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Percorso Storico Culturale
Cervia Passeggiata in centro storico Cervia non è solo “sea, sand an sun”, perciò godete appieno di “mare, spiaggia e sole” durante il vostro soggiorno balneare, ma non perdete l’opportunità di conoscere la storia di questa città che il premio Nobel Grazia Deledda, sua cittadina onoraria, chiamò ”la città del vento”. Questo percorso, in particolare, vi farà conoscere i luoghi legati alla grande civiltà del sale che si sviluppò grazie alla presenza di una vasta area di saline di antichissima origine etrusca e, senza soluzione di continuità, vi condurrà presso i luoghi che per i cervesi sono testimoni delle epoche successive alla ricostruzione della loro città, la Cervia Nuova, nel 1697. Il punto di partenza è presso la Torre San Michele che affaccia su piazza Andrea Costa, dove ogni giovedì si svolge il grande mercato degli ambulanti. Si può fare questo percorso con la bike, partendo dall’hotel, ed essere di ritorno nell’arco di una mezza giornata.
Piazza Garibaldi - Cervia
ralmente smontata e traslocata. La torre fu costruita subito in prossimità del litorale perché doveva servire come postazione di controllo del mare e difesa dalle incursioni piratesche, totalmente isolabile grazie al ponte levatoio azionato da argani (a lato della porta finestra, che era l’entrata originale, si individuano i punti di aggancio sopra l’attuale porta di ingresso). Quando la torre fu costruita, la battigia distava da qui solo quattro, cinque metri e il porto attuale era il canale emissario ed immissario delle saline, che le collegava con il mare. Gli armigeri avevano la propria postazione in alto, dove ora c’è il tetto. I quattro angoli dell’edificio poggiano su camere sommerse che garantiscono l’equilibrio e che, nel corso dei secoli, furono riempite con materiali “di risulta” come dimostra il ritrovamento di brocche seicentesche durante un’ispezione interna . Attualmente è sede dello IAT. La torre di difesa era indispensabile perché Cervia, che non era una potenza marinara, basava la sua fortuna economica sull’estrazione del sale (questa situazione, seppure con epocali cambiamenti, si è protratta fino agli anni ’50 del ‘900, allorchè si sviluppò il turismo). Assai vicino alla Torre furono costruiti i due magazzini dove il sale trasportato dalle saline veniva stipato prima della vendita.
Subito, è utile una premessa: la storia di Cervia è determinata dalle saline e dalle attività di estrazione del sale che era la prima fonte si sostentamento della popolazione. Cervia non era, infatti, una città marinara, come si penserebbe. L’eccessiva vicinanza del nucleo abitato alla salina comportava problemi di insalubrità per la popolazione che a più riprese chiese ed ottenne di potersi trasferire più vicino alla linea di costa. Il pontefice in carica Innocenzo XII (Cervia era territorio dello Stato Pontificio) autorizzò la costruzione nel 1697. Dapprima furono decentrate le attività economiche legate al sale, subito dopo si costruì la città: essa fu lette-
In pochi metri raggiungete il Magazzino del Sale Torre la cui entrata è sul lato canale, e già sulla sponda opposta del canale si presenta anche la mole dell’altro magazzino, detto Darsena.
Torre San Michele - Cervia
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Se dall’esterno, si capisce che si tratta di due edifici di grandi dimensioni, tuttavia entrando nel Torre, ci viene spontaneo paragonarlo ad una basilica. Fu costruito nel 1691 con una navata centrale e due navate laterali minori. Gli archi, se ne gode la fuga prospettica, sono deformati, non semicircolari o “a tutto sesto”, per sostenere il peso del tetto e scaricarlo verso l’esterno. I grossi pilastri centrali sono interessati dal fenomeno di “erosione” del mattone da parte del sale che passando dallo stato liquido a quello solido cristallizza e crea l’ effetto”brillante”(distinguibile dalla malta cementizia). Dal 2004 il Magazzino ospita il museo Musa dedicato alla storia della civiltà salinara. Il MUSA è l’espressione dell’attaccamento dei salinari alla propria storia, il che significa alle persone concrete che l’hanno vissuta. I salinari, infatti, possono essere visti come una comunità nata e cresciuta intorno all’Oro Bianco. Gli attrezzi e i diversi oggetti che il museo conserva sono un racconto vivo della vita quotidiana di questa comunità.
La burchiella- Cervia
todo di raccolta, non riescono a depositarsi. Nel museo avrete modo di soddisfare ogni curiosità sulle caratteristiche dell’Oro Bianco, ma noi vi anticipiamo che l’attributo dolce gli fu dato dall’albergatore cervese, Terenzio Medri (attualmente presidente di Ascom Confcommercio e già presidente dell’Associazione Italiana dei Sommeliers) che lo definì un sale gentile che non copre i sapori della cucina, ma esalta il sapore del prodotto base, come ad esempio quello del pesce. Di recente, è stata ideata la “mattonella dello chef” che è un parallelepipedo di diverse dimensioni costituito solo di sale dolce di Cervia pressato sulla quale essi hanno sperimentato con successo la cottura del pesce e della carne. Permette di cucinare le pietanze senza l’aggiunta di grassi (olio, burro, margarina) ed è ideale per una cucina dietetica. La pietanza assume dalla mattonella durante la cottura la giusta quantità di sale di cui ha bisogno, si sala autonomamente. I tempi di cottura rispetto all’antica tecnica “sotto sale” o “in crosta di sale” sono notevolmente ridotti. La mattonella è in vendita presso il punto vendita del Parco della Salina e nel sito on line del medesimo si possono leggere le ricette consigliate dagli chef locali. L’attenzione dei visitatori è sempre attirata da una grande burchiella originale [l modellino che la riproduce mostra come veniva tirata nel canale fino ai magazzini]. Sono numerosi gli attrezzi da lavoro, strumenti per la raccolta del sale e documenti storici, toponimi tradizionali, nomi dei salinari del passato, volti e immagini della memoria. Un popolo nato e cresciuto preservando la risorsa leader del proprio territorio, il sale, a ragione chiamato l’oro bianco. Il plastico del territorio, che avete
Prima di prendere in considerazione oggetti e immagini del museo, vi consigliamo di recarvi verso il plastico dell’ area delle saline e di posizionarvi sul piccolo ponte che offre un punto di osservazione solo un poco sopraelevato, ma sufficiente a dare un’ idea dell’attività sistematica che dalle saline, luogo di produzione e raccolta del sale, si prolungava fino alla costa, luogo di deposito e preparazione alla vendita. Il sale di Cervia viene definito ”sale dolce”, ricco di cloruro di sodio puro e con minore quantità di altri sali presenti nell’acqua di mare, sali amari che, per la particolarità del clima e per il me-
Magazzini del Sale - Cervia
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già osservato, presenta bene la struttura dell’area occupata dalle saline e in particolare la più antica salina Camillone, che è considerata un “museo all’aperto” e si può visitare con la guida dei salinari. L’accesso alla “Camillone” è sulla Sp.254 [antica via Salara]. Per anticipare la vostra visita in loco, vi diamo alcune informazioni: la Camillone è l’ultima delle 144 saline di produzione attive fino al 1959, quando il sistema di produzione divenne industriale e i piccoli bacini vennero accorpati in grandi vasche di evaporazione e di raccolta. Oggi la salina Camillone resta quale ultima originale salina artigianale, parte integrante del museo del sale ed è lavorata a scopo dimostrativo per far conoscere il duro lavoro dei salinari. È di piccola estensione, con una superficie evaporante di mq. 21.181 ed una superficie salante di mq. 2.650. Il fondo può produrre dai 500 ai 2000 quintali di sale a stagione. La produzione nella salina Camillone, avviene infatti ancora, come un tempo, artigianalmente, con gli attrezzi in legno e le antiche procedure. I salinari durante le visite guidate descrivono il loro lavoro e offrono indicazioni sulle particolari caratteristiche del sale cervese. Il sale della salina Camillone dal 2004 è diventato presidio Slow Food. MUSA è stato riconosciuto Museo di Qualità della Regione Emilia Romagna nell’anno 2010. Nel bookshop del Museo sono a disposizione testi, immagini, gadget e durante tutto il periodo estivo, da giugno a settembre, il giovedì e la domenica alle ore 17.00, le visite guidate gratuite sono realizzate dal Gruppo Culturale Civiltà Salinara e mostrano le varie fasi delle attività per la raccolta del sale.
Fontana Tappeto sospeso- Cervia
Quando si esce dal Torre si presta maggiore attenzione all’edificio che si staglia maestoso dal lato opposto del canale ovvero il magazzino Darsena che prese il nome dalla piccola darsena sul lato ovest, dove le burchielle cariche del sale della salina sostavano prima di essere svuotate secondo questa successione: nel Torre si ammucchiava il sale che veniva lavato e poi trasportato nel Darsena, qui distribuito in sacchi e avviato alla vendita. Esso poteva contenere circa 120 mila quintali di sale. La struttura fu modificata all’inizio del’900 con l’aggiunta di meccanismi elettrici utili a rendere più veloce il trasporto del sale da un magazzino all’altro. Per raggiungere il Darsena attraversiamo il ponte mobile e nel Piazzale dei Salinari che fiancheggia il lato est del magazzino si fa sosta presso la Fontana del Tappeto Sospeso, monumento realizzato nel 1997 su idea originale di Tonino Guerra (poeta, scrittore e sceneggiatore riminese ) dall’artista mosaicista ravennate Marco Bravura. Il tappeto sospeso suggerisce l’idea magica della sospensione e, quasi, del movimento per quella lieve ondulazione che sembra prodotta dalla spinta verso l’alto dei getti d’acqua. Il mosaico nella varietà dei suoi colori vuole suggerire una visione ideale della città nelle sue componenti principali: il perimetro a quadrilatero, i tramonti, le albe, il mare, le saline che sono fortemente evocate dai cumuli di sale bianco. Va segnalato anche l’utilizzo di materiali “poveri”: le traversine in legno sono quelle dismesse degli antichi binari della ferrovia; i ciottoli attorno alla fontana sono di fiume, le canne del canneto sono state
Magazzini del Sale Darsena- Cervia
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scelte come tipologia botanica molto diffusa in zona e anticamente usate dai salinari per costruire le case “incannucciate”. Si riattraversa il ponte mobile per raggiungere le piazze cittadine e il Quadrilatero dei salinari, ovvero il centro storico di Cervia. Si supera il voltone della Porta a Mare, l’unica rimasta delle tre porte di Cervia, e si entra in Piazza Pisacane detta anche Piazzetta delle Erbe, perché era il luogo dove le donne tutte le mattine portavano i prodotti degli orti per la vendita. E’ un luogo suggestivo sistemato con un certo gusto provenzale, delimitato dalla parte posteriore del Palazzo Comunale e dalle case dei salinari, così dette perché venivano date in abitazione ai lavoratori della salina. Sulla piazza si affaccia la pescheria, una costruzione del periodo napoleonico, oggi dismessa e adibita per il suo interesse storico ad ospitare manifestazioni di carattere artisticoculturale. E’ stata ristrutturata negli anni ’50 del’900. Il medaglione in pietra arenaria sulla facciata riporta lo stemma della città con la corona comitale alla maniera settecentesca.
Via XX Settembre - Cervia
in piazza Garibaldi che si spalanca agli occhi del visitatore, come uno spazio molto luminoso rimasto della originaria forma quadrata, concepita come fulcro della pianta quadrangolare di Cervia Nuova nel1697 e pavimentata in ciottoli di fiume. Dopo un periodo negli anni ’50 in cui fu asfaltata, come all’epoca spesso si faceva, è stata di nuovo pavimentata in ciottolato, selce e trachite riprendendo il disegno originario. Sulla piazza si affacciano i due edifici simbolo dei due poteri che nella storia antica anche nella collocazione urbanistica si contrapponevano, il potere politico e quello ecclesiastico. Oggi piazza Garibaldi è il luogo dove si realizzano eventi di intrattenimento cittadino soprattutto in estate, ma anche in inverno e diversi mercati a tema ( antiquariato…).
Prima di uscire da piazza Pisacane c’è una curiosità legata alla storia di Cervia, una sorta di documento epigrafe: sul muro del Municipio a sinistra in basso, guardando piazza Garibaldi, fu montato un blocco di marmo scolpito che riporta la data 1638, sul quale sono incise le “misure” in uso nella città antica. Il fatto di avere diritto di peso e misura era un segno dell’autonomia della città. Si oltrepassa il voltone sotto il Municipio per immettersi
Attraversate la piazza per raggiungere in via XX Settembre il Teatro Comunale che nella prima progettazione del Quadrilatero non era stato previsto e solo in seguito fu collocato in un angolo del baluardo dove prima erano locali di servizio sociale, com’è scritto nella pianta generale della città del 1711, “una parte per l’ospedale, per il forno e stanza per teatro delle commedie”. Il fatto che non sia nato come teatro vero e proprio, è evidente anche nella struttura interna: la porta d’ingresso non è in asse con l’ingresso della platea. Gli spazi erano, infatti, preesistenti. Il teatro, come è oggi, fu inaugurato nel 1862 la sera di Natale, contiene 257 posti ed è ancora intatto nei 29 palchetti su due ordini e il loggione a balconata. Anche gli affreschi e le decorazioni sono quelli originali, seppure restaurati. L’ambiente dà la piacevole
Piazzetta Pisacane- Cervia
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sensazione di una bellezza in miniatura, quasi una bomboniera, ed è impreziosito dal Sipario storico opera di Giovanni Canepa di Lugano, che decorò anche la volta del teatro. Il Sipario, chiamato “Antico Velario” è stato sapientemente restaurato e ricollocato nel novembre 1997. Tornate verso piazza Garibaldi per vedere con calma i due edifici principali della città, ovvero il Municipio e la Cattedrale intitolata a Santa Maria Assunta. Il Palazzo Comunale fu, durante il periodo del dominio papale, la sede della Nunziatura Apostolica. La sua facciata è stata modificata con l’innalzamento della Torre con l’orologio ad opera dell’architetto Camillo Morigia. E’ stato un intervento positivo che ha aggiunto slancio e un certo movimento all’edificio. Sotto l’orologio è collocata in una nicchia la Statua della Madonna Assunta. E’ un’opera di grandi dimensioni, in terracotta, commissionata a metà del ‘700 forse ad un laboratorio artigianale imolese. Maria Assunta è rappresentata su nubi e teste angeliche e la sua presenza, di fronte alla Cattedrale, che è parrocchia a Lei intitolata, è ancor più segno di protezione verso la cittadinanza. La statua subì danni, come pure l’edicola, a causa di un terremoto verificatosi verso la fine del ‘700, come si è potuto capire da un ex Voto trovato in una chiesa cittadina. Il Municipio ospita un archivio storico composto da oltre 2000 unità archivistiche (registri, fascicoli, buste d’archivio, faldoni ecc.) e comprende documenti datati dal 1511 al 1965. Il complesso comprende sia il fondo principale che documenta l’attività della Comunità e poi del Comune di Cervia, sia alcuni piccoli archivi aggregati fra cui l’Ab-
La Cattedrale - Cervia
bondanza frumentaria, gli Atti civili e criminali e i Registri della popolazione. Nella ricorrenza del Centenario della fondazione di Milano Marittima (1912) sono stati resi visitabili i documenti più significativi in particolare l’originale del progetto urbanistico della “città giardino” di Giuseppe Palanti. Il palazzo municipale fu costruito di fronte al Duomo, come assai di frequente accadeva nei centri antichi, allorchè si collocavano le sedi dei due poteri principali a fronteggiarsi, spesso con gli annessi rispettivi, la torre e il campanile. La Cattedrale era compresa, fin dall’inizio, nel progetto urbanistico della Nuova Cervia insieme con il Palazzo Vescovile, che le è accanto. Il vescovo Riccamonti ne pose la prima pietra nel 1699 e tre anni dopo era terminata. Cervia fu una sede vescovile autonoma dal V secolo fino al 1911-12, anno di carica dell’ultimo Vescovo Monsignor Foschi. Ora è invece sotto la diocesi di Ravenna che si fregia del titolo di Arcivescovado di Cervia e Ravenna. La facciata del Duomo è incompiuta; il portale è realizzato negli anni ’60, in pietra d’Istria, materiale usato in zona anche per la facilità del trasporto via mare dall’Istria. La struttura interna è semplice: una navata con cappelle laterali. A sinistra, verso l’attuale Battistero, ci si sofferma di fronte al quadro che rappresenta il Patrono della Città: San Paterniano. E’ un dipinto commissionato al pittore forlivese Fanzaresi, a cavallo tra il ‘600 e il ‘700 e rappresenta il Santo in abito vescovile con in mano il modellino della città, non idealizzato, ma molto rispondente alla realtà. La figura del Santo ritorna in un altro dipinto a destra del presbiterio. E’ un dipinto
Palazzo Comunale - Cervia
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di autore ignoto che rappresenta la Madonna Assunta in compagnia di due Santi, San Paterniano, appunto, e forse San Sebastiano, che nella tradizione popolare è identificato come copatrono di Cervia; non vi sono tuttavia riscontri nella tradizione liturgica. Anche qui c’è il modellino della città, in basso, anch’esso veritiero: vi si possono individuare i vari edifici. Nella Cappella laterale sulla destra dell’altare è stata depositata una tavoletta lignea di piccole dimensioni, incorniciata con una cornice ottocentesca, che è una delle poche testimonianze di Cervia Vecchia. E’ un’opera probabilmente del Guarini, ma è stata più frequentemente attribuita a Barbara Longhi, figlia di Luca Longhi di Ravenna. Anticamente era collocata all’interno della Porta che dava verso Ravenna, in un’edicola che è chiamata Madonna della Neve. La leggenda narra che la Madonna facesse nevicare in un sol luogo nel mese di agosto e indicasse così il sito dove voleva che le si costruisse una Chiesa. Tale Chiesa sarebbe quella di cui oggi possiamo osservare solo la facciata nei pressi dell’Hotel Ficocle, in mezzo alle saline. La Madonna assomiglia molto ad una donna del popolo: tiene in braccio un bambino molto vivace, che sembra salutare il viandante di passaggio, quasi a dire: “ben tornato” oppure “entra”. Verso l’uscita, a sinistra, un quadro collocato all’interno di un altare di tipo penitenziale rappresenta San Giuseppe con il Bambino in braccio. E’ interessante notare lo splendore del Bambino Gesù e la tenerezza che ispira. L’attribuzione del quadro è recentemente rivolta ad un grande discepolo del Guercino, Matteo Loves, e si suppone che sulle fattezze del Gesù ci sia stato un intervento diretto del Maestro.
Piazza Garibaldi - Cervia
Rimanendo in piazza Garibaldi ci si sposta solo di un centinaio di metri sul lato della cattedrale fino a raggiungere su corso Mazzini la Chiesa del Suffragio. Il Suffragio è un piccolo Oratorio, fu costruito intorno al 1722 come aula ellittica con due cappelle laterali e lo si visita almeno per due eccellenze: vi si custodisce un crocefisso ligneo tedesco del 1300 che i Francescani conventuali in Cervia Vecchia commissionarono a maestranze provenienti dalla Germania. E’ considerato un Gotico doloroso di tipo renano, ingentilito da influssi italiani per il fatto che i maestri tedeschi erano di stanza nelle Marche. Prima del secondo conflitto mondiale i salinari lo portavano in processione a Forlì durante la festa della Madonna del fuoco patrona di quella città. I portantini mettevano al collo un fazzoletto di seta sul quale era stampato l’inno che avrebbero cantato durante il percorso. La seconda opera di pregio qui presente è l’organo del famoso artefice veneziano Gaetano Callido che viene attivato per concerti di musica sacra.
Il Crocifisso - Cervia
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Cervia L’antica Civiltà del Sale Cervia non è solo “sea, sand an sun”, perciò godete appieno di “mare, spiaggia e sole” durante il vostro soggiorno balneare, ma non perdete l’opportunità di conoscere la storia di questa città che il premio Nobel Grazia Deledda, cittadina onoraria, chiamò ”la città del vento”. Questo percorso, in particolare, vi farà conoscere i luoghi legati alla grande civiltà del sale che si sviluppò grazie alla presenza di una vasta area di saline di antichissima origine etrusca. Le tappe che vi proponiamo sono a ritroso, ovvero partiremo dalla città per giungere alla salina Camillone, la più antica rimasta sul territorio, quasi un museo all’aperto, ma ancora attiva per una piccola produzione artigianale del sale grazie al Gruppo Culturale Civiltà Salinara . Magazzini del Sale Darsena - Cervia
Il punto di partenza è presso la Torre San Michele che affaccia su piazza Andrea Costa, dove ogni giovedì si svolge il grande mercato degli ambulanti. Si può fare questo percorso con la bike, partendo dall’hotel, ed essere di ritorno nell’arco di una mezza giornata.
furono decentrate le attività economiche legate al sale e, subito dopo, si costruì la città: essa fu letteralmente smontata e traslocata. La torre fu costruita subito in prossimità del litorale, perché doveva servire come postazione di controllo del mare e difesa dalle incursioni piratesche, totalmente isolabile grazie al ponte levatoio azionato da argani ( a lato della porta finestra, che era l’entrata originale, si individuano i punti di aggancio sopra l’attuale porta di ingresso). Quando la torre fu costruita, la battigia distava da qui solo quattro, cinque metri e il porto attuale era il canale emissario ed immissario delle saline, che le collegava con il mare. Gli armigeri avevano la propria postazione in alto, dove ora c’è il tetto. I quattro angoli dell’edificio poggiano su camere sommerse che garantiscono l’equilibrio e che, nel corso dei secoli, furono riempite con materiali “di risulta” come dimostra il ritrovamento di brocche seicentesche durante un’ispezione interna . Attualmente è sede dello IAT. La torre di difesa era indispensabile perché Cervia, che non era una potenza marinara, basava la sua fortuna economica sull’estrazione del sale (questa situazione, seppure con epocali cambiamenti, si è protratta fino agli anni ’50 del ‘900, allorchè si sviluppò il turismo). Assai vicino alla Torre furono costruiti i due magazzini dove il sale trasportato dalle saline veniva stipato prima della vendita.
Subito è utile una premessa: la storia di Cervia è determinata dalle saline e dalla attività di estrazione del sale che era la prima fonte si sostentamento della popolazione. Cervia non era, infatti, una città marinara, come si penserebbe. L’eccessiva vicinanza del nucleo abitato alla salina comportava problemi di insalubrità per la popolazione che a più riprese chiese ed ottenne di potersi trasferire più vicino alla linea di costa. Il pontefice in carica Innocenzo XII (Cervia era territorio dello Stato Pontificio) autorizzò la costruzione nel 1697. Dapprima
In pochi metri raggiungete il Magazzino del Sale Torre, qui a lato, la cui entrata è sul lato canale, e già sulla sponda opposta del canale si presenta anche la mole
Torre San Michele - Cervia
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dell’altro magazzino, detto Darsena. Già dall’esterno, si capisce che si tratta di due edifici di grandi dimensioni, ma subito, entrando nel Torre, ci viene spontaneo paragonarlo ad una basilica. Fu costruito del 1691 con una navata centrale e due navate minori laterali. Gli archi, se ne gode la fuga prospettica, sono deformati, non semicircolari o “a tutto sesto”, per sostenere il peso del tetto e scaricarlo verso l’esterno. I grossi pilastri centrali sono interessati dal fenomeno di “erosione” del mattone da parte del sale che passando dallo stato liquido a quello solido cristallizza e crea l’ effetto”brillante”(distinguibile dalla malta cementizia). Dal 2004 il Magazzino ospita il museo Musa dedicato alla storia della civiltà salinara. Il MUSA è l’espressione dell’attaccamento dei salinari alla propria storia, il che significa alle persone concrete che l’hanno vissuta. I salinari, infatti, possono essere visti come una comunità nata e cresciuta intorno all’Oro Bianco. Gli attrezzi e i diversi oggetti che il museo conserva sono un racconto vivo della vita quotidiana di questa comunità. Vi consigliamo di recarvi verso il plastico delle saline e di posizionarvi sul piccolo ponte che offre un punto di osservazione solo un poco sopraelevato, ma sufficiente a dare un’ idea dell’attività sistematica che dalle saline, luogo di produzione e raccolta del sale, si prolungava fino alla costa, luogo di deposito e preparazione alla vendita. Il sale di Cervia viene definito ”sale dolce”, ricco di cloruro di sodio puro e con minore quantità di altri sali presenti nell’acqua di mare. sali amari che, per la particolarità del clima e per il metodo di raccolta, qui non riescono a depositarsi.
Plastico Salina Camillone (Museo del Sale) - Cervia
Nel museo avrete modo di soddisfare ogni curiosità sulle caratteristiche dell’oro bianco, ma noi vi anticipiamo che l’attributo dolce gli fu dato dall’albergatore cervese, Terenzio Medri (attualmente presidente di Ascom Confcommercio e già presidente dell’Associazione Italiana dei Sommeliers) che lo definì un sale gentile che non copre i sapori della cucina, ma esalta il sapore del prodotto base, come ad esempio quello del pesce. Di recente, è stata ideata la “mattonella dello chef” che è un parallelepipedo di diverse dimensioni costituito solo di sale dolce di Cervia pressato sulla quale essi hanno sperimentato con successo la cottura del pesce e della carne. Permette di cucinare le pietanze senza l’aggiunta di grassi (olio, burro, margarina) ed è ideale per una cucina dietetica. La pietanza assume dalla mattonella durante la cottura la giusta quantità di sale di cui ha bisogno, si sala autonomamente. I tempi di cottura rispetto all’antica tecnica “sotto sale” o “in crosta di sale” sono notevolmente ridotti. La mattonella è in vendita presso il punto vendita del Parco della Salina e nel sito on line del medesimo si possono leggere le ricette consigliate dagli chef locali. L’attenzione dei visitatori è sempre attirata da una grande burchiella* originale [e il modellino che la riproduce mostra come veniva tirata nel canale fino ai magazzini]. Sono numerosi gli attrezzi da lavoro, strumenti per la raccolta del sale e documenti storici, toponimi tradizionali, nomi dei salinari del passato, volti e immagini della memoria. Un popolo nato e cresciuto preservando la risorsa leader del proprio territorio, il sale, a ragione chiamato l’oro bianco. Il plastico del
Burchiella - Cervia
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territorio, che avete già osservato, presenta bene la struttura dell’area occupata dalle saline e in particolare la più antica salina Camillone, che è considerata un “museo all’aperto” e si può visitare con la guida dei salinari. L’accesso alla “Camillone” è sulla Sp254 [antica via Salara]. Per anticipare la vostra visita in loco, vi diamo alcune informazioni: la Camillone è l’ultima delle 144 saline di produzione attive fino al 1959, quando il sistema di produzione divenne industriale e i piccoli bacini vennero accorpati in grandi vasche di evaporazione e di raccolta. Oggi la salina Camillone resta quale ultima originale salina artigianale, parte integrante del museo del sale ed è lavorata a scopo dimostrativo per far conoscere il duro lavoro dei salinari. È di piccola estensione, con una superficie evaporante di mq. 21.181 ed una superficie salante di mq. 2.650. Il fondo può produrre dai 500 ai 2000 quintali di sale a stagione. La produzione nella salina Camillone, avviene infatti ancora, come un tempo, artigianalmente, con gli attrezzi in legno e le antiche procedure. I salinari durante le visite guidate descrivono il loro lavoro e offrono indicazioni sulle particolari caratteristiche del sale cervese. Il sale della salina Camillone dal 2004 è diventato presidio Slow Food. MUSA è stato riconosciuto Museo di Qualità della Regione Emilia Romagna nell’anno 2010. Nel bookshop del museo sono a disposizione testi, immagini, gadget e durante tutto il periodo estivo, da giugno a settembre, il giovedì e la domenica alle ore 17.00, le visite guidate gratuite sono realizzate dal Gruppo Culturale Civiltà Salinara e mostrano le varie fasi della raccolta.
Centro Visite - Cervia
Quando si esce dal Torre si presta maggiore attenzione all’edificio che si staglia maestoso dal lato opposto del canale ovvero il magazzino Darsena che prese il nome dalla piccola darsena sul lato ovest, dove le burchielle cariche del sale caricato in salina sostavano prima di essere svuotate secondo questa successione: nel Torre si ammucchiava il sale che veniva lavato e poi trasportato nel Darsena, qui distribuito in sacchi e avviato alla vendita. Esso poteva contenere circa 120 mila quintali di sale. La struttura fu modificata nel 1911 con l’aggiunta di meccanismi utili al trasporto del sale. Per raggiungere il Darsena attraversate il ponte mobile e nel Piazzale dei Salinari che fiancheggia il lato est del magazzino fate sosta presso la Fontana del Tappeto Sospeso, monumento realizzato nel 1997 su idea originale di Tonino Guerra (poeta, scrittore e sceneggiatore riminese ) dall’artista mosaicista ravennate Marco Bravura. Il tappeto sospeso suggerisce l’idea magica della sospensione e, quasi, del movimento per quella lieve ondulazione che sembra prodotta dalla spinta verso l’alto dei getti d’acqua. Il mosaico nella varietà dei suoi colori vuole suggerire una visione ideale della città nelle sue componenti principali: il perimetro a quadrilatero, i tramonti, le albe, il mare, le saline che sono fortemente evocate dai cumuli di sale bianco. Va segnalato anche l’utilizzo di materiali “poveri”: le traversine in legno sono quelle dismesse degli antichi binari della ferrovia; i ciottoli attorno alla fontana sono di fiume, le canne del canneto sono state scelte come tipologia botanica molto diffusa in zona e anticamente usate dai salinari per co-
Fontana del Tappeto sospeso - Cervia
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struire le case “incannucciate”. Il percorso continua in bike: dal Piazzale dei Salinari si attraversa il ponte mobile per tornare verso il magazzino Torre e da questo lato del canale si procede sulla pista ciclabile fino alla rotonda dell’ospedale e ancora dritto su via Bova. Su via Bova si procede fino al sottopasso e da qui al Centro visite, in via Bova n.61. Il Centro Visite [Stazione Sud Parco Delta del PO] offre ai visitatori la possibilità di scegliere tra diversi percorsi predisposti per i turisti con l’accompagnamento di una guida. Per gruppi superiori alle 15 unità, le escursioni e le visite sono possibili tutto l’anno su prenotazione. Qui, presso il Centro Visite, vi viene data indicazione per proseguire in bike fino alla Salina Camillone, di cui il plastico presente al MUSA ha dato una riproduzione panoramica. Attraversando la via Salara o Sp.254, dalla Salina Camillone si può raggiungere la sede del Parco della Salina, e visitare il negozio che mette in vendita i prodotti della salina, il sale stesso nelle sue diverse composizioni, anche quelle aromatizzate, i prodotti cosmetici a base di sale di Cervia e anche alcuni prodotti tipici dell’entroterra. Il ritorno può essere effettuato seguendo a ritroso le medesime tappe oppure sulla Sp254 in direzione Cervia.
Salina Camillone - Cervia
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Percorso ambientale
Back stage in Salina Il ciclo della produzione del sale “dolce” di Cervia La visita al Parco della salina di Cervia e alla più antica salina Camillone, l’unica rimasta a produzione artigianale, consente ai visitatori di conoscere la storia di questa risorsa ambientale e produttiva radicata nella storia della città antica, ma c’è un altro percorso, che di rado viene proposto, attraverso il quale si può accompagnare il ciclo del sale dal mare fino agli stabilimenti di lavorazione e impacchettamento. Qui, perciò, vi proponiamo il backstage della salina, per farvi vedere che è possibile la convivenza dell’ attività più antica con le contemporanee imprese turistiche. Il percorso si sviluppa sia su strade urbane, sia su strade extraurbane e sentieri con accesso regolamentato, perciò è bene organizzare un gruppo e ottenere una guida facendone preventiva domanda presso il Parco della Salina o presso il Museo MUSA. La durata può contenersi in una mezza giornata. Il punto di partenza potrà essere fissato presso la Torre San Michele a Cervia. I termini che definiscono le tappe sono quelli che per la consuetudine d’uso si sono tramandati, immutati, fino ad oggi.
Vallone, Statale Adriatica
cui le maree non sono sufficienti per garantire dal mare un afflusso costante di acqua. Le idrovore sono pompe che possono immettere circa 80/90 litri di acqua al secondo. L’acqua non viene pompata se risulta alterata da piogge, alghe o eutrofizzazione, perché la sua gradazione di densità (che si misura con il densimetro) risulterebbe bassa, sotto i 2, 8 gradi baumè*. E la densità ideale è tra i 2,8 e 3,1 gradi baumè, che si realizza quando il tempo è bello. *Baumè: Antoine Baumè è il fisico francese che perfezionò il densimetro, lo strumento per misurare il grado di salinità, definita nella scala di gradi Bè. Il villino un tempo era abitato da alcune famiglie dei tecnici addetti all’impianto. Siete molto vicino all’arenile . Il pecorso del canalino attraversa Milano Marittima, segue la pineta lungo via Ilenia Gora, divide la pineta in zona Bassona, lambisce l’area delle Terme e all’altezza della SS.16, a nord della Pieve storica Madonna del Pino, si trova l’accesso, regolamentato, della salina. Quando siete qui, vi trovate nel cosidetto Vallone. La sbarra indica divieto di ingresso se non accompagnati da guida.
1a tappa Il canalino di Milano Marittima, in Via 2 Giugno Viene detto “è canalin” dai cervesi ed è il canale immissario delle saline. Qui sono contenuti gli impianti, paratoie e idrovore, che regolano l’immissione di acqua dal mare, nei periodi in
2a tappa Il Vallone Qui si vede molto bene la linea del canalino che proviene dal mare e sulle sponde ospita alcuni capanni da pesca. Si raggiunge sulla SS. 16 Adriatica. Si oltrepassa la sbarra e dopo circa 300 metri inizia
Canalino di Milano Marittima
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Percorso ambientale
l’area umida della salina: a destra avete il Vallone che è il primo deposito di acqua di mare e da questo punto inizia il processo di evaporazione dell’acqua fino a portarla alla densità di 26 gradi baumè che consente il deposito dei cristalli di sale. Quando l’acqua ha raggiunto questa densità viene immessa nei bacini salanti, che sono 3 per ogni rango o invaso di acqua. I ranghi sono 4, ciascuno di 1 km di lunghezza e metri 175 di larghezza. Quindi i bacini salanti sono 12 e dentro all’invaso o rango due bacini salanti sono di m.400 e quello centrale è di m.200. Il rapporto tra bacini salanti e zona evaporante deve essere di 1:9 come quello che si verifica nella salina Camillone. In questa zona del Vallone vedete il capanno del dopo lavoro del Cral delle saline che il Comune ha dato in concessione, insieme con la Camillone, al Gruppo Civiltà Salinara. E’ un locale caratteristico per la sua collocazione dove si possono organizzare pranzi o cene a base di prodotti tipici locali per circa 25 persone. Terza tappa Stabilimento del Parco della Salina Dal Vallone lo si raggiunge o sul sentiero di circa 2km interno alla salina, o in auto sulla SS16, e all’incrocio con la Sp 2 voltando in direzione Forlì.
Montagne di sale allo stabilimento
ma di crosta di sale, la cui quantità aumenta ogni giorno, ed è variabile in base al clima, alla piovosità e alle varie condizione climatiche (le migliori sono con bassa piovosità e forte ventilazione).Terminata la campagna salifera si inizia la raccolta. La macchina per la raccolta che qui vedete, va nel bacino scorrendo sui rulli con un nastro trasportatore che è lungo quanto il bacino salante. Una lama taglia la crosta di sale e con l’aiuto di ventole la porta sul nastro trasportatore. Quest’ultimo scarica il sale nei “trenini” o carrelli locomotori. Il trenino, tramite un binario interno, porta il sale fino al lavaggio che si effettua in due passaggi anche con centrifugazione per liberarlo dell’acqua e di qui fino al cumulo nello stabilimento. Dal cumulo ha inizio il processo di impacchettamento in sacchetti (da 3 etti a 25 kg e oltre). Negli anni si è sviluppata la creatività e si sono preparate confezioni di sale speziato per un diverso utilizzo in gastronomia. Il confezionamento è affidato ai soci di Cooperative Sociali. Nel punto vendita del Parco della salina si può acquistare ogni tipo di sale e i prodotti a base di sale, oltre ad altri prodotti tipici di Romagna. Vi segnaliamo anche la Stanza di sale,che in estate è attrezzata per trattamenti salutari ed estetici in un ambiente totalmente definito dall’utilizzo del sale.
Ci si addentra verso l’area di accumulo del sale e la si supera per andare a raggiungere i bacini salanti e le macchine della raccolta sale. Quando il processo di evaporazione si è concluso, nel periodo della campagna salifera, si formano i cristalli di sale che si depositano su fondo dei bacini salanti in for-
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Ambientale
Cervia Percorso in bicicletta Da Tagliata fino allo Stadio dei Pini G.Todoli a Milano Marittima. Altri punti di partenza da Pinarella o da Cervia La passeggiata in bicicletta a Cervia e Milano Marittima sono un appuntamento quasi irrinunciabile, favorita da piste ciclabili e dal verde che circonda i diversi viali. Questo che presentiamo ha il vantaggio di costeggiare tutto il lungomare da Tagliata fino alla darsena di Cervia e poi di inoltrarsi nelle vie tranquille di Milano Marittima fino alla Pineta. Il punto di partenza può essere a Tagliata dove parte il sentiero Giovanni Gerbi che attraversa la Pinetina fino a Pinarella. Se si vuole fare qualche sosta nella pinetina diamo qui alcune informazioni utili: [è’un sentiero in terreno battuto ricavato all’interno della pineta che conduce fino al lungomare di Cervia. Lunghezza percorso ca. 6 km. Larghezza variabile. Sentiero in piano. Dislivelli in zona dune tra Via Piemonte e Via De Amicis. Presenza di radici affioranti. Accesso consentito a biciclette, mountain bikes e pedoni. Accesso consentito ai cani, al guinzaglio o con museruola. Lungo il percorso si incontrano, utili durante la stagione estiva, diverse zone di sosta con tavoli pic-nic. Presenza di altalene e percorso vita per fitness. Aperto tutto il giorno, di sera non illuminato].
Il Faro - Cervia
Gino Bartali, fino al Porto Canale (sono circa 2 Km). Chi volesse partire da Pinarella può accedere da Via Sicilia, Via Mezzanotte, Via Piemonte, Via Emilia, Via De Amicis. Le due piste ciclabili sono fiancheggiate a est dagli stabilimenti balneari e ad ovest dalle tamerici e dalla prima linea degli hotels, perciò la passeggiata è del tutto godibile anche per la brezza marina. Consigliamo una sosta sul lungomare Deledda, per conoscere da vicino il monumento di Angelo Biancini (1911-1988) dedicato al premio Nobel Grazia Deledda (1871-1936) che trascorse a Cervia i soggiorni estivi dal 1920 al 1935. Il fulcro del monumento, come ben si vede, sono le due statue che rappresentano due donne, la pescivendola ovvero la donna cervese, e la pastora, ovvero la donna sarda. Non una contrapposizione, ma il dialogo tra le due terre amate dalla scrittrice.
