nostro export 2016 verso Paesi dell’UE ben 6.266 (con un incremento del 3,7% sul 2015) riguardano il mercato tedesco con un saldo attivo tra export e import (4.532) di 1.734 milioni di euro. L’ortofrutta con 1.500 milioni di euro nel 2016 (+2,58 sul 2015) è il comparto leader delle nostre esportazioni in terra tedesca, seguito dal
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vino (978 milioni con un +1,7 sul 2015) e al terzo posto le carni preparate (606 milioni di euro con un + 7,2 sul 2015) che peraltro rappresentano anche il prodotto leader del nostro import dalla Germania. Con questi valori commerciali non c’è da stupirsi se Federalimentare è partner (insieme a Fiere di Parma) di Anuga e se in occasione della conferenza stampa di fine maggio Thomas Rosolia (amministratore delegato di Koelnmesse Italia) ha annunciato
che oltre alla collettiva di produttori organizzata dall’ICE hanno già aderito 1.036 aziende italiane e che è rilevante anche la presenza di visitatori italiani: 6.001 nel 2015. Anuga occupa l’intero quartiere fieristico di Colonia (284.000 mq espositivi lordi articolati su 11 padiglioni) e presenta un concept dinamico e facilmente leggibile (10 saloni specializzati sotto lo stesso tetto) basato su una
chiara suddivisione tematica costantemente adeguata alle tendenze in essere nel mercato. Tra le novità del 2017 Anuga Hot Beverages (Pad 7) - dedicato a caffè, tè e bevande calde in genere - risponde alle crescenti necessità del mercato dell’out-of-home e una ridefinizione del concetto di ‘arte culinaria’ tramite l’Anuga Culinary Concepts (in cui si svolgeranno anche le fasi finali dei concorsi ‘Cuoco dell’anno’ e ‘Pasticciere dell’anno’) che si integrerà culturalmente e operativamente con Anuga Wine Special, la parte di Anuga Drinks già in passato inserita nel Pad 7, mentre il resto di questo Salone è collocato nell’attiguo Pad 8. Il visitatore che con qualsiasi motivazione si recherà ad Anuga non potrà non dedicare tempo a Anuga Fine Food, il più grande salone della manifestazione, in cui potrà perdersi tra le cucine di tutto il pianeta assaporandone il fascino e la grande varietà degli alimenti, dei prodotti e delle specialità. Latte e latticini, tutta la
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gamma dei surgelati, dei prodotti convenience, di quelli biologici e della carne sono i protagonisti dei vari saloni in cui sono presentati sia i grandi gruppi leader di mercato, sia le piccole e medie aziende garantendo innovazione e qualità. Alla vigilia di Anuga 2017 l’Associazione Tedesca della Distribuzione Alimentare fornisce alcune note positive sui prossimi trend nei 19 Stati dell’Eurozona come una crescita del consumo privato di 1,4% nel 2017 e di un ulteriore 1,5% nel 2018 e aspetto particolarmente interessante - la minore importanza del prezzo rispetto alla qualità come criterio di acqui-
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sto, testimoniato anche dallo sviluppo negli assortimenti dei prodotti ‘sostenibili’ (biologici, vegani, equosolidali…). Per il ‘biologico’ in particolare è interessante notare che in Europa i maggiori acquirenti sono i Tedeschi: nel 2016 il 27% ha scelto prodotti sostenibili con un incremento di spesa del 16%. I nuovi stili di vita - spesso imposti dal lavoro che limita il tempo da trascorrere a casa e quindi da poter dedicare alla cucina - si riflettono sulle tipologie degli acquisti alimentari creando un doppio trend, spesso coesistente: una cucina rapida basata sui convenience food o sui piatti pronti, anche surgelati, e una cucina d’autore in cui esprimere la gioia di preparare piatti speciali per le persone cui si vuol bene utilizzando materie prime di qualità come i prodotti regionali o gourmet. Anuga, inoltre, è la sede ideale per conoscere i trend che influenzeranno (anche a breve) la filiera dell’industria alimentare, rispondendo sia a nuove sensibilità dei consumatori come una maggiore attenzione agli aspetti salutistici e a un crescente bisogno d’informazioni approfondite su ingredienti e preparazione dei cibi sia alle nuove possibilità offerte dai sistemi digitali che permettono di scegliere e cambiare i canali d’acquisto. ▣ NE W S DAL M ONDO
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SANA 2017, IL CENTRO DEL FOOD BUSINESS BIOLOGICO Appuntamento nel Quartiere fieristico di Bologna da venerdì 8 a lunedì 11 settembre 2017 con il Salone internazionale del biologico e del naturale. Padiglioni 25 e 26 e – ultim’ora! – 32 riservati al settore Alimentazione biologica; per la Cura del corpo naturale e bio gli spazi dei paglioni 21 e 22, per il Green Lifestyle il padiglione 16. Vendite 2016-17: +16% nella GDO, +3,5% nel canale specializzato. Il mercato del biologico, lo stato dell’arte del Food Bio
tari (5 volte in più rispetto al 2000).