Quando si esce dalla Pinetina ci si immette nel Lungomare Deledda sulla pista ciclabile Fausto Coppi e di seguito sul lungomare D’Annunzio, sulla pista ciclabile
Si prosegue verso il Grand Hotel che campeggia sul lungomare con l’ inconfondibile stile Liberty che si ritrova in altri villini storici sia a Cervia, sia a Milano Marittima (la Città Giardino fondata nel 1912). Dopo il Grand Hotel, in pochi minuti, si raggiunge il Porto canale con la Darsena per le imbarcazioni turistiche. Dal Porto canale si può passare a Milano Marittima imbarcando la bicicletta sul traghetto, ma il nostro percorso consiglia di proseguire su via Nazario Sauro, caratteristica strada di affaccio sul porto costellata di ristoranti specializzati
lungomare D’Annunzio - Cervia
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Ambientale
nella cucina a base di pesce. Tra tutti si segnala, anche per la sua caratteristica struttura e collocazione sul lato canale, “La Pantofla” del Circolo dei pescatori, locale storico e caratteristico, ricco di charme marittimo, dove si svolgono anche serate di cantate e suonate in comitiva. Prima della Pantofla, il Faro ci collega con la storia quotidiana dei pescatori che, entrando nel porto lo hanno come punto di riferimento, anche in regime di nebbia grazie al sistema di autofono. Superata La Pantofla si incontra il mercatino coperto dei pescatori e procedendo lungo la banchina si vedono diverse postazioni per la vendita del pescato fresco. All’attracco vi sono centinaia di barche e pescherecci con i nomi singolari che la storia delle famiglie “chioggiotte”* ha tramandato.
Pineta di Milano Marittima
nati almeno 27 sentieri percorribili. Oggi vi indichiamo questo che è abbastanza breve, ma poiché avete già percorso almeno 7 km, potrete seguirlo in altra occasione, partendo da questo punto.
In bicicletta si prosegue verso il ponte mobile che collega Cervia con Milano Marittima e si prosegue voltando subito dopo a destra su via Oriani fino ad incontrare via Spallicci ( che costeggia il canale Madonna del Pino). Si entra in una zona residenziale tranquilla che introduce alla pista ciclabile interna fino ad incrociare via Leopardi e, di seguito, via Ravenna (se si voltasse a destra si sarebbe a pochi metri dal centro di Milano Marittima, alla Rotonda Primo Maggio) che voltando a sinistra porta direttamente allo Stadio dei Pini G.Todoli e alla Pineta.
Partenza: piazzale antistante lo Stadio dei Pini* di Milano Marittima, viale Ravenna. Entrare subito in pineta, prendere il primo sentiero a sinistra e proseguire sino all’argine del canalino, attraversare via Stazzone e proseguire. Girare al primo sentiero a destra e continuare fino al sovrappasso in ferro che attraversa la ferrovia. Prendere il sentiero a destra della scalinata e proseguire per ca. 300 m., girare a destra fino al ponticello di legno. Attraversato il ponticello ci si addentra di nuovo nella pineta e si prosegue per circa 2,5 km fino alla via N. Baldini, a questo punto tornare indietro per ca. 300 m., si gira a sinistra e poi alla prima stradina a destra. Si prosegue fino alla via Jelenia Gora, si attraversa il ponte di legno, si gira a destra e si prosegue sull’argine del canalino per ca. 300 m.; si prende la prima a sinistra e si arriva al punto di partenza.( percorso indicato nel sito www.turismo.comunecervia.it/).
All’ingresso un verso del vate Gabriele d’Annunzio ”Il mare canta una canzon d’amore nel plenilunio bianco alla pineta”accoglie il visitatore. In pineta sono denomi-
*Ogni anno nel mese di maggio nello Stadio dei Pini Germano Todoli si svolge la Festa della Pineta.
Rotonda I^ Maggio - Cervia Milano Marittima
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Letterario
Cervia 100 ANNI…E il mare sta a guardare Il percorso letterario a Cervia è dedicato ai letterati che hanno stretto legami con la città sia per averla frequentata nei propri soggiorni estivi, sia per averne ricevuto la cittadinanza onoraria. Nella città, quindi, vi proponiamo di raggiungere luoghi/ link ai diversi personaggi che sono stati già identificati nella iniziativa culturale “Itinerari letterari in forma di percorso spettacolo” iniziata a Cervia nel 2003 nell’ambito della manifestazione “Cervia, la spiaggia ama il libro”(AscomConfcommercio dal 1992) per la sceneggiatura e regia della giornalista Laura Vestrucci. Daremo invece informazione a scopo di semplice lettura, senza inserirli nel tour, di quei letterati che sono stati legati a Cervia, ma dei quali non è presente sul territorio un sito specifico dedicato. L’itinerario si sviluppa secondo un criterio cronologico dai primi anni del ‘900, epoca in cui fu fondata la”Città Giardino” denominata Milano Marittima (1912) e giunge ai nostri giorni. La fondazione di Milano Marittima risale al 1912 quando si cominciò a costruire nel ”pineto” di Cervia secondo il progetto urbanistico del pittore milanese Giuseppe Palanti che aveva studiato il nuovo concept di ”Città Giardino” di Hebenezer Howard e aveva costituito con altri milanesi una società immobiliare per trasformare l’antica città del sale in una moderna città delle vacanze. I milanesi fondatori erano membri della borghesia illuminata che voleva realizzare una città integrata con l’ambiente naturale, dove la difesa della pineta fosse prioritaria. Sul manifesto pubblicitario fu scritto ”Cervia Milano Marittima. Spiaggia incantevole. Aree villini nel pineto” . Giuseppe Palanti progettò anche dieci tipi di villini in stile liberty, molto in voga all’epoca, ma con qualche accento gotico, medievaleggiante e con decorazioni su cornicioni e architravi. Nel 1913 vennero costruiti i primi cinque villini, nel 1914 altre sette ville. I lavori si interruppero a causa del primo conflitto mondiale per riprendere e proseguire fino agli anni Venti, quando la pubblicità su francobolli, cartoline e periodici recitava: “Visitate la pineta baciata dal mare. La Costa Verde Adriatica. Cervia “Milano Marittima”. La borghesia milanese aveva deciso di investire per una seconda casa al mare e aveva scelto Cervia e in particolare l’area di folta pineta che costeggiava il mare in direzione nord. La pineta dava un senso di benessere che la già affollata città industriale sembrava negare nella vita quotidiana. Scriveva Giambattista Vicari nella sua “Guida di Ravenna e altre passeggiate interrotte”, nella
Manifesto di Giuseppe Palanti - Cervia
prima edizione del 1934:…”Nella Città Giardino è questo un miracolo compiuto: le case degli uomini ricchi qui son tanto belle di per se stesse, ma trovano la prima bellezza nel sapersi nascondere tra le chiome dei pini, da cui sbuca talvolta a origliare una loggia o una torretta. La città giardino ha un grande avvenire, poichè dalle forze della natura ha trovato la sua stessa forza e la sua ragione di essere.”. La prima tappa del percorso vi conduce a conoscere da vicino i “villini” di cui si parla. In particolare viene segnalato quello che il progettista Palanti costruì nel 1914 per la propria famiglia. Lo si raggiunge facilmente da via 2 Giugno, ovvero la prima arteria che costeggia il mare, partendo dal versante del porto su Milano Marittima. Percorrete via 2 Giugno superando la prima rotonda fino ad incontrare sulla vostra destra via Enrico Toti. Il villino Palanti è in angolo. 20
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Letterario
1a tappa Villino Storico di Giuseppe Palanti (1881-1946): via Enrico Toti 72, Milano Marittima Oggi di altra proprietà, il villino in stile neogotico, quasi a richiamare un castelletto, ha conservato nel tempo il suo aspetto originario, senza modifiche e ampliamenti, anzi è stato valorizzato grazie ad un sapiente restauro che in esterni ha bene evidenziato i decori nelle cornici del sottotetto. E’ visibile qui nel lato su via Toti, la dedica alla moglie Ada che Palanti fece inscrivere. Sotto le finestre del primo piano Palanti aveva inciso il famoso verso di D’Annunzio “Il mare canta una canzon d’amore, nel plenilunio bianco, alla pineta”. L’edificio non si presenta più in prima linea rispetto al mare, perché altri edifici sono stati edificati negli anni successivi. In particolare, di fianco, sempre su via Toti, consideriamo interessante anche villa “La Campanella” che fu costruita nel 1916. I cervesi raccontano molti aneddoti di Palanti: lo chiamavano “e nostar pitor”, perché era solito fermarsi a lungo sul molo del porto canale per dipingere sulle vele dei pescherecci i disegni più tipici dell’ambiente marinaro. Una famosa fotografia lo ritrae mentre dipinge e si può notare il modo personalissimo con cui impugnava il pennello, tenendolo orizzontale e stretto verso le setole. Era poi molto popolare per le caricature che sapeva schizzare dei personaggi locali. Cervia e Milano Marittima, dopo che egli ne progettò la pianta e ne seguì la fondazione, godettero della sua frequentazione: era un milanese doc, che nel capoluogo lombardo aveva avuto succes-
Giuseppe Palanti mentre dipinge
so sia come pittore, sia come grafico pubblicitario, sia come cartellonista della Scala. Era il primo in grado di promuovere la nuova località balneare. 2a tappa Hotel Mare e Pineta,via 2 giugno ( retro via Dante Alighieri) Da via Toti tornate su via 2 Giugno, attraversate la carreggiata e in pochi metri verso sinistra, ovvero in direzione Cervia, raggiungete l’Hotel Mare e Pineta. E’ la struttura che diede risalto al lancio turistico di Milano Marittima, costruito tra il 1926 e il 1927 fu gestito da imprenditori che hanno dato il via alla storia del turismo, Carlo Allegri ed Ettore Sovera; dal 1995 il testimone è passato ad Antonio Batani che ne ha mantenuto lo stile di luogo di ritrovo di una clientela che, già nei primi anni di apertura, così veniva definita “… una colonia elegante ed aristocratica, caratterizzata però sempre da quella nota di familiare cordialità propria dei figli di S.Ambrogio”. Erano, infatti, soprattutto milanesi all’epoca i clienti della località e dell’hotel la cui fama si consolidò anche grazie al felice binomio ideato tra turismo e cultura e tra turismo e sport: sono esempio del primo il Premio Letterario Città di Cervia (dal 1934 al 1939, poi interrotto a causa del conflitto mondiale e ripreso nel 1956 con Giuseppe Ungaretti presidente di giuria), e la cittadinanza onoraria al Premio Nobel Grazia Deledda, mentre l’attrattiva dello sport sui primi turisti si lanciò con i tornei di tennis e con i concorsi
villa Palanti - Cervia Milano Marittima
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centro di raccolta di tutta la colonia dei villeggianti, di qua e di là dal canale.” Di fronte all’hotel, attraversata la via, vedete lo stabilimento balneare del Mare e Pineta anticipato da un’ampia zona di campi da tennis.
ippici. Il “Mare e Pineta” era già all’epoca una struttura molto dotata con un centinaio di camere, salone, sale di lettura e di convegno, autorimessa, campi da tennis e di bocce, servizio di docce di acqua calda in spiaggia e una passerella lunga per raggiungere la riva. Personaggi famosi lo hanno frequentato in passato e anche attualmente vanta una clientela di grande richiamo. Così ne parlava, ad esempio, Giuseppe Galassi, nel Corriere Padano del 23 agosto 1927:”Oggi la vita balneare è già intensa. Non c’è camera, non c’è posto che non sia occupato…Chi rimane tutto il giorno nella quiete della sua villa, in mezzo al bosco, a ”Milano Marittima”, e chi fa ressa verso gli Stabilimenti. Ma la sera, ecco, al suono della Jazz band, i bagnanti sono richiamati d’ogni parte alla danza. Allora l’albergo “Mare e Pineta”è il principale
3a tappa Parco dei Fondatori, viale Anello del Pino Tornate si via 2 Giugno e percorrete in linea retta il lungo viale superando di volta in volta le rotonde che incontrate. Si raggiunge così la zona nord di Milano Marittima fino alla vasta area pinetale circondata da Viale Anello del Pino e da numerosi hotel, che è stata intitolata “Parco dei Fondatori” quando nel 1992 vi fu collocato il monumento che ricordava la fondazione della Città Giardino nell’Ottantesimo anniversario. Il Monumento è costruito con il marmo della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano ed è corredato da una lapide con iscrizione dei nomi dei primi fondatori della “Città Giardino”. Il parco ospita anche alcune aree attrezzate per l’intrattenimento ludico dei bambini con altalene, scivolo e simili. Nei mesi estivi spesso vi si organizzano serate animate dalla presenza di realtà artigianali e agricole dell’entroterra al fine di far conoscere ai turisti i prodotti eccellenti della Romagna. Gli organizzatori le hanno chiamate “Anello del pino live”.
Parco dei Fondatori Milano Marittima
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Prima di proseguire questo itinerario letterario, che vi riporterà a Cervia, introduciamo alcune note sul personaggio che andiamo di seguito a ricordare, la scrittrice premio Nobel per la letteratura Grazia Deledda. La scrittrice sarda, quando scelse Cervia come luogo di villeggiatura nel 1920, era già famosa e sposata con Palmiro Madesani con cui risiedeva a Roma, e aveva in precedenza frequentato per i soggiorni estivi Viareggio, Anzio e Santa Marinella. Il suggerimento giunse al marito da un collega conosciuto a Roma, ma di origine cervese: Agostino Arani, senza prevederlo, fu il fautore di un lungo sodalizio tra la località sull’Adriatico e la famosa scrittrice. Dopo quel primo soggiorno la famiglia tornò a Cervia per quindici estati, fino al 1935. Nel 1936 Deledda morì a Roma. Come già nelle precedenti tappe a Milano Marittima abbiamo considerato, la “Città Giardino” fondata nel 1912
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Letterario
si stava sviluppando con la costruzione di diversi villini, ma gli anni del primo conflitto mondiale avevano interrotto le opere di edificazione e anche danneggiato in qualche misura l’ambiente. Quando Grazia Deledda giunse a Cervia si cominciava appena a sentire il profumo del primo turismo, lo stesso hotel Mare e Pineta non era ancora stato costruito. La città ebbe il riconoscimento di Stazione di Cure e Soggiorno nel 1926. 4a tappa A Cervia con Grazia Deledda (1871-1936) Ora vi conduciamo al luogo che ci ricorda il primo soggiorno di Deledda a Cervia. Dal parco dei Fondatori, ovvero dalla zona più a nord di Milano Marittima, ritornate verso il porto canale e vi portate su Via Nazario Sauro, nel caratteristico Borgo Marina. Su via Nazario Sauro al n.164, angolo via C.Colombo, sulla parete esterna del ristorante Romagna Antica è stata collocata una targa che ricorda quel sito come la prima dimora di Grazia Deledda a Cervia: nel 1920 si chiamava Villa Igea ed era di proprietà della famiglia Aleotti. Mentre percorrete via Nazario Sauro per risalire da Borgo Marina verso il ponte mobile, prestate attenzione, alla vostra destra, al Faro antico e al locale “la Pantofla” del Circolo dei pescatori, luogo fortemente caratterizzato come punto di ritrovo dei pescatori nelle ore del dopolavoro e attiguo al mercatino dove si vende il pescato della mattina.
Villa Igea, iscrizione dedicata a Grazia Deledda
5a tappa
Villa “La Caravella” - Cervia
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Vi spostate, seguendo i sensi della viabilità urbana, per raggiungere via C. Colombo ( è la strada parallela al lungo mare D’Annunzio) dove si trova il villino che fu acquistato dalla famiglia Madesani –Deledda nel 1928. Oggi è la dependance dell’hotel Odeon, ed è segnalata con un’epigrafe che il Comune ha collocato a memoria nel X anniversario della morte della scrittrice e che fu dettata dal poeta romagnolo Aldo Spallicci (la potete leggere). All’epoca la strada si chiamava viale Litoraneo, nel 1932 fu chiamato Cristoforo Colombo. Nei primi tempi Deledda chiamava la casa “La Nuvoletta”, poi quando il Comune cambiò il nome della strada, la scrittrice decise di ispirasi a quello e la chiamò “La Caravella”. La villa fu ripetutamente oggetto delle pagine delle novelle deleddiane, come nel brano del racconto “Contrat-
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Letterario
to” che apparve sul Corriere della Sera il 27 settembre 1928:”Villa da vendere. Così e scritto sul frontone della casetta color biscotto…”. In questa villa la scrittrice incontrava anche i letterati della Romagna come Alfredo Panzini di Bellaria e Marino Moretti di Cesenatico, con i quali si intratteneva in lunghe conversazioni letterarie nei pomeriggi estivi. Ma anche il grande Giuseppe Ungaretti andò a trovarla ed ella ne scrisse un articolo “Agosto felice” pubblicato sul Corriere della Sera del 30 agosto 1935. Nel giardino della Villa nell’estate 2003 fu ambientata una scena del primo Itinerario Letterario dedicato a Grazia Deledda, per la regia di Laura Vestrucci (manifestazione “Cervia, la spiaggia ama il libro”AscomConfcommercio). Partecipò Alessandro Madesani Deledda, il nipote della scrittrice.
Lungomare Grazia Deledda - Cervia
ra di Romagna: ” venerò la maturità e l’opera della grande artista nella sua candida vecchiezza”. Più di una volta il nipote del Premio Nobel, Alessandro Madesani Deledda ospite gradito di manifestazioni in ricordo della nonna, si è recato al monumento quale tappa di percorsi sulle tracce cervesi della grande scrittrice e ha reso testimonianza sul valore della sua opera considerata tra i Classici del Novecento italiano.
6a tappa Vi dirigete verso il lungomare, su via Bixio, sono pochi metri, e voltando a destra raggiungete Rotonda Deledda, dove spicca il monumento di Angelo Biancini dedicato alla scrittrice nel 9 settembre 1956. Il monumento raffigura due donne fissate nella propria identità, l’una di pastora, l’altra di pescivendola. Rappresenta il legame tra l’anima sarda e quella cervese che si fusero nella scrittrice capace di amare sia la terra natale, la Sardegna, sia la terra adottiva, Cervia, “il paese del vento”. La motivazione della dedica del monumento il giorno della sua inaugurazione così recitava parlando della ter-
7a tappa Potete ora proseguire sul Lungomare Deledda fino al Grand Hotel e poi su viale Roma che vi conduce fino al centro storico, al Quadrilatero dei Salinari. Qui la città ha voluto creare un altro suggestivo ricordo di Grazia Deledda nel cosidetto “Angolo di Trucolo”. Entrate nel Quadrilatero di Cervia Nuova, e proseguite su via XX Settembre fino al n. 25, dove con una targa si segnala l’abitazione e casa natale dello stagnino cervese Agostino Ricci, detto appunto Trucolo, che Deledda immortalò in alcune pagine scritte con maestria descrittiva. Diversi aneddoti sono stati tramandati, dapprima oralmente dai cervesi e poi passati nei libri della memoria storica, su questo personaggio molto conosciuto in paese e capace di colpire l’attenzione della scrittrice che ebbe bisogno della sua abilità manuale per riparazioni domestiche di sua competenza. Ora potete leggere l’iscrizione murale posta dall’ Associazione Amici dell’Arte nel 1993, nel trentesimo della morte di “Trucolo”, il “gobbino dalla goccia di stagno. La casa di Trucolo è proprio di fianco al Teatro Comu-
Rotonda e Monumento a Grazia Deledda, Lungomare Cervia
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nale e, se desiderate visitarlo vi consigliamo di prendere informazioni presso la sede dello IAT, (Torre San Michele, Piazza Andrea Costa). Il Teatro, in origine, ovvero nel progetto di Cervia Nuova, fu concepito come un locale nel baluardo usato “una parte per l’ospedale, per il forno e stanza per teatro delle commedie”, come stabilito nella pianta generale della città del 1711. La struttura interna lo conferma: la porta d’ingresso non è in asse con l’ingresso della platea, perché gli spazi erano, infatti, preesistenti. L’edificio, come oggi lo vediamo, fu inaugurato nel 1862 la sera di Natale, con 257 posti, 29 palchetti su due ordini e il loggione a balconata. Anche gli affreschi e le decorazioni sono quelli originali, ma restaurati. Il pubblico si sente come contenuto in una bomboniera. Nella visita guidata vi farete descrivere il Sipario storico, una vera opera d’arte, di Giovanni Canepa di Lugano, che decorò anche la volta del teatro. E’ chiamato “Antico Velario” ed è stato sapientemente restaurato e ricollocato nel novembre 1997, quando si sono celebrati i 300 anni della fondazione di Cervia Nuova. 8a tappa Da casa di Trucolo potete scegliere voi il percorso di ritorno verso piazza Garibaldi, infatti la originale struttura urbanistica dove siete entrati, ovvero il Quadrilatero di Cervia Nuova, vi consente di girare intorno alla piazza centrale. Il Quadrilatero è la struttura fortezza del tutto originale che i cervesi costruirono nel 1697 dopo aver smontato e traslocato la vecchia città troppo vicina
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Piazza Garibaldi - Cervia
alle saline (vedi percorso dedicato alla Civiltà del sale o il percorso Cervia Storico Culturale). Quando sarete di nuovo in Piazza G. Garibaldi, vi avvicinate al voltone del Municipio e vi fermate: sulla parete subito fuori dalla Galleria del Palazzo Comunale, una lapide è stata dedicata a Grazia Deledda a ricordo della cittadinanza onoraria del 1927. La dedica è una frase dettata da Antonio Baldini. “Nella sua piccola casa sul mare per tre lustri ogni anno ritornando, Grazia Deledda, figlia della Sardegna cittadina acclamata di Cervia nel MCMXXVIII massima nel suo tempo scrittrice d’Italia qui meditò e compose nell’armonia spirituale della pensosa e matura arte sua - La fuga in Egitto- - Il paese del vento- Il vecchio e i fanciulli- opere ispirate da questo lido a lei caro e da questa nostra gente che fiera di tanta predilezione ne consacra oggi il riconoscimento”. 7 agosto 1938”. L’itinerario letterario prosegue per il ricordo di un altro grande scrittore che a Cervia soggiornò e di cui resta la villa di famiglia, tuttora residenza estiva dei figli e dei nipoti. E’ Giovanni Guareschi che morì in questa casa nel 1968 in un mattino d’estate. 9a tappa A Cervia con Giovanni Guareschi (1908-1968)
Truccolo Cervia
Da piazza Garibaldi passando sotto il voltone del Municipio e in piazza Pisacane vi ritrovate su viale Roma e lo percorrete in direzione mare fino all’incrocio con viale Volturno. La prima stradina a sinistra è via Bellucci, a senso uni25
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co, dove trovate Villa Guareschi che ancora gli eredi frequentano in estate: la riconoscete facilmente perché sulla parete esterna si può vedere la riproduzione della firma autografa dello scrittore, quello che oggi chiamiamo il “logo”, un mix tra i suoi monumentali baffi e il suo nome.Quando, nel 2008, si è tenuto l’itinerario in forma di spettacolo dedicato a Guareschi nel centenario della nascita, si fece una tappa anche presso il Kalix Cafè, che vedete proprio tornando su viale Roma all’incrocio, dalla parte opposta della strada rispetto a via Bellucci.Infatti all’epoca della frequentazione di Guareschi qui sorgeva il Bar Conca D’Oro dove lo scrittore era solito sedere con gli amici cervesi e dove spesso gli veniva richiesto l’autografo, che era appunto quello che avete visto sulla parete esterna della villa. La municipalità ha dedicato a Guareschi anche un parco cittadino: il Parco G. Guareschi, giardino in zona residenziale, tra via Martiri Fantini e via Giacinti, forse un po’ troppo decentrato rispetto alle frequentazioni che lo scrittore aveva nella località balneare. Egli, infatti, a memoria dei cervesi e dei figli amava soprattutto passeggiare in bicicletta nella zona vicina al porto canale, oggi nota come Borgomarina, o nella piazzetta Pisacane quando non stava in compagnia degli amici al “Conca D’oro”, molto vicino a casa sua.
Mario Luzi
In una piazzetta, una serie di murales artistici propone immagini di Guareschi in una ipotetica gita con i suoi personaggi, tra i quali si distinguono Peppone e don Camillo. Altri personaggi raffigurati sono persone del luogo riprodotti da foto d’epoca. Il vostro itinerario dedicato ai letterati amici di Cervia prosegue idealmente con il ricordo di due grandi poeti. Giuseppe Ungaretti (1888-1970), cittadino onorario nel 1958, e ricordiamo che in Piazza Garibaldi nel 1956 si tenne la premiazione del primo Premio Trebbo Poetico Città di Cervia di cui Ungaretti presiedeva la Giuria. Il Trebbo Poetico, ideato da Walter della Monica e da Toni Comello, si tenne per la prima volta a Cervia il 7 gennaio 1956. Era un raduno attorno ai due “aedi” con letture in pubblico, in piazza o in luoghi al chiuso, di poeti di diverse epoche , con commento. Ebbe un grande successo fu replicato in molte regioni italiane e anche all’estero e attirò l’attenzione e il plauso dei maggiori poeti dell’epoca.
Vi segnaliamo, anche , quale link interessante da Cervia, che il Comune di Conselice nella bassa Romagna, ha dedicato a Giovanni Guareschi l’installazione “Dove l’acqua non è di rose” di Gino Pellegrini, scenografo cinematografico.
Mario Luzi (1914-2005), cittadino onorario nel 1999. Il ricordo di lui è ancora vivissimo: nel Teatro Comunale si tenne la cerimonia di conferimento della cittadinanza onoraria al poeta Mario Luzi nel 1999. Anche Luzi ricorda Cervia in alcuni suoi scritti : “Quaderni del tritone” e “Trame” dove si ritrovano descrizioni e pennellate sulla città che lo ha così onorato.
Giuseppe Ungaretti
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Durante gli “itinerari letterari in forma di percorso spettacolo” che si realizzano in estate, durante la manifestazione “Cervia, la spiaggia ama il libro”, la sceneggiatura include sempre un ricordo dei due grandi poeti.
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Ravenna Monumenti e mosaici del periodo bizantino Ravenna candidata a “Capitale della Cultura” per il 2019, vive indissolubilmente legata alle magnifiche opere che i maestri mosaicisti dell’ epoca bizantina crearono nelle basiliche costruite nell’arco di due secoli il V e il VI a.C. I capolavori sia dell’architettura, sia dell’arte musiva risalenti ai tempi di Galla Placidia, di Teodorico e di Giustiniano, sono uno dei principali motivi del tour classico che i turisti provenienti da tutto il mondo compiono a Ravenna. Infatti, il classico itinerario del tour a Ravenna è quello che si snoda attraverso i monumenti Patrimonio dell’Unesco (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization) in quanto sede dell’opera musiva più conosciuta al mondo, quella che i maestri bizantini seppero creare sulle pareti e nelle absidi di basiliche e battisteri e mausolei dell’epoca bizantina. E’ un percorso nel centro storico, che consente ai turisti di conoscere la parte più viva della città anche dal punto di vista commerciale. Il centro storico, infatti, si presenta come il vero centro commerciale open air, quello vero che i centri commerciali vorrebbero riproporre nelle megastrutture decentrate fuori dai centri urbani.
San Vitale abside
ceve luce da grandi finestre in un alternarsi geometrico di spazi vuoti e spazi pieni. L’influenza orientale, sempre presente nell’architettura ravennate, assume qui un ruolo dominante: la basilica non ha più tre navate, ma è costituita da un nucleo centrale a pianta ottagonale, sormontato da una cupola e tutto poggiato su otto pilastri e archi. La basilica fu costruita da Giuliano Argentario su ordine del vescovo Ecclesio e consacrata nel 548 dall’arcivescovo Massimiano che la intitolò a San Vitale, il soldato romano martire della fede cristiana ai tempi dell’imperatore Nerone. Dal centro dell’aula basilicale si può osservare il livello superiore dell’architettura interna, il “matroneo” che era riservato alle donne durante le funzioni religiose. L’attenzione è presto attirata dal sacro recinto del presbiterio con una grandiosa decorazione a mosaico che fa da cornice all’ altare del VI secolo, la cui mensa è una spessa lastra di alabastro. Le pareti dell’abside sembrano perdere consistenza nella luce ora dorata, ora azzurra, ora verde delle scene a mosaico: si ammirano il Corteo di Giustiniano imperatore, il Corteo di Teodora imperatrice, e in tutti gli spazi disponibili (lunette, estradossi degli archi, pareti,ecc.) le scene tratte dalle Sacre scritture. E’ una sorta di Bibbia parietale che in questo modo visivo poteva essere conosciuta anche da quanti non avevano accesso ai testi sacri. Da notare la collocazione della basilica che a causa del fenomeno della “subsidenza” si trova al di sotto del livello della falda freatica e viene liberata dall’acqua con l’ausilio di pompe. In uscita da San Vitale, risalta la sobrietà del laterizio che non lascia immaginare lo splendore dell’interno. La medesima impressione si avrà entrando
L’appuntamento per la prima tappa è alla basilica di San Vitale, il cui ingresso è attualmente dal lato del Museo Nazionale, in via san Vitale 17, ( in via Salara 20 è l’uscita). La percezione del visitatore entrando è quella del fedele che anticamente vi si recava per la liturgia. Si entra e ci si dirige verso il centro dell’aula basilicale che ri-
San Vitale esterno
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nel mausoleo di Galla Placidia. Mentre vi dirigete verso la seconda tappa, il Mausoleo di Galla Placidia, alla vostra sinistra avete l’ex monastero benedettino di San Vitale che ospita il Museo Nazionale. Alla vostra destra, sulla via adiacente, la chiesa di S. Maria Maggiore che il vescovo Ecclesio fece costruire nello stesso periodo in cui si avviava la costruzione di San Vitale. Il suo campanile cilindrico risale al IX/X secolo d.C. Galla Placidia (386-452), sorella di Onorio, l’imperatore romano che trasferì nel 402 la capitale dell’ impero d’Occidente da Milano a Ravenna, fece costruire intorno al 425-450 questo piccolo mausoleo, un edificio a croce latina che, come San Vitale, racchiude in un involucro grezzo una ricca decorazione musiva. La pigna in cima al tetto è un simbolo sepolcrale che anticipa la destinazione funeraria.
Galla Placidia interno
posizione della Commedia ancora in corso, dalla visione quotidiana dei mosaici bizantini di questo Mausoleo e di San Vitale. Si racconta anche che il compositore americano Cole Porter, in tour a Ravenna alla fine degli anni ‘20 del ’900, colpito dall’atmosfera del piccolo mausoleo e dalle sue stelle, ne traesse ispirazione per la composizione del famoso brano “Night and Day”
Entrando, dopo aver dato tempo agli occhi di ambientarsi nella tenue luce che filtra dalle finestre in alabastro, si è rapiti dai mosaici che nel tono dominante del blu e dell’azzurro di un cielo notturno punteggiato di circa 8oo stelle, rivestono le pareti delle lunette e della cupola. Le decorazioni sviluppano il tema della vittoria della vita eterna sulla morte. Di fronte all’ingresso campeggia la figura del martire Lorenzo che si avvia verso la graticola lambita di fiamme con in mano una croce d’oro, quale testimone della fede. Il sommo Dante Alighieri, che visse a Ravenna, esule da Firenze, per sei anni prima della morte nel 1321, fu di certo ispirato nella com-
Si lascia il complesso di San Vitale per raggiungere il Duomo nella omonima piazza. Da via Salara si prosegue fino a via Guerrini da dove si imbocca Vicolo Ginanni fino a Piazza Arcivescovado. L’antica cattedrale di Ravenna, a cinque navate, fu costruita agli inizi del V secolo per volontà del Vescovo Orso e comunemente chiamata Basilica Ursiana. Nel 1734 fu abbattuta e sul luogo l’architetto riminese Gianfranco Buonamici progettò il Duomo attuale a tre navate, preceduto da un vasto portico. Alcuni marmi della ursiana sono stati inseriti nella nuova costruzione. Al centro della crociera fu inoltre innalzata una cupola affrescata da Giovan Battista Barbiani. Nelle cappelle sono conservati monumentali sarcofagi paleocristiani di Ravenna. Lungo il fianco destro della navata mediana, a circa metà lunghezza della chiesa, nel 1913 fu ricomposto l’ambone marmoreo in forma di torretta, che il Vescovo Agnello (557-570) donò alla Cattedrale. Nella Cappella della beata Vergine del Sudore è conservata una tavoletta del ‘300 Riminese oggetto della venerazione del popolo per aver sudato sangue in diverse circostanze. Esternamente, accanto al fianco sinistro della
Galla Placidia esterno
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chiesa, si erge un campanile cilindrico, alto m 35, la cui più antica menzione è contenuta in un documento dell’anno 1038. Fu costruito in quattro fasi di cui la più antica è quella a strette monofore, due delle quali partono dal suolo; la seconda presenta bifore e vani murati; la terza è quella delle trifore sovra cigliate (anno 1038); la parte finale, cella campanaria, fu rifatta dopo un incendio del 1658. In uscita dal Duomo, vi consigliamo di visitare, perché attualmente inserita nel Museo Arcivescovile, la Cappella Arcivescovile di Sant’Andrea. Il Vescovo Pietro II, durante il regno di Teodorico, re degli Ostrogoti, fece costruire la cappella su pianta a croce con un vestibolo completamente rivestito di marmo nella parte inferiore e di decorazione musiva in quella superiore. La Cappella è l’unico monumento ortodosso costruito durante il regno di Teodorico, quando il culto dominante era quello Ariano. Si deve supporre che il vescovo fosse animato da una forte preoccupazione per l’ortodossia, come manifestano i mosaici: la glorificazione di Cristo portato in cielo dai quattro arcangeli che domina la decorazione musiva, le rappresentazioni dei santi dell’età dei martiri, i quattro evangeli. Il nartece della cappella è decorato con la rappresentazione di Cristo guerriero contro le belve (simbolo dell’eresia). Molto curiosa la decorazione fitta di piccoli uccelli: storni, fagiani, anatroccoli, la fauna delle pinete ravennati. Si può notare tra questi un piccolo anatroc-
Cappella Arcivescovile
colo dipinto nelle zampe con due colori diversi, rosso e nero. Se vi spostate di pochi metri in una sala comunicante con la Cappella, potete ammirare la Cattedra di Massimiano in avorio opera di abilissimi intagliatori di origine orientale. Il complesso della Cattedrale e dell’Episcopio comprende anche il Battistero Neoniano o degli Ortodossi, che raggiungete in pochi minuti oltrepassato il Duomo. Edificato all’epoca della cattedrale dal vescovo Orso, all’ inizio del V secolo, è detto neoniano perché il vescovo Neone vi apportò modifiche importanti e lo volle decorato a mosaico nella cupola e ad intarsi marmorei nella parte inferiore. E’ detto anche “degli Ortodossi” per distinguerlo da quello edificato per volontà di Teodorico e chiamato “degli Ariani”. I mosaici raffigurano i dodici Apostoli in due file capeggiate da Pietro e Paolo che avanzano, quasi a ritmo di danza, e recano con le mani velate una corona. Su una pianta ottagonale presenta quattro grandi nicchie che si diramano all’esterno, con le porte interrate ( il livello originario è a circa 3 m. al di sotto dell’ attuale piano campagna ). Al centro una vasca ottagonale di marmo greco e porfido, rifatta nel 1500, conserva qualche frammento originale. In esterni si ripropone la grezza “scorza” in laterizio di San Vitale. Si ritiene che un portico lo collegasse con la cattedrale.
Duomo con campanile
Qui si può considerare conclusa la parte dell’itinerario 31
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dedicato alla Ravenna classica dei mosaici bizantini. La seconda parte è quella dedicata a quattro edifici legati alla figura del re degli Ostrogoti Teodorico, che è oggetto di un percorso dedicato. Dal Duomo potete tornare nelle strade del centro per una passeggiata in relax tra i negozi e le boutique. Il ritorno a Cervia è consigliato sulla strada Romea, SS16.
Cattedra di Massimiliano
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Ravenna Monumenti e mosaici dell’ eta’ di Teodorico Ravenna, candidata a “Capitale della Cultura” per il 2019, vive indissolubilmente legata alle magnifiche opere che i maestri mosaicisti dell’ epoca bizantina crearono nelle basiliche costruite nell’arco di due secoli il V e il VI a.C. I capolavori sia dell’architettura, sia dell’arte musiva risalenti ai tempi di Galla Placidia, di Teodorico e di Giustiniano, sono uno dei principali motivi del tour classico che i turisti provenienti da tutto il mondo compiono a Ravenna. Infatti, il classico itinerario del tour a Ravenna è quello che si snoda attraverso i monumenti Patrimonio dell’Unesco (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization) in quanto sede dell’opera musiva più conosciuta al mondo, quella che i maestri bizantini seppero creare sulle pareti e nelle absidi di basiliche e battisteri e mausolei dell’epoca bizantina. E’ un percorso nel centro storico, che consente ai turisti di conoscere la parte più viva della città anche dal punto di vista commerciale. Il centro storico, infatti, si presenta come il vero centro commerciale open air, quello vero che i centri commerciali vorrebbero riproporre nelle megastrutture decentrate dai centri urbani.
Battistero Atiani estetno
ariana fu diffusa da Ario, di origine libica, che sosteneva che Cristo era creato da Dio e non generato, come , invece, sostiene la dottrina della Chiesa cattolica). La prima tappa di questo itinerario è il Battistero degli Ariani che si trova nella piazzetta degli Ariani vicino all’attuale chiesa dello Spirito Santo che un tempo era cattedrale degli ariani. Il culto ariano si fondava su un’eresia diffusa da Ario, di origine libica, che, come più sopra anticipato, sosteneva una dottrina secondo cui Cristo sarebbe stato creato da Dio e sarebbe quindi in una posizione a metà tra Dio e l’uomo. Contro questa eresia si pronunciò il concilio di Nicea (325d.C) che riaffermò Cristo della stessa sostanza del Padre, generato non creato. Il battistero, che fu costruito nell’ultimo decennio del V secolo per volontà di Teodorico capo degli Ostrogoti, ora risulta interrato per circa 2.25 m. E’di forma ottagonale con quattro piccole absidi all’esterno. In origine, intorno alla costruzione, girava per sette lati un ambulacro che era largo circa m.1,90 nei lati sprovvisti di abside. Nella cupola si ammira un bel mosaico che rappresenta il battesimo di Cristo e i 12 apostoli su sfondo aureo. Il corteo degli Apostoli avanza attorno al medaglione da due lati opposti verso una croce gemmata sul trono decorato con sfarzo. Questo motivo è detto “della preparazione del trono” ed è tipico della iconografia cristiana di origine orientale. In generale la decorazione è incentrata sui simboli legati al tema del battesimo e su altri riferiti alla eresia ariana. Gli elementi riferiti al paesaggio sono la riva in cui poggia il Battista e le acque che risultano molto trasparenti. Il
Nel periodo storico nel quale Ravenna fu governata da Teodorico, il re degli Ostrogoti (493-526), furono edificati numerosi edifici che ancora oggi sono presenti in città. Teodorico, giunto a Ravenna nell’ultimo decennio del V secolo, dopo un assedio di tre anni costrinse il re Odoacre alla resa e divenne “dominus” e poi “rex”. Il suo regno durò 33 anni e favorì la convivenza pacifica del popolo romano con i Goti. Per il suo popolo Teodorico costruì luoghi per la pratica del culto ariano* *(l’eresia
Arte Musiva
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vegliardo seduto alla destra del Redentore è simbolo del fiume Giordano e reca simboli fluviali ovvero la canna palustre nella mano e le chele rosse di granchio sul capo. Non ci sono tracce certe di altre decorazioni che verosimilmente ricoprivano le pareti. La decorazione musiva interna è, anche qui, in contrasto evidente con la nudità del mattone. Dopo la cacciata degli Ostrogoti da Ravenna e la conquista bizantina (540), l’imperatore Giustiniano emanò un editto mediante il quale gli edifici sacri ariani venivano riassegnati alla Chiesa cattolica; pertanto l’edificio venne convertito al culto ortodosso e al tempo dell’arcivescovo Agnello fu oratorio dedicato alla Vergine Maria con il nome di S.Maria in Cosmedin.
La seconda tappa di questo itinerario della Ravenna teodoriciana è la basilica di S.Apollinare Nuovo che si raggiunge facilmente percorrendo via di Roma. S.Apollinare Nuovo fu fondata nel VI secolo da Teodorico che la considerò Chiesa palatina (detta di Nostro Signore Gesù Cristo) e all’interno vi fece narrare in splendidi mosaici i miracoli e la passione di Cristo, la più vasta superficie musiva che sia giunta dall’antichità e ancora oggi in ottima condizione. Quando, dopo il 540, il culto cattolico tornò a diffondersi nella città con l’ingresso dell’esercito bizantino, i templi ariani vennero riconsacrati, questa chiesa fu dedicata a San Martino combattente contro gli eretici e la decorazione musiva che in alcuni particolari era troppo legata al caduto regime gotico (simboli della fede ariana e 5 personaggi della corte gotica) venne modificata. Ma la differenza è percettibile non solo nei contenuti, essa si riscontra anche nello stile decorativo: i mosaicisti di Teodorico risentivano dell’influsso ellenistico-romano, improntato ad un certo realismo dei gesti, del paesaggio e alla plasticità delle figure. I mosaicisti di Giustiniano, invece, secondo il canone dell’arte bizantina, toglievano materia alle figure e le collocavano in un’atmosfera irreale, aurea, quasi astratta, come si può ammirare nella teoria delle Vergini e dei Martiri. Intorno alla metà del IX secolo la basilica fu dedicata a Sant’Apollinare fondatore della chiesa ravennate e detta Nuovo per distinguerla da una piccola chiesa antica detta Sant’Apollinare in “Veclo”. La facciata forse, in origine, era racchiusa da un quadriportico, ma attualmente è preceduta da un semplice e armonioso portico di marmo del secolo XVI. Sul lato destro, il campanile cilindrico caratteristico delle costruzioni Ravennati, è opera del IX o X secolo. Quando uscite dalla basilica vi orientate a destra per raggiungere il Palazzo di Teodorico che non è visitabile e sul quale sono fatte diverse ipotesi. Infatti l’antico edificio in laterizio, conosciuto con il nome di “Palazzo di Teodorico” e che sorge vicinissimo alla chiesa di Sant Apollinare Nuovo, da alcuni studiosi è identificato come un corpo di guardia dei soldati che sorvegliavano l’accesso al palazzo di Teodorico. In questo senso sarebbe stato chiamato “Calchi”, o anche “Sincreston”, segreteria degli esarchi. Tuttavia, è più accreditata l’ipotesi che si tratti della facciata del nar-
Sant’Appollinare esterno
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tece della chiesa altomedievale di San Salvatore, una grande chiesa a tre navate di cui si è rinvenuta qualche traccia nel corso degli scavi. Nel retro, ci sono i ruderi di una delle torri scalarie che dovevano condurre al piano rialzato del matroneo. La facciata si presenta molto movimentata per la presenza di archi e colonne, del grande portale, della nicchia molto ampia con bifora. Vi sono due pilastri con capitelli corinzi della fine del V/ inizio del VI secolo,che potrebbero provenire dal mausoleo di Teodorico che visiterete tra poco. Questo edificio è presente anche nella decorazione musiva di San Apollinare Nuovo, sulla parete destra verso l’abside. Non si visita all’interno. La prossima e ultima tappa di questo itinerario è il Mausoleo di Teodorico. Per raggiungerlo dovete utilizzare un mezzo di trasporto, la vostra auto o un bus. Il mausoleo si trova in Via San Vitale, nella zona a nord est del centro storico.
Mausoleo Teodorico
cede al vano superiore attraverso una scaletta con una passerella di ferro costruita nel 1927. In questo vano superiore è collocata una vasca di porfido dove si pensa che abbia trovato sepoltura lo stesso Teodorico; le sue spoglie vennero rimosse durante il dominio bizantino. Il grande monolito fu trasportato poggiando il sasso su una piattaforma di grossi tronchi che poi fu posta su un natante per la traversata dell’Adriatico. Lo spostamento a terra fu organizzato con un sistema di corpi rotanti e pistoni spinti dentro cilindri riempiti di sabbia. L’itinerario dedicato ai mosaici della Ravenna di Teodorico si conclude con la visione di questo solitario e ben preservato edificio monolitico che risalta anche più degli altri monumenti per la sua potenza strutturale e si conferma quasi come una sfida ai secoli che passano.
Il Mausoleo, che si presenta austero e grandioso, fu fatto costruire dallo stesso Teodorico intorno al 526 d.C. nel luogo detto Campo Coriandro già usato come sepolcreto dei Goti. La struttura costruita in sasso d’Istria è a pianta centrale e si articola in 2 ordini sovrapposti entrambi decagonali. E’ ricoperto da un monolite del diametro di 10 m. e dallo spessore di 1 metro che pesa 300 tonnellate. Da una nicchia si accede all’ordine inferiore la cui destinazione, si presume, fosse quella di una cappella per lo svolgimento delle liturgie funebri. Si ac-
Da qui,il ritorno a Cervia sulla strada Romea, SS16.
Palazzo Teodorico
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Ravenna archeologica
Ravenna, in ogni stagione dell’anno, è visitata da migliaia di turisti che vi si recano per ammirare il suo patrimonio musivo conservato con cura e grande capacità di divulgazione nelle basiliche e nei palazzi del periodo bizantino. Le guide, tuttavia, non mancano di far conoscere in questo tour anche la storia di Ravenna antica che è sedimentata nella narrazione storica, ma ancor prima negli strati del suo territorio. Là dove fervevano le attività del porto di classe durante il periodo augusteo sorge quella che viene definita la Zona archeologica di Classe, dove dal 1974 si sono avviati scavi sistematici. Gli edifici di Ravenna antica, distrutti dalle riedificazioni successive, giacciono molto in profondità a causa dell’abbassamento del terreno dovuto al fenomeno della subsidenza e alle alluvioni post-medievali. La pianta della città in epoca tardo-romana e bizantina è stata parzialmente ricostruita in base a sondaggi e scavi sistematici che sono in atto dal 1974: dell’epoca romana imperiale è stata identificata una casa con pavimenti in mosaico, sottostante la basilica bizantina di San Severo.
Sant’Appollinare in Classe
oltre ad un bacino d’acqua, i resti di edifici, una strada lastricata con trachiti, lastre di pietra vulcanica. Nelle vicinanze e’ in fase di ristrutturazione un edificio di archeologia industriale - l’ex zuccherificio di Classe- che dovrà ospitare il Museo Archeologico di Classe. In questa zona che oggi dista dal centro della città circa 5 km, fu edificata la basilica di Sant’Apollinare in Classe, con un finanziamento di quel Giuliano Argentario che nello stesso periodo provvedeva anche alla costruzione di San Vitale. Fu consacrata nel 549 dall’Arcivescovo Massimiano che un anno prima aveva consacrato anche San Vitale. La dedica a Sant’ Apollinare fu motivata dal fatto che il vescovo Apollinare, martire fondatore della Chiesa di Ravenna, era stato sepolto in Classe nel 180 d.C. Sant’Apollinare in Classe fu edificata da Giuliano Argentario su ordine dell’arcivescovo Ursicino durante la prima metà del VI sec. Fu consacrata nel 549 dall’arcivescovo Massimiano che aveva consacrato un anno prima anche San Vitale. Fu dedicata a Sant’Apollinare primo vescovo di Ravenna e ospita i suoi resti. Notevole per la sua struttura architettonica è famosa per i mosaici dell’abside e per i sarcofagi marmorei degli antichi arcivescovi disposti lungo le navate laterali. Quando fu costruita, si trovava in riva al mare Adriatico, che oggi si è allontanato di qualche chilometro. E infatti accanto alla basilica troviamo l’ area archeologica dell’antica città di Classe, sede della flotta romana.
Nella zona degli scavi si può vedere un bacino d’acqua che faceva parte del Porto di Classe, qui, infatti, sorgeva la più grande base navale romana dell’Adriatico e del Mediterraneo Orientale, dotata di duecentocinquanta navi e diecimila classiari. L’area scavo si trova a destra della via Marabina, in prossimità del tracciato ferroviario, e vi si può vedere,
In origine l’ingresso era preceduto da un quadriportico di cui si sono individuate le fondamenta, ma il portico
Scavi di Classe
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attuale è stato costruito agli inizi del ‘900. Il materiale di costruzione è lo stesso mattone utilizzato per San Vitale. In esterni, si nota molto bene sia la fuga di finestre sui lati che danno senso di leggerezza e movimento alla superficie, sia la voluminosità dell’abside. All’ interno, il catino absidale è decorato da un mosaico splendido che rappresenta la trasfigurazione di Cristo con l’utilizzo di elementi figurativi sia simbolici, sia realistici: la grande croce simboleggia Cristo trasfigurato, i tre agnelli sotto e ai lati sono gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni che assistettero alla trasfigurazione sul monte Tabor. Sul verde prato una ricca raffigurazione di elementi naturalistici sia vegetali come piante,cespugli, arboscelli, sia viventi come i piccoli volatili. Al centro si erge la figura di Sant’Apollinare orante affiancato dal suo gregge, ovvero i fedeli. In questa basilica sono ospitati undici sarcofagi di forte significato storico che permettono anche di approfondire la conoscenza di questo manufatto artistico in un lungo periodo dal V al VIII secolo. L’osservazione all’interno può spostarsi sulle 24 colonne in marmo greco proveniente dal mar di Marmara e sui capitelli lavorati molto finemente secondo la tipologia a foglia d’acanto con i pulvini a tronco di piramide rovesciato.
Domus Tappeti di Pietra danza dei geni della quattro stagioni
e collegato alla chiesa da un passetto. E’ considerato il prototipo dei campanili cilindrici di Ravenna, alleggerito dalle aperture che si ampliano salendo dal primo ordine a quelli superiori con le colonnine e gli archetti. La proposta di itinerario nella Ravenna antica prosegue con un deciso rientro nella zona del centro storico dove si va a visitare la Domus dei Tappeti di Pietra. Dalla settecentesca Chiesa di Santa Eufemia, in via G.Barbiani, si scende in un vasto ambiente sotterraneo situato a circa 3 metri sotto il livello stradale. Il ritrovamento avvenne nel 1993 durante i lavori per la costruzione di un parcheggio sotterraneo in via d’Azeglio. E’ l’unica dimora privata rinvenuta in città, un palazzetto signorile del V-VI secolo di cui si è potuto dimensionare e ricostruire la pavimentazione. La Domus è costituita da 14 ambienti pavimentati con mosaici policromi e marmi e due cortili pavimentati a mosaico a lastre di marmo (opus sectile). La visita si sviluppa lungo una passerella sopraelevata che conduce a individuare gli ambienti della domus. Di particolare interesse e bellezza i mosaici decorati con elementi geometrici, floreali e figurativi ritenuti unici, come nel caso della “Danza dei Geni delle Quattro Stagioni”, rarissima rappresentazione che mostra i Geni danzanti in cerchio o come per la figura del “Buon Pastore”, ritratto in una versione differente dall’usuale rappresentazione cristiana ( non regge la pecora sulla spalla, non ha l’aureola). La Domus è stata inaugurata dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi
Quando si esce, ci si reca in posizione favorevole alla visione d’insieme del campanile che fu eretto tra il IX e il X secolo sul fianco nord per un’ altezza di 37 metri circa
Domus Tappeti di pietra
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nell’ottobre del 2002 ed insignita del Premio Bell’Italia 2004. Si esce di nuovo passando attraverso la chiesetta di santa Eufemia (1742-1747) opera dell’architetto riminese Buonamici. Rimanendo nel centro storico ci si dirige verso il noto complesso della chiesa di San Nicolò in via Rondinelli, angolo via Baccarini. Fondata dal vescovo Sergio che adempì con essa ad un voto nell’anno 768, la chiesa di San Nicolò parallela all’antico corso del torrente Padenna con l’ingresso sulla via Rondinelli (angolo via Baccarini), non è orientata, come quasi tutte le altre chiese di Ravenna, verso oriente. Nell’ assetto attuale è del periodo fra il 1356 e il 1359, fu soppressa nel 1866 e divenne “la Cavallerizza”, un maneggio militare dal 1885. La chiesa ha una sola navata coperta da tetto a capriata e chiusa da una grande abside. Il nome completo sarebbe San Nicolò “in vineis”, forse con riferimento alla macchina da guerra “la vinea taleata”, visto che a poca distanza dalla chiesa di San Nicolò è collocata la porta San Mama, o Mamante, a sud della città di Ravenna, ovvero quella che era la parte più debole laddove molti secoli dopo, la città fu presa. Si potrebbe supporre che nelle vicinanze di San Nicolò vi fossero depositi di armi e macchine da guerra. La chiesa di San Nicolò in Ravenna ha molti affreschi in parte scomparsi. Si è trasformata, in occasione della mostra TAMO - Tutta l’Avventura del Mosaico- in un contenitore multimediale le cui tecnologie accompagnano e coinvolgono il visita-
San Nicolò mostra TAMO interno
tore durante tutto il percorso espositivo. MOSTRA TAMO: le pareti, illuminate attentamente per valorizzare gli storici affreschi, in alcuni punti sono volutamente lasciati in penombra per diventare un video-wall, cioè un gigantesco schermo su cui corrono le immagini di mosaici che narrano la propria storia: da quando venivano creati con semplici ciottoli fluviali fino all’utilizzo parietale dell’oro nelle chiese bizantine d’Oriente del XIII secolo. All’interno della mostra un video in stile cinematografico funge da riepilogo dei temi trattati nelle sezioni centrali della mostra, sezioni dedicate all’utilizzo e alle trasformazioni dei pavimenti musivi nelle antiche domus e nei palazzi del potere; nel video le trasformazioni sono introdotte da un personaggio che, camminando sulla linea del tempo e di conseguenza modificando il proprio abbigliamento, accompagna il viaggio virtuale attraverso le architetture delle abitazioni e le loro sontuose pavimentazioni. Grazie ai touchscreen con applicazioni multitouch, si scopre la successione cronologica e il mantenimento delle tecniche musive nel tempo: nella ricostruzione di un cantiere antico, di una bottega ottocentesca e di una contemporanea, in cui il visitatore può confrontarsi ed interagire con i ruoli di ciascuno dei protagonisti che simulano le diverse operazioni. Oppure si possono scoprire il fascino e le suggestioni dei numerosissimi tappeti musivi del vicino Oriente nelle loro diverse immagini tematiche: ad esempio i soggetti relativi all’acqua, al cielo, all’aria, alla terra. Infine nel soppalco un tavolo interattivo touchless
San Niclò esterno
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multivisitatore conduce, con un solo gesto della mano, alla scoperta geografica dei luoghi dove i mosaicisti hanno prodotto il meglio della loro arte, fra Mediterraneo, Europa e vicino Oriente. Ancora una sosta in centro per conoscere Cripta Rasponi un ambiente da poco tempo aperto alla visita del pubblico: lasciate via Rondinelli e percorrete via Baccarini che sfocia in Piazza dei Caduti per la Libertà dove, al numero 2, ha sede il palazzo della Provincia di Ravenna. Siete a pochi passi anche dalla Tomba di Dante. Qui si visita Cripta Rasponi, che è stata restituita alla fruizione pubblica insieme con i Giardini Pensili del Palazzo della Provincia. L’accesso alla cripta e al giardino con bella fontana avviene dal monumentale portico sul lato sud di Piazza San Francesco. La cripta, in realtà una piccola cappella gentilizia mai destinata ai defunti della famiglia Rasponi – è il nucleo più antico conservatosi del complesso architettonico di Palazzo Rasponi, risalente con probabilità alla fine del XVIII secolo: un vano coperto da una volta semisferica e movimentato da archi e nicchie. Il pavimento della seconda metà del VI secolo è a mosaico e proviene dalla chiesa di San Severo, come si legge al centro.
Cripta Rasponi
ti più significativi, come quelli patrimonio dell’Unesco, che anche noi vi proponiamo in altri percorsi, quelli dedicato ai mosaici bizantini e di Teodorico.
In uscita dalla Cripta, siete già immersi nel centro di Ravenna e potete cogliere l’opportunità di una passeggiata in tutto relax tra le strade su cui si affacciano i negozi e le boutique, oppure potete dedicarvi a qualche scatto con la digitale per fissare il ricordo dei monumen-
San Nicolò Mostra TAMO
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A Ravenna con Dante Ravenna, in ogni stagione dell’anno, è visitata da migliaia di turisti che vi si recano per ammirare il suo patrimonio musivo conservato con cura e grande capacità di divulgazione nelle basiliche e nei palazzi del periodo bizantino. Nessun gruppo in visita lascia, tuttavia, la città, senza aver visitato la tomba del grande Dante Alighieri, che esule dalla patria Firenze per motivi politici, fu ospite per 6 anni di Guido Novello da Polenta podestà in Ravenna dal 1316. Dante morì in Ravenna nel 1321. Questo percorso che abbiamo denominato “Ravenna dantesca”, offre ai visitatori l’opportunità di identificare un nucleo della città che con grande intelligenza è stato preservato da ogni avaria e conservato in ottimo stato al punto che lo si è delimitato come “Zona del Silenzio”. E’la zona che circonda il tempietto neoclassico a tutti noto come “Tomba di Dante”. La nostra proposta si completa con l’individuazione di alcuni altri edifici in qualche modo legati alla vita del grande poeta a Ravenna e alla famiglia dei da Polenta.
Palazzo Rasponi
Polenta, forse costruito da Guido Novello prima del 1318 (Guido Novello era signore di Ravenna all’epoca del soggiorno di Dante, esule da Firenze, nella città). Cesare Rasponi lo acquistò e lo ampliò negli anni 1541-1542 con l’intenzione di farne quasi un fortilizio a causa delle lotte che la famiglia Rasponi aveva in corso: fu dotato di torrette e in città era conosciuto come “torre di S. Francesco”. Fu in seguito sede di una locanda (fine ‘600), l’ Osteria della Corona. L’edificio subì poi altre trasformazioni, allorchè fu abbattuta la bertesca, torre di epoca medievale e nel 1875/’77 il Bellenghi, un commerciante, divenutone proprietario, vi aprì una drogheria e vi inserì un terrazzino che ancora è presente.
Il punto di partenza del percorso dantesco è presso il palazzo Rasponi Bellenghi in via Corrado Ricci, all’angolo con via Guido da Polenta, in prossimità della basilica di san Francesco. Si ritiene infatti che questo palazzo sia stato uno dei molti che i Da Polenta possedevano a Ravenna e in Romagna. Il palazzo, che oggi ospita un locale di grande richiamo turistico in quanto sede della “Ca de Ven” del Tribunato dei Vini di Romagna, è indicato come uno dei palazzi che si potrebbero annoverare come proprietà dei Da
Vi spostate di pochi metri per raggiungere piazza S. Francesco dove visiterete la basilica di S.Francesco anticamente sorta come Basilica degli Apostoli La piazza oggi risulta ribassata rispetto al piano stradale per interventi realizzati nel 1935 che rimossero anche il monumento a Garibaldi (sistemato nell’attuale piazza Garibaldi). E’ delimitata a sud dal Palazzo della Provincia di Ravenna, a nord da un piccolo portico cinquecentesco che proviene dal Monastero di Porto e fu rimontato qui nel 1936. Sul lato della piazza che confina con il palazzo Casa Oriani (ex Casa Rizzetti) è stata posta una lapide che ricorda il soggiorno a Ravenna del poeta lord Byron del quale si scrive a memoria del suo passaggio: ”Qui era la casa ove dimorò nel 1819 lord Byron, sommo poeta inglese, amico dei patrioti ravennati”.
Immagine di Dante
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Dalla piazza si accede alla chiesa costruita dopo la metà del V secolo dal vescovo Neone che la dedicò agli Apostoli. Fu poi ricostruita tra il X e XI secolo. Il campanile è della fine del IX secolo. Nel 1261 la Basilica fu affidata ai frati Minori conventuali che la ebbero dall’arcivescovo Filippo Fontana e intitolata a San Francesco. Era uno dei luoghi più legati alla famiglia dei Da Polenta e Guido Novello, signore di Ravenna, volle che qui fosse sepolto Dante Alighieri, nel giardino che era annesso alla chiesa. E’ detta, infatti, anche “chiesa di Dante”, sia per il legame che i Francescani ebbero con il Sommo Poeta durante il suo soggiorno a Ravenna (dal 1318 al 1321), sia perchè furono proprio essi a celebrare i funerali del Poeta in San Francesco, a dargli sepoltura nel loro camposanto e a custodire gelosamente, nei secoli successivi, la sua tomba e le sue reliquie. Nella Cripta, ora invasa dall’acqua per il fenomeno dell’abbassamento del terreno o subsidenza, il pavimento è quello della costruzione più antica del V secolo, e vi si riconoscono i resti musivi come la iscrizione latina che risale alla sepoltura del vescovo Neone. L’altare è costituito da un sarcofago del V secolo.
Basilica San Franscesco
Quando si esce dalla chiesa si volta a destra e si fiancheggia un giardino recintato dove fu eretta anticamente una cappella oratorio che era collegata alla Basilica degli Apostoli tramite un portico ora scomparso. Il nome dell’oratorio “Quadrarco di Braccioforte” deriva da una leggenda riportata dallo storico ravennate Andrea Agnello, del secolo IX , secondo la quale due fedeli avrebbero invocato il “braccio forte “ del Salvatore raffigurato in
Piazza San Franscesco
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un dipinto, per risolvere una loro contesa con equità. Nell’anno 1865 durante i lavori di riassetto del sepolcro per il VI centenario della nascita di Dante, i muratori intercettarono su un lato della cappella di Braccioforte una cassetta di legno dalla quale fuoriuscirono ossa umane. Due iscrizioni, una all’interno recitava:”Dantis ossa, denuper revisa, die 3 junii,1677”, una all’esterno “Dantis ossa, a me fra Antonio Santi hic posita anno 1677 die 18 octobris”. Approfondite analisi ed esami confermarono che si trattava dei resti del poeta Dante Alighieri, resti che i francescani avevano nascosto murandoli, per evitare che i fiorentini potessero costringerli a trasportarle a Firenze. In questo modo essi le avevano preservate anche durante il periodo delle espropriazioni napoleoniche a danno degli ordini religiosi. Nel giardino sono conservati due sarcofagi in marmo e si segnala all’attenzione quello di Eliseo profeta dei primi anni del V secolo, che nel fronte ha la figura del Redentore che tiene sotto i piedi il leone e la serpe. Il secondo sarcofago è della fine del V secolo. Nell’area delimitata del Quadrarco è collocata anche una campana, in una piccola torre, donata a Ravenna da alcuni comuni tra cui Firenze, Roma, Napoli, Verona, Milano, che viene suonata ancora ogni sera all’imbrunire per tredici volte a ricordo del giorno 13 in cui Dante morì (13 settembre 1321).
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Si esce dal giardino e a destra si ha subito l’ingresso della Tomba di Dante Alighieri. Il tempietto posto in angolo tra via D.Alighieri e via Guido Da Polenta fu costruito su progetto dell’architetto Camillo Morigia, quasi un archistar all’epoca, che ricevette l’incarico dal cardinale Luigi Valente Gonzaga nel 1780. Morigia progettò il sepolcro nella forma del piccolo tempio a cupola, in stile neoclassico. L’esterno fu rivestito a bugnato, in cima decorato con una cornice dorica in sasso d’Istria, coperto da una cupoletta sormontata da una pigna, simbolo ricorrente dei luoghi adibiti a sepolcro. Tre piccole finestre si aprono nelle pareti. Nel timpano, sopra la lunetta, dentro ad un cerchio, una serpe che si morde la coda è simbolo dell’eternità. Sopra la porta d’ingresso campeggia lo stemma gentilizio dei Gonzaga. Nel fregio della porta è scritto” Dantis poetae sepulcrum”.
Tomba di Dante
all’esterno del muro del chiostro vicino alla chiesa. In questa zona il complesso dei Francescani comprende anche il Museo dantesco, la Biblioteca e i chiostri. Il Museo è in fase di ristrutturazione. I chiostri sono stati riaperti dopo ristrutturazione.
All’interno, sulla parete di fondo, c’è l’arca sepolcrale che conserva le ossa di Dante e sopra l’urna un bassorilievo, scolpito nel 1483 da Pietro Lombardo, raffigura Dante pensoso presso un leggio. Dalla volta pende una lampada votiva alimentata dall’olio dei colli toscani offerto ogni anno dal Comune di Firenze, nella circostanza dell’anniversario della morte del poeta.
Il complesso monumentale degli Antichi Chiostri Francescani è stato riaperto dopo un restauro durato 3 anni sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna per farne un centro culturale di assoluto rilievo, in un’area, quella della zona detta “dantesca”, che rappresenta la punta di diamante della candidatura di Ravenna a “Capitale europea della cultura”. L’ex edificio conventuale, costruito a partire dal XIII secolo, si caratterizza per la presenza di due chiostri contigui con colonnato e volte a crociera, uniti da un corpo centrale a due elevazioni e confinanti ai lati con la stessa basilica e con la sede centrale della Cassa di Risparmio di Ravenna, divenuta proprietaria del complesso a inizio Novecento.
Nel 1321 il poeta, morto per una febbre malarica, di ritorno da una missione diplomatica a Venezia per conto del signore Da Polenta, ebbe in questo luogo il primo sepolcro, in una arca di marmo greco che fu collocata
I due chiostri sono situati vicino alla tomba di Dante lungo via Dante, e vi si accede o dalla centrale Piazza Garibaldi o spostandosi a sinistra della vicinissima Piazza San Francesco; furono edificati dai Francescani a partire dalla metà del XV secolo e furono posti sulla zona a sinistra della Chiesa, anticamente dedicata a San Pietro, conosciuta dal popolo come Chiesa o Basilica di San Francesco. La zona viene definita “Dantesca” e “Zona Del Silenzio”in
Quadrarco di Bracciofote
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quanto consacrata al mito dantesco e comprende la tomba di Dante, la basilica di San Francesco e i Chiostri Francescani. E’ uno degli angoli più suggestivi di Ravenna, per le sacre memorie che conserva, per le architetture e per il manto verde del chiostro attiguo alla tomba in perfetta armonia con l’ambiente tutt’intorno alla basilica. Il Museo Dantesco, ora in ristrutturazione, e la Biblioteca del Centro Dantesco completano il quadro di alto profilo della zona. Il percorso dantesco si arricchisce con l’ingresso alla Biblioteca Classense situata in via Baccarini, che al suo interno comprende una Sala dantesca, dedicata a Dante nel 1921, anno del sesto anniversario della morte, dove si tengono le “Lecturae Dantis”. La sala-refettorio è dominata da un grandioso affresco”Le nozze di Cana” del pittore ravennate Luca Longhi. Il nome “Classense” dato a questa Biblioteca deriva dal nome del monastero in cui essa è inserita il quale era chiamato “Classe dentro” dopo il trasferimento dei monaci camaldolesi da S.Apollinare in Classe a Ravenna, in seguito alla battaglia del 1512. Infatti il monastero era stato fondato con il concorso della famiglia dei Da Polenta fuori città e precisamente presso la basilica di Sant’Apollinare in Classe. Ma durante la guerra franco spagnola del 1512 l’edificio subì gravi danni e i monaci lo abbandonarono per trasferirsi in città. Il monastero acquistò prestigio culturale grazie all’opera dell’Abate Pietro Canneti (1659-1730) fine erudito e bibliofilo, che curò l’ingresso di opere di valore. Vi sono custoditi circa 600 mila volumi.
Biblioteca Classense
Un ultima tappa di questo percorso dantesco vi porta fuori dalla zona dantesca: da piazza dei Caduti per la Libertà si imbocca via Mazzini fino ad incontrare in fondo a sinistra la stretta via Zagarelli alle Mura. Vi fermate al numero 2 di fronte ad una delle più antiche case di Ravenna, nota come “Casa di Francesca”. Fu una delle dimore dei Polentani, costruita nel secolo XIII da Guido Minore da Polenta, padre di Francesca (la giovane cantata da Dante nel Canto V dell’Inferno della Divina Commedia). Lo stemma, che si vede tra le due piccole finestre superiori ad arco acuto, è dei Canonici del monastero di Porto che ne acquistarono la proprietà dopo quella della Signoria Veneta (fine secolo XV). Questo edificio viene comunemente chiamato “Casa di Francesca” in quanto si ritiene che vi abitasse “Francesca “da Rimini”, ovvero da Polenta. Anche D’Annunzio nel maggio 1904 venne a visitarla con Eleonora Duse. Francesca Da Polenta, originaria di Ravenna, era la figlia di Guido Minore da Polenta che per consolidare il suo patto con il signore di Rimini, Malatesta da Verucchio, la diede in sposa al figlio maggiore del Malatesta “Gianciotto”. Si tramanda che, dopo le nozze, Francesca si invaghì del cognato Paolo e che colta in flagrante adulterio furono entrambi uccisi da Gianciotto. Il primo a chiamarla “da Rimini” fu Silvio Pellico nel suo breve dramma del 1815, e dopo di lui Gabriele D’Annunzio nella tragedia in 5 atti del 1901. Dante Alighieri cantò l’amore tragico tra Francesca e Paolo Malatesta nel canto V dell’Inferno. Vicino alla casa potete osservare anche la porta che oggi è detta Mazzini, dal nome della strada, ma che antica-
Chiostri Franscescani
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mente era porta Ursicina, poi porta Sisi, forse per contrazione dialettale del nome originario. E poco distante il Portonaccio con l’arco che fu eretto per progetto di Camillo Morigia, l’architetto della Tomba di Dante. Procedendo in questa direzione si raggiunge la via Ravegnana, che congiunge Ravenna con ForlÏ. E,nel punto di incrocio con la strada Romea, potete fare ritorno a Cervia (direzione Rimini).
Porta Sisi
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La capitale della ceramica e del Neoclassico in Romagna. Passeggiata in centro storico Faenza è conosciuta come capitale della ceramica e quando si dice “le faenze” si intende la produzione maiolica che qui è attiva da più di sette secoli, punto di riferimento per la produzione europea. Come comune visse nella influenza di Ravenna fino al periodo altomedievale allorché, per la sua posizione geografica, poté entrare in relazione con le altre città romagnole, verso l’Adriatico e, attraverso Firenze, verso la Toscana. Il percorso che qui proponiamo si sviluppa nel centro storico di Faenza e vi introduce ad alcuni “scenari” della storia e dell’ attualità di questa città dove i cittadini del duemila convivono con le vestigia del passato, come accade in numerosi centri italiani conosciuti dal grande pubblico come “città d’arte”. Nel presente di Faenza c’è il Museo Internazionale delle Ceramiche, che fu fondato nel 1908 e che conserva preziose testimonianze dei manufatti di ceramica risalenti alle origini della città e di altre aree del mondo.
Museo delle Ceramiche interno
ed europee. Ballardini aveva ottenuto dai collezionisti faentini per l’ esposizione molte importanti opere che furono così il primo nucleo del Museo che progressivamente si arricchì di altri esemplari. Ballardini, fu poi direttore del Museo fino al 1953. Nel maggio 1944 un bombardamento ne causò la quasi completa distruzione con gravissime perdite nelle collezioni e nel materiale archivistico. Ballardini riorganizzò le raccolte e diede nuovo impulso alla vita del museo. Le finalità originarie espresse nello statuto “ acquisire, conservare e soprattutto promuovere produzione ceramica” sono rimaste attuali fino ad oggi. Dal 1 luglio 2002 la gestione del Museo è affidata alla Fondazione Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza.
Ci si sposta agilmente anche senza auto: dalle Piazze del centro (Piazza del Popolo e Piazza della Libertà) si prosegue lungo Corso Mazzini fino ad incrociare Corso Baccarini e qui si volta a destra. La prima tappa è perciò in via Baccarini, dove il Museo è ospitato nell’ antico Monastero delle Camaldolesi di San Maglorio, fondato nel settembre del 1908 per iniziativa di Gaetano Ballardini, alla conclusione della grande Esposizione Internazionale dedicata ad Evangelista Torricelli che ospitò i prodotti di molte manifatture italiane
Guida alla visita: le sale del Museo sono state organizzate secondo un criterio cronologico che guida il visitatore dapprima nella sezione, al piano terra, dedicata alle ceramiche precolombiane e a quelle dell’antichità classica (greca, etrusca, romana e islamica), quindi, al piano superiore, alla sezione delle maioliche faentine, dal trecento al seicento e dal seicento all’ottocento, con opere provenienti anche da numerose regioni italiane. Nella Sala Europa è esposta una selezione di ceramiche provenienti dai principali centri europei dal XIV fino al XIX secolo. L’esposizione permanente si organizza in 13 raccolte: la sezione islamica, Collezione Mereghi, Ceramiche faentine del Medioevo, Officine italiane del Rinascimento, Ceramica a Faenza nel Settecento, Ceramiche del vicino Oriente antico, Ceramiche precolombiane, Ceramiche
Museo delle Ceramiche esterno
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classiche; Estremo Oriente: Cina, Giappone, Sud-est asiatico; Bioceramici; Ceramica italiana del Novecento, Ceramica europea del Novecento, Ceramiche Popolari, Devozionali e Percorso del Sacro . Un ultimo spazio è, infine, dedicato alla produzione contemporanea che è posta al centro dell’attenzione con l’iniziativa del “Premio Faenza”, legato al Concorso Internazionale inaugurato nel 1938 e giunto poi a cadenza biennale. Il Concorso Internazionale della Ceramica d’Arte Contemporanea con il Premio Faenza istituito nel 1932 con dimensione regionale, dal 1938 assunse carattere nazionale; al Concorso hanno partecipato artisti italiani fra cui ricordiamo Angelo Biancini, Guido Gambone, Carlo Zauli e stranieri come Eduard Chapallaz, Sueharu Fukami, tutti artisti che hanno contribuito a costruire la storia della ceramica del XX secolo, ma anche quella della scultura e della pittura, nel senso della sperimentazione e della contaminazione fra vari materiali non esclusivamente ceramici, approccio che viene considerato fonte di sempre nuovi sviluppi.
Piazza del Popolo
La visita del Museo può essere uno spunto per recarsi in qualche bottega del centro, alcune sono anche molto vicine al museo stesso, per conoscere la produzione dei maestri ceramisti di Faenza. Essi hanno conservato la tradizionale decorazione che avete visto nelle collezioni faentine esposte al MIC, ma hanno quasi tutti percorso anche la strada dell’innovazione per avvicinarsi anche al gusto contemporaneo.
Vi segnaliamo la Sala Europa che ospita una rapida selezione di ceramiche europee, dal XIV fino al XIX secolo. La selezione contemporanea è forte di capolavori di artisti quali Pablo Picasso, Marc Chagall, Henry Matisse e altri. Tra le opere di certo vi soffermerete di fronte ad un grande vaso dipinto da Picasso che realizza una perfetta sintesi tra la forma sinuosa del corpo femminile e la dimensione dell’oggetto.
La seconda tappa vi conduce nel centro di Faenza, nelle due piazze, affiancate in modo originale rispetto alla tipologia di piazza unica in molte città italiane. La Piazza del Popolo è caratterizzata da due porticati di forme rinascimentali, sormontati da grandi logge architravate il cui aspetto attuale è l’esito di numerosi interventi dal 1470 al 1932. Sul lato Ovest, sorge il palazzo del Municipio, costruito nel secolo XIII come residenza del Capitano del popolo, nel quale la sala del Consiglio è duecentesca e la facciata su corso Mazzini è del periodo tra 1770-1780; sull’’altro lato si oppone il palazzo del Podestà caratterizzato da merli che conserva un antico nucleo del 1177 (capitelli figurati, sopra l’arcone dei Beccai). La Sala dell’Arengo è sede di esposizioni.Malgrado la complessità e le lunghe vicende per giungere a questa definitiva sistemazione, la piazza risalta per unità stilistica, alla quale concorre anche l’armonico rapporto fra volumi architettoniche e spazi liberi. Centro della vita civile e commerciale della città, essa è sede di vivaci mercati settimanali o straordinari.
Museo Sala Europa
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Da Piazza del Popolo si accede, attraverso il Voltone della Molinella, sotto il Municipio, alla Piazza Nenni dove si affaccia il Teatro Masini. Il Teatro Masini e’uno degli esempi più significativi del neoclassicismo in Romagna, situato in piazza Nenni alla quale si accede attraverso il voltone della Molinella, sotto il Municipio. La costruzione iniziata nel 1780 fu completata nel 1787 ad opera dell’architetto Giuseppe Pistocchi (1744-1814). L’iniziativa di dotare la città di questo edificio fu dell’Accademia dei Remoti, un cenacolo di intellettuali ed artisti faentini che si era costituito nel 1673. Il primo teatro, infatti, precedente al Masini, realizzato nel 1720 sfruttando il preesistente Salone del Podestà, una costruzione in legno disegnata dall’ arch. Carlo Cesare Scaletta, si deteriorò rapidamente. L’inaugurazione avvenne nel 1788, il 12 maggio, con la rappresentazione dell’ opera “Caio Ostilio” di Giuseppe Giordani. Il Teatro Masini è un perfetto esempio di teatro all’italiana ed insieme uno degli esempi più rappresentativi dell’architettura neoclassica in Italia: potete notare l’inquadramento a ordine gigante del colonnato, elemento portante e unificante di tutta la sala, i quattro ordini di palchi con il tema delle statue sovrastanti il colonnato; il motivo dei bassorilievi che ornano il secondo ordine di palchi. In tempi recenti (1984-1990) il Teatro è stato adeguato dalle normative in materia di sicurezza. E’ stata restaurata la macchina del palcoscenico, una straordinaria struttura in legno perfettamente conservata e funzionante.
Piazza della Libertà con Duomo
ne di continuità in Piazza della Libertà. Piazza della Libertà è’ caratterizzata sul lato a est dalla grande scalinata e dalla facciata del Duomo, sul lato a ovest dal portico dei Signori o degli Orefici che risale al primo Seicento e poi fu parzialmente riadattato in stile Liberty (1907). Sotto il portico si trova la farmacia del Duomo che ha mantenuto gli arredi di stile neoclassico. Su Piazza della Libertà si affaccia il Duomo. Il Duomo o chiesa cattedrale fu costruita durante la signoria dei Manfredi con inizio nel 1474 su un rialzo del terreno detto “poggio di San Pietro”dove anticamente, tra VIII e IX secolo era stato eretta l’antica chiesa dedicata a San Pietro. Il progetto fu del fiorentino Giuliano da Maiano, allievo del Brunelleschi, e testimonia il profondo legame della città con la cultura e l’arte medicee. L’aspetto maestoso della basilica, che richiama quella brunelleschiana di S.Lorenzo in Firenze alla quale si assimila anche per l’aspetto “ruvido” con i mattoni sporgenti a vista (su entrambe le facciate non fu inserito il rivestimento marmoreo), fu in gran parte realizzata nei primi decenni del ‘500, ma venne consacrata al culto di San Pietro Apostolo solo alla fine del secolo, nel 1581. E’ anticipata da un’ampia gradinata. La pianta dell’edificio è a croce latina a tre navate. Si alternano pilastri e colonne con pulvino sul capitello. All’interno si segnalano importanti monumenti scultorei e opere d’arte. Ne ricordiamo alcuni: le arche di S.Savino, S.Emiliano e S.Terenzio, rispettivamente di Benedetto da Maiano e
Tornando in Piazza del Popolo si procede senza soluzio-
Teatro Masini
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di anonimi maestri rinascimentali toscani; il crocefisso ligneo scolpito a fine ‘400 da un ignoto scultore nordico, forse tedesco; la Pala Bonaccorsi, tavola cinquecentesca dipinta da Innocenzo Francucci da Imola e ancora dotata della originale cornice dorata e intagliata. Nella Cattedrale è sepolto San Pier Damiani, nell’omonima cappella sul fianco sinistro.La devozione popolare si concentra sulla Cappella della Beata Vergine delle Grazie, patrona della città, dove un bellissimo affresco raffigura la Madonna mentre spezza alcune frecce, a simboleggiare i pericoli dai quali offre protezione. La volta a vela del presbiterio è impreziosita dal tondo ceramicato attribuito ai Della Robbia (1476). Interessanti il coro ligneo dietro all’altare maggiore e il maestoso organo,composto di tremila canne.
Museo Zauli
invece, una citazione dello stemma faentino. La Torre dell’Orologio situata all’intersezione tra i due principali assi cittadini è una fedele ricostruzione del più antico edificio eretto nel 1604 e andato distrutto nel 1944. Il tour in Faenza prosegue, uscendo dalla zona centralissima delle piazze, con la visita di Palazzo Milzetti, che condensa i canoni dello stile Neoclassico che grazie agli interventi di famosi artisti dell’epoca diede a Faenza grande risalto urbanistico e architettonico.
Uscendo dal Duomo si ha una visione globale delle due piazze, due spazi di forma quadrangolare su cui si affacciano gli edifici principali e i monumenti della città. Quasi un salotto urbano. In Piazza della Libertà vi segnaliamo sia la Fontana monumentale sia la Torre dell’Orologio. La Fontana occupa la zona meridionale di piazza della Libertà e si distingue per le forme barocche. Fu realizzata tra il 1619 e il 1621 negli ultimi anni del pontificato di Paolo V Borghese. In onore del Pontefice furono scelti gli elementi decorativi di questo monumento ovvero l’aquila e il drago già presenti nell’ emblema papale. I leoni rampanti sono,
Palazzo Milzetti e’ un famoso esempio del Neoclassicismo in Romagna e annoverato come Museo Nazionale del Neoclassicismo in Romagna. L’artefice della risistemazione architettonica di questo edificio fu Giuseppe Pistocchi (1744-1814) il quale, nell’ultimo decennio del Settecento, progettò la facciata ornata dal bugnato a punta di diamante e le principali strutture murarie sulla base anche della situazione preesistente, come dimostra, ad occhio esperto, una certa asimmetria del prospetto e certe irregolarità sul versante del giardino. Il committente fu il conte Nicola Milzetti. In seguito, per vicende sia del Pistocchi, sia della famiglia Milzetti, il lavoro fu completato dall’architetto Antolini che progettò il completamento dello scalone e del salone ottagonale al piano nobile con l’elemento architettonico detto serliana aperta sul giardino (1800-1801). Il progetto e la realizzazione della decorazione pittorica fu affidata a Felice Giani (1757-1823) famoso pittore e decoratore d’interni. Gli stucchi vennero poi realizzati da Antonio Trentanove e successivamente da Francesco e Giovan
Museo delle Ceramiche esterno
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Battista Ballanti Graziani. I dipinti sono stati realizzati a tempera su muro; una tecnica veloce meno costosa dell’affresco con un effetto di colore più brillante e terso. La decorazione di ogni sala è dedicata ad un tema legato alla mitologia classica, scelte dettate in gran parte dal gusto dell’epoca: la sala delle feste ai poemi omerici, la sala di compagnia alla storia di Roma, il gabinetto d’amore al paganesimo greco-romano, la sala da bagno ai ritrovamenti archeologici di Ercolano e Pompei. E’ interessante la sequenza delle stanze d’abitazione e dei servizi, che sono una novità di quell’epoca e del funzionalismo settecentesco, esempio della moderna attenzione della progettazione verso le esigenze quotidiane della vita. Conclusa la visita di Palazzo Milzetti vi indirizziamo ad un museo privato, ma strettamente legato alla storia di Faenza capitale della Ceramica.
Palazzo Milzetti
anni Settanta e Ottanta, in tutta l’Europa, il Giappone, l’America del Nord, dove realizzò esposizioni e collocò opere permanenti. Le sue opere sono presenti oggi in quaranta musei. La visita al Museo Zauli è molto interessante anche perché prevede il passaggio dagli storici ambienti dello studio-bottega, della cantina delle argille, della stanza degli smalti, fino alla sala dei forni e alla sala dei grandi rilievi, ovvero delle sculture. Prima di lasciare Faenza potete considerare anche le ultime due tappe di questo percorso: Casa Museo Bendandi e la Chiesa della Commenda.
Raggiungete il Museo Carlo Zauli, in via Della Croce 6, nei pressi di piazza San Francesco. Il museo offre un percorso antologico dell’opera di Zauli, il ceramista e scultore nato e morto a Faenza (19262002). Zauli, ottenne negli anni Cinquanta del ‘900 i principali riconoscimenti dedicati all’arte ceramica, e sviluppò, nei primi anni sessanta, un’interpretazione scultorea del proprio mestiere di ceramista. Il suo linguaggio artistico incontrò il favore del pubblico e della critica ed egli riscosse un crescente successo internazionale, anche grazie ad alcuni grandi altorilievi realizzati per la reggia di Baghdad e il Poligrafico di Stato del Kuwait. Il successo fu poi confermato con le opere tra gli
Si raggiunge La Casa Museo Bendandi in via Baldassarre Manara 17, non molto distante dal Museo Zauli, siamo ancora nella zona della piazza San Francesco. E’ stata organizzata come museo la casa di Raffaele Bendandi (1893-1979) che nacque a Faenza da una modesta famiglia di lavoratori e come autodidatta fece particolari scoperte in diversi settori e in particolare sui terremoti, di cui ha provato l’origine cosmica attraverso ricerche astronomiche, geofisiche, magnetiche, cosmiche, atmosferiche, sulla radioattività atmosferica. Egli riteneva che tutte queste manifestazioni terrestri e solari fossero causate da uno squilibrio gravitazionale, e propendeva per un’influenza solare decisiva sulla salute degli organismi umani ed una spiccata influenza sulle cellule cerebrali. Nella Casa Museo sono raccolti monografie, articoli, volumi ed altri materiali. Qui Bendandi aveva realizzato anche un laboratorio artigianale con apparecchiature per la segnalazione di movimenti tellurici, ancora oggi funzionante. Nella saletta
Casa Bendandi
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in cui viveva sono raccolti oggetti personali, fotografie e mobili, così come lui li ha lasciati. Si è costituita un’ associazione culturale formata da fisici e addetti ai lavori, che ne ha raccolto l’eredità e si impegna a studiare il materiale che Raffaele Bendandi ha lasciato. Ora vi potete dirigere verso Corso Aurelio Saffi , lasciando le piazze alle vostre spalle, e oltrepassato il fiume Lamone sul ponte di Corso Europa proseguite sul medesimo Corso fino a piazza Fra Sabba. La Chiesa conosciuta come Commenda si trova nel Borgo Durbecco in piazza Fra Sabba da Castiglione. Il primo documento che ne parla è del 1137, perciò la fondazione sarebbe nella prima metà del XII secolo. Le parti più antiche che oggi si vedono risalgono però al Duecento (abside e parte del campanile) e al Trecento (portico per il ricovero dei pellegrini sul fianco sinistro). Ebbe la funzione di ospitare pellegrini della Terra Santa; il nome le deriva dai “commendatari”cui era affidata già nel XIII dopo essere entrata in possesso dei Cavalieri dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme (poi di Malta). I Commendatari erano abati cui l’edificio era affidato anche da un punto di vista economico. Fra i Commendatari il milanese Fra Sabba da Castiglione (1480 - 1554), dotto umanista ne promosse restauri e chiamò a lavorare vari artisti. Ne è esempio il grande affresco del catino absidale, che Fra Sabba nel 1533 commissionò a Girolamo da Treviso, di passaggio a Faenza: in una prospettiva architettonica di gusto rinascimentale, con paesaggi di sfondo, vi compaiono la Vergine con Bambino e San
Chiesa
Commenda
Chiesa Commenda interno
Giovannino, S.Maria Maddalena, con ai piedi l’unguento del Sepolcro, e Santa Caterina d’Alessandria con la ruota dentata simbolo del suo martirio, sulla sinistra, lo stesso Fra Sabba in “divisa” da frate guerriero con casacca rinascimentale, elmo e spada si inginocchia. E fra Sabba, ormai vecchio, compare anche sulla parete di sinistra in un affresco monocromo, di toni delicati, del forlivese Francesco Menzocchi dove egli viene presentato da San Giuseppe (patrono della buona morte) alla Vergine, mentre a sinistra sono raffigurati il Battista e la Maddalena. Sotto, in pietra nera, c’è la sua lastra tombale, con l’ epigrafe latina da lui composta e, ai lati, le figure allegoriche della Pietà e del Silenzio. L’opera è databile poco prima del 1554, anno di morte di Fra Sabba. Sulle pareti ci sono anche interessanti frammenti di affreschi di una scuola locale trecentesca. In piazza fra Sabba ha sede anche il famoso Rione Bianco, uno dei cinque Rioni che organizzano il popolare Palio del Niballo. Il Palio e’ un’altra attrazione di questa città, un motivo in più per visitarla nel mese di giugno, una delle più antiche e conosciute giostre medioevali che si disputa ogni anno la 4a domenica di giugno allo stadio comunale “Bruno Neri”.
esterno
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La strada del Sangiovese e dei sapori delle colline di Faenza L’Appennino faentino nel primo decennio del terzo millennio si è manifestato con un nuovo appeal turistico sia nel senso della ricezione ovvero dell’offerta per il pernottamento, sia nel senso delle nuove motivazioni del viaggio o dell’escursione breve come quelle enogastronomica e ambientale. Il primo slancio, però, è stato offerto dalle aziende agricole, soprattutto da quelle vitivinicole che si sono evolute e hanno adeguato sia la lavorazione in vigna sia la vinificazione per passare dal prodotto venduto sfuso al vino imbottigliato con denominazione di origine protetta (Dop) e, molto spesso, invecchiato in barrique e affinato. Per fare conoscere e per promuovere le aziende con questo tipo di produzione è stata costituita la “Strada del Sangiovese e dei sapori delle colline di Faenza”, un’associazione che è anche un vero percorso, perché, grazie alla segnaletica stradale, chi si sposta tra le località di Oriolo dei Fichi, Faenza, Brisighella, Modigliana, Riolo Terme, sfiora Casola e scende poi verso Castel Bolognese, può scegliere le cantine dove fermarsi a degustare e acquistare ottimi vini, può pernottare in agriturismi, B&B e relais, può conoscere i migliori caseifici della Romagna. E, se la motivazione oltre che gastronomica è anche culturale, le soste nei borghi saranno l’occasione per approfondire la conoscenza delle connessioni che esistono tra la storia, le tradizioni e le colture che si sono diffuse nei diversi luoghi.
Torre di Oriolo
Associazione. Di queste aree geografiche e produttive daremo alcune informazioni utili. E subito vi indichiamo che i materiali anche dettagliati con il nome e le coordinate delle aziende iscritte alla Strada sono disponibili presso la sede a Riolo Terme, in corso Matteotti n.40 e anche sul sito web: www.stradadelsangiovese.it Si parte da Cervia e si raggiunge Forlì sulla provinciale 2R, da Forlì grazie alla nuova tangenziale ci si immette sulla via Emilia, SS 9. Potete abbandonare la SS 9 dopo la frazione di Cosina, all’altezza della Via Bianzarda ( sulla vostra sinistra, circa al km 56 della ss9).Vi trovate dopo pochi metri di rettilineo proiettati verso la linea collinare di Oriolo dei Fichi dove la Torre di Oriolo emerge ingentilita dalle chiome dei pini domestici “pinus pinea”quelle che nel secolo XIX furono soggetto prediletto del disegnatore faentino Romolo Liverani.
Questo percorso vi suggerisce una traccia, senza per ora selezionare alcuna azienda, ma soprattutto sottolineando i siti, le aree dove sono concentrate aziende della
La località è nota anche come Oriolo dei Mille Fichi, per l’antica concentrazione di queste piante, di cui oggi restano solo alcuni esemplari. La torre è l’unica parte superstite di un’antica Rocca fortificata nel 1057. Passata in donazione al comune di Faenza è stata restaurata in parte. I due ettari di parco offrono una sosta distensiva tra le piante officinali e l’antico Pomario, tra l’azzeruolo e il melograno e i bambini trovano l’area attrezzata. Le aziende agricole qui molto attive hanno voluto valorizzare l’attrattiva storico-paesaggistica di questa Torre e nel 1995 si sono organizzati nell’ Associazione Produttori della Torre di Oriolo, che ha la propria sede all’interno del Parco della Torre. All’associazione aderiscono
Panorama collina con vignetti
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produttori agricoli, artigiani, commercianti, che intendono sostenere la riscoperta e la valorizzazione dell’intero distretto aureolano. Il vino, la frutta, il miele, l’olio extravergine d’oliva (venduti direttamente nelle aziende), sono ottenuti nel rispetto delle antiche tradizioni rurali e delle normative di lotta integrata e biologica, per salvaguardare l’ambiente e l’uomo e sono oggetto di una promozione sistematica sostenuta da manifestazioni quali feste paesane e sagre agresti. In particolare i grandi vini sono ottenuti dai vitigni autoctoni, come l’onnipresente Sangiovese, ma anche, con eccellenti risultati, da altri vitigni: Sauvignon, Malvasia, Cabernet, Merlot che hanno trovato in Romagna condizioni climatiche favorevoli.
CAB Brisighella
E’ segnalata una rete di sentieri nei dintorni che si sviluppa su circa 11 km e comprende quattro percorsi, sia su strade sterrate sia su strade comunali di traffico locale. Ogni sentiero ha un andamento circolare, inizia e termina presso piazzuole di sosta per le auto, e lungo il percorso si incontrano siti di tipo storico, naturalistico e panoramico. Nel Parco pubblico della Torre di Oriolo e nell’area pedocollinare vivono specie floreali e faunistiche di grande interesse e il comprensorio rurale ospita colture di vite,di olivo e frutteto tipiche delle colline faentine; nella zona più pianeggiante avete già notato la coltura del Kiwi che ha conquistato l’attenzione di diversi coltivatori. Per tutelare le specie presenti e mantenere inalterate le condizioni ambientali l’Associazione sceglie di operare in linea con i principi del turismo sostenibile.
Le aziende praticano sistemi di coltivazione biologica ed integrata e il metodo della vendemmia manuale, con due o tre passaggi di raccolta fatta in tempi diversi, per non fare entrare nei tini gli acini immaturi. Tra i prodotti di antica origine risalta la “Saba”( o sapa), lo “sciroppo d’uva”, come lo definiva Pellegrino Artusi, usato per insaporire i dolci e altre vivande della cucina. A Oriolo si organizzano sagre stagionali e feste, tra le quali vi segnaliamo il 16 aprile la Sagra dei Vini; il 20 agosto la Festa di S. Mamante; l’1 ottobre la Sagra della Vendemmia e il 10 agosto, il famoso intrattenimento “Calice di Stelle”. Il Comprensorio di Oriolo vi ha aperto la prospettiva della vitivinicoltura in collina, luogo vocato alla produzione di preziose riserve, destinate alla clientela più esigente e curiosa, nazionale ed estera. Dalla Torre di Oriolo scendete per proseguire in direzione di Brisighella e notate subito che nelle strade che si diramano dalle colline verso la via Emilia la rete segnaletica della Strada del sangiovese è molto fitta, segno della densità di presenza delle aziende. Tra esse c’è una significativa presenza di agriturismi ideali per una sosta prolungata con pernottamento. La nostra proposta è quella di rimanere immersi nel paesaggio pedocollinare, evitando il ritorno sulla via Emilia, perché così potrete osservare da vicino le performances stagionali, sarete immersi nella nuvola dei colori in primavera e in autunno, in inverno potrete valutare , nello scarno paesaggio delle colture spoglie, il rigore degli impianti.
Vignetti
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Da via Pozzo inizia la strada provinciale 73 in frazione Santa Lucia, si passa sul torrente Samoggia fino a via Canovetta che ha una misura di carreggiata davvero ridotta, ma è fiancheggiata da una bella scenografia agreste. Rimanete sulla mini carreggiata ignorando strade laterali fino al ponte metallico sul fiume Marzeno e dopo averlo passato giungete ad incontrare la provinciale n.16 che conduce a Modigliana, ma passando per Marzeno. Vi dirigete a sinistra, ovvero sulla provinciale n.16, ma dopo poco voltate a destra sulla sp 57 che nella cartografia provinciale viene indicata come strada “Carla”. Notate il rapido mutamento del paesaggio che ben presto vi introduce nella prima valletta contornata dal ventaglio dei calanchi. Questa strada si svela al viaggiatore quale segugio della Vena Gessosa. Si sale e si apre ai vostri occhi la visione, alta e panoramica, della Valle del Lamone, si individuano i tre colli di Brisighella, a sud ovest, e in lontananza l’abitato di Faenza, a est; tra le due il continuo susseguirsi dei contrafforti gessosi. La strada scende fino ad incontrare la sp 56, che in breve vi scorta fino a Brisighella
Giacimento ulivi
I brisighellesi, infatti, furono in epoche storiche dediti alla escavazione del gesso e al suo trasporto e vendita. Ma sfruttando le peculiari doti del terreno e della esposizione dei colli seppero sviluppare le colture agricole che poi hanno dato lustro al paese, quella della vite e quella millenaria dell’ulivo. Qui, infatti, cresceva la varietà autoctona di oliva detta Nostrana, dalla quale dagli anni ’80 del ‘900 si è prodotto un olio speciale , il primo in Italia ad ottenere, nel 1996, la Dop. Il suggerimento del percorso è di raggiungere la Cooperativa Agricola Brisighellese (Cab) sulla strada statale 302 in direzione Firenze.
Brisighella è il borgo attraente per storia e bellezze naturali, in un sito unico, completamente addossato alla Vena del Gesso che ha offerto ai primi abitanti motivo di insediarsi sia per la protezione e il calore del gesso, sia per la possibilità di estrarre dalla vena il sostentamento.
Ingresso in sede CAB: nella grande sala di esposizione e vendita attira la vostra attenzione una parete attrezzata per la vendita di vini sfusi e di olio, i due prodotti che, sulle colline esposte a sud-est e a sud-ovest, si contendono da sempre la dedizione dei brisighellesi. Con eccellenti risultati visto che si tratta di olio con la DOP e di vini DOC e DOCG, denominazioni che garantiscono la massima qualità, ottenuta nel rispetto di rigidi disciplinari. La strada per giungere alle moderne denominazioni è lunga quanto la storia del paese, tanto antica è la pratica di impiantare, in collina, le viti di Albana e Sangiovese, allevate ad alberello, frammiste alle piante di olivo e, nel fondovalle, le viti a filare maritandole all’acero, a formare tipici pergolati. Oggi il territorio brisighellese a viticoltura si estende su 1000 ettari, in collina per i vitigni rossi e nel fondovalle per i vitigni bianchi e alla Cooperativa conferiscono
Vena del Gesso
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il 90% dei viticoltori, che sono più di 500, produttori complessivamente di quasi centomila quintali di uva e di 100mila ettolitri di vino. Nella sala di esposizione, che consente anche assaggi dei prodotti locali, ci concedete una pausa per conoscere da vicino i vini DOC proposti il Sangiovese, il Trebbiano, il Sangiovese Superiore insieme con l’Albana passito DOCG, e un vino frizzante a fermentazione naturale. La Cooperativa CAB, che ora fa parte del Consorzio ”Il Paniere” gestisce un punto vendita anche nel centro di Brisighella, dove i due prodotti guida, vino e olio, sono presentati insieme con aceto, grappe, nocino, formaggi tipici e ancora miele e confetture con il marchio delle diverse aziende dei soci. Nel centro di Brisighella potete entrare anche nelle macellerie che vendono il Castrato di Romagna, carne ovina prodotta dagli associati al Copaf, secondo il disciplinare del Marchio QC (Qualità Controllata) che garantisce la materia prima, la genuinità, l’eccellenza del sapore. Nei ristoranti della zona o alla Sagra annuale, i menù a tema e le degustazioni sono studiati per fare conoscere questo prodotto. Brisighella è meta turistica: in un weekend o nel soggiorno prolungato consente un’esperienza capace di creare un feeling duraturo tra il visitatore e i molti capitoli della sua storia passata e presente. Non per magia, ma grazie alla illuminata permanenza delle attività imprenditoriali dell’agricoltura e della ristorazione, grazie anche alla consapevole collaborazione tra questi imprenditori e le amministrazioni locali. Tutto ciò supportato da un paesaggio davvero incantevole e da una storia che già da sola fa lievitare l’interesse e dovunque, sulle emergen-
Via degli Asini Inteno
ze naturali o su antiche architetture o sulle produzioni agricole, tutto chiede di esser approfondito e rivisto almeno una volta ancora. C’è un collante tra storia e natura, quasi un segreto dei brisighellesi. Si torna anche per conoscere meglio. Per restare nel tema di questo percorso dedicato ai grandi vini della Strada a loro dedicata nelle colline faentine, ciascuno potrà creare un proprio tour scegliendo di visitare alcune delle aziende produttrici di vino che sorgono, ad esempio, nella zona panoramica che sovrasta il complesso termale. In questo caso vi dirigete su via Baccagnano fino al confine comunale con Modigliana, oppure sul versante a sud ovest, laddove il giacimento degli uliveti più antichi si alterna alle vigne di coltivatori sapienti. I segreti di questa vitivinicoltura ragionata vi saranno svelati dai protagonisti: il tipo di allevamento, la raccolta manuale dell’uva e la selezione dei grappoli perfetti, la vinificazione artigianale nelle piccole cantine, l’affinamento, la scelta del nome, uno dei momenti più carichi di affetto del produttore verso i suoi vini e può essere ideato dopo la sua lunga frequentazione con ogni fase della produzione, oppure sgorgare, in un attimo, forse quello del primo assaggio. E’ il momento magico: si condensano i profumi delle stagioni e si incanalano nei canali olfattivi fino alle aree del gusto, e sulla cristallina trasparenza del calice inclinato si adagia un velo di colore. Qui potrebbe scaturire il nome. Durante la sosta a Brisighella, seppure sollecitati dalla ricerca dei grandi vini di collina, potete scegliere di fare una deviazione di interesse visitando qualche sito con-
Via degli Asini esterno
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nesso con la storia del paese. Vi consigliamo di salire al centro storico e di percorrere l’ Antica via del Borgo o degli Asini la cui origine coincide con l’origine stessa di Brisighella. Subito capite di essere in un luogo unico, inusuale ( è il luogo che attira a Brisighella migliaia di turisti) e vi domanderete se siete su una strada o dentro un edificio, perché sopra di voi vedete il soffitto in travi di legno. Ora affacciatevi al primo arco semicircolare a sinistra, il primo della litania di archi su questo lato e vedrete che sotto di voi c’è la strada da cui siete saliti: questa quindi è una strada, una via sopraelevata e coperta, chiusa da un soffitto. Oggi, fuori dall’ arco e dagli altri archi noi vediamo i palazzi, i negozi, ma all’epoca della sua costruzione non esisteva nulla, c’era solo il borgo, cioè quanto si affaccia su questa via coperta ed esso era anche la fortezza, il baluardo di difesa dagli attacchi di eventuali nemici. Gli archi che si rincorrono e che non sono tutti della stessa misura, se guardate bene, sono ciascuno di fronte ad una porta di ingresso di una abitazione. Gli archi infatti appartenevano alla famiglia che era anche proprietaria della abitazione ed erano famiglie benestanti, perché potevano mettere a guardia degli archi un manipolo di soldati a proprie spese. Le abitazioni sono tutte dalla parte opposta e addossate alla parete gessosa. Con questa struttura di architettura inedita gli abitanti dovettero rinunciare alla piazza. La via del Borgo era la loro piazza. E,attenzione, questa era anche la cinta muraria del borgo, infatti a Brisighella
Vena del Gesso
non c’è traccia di antiche mura perimetrali. Lo storico assedio dell’anno 1467 da parte del Duca di Urbino fallì, per l’eroica resistenza organizzata sulla linea di questi mezzi archi. Solo quando la via del borgo perse la sua funzione di difesa, all’epoca della scoperta della polvere da sparo con la diffusione delle armi da fuoco, si spostò la linea di difesa oltre la via del borgo, e si costruirono le tre porte. Il paese si ampliò e questo divenne il quartiere del birocciai che dovevano passare qui per trasportare il gesso estratto dalla Vena verso i mercati di Faenza o di Firenze. I carri erano trainati dagli asini da cui nacque il nome dato alla strada, “via degli asini”. Procedete fino al numero civico 14 e vedete l’unico portone ancora intatto dell’epoca dei birocciai. Oltre questo portone, e così oltre tutti gli altri, c’erano le stalle dove riposavano le bestie, le birocce, invece,venivano lasciate al piano della strada. Sopra la stalla fu costruito il piano adibito ad abitazione e tra i due piani si lasciavano delle botole attraverso le quali il caldo saliva dalla stalla e riscaldava le stanze. Nel piano sotto stante le stalle, che era come uno zoccolo di roccia vennero ricavati i magazzini e, quando tornerete sulla strada, notate che ora al loro posto vi sono i negozi. Attualmente la via “Del Borgo o degli Asini” è abitata da privati, da alcuni studi professionali. Talvolta, si può visitare qualche abitazione, ma solo grazie ad una prenotazione richiesta al proprietario dalla Pro Loco. Percorrendo la via si possono notare alcune curiosità come, al numero civico 17, lo stemma della famiglia
Rocca Manfrediana
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Tozzi, ovvero un cane con un tozzo di pane in bocca, e di seguito n.11 la lapide che ricorda i due fratelli Cicognani che, seppure di modeste origini familiari, divennero entrambi cardinali. Quando arrivate al n.1 siete dovrete uscire, ma in origine la via proseguiva ancora per 1 km fino alla porta Bonfante (o Porta Buonfante) verso Firenze. Date uno sguardo in retrospettiva alla strada, la sua suggestione è unica. Gli altri siti di grande interesse che potete inserire nell’odierno, o in un prossimo tour in Brisighella, sono la Rocca Manfrediana, il Museo civico Giuseppe Ugonia, la Pieve del Tho, la Cattedrale, la Chiesa dell’ Osservanza, il Museo all’aperto dell’Olio di Brisighella. Per ogni informazione rivolgetevi al punto IAT presso la Pro Loco.
Torre del Marino
circa 20 Km tra le Valli del Lamone e del Senio. Unica in Europa per la continuità “a catena”. La sua cima più alta è Monte Mauro (515m). Formatasi in lontane ere geologiche è caratterizzata dalla roccia di selenite, detta anche “pietra di luna” per i suoi riflessi lunari. Ospita vegetazione e fauna peculiari. Nella Grotta Tanaccia, una delle più note fra le grotte della Vena del Gesso, frequentata dall’uomo preistorico dall’Eneolitico fino alla tarda Età del Bronzo, usata come luogo di sepoltura e come abitazione, si possono fare esplorazioni guidate dal Gruppo degli Speleologi di faenza
È giunto il momento di lasciare Brisighella per raggiungere Riolo Terme e si sale sulla strada provinciale 23 fino al crinale che sovrasta la valle del fiume Lamone, un segmento di percorso del tutto panoramico,infatti il tema predominante di questa strada, conosciuta in loco come “Calbane”, è quello calanchivo della Vena del Gesso che in superficie esibisce erosioni “a candela”, doline, inghiottitoi e in profondità nella Grotta Tanaccia garantisce l’avventura di circa un’ ora di cammino su settecento metri di “viabilità” sotterranea scavata da un antico torrente. La Vena del Gesso è una catena che si estende per
Quando la strada provinciale fa sentire la discesa, siete in prossimità dell’indicazione di Villa Vezzano, potrete scegliere di raggiungere alcune aziende sia vitivinicole, sia di allevamento di api e produzione di miele, sia agrituristiche di cui la segnaletica indica la presenza. Qui sorge l’antica Torre del Marino che ha dato il nome anche al Golf Club “La Torre”. Si raggiunge in circa 2 Km. di ripida salita dal centro di villa Vezzano. E’ un sempio di architettura militare rinascimentale, costruita in laterizio, ad eccezione della cordonatura in arenaria, a base quadrata. Rimasta priva di merlatura, architettura militare rinascimentale. La Torre del Marino venne eretta verso la fine del XV secolo, per scopi difensivi e di avvistamento (domina infatti la Valle del Senio e una vasta area collinare) dalla famiglia dei Naldi e fu, in seguito, proprietà dei Rondinini. Tale Torre, inoltre,
Grotta Tanaccia
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costituì il prototipo architettonico per le successive Torri di Cavina (1491) e di Pratesi (1510 circa) situate alcuni chilometri a monte della Vena del Gesso. In seguito alle vicende belliche (è stata bersaglio dell’artiglieria tedesca durante la II Guerra Mondiale) sono crollati il soffitto e le volte di sostegno dei vari piani interni: conserva ancora tracce di scale e i resti di un camino monumentale. Proseguendo si costeggia l’area del Golf Club di Riolo e in pochi minuti incontrate il paese anticipato dalla folta vegetazione del Parco dello Stabilimento Termale. A Riolo si può addirittura programmare un ritorno per almeno tre motivi: lo Stabilimento Termale per i molti benefici trattamenti che propone, la Fiera dello Scalogno e la Festa di Halloween. Queste ultime due sono intrecciate alla storia del luogo per una antica questione di arrivi celtici in terra di Romagna, e si sa che ogni popolo porta con sè prodotti della tradizione. Lo scalogno o Allium Ascalonicum è un bulbo profumato, lo si fa risalire direttamente alla civiltà celtica [all è termine che in celtico significa “ che brucia”, ascalonicum dal nome della città giudaica Ascalona. E’ una pianta erbacea da orto, che si propaga per bulbo. Il sapore è aromatico e penetrante, è ricco di oligoelementi, come il selenio, il silicio, il potassio, vitamine , i flavonoidi oltre alla tipica allicina,l’olio delle liliacee. Gli vengono attribuite proprietà come disinfettante, diuretico, eupeptico. E’ anche coreografico quando i coltivatori appendono le centinaia di trecce formate con i bulbi e le loro foglie essicate e ordite con nastri di rafia.Potete gustare nei ristoranti della zona i menù degli chef che si caratterizzano anche per
Terre Naldi
l’utilizzo dello scalogno con grande creatività. Quando si lascia Riolo Terme in leggera discesa con direzione Castel Bolognese si va a conoscere un altro segmento della Strada dei Vini e dei Sapori dei Colli di Faenza (Strada del Sangiovese), un’area ricca di aziende di grande esperienza che producono grandi vini per occasioni importanti, come i cosidetti “vini da meditazione”, i passiti. Il percorso su e giù per i Colli di Faenza vi sorprenderà per l’incontro con prodotti che evocano una creatività mista di ragione e sentimenti, che si avvale di regole rispettate nella coltura e nella vinificazione per condensarsi in nettari preziosi, capaci di suscitare emozioni olfattive e di gusto. E’ la creatività e sono le regole dei produttori di vino, individui fortemente motivati verso il proprio prodotto che, entrando in azienda e visitando le cantine, potrete conoscere nel modo più diretto, oltre il mero atto commerciale. In questo viaggio in sequela dei grandi vini di collina si comprende bene la differenza fra il gustare prodotti di nicchia in occasioni “di nicchia” e il consumare prodotti più adeguati alla quotidianità. Si beve e ci si alimenta tutti i giorni cercando di utilizzare buoni prodotti, qui si impara a fare “esperienza” del cibo e del bere. Il viaggio continua; quando si è nel nel territorio comunale di Castelbolognese vi dirigete verso Tebano sulla Sp.66 e avrete la possibilità di fare sosta in alcune aziende anche versatili fino alla ricettività agrituristica.
Scalogno
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Su via Tebano, si prosegue fino al n.54, dove esiste un punto di “sintesi” per approfondire il tema della ricerca e della sperimentazione vitivinicola: Terre Naldi. All’origine c’era l’azienda agricola del conte Cesare Naldi che poi fu incamerata dal Comune di Faenza e avviata alla modernizzazione dei sistemi produttivi. Oggi e’ una società consortile che riassume importanti servizi regionali per la ricerca e la sperimentazione (CRPV (Centro Ricerche Produzioni Vegetali), CATEV ( Tecnologica in Enologia e Viticoltura), ed è divenuta anche sede del Corso di laurea in Viticoltura ed Enologia dell’Università degli Studi di Bologna. Dalla vallata del Senio si riprende la tenue salita verso la fascia collinare conosciuta come Monti Coralli, colline favorite dalle marne argillose e da un’esposizione con ottimo microclima che consente la maturazione delle uve dei classici vitigni per vini sempre nuovi nel profumo, nel colore, nel sapore, nella consistenza tannica.
Istituto Persolino Faenza
trali portati alla luce durante gli scavi del 1959, insieme con altre fondamenta di epoca romana). Le vicende della scuola iniziarono, invece, grazie alla famiglia Caldesi, proprietaria di queste terre dal 1700 e all’inizio del 1900 si inaugurò nella sede della Villa la prima “Scuola di Pratica Agricola” intitolata al giovane Caldesi, prematuramente scomparso. Nell’attuale Istituto, si sono formati molti giovani imprenditori agricoli della Romagna, che hanno potuto fare un percorso completo, didattico formativo e sperimentale; essi, infatti, sono protagonisti in tutte le fasi della filiera seguiti da docenti e operatori specializzati. I vini, qui se ne confezionano circa 8000 bottiglie, hanno nomi poetici e ricchi di reminiscenze scolastiche: il Varrone, di casa sul Colle Persolino dal 1985, è ottenuto dal mitico vitigno Bursón, il Sangiovese Superiore “Umberto” è stato così intitolato in memoria affettuosa del Preside scomparso dopo 20 anni di direzione. Un posto d’onore hanno conquistato i due passiti “Ultimo giorno di scuola” e “L’amabile Persolino” (quest’ultimo ottenuto da un vitigno presente in azienda dal 1960 con il nome di Amabile di Genova, ribattezzato Malbo Gentile). Questa insolita azienda scolastica, si propone anche con la frutticoltura (ciliegi, peschi, cachi), nelle serre, sotto il cipresso e la quercia secolari, infine, nel Roseto delle rose antiche che vi offre un appuntamento, il penultimo fine settimana di maggio, alla Festa “Sul Colle di Persolino”, con suggestiva visita notturna guidata.
Il percorso, in discesa dai Monti coralli, va a conoscere una realtà pubblica, anzi statale, una scuola, l’Istituto Professionale di Stato per l’Agricoltura e l’Ambiente. che si inserisce di diritto nel percorso dei Grandi Vini Doc per la propria consolidata esperienza di vitivinicoltura, sul Colle di Persolino, il verde “terrazzo fluviale”, sul quale gli archeologi hanno rintracciato i segni di antichissimi insediamenti umani (si tratta dell’homo di Neanderthal del Paleolitico Medio (75000-40000 anni fa) poi nel VI sec. a.C popolazioni portatrici di cultura etruscoide eressero qui un tempietto di cui restano i muri perime-
Da Persolino, si ritorna verso Faenza sulla SS. 302, ed è
Colli di Faenza verso Tebano
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impossibile non suggerire una sosta nella città capitale della ceramica. In qualsiasi momento dell’anno il percorso della Strada del Sangiovese e dei Sapori dei Colli di Faenza è un’occasione per conoscere anche l’arte della ceramica faentina, acquistarne i prodotti attuali nelle botteghe, visitare il MIC (Museo Internazionale delle Ceramiche) e i monumenti del periodo Neoclassico come palazzo Milzetti. In aggiunta, vogliamo ricordare che nel mese di novembre si tiene nel padiglione fieristico ”Enologica” manifestazione dedicata ai vini, anzi alla cultura del vino, del quale si ragiona degustandolo con la guida di esperti sommeliers. Il soggiorno nella capitale della ceramica artistica, perciò, sarà o un punto di partenza, o un punto di approdo per ripercorrere la Strada dei Vini e dei Sapori delle colline di Faenza secondo la selezione che ciascuno vorrà operare tra le settanta aziende associate.
Enologicacheologi
Da Faenza il ritorno a Cervia è agevole sulla SS.9, via Emilia, e, di seguito, sulla Sp2 che collega Forli’ a Cervia.
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Storico culturale
Brisighella. La perla di Val Lamone Passeggiata nel borgo medievale e dintorni La provincia di Ravenna offre ai turisti un paesaggio collinare felicemente segnato da siti storici e da emergenze ambientali di grande attrattiva e soprattutto è adeguatamente predisposto per rendere agevole la visita sia nei borghi storici, sia nelle aree open air dove si possono riconoscere colture autoctone, emergenze geologiche, giardini e parchi. Venendo da Cervia, dopo il passaggio per Forlì, si prosegue sulla via Emilia SS 9 verso Faenza e raggiunta la nota “capitale della ceramica” sulla strada circonvallazione, che lascia a destra il centro abitato, si prende la direzione verso Brisighella su via Canalgrande. Questa è in realtà la SS.302 brisighellese che conduce a Firenze, un’antica via romana, come la via Emilia (S.S.9) da cui si dirama, appunto, con il nome di via CanalGrande. Ci attendono circa 11 chilometri per predisporci ad un paesaggio non prevedibile dopo i lunghi percorsi autostradali. La strada ferrata, opera della fine del XIX secolo, corre parallela alla strada e compie ancora il servizio di collegamento tra la Romagna e la Toscana, fino al capoluogo Firenze: si sale a Faenza e si scende dopo pochi minuti alla stazione di Brisighella.
Panorama vallata verso Brisighella
terre che furono chiamate Romagna e si creò l’ambiente chimico che favorì la formazione degli zolfi e dei gessi. L’uomo, invece, la frequentò in epoche successive, tra il neolitico e l’età del bronzo come attestano i reperti della Grotta Tanaccia, una delle grotte nella Vena del Gesso romagnola. Sui tre pinnacoli gessosi che definiscono la skyline del Borgo sono sorti la Rocca, la Torre dell’Orologio e il Santuario del Monticino.
Dopo undici chilometri si arriva a Brisighella, borgo immerso nel verde intenso della valle del fiume Lamone e addossato, nonché protetto dalla calda “Vena del Gesso” che le ha offerto dai tempi più remoti tre pinnacoli, divenuti il suo baluardo, dapprima di difesa, poi di fama fino ai nostri tempi. Il sito di Brisighella ci richiama a ere geologiche antichissime quando si formarono le
Il percorso, inedito per le sue tappe, si snoda attraverso il centro storico e vi diamo come punto di partenza la sede della Pro Loco, dove si può ottenere ogni informazione sul borgo e dintorni e sul prodotto leader di questo territorio, ovvero l’olio dop di Brisighella. A fianco della Pro Loco, vi proponiamo la visita del Museo Civico Giuseppe Ugonia dedicato a Giuseppe Ugonia (1881-1944) che era nativo di Faenza, ma visse a Brisighella nonostante gli fossero proposti incarichi importanti in altre regioni. Ugonia fu uno dei più noti litografi d’inizio ‘900 membro del famoso “Cenacolo Baccarini” le cui opere sono esposte in prestigiosi musei nel mondo. Qui vi sono le opere donate dalla vedova, circa 400, tra cui molte litografie che propongono gli angoli suggestivi del borgo e della natura circostante. E’ stato ricreato anche lo studio del maestro, al primo piano. Nel Museo si ammirano anche alcune tele del Guercino e di Nicolò Paganelli e ceramiche faentine del ‘700, realizzate nella fabbrica Ferniani.
Via degli Asini
Fuori dal museo, il Borgo torna ad essere protagonista 66
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Storico culturale
della scena: in pochi metri farete un balzo di secoli e anche di prospettiva logistica. Procedete brevemente a sinistra, oltre il museo, e incontrate un passaggio sopraelevato di alcuni gradini e chiuso alla sommità da un arco. E’ una porta interna della città; sulla strada dove vi trovate, infatti, vi era una delle tre porte che in epoca rinascimentale consentiva l’accesso a Brisighella da Nord. Si chiamava Porta Gabalo (o delle Gabelle). Questa, dove ora vi trovate, invece, era una porta interna chiamata la Porta delle Dame, perché le donne dell’aristocrazia vi accoglievano gli ospiti illustri. Museo Ugonia
Superata Porta della Dame si sale ancora lungo una gradinata per avvicinarsi al nucleo più antico del Borgo, che era addossato alla roccia e sopraelevato. Qui una sosta è d’obbligo. Vi sovrasta la verticalità di una casa, la più antica casa del Borgo, di proprietà Boschi-Raggi, che si sviluppa su sette piani, il primo è di origine preistorica, gli altri sei di epoca medievale. Il proprietario ha realizzato un sapiente restauro. Come potete vedere qui tutto è molto addossato alla roccia. E più avanti troverete la spiegazione. Si procede oltre casa Boschi su Vicolo Paolina che si presenta con soffitto in travi di legno e pavimentazione in acciottolato e appena se ne esce si ha la visione, verso l’alto, della Torre dell’Orologio. La Torre dell’Orologio fu costruita intorno al 1200 da Maghinardo Pagani signore di Susinana come torre di Guardia. Si considera questo come il primo atto di fondazione di Brisighella:
Maghinardo (che Dante chiamò “demonio dei pagani”) si era impadronito di Faenza ed entrato in val Lamone su uno dei tre spuntoni di gesso costruì appunto la torre che fino al secolo XVI fu un sicuro bastione di difesa e contribuì a salvare il territorio dai nemici. Fu ricostruita nel 1548, più volte danneggiata da terremoti e oggi la vediamo dopo il rifacimento del 1850. Alle falde del suo colle sono visibili tracce di mura di antiche abitazioni. Passato il vicolo e la successiva via Del Guasto Garattoni avete di fronte la visione prospettica della Antica via del Borgo o Degli Asini, la cui origine coincide con l’origine stessa di Brisighella. Subito capite di essere in un luogo unico, inusuale ( è il luogo che attira a Brisighella migliaia di turisti) e vi domanderete se siete su una strada o dentro un edificio, perché sopra di voi vedete il soffitto in travi di legno. Allora affacciatevi al primo arco semicircolare a sinistra, il primo della litania di archi su questo lato e vedrete che sotto di voi c’è la strada da cui siete saliti: questa quindi è una strada, una via sopraelevata e coperta, chiusa da un soffitto. Fuori dall’ arco non esisteva nulla, c’era solo il borgo, ed esso era anche la fortezza, il baluardo di difesa dagli attacchi di eventuali nemici. Gli archi che si rincorrono e che non sono tutti della stessa misura, se guardate bene, sono ciascuno di fronte ad una porta di ingresso di una abitazione. Gli archi infatti appartenevano alla famiglia che era anche proprietaria della abitazione ed erano famiglie benestanti perché potevano mettere a guardia degli archi un manipolo di soldati a proprie spese. Le abitazioni sono tutte dalla parte opposta e addossate
Torre dell’orologio
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alla parete gessosa. Con questa struttura di architettura inedita gli abitanti dovettero rinunciare alla piazza. La via del Borgo era la loro piazza. E,attenzione, questa era anche la cinta muraria del borgo, infatti a Brisighella non c’è traccia di antiche mura perimetrali. Lo storico assedio dell’anno 1467 da parte del Duca di Urbino fallì, per l’eroica resistenza organizzata sulla linea di questi mezzi archi. Solo quando la via del borgo perse la sua funzione di difesa, all’epoca della scoperta della polvere da sparo con la diffusione delle armi da fuoco, si spostò la linea di difesa oltre la via del borgo, e si costruirono le tre porte. Il paese si ampliò e questo divenne il quartiere del birocciai che dovevano passare qui per trasportare il gesso estratto dalla Vena verso i mercati di Faenza o di Firenze. I carri erano trainati dagli asini da cui nacque il nome dato alla strada, “via degli asini”.
Via degli Asini
notazione richiesta al proprietario dalla Pro Loco.
Procedete fino al numero civico 14 e vedete l’unico portone ancora intatto dell’epoca dei birocciai. Oltre questo portone, e così oltre tutti gli altri, c’erano le stalle dove riposavano le bestie, le birocce, invece,venivano lasciate al piano della strada. Sopra la stalla fu costruito il piano adibito ad abitazione e tra i due piani si lasciavano delle botole attraverso le quali il caldo saliva dalla stalla e riscaldava le stanze. Nel piano sotto stante le stalle, che era come uno zoccolo di roccia vennero ricavati i magazzini e, quando tornerete sulla strada, notate che ora al loro posto vi sono i moderni negozi. Attualmente la via “Del Borgo o degli Asini” è abitata da privati, da alcuni studi professionali. Talvolta, si può visitare qualche abitazione, ma solo grazie ad una pre-
Percorrendo la via si possono notare alcune curiosità come, al numero civico 17, lo stemma della famiglia Tozzi, ovvero un cane con un tozzo di pane in bocca, e di seguito al n.11 alla lapide che ricorda i due fratelli Cicognani che, seppure di modeste origini familiari, divennero entrambi cardinali. Quando arrivate al n.1 dovrete uscire, ma in origine la via proseguiva ancora per 1 km fino alla porta Bonfante (o Porta Buonfante). verso Firenze. Date uno sguardo in retrospettiva alla strada, la sua suggestione è unica, e scendete dai gradini. Alla vostra destra avete l’attacco di una scalinata che in almeno 200 gradini conduce fino alla Rocca o fino alla Torre e c’è un sentiero panoramico alle falde della Torre (le due strutture si raggiungono, comunque sulla strada asfaltata in auto o bus.) Ora siete tornati al piano stradale attuale, e vi dirigete verso Piazza Marconi. E’ quasi d’obbligo ritornare di pochi passi sulla vostra sinistra per riguardare la via degli Asini dal piano stradale e valutare che essa, vista da qui, si può assimilare in tutto ad un fronte unico, una schiera di case senza soluzione di continuità. Poi raggiungete il Municipio, Palazzo Maghinardo, un’imponente costruzione neoclassica che ci chiude la prospettiva a sinistra per assecondare la direzione naturale della roccia cui il borgo è addossato. Siete in piazza Marconi, detta anticamente piazza Politica, il Municipio è ospitato in palazzo Maghinardo, che
Via degli Asini interno
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con la maestosa facciata in stile neoclassico illumina la piazza. Fu edificato nel 1828 su un precedente edificio, di diversa architettura. Il nome gli deriva da quello del condottiero medievale al quale viene fatta comunemente risalire la fondazione di Brisighella, Maghinardo Pagani di Susinana che Dante Alighieri nel suo Inferno definisce “demonio dei Pagani”(Canto XXVII). Procedete in via Naldi fino ad incontrare Via Spada, acciottolata, subito in salita, come molte strade in Brisighella. Il passo rallenta, c’è tempo per osservare il piccolo anfiteatro che viene utilizzato nel periodo estivo per le manifestazioni di”Brisighella Danza” che portano nel borgo migliaia di visitatori. Più avanti si incontra la Chiesa di San Francesco del 1700, con l’Oratorio di Santa Croce, del 1500. La chiesa ha un nucleo originario del 1300 di cui unico segno rimane una finestrella di struttura elegantemente allungata secondo lo stile dell’epoca in cui l’edificio era dedicato a San Gerolamo.
Santuario del Monticino
la Via Crucis in bronzo opera del Nonni, artista faentino frequentatore come l’Ugonia del cenacolo Baccarini. Da questa posizione si gode il panorama sulla valle, di grande attrattiva. Più tardi potrete raggiungerlo. Chi vuole raggiungere ora il Santuario a piedi può intraprendere lo stradello, lungo poco più di un centinaio di metri, in salita.
Segue una serie di civili abitazioni, spesso adibite a residenze estive, piacevolmente ristrutturate che conferiscono un clima ameno alla parte finale della strada. Sul lato destro continua ampio il paesaggio dominato dai pinnacoli con le loro fortezze e, di fronte a noi, il terzo pinnacolo su cui sorge il Santuario del Monticino.Vi anticipiamo che è un santuario di antica tradizione mariana, risale al XVIII secolo, fu eretto sul terzo colle di Brisighella (noto un tempo come “Calvario”) per ospitare una maiolica seicentesca raffigurante la Madonna con il Bambino. Nella zona antistante il santuario si segue
Ora siete giunti in fondo a via Spada: qui sorgeva la seconda porta di Brisighella, Porta Bonfante (il nome è forse un riconoscimento epocale della condiscendenza del fante preposto al controllo di quanto, uomini e merci, fosse in entrata o in uscita dal paese). C’è una lapide con un’iscrizione che ricorda ai passanti che la ceramica ora venerata nel Santuario del Monticino fu all’inizio collocata qui, in un tabernacolo, nel 1626, e solo successivamente, nel 1662,traslata al Monticino. La lapide è a ricordo della traslazione dopo 300 anni, nel 1926 Scendete lungo la via scalinata del Monticino e vi dirigete a sinistra, su via Delle Volte, verso il centro del paese. La prossima tappa è in Piazza Carducci, la raggiungete superando la Fontana Vecchia, costruita nel 1492 dai signori Manfredi era alimentata dalle acque gessose della vicina sorgente “della doccia”. Viene anche chiamata fontana dei tre sbruffi, ”di tri sbroff” per le tre fontanelle di uscita dell’acqua, poi percorrete alla vostra destra, via Porta Fiorentina, dove sorgeva la terza porta di Brisighella. In piazza farete una sosta in Cattedrale, nota come la
Santuario del Monticino
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Collegiata di S.Michele Arcangelo, ultimata nel 1697 su progetto dell’architetto Gherardo Silvani con pianta a croce greca ha un bel portale in bronzo opera dello scultore Angelo Biancini, su disegno di Antonio Savioli. All’interno si segnalano: un crocifisso scolpito in legno d’olivo, del secolo XVI, notevole per la forza espressiva del Cristo; l’altare in stile neo-barocco (scagliola policroma) dedicato alla Madonna delle Grazie, patrona del Borgo, la cui dolce immagine con volto di bambina su tavola lignea è attribuita a certi pittori Mingarelli nel 1410 circa. interessante anche il volto di san Domenico che assomiglia ad un monaco tibetano. La Pala è oggetto di studi. Nella cosidetta ex cappella di S.Antonio, si conserva una magnifica tavola del pittore forlivese Marco Palmezzano (sec. XVI) proveniente dall’antica Pieve di Rontana, che rappresenta l’Adorazione dei Magi. Il dipinto fu eseguito dal pittore Marco Palmezzano di Forlì, titolare di una bottega nella sua città, nel 1514 su commissione della famiglia Naldi per l’altare della chiesa di Santa Maria in Rontana. Nella lunetta, dello stesso autore, la scena di “Gesù fra i dottori nel tempio”, tema trattato raramente nella storia della pittura.
Chiesa dell’Osservanza
manifestazioni si alternano mostre, interventi teatrali, concerti e banchetti allestiti nelle taverne e nelle vie del borgo. Si percorre tutta via Roma per giungere alla chiesa di Santa Maria degli Angeli o Dell’Osservanza e al relativo convento. La Chiesa dell’Osservanza e il convento sono un complesso costruito nel XVI secolo. La Chiesa, dedicata a Santa Maria degli Angeli, risale al 1525; è situata lungo la strada statale che porta a Firenze. All’interno vi sono conservate alcune pregevoli ceramiche artistiche e una pietà di Giuseppe Rosetti, detto il Mutino (18641939). La navata della chiesa è ricca di stucchi del 1634. Sull’altare maggiore una magnifica tavola opera del pittore forlivese Marco Palmezzano. La cancellata e il lampadario (sec. XX), del terzo altare di destra, sono opere pregevoli in ferro battuto di Eugenio Baldi (18951948) di Brisighella, le tempere sono di Giuseppe Ugonia (1881-1944). Qui vicino, nei pressi della stazione, nel Parco Ugonia è collocato il monumento al “Fante che dorme” opera dell’artista Domenico Rambelli.
Fuori dal Duomo siamo in Piazza Carducci e scendendo verso via Roma si può fare una veloce sosta all’ “Antro di Ermete”. Una mostra percorso in una cantina medievale del XIII secolo, abbinata al tema delle Feste medievali che si tengono a Luglio in tutto il paese. La prima edizione delle Feste medievali si tenne nel 1980. Durante le
Ora vi attende una tappa che nessuno vuole perdere quando viene a Brisighella.Si procede in direzione di Firenze per meno di 1 km sulla SS302 fino alla Pieve di S.Giovanni Battista in Ottavo, nota a tutti come Pieve del Thò. Dichiarata nel 1908 Monumento Nazionale è stata inserita anche nell’itinerario religioso ravennate
Fontana Vecchia
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nell’ultimo giubileo del 2000. Il nome dialettale (Thò sta per ottavo), indica l’ ubicazione all’ottavo miglio della strada romana (citata nell’itinerario di Antonino Pio) che collegava l’Emilia all’Etruria, Faenza con Firenze. La data di costruzione, secondo un primo documento in cui è citata la Pieve, è precedente all’anno 909. Fu costruita, verosimilmente, dagli abitanti che utilizzarono i materiali di recupero di un precedente edificio romano (colonne, capitelli, lapidi di cui si trovano esempi nell’interno). Lo stile è quello romanico. Lunga circa 26 metri e larga non più di 13. Nella cripta, è stato rinvenuto un antichissimo frantoio che conferma la millenaria coltivazione dell’olivo in Val Lamone. L’altare contiene un Paliotto del VI secolo d.C, quindi antecedente la chiesa ed è segno della evangelizzazione della zona. Viene fatto notare il piattismo bizantino della decorazione, tale da richiamare i mosaici di Ravenna. In origine potrebbe essere stato il coperchio di una sepoltura , poi fu sistemato nel portichetto d’entrata, ma per proteggerlo, infine, è stato incassato nell’altare. L’affresco sulla parete dell’abside potrebbe essere del 1300, come si potrebbe dedurre dalla piattezza dell’aureola. Scendendo dall’abside, sulla seconda colonna a destra, si nota un’impronta fossile di conchiglia che potrebbe risalire a circa un miliardo di anni fa ed è bene notare anche un’ immagine di Madonna molto graziosa affrescata con stile che richiama il ‘400 fiorentino: le perle di corallo al collo del Bambino sono segno di positività. Un’ altra immagine di Madonna con sorriso a sinistra. Si segnala all’attenzione del visitatore il Cro-
Pieve del Tho interno
cefisso di scuola toscana del ‘300 scolpito nel legno di ulivo, oggetto di un recente restauro. Procedendo verso l’ingresso: all’altezza dell’ottava colonna terminavano i due ordini di colonne; la parte ora eccedente era il pronao, ovvero la zona riservata ai catecumeni in attesa di ricevere il battesimo. L’inglobamento del pronao nell’area basilicale fu voluta dal pievano Giovanni Andrea Callegari che qui operò tra il 1570 e il 1572. Quando fu costruito il Duomo, la pieve perse la sua importanza, il pievano ebbe meno mezzi, la comunità rurale era povera, e non si fece alcuna modifica. Questo fatto, considerato oggi, ha avuto l’effetto positivo di conservare l’edificio nel suo magnifico aspetto originale. La Pieve del Tho è una suggestiva sintesi di storia e ambiente come tutto qui, in valle del Lamone. Il tour in Brisighella vi conduce ora sulla strada verso la Rocca Manfrediana, sulla provinciale Sp 23 Monticino Limisano. La Rocca Manfrediana, sorge maestosa su uno dei tre pinnacoli rocciosi che dominano il borgo.Fu eretta nell’anno 1310 per volere di Francesco Manfredi: era da poco iniziato il dominio dei Manfredi signori di Faenza anche su Brisighella, dominio che durerà fino alla fine del secolo XV, solo con brevi interruzioni. In seguito, l’ edificio fu rimaneggiato dai veneziani che presero Brisighella nel 1503. Un significativo restauro si è concluso in tempi molto recenti. Il complesso di questa fortezza si
Pieve del Tho esterno
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compone del cosiddetto “Torrione Veneziano”(sec.XVI) e dell’antico “Torricino”, che risale al 1300, costruito per volere della famiglia Manfredi di Faenza. E’ un pregevole esempio dell’arte militare del medioevo. L’itinerario che avete percorso alla conoscenza della storia di Brisighella e dei suoi segni nell’architettura urbana e nell’arte potrebbe terminare qui, presso la Rocca,in verità noi vi invitiamo a proseguirlo, perché c’è un protagonista sottinteso in questa storia di cui abbiamo fatto solo qualche cenno, ma esso è di tale importanza da motivare il secondo itinerario sul territorio intorno al Borgo. Parliamo dell’Olio di Brisighella che qui è coltivato da circa un millennio e vanta di essere il primo ad avere ottenuto la Dop (Denominazione di Origine Protetta) nel 1996.
Cab Frantoio
centinaia di metri. Subito sulla destra si apre l’area del Frantoio sociale, della Cantina sociale e dei locali per la vendita esposizione con annessi uffici della CAB.
Questo primo itinerario storico culturale si conclude perciò presso il Frantoio Sociale della Cooperativa Agricola Brisighellese (CAB) in via Strada n.2.
La visita al Frantoio è consentita anche a gruppi di turisti durante la produzione dell’olio, nel mese di novembre, previa prenotazione presso i responsabili della Cooperativa. In ogni mese dell’anno, invece, si può acquistare l’olio, sia nelle confezioni previste per l’imbottigliamento delle diverse tipologie, sia sfuso, ed è anche questo un ottimo prodotto. Qui è attiva dagli anni ’80 del ‘900 anche la cantina sociale che produce ottimi vivi anch’essi in vendita nel negozio. Nel negozio si trovano anche gli altri prodotti eccellenti del territorio dell’ Appennino faentino ottimi formaggi, confetture di frutti dimenticati, piccoli ortaggi autoctoni come lo scalogno e il carciofo moretto, prodotti al farro.
Da questo stesso luogo partirà il secondo itinerario interamente dedicato all’olio prodotto leader del territorio e al Museo open air che gli è stato dedicato nel 2004 nell’ambito di un progetto curato dalla società L’altra Romagna in collaborazione con CAB, Comune di Brisighella, Comunità Montana dell’Appennino faentino e Arpo. Il progetto del museo fu curato dalla giornalista Laura Vestrucci che scrisse anche la Guida per la visita. In discesa dalla Rocca sulla provinciale n.23 si ritorna sulla SS.302, in direzione Firenze, ma per poche
Terminata la visita della CAB si ritorna sulla SS.302, in direzione Faenza fino ad incontrare la SS.9, via Emilia in direzione Forlì e di seguito la Sp.254 fino a Cervia.
Rocca Manfrediana
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Il museo all’aperto dell’olio di Brisighella (MAOB XXI) Questo itinerario è interamente dedicato all’olio extravergine dop, prodotto leader del territorio e al Museo open air inaugurato nel 2004 nell’ambito di un progetto condotto dalla società “L’altra Romagna” in collaborazione con CAB, Comune di Brisighella, Comunità Montana dell’Appennino Faentino e Arpo. Il progetto del museo fu curato dalla giornalista Laura Vestrucci che scrisse anche la Guida cartacea per la visita. Il Museo è diviso in 7 sale museali open air. Sulla SS.302, in direzione Firenze, poche centinaia di metri dopo l’abitato di Brisighella, si incontra sulla destra l’area del Frantoio Sociale, della Cantina sociale e del punto vendita-esposizione con annessi uffici della CAB.
Panorama colline con ulivi
tratto si incontrano le indicazioni stradali per Zattaglia e Strada della Lavanda. E’la Sp.63 che ha il nome di via Valletta. Subito dopo il passaggio a livello sulla ferrovia che da Faenza conduce a Firenze, si incontra il primo punto di sosta, ovvero la prima nicchia, del museo. Le nicchie, perciò le soste, sono in totale sette e ciascuna,collocata in una piazzola, invita il visitatore a conoscere la zona, ovvero la sala museale, dove essa è collocata; le sale sono 5. In ogni sala le nicchie danno le coordinate storiche o paesaggistiche per comprendere quello che si vede. Esattamente come succede in un museo indoor.
Ora proseguite, perché questa tappa è prevista, come sintesi sulla attuale attività anche promozionale del territorio, a conclusione dell’itinerario. Ora si procede sulla statale vi diamo le ragioni di questo itinerario che si basa sul prodotto olio e sulla coltivazione dell’ulivo nella parte di territorio detta “Areale dell’Ulivo”, che ha Brisighella al suo centro. L’areale brisighellese,con un diametro di circa 5 km, si diffonde dai primi colli faentini, a partire dalla località Errano sulla SS 302, tocca i confini di Riolo Terme, di Casola Valsenio e,in parte, di Modigliana.
Su via Valletta e fino al crinale, si incontrano tre nicchie, ovvero si visita la PRIMA SALA DEL MUSEO: si può vedere bene cosa significa la coltura dell’ulivo in questo territorio collinare: all’inizio i filari di vite sono ancora presenti, ma salendo essi cedono il posto alla presenza intensiva degli ulivi. Si trova anche una zona coltivata a cachi e qualche boschetto di conifere. I poggi della collina sono lavorati a terrazza, talora si notano i casotti in mattone adibiti al servizio del coltivatore. Questi olivi sono della varietà autoctona “nostrana di Brisighella” quella che, molita in purezza secondo un disciplinare, seguito in campo e in frantoio, ha consentito all’olio prodotto con spremitura a freddo di ottenere la Dop. L’esposizione delle piante è a ovest, sud ovest, la più favorevole all’irraggiamento solare. L’ulivo si arrocca anche nei pendii più scoscesi e nelle soste su via Valletta questo si vede molto bene. Quando è il momento della raccolta, nel mese di novembre i coltivatori stendono sul
In direzione Firenze si procede fino alla frazione di Fognano, si attraversa il centro abitato e dopo un breve
Torre dell’Orollogio
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terreno le reti, anche in questi scoscesi pendii, e con le mani raccolgono a pettine le olive, con il metodo detto della brucatura. Sul crinale si sceglie la direzione Rontana ( se si sceglie Zattaglia si entra in val del torrente Sintria e da questa si raggiunge la strada per Riolo Terme) e si entra nella SECONDA SALA DEL MUSEO, quella dedicata alla Vena del Gesso. Il panorama, nei pressi della prima nicchia, è maestoso e nei tratti successivi mantiene la promessa iniziale. La Vena del Gesso Romagnola, che nel 2005 è stata dichiarata Parco Regionale, è unità geo morfologica, ambientale e paesaggistica. di grande valore. Fu definita dai naturalisti, già all’inizio del XIX secolo, un unicum. La formazione della catena, la cui dorsale è lunga circa 12 km, risale almeno a 6 milioni di anni fa, nel periodo tra Miocene e Pliocene detto Messiniano. Rocce gessose e colline calanchive con fenomeni di carsismo sono state una risorsa per l’uomo che in epoche preistoriche si è rifugiato negli anfratti per abitarli (Grotta Tanaccia, età del bronzo antico -dal 2300 al 1700 a.C-), in epoche storiche ha addossato alla roccia le proprie dimore, in seguito ha sfruttato la vena per estrazioni, ha usato le acque termali per il proprio benessere fisico e ha iniziato la coltura dell’ulivo traendo beneficio dal calore autogeno del terreno. Il riflesso quasi lunare delle rocce ha conferito loro l’attributo di “selenitiche”.
Ca Carne
è parte del Parco della Vena del Gesso e costituisce la TERZA SALA DEL MUSEO. Il Carnè si estende per 44 ettari ed è un’oasi di vegetazioni sia boschive (quercia, carpino nero, cipresso acero, sorbo) sia del sottobosco (arbusti,e felci tra cui la rarissima cheilantes persica). Gli ambienti sotterranei, grotte, doline, inghiottitoi della Vena nel parco del Carnè sono oggetto di continuo interesse speleologico e si possono in taluni casi visitare con la guida del Gruppo Speleologico faentino. Anche la fauna dei due Parchi è molto interessante, ricca di mammiferi, volatili, rettili, anfibi…in veloce citazione il gufo reale, il falco pellegrino, roditori tra cui l’istrice cristata, volpi, caprioli e molti altri. La cima più alta della Vena del gesso è Monte Mauro che dalla vetta di m.515 s.l.m in giornate terse consente la visione delle Alpi e del Mare Adriatico. Su questa cima fu eretta nel X secolo la Pieve di Santa Maria in Tiberiaci con il caratteristico campanile in gesso.
Procedendo sulla strada di crinale si incontra la segnaletica di ingresso al Parco Naturale del Carnè che
Quando si arriva a Rontana, dopo circa 2 km di discesa, si raggiunge via Valloni che offre la panoramica di fitte e rigogliose piantagioni di ulivi tra i quali si possono individuare quelli ultrasecolari, il vero “Giacimento”. Questa è la QUARTA SALA DEL MUSEO. Qui troviamo tutte le varietà autoctone, la Nostrana, la Orfana, la Colombina e la rara Ghiacciola da cui si produce un olio esclusivo, di aroma molto intenso che sul mercato entra con il nome di Nobil Drupa. Via Valloni offre anche la divagazione per gli escursionisti bikers che possono scendere su strada sterrata fino alla statale 302 in un paesaggio dominato dal silenzio e dal verde nelle più
Panoramica Vena del Gesso
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diverse sfumature degli ulivi, della Ghirlandina dei pini, e di altre vegetazioni spontanee. Si risale via Valloni, e si fa una tappa alla Chiesa di Santa Maria in Rontana, con una deviazione in leggera salita di circa 50 metri. La chiesa, che risale secondo i documenti al IX secolo, è inserita negli Itinerari ambientali della Vena del Gesso e rivestì un ruolo importante anche per la presenza di una rocca. Poi, nel 1279, fu distrutta da Maghinardo Pagani. In periodi successivi fu ricostruita ai piedi del colle e l’ultima sistemazione è del 1864. Il monte di Rontana è oggetto di studi per i gessi che lo costituiscono detti “i gessi di Rontana”. Nei pressi di Rontana potete notare alcune ville padronali che comprendono coltivazioni a ulivo e vigneto sono state trasformate in agriturismo-relais di alta qualità e producono vino e olio. La discesa verso Brisighella vi conduce alla CAB, sede del Frantoio sociale e della Cantina, che costituisce la QUINTA SALA DEL MUSEO. Mentre si scende sulla Sp 23 si hanno due visuali, rispettivamente a sinistra il proseguimento della Vena del Gesso e a destra il posteriore dei tre pinnacoli di Brisighella con i rispettivi manufatti. La CAB conta 300 soci e fa parte del Consorzio dei Produttori dell’olio dop di Brisighella. I soci sia i fondatori, sia quelli che si aggregano sono in gran parte privati che hanno anche un piccolo appezzamento di terreno su cui coltivano con passione amatoriale gli ulivi, possono essere anche solo 20-30 piante delle varietà Nostrana, e decidono di conferire il frutto seguendo il disciplinare
Chiesa di Rontana
obbligatorio per il prodotto denominato con la Dop. La visita al Frantoio è consentita anche a gruppi di turisti durante la produzione dell’olio, nel mese di novembre, previa prenotazione presso i responsabili della Cooperativa. In ogni mese dell’anno, invece, si può acquistare l’olio, sia nelle confezioni previste per l’imbottigliamento delle diverse tipologie, sia sfuso, ed è anche questo un ottimo prodotto. Qui è attiva dagli anni ’80 del ‘900 anche la cantina sociale che produce ottimi vivi anch’essi in vendita. Nel negozio si trovano anche gli altri prodotti eccellenti del territorio dell’ Appennino faentino ottimi formaggi, confetture di frutti dimenticati, piccoli ortaggi autoctoni come lo scalogno e il carciofo moretto, prodotti al farro. La degustazione di prodotti viene organizzata su prenotazione dei gruppi. Negli ultimi anni è stato aperto con il marchio “Consorzio Il paniere dell’Appennino Faentino” un punto vendita per la commercializzazione dei prodotti e promozione del territorio anche in centro, proprio nei pressi del punto informativo della Pro Loco, in piazzatta Porta Gabalo n.7. Il ritorno a Cervia si svolge sulla SS 302 , in direzione Faenza e di seguito seguirete la SS.9 via Emilia in direzione Forlì e da Forlì la Sp 2R Cervese (ex SS 254).
Località di Rontana
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Riolo Terme Tra cure termali e competizioni sul green si approda al Museo del Paesaggio. La provincia di Ravenna offre ai turisti un paesaggio collinare felicemente segnato da siti storici e da emergenze ambientali di grande attrattiva e soprattutto è adeguatamente predisposto per rendere agevole la visita sia nei borghi storici, sia nelle aree open air dove si possono riconoscere colture autoctone, emergenze geologiche, giardini e parchi. Venendo da Cervia, dopo il passaggio per Forlì, si prosegue sulla via Emilia SS 9 verso Faenza e raggiunta la nota “capitale della ceramica” si prosegue sulla strada circonvallazione fino a Castel Bolognese, sempre avendo il profilo delle prime colline sul lato sinistro della carreggiata. La SS 9 su cui viaggiate è la principale via di comunicazione della regione Emilia Romagna e fu costruita nel II secolo a.C per collegare Rimini con Piacenza. Per questo motivo tutte le città che sorsero lungo la via Emilia sono attraversate da questa strada. Questo vi sarà assai evidente passando per Castel Bolognese.
Stabilimento termale Riolo esterno
Vena del Gesso Romagnola. Riolo Terme sorge su un altopiano lussureggiante lambito dal fiume Senio, rinomata stazione di Cura e Soggiorno termale. Vi guidiamo verso lo Stabilimento Termale, in via Firenze 15, superando la rotonda che segna l’ingresso in paese e, procedendo, la direzione verso CasolaValsenio.
Poco dopo l’abitato vi si presenta la macro indicazione stradale per Riolo Terme “Stazione di cura e soggiorno”: sono 7 km di strada tra il verde dei vigneti e delle piantagioni di kiwi che dagli anni ’80 del’900 si sono ampiamente diffuse in questa zona pedecollinare. Il fiume Senio, che scorre alla sinistra della carreggiata, ha dato sostegno al kiwi che richiede un intenso apporto idrico. La valle del Senio si apre verso il primo Appennino parallelamente a quella del Lamone dove sorge il Borgo Medievale di Brisighella. Tra le due valli si distende la
E’una costruzione in stile “Liberty” immersa in un lussureggiante parco secolare, dove sgorgano acque minerali sulfuree e salsoiodiche. Nella zona attorno al parco sono sorte le residenze più recenti e gli hotel che rispondono alla domanda di soggiorno legato alle cure. Nelle zone boschive sorgono anche i cosidetti “vulcanetti”da cui si ricava un tipo di argilla molto fine. Le fonti in questa zona erano note fin dalla preistoria ai primissimi abitanti della Valle del Senio che le fecero anche oggetto di culto; furono ancora frequentate in epoca romana, medioevale, molto ricercate nel periodo napoleonico. Nel Rinascimento, per l’accorrere delle genti alle sorgenti termali, anche gli uomini di scienza che studiavano i benefici influssi della natura sull’organismo umano si interessarono alle acque delle Terme di Riolo. La notorietà delle proprietà curative delle acque e dei fanghi si diffuse in tutta Europa e ospiti illustri soggiornarono a Riolo tra i quali Lord Byron, Gioacchino Murat e i principi Bonaparte, poi in seguito si ricordano anche Pellegrino Artusi, il poeta Giosuè Carducci. Durante il XIX secolo l’afflusso sempre crescente di ospiti suggerì la creazione di un centro termale di grande valore in una posizione particolarmente pregevole e nel 1870 si costruirono
Paniorama di Riolo Terme
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gli eleganti stabilimenti delle Terme di Riolo dopo che il Consiglio Comunale ebbe approvato il progetto dell’ing. Antonio Zannoni. Lo Stabilimento Termale fu aperto al pubblico il 24 Luglio 1877. Nel 1914 il paese fu chiamato, in onore delle acque, Riolo dei Bagni e, infine, nel 1957, per il successo nazionale ormai raggiunto dallo stabilimento, il nome del paese fu definito come Riolo Terme. Si viene a Riolo per le attrezzature e i cicli completi di cure inalatorie, otorinolaringoiatriche, kinesiterapiche e terapie con fanghi naturali. La piscina consente salubri idromassaggi, ritempranti percorsi vascolari e tonificanti getti a cascata. Da qualche anno funziona il primo centro italiano di “Metologie Naturali” (per curarsi senza medicinali), in grado di abbinare la tradizione termale alle più avanzate biotecnologie mediche applicate, l’idroterapia kneipp e la fitoterapia, che utilizza i prodotti dell’erboristeria. La sezione “Terme Bimbo” è dotata di giochi e video con cartoni animati.
La Rocca esterno
Proseguendo si arriva alla Rocca. La parte antica del paese nasce nel Trecento come borgo, raccolto entro una cerchia di robuste mura, intorno alla possente Rocca e il nome “Riolo” gli deriva da “Rio Doccia”, un modestissimo corso d’acqua, a carattere pluviale, che passava presso la Rocca. Per oltre due secoli, per le caratteristiche del torrentello, il paese fu chiamato “Riolo Secco”.
Tornando verso la rotonda all’ingresso del paese vi potete dirigere verso il centro su Corso Matteotti, dove al n.40 ha sede la Società d’Area “Terre di Faenza” costituita tra enti pubblici e aziende private per favorire un sistema turistico comprensoriale. Il territorio di “Terre di Faenza” comprende 6 Comuni: Faenza, Brisighella, Casola Valsenio, Riolo Terme, Castel Bolognese, Salarolo, un percorso anulare nella provincia di Ravenna. Qui potete ricevere le informazioni turistiche più aggiornate, nonché materiali descrittivi.
Attualmente si accede da piazza Mazzanti. L’antica roccaforte della Valle del Senio, sorse insieme al suo borgo sul finire del XIV secolo, nel 1388, per decisione dei Bolognesi che vollero rafforzare il proprio dominio ampliando un “torrione” preesistente. L’aspetto attuale si deve agli interventi voluti dai Manfredi di Faenza (Carlo II-1468) che fecero erigere i torrioni circolari e ampliare la cerchia muraria. In seguito sotto gli Sforza Girolamo Riario e la moglie Caterina Sforza, che ebbero Riolo dal 1481, la Rocca si sviluppa al massimo come fortezza militare. La Rocca è costruzione detta di “transizione”, in cui convivono caratteristiche architettoniche medievali e rinascimentali come il fossato e le caditoie per il tiro piombante, le camere di manovra con le bocche di fuoco per il tiro radente fiancheggiante. La visita segue un percorso su diversi livelli, dai sotterranei ai piani alti ed è supportata da allestimenti audio visivi didattici e coinvolgenti per il pubblico delle scolaresche e delle famiglie. Nel Mastio visitate la sezione archeologica che ospita reperti databili dall’età del ferro all’epoca romana. Nella
Stabilimento termale interno
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sezione dedicata al paesaggio i pannelli esplicativi, i binocoli ed un visore 3D permettono un’ampia visione del territorio circostante. Nella Sala del pozzo seguite il percorso che interagisce con il visitatore, intitolato “I misteri di Caterina” ed è dedicato alle gesta e agli amori di Caterina Sforza. Una tappa da non perdere è il Centro Documentazione della Vena del Gesso, la formazione geologica che caratterizza tutta la zona tra le valli del Senio, del Sintria e del Lamone. Visitate le sale che le sono dedicate dove si trova documentata ogni peculiarità di questa catena antichissima. La Vena del Gesso Romagnola, che nel 2005 è stata dichiarata Parco Regionale, è unità geo morfologica, ambientale e paesaggistica. di grande valore. Fu definita dai naturalisti, già all’inizio del XIX secolo, un unicum. La formazione della catena, la cui dorsale è lunga circa 12 km, risale almeno a 6 milioni di anni fa, nel periodo tra Miocene e Pliocene detto Messiniano. Rocce gessose e colline calanchive con fenomeni di carsismo sono state una risorsa per l’uomo che in epoche preistoriche si è rifugiato negli anfratti per abitarli (Grotta Tanaccia, età del bronzo antico -dal 2300 al 1700 a.C-), in epoche storiche ha addossato alla roccia le proprie dimore, in seguito ha sfruttato la vena per estrazioni, ha usato le acque termali per il proprio benessere fisico e ha iniziato la coltura dell’ulivo traendo beneficio dal calore autogeno del terreno. Il riflesso quasi lunare delle rocce ha
La Rocca interno Vena del Gesso
conferito loro l’attributo di “selenitiche”. Prima di uscire dalla Rocca, potete fare sosta presso il Torrino Wine bar che nel locale chiuso o , in estate sul cammino di ronda, organizza degustazioni dei prodotti tipici locali. Il prodotto più coltivato di cui i riolesi vanno fieri è lo Scalogno di Romagna che ha ottenuto la IGP (Indicazione Geografica Protetta) che ne decreta la presenza in un territorio tracciato dal disciplinare del 1997. Così si è passati dalle poche piante che ciascuno piantava nel proprio orto, alle colture in diversi ettari dedicate a questo prodotto che è biologico in senso totale. Non ha bisogno di niente per crescere e il sua Dna non ha subito modifiche nel corso dei millenni. Il nome scientifico “allium ascalonicum”, lo fa risalire direttamente alla civiltà celtica: all è termine che in celtico signifca “ che brucia” e ascalonicum dal nome della città giudaica Ascalona.E’ una pianta erbacea da orto,che si propaga per bulbo, in questo casi si chiama bulbillo. Il sapore è aromatico e penetrante, è ricco di oligoelementi, come il selenio, il silicio, il potassio, vitamine , i flavonoidi oltre alla tipica allicina,l’olio delle liliacee. Gli vengono attribuite proprietà come disinfettante, diuretico, eupeptico. Anche coreografico quando i coltivatori appendono le centinaia di trecce formate con i bulbi e le loro foglie essicate e ordite con nastri di rafia. Una tappa per gli amanti del golf è la visita del campo del golf Club La Torre inaugurato nel 1992, sviluppa 18 buche su un tracciato molto tecnico costituito di buche pianeggianti, alternate a buche con pendenze di un certo rilievo, tale da mettere alla prova le abilità tipiche
La Rocca interno sezione archeologica
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dello sport. Il tracciato si movimenta anche con laghetti, bunkers e un inatteso ostacolo, il calanco, spettacolare fenomeno geologico tipico della zona. Il paesaggio è quello delle dolci colline del primo Appennino faentino. Si trova ad appena 1 km dal centro abitato. Riolo è’ diventata famosa anche per la festa dedicata ad Halloween che ormai conta 20 edizioni e che si svolge il 31 ottobre coinvolgendo tutto il paese e naturalmente la Rocca con spettacoli itineranti e allestimenti a tema. Il ritorno a Cervia si svolge sulla sinuosa SS 306 fino alla via Emilia e di nuovo attraverso il passaggio da Faenza e Forlì, quindi sulla Sp2. Golf Riolo Terme
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Il giardino delle erbe officinali e “il Cardello” Nella “Provenza” di Romagna il mix vincente tra colture e cultura Il percorso di visita a Casola Valsenio, che qui consideriamo come singolo, può essere abbinato anche alla visita di Riolo Terme, perché Casola dista da Riolo circa 10 km, in direzione Firenze.Tuttavia se lo si vuole abbinare alla visita a Riolo si dovrà impegnare tutta la giornata, oppure restare per un pernottamento in zona e trascorrere, ad esempio, un weekend. Casola Valsenio ha acquistato fama ed è diventata meta di turismo ambientale e culturale grazie a due strutture che sono fortemente connotate nei due sensi: il Giardino delle Erbe Officinali e Il Cardello, Casa Museo di Alfredo Oriani che fa parte del Sistema Museale della Provincia di Ravenna. Oltre a ciò la riscoperta dagli anni ’80 del ‘900 dei cosìdetti “ frutti dimenticati” e l’organizzazione di una sagra dedicata ad essi, nel mese di ottobre, ha accresciuto l’interesse verso questo territorio. Tuttavia l’edificio da cui prende l’avvio la storia del paese è la chiesa di San Giovanni Battista meglio nota come Abbazia di Valsenio che si incontra prima di entrare nel centro abitato, sulla sinistra. La fondazione dell’Abbazia di Valsenio da parte dei monaci benedettini, alla fine del primo millennio, aumentò il lavoro sulla terra grazie all’introduzione di nuove colture e l’Abbazia estese la sua influenza su tutta la media valle del Senio. In seguito, con l’aumento del reddito e del complesso fondiario i monaci lasciarono l’agricoltura alle famiglie coloniche, dando il via all’organizzazione economicosociale del territorio con conduzione di tipo mezzadrile i cui effetti si sono ripercossi fino alla metà del XX secolo. All’inizio del II millennio si formarono numerosi castelli
Torre di Ceruno
di piccole dimensioni, ma con una propria autonomia e il territorio risultò frazionato in tante piccole comunità che attribuirono loro il nome: i Baffadi, i Campalmonte e, impossibile dimenticarli, i Pagani dai quali discenderà il famoso Maghinardo che intervenne con attività militari e determinò la vita politica di questi territori nel XIII secolo. Quando nel 1216, si scatenò tra Imola e Faenza una contesa per la supremazia sulla valle del Senio, il castello di Casola fu distrutto e gli scampati ricostruirono un borgo più in basso, tra il fiume ed il colle che chiamarono Casola e, in seguito, Casola Valsenio. Era un borgo senza difese e, sebbene capace di svilupparsi grazie alle attività artigianale e mercantili, subiva i danni delle contese tra guelfi e ghibellini ed era oggetto di scorrerie. Dopo una serie di avvicendamenti dei governi Visconti, Manfredi, Riario, Sforza, emerse per ricchezza e potenza la famiglia dei Ceronesi che nel 1523 diede scacco alle truppe imolesi in uno scontro rimasto famoso come “la battaglia delle botti”, allorchè il Castello di Ceruno fu difeso facendo ruzzolare sui nemici botti piene di sassi. La prepotenza dei ceronesi divenne tale che, dopo invocazioni di aiuto delle popolazioni, nel 1563, il granduca di Toscana Cosimo de Medici e il Papa Pio IV inviarono nella valle del Senio 5000 uomini per distruggere uomini o cose che appartenessero o fossero legate ai Ceronesi. Il paese poi si riprese sotto la tutela della città d’Imola e dopo il 1860 Casola si presenta come interessante centro commerciale per la produzione di cereali, uve, castagne, legname e carbone.
Casola, foto panoramica
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Nel 1944 il territorio casolano fu teatro di scontri sanguinosi nell’ambito della seconda guerra mondiale. Il percorso a Casola Valsenio si struttura su tre tappe per conoscere la storia e l’attualità del paese: l’Abbazia Valsenio, il Cardello, ex foresteria dell’ abbazia e attuale Casa Museo di Alfredo Oriani, il Giardino delle Erbe Officinali. A circa 1 km prima del paese vi potete fermare presso l’Abbazia di Valsenio. Fu fondata dai monaci benedettini intorno all’anno Mille in prossimità del preesistente monasterium e dalle dimensioni dell’edificio, dalla presenza di una foresteria, si è dedotto che dovesse essere una comunità di almeno 15 persone con un abate. E’ considerata, comunque, il nucleo originario della vallata del Senio. La facciata in stile romanico è stata liberata dagli intonaci che l’avevano deturpata. All’interno, è stata ristrutturata nel 1949 per sanarla dai danni subiti durante la seconda guerra mondiale e in quell’occasione si è potuto risalire alla primitiva struttura: tre navate, un’abside semicircolare con una cornice di archetti, il tetto a capriate. Vi si conservano una pietà in terracotta in stile bizantino opera degli scultori faentini, Ballanti e Graziani. Attualmente non è visitabile.
Cardello esterno
gnati da una guida esperta, si possono individuare le più diverse specie vegetali che lo costituiscono. L’edificio attualmente si presenta in ottimo stato grazie agli interventi del 1926 seppure con qualche forzatura nella ripresa delle antiche linee architettoniche. Nel corso dei secoli passò attraverso diverse proprietà fino al 1855 anno in cui fu acquistato da Luigi Oriani, padre di Alfredo che dal 1872 visse al Cardello, qui scrisse tutte le opere e qui morì il 18 ottobre 1909. Nel1978, Luigia Pifferi Oriani, moglie dell’unico figlio dello scrittore Ugo, che visse nella casa anche come vedova di Ugo, con testamento pubblico lasciò l’edificio in eredità all’Ente “Casa di Oriani” unitamente ai terreni circostanti. Qui, fino alla morte, lo scrittore condusse una vita solitaria con qualche uscita talora a Faenza e a Bologna per incontrarsi con pochi amici, o per correre in bicicletta, o per frequentare in paese il locale dove si intratteneva con i conoscenti paesani.
Dopo circa 500 metri si raggiunge “Il Cardello”che oggi risulta inserito in un contesto ambientale caratterizzato da un parco lussureggiante. Il parco può essere considerato una tappa dentro la tappa, perché, se accompa-
Ora entrate per visitare questa che è considerata un esempio di dimora signorile in Romagna improntata ad una certa severità sia nell’architettura, ispirata allo stile neoromanico, sia negli arredi. La visita consente di passare in tutti gli ambienti tra i quali si deve ricordare la cucina, che ha pochi riscontri in Romagna, ospita un grande camino ed è completamente arredata e attrezzata, la loggia del primo piano, e integralmente rispettati, la piccola camera da letto di Oriani, col letto in cui morì il 18 ottobre 1909, e lo studio con i circa 600 libri della sua biblioteca privata.
Abbazia Valsenio
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Quando si sale nell’ampio sottotetto si vede la raccolta di attrezzi agricoli della tenuta del Cardello e alcuni cimeli fra cui la bicicletta di Alfredo Oriani. Egli infatti era appassionato biker e come scrittore volle raccontare i suoi viaggi sulla amata due ruote. La passeggiata nel parco costituito da quasi 30mila piante può diventare una tappa nella tappa: il primo esemplare che viene segnalato è il cipresso di mole imponente che sorge di fianco all’edificio, poi ci si inoltra tra lecci, pini domestici e marittimi, cipressi, querce e molte altre specie vegetali. Ora potete lasciare l’altura del Cardello, ritornate sulla statale in direzione Casola, ma dopo pochi metri a destra seguite la segnaletica per la provinciale n.70 per “Prugno, Fontanelice –Strada della Lavanda e Giardino Officinale .
Cardello interno
Dopo poche centinaia di metri si entra nel Giardino, che, se siete venuti nel mese più favorevole alla fioritura , ovvero aprile-maggio, attira la vostra attenzione con le varietà di colori delle fioriture sui gradoni terrazzati. Il Giardino fu creato da Augusto Rinaldi Ceroni che nel 1938, nominato preside della Scuola di Avviamento Professionale, diede vita al primo vivaio di piante officinali e impiantò diverse specie di lavanda. Ancora oggi sono 14 i tipi di lavanda presenti e la più bella è stata nominata “RC” dalle iniziali del professore. La manutenzione del giardino è affidata alla equipe della Cooperativa Montana Valle del Senio e la visita può essere prenotata, soprattutto dai gruppi, per ottenere la guida esperta di un responsabile. Il Giardino non è mai brullo, perche la presenza di 400 specie di piante consente un ciclo di fioritura anche in inverno con erica, noccioli, calicanto. Il rigoglio si può gustare in primavera inoltrata e con diverse fioriture fino a settembre. Un percorso molto richiesto dai visitatori all’interno del percorso completo è quello delle piante aromatiche per la gastronomia. Questa coltura ha fatto scuola sul territorio e si è diffusa non solo tra gli abitanti che hanno deciso di piantare qualche specie nei propri giardini, ma anche tra i ristoratori i quali hanno creato dei piccoli appezzamenti di erbe officinali che utilizzano secondo il ciclo stagionale per creare gustosi menù, anch’essi stagionali.
Oriani
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Si è costituito anche il Club “I casolari delle Erbe” tra gli agriturismo che hanno deciso di diversificare con menù a base di erbe la propria offerta gastronomica. Nel punto vendita del Giardino si trovano anche i prodotti cosmetici a base di piante officinali, raccolte e lavorate secondo il ciclo stagionale. In estate Casola è una piazza molto frequentata per l’allestimento di numerosi mercatini dove si può acquistare tutta la produzione e imparare anche l’utilizzo a domicilio dei prodotti grazie ad incontri con esperti del settore. Vi indichiamo ancora 2 attrattive di questa zona casolana che potrete conoscere in modo diretto, in occasioni da voi create: 1) la sagra dei frutti dimenticati che si svolge in ottobre e celebra la coltura riportata in auge dei piccoli frutti tipici di queste zone ai margini dei boschi e dei monti. 2) Il percorso “Corolla delle ginestre” che si sviluppa per circa 50 Km a piedi e circa 70 a cavallo o in mountain bike, attraversa tre comuni, Casola Valsenio, RioloTerme e Brisighella. E’ valorizzato dalla presenza di strutture ricettive che consentono anche la sosta per pernottamento.
Giardino delle erbe offiinali
Il ritorno vi vede sulla Ss 306 fino alla Ss9 in direzione Faenza e Forlì. Da Forlì riprendete la sp.2 per Cervia.
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Storico culturale
Viaggio tra Lugo, Bagnara, Sant’Agata, Massalombarda e Conselice Il percorso dedicato alla Romagna d’Este, nella vasta pianura a ovest di Ravenna, tocca nove Comuni che si sono riuniti in Unione dei Comuni della Bassa Romagna. Vi guidiamo alla conoscenza del territorio, con due itinerari, che hanno entrambi il punto di partenza da Cervia. Il primo conduce ai Comuni di Lugo, Bagnara di Romagna, Massalombarda, Conselice. Prima tappa Lugo. Il secondo comprende i Comuni di Russi, Cotignola, Bagnacavallo, Fusignano, Alfonsine. Prima tappa Russi. In ogni Comune vi suggeriamo tappe che evidenziano la cultura artistica, architettonica e urbanistica. Sono segnalate anche tappe intermedie nel passaggio da un Comune all’altro, per non perdere testimonianze significative in località minori. E’ un breve viaggio nella Romagna d’Este per scoprire che la vasta pianura ad ovest di Ravenna, punteggiata di centri rurali e famosa per i suoi prodotti agricoli di qualità, è anche la culla di una cultura artistica, architettonica e urbanistica di cui restano segni inequivocabili.
Lugo, Piazza Martiri della Libertà
le località della Bassa Romagna). Lugo, sorta nel settore nord-occidentale della pianura alluvionale ravennate, conserva un centro storico capace di suscitare grande interesse nel visitatore, per l’architettura civile e religiosa che si è sviluppata nei diversi secoli. La fisionomia della città è soprattutto legata all’architettura urbana del secolo XVIII, periodo segnato da vivacità culturale ed espansione economica. Il punto focale del centro storico è piazza dei Martiri della Libertà che si pone come sintesi di un certo sincretismo nell’ architettura urbana in quanto vi si affaccia una serie di piazze quali piazza Baracca, piazzale Cavour, piazza Trisi sulle quali sorgono gli edifici e i monumenti più significativi.
DA LUGO Da Cervia fino a Ravenna si percorre la Statale 16 detta “Adriatica”, quindi si sceglie la Statale 253 “San Vitale” fino alla prima tappa, che è Lugo ( in alternativa il raccordo autostradale che collega l’A14 con Ravenna e con
Vi dirigete verso Piazza Martiri della Libertà per raggiungere la Rocca che oggi ospita la sede dell’Amministrazione Comunale, ma che ci ricorda il passato di Lugo come fortezza militare della Bassa Romagna. Già dal X secolo si ha notizia di un nucleo fortificato, all’incrocio di due aree della centuriazione romana (cardo e decumano). Dopo la distruzione ad opera dei Faentini nel 1218 vi si realizzarono diverse opere di ricostruzione nei secoli XIII-XIV e per iniziativa del condottiero ghibellino Uguccione della Faggiola, negli anni tra il 1298 e il 1300, fu eretto il mastio di nord-ovest, che poi subì sistemazioni nel ‘400. Il periodo più significativo corrisponde comunque alla dominazione estense che intervenne almeno due volte sulla struttura. Nella seconda metà del
Lugo, Piazza Martiri della Libertà
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Storico culturale
Quattrocento, per iniziativa di Ercole I, la piazza d’arme antistante la Rocca fu trasformata in cittadella, provvista di una cinta muraria dotata di torri rotonde e completamente racchiusa da un fossato. Di questa fase rimangono oggi leggibili l’impianto quadrangolare articolato sul cortile interno, alcuni tratti della cortina muraria e la cosiddetta Torre di Uguccione . Nel 1568-1570 il duca Alfonso II fece abbattere la cittadella, divenuta superflua ai fini difensivi: parte del materiale di risulta venne probabilmente impiegato per costruire bastioni e per rafforzare le basi delle torri. L’area liberata fu in seguito destinata alla Fiera verso la metà del ‘600. Dopo questi interventi la Rocca di Lugo risultò un esempio di costruzione fra il tipo quattrocentesco della rocca a pianta quadrangolare e il tipo tardo-cinquecentesco della fortezza bastionata. Con il passaggio di Lugo alla Chiesa, la Rocca subì alcuni ampliamenti con l’inserimento di un palazzo, poi parzialmente bruciato nel 1775, che divenne sede dei governatori pontifici. Il Giardino pensile fu creato alla fine del XVIII secolo, dopo il passaggio di Lugo alla Chiesa, allorché si realizzarono alcuni ampliamenti e una progressiva cancellazione delle caratteristiche castellane. Il Giardino Pensile della Rocca di Lugo è un elemento di originalità non solo in ambito lughese ma anche nel più ampio territorio di romagna. Realizzato tra la fine del ‘700 e l’inizio dell‘800 ospita circa quindici specie arboree ed una ventina di specie arbustive, con diversi esemplari per ogni singola specie; la flora erbacea, è in parte ornamentale, in parte spontanea. Molte sono anche le specie di uccelli, come il merlo, il pettirosso, la tortora dal collare, il fringuello e
Lugo, Pavaglione
il comune passero che lo frequentano. Una curiosità legata alla Rocca riguarda la presenza tra le fessure delle pareti di spontanee piante di capperi,che fioriscono a fine maggio e per tutta l’estate con intenso profumo. Le gemme dei fiori vengono raccolte e messe sotto aceto da esperti artigiani, secondo l’antica ricetta di Pellegrino Artusi. Dopo la raccolta annuale dell’Amministrazione è comunque riconosciuto ai cittadini il “diritto di capperaggio”, cioè la possibilità di raccogliere direttamente i capperi fino ad altezza uomo. Prima di lasciare la Rocca vi informiamo che nella zona della Residenza Municipale, qui ospitata, e nel cosìdetto Salotto Rossini, sono conservati tre ritratti a olio della famiglia, ovvero del musicista Gioachino Rossini e dei suoi genitori, Giuseppe Antonio Rossini e Anna Guidarini. Sul legame di Gioachino Rossini con Lugo leggerete più avanti nella tappa consigliata alla casa Museo. I dipinti giunsero al Municipio rispettivamente, quello del maestro, per sua diretta donazione alla città, attraverso la cantante Maria Alboni, quello dei genitori dalla seconda moglie di Rossini Olympe Pelisser. Nel Salotto sono conservati anche alcuni documenti e in particolare una lettera autografa del 1884 in cui Rossini ringrazia per la nomina a consigliere comunale. Siete ora diretti al Pavaglione che è diventato quasi il sinonimo di Lugo. E’ un luogo fortemente caratterizzante il centro cittadino, uno spazio che offre l’occasione di conoscere le migliori offerte commerciali e che si anima il mercoledì per il famoso mercato e nelle serate estive
Lugo, Salotto Rossini
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per rappresentazioni artistiche, musicali e di balletto. E’ un raro esempio di architettura civile settecentesca che anticipa concezioni urbanistiche moderne. Fu costruito a partire dal 1771 da Giuseppe Campana e ultimato nel 1784. Di certo fu progettato e realizzato sotto l’influenza del ceto mercantile. Si presenta come un imponente quadriportico nel quale sono ospitate varie realtà commerciali. Nello spazio centrale, molto ampio, si tenevano i mercati, in particolare dei bozzoli di seta. Il mercato settimanale godeva di esenzione da dazi fino dalla metà del XVI secolo. I generi più venduti erano il grano, i bovini e la seta. Questo commercio fece di Lugo un centro finanziario importante, una realtà alimentata anche dalla presenza di una forte comunità ebraica. Nelle campagne, nel contempo, si era consolidato un ceto di piccoli proprietari.
Lugo,Palazzo Trisi
richiamo per gli appassionati. I titoli lirici sono spesso inediti o di rara esecuzione, scelti fra autori e musicisti collegati fortemente all’opera rossiniana.
Fuori dal Pavaglione, uscendo verso Piazza Baracca, a circa 200 metri, si incontra il Teatro intitolato a Gioacchino Rossini nel 1859. Lo si può visitare se ci si organizza in gruppi e su prenotazione. L ‘edificio risale alla seconda metà del XVIII secolo, edificato tra il 1757 e il 1761, su progetto dell’architetto Francesco Petrocchi, al quale si affiancò Antonio Galli Bibiena per le rifiniture e la disposizione dei locali interni. Nel 1986 è stato restaurato. È considerato il prototipo del “teatro all’italiana”. La facciata, ripartita da lesene e marcapiani, si presenta in austero stile settecentesco. L’interno, modificato nel 1821 ed ora in stile neoclassico, è ripartito in quattro ordini di palchi, sovrastati dal loggione. Al teatro Rossini si organizzano stagioni di prosa e di lirica di grande
Nei pressi del Teatro Rossini ci si sofferma di fronte a Palazzo Trisi, costruito su progetto di Cosimo Morelli a fine settecento, che attualmente ospita la Biblioteca Civica, punto di riferimento per gli amanti della lettura e per gli studiosi che possono attingere agli antichi testi ivi conservati: circa 200 mila volumi di pregio documentario. Restiamo in prossimità delle piazze del centro su cui si affacciano alcune chiese che i lughesi amano proporre ai visitatori. La Chiesa del Carmine fu costruita, opera dell’architetto Francesco Petrocchi, nel 1772 in stile barocco su una precedente chiesa anteriore al 1264 di cui si ha notizia attraverso una data inscritta in una campana custodita nella cella campanaria. I punti di attenzione dall’esterno sono il portale e il rosone. L’interno è ampio e spazioso grazie all’unica navata centrale coperta da volta a botte rinforzata da grandi archi. Ai lati si aprono altari. Nella Chiesa è custodito un organo a canne installato nel 1797 dal famoso organaro veneziano Gaetano Callido su cui si esercitò il grande Rossini durante il periodo dell’infanzia trascorso a Lugo. Di recente vi si sono esibiti solisti europei tra i quali si ricorda Gustav Leonhardt. Interessante anche il coro ligneo opera del lughese G. Battista Spada nel 1760 circa.
Lugo, chiesa del Carmine
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Non troppo distante raggiungete la Chiesa del Suffragio, e siamo ancora nei pressi di Piazza Baracca: è una costruzione del 1620 che ampliò un antico oratorio dedicato a San Giuseppe e fu valorizzata dalla facciata che risulta di una certa eleganza. L’interno è decorato con stucchi barocchi e disegni in chiaro e scuro eseguiti dal lughese Cesare Ruina durante i restauri del 1874 -76. Ignazio Stern (1680 – 1748) ha creato gli ovali raffiguranti gli Evangelisti e le tele che narrano la morte di S. Anna e di S. Giuseppe. Benedetto dal Buono (1711 – 1775) eseguì la “Madonna della neve”. Da notare anche due statue, una della bottega Graziani di Faenza del 1874, e una del 1614 di scultore modenese. Ancora vicino a Piazza Trisi si incontra l’Oratorio di S.Onofrio, che conserva un ciclo di dipinti e affreschi di Ignazio Stern (già visto nella Chiesa del Suffragio). L’abside custodisce una raccolta di opere d’arte.
Lugo,Museo Baracca
cui Baracca appartenne in Cavalleria e Aeronautica: il cavallino rampante col motto “Ad Maiora” e l’Ippogrifo. A questo principe dell’aviazione, noto come “gentiluomo dell’aria” e divenuto quasi mitico, è dedicato anche un museo molto visitato dagli appassionati di imprese simili alla sua.
Restiamo in centro storico per una sosta presso il monumento a Francesco Baracca, l’asso dell’aviazione italiana, nato a Lugo nel 1888 e caduto sulle alture del Montello, in provincia di Treviso, il 19 giugno del 1918. Il monumento è opera dello scultore faentino Domenico Rambelli, che lo eseguì nel 1936. Il monumento, inaugurato il 21 giugno del 1936 alla presenza del Duca d’Aosta e dei gerarchi del regime, occupa un’area di 1040 mq. ed è interamente rivestito di travertino. La statua in bronzo, alta m. 5,70, poggia su un basamento che riporta le date e le località delle vittorie dell’aviatore, sui fianchi dell’ala sono scolpiti i simboli dei reparti
Proseguendo su Via Baracca si raggiunge il Museo “Francesco Baracca” che espone lo SPAD VII, aereo del 1917 sul quale l’aviatore conseguì una delle sue 34 vittorie. Da notare, su un fianco della fusoliera, l’emblema del Maggiore Baracca, il famoso cavallino rampante adottato da Enzo Ferrari come stemma delle vetture di Maranello. Il museo è allestito nella casa natale dell’eroe, situata nella omonima via; il palazzo riedificato in stile liberty dalla famiglia fu oggetto di un lascito del padre di Francesco al Comune, affinché fosse destinato a conservare i cimeli e gli oggetti appartenuti al figlio. Nel cortile del museo è stato collocato un G91Y, aereo da combattimento dell’aviazione italiana. Da Piazza Baracca, percorrendo Corso Mazzini, si volta in Via Giacomo Rocca per fare tappa alla Casa di Gioacchino Rossini. La visita richiede la prenotazione. La Casa Museo Rossini è stata restaurata per iniziativa del Lions Club di Lugo, e sulla facciata si può leggere l’epigrafe in lingua latina inscritta sulla lapide. Gioacchino Rossini, nato a Pesaro nel 1792 visse per qualche tempo a Lugo, dove la famiglia si era trasferita nel 1802. La casa, in via
Lugo,monumento a Baracca
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Una sosta di relax a Lugo è consigliata al Parco del Loto, area di verde attrezzato ubicata in ambito urbano, appena ai margini del centro storico, in direzione Nord nell’Oasi detta delle Buche Gallamini. C’è una zona adibita a parco attrezzato. Si ammira la colonia di fior di loto e ninfee e l’avifauna è molto ricca e varia: cardellini, usignoli di fiume, germani reali, folaghe, aironi,martin pescatori. Tutte specie delle zone umide.
Giacomo Rocca 14, di proprietà del padre di Gioacchino Rossini ospita anche mostre di arti figurative. Il giovane musicista frequentò a Lugo una scuola allora famosa in tutta la regione diretta dai fratelli Malerbi, Giuseppe (1771-1849) e Luigi (1776 e1843). Qui fu istruito “sui primi principi di suono e di canto”. Nel Fondo Malerbi, oggi custodito presso la Biblioteca Trisi, sono conservate alcune composizioni del giovane Rossini a testimonianza del suo apprendistato presso la scuola e utili per ricostruire la sua formazione musicale.
Il percorso prosegue verso Bagnara di Romagna che si raggiunge in pochi chilometri, sulla strada per Villa San Martino.
Si può vedere Villa Malerbi che sorge in via Emaldi 51, a circa 600 metri di distanza da piazza Baracca e che oggi è sede della Scuola Comunale di Musica. Lo stile della facciata è intonato al neoclassico con loggia centrale a tre campate e frontone triangolare al secondo piano.
Il punto di richiamo è in Piazza IV Novembre n.3, la Rocca Sforzesca, maestosa costruzione, situata all’interno delle antiche mura e voluta nel 1354 da Barnabò Visconti. L’attuale aspetto, però, è dovuto a ricostruzioni della fine del secolo XV ad opera della famiglie Riario e Sforza ed è considerata un esempio della tipologia “di transizione” che vede la convivenza di elementi medievali e rinascimentali. Sotto il dominio di Caterina Sforza furono apportate modifiche importanti come il loggiato lungo la cortina muraria e il Mastio. Nella Rocca è allestito il Museo del Castello che racconta la storia del paese fin dalle più antiche origini dell’età del bronzo grazie ai ritrovamenti archeologici. Il progetto elaborato dall’Amministrazione comunale ha reso disponibile un percorso museale articolato in più sezioni: - la sezione geografica dedicata al fenomeno dell’incastellamento, con una particolare attenzione per i reperti archeologici rinvenuti a Bagnara; - la sezione storica che illustra le varie fasi di riferimento per i ritrovamenti e soprattutto le epoche del medioevo e del nascimento: questa parte del Museo è collocata nelle zone più suggestive della Rocca e soprattutto il mastio centrale; - la pinacoteca , al piano terra, con alcuni preziosi quadri del Seicento e del Settecento, è una piccola galleria moderna del museo.
Lugo,Casa Rossini
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Restiamo in Piazza IV Novembre per due motivi: la Chiesa Arcipretale di San Giovanni Battista e Sant’Andrea Apostolo e il Museo Mascagni che è ospitato nella canonica della stessa Chiesa. La Chiesa è costruzione a una navata con volta che si sviluppò in tre fasi. La prima fase tra il XIII e XIV secolo è testimoniata da resti di antiche murature esistenti nella parte bassa della fiancata. In seguito, nel 1653, la
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chiesa fu ampliata con la costruzione delle otto cappelle laterali. La terza fase nel secolo XVIII (1752-1774) seguita dall’ l’architetto Cosimo Morelli che risistemò le cappelle laterali e ricostruì l’abside e il presbiterio, li decorò con stucchi parietali, e inserì l’altare di scagliola simil marmo, opera dei fratelli Dalla Quercia di Imola. Fu anche demolito un portico antistante la chiesa, ove erano sistemati i sepolcri dei bagnaresi, che vennero collocati poi nel nuovo cimitero. L’attuale aspetto è risalente ai lavori successivi al secondo conflitto mondiale. Tra le opere presenti: la statua della Madonna del Voto, terracotta policroma del XV secolo, rinvenuta nell’argine del fiume Santerno, per la quale con delibera consiliare del 1631 fu istituita la festa annuale del Pubblico Voto per lo scampato pericolo dalla peste; il fonte battesimale in pietra serena del XV secolo; il portale di tabernacolo in arenaria con figure e ornamenti floreali in bassorilievo (sec. XV); la cantoria e l’organo di Giovanni Chianei del 1786, gravemente danneggiati dalla guerra, restaurati e ricollocati nel 1994; vari dipinti dei secoli XVII, XVIII, XIX; il coro ligneo in noce, composto di 15 stalli.
Bagnara, chiesa Arcipretale
avanti: apparati liturgici in broccato e damasco, testi sacri rari, manoscritti e stampe, oggetti di oreficeria, oggetti della liturgia, dipinti, maioliche faentine ed imolesi dei secc. XVII e XVIII; si segnalano, tuttavia, una pala cinquecentesca Madonna e Santi di Innocenzo da Imola e un Crocifisso in legno di pregio della scuola del Donatello, del sec. XV; una raccolta di oltre mille monete e medaglie (secc. XVII.XIX) e il nucleo storico dell’Archivio Parrocchiale.
Potete restare nell’edificio annesso alla chiesa, perchè esso ospita sorprendentemente ancora due raccolte museali: il Museo Storico Parrocchiale e il Museo Mascagni. Il Museo Parrocchiale, sito nei locali della canonica, è intitolato al suo fondatore Mons. Alberto Mongardi, arciprete di Bagnara dal 1932 al 1978. Custodisce prevalentemente oggetti di carattere religioso, appartenenti soprattutto alle chiese del territorio dal sec XVI in
Il Museo Mascagni è sorto nel 1975 in seguito alla donazione fatta alla Parrocchia dalla signora Anna Lolli, di origine bagnarese, che fu l’amata musa ispiratrice del Maestro. Vi è custodito il più importante epistolario del Maestro, consistente in circa 4.600 lettere (dal 1910 al 1944), ordinate in 126 raccoglitori. Vi sono inoltre conservati diversi oggetti personali del compositore, numerosissime fotografie con dedica, un suo pianoforte, il calco funebre del suo volto, spartiti musicali, pubblicazioni relative al Musicista, ritagli di giornali dell’epoca. A due chilometri dal centro, in direzione Lugo - Ravenna, nei pressi del cimitero, si può dedicare una tappa al Santuario della Madonna del Soccorso, costruito, su progetto dell’architetto Cosimo Morelli, negli anni 1766/1770 dove si custodisce l’immagine in ceramica della Madonna del Soccorso, che era stata in precedenza appesa ad una quercia, nei pressi di una pozza da cui sgorgava acqua miracolosa. Ha la struttura di un perfetto quadrilatero sagomato, all’interno, da quattro pilastri portanti la cupola snella con curvatura regolare.
Bagnara, rocca sforzesca
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Nella parte alta dei pilastri le quattro nicchie incorniciate da stucchi contengono statue di Santi in legno. La decorazione è di ispirazione greca. L’altare e l’ancona sono in scagliola cotta a marmo, opera dei fratelli Dalla Quercia di Imola. Importanti lavori vi sono stati eseguiti nell’anno 1999. Sul lato a sud sono stati realizzati un’area verde, un giardino di ispirazione classica ed un getto d’acqua a ricordo della settecentesca pozza perenne. Si rimane su questa strada per raggiungere prima Sant’Agata sul Santerno poi Massa Lombarda. Siamo nella parte più occidentale della pianura ravennate. Sant’Agata sul Santerno fu nota già nell’VIII secolo come pieve rurale di Sancta Agatha. Dopo il Mille per la posizione strategica vicino al fiume, fu dotata di un castello oggetto di contese tra le signorie di Romagna, Ferrara e lo Stato Pontificio. Oggi è soprattutto dedita alla lavorazione dei prodotti orto frutticoli prodotti in zona e alle attività connesse all’allevamento di bestiame per carni di qualità. Quando si raggiunge il centro storico in piazza Garibaldi sono interessanti, per il legame con la struttura antica dell’insediamento, la Torre dell’Orologio chiamata la “Porta” perché dava accesso al borgo e dovrebbe essere uno dei due torrioni che facevano parte del castello e l’attuale Palazzo del Comune che, pure, sarebbe stato una parte del castello, come si deduce dai catasti antichi e dalla inclinazione “a scarpata” dei muri nella base.
Sant’Agata, Torre dell’orologio
razione della frutta che è testimoniata nel Museo della Frutticoltura Adolfo Bonvicini. Lo raggiungete in Via Amendola n.40, dove è ospitato in una casa colonica ristrutturata. Per la visita guidata vi consigliamo di fissare un appuntamento con prenotazione presso l’ufficio Cultura del Comune. Il Museo della Frutticoltura inaugurato nel 1983 fu allestito in una casa colonica ristrutturata. Il percorso interno ben segnalato, racconta la storia dello sviluppo e le conquiste della frutticoltura in questa terra che, bonificata fin dal tardo Medioevo con il metodo della “colmata”, diventò assai fertile e adatta alla produzione di frutta. Famosa la produzione di pesche di Massalombarda. Al primo piano sono raccolti molti oggetti tradizionali della casa e del lavoro rurale dal periodo compreso tra le due guerre mondiali fino ai giorni nostri. Il percorso è commentato da didascalie. Al piano superiore si trova la sezione di maggior interesse del museo, quella dedicata alla frutticoltura con la presenza di notevole materiale iconografico e scritto. Si
Attraverso l’arco della Torre si entra anche nel piazzale antistante la Chiesa Arcipretale di Sant’Agata in stile ottocentesco che ha ripreso la preesistente chiesa di epoca rinascimentale, forse progettata dal Bramantino. Il viaggio prosegue verso Massalombarda. Le origini sembrano risalire al secolo VIII d.C, ma la data da segnare è il 1251 allorchè il paese offrì ospitalità alle popolazioni lombarde in fuga e questo episodio indusse ad attribuirle il nome di Massa dei Lombardi. Il secondo momento decisivo della storia del paese è tra la fine dell’800 e inizi del ‘900 quando fu sede dei primi esperimenti sugli impianti degli alberi da frutto. Da allora Massa Lombarda si distinse per la produzione e lavo93
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ripercorre la storia della frutticoltura di Massa Lombarda sin dai primi impianti di pesco risalenti al 1905 con le iniziative dell’agronomo Bellucci e del proprietario locale Adolfo Bonvicini. Il percorso commentato conduce il visitatore a porsi una domanda aperta sul futuro del rapporto tra agricoltura e uomo, tra l’apporto di fertilizzazione e il mantenimento degli equilibri naturali ed ecologici del territorio. Si visita il centro del paese in piazza Matteotti chiusa dalla corona di palazzi storici e dominata dalla antica Torre dell’Orologio. La Torre domina la piazza ed è il simbolo architettonico della città, in quanto visibile da molti chilometri di distanza fuori dal centro abitato. Nel 1757 l’architetto Morelli ebbe incarico di ricostruirla essendo stata distrutta la precedente torre nel 1655 da un incendio. La torre si alza fino alla prima cornice con un volume geometrico lineare e scandito da semplici riquadrature, nell’ultima delle quali è collocato l’orologio; i piani successivi ad angoli smussi e marcati da un cornicione, sono dotati di arcate balaustrate e in alto svetta la piccola cupola. L’architetto Morelli progettò anche il Palazzo Zaccaria Facchini adiacente. A pochi metri dalla piazza in via Vittorio Veneto, che è il corso principale, la chiesa Arcipretale detta Della Conversione di San Paolo, in stile romanico a tre navate è la chiesa più importante della città, fu costruita dall’anno 1537 e consacrata nel 1577 sulle rovine di una più antica, orientata in altro senso. Essa conserva
Massalombarda, Torre dell’orologio
un coro ligneo settecentesco di pregio. Si crede sia stata eretta su disegno di Bartolomeo Bramantino, architetto milanese. La Chiesa - ristrutturata nel 1932 dall’Arch. GianLuigi Poggili - è fiancheggiata dalla torre campanaria a pianta quadrata alta m 38. Il campanile ospitava quattro campane, tre di esse furono requisite durante il periodo bellico e rifuse poi negli anni 1945/55. Durante i lavori di ristrutturazione iniziati nell’agosto del 1835, vennero alla luce, sotto l’altare maggior, i resti di una sepoltura con elementi legati al processo di imbalsamazione, fini tessuti, una cinta militare, che indussero a riconoscere la sepoltura del Marchese Francesco d’Este, che aveva espresso in vita la volontà di essere sepolto nella chiesa di S.Paolo. La vita culturale del paese è ravvivata dalla presenza del Museo Civico e della Biblioteca che portano entrambi il
Museo Bonvivini interno
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nome di Carlo Venturini, personaggio di spicco di epoca ottocentesca, che motivò con la donazione delle sue collezioni e del suo fondo librario (8000 esemplari) l’origine delle due strutture. Anche la Chiesa di Santa Maria del Carmine, nella centrale Via Rustici, non più adibita a funzioni religiose, ospita manifestazioni culturali. Si lascia Massa Lombarda per Conselice. A Conselice troviamo la memoria delle antiche origini dell’insediamento, sorto nel luogo, detto Caput Silicis, dove la Via Selice (oggi è la Statale 610) conduceva fino alla palude. Fu feudo nel 1372 di Giovanni Acuto, in seguito conquistata dai Manfredi, Signori di Faenza, e, successivamente, dagli Este di Ferrara che la tennero fino al 1598. In epoca recente è stata sede di fiorenti industrie legate alla produzione agricola e alla trasformazione dei prodotti. E’ rinomata la tradizione gastronomica legata ai prodotti tipici della valle, tra cui le rane alle quali è dedicata una sagra (la terza (3a) settimana di settembre) e, addirittura, un monumento opera di Gian Piero Baldazzi.
Conselice, Piazzetta Guareschi
razione il grande scrittore Giovanni Guareschi e i suoi personaggi più famosi ovvero Peppone e don Camillo disegnati su strutture in legno dipinte e sagomate e colti come in un viaggio a Conselice in compagnia anche con alcuni abitanti del luogo ripresi da foto d’epoca e facilmente riconoscibili dai concittadini. L’opera intitolata “Dove l’acqua non è di rose” racconta il paesaggio della bonifica e richiama l’origine del luogo.
Nel centro del paese il Palazzo Comunale è in stile Neoclassico strutturato su due piani che poggiano su un porticato a cinque arcate. Nella piazza la chiesa Arcipretale di San Martino fu costruita nel 1830 sulle rovine di una chiesa romanica del secolo XI.
A pochi chilometri dal centro di Conselice, in località Chiesanuova, trovate un edificio che mantiene viva la memoria di attività predominanti sul territorio nel secolo passato.La “Manifattura del Tabacco e riso” in via Coronella, in località Chiesanuova, come appare nelle carte del Catasto del Regno d’Italia, fu costruita prima del 1877. L’uso originario prevedeva oltre alla manifattura del tabacco anche lo stoccaggio del riso. Il Magazzino è oggi di proprietà della Cooperativa Agricola Braccianti “CABMASCO”e ospita un piccolo museo di reperti dell’ultima guerra mondiale.
Dal centro, vi suggeriamo di recarvi in via Buscaroli, e adiacente piazzetta Guareschi, dove è stata inaugurata nel 2004 un’opera murales di appeal turistico dello scenografo Gino Pellegrini che pone al centro della nar-
In località San Patrizio, in direzione Imola, sulla vecchia Via Selice, si può visitare, con prenotazione, il Mulino di San Patrizio, la cui origine si fa risalire al secolo XV. Esso viene, infatti, citato in una lettera, inviata dalla duchessa d’Este ai conselicesi il 2 marzo 1485, dove si faceva riferimento all’usufrutto temporaneo del canale sopra il quale sorge il mulino. Oggi esso conserva ancora il corpo di fabbrica originale. Conselice, Palazzo Comunale
Restando in località San Patrizio trovate la motivazio95
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ne del toponimo nell’insediamento della prima comunità di pellegrini irlandesi che si stabilì in questa zona e portò con sé il culto del Santo venerato in patria. L’edicola votiva eretta all’epoca fu poi ampliata e sorse la pieve, la prima pieve del territorio. L’aspetto attuale della Chiesa di San Patrizio risale al ‘700. Fu decorata dal ferrarese Augusto Paglierini. Quando si esce da Conselice e si sceglie la strada per tornare a Cervia si può prevedere una sosta in località Santa Maria in Fabriago, dove ci interessa la Chiesa di Santa Maria in Fabriago del XVI secolo con navata centrale e abside poligonale, che offre il bel campanile del IX secolo, di forma cilindrica alleggerito da monofore, bifore e trifore romaniche in successione crescente dal basso verso l’alto nello stile bizantino che richiama quello delle chiese di Ravenna.
Conselice, Mulino di San Pancrazio
Dopo questa sosta la direzione è quella verso Lugo per innestarsi con la Statale 253, San Vitale, in direzione Ravenna. Infine percorrendo la Statale 16, Adriatica, si raggiunge Cervia.
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Viaggio tra Russi, Cotignola, Bagnacavallo, Fusignano e Alfonsine Il percorso dedicato alla Romagna d’Este, nella vasta pianura a ovest di Ravenna, tocca nove Comuni che si sono riuniti in Unione dei Comuni della Bassa Romagna. Vi guidiamo alla conoscenza del territorio, con due itinerari, che hanno entrambi il punto di partenza da Cervia. Il primo conduce ai Comuni di Lugo, Bagnara di Romagna, Massalombarda, Conselice. Prima tappa Lugo. Il secondo comprende i Comuni di Russi, Cotignola, Bagnacavallo, Fusignano, Alfonsine. Prima tappa Russi. Godo, Museo dell’arredo Contemporaneo
In ogni Comune vi suggeriamo tappe che evidenziano la cultura artistica, architettonica e urbanistica. Sono segnalate anche tappe intermedie nel passaggio da un Comune all’altro, per non perdere testimonianze significative in località minori. E’ un breve viaggio nella Romagna d’Este per scoprire che la vasta pianura ad ovest di Ravenna, punteggiata di centri rurali e famosa per i suoi prodotti agricoli di qualità, è anche la culla di una cultura artistica, architettonica e urbanistica di cui restano segni inequivocabili.
logna. La prima segnalazione che vi facciamo è per la frazione di Godo, sede pievana del X secolo, per due tappe assai diverse, una legata al passato remoto, la seconda che sviluppa una forte intuizione contemporanea. Sono la Pieve di Santo Stefano in Tegurio, del VII secolo, ed il Museo dell’Arredo Contemporaneo ideato dal grande architetto Ettore Sottsass (che apre su prenotazione http://www.museoarredocontemporaneo.com.) Vi dirigete in via Croce n.38, nell’area extra urbana di Godo. Il nome della pieve Santo Stefano in Tegurio attesta il sito, in prossimità dell’antico corso del fiume Tegurio o Montone. Il primo documento sulla sua esistenza risale al 963. La struttura originale ad impianto basilicale, con tre navate, delimitata da pilastri rostrati e colonne di pietra sormontate da antichi capitelli, ha subito modifiche a partire dal secolo XVIII e restauri dopo le lesioni conseguenti al 2° conflitto mondiale. Di pregio architettonico la fiancata principale ornata da lesene che racchiudono sei finestrelle. All’interno un frammento marmoreo di capitello bizantino riutilizzato come basamento di una croce posta nel presbiterio. La Chiesa è aperta con orario continuato dalle ore 7 alle ore 19, durante tutto l’anno.
Da Russi Si lascia Cervia percorrendo la S. S. 16 fino a Ravenna e dal capoluogo di provincia si sceglie la S. S. 253, strada San Vitale, che la collega al capoluogo di regione, Bo-
Vi spostate in via San Vitale n.253 per visitare il Museo dell’Arredo Contemporaneo, opera del genio creativo del grande architetto Ettore Sottsass, che rende assai motivata una deviazione in aperta campagna. Si presenta come una galleria d’arte dei pezzi di arredo di famosi designer (Gae Aulenti, F.L.Wright, Le Corbusier),
Godo, Pieve Santo Stefano in Tegurio
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selezionati secondo un riferimento cronologico e con massima attenzione alle forme, al materiale, alla tecnica costruttiva. Di recente è stata completata la galleria, collegata all’edificio esistente con un passaggio coperto. L’area coperta è di 400 mq., il cortile di 250 mq. Il Museo ospita spesso mostre temporanee ed è perno per l’organizzazione di serate musicali con rappresentazioni teatrali e letture poetiche. Il Museo dell’Arredo Contemporaneo raccoglie una collezione di design e arredamento d’interni tra le più importanti in Europa. Nella seconda metà degli anni Ottanta una commissione d’esperti, tra cui Giovanni Klaus Koenig, Giuseppe Chigiotti e Filippo Alison, ha selezionato 150 pezzi d’arredo che hanno costituito una prima esposizione permanente sulla storia del design e dell’arredo dal 1880 al 1980. Successivamente tale esposizione, grazie alla buona scenografia e all’impianto esplicativo e didattico (a cura di Piero Castiglioni), si è trasformata in un museo che, diviso per sezioni, raffigura alcuni periodi storici, movimenti e grandi personaggi. Sono attivi il bookshop e designshop e il servizio di caffetteria. Si possono prenotare visite guidate.
1688. A Russi vi dirigete verso il centro del paese, in piazza Farini intitolata all’insigne concittadino che fu per breve periodo presidente del Consiglio dei Ministri tra il 1862-’63; grazie al Farini, Russi ricevette il titolo di città nel 1778. Gli edifici che si affacciano sulla piazza sono del periodo settecentesco, perché in gran parte ricostruiti dopo il terremoto del 1688. Così è la Chiesa di Sant’Apollinare nella cui sacrestia sono custoditi affreschi attribuiti alla scuola del forlivese Marco Palmezzano risalenti al XIII secolo. Si affaccia sulla piazza anche il Municipio, al cui fianco resta il mastio della Rocca segno della origine di Russi quale castrum fortezza voluta dai Signori Da Polenta. La Rocca era a pianta quadra con quattro torrioni di cui tre angolari quadrati e uno, quello a nord, di forma circolare. Un quinto mastio era posto al centro del lato nord e di questo resta la parte inferiore che oggi è inglobata nella costruzione dell’ex ospedale Mambelli. La Rocca fu costruita nel 1371 da Guido da Polenta, signore di Ravenna, e poi completata e rinforzata da Astorgio II Manfredi signore di Faenza. L’edificio era inglobato nelle mura di cinta e contribuiva in maniera importante alla difesa della città, pur avendo la possibilità di essere difesa indipendentemente.
Si prosegue verso Russi, a circa 5 km, che, forte nella sua identità di centro agricolo e industriale, si è distinta nel contesto della pianura ravennate anche per i ritrovamenti archeologici avvenuti nel 1938 annoverati tra quelli più attendibili e meglio conservati del nord Italia. Oggi il carattere del centro storico è soprattutto in stile settecentesco, in questa epoca infatti la città fu oggetto di ampi rifacimenti dopo la distruzione del terremoto del
Potete visitare il Museo civico che fa parte del Sistema Museale della Provincia di Ravenna ha la sua collocazione nella Rocca e comprende la Pinacoteca, le Sale della città di Russi, l’Antiquarium della Villa Romana e il Fondo Archivistico Alfredo Baccarini. La Pinacoteca : conserva sia la raccolta di opere d’arte
Russi, Piazza Farini
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a tema religioso di proprietà dell’Azienda Unità Sanitaria Locale di Ravenna, sia l’eterogenea collezione civica di opere d’arte; sono prevalentemente dipinti provenienti dal territorio provinciale e coprono un arco temporale che va dalla fine del Duecento al nostro secolo. Le Sale della città di Russi sono sede di esposizione di emergenze storico artistiche del periodo tra il 700 e il 900. Raccolta Archeologica di reperti della villa romana. Raccoglie reperti provenienti dalle diverse campagne di scavo effettuate nell’area archeologica della villa romana di Russi. Si tratta di reperti per lo più databili al I-II sec. d.C., età romano-imperiale, costituiti da pregevoli oggetti d’uso, monete, ceramiche, contenitori per l’acqua, terracotte, laterizi, mosaici e intonaci parietali, tali da offrire un quadro generale dell’antica residenza romana il cui massimo utilizzo è direttamente collegato alla presenza della flotta imperiale nel porto di Classe di Ravenna. La Collezione “Alfredo Baccarini” Alfredo Baccarini (1826-1890) ingegnere e autore di trattati tecnici, deputato del Regno e poi ministro del Lavori Pubblici, si occupò in particolare del governo del territorio e la costruzione di infrastrutture pubbliche per creare una moderna rete tra vie di comunicazione e aree produttive. La raccolta, donata al Comune dalla figlia Maria nel 1937, comprende una parte significativa delle “carte Baccarini”: lettere autografe, progetti, diplomi di
Ruddi, Chiesa Santa Maria dei Servi
onorificenza, medaglie, la divisa da Ministro, alcune lettere autografe di Giuseppe Garibaldi al ministro. Non troppo distante da Piazza Farini, in via Trieste, potete fare breve sosta presso la settecentesca Chiesa di S.Maria dei Servi costruita, tra il 1766 e il 1778 su una preesistente chiesa del 1482, dall’architetto faentino Gioacchino Tomba. Elegantemente decorata a stucchi anche nella cantoria dove è collocato un organo del 1853. Proseguendo su corso Farini si arriva a Porta Nuova, e presso l’ abitazione della famiglia Babini, si può visitare, ma su prenotazione poiché è una raccolta privata, una collezione di arte campanaria di circa 60 esemplari, alcuni di pregio artistico. La prossima tappa vi conduce, seguendo via Fiumazzo fuori dal centro e per circa 2 Km, fino alla Villa Romana. La Villa Romana, scoperta per caso nel 1938, è uno dei ritrovamenti romani più importanti del Nord-Italia. Pre-
Russi, Museo Civico
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senta un’estensione di 3500 mq. sui quali si individua un importante impianto termale. L’origine della Villa è datata intorno alla fine del I secolo a.C., ma la fase di sviluppo è tra il I e il III secolo d.C. L’antica costruzione si organizzava in un quartiere residenziale del dominus, con eleganti mosaici, ed un quartiere rustico, oggetto tuttora di scavi. Sono di pregio le pavimentazioni in mosaico. In zona adiacente alla Villa è allestita una sala didattica per audiovisivi. Una parte dei reperti trovati nell’area sono esposti in una delle sale presso la Rocca dell’ex ospedale Maccabelli, in Piazza Farini a Russi. La villa è situata all’interno di un’area di riequilibrio ecologico, un’oasi di circa 13 ettari caratterizzata da bosco igrofilo e stagno perenne. Russi,. Palazzo San Giacomo
Si prosegue su via Fiumazzo per raggiungere Palazzo San Giacomo, in via Carrarone Rasponi. Palazzo San Giacomo detto anche “il Palazzaccio” sorge sotto l’argine destro del fiume Lamone ed è una delle più belle residenze nobiliari estive di Romagna. E’ ricordato anche come il palazzo delle 365 o 366 finestre, fu probabilmente costruito alla fine del XVI secolo, dai conti Rasponi di Ravenna, sulle rovine dell’antico castello medievale di “Raffanara” distrutto durante le lotte fra faentini e ravennati: secondo i documenti d’archivio il progetto potrebbe essere dello stesso conte Guido Carlo. La facciata dell’edificio, comprese le due torri laterali, misura mt 84,50 di lunghezza. Nel piano centrale i piani sono tre, nelle torri laterali diventano cinque: una tipologia architettonica che ricorda molto da vicino il palazzo dei Farnese a Colorno ed il palazzo ducale degli estensi
a Modena. Il portone centrale è contornato di pietra d’Istria, sovrastato da quattro mensole che sostengono il balcone. Sopra l’arco si trova lo stemma dei Rasponi con due zampe di leone incrociate e sormontate dalla testa del moretto bendato e dalla corona. La decorazione degli interni costituisce, nonostante le menomazioni subite, forse il più vasto ciclo pittorico che ci sia giunto in Romagna fra Sei e Settecento, almeno sul fronte della decorazione privata e gentilizia. L’intero piano nobile si presenta ancora oggi affrescato. Le decorazioni pittoriche si susseguono negli anni fra la fine del Seicento e la prima metà del Settecento. Accanto al palazzo, la cappella di famiglia, dedicata a San Giacomo fu costruita nella seconda metà del XVIII secolo su progetto dell’architetto Cosimo Morelli (contiene le tombe del cavaliere Federico Rasponi e della moglie marchesa Guerrieri Gonzaga). Le proposte intorno a Russi vi conducono fuori dal paese, per circa 4 km, verso San Pancrazio, frazione circondata dalla campagna bagnata dal fiume Montone dove si segnalano il Museo della vita Contadina, in via XVII Novembre, e la Pieve. Il Museo e’ stato organizzato per mantenere la memoria delle tradizioni del paese rimaste vive forse anche per la posizione geografica lontano dalle grandi vie di comunicazione stradali. Gli allestimenti permanenti realizzati in alcune sale riguardano canapa e tessitura. In altri locali sono esposti gli oggetti relativi al “grano e pane”, al “baco da seta”,
Russi, Villa Romana
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al “latte e formaggio”, al “maiale” e al “vino”. Su questi temi essenziali della civiltà materiale sono stati realizzati numerosi servizi fotografici e video documentari, materiali che vengono presentati nelle manifestazioni dell’Associazione culturale “La Grama” e proposti alle Scuole della Provincia per un percorso didattico sull’etnografia del territorio. E’ stata realizzata anche un’ attività di raccolta circa 130 fiabe romagnole per tradizione orale degli anziani del paese, racconti popolari che si raccontavano nei “trebbi” delle case rurali. In via Fringuelline Nuove, al n. 9 ancora a San Pancrazio, si raggiunge l’omonima Pieve. L’antica Pieve risalente alla fine dell’ VIII secolo, secondo la tradizione venne fatta edificare da Galla Placidia, figlia dell’imperatore Teodosio, nell’anno 437 d.C. L’attuale assetto della pieve è frutto dei radicali interventi di restauro condotti tra il 1945 e il 1946. L’interno è a tre navate con sette archi per parte, retti da pilastri rostrati. L’abside presenta cinque finestre. Il campanile è stato ricostruito nel 1950 in stile “protoromanico”. Prosegue il viaggio da Russi verso Cotignola che è sorta alla sinistra del fiume Senio, là dove la strada provinciale Sp 31 confluisce nella Sp8. Mentre ci si dirige verso il centro abitato bisogna ricordare che esso subì danni gravissimi durate il secondo conflitto mondiale, ed è stato ricostruito nel tentativo di mantenere il tracciato urbanistico preesistente e anche
Cotignola, Palazzo Comunale
di riprendere gli stili degli edifici principali. L abitato di Cotignola, Durante il secondo conflitto mondiale l’abitato subì notevoli danni e fu ricostruito nel maggiore rispetto del preesistente sia riguardo ai siti, sia nel senso del rifacimento in chiave stilistica dei principali edifici. Spicca su tutti, già in avvicinamento alla città, la Torre di Giovanni Acuto nome italianizzato del condottiero inglese sir John Hawkwood che la edificò nel 1376, dopo aver ricevuto Cotignola in feudo da Papa Gregorio XI nel 1370, e fece costruire la torre ed altri sistemi di fortificazione attorno alla città. La Torre è in Corso Sforza e l’attuale edificio è un rifacimento del 1972 anno in cui dagli scavi si scoprì che il basso tronco era a pianta quadrata, secondo la tecnica di costruzione delle antiche torri ravennati e si
San Pancrazio, Museo della Civiltà Contadina
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ipotizzò che la torre sia stata costruita sul basamento del vecchio campanile della Pieve di S. Stefano in Panicale (sec. IX - X), le cui rovine sono state portate alla luce durante gli stessi scavi ed in prossimità della torre. Qui è conservata l’antica campana civica, “è campanòn”, unico oggetto superstite dopo l’aggressione tedesca del 1944. La campana fusa in bronzo nel 1616 è ornata da un motivo decorativo e reca in una epigrafe gli eventi per i quali essa doveva suonare: per la guerra, per il fuoco, per le sentinelle, per il Senio, per i briganti, per il Senato, per le feste. Alcuni ritrovamenti intorno al basamento della Torre, tra cui boccali integri e una struttura a forma di cupola (forse un forno), testimoniano la presenza dell’arte ceramica a Cotignola in un periodo compreso tra il XIV e il XVIII secolo d. c.
Il palazzo in origine risale al 1376 e fu residenza degli Sforza durante il periodo del loro governo della città. Nel 1892 fu dichiarato Monumento nazionale per l’arte e per la storia, ma fu distrutto durante il secondo conflitto mondiale e ricostruito nel 1961. Rimane, elemento originale, il rosone in cotto con lo stemma degli Sforza che ha ispirato lo stemma cittadino. Nel cortile del palazzo da notare è la stele di Caio Vario liberto romano, del III secolo d.C. della tipologia a pseudo edicola, per la divisione dello spazio in nicchie. Questo insieme ad altri reperti archeologici racconta di insediamenti in zona in epoche antiche. Il Museo Varoli si articola in tre spazi contigui: Scuola Arte e Mestieri, Casa Varoli, Palazzo Sforza. E’ dedicato alle opere dell’artista cotignolese Luigi Varoli (1869 1958), caposcuola di una folta schiera di artisti romagnoli. (Le sue opere più significative sono però nella Pinacoteca Comunale di Palazzo Sforza). Qui sono esposti dipinti, sculture in terracotta e legno, e alcune grandi teste di cartapesta riproducenti, in caricatura, personaggi di Cotignola.
Si rimane in Corso sforza per il Museo Varoli che ha sede nel Palazzo Sforza.
Si lascia il centro di Cotignola e dopo circa 1 Km, nei pressi del cimitero, si raggiunge la Chiesa di San Francesco e l’Oratorio di Santa Maria degli Angeli o Cappella degli Sforza. La chiesa in stile gotico-romano, risale al decennio 14841494, voluta da Papa Sisto IV e consacrata nel 1495. Tra gli affreschi conservati, è di certa attribuzione quello di Gerolamo Marchesi, raffigurante “La Pietà”, e in una lunetta, resta la parte terminale di una pala, anch’essa a tema Pietà, firmata dai fratelli Zaganelli, ora nella Galleria Brera, a Milano. Nella chiesa è conservato il corpo incorrotto del Beato Antonio Bonfadini, morto nel 1482, conosciuto meglio come il “Santo di Cotignola”. In diretto collegamento con la chiesa per il tramite di un loggiato, e costruito prima della chiesa stessa, è l’oratorio, o Cappella degli Sforza, affrescata dagli artisti Zaganelli, tra il 1495 e il 1499; invece anche qui, nel catino absidale della Cappella, dopo recente restauro, è tornato visibile un affresco su il “miracolo della Verna” attribuito a Gerolamo Marchesi. La cappella era dedicata a Santa Maria degli Angeli (in ricordo della Porziuncola di Assisi) ma fu poi trasformata in sepolcreto della famiglia Sforza, con la collocazione delle lapidi a ricordo
Cotignola, Palazzo Sforza Museo Varoli
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di Elisa Patrocini, madre di Muzio Attendolo Sforza. Si è fatta ipotesi che la costruzione fosse voluta dai cittadini, in segno di ringraziamento a Lodovico il Moro, che nel 1495 aveva dichiarato Cotignola “città”. Potrebbero però essere stati anche gli Sforza stessi, in onore al capostipite, affidando l’opera a Francesco e Bernardino Zaganelli. Dopo Cotignola il viaggio prosegue in direzione di Bagnacavallo, città d’arte nel cuore della Romagna, ricca di storia e di cultura. E…agli amanti dei vini di qualità farà piacere sapere che nel primo decennio del XXI secolo a Bagnacavallo si è sviluppata una produzione vitivinicola legata ad un vitigno autoctono antichissimo, scoperto fortuitamente da un coltivatore della zona nel proprio podere: si tratta del vino”Burson” al quale è stata dedicata una “’Via del bursòn”, ovvero un percorso nelle campagne attraverso le aziende che lo producono. Bagnacavallo, conserva un antico centro storico costruito su una originale pianta medievale, unica nel territorio romagnolo, con una struttura curvilinea, sinuosa, lunghe vie porticate e la caratteristica Piazza Nuova, a pianta ellittica. Interessanti le architetture dei palazzi nobiliari e gli edifici religiosi. Dopo il sisma del 1688 molti edifici furono ricostruiti in stile barocco con aperture al neoclassico. Sul toponimo “Bagnacavallo”, ricordato dalle fonti solo a partire dal X secolo, si fanno ipotesi diverse, tutte, però, incentrate sulla presenza di acqua termale (sotto forma di sorgente creativa o, invece, di guado in prossimità del primo agglomerato urba-
Bagnacavallo, Teatro Comunale Goldoni
no) e sull’uso benefico o utile per le cavalcature. Sullo stemma della città, sotto il cavallo , si legge: “Entro malato, esco sano” (Ingredior rhoebus, cyllaros egredior). La visita al centro storico sceglie come punto di partenza la centrale Piazza della Libertà, dove si affacciano gli edifici simbolo della storia della città, dal medioevo al ’700-’800: il Palazzo Comunale, il Teatro Goldoni, Palazzo Vecchio, la Torre Civica. La piazza è valorizzata nelle ore serali da una illuminazione che sottolinea i profili degli edifici. Il Palazzo Comunale fu costruito, su progetto dell’architetto Cosimo Morelli, a partire dal 1791 sui resti di Palazzo Brandolini, proprietà del Capitano di ventura Tiberio Brandolini, le cui imprese sono ricordate in tre bassorilievi di marmo (metà del XV secolo) conservati nell’attuale ufficio del sindaco. Sulla facciata neoclassica lo stemma della città racchiude l’immagine del cavallo con la zampa anteriore sinistra sollevata sull’acqua. Adiacente al Palazzo del Municipio sorge il Teatro Comunale Carlo Goldoni costruito, per delibera comunale del 1839 e inaugurato nel 1845, proprio accanto al Palazzo Comunale abbattendo quanto restava di Palazzo Brandolini. Il progetto fu affidato all’architetto bolognese Filippo Antolini. L’interno ha una pianta a ferro di cavallo, tre ordini di palchi, il loggione, ed è decorato da affreschi e stucchi. Il sipario fu dipinto a tempera da Antonio Muzzi agli inizi dell’800. Attualmente la capienza è di circa 400 persone. Il Teatro fu dedicato nel 1907 al famoso commediografo Carlo Goldoni il cui padre Giulio fu sepolto a Bagnacavallo, nella chiesa di san Girolamo,
Bagnacavallo, Piazza della Libertà
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avendo esercitato qui la professione di medico condotto. Già dai primi del Novecento ospitò rappresentazioni liriche, e oggi vi si tengono importanti stagioni di prosa e spettacoli musicali. Nel lato nord ovest della piazza sorge il Palazzo Vecchio costruito a metà del secolo XIII, durante il dominio dei Bolognesi come sede del Podestà, fu riportato in auge dopo i bombardamenti del II conflitto mondiale e oggi ospita uffici come quello di Informazione Turistica.
sec.). Fu modificata durante le successive dominazioni nel XVI secolo. E’costruita in mattoni a vista su base quadrata e zoccolo a scarpa, si eleva per 35 metri ed è divisa in tre piani che la popolazione ha denominato Inferno, Purgatorio, Paradiso, facendo riferimento all’uso, cui era adibita, di prigione. Vi fu rinchiuso nel 1849 anche il brigante Stefano Pelloni passato alla storia come il “Passatore”. Una curiosità si nota alla base della Torre dove sono visibili grossi chiodi ai quali gli abitanti appendono oggetti smarriti per segnalarli all’attenzione e facilitarne il ritrovamento da parte dei legittimi proprietari. In uscita da piazza della Libertà verso via Mazzini si entra nella Chiesa Collegiata di San Michele Arcangelo che secondo la più antica testimonianza risale al XII secolo. Oggi conserva l’abside poligonale che risale al XV secolo, ma la struttura è stata rivisitata in stile barocco e la facciata attuale risale al 1622. Il titolo di collegiata le fu attribuito da Papa Benedetto XIV. All’interno, nel presbiterio, si ammira la pala cinquecentesca del pittore Bartolomeo Ramenghi che qui ebbe i natali (1484 - 1542) e che era noto in vita come “il Bagnacavallo”: la pala raffigura il Redentore in gloria con Santi. Se potete dedicare a Bagnacavallo un tempo slow e siete interessati alle architetture urbane nei diversi periodi strorici, il suggerimento è quello di camminare con calma lungo tutte le vie del centro, perchè sono tutte affiancate da edifici interessanti e di epoche diverse.
Dal cortile interno potete accedere all’antica galleria seminterrata, che era parte di un sistema difensivo della città, detto “la cittadella”, realizzata intorno al 1300. Oggi vi si tengono allestimenti ed esposizioni. Rimanete in questo lato della piazza perché accanto a Palazzo Vecchio si fa tappa presso la Torre Civica che risale al periodo della dominazione bolognese (XIII
Il percorso da noi tracciato seleziona ancora per voi alcune tappe nel centro. In via Garibaldi, la Torraccia perché è uno degli edifici più antichi a pianta quadrata su uno zoccolo a scarpa, con cornice in cotto. In cima sono visibili le mensole a sporgenza delle caditoie. In interni due stanze sovrapposte con volte a crociera. Viene collocata nel periodo tra la fine del XII e inizio XIII secolo, comunque anteriore al complesso della Chiesa di San Giovanni e Convento (1336), perché si ritiene che i frati non avrebbero concesso che fosse costruito di fianco alla chiesa questo tipo di edificio. Probabilmente era parte della più antica cinta difensiva della città che racchiudeva l’antico nucleo della “cittadella”. Sempre in via Garibaldi, sulla porta di ingresso del Convento vedete una lapide che ricorda questo luogo come dimora di Allegra (1817-1822), figlia del poeta George
Bagnacavallo Torre Civica
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Gordon Byron, che qui rimase nell’educandato per giovani nobili per tre anni e qui morì infante di qualche febbre virale. In via Diaz, da piazza della Libertà si imbocca la via Brandolini e subito a destra, si raggiunge il palazzo Graziani che ospita il giardino più grande del centro storico (circa 4000 mq) ottimo esempio di orto botanico in città conosciuto come Giardino dei Semplici Secondo la tipica organizzazione dei giardini che un tempo abbellivano i palazzi e i conventi ubicati all’interno delle mura cittadine, l’orto è suddiviso in quattro aree: - l’umbraculum, riservato allo svago e alla meditazione e perciò caratterizzato da piante rampicanti e da viti; - il pomarium, destinato alla coltivazione degli alberi da frutto;
Bagnacavallo, Piazza Nuova
- l’horteus holeorum, in cui si coltivano le piante destinate alla cucina; - l’hortus sanitatis, ovvero l’orto officinale. Nell’area del parco è stato organizzato il Giardino degli Aforismi, ovvero un percorso detto grafico-letterario, tra le panchine in ferro battuto che riportano negli schienali alcuni aforismi dello scrittore, editore e giornalista Leo Longanesi, nativo di Bagnacavallo. La prossima tappa è verso Piazza Nuova, una piazza edificio, unico nel suo genere che si potrebbe assimilare solo alla Via del Borgo detta Antica via degli Asini a Brisighella. Ai meno frettolosi segnaliamo, a pochi metri da piazza Nuova, la curiosa e stretta via chiamata “Vicolo degli Amori”, che mette in comunicazione la piazzetta della Chiesa del Carmine con Via Vecchia Darsena. Il vicolo, pavimentato in cotto, è illuminato di sera da lampioncini e può essere percorso solo a piedi o in bicicletta. Durante le feste paesane ospita anche mostre fotografiche Piazza Nuova, a pochi metri dal Vicolo degli Amori e seguendo Via Fiume e Via C.Battisti si resta in zona pedonale, è un edificio unico nel suo genere, per l’originalità e l’eleganza delle strutture. Costruita nel 1758 era stata progettata come luogo per la contrattazione e la vendita di carne, olio e pesce. L’interno si presenta a pianta ellittica, con 30 archi a tutto sesto su pilastri quadrati. Ha due ingressi sotto due portali ad arco con frontoni ricurvi. L’edificio è in mattoni a vista, pavimentato in cotto e lastricato a ciottoli. E’ lo scenario ideale per manife-
Bagnacavallo, la Torracina
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stazioni culturali, artistiche ed enogastronomiche che spesso vi si organizzano. Restaurata alla fine degli anni ‘90. Oggi ospita negozi e una famosa osteria del circuito dell’Ente Tutela Vini di Romagna. Un’altra tappa presso piazza Carducci, all’antico convento di San Francesco. Il convento di San Francesco, del XIII secolo, è l’edificio conventuale di più antica fondazione della città e fa parte del complesso che comprende anche la chiesa. Fu uno dei primi sorti dopo la morte di San Francesco, edificato come gli altri in luoghi di forte passaggio, segnò che Bagnacavallo era un importante snodo stradale e una tappa per i viandanti dell’epoca. Il complesso ha subito varie ristrutturazioni ed ampliamenti nel corso dei secoli, i più importanti nel 1460 e nel 1667 (per i lavori di Andrea Galegati). L’aspetto attuale risale alla fine del 1700, con gli interventi dell’architetto faentino Gioacchino Tomba. Ma, dopo un lungo periodo di abbandono, restaurato è stato riaperto nel 2000. Il convento ospita oggi l’Ostello della Gioventù, struttura turistica molto frequentata. Nel lato a nord ovest, la Sala Oriani o “Refettorio nuovo”che viene utilizzata per attività culturali, è ambiente ricco di opere di pregio artistico, come pure la chiesa dove è conservato un crocefisso trecentesco di scuola riminese (Maestro di Verucchio). L’ultima tappa in città è in via Vittorio Veneto, presso il Museo Civico Le Cappuccine Il Museo Civico Le Cappuccine è situato nell’ex con-
Bagnacavallo,Museo Civico Le cappuccine
vento settecentesco delle suore Cappuccine e ospita al suo interno: la Biblioteca “G.Taroni” con l’Archivio Storico, la Pinacoteca Antica e Moderna, il Museo Naturalistico “P. Bubani” e il Gabinetto delle stampe antiche e moderne, che vanta un repertorio degli incisori italiani , richiesto anche dal Louvre. Alcune sale sono dedicate alle opere del pittore del luogo, Enzo Morelli, e a due fondi intitolati ai due illustri concittadini, Leo Longanesi, e Thomaso Garzoni. Uscite ora dalla città seguendo le vie Garibaldi, Fossa, Stradella fino al Podere Pantaleone, l’Oasi Naturalistica, in Vicolo Pantaleone. Il Comune di Bagnacavallo acquistò il terreno, che era podere privato, e nel 1978 lo trasformò in oasi naturalistica. L’area è di circa sei ettari e solo una piccola zona, nei pressi dell’ingresso, è oggetto di interventi sperimentali e didattici. Negli altri ettari convivono il pioppo nero e bianco, il salice, l’acero campestre e vari arbusti (biancospino, sambuco nero, rosa canina). Nei mesi invernali il Podere è meta di molte specie di uccelli migratori. Fino agli anni ‘50 il Podere era un terreno coltivato come tutti i terreni confinanti, con vecchi filari sostenuti da grandi alberi capitozzati e alternati a strisce di terra coltivate a grano, mais, barbabietola da zucchero, erba medica. Il proprietario rifiutò di intraprendere nel terreno le nuove tecniche di coltura con fitofarmaci e concimi chimici. Il podere subì delle evoluzioni naturali per cui la flora e la fauna si svilupparono liberamente. In direzione Lugo-Fusignano, su via Pieve Masiera, ci si
Bagnacavallo, Convento di San Franscesco
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ferma dopo1 km, per la Pieve di San Pietro in Sylvis. Pieve di San Pietro in Sylvis, del VII secolo, perfettamente conservata, un classico esempio di architettura esarcale, con facciata semplice in mattoni a vista. La Chiesa fu edificata, probabilmente, vicino ad un antico tempio romano dedicato a Giove. Il sito potrebbe corrispondere al più orientale dei porti lungo la riva sud delle paludi, frequentato intorno all’anno 1000 dai pellegrini in viaggio verso Roma. La pianta è rettangolare, suddivisa in tre navate da semplici pilastri a “T” che sorreggono le arcate a tutto sesto. L’interno conserva affreschi di scuola riminese databili intorno al 1320, e altari del VI, VII secolo in marmo greco. Villanova, Museo della Civiltà Palustre
E’ consigliata una deviazione, a circa 7 Km. da Bagnacavallo: si prende la direzione di Ravenna e si raggiunge Villanova di Bagnacavallo in Largo Tre Giunchi 1 dove ha sede il “Centro Etnografico della Civiltà Palustre” che raccoglie manufatti realizzati in epoca preindustriale con le erbe di valle, il legno di pioppo e di salice. Sono possibili visite guidate e l’utilizzo della sala didattica. L’Ecomuseo della Civiltà Palustre e’ allestito in un edificio scolastico costruito alla fine del XIX secolo e organizzato in sei ambienti, ai quali si aggiungono un piccolo stagno e una sala didattica. Il Museo si divide in quattro sezioni espositive ed un laboratorio funzionante. Le sezioni sono divise per settori e cicli produttivi: sezione della canna, sezione della carice e del legno nostrano, sezione della tifa e del giunco, sezione boni-
Bagnacavallo,Pieve San Pietro Sylvis
fica e trasporti, murales (ricostruzione ambientale). Si organizzano visite per meglio far conoscere il progetto dinamico di questo Centro. L’itinerario comprende: sala didattica con audiovisivi: Gli sfalci e le raccolte, I Capen, La vita la gente di un paese; antropizzazione del territorio: Le bonifiche del Lamone; ricostruzioni ambientali che presentano momenti di vita e di lavorazione delle cinque erbe vallive primarie e del legno nostrano, paleria e sramatura (laboratorio delle tecniche ottocentesche presentato dagli ultimi artigiani che detengono il bagaglio inalterato delle capacità manipolative delle erbe palustri); attrezzatura originale e produzione classica villanovese dell’intera gamma dei manufatti (periodo 1850-1970); retrospettiva fotografica; mostra permanente I giochi di una volta. Ultimo baluardo d’Europa per la lavorazione manuale delle erbe palustri, il centro è inserito quale complemento didattico per i progetti di educazione ambientale e negli itinerari relativi alle acque interne nazionali, ed in particolare alle escursioni nel Parco del Delta del Po. La direzione del percorso ora è verso Alfonsine, ma proponiamo anche due tappe intermedie, la prima a Fusignano e la seconda a San Savino. A Fusignano, città natale del musicista Arcangelo Corelli (1653-1713), vi immettete nella centrale Via Monti per conoscere il Museo Civico San Rocco inaugurato nel 2001 all’interno del settecentesco complesso di San Rocco che ospitava l’ospedale cittadino. Al piano terra è esposta la ricca collezione permanente di targhe devozionali in ceramica, verosimilmente unica nel suo genere 108
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in Italia, donate al Comune dal concittadino prof. Sergio Baroni, che ha voluto dedicare la raccolta alla memoria dei suoi genitori. Caratterizzate da svariate forme e dimensioni, le targhe ceramiche - per la maggior parte a carattere propiziatorio - sono espressione figurativa della cultura popolare religiosa, sia emiliano-romagnola sia di altre regioni italiane, con due pezzi provenienti dalla Spagna e dalla Francia. Queste targhe erano usualmente murate sopra le porte d’ingresso o all’interno delle case di città, ma soprattutto in campagna per propiziare il soccorso della Vergine e dei Santi. L’iconografia presenta in maggioranza raffigurazioni legate alla pietà mariana con titoli coniati dal popolo: Madonna delle Grazie, del Rosario, del Carmelo, del Buon Consiglio, della Cintura, dell’Angelo, del Conforto ecc. Vi sono inoltre targhe raffiguranti Santi invocati come protettori e ausiliari: S. Antonio Abate, S. Vincenzo Ferreri, S. Guglielmo, S. Cristoforo, S. Filomena, S. Antonio da Padova, S. Giuseppe. Due targhe ci presentano la Natività e alcune raffigurano la Sacra Famiglia e il Presepe. Importante è anche la presenza di un ex-voto del XVII sec. in maiolica di Deruta con la scritta -PER.GRA.TIA. REC.UTA-., e di due rare targhe, una Madonna col Bambino di produzione riminese datata sul retro 1660 e una Madonna col Bambino prodotta a Montelupo datata sul retro 1661 e siglata P.A. Le targhe con la data o databili per confronto, rivestono particolare importanza per lo studio della storia e l’evoluzione degli stili e per il contributo alla definizione delle tecniche esecutive. L’arco cronologico del corpus va dal sec. XVI a tutto il sec. XX, e
Maiano, Villa Monti
si nota la numerosa presenza di manifatture toscane. Oltre alla raccolta di ceramiche devozionali, nei locali del piano terra troveranno collocazione altre raccolte artistiche, mentre al primo piano il Museo organizza regolarmente mostre tematiche. Quando si esce dal centro abitato, in località Maiano Monti, si può vedere anche la residenza estiva del poeta e letterato Vincenzo Monti, nato però ad Alfonsine dove termina questo itinerario nella Bassa Romagna.Una tappa intermedia si può fare anche a San Savino. Il motivo di interesse, qui, nella Chiesa di San Savino è il sarcofago del Santo Martire ed evangelizzatore della zona, che viene datato nel decennio 440-450 d.C., è in marmo, decorato sui tre lati: di fronte si ammira il monogramma costantiniano, adorato da due agnelli davanti a palme dattifere. Sul fianco destro del sarcofago due pavoni si abbeverano a un vaso di acqua; al fianco sinistro, due colombe su tralci di vite adorano la croce. In ambedue i frontoni, ancora due pavoni in adorazione simbolo di salvezza e contemplazione della divinità. Non è storicamente provato che il sarcofago abbia contenuto il corpo del santo, martirizzato e sepolto a Spoleto, tuttavia si afferma che Astorgio II Manfredi nel 1443 asportasse dal sarcofago dei resti umani creduti del santo, portandoli a Faenza, dove sono raccolti in una cappella del Duomo. Il sarcofago è classificato fra quelli simbolici. La chiesa fu progettata dal ravennate Renzo Strumia e ultimata nel 1950. All’interno della chiesa si trovano il Battistero, il sarcofago, la statua del santo
Fusignano, Museo Civico San Rocco
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opera dell’artista Raoul Vistoli e la Via Crucis (1982) ad opera dei ceramisti Bartoli e Cornacchia di Brisighella. Se avete fatto tappa a San Savino potete ora proseguire verso Alfonsine, ultima tappa dell’itinerario nella Bassa Romagna. Già nel nome “Alfonsine” si manifesta il riferimento storico ad una vicenda di bonifiche che adeguò questo territorio, segnato da paludi e valli tra macchie di bosco, alle colture agricole. Fu infatti il conte Alfonso Calcagnini a compiere l’opera sistematica di bonifica delle terre che chiamò “Le Alfonsine”. Il padre Teofilo le avete ricevute in dono dal duca di Ferrara Borso D’Este. Oggi la città è un polo agricolo importante, ma anche in tempi recenti, ovvero durante il II conflitto mondiale, essa ha subito gravi rovine sotto i bombardamenti ed è stata ricostruita sulla sinistra del fiume Senio. Quando si entra nel centro si può visitare in Piazza della Resistenza 2, il Museo della Battaglia del Senio che ricorda con due percorsi tematici gli eventi bellici e in particolare il passaggio degli alleati e la resistenza in Romagna. La documentazione è molto ricca e puntuale con attenta narrazione dell’ attacco alla” linea Gotica” e della battaglia del 10 aprile 1945. La vocazione del Museo è prevalentemente didattica e offre su prenotazione visite guidate a gruppi e scolaresche con percorsi di tre o cinque ore.
Alfonsine, Casa Vincenzo Monti
(1754 – 1828), costruita nella metà del secolo XVIII per volontà del padre del poeta. E’ una bella casa rurale del Settecento ove ebbe i natali, nel febbraio del 1754, Vincenzo Monti, considerato il principe del Neoclassicismo italiano. L’edificio ha subito varie modifiche ed ebbe il primo periodo di splendore nel 1928, centenario della morte del Poeta. Molti i lavori di quel periodo, fra i quali la sistemazione della saletta montiana, con i fregi pittorici di Marcello Mariani in stile liberty, recanti i titoli delle opere più significative del Poeta e i versi scritti dal Manzoni per la dipartita del maestro e dell’amico: “Salve, o divino, cui largì Natura Il cor di Dante e del suo duca il canto”. Alcuni lavori di restauro furono eseguiti anche nel bicentenario della nascita (1954) da parte dell’Amministrazione Comunale delle Alfonsine. La casa, passata miracolosamente indenne attraverso la seconda guerra mondiale (che rase al suolo quasi l’intero paese), fu rimessa in sesto dall’industriale mecenate alfonsinese Marino Marini nel 1978, nel 150° della morte del Monti. Ma nel 1998 si è fatto un restauro che oggi consente di presentare la casa come luogo “della memoria”. Il Museo montiano, fu inaugurato il 23 maggio 1998, con una mostra che esponeva quasi tutte le opere autografe del Monti ottenute dal Fondo Piancastelli della biblioteca di Forlì. Ancora oggi è possibile vedere a casa Monti numerose editio princeps fra le quali l’esemplare bodoniano dell’opera “Aristodemo”. La visita al piano superiore si concentra nella “sala della culla” che conserva alcuni mobili d’epoca, quali appunto la culla settecentesca appartenuta alla famiglia del poeta, il letto,
A circa 1 Km. dal centro, in località “Ortazzo”, in via Passetto 3, si visita la casa natale del poeta Vincenzo Monti
Alfonsine, Museo della Battaglia del Senio
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l’armadio ed una deliziosa specchiera, oltre a manifesti che ripercorrono le tappe fondamentali delle celebrazioni montiane, nella “saletta montiana” ove emerge il busto marmoreo di Cincinnato Baruzzi, allievo prediletto del Canova, e quello della figlia del Poeta, Costanza (presumibilmente dodicenne); alle pareti alcune lettere autografe del Monti, manoscritti e autografi del Monti e della figlia Costanza, che contribuiscono ad arricchire il patrimonio del museo. Infine si entra nella “sala dei documenti” che accoglie al suo interno pregevoli edizioni originali delle opere del poeta e ne ripercorre tutta la carriera. I volumi risultano significativi sia per le rifiniture, spesso ottenute in preziosi caratteri e fregi oro, sia per la rarità dovuta alla limitatissima tiratura con cui vennero realizzati. Nella medesima stanza è possibile vedere alcune copie di importanti scambi epistolari intercorsi tra il Monti, il Manzoni e il Leopardi, oltre a diplomi e riconoscimenti, conferiti al poeta da tutte le più celebri Accademie Letterarie italiane. Le opere del Poeta esposte nella sala provengono dal fondo montiano della biblioteca comunale delle Alfonsine, formato da donazioni (importante quella di Pasquale Montanari) custodite dal Comitato Montiano.Il Comitato ha anche la funzione di organizzare incontri culturali legati alla figura del letterato. Quando si scende al piano terra di Casa Monti si visita anche il Centro di Educazione Ambientale e Centro Visite della Riserva Naturale di Alfonsine che svolge la funzione di punto di informazione e divulgazione della
Alfonsine, Casa Vincenzo Monti
Riserva Naturale di Alfonsine, proponendo attività didattiche e di approfondimento su tematiche ambientali e storico-culturali, serate a tema per la valorizzazione e la riscoperta del patrimonio locale, escursioni guidate nelle tre stazioni della Riserva: lo “Stagno della Fornace Violani”, “La fascia boscata del canale dei mulini” e “Il Boschetto dei tre canali”. Per la visita alle stazioni della Riserva è possibile noleggiare binocoli per il birdwatching e mountain bike. Il ritorno a Cervia è consigliato sulla Statale 16 “Adriatica”.
Alfonsine, Casa Monti interno
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Letterario
Percorso Letterario nella Bassa Romagna Il vasto territorio che da Ravenna si apre sia verso nord ovest, sia verso sud est del capoluogo viene chiamato Bassa Romagna , nome con il quale si definisce anche l’Unione dei 9 Comuni che lo compongono. E’ un territorio anche chiamato “terra di mezzo” per la sua posizione tra la costa adriatica e l’Appennino. I percorsi da Cervia alla Romagna d’Este sono un breve viaggio per scoprire che la vasta pianura ad ovest di Ravenna, punteggiata di centri rurali e famosa per i suoi prodotti agricoli di qualità, è anche la culla di una cultura artistica, architettonica e urbanistica di cui restano segni inequivocabili. Ma, inaspettatamente, tra frutteti, colture a seminativi e zone umide, tra rocche e ville padronali, potete trovare il motivo di entrare nel mondo della letteratura e della musica, perché compositori, musicisti, scrittori e poeti hanno avuto in sorte di nascere tra queste terre o di vivere in esse per periodi più o meno lunghi. La memoria di questi “Grandi” è legata a luoghi precisi e, in particolare, a edifici, case che sono state per loro dimora natale o residenza temporanea. Oppure si tratta di piccoli musei organizzati grazie a lasciti di oggetti, manoscritti, pubblicazioni, immagini fotografiche, dipinti. Vi proponiamo un percorso letterario che si snoda tra i nove Comuni della Bassa Romagna, tra rime e note musicali, un percorso che potrete anche sezionare e ricostruire, facendo una sosta più lunga in ogni località da noi indicata per approfondirne la conoscenza. Partite da Cervia e raggiungete Lugo, che dista circa 40 km, percorrendo prima la SS16, poi la Autostrada D
Lugo, Pavaglione
14 che offre numerose uscite verso i comuni della Bassa Romagna. Lugo si è legata al nome del grande musicista Gioacchino Rossini che, nato a Pesaro il 29 Febbraio 1792, visse qui dal 1802 al 1804, nel periodo della sua adolescenza e della sua prima formazione. Il padre Giuseppe era originario di Lugo (Ravenna) e suonava per professione nella banda cittadina e nelle orchestre locali, la madre, Anna Guidarini, era una nota cantante di Urbino. I coniugi Rossini si spostavano di frequente in diverse città dell’Emilia Romagna portando con sè Gioacchino, ma quando giunsero a Lugo, la casa di famiglia, in via Giacomo Rocca n.14, era stata data in locazione, perciò presero domicilio in via Manfredi n.25. Le prime due tappe consigliate sono le due case: in via Manfredi, trovate la lapide sul muro esterno che ricorda il periodo di permanenza di Rossini in città; in via G.Rocca, trovate, invece, la casa di famiglia che è stata restaurata a cura del Lions Club di Lugo. Anche qui è stata posta una lapide a memoria con epigrafe in latino e all’interno i locali ospitano una piccola mostra di fotografie, documenti e riproduzioni.
Frutteti pianura
La terza tappa vi conduce per circa 600 metri, fuori dal centro a villa Malerbi: era la residenza di campagna dei fratelli Malerbi, Giuseppe e Luigi, musicisti che insegnavano musica all’epoca della permanenza di Rossini a Lugo e qui avevano fondato una scuola che si era presto accreditata come una delle migliori in Romagna. 113
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Letterario
Durante gli anni lughesi , Rossini, ancora molto giovane, esordì come compositore con la ”Sonata a quattro” e con il “Gloria a tre voci”. Ancora oggi in questa Villa è attiva la scuola comunale di Musica.
giovanissimo, e avvantaggiarsi del suono mirabile. Tali esperienze dovettero favorire anche il suo esordio nelle composizioni “Sonate a quattro” e “Gloria a tre voci”. Restate nel centro storico di Lugo perché vi indichiamo la sosta presso Biblioteca Trisi come occasione di approfondimento: qui sono stati trasferiti documenti che in precedenza erano conservati in Villa Malerbi, anche manoscritti di Rossini. Biblioteca Trisi: prende il nome dal palazzo che la ospita, Palazzo Trisi, un edificio del tardo Settecento lughese, progettato dall’architetto Morelli, un edificio elegante dalle linee sobrie della facciata movimentata appena da lesene e da due elementi ad arco, il portone d’entrata e il finestrone soprastante. Il Palazzo, insieme con il teatro Rossini, garantisce un equilibrio architettonico alla piazza. La biblioteca ospita circa 150 mila volumi, tra cui 117 incunaboli e oltre 2500 cinquecentine. In Biblioteca è attiva una sezione multimediale.
Si torna verso il centro storico, per seguire le tracce della vita del giovane Gioacchino a Lugo e vi dirigete verso la Chiesa del Carmine, che conserva, in ottime condizioni e perfettamente funzionante, l’organo di Gaetano Callido, del 1797, sul quale Gioacchino si esercitò negli anni lughesi. La Chiesa del Carmine: fu costruita verso la metà del Settecento su una preesistente chiesa, annessa al convento dei Carmelitani, del 1520. Il progettista fu l’architetto Francesco Petrocchi. In essa si venera Sant’Illaro, patrono della città. L’organo era di recente costruzione(1797), uno strumento nuovo e di grande valore e installato nella chiesa lughese da pochi anni. Rossini potè accedervi, benchè
Mentre vi spostate in paese e vi soffermate anche solo a considerare le architetture degli edifici storici, così ben inseriti tra le più recenti case del paese,vi diamo alcuni informazioni utili : dovete sapere che i “rossiniani” hanno una fonte preziosa di informazioni sul musicista nel Fondo Piancastelli che è conservato nella Biblioteca Comunale Saffi di Forlì in seguito al lascito testamentario del conte Carlo Piancastelli (1867-1938). Le raccolte Piancastelli comprendono, oltre al ricco carteggio di Rossini, anche suoi manoscritti e stampe musicali, spartiti, originali di opere, e ancora riduzioni, trascrizioni, elaborazioni, variazioni. Il Fondo possiede anche una documentazione iconografica costituita da bozzetti utilizzati per le scenografie delle opere Rossiniane.Carlo Piancastelli, nativo di Imola, ma di famiglia residente a Fusignano, raccolse nel palazzo di Fusignano libri, manoscritti, stampe, dipinti, monete, francobolli, fotografie e altri materiali riguardanti la Romagna considerata in molti suoi aspetti. La sezione “Carte Romagna” è stata sistemata nell’inventario realizzato e pubblicato da Piergiorgio Brigliadori e Luigi Elleni, nel 1980 a Forlì,nella Biblioteca Saffi. Dovete sapere che : si era levata una vera querelle tra lughesi e pesaresi per affermare rispettivamente ed entrambi il proprio legame con l’artista. La facile disputa tra luogo di nascita e luogo di residenza, in questi casi,
Foto Rossini
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è d’obbligo. La prima voce si levò da Pesaro: nel 1817 fu Giulio Perticari a dare il via ad una serie di botte e risposte in forma di opuscoli, articoli ed interventi. La città di Lugo rispondeva al sasso lanciato dal Perticari con l’opuscolo provocatorio “nel 18° bisestile anniversario di Gioacchino Rossini, sole della musica nel secolo XIX, fenice nell’arte, lughese di patria, pesarese di nascita…” del 29 febbraio 1864. Furono pubblicati poi, dopo la morte del musicista, saggi del tipo “La patria di Rossini”( del lughese Luigi Crisostomo Ferrucci nel 1868) e “Giudizio perentorio sulla verità della patria di G.Rossini”( del pesarese Giuliano Venzolini nel 1874). Rossini, quando ebbe in sorte di trovarsi tra i due fuochi, cercò di districarsi tra le sapienti dispute con una diplomatica quanto ironica battuta con cui si autolicenziava come “Il Cigno di Pesaro e Cignale di Lugo”. La passeggiata in Lugo sulle tracce del giovane Rossini vi riserva una sorpresa: potrete conoscere il volto del musicista e dei suoi genitori. Vi spostate, per questo motivo, nella Residenza Municipale (presso la Rocca Estense) nel cosiddetto Salotto Rossini di fronte a tre ritratti ad olio di Anna Guidarini, la madre, di Giuseppe Antonio Rossini, il padre e dello stesso Gioacchino. I ritratti dei coniugi sono ancora più interessanti perché unici: furono donati al municipio di Lugo da Olympe Pelisser, seconda moglie del Maestro Rossini. Il ritratto di Gioacchino, opera della pittrice Handebourt
Lugo, Chiesa del Carmine
Lescot, eseguito nel 1828, fu donato dallo stesso Rossini alla città di Lugo, ma dapprima conservato dalla cantante Maria Alboni nella sua abitazione. Prima della morte (1894) ella predispose il trasferimento del dipinto al Comune di Lugo. Prima di uscire da Salotto Rossini, potete soffermarvi su alcuni documenti tra cui una lettera autografa del 1844 in cui Rossini ringrazia per la nomina a consigliere comunale. Rimanete ancora nel centro storico, dove c’è un luogo che è diventato un simbolo di questa città ed è il Teatro Rossini. Si visita il Teatro Rossini prenotando presso lo Iat del Comune. Costruito ed inaugurato trenta anni prima della nascita di Gioacchino Rossini, nel 1761 durante la Fiera Cittadi-
Scuola Villa Malerbi
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na, il teatro si era affermato per la già consolidata tradizione operistica lughese. Il sito del Teatro stabile era all’epoca ai margini dell’area commerciale, con affaccio sul prato della Fiera. Oggi lo troviamo in pieno centro. Il progetto era stato affidato nel 1758 all’architetto Ambrogio Petrocchi, poi la sistemazione degli interni, palcoscenico, platea, palchi, fu di Antonio Galli Bibiena. L’inaugurazione avvenne con il dramma musicale “Catone in Utica”, su libretto del Metastasio. Nel 1813 vi si esibì, con grande successo, Nicolò Paganini. Nel 1859, il teatro fu intitolato a Gioacchino Rossini che gli diede molto vitalità con la sua produzione , dal 1814 al 1840. Dopo di lui altri grandi gli diedero lustro, tra i quali, Mercadante, Bellini, Donizetti fino alla comparsa del primo Verdi. Il teatro ebbe un ruolo anche nella vita politica di Lugo, ospitò i discorsi di politici, come Mazzini, interventi di letterati, come Carducci e il popolo lo frequentò per manifestare le proprie simpatie verso Garibaldi, dopo il suo ferimento in Aspromonte.Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento vi si eseguirono opere di rilievo, di Puccini, Wagner, Pratella e il grande Toscanini vi diresse l’Aida. Nel corso del Novecento visse un periodo di decadenza come teatro e fu adibito anche a cinema e usato per varie manifestazioni sociali. Ebbene, questo molteplice uso ne scongiurò la demolizione. Alla fine degli anni ottanta del Novecento fu restaurato, riaperto nel 1986 e rilanciato come teatro, soprattutto per la lirica, ma anche per la musica sinfonica, essendo ottima l’acustica, e per la prosa. Oggi propone stagioni che spaziano dall’opera lirica al teatro di prosa, dalla musica cameristica a quella sinfonica senza escludere la
Teatro Rossini
danza e la musica jazz. Dal punto di vista architettonico, è stimato tra gli esempi più interessanti di teatro neoclassico in Emilia Romagna. Prima di lasciare Lugo diamo breve informazione su due personaggi che suscitano un deciso interesse come concittadini lughesi: Francesco Balilla Pratella, seguace del movimento Futurista e uomo di musica, ma in epoche recenti e di ispirazioni meno romantiche del predecessore Rossini. Con lui, infatti, si fa un balzo nel primo ventennio del Novecento e si può rintracciare l’esatta collocazione della sua dimora, in via Lato di Mezzo, proprio al vertice di un bivio ferroviario, quello che conduceva a nord verso Massa Lombarda e a sud verso Castelbolognese. La strada era chiamata familiarmente dai lughesi “vicolo di Pratella” e chi doveva passare di là usava dire “passo dalla pratella”. Si legge in un libro dal titolo “Il Futurismo a Lugo” (di Castronuovo e Medri, Ed. La Mandragora 2003) che lo scrittore Riccardo Bacchelli in un articolo del 1956, “Un viaggio a Lugo” ricordava una visita a Pratella e di lui scriveva: “A Lugo, Balilla abitava nel vertice di un bivio ferroviario, e aveva i fischi delle locomotive manovranti, si può dire, in casa. Coerente con la sua definizione del Futurismo, originalità e violenza, l’intrusione fonica ferroviaria non lo disturbava minimamente”. Pratella fu musicista, ma anche saggista e insegnante, e mantenne vive due anime in apparenza non compatibili ovvero l’impeto al rinnovamento radicale e il legame con la tradizione anche musicale della sua terra. Il secondo concittadino dei lughesi è l’illustre France-
Lugo, Salotto Rossini
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sco Baracca, asso dell’aviazione nella Prima Guerra Mondiale, la cui casa natale, in pieno centro cittadino, è oggi sede del Museo a lui interamente dedicato. L’itinerario letterario nella Bassa Romagna prosegue verso Alfonsine, ma diamo un suggerimento che potrete seguire ora o in altro momento: suggeriamo uno spostamento ad ovest, fino a Bagnara di Romagna. Per seguire il filo della musica che, forse inaspettatamente, in queste aree rurali della provincia di Ravenna, si intreccia con relazioni affettive. A Bagnara di Romagna, c’è un preciso ricordo di Pietro Mascagni. Si va senza esitazione verso la Chiesa Arcipretale di S. Andrea, perché nei locali della canonica è allestito il piccolo Museo Pietro Mascagni. Se decidete di raggiungerlo prenotate la visita al numero tel. 0545-76054. Questo preavviso consente di ottenere una guida che renderà molto vivace il percorso alla scoperta del musicista e della sua musa ispiratrice. Qui il racconto della guida è ricco di particolari che superano la vicenda artistica in senso stretto ed entrano nell’intimo della vicenda umana dei personaggi. Il piccolo museo, infatti, si è costituito intorno alla donazione del copioso carteggio, più di 4 mila lettere autografe, tra Pietro Mascagni e la giovane corista bagnarese, Anna Lolli, sua musa ispiratrice.
Lugo, Monumento a Baracca
Il carteggio è stato ordinato in modo esemplare e utile alla consultazione, che è assai frequente da parte di giornalisti del settore o di studiosi. La donatrice, Anna Lolli, lasciò anche oggetti della vita quotidiana del musicista, come il pianoforte, spartiti, numerosi ritratti che lo fissano in momenti importanti della sua carriera artistica, e piccoli oggetti come i sigari, i fiammiferi, scatole portapillole. L’epistolario che esordisce nel 1916 e prosegue fino al 1945, anno della morte, è un documento capace di svelare la personalità di Mascagni, allorché egli entra nel merito del suo lavoro, delle relazioni professionali, dei successi tributatigli dal pubblico e dalla critica. Esiste anche un Comitato Mascagnano, che organizza concerti, manifestazioni culturali e il Premio “Mascagni d’oro”, attribuito ad artisti affermati. Prima di lasciare la chiesa Arcipretale potete anche visitare il Museo parrocchiale intitolato a “Mons. Alberto Mongardi” dove sono custoditi apparati liturgici di pregio, in broccato e damasco, dal secolo XVI al XIX,testi sacri antichi, oggetti liturgici, vari dipinti tra cui una Pala d’Altare di Innocenzo Francucci da Imola del 1515 e numerose ceramiche votive che spesso gli abitanti della zona hanno donato al museo pur di salvarle dalle ruberie, essendo in genere collocate fuori dalle porte d’ingresso.
Museo Franscsco Baracca
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Invece nella Rocca Sforzesca, proprio di fronte alla chiesa, farete sosta presso il Museo del Castello, con una dote notevole di reperti sulla storia di Bagnara e del suo territorio.
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Lungo la strada per Alfonsine si tocca Fusignano e ancora si ricorda un musicista, Arcangelo Corelli,(16531713) nativo di Fusignano, forse il maggior rappresentante del Barocco strumentale italiano. A Corelli è stato intitolato un Auditorium di 200 posti, uno spazio di eccellenza per l’ascolto della musica concepito con i più moderni ed efficaci accorgimenti tecnici. E’ spazio multi funzione capace di essere impiegato anche per rappresentazioni teatrali, per conferenze ed eventualmente proiezioni cinematografiche. Arcangelo Corelli: nato a Fusignano nel 1653 si perfezionò in musica a Bologna, fu per un periodo in Germania, ebbe contatti con la regina Cristina di Svezia, ma la sua vita faceva perno, dal 1670, a Roma. Fu compositore, violinista ed insegnante. Fu punto di riferimento per i compositori dell’epoca, si ritiene che anche Handel traesse ispirazione da lui. La sua fama di violinista è paragonata a quella di Paganini nel XIX secolo.Tra i suoi discepoli si ricordano Geminiani e Vivaldi. Ora , di passaggio da Fusignano, ricevete due indicazioni che completano il percorso nella pianura. a) In direzione nord est raggiungiamo, dapprima Alfonsine, dove è prevista la tappa alla Casa Museo Monti e di seguito S. Alberto che risuona della fama del poeta Olindo Guerrini, alias Lorenzo Stecchetti. b) In direzione nord ovest giungete a Conselice che ha dato vita ad una iniziativa dedicata al grande scrittore Giovanni Guareschi.
Bagnara Museo Arcipretale
Da Fusignano si procede verso Alfonsine, si attraversa il paese in tutta la sua lunghezza e, prima di lasciarlo, si volta a destra, in via Passetto. Al numero 1, al termine di un ordinato vialetto, avete di fronte Casa Monti. Alfonsine, si trova a circa 18 km da Ravenna e circa 16 km da Lugo. Il nome deriva al paese da Alfonso Calcagnini che nel XVI secolo bonificò le valli e diede origine alla fertile pianura che veniva chiamata “le terre di Alfonso”. Il paese sorge, attualmente, alla sinistra del fiume Senio, che lo attraversa, ma prima della seconda guerra mondiale l’abitato era alla destra del fiume. Vincenzo Monti (Alfonsine 1754-Milano 1828) è di certo conosciuto in tutto il mondo letterario per la traduzione dell’Iliade di Omero, ma fu autore di molte altre opere di cui qui si può avere diretta conoscenza anche grazie a documenti originali conservati (poesie, poemi, tragedie, come l”Aristodemo”, “Caio Gracco”…) La vita di Monti ci riporta ad Alfonsine, nella seconda metà del XVIII secolo, in questa che era una casa semplice, di austera eleganza, costruita da un agrimensore di nome Fedele Monti, attivo sul podere detto “dell’Ortazzo” dei
Bagnara Museo Mascagni
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Marchesi Calcagnini. Fedele Monti ebbe undici figli dalla moglie Domenica Maria Mazzarri. Vincenzo Monti nacque il 19 febbraio 1754 e il padre sottolineò l’evento con un’ appunto che recitava: “Oggi mi è nato un figliolo, al quale porrò nome Vincenzo”. Monti nacque, quindi, in un tradizionale ambiente rurale della sua epoca. La piccola municipalità ha avuto la responsabilità di un concittadino importante di cui conservare viva la memoria, sia con opere di consolidamento della casa natale, sia con l’archivio di preziosi documenti: si sono realizzate opere di conservazione già dal 1954, anno del bicentenario della nascita di Vincenzo, e fino al 1998, anno della più recente ristrutturazione ( prima, nel 1978, il 150° della morte, le attività di recupero furono possibili grazie al mecenate Marino Marini e alla disponibilità della locale Cooperativa Muratori). Tuttavia, due fattori di peso nella felice storia di questo edificio furono la buona sorte che lo preservò dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale e la passione dell’ultimo proprietario, Cassiano Meruzzi, il medico condotto di Alfonsine che, cultore della produzione montiana volle, al momento della morte, nel 1951, donare l’immobile al municipio. La casa che si presenta con tinteggiatura luminosa ravvivata dal verde delle persiane, seminascosta da due tassi secolari che le fanno da cornice, ha subito qualche modifica. La costruzione originale fu probabilmente di un piano più alta rispetto all’odierna. Nella cartolina che riproduce una stampa dell’epoca si ha, appunto, l’immagine dell’edificio con il piano-solaio di cui oggi si deduce l’esistenza solo dall’interno, da una sala del primo piano. Nella medesima stampa sono raffigurati gli edifici di ser-
Alfonsine, Casa Monti
vizio tipici delle case di campagna e figure di uomini e donne che animano il paesaggio prossimo. In alto, sulla facciata dell’edificio, il capofamiglia aveva fatto scrivere come motto un versetto del Libro dei Salmi: “Redime me a calumniis hominum, ut custodiam mandata tua” [Liberami dalle calunnie degli uomini, affinché io possa osservare i tuoi ordini]. Parole quasi profetiche, se riferite alle vicende del figlio Vincenzo che visse traversie anche letterarie, spesso dovute ai mutamenti della storia e alle reazioni suscitate nei contemporanei dalle sue scelte di uomo e di letterato. Vedete anche altre lapidi, sono quattro, e riportano le date che si sono volute fissare a memoria dei posteri, Entrate per la visita di Casa Monti: Nell’atrio si ha la sensazione di uno spazio agevolmente ampio e ordinato che oggi viene utilizzato come book shop e per l’esposizione di materiali promozionali della provincia di Ravenna. Sulla parete sinistra un’iscrizione ricorda la visita di Giosuè Carducci, il 25 Aprile 1905. Il poeta, in età avanzata e salute incerta, volle rendere omaggio allo stimato collega e auspicò che il Comune volesse migliorare la condizione dell’edificio. Si sale al primo piano fino alla “Sala della culla”, dove si conserva la culla di famiglia dei Monti, punto di accesso al Museo montiano. È arredata con mobili d’epoca. Alcuni manifesti ricordano diverse celebrazioni montiane.
Bagnara, Rocca Sforzesca
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Si passa alla “Sala dei documenti” e, dalle edizioni originali delle opere del Poeta, si può ricostruire la sua “carriera” dalla fase romana a quella napoleonica. Protetti in bacheche, ma ben visibili, l’editio princeps della tragedia Aristodemo del 1786, il poemetto Bassvilliana, la prima edizione delle Satire di Persio tradotte dal Monti e la seconda edizione del Caio Gracco. Di interesse anche la “Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al Vocabolario della Crusca” e copie di epistole scritte dal Monti a Manzoni e a Leopardi. Interessanti alcune pagine autografe. Al contrario di quanto accade in altre dimore della memoria, dove è piacevole soffermarsi su piccoli oggetti della vita quotidiana, qui l’unico oggetto della vita domestica del Poeta è una tazza in porcellana decorata e appoggiata su un piattino. Forse troppo poco per ricreare qualche atmosfera. Qui egli trascorse pochi anni dell’ infanzia, e seguì presto la famiglia per motivi di lavoro del padre, a Fusignano (in località Maiano Monti la grande dimora dove la famiglia visse è oggi di proprietà privata). Ci sono però testimonianze, scritti del Monti,
in cui egli ricorda con affetto la casa di Alfonsine legata alla sua giovinezza. Scriveva al fratello, l’abate Cesare Monti, nel 1796: “Sospiro la solitudine di Fusignano, anzi quella dell’Ortazzo, in cui sono nato…”, e in una lettera a Madame de Stael del 1805 si legge: “Domattina riposerò sotto il tetto che mi ha veduto nascere. Questa idea mi fa battere il cuore e mi torna in pensiero tutta la mia gioventù”. Entrate nella “Saletta Montiana”, allestita nel 1928 per il 1° centenario della morte del poeta, e notate il busto marmoreo, che fu realizzato sul calco funerario da un allievo del Canova. La figlia Costanza lo considerò molto somigliante alle sembianze paterne. Vedete anche un busto della figlia, ritratta in giovane età, di autore ignoto. Alle pareti, locandine e manifesti che testimoniano l’attività municipale per le onoranze a Vincenzo Monti. Se programmate questa visita nel periodo delle Celebrazioni Montiane organizzate ogni anno dal Comitato Montiano (costituito nel 1993) potrete approfondire la conoscenza del letterato. Ma anche nei mesi estivi si organizzano eventi, soprattutto grazie alla disponibilità del parco, dove si raduna il pubblico nelle calde serate. L’antica stalla, semplicemente ristrutturata al piano terra, diventa anche saletta per degustazioni dei prodotti tipici della zona e luogo di esposizione. Al termine della visita, scendendo al piano terra potete sostare presso il punto informativo della Riserva naturale di Alfonsine (area di circa 12 ettari). Il paese è completamente circondato dalla campagna coltivata secondo le regole della centuriazione romana, quell’agro centuriato che si stendeva dalla fascia pedemontana fino alle zone paludose e litoranee. Tutto quello che è accaduto dal II° secolo a.C. fino ad oggi non ha potuto cancellare quei tracciati e le grandi bonifiche, prima quelle favorite dal fiume Lamone, poi quelle idrauliche, che hanno creato la piana di Ravenna, dove vi state muovendo. La riserva si può visitare nelle tre stazioni: lo Stagno della fornace Violani, il Boschetto dei tre canali, la Fascia boscata del canale dei mulini ed è garantita l’immersione nella vegetazione autoctona preservata e il birdwatching. La cessazione delle attività umane che in origine si svolgevano negli ambienti oggi protetti, ha reso possibile la creazione di biotopi ovvero luoghi recuperati agli equilibri ecologici preesistenti. Non è impossibile, quindi, paragonare il paesaggio attuale con quello dove si sviluppò
Vincenzo Monti
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la vicenda familiare di Vincenzo Monti. Da Alfonsine proseguiamo verso S. Alberto che è facilmente raggiungibile: dalla vicina Statale 16, Adriatica, si volta sulla extraurbana 24 (da Ravenna, invece, lungo la statale 309, denominata Romea, sono circa 15 km). Siamo ancora completamente circondati dal paesaggio della Bassa ravennate. La strada di accesso a S. Alberto divide in due parti il paese e lo percorre in tutta la lunghezza. Su questa strada si affaccia la casa di Olindo Guerrini dove, attualmente, ha sede la Biblioteca Popolare della “Società Operaia” che porta il nome del poeta. Lo stesso Guerrini descriveva così S. Alberto: “Il mio paese non era che una lunga strada fangosa tra due file di casupole, meno che nel centro, costrutte di mattoni seccati al sole e coperte di canne palustri. Fuori, dove ora è campagna fiorente, non erano che stagni e paludi, focolari di malaria (…)” Queste righe furono scritte nel 1915 e Olindo Guerrini era prossimo alla morte (1916). Nello stesso scritto, proseguendo nella descrizione del paese, spiegava per quale motivo egli fosse nato, in realtà, a Forlì, il 14 ottobre 1845. “Puoi dunque immaginare anche il resto. Niente scuole, salvo che quella privata di un vecchio prete, certo Sperindio, che insegnava l’abbici a pochi privilegiati a suon di nerbo (…). Puoi immaginare dunque come si andasse in fatto di medicina e di ostetricia. Mia madre (…) di
Casa Museo Vincenzo Monti internp
ottima famiglia di Forlì, quando io mi avvicinai, si recò presso ai suoi pei soccorsi dell’arte, se ce ne fosse stato bisogno…” La casa, oggi Biblioteca, dove è possibile fare tappa per una breve visita era di proprietà del padre. Sulla facciata è stata collocata, nel settimo anniversario della morte, una scritta su lapide nella quale si fa esplicito riferimento al legame dell’ingegno poetico di Guerrini con la sua terra d’origine. Olindo Guerrini nacque, dunque, a Forlì, il 4 ottobre 1845, la famiglia paterna era, però, di S.Alberto, il borgo confinante con le Valli di Comacchio dove il padre, Angelo, svolgeva la professione di farmacista. La madre, Paolina Giulianini, di famiglia benestante aveva lasciato Forlì per seguire il marito. I coniugi Guerrini avevano già due figlie, Luigia e Virginia e, quando si preannunciò il terzo parto, Paolina volle trasferirsi a Forlì, dove rimase per i mesi della balia. Ben presto il piccolo Olindo tornò a S.Alberto. A otto anni entrò nel collegio Municipale di Ravenna dove il metodo di istruzione abbinato alle consuete pratiche religiose non fu troppo in sintonia con il temperamento del giovane, ed egli si avviò verso un precoce anticlericalismo. Aveva appena 14 anni nel 1859 quando si coinvolse attivamente nelle proteste insorte, all’interno del collegio, a sostegno dei moti romagnoli contro il governo pontificio. Dovette lasciare il collegio e il padre lo trasferì a Torino, dove frequentò il ginnasio e il liceo. Diplomatosi nel 1865 si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Ateneo di Bologna dove
Casa Museo Vincenzo Monti internp
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presto anche la famiglia si trasferì, ottenne il titolo di dottore, fece praticantato in due studi, ma presto lasciò l’attività non volendo esercitare la professione. La sua vocazione era, in realtà