’intero sistema dell’alimentare biologico è in crescita; le ultime stime relative alle vendite 2016 nel canale specializzato segnano un +3,5%, mentre nella GDO l’aggiornamento Nielsen evidenzia un +16% (nell’anno terminante giugno 2017) e una quota dell’organic di oltre il 3% sul totale delle vendite alimen-
Alimentazione biologica: esposizione ed eventi
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on la qualità e la diversificazione dell’offerta che si comporrà di aziende produttrici e distributrici di alimenti bio, enti di certificazione, istituzioni, produttori di attrezzature e prodotti per l’agricoltura biologica e
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l’apicoltura, oltre a società di packaging e confezionamento di cibi naturali. Tra gli eventi a tema, Osservatorio SANA “Tutti i numeri del Bio italiano”, il convegno d’apertura “Quale regolamento per potenziare la crescita del biologico europeo?” organizzato da FederBio e il convegno IFOAM “Biologico 3.0: stato dell’arte e casi studio di buone pratiche nel Mediterraneo”. ICE - Agenzia per la promozione all’estero
e l’internazionalizzazione delle imprese italiane proporrà una serie di incontri per fare il punto sui mercati stranieri del biologico, mentre Assobio terrà il convegno “Attenti a quei due. Il mercato biologico nel canale specializzato e nella GDO” focalizzato sul mercato italiano. Tutto il resto è... SANA
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ll’area riservata all’Alimentazione biologica si affiancherà la rassegna espositiva della sezione Cura del corpo naturale e bio ai padiglioni 21 e 22,
mentre al padiglione 16 saranno presenti le realtà del comparto Green Lifestyle e Cura del corpo naturale e bio. SANA Novità offrirà al pubblico la possibilità di scoprire i prodotti con caratteristiche innovative segnalati dagli espositori e di votare il proprio preferito. SANA Academy, con la partecipazione di docenti, ricercatori universitari e di professionisti del settore. Ai momenti di approfondimento organizzati all’interno del Quartiere fieristico si aggiungeranno le numerose altre iniziative della manifestazione: SANA Shop, dove
i visitatori potranno acquistare i prodotti delle aziende espositrici; SANA City con 10 giorni di appuntamenti green, gestiti in collaborazione con Eco- Bio Confesercenti; SANA Day con tutte le iniziative in città promosse insieme a Confcommercio-Ascom Bologna, e il VeganFest organizzato in collaborazione con VEGANOK. ▣ Organizzata da BolognaFiere, SANA è l’unica manifestazione di riferimento in Italia per i settori del biologico e del naturale con oltre 800 espositori e più di 47.000 visitatori.
PER INFORMAZIONI Ufficio Stampa SANA Absolut eventi&comunicazione: Mariagrazia Lioce - Sara Telaro ufficiostampa@absolutgroup.it, tel. 051 272523 - 340 9214636 Canali social Facebook.com/sanabologna Twitter.com/sanafiera Youtube.com/BolognaFiere Instagram/Sana_fiera Responsabile Affari Generali, Comunicazione e Rapporti Istituzionali Isabella Bonvicini Isabella.bonvicini@bolognafiere.it tel. 051 282920 – 335 7995370 Ufficio stampa BolognaFiere Gregory Picco gregory.picco@bolognafiere.it tel. 051 282862 - 334 6012743 Sito web www.sana.it
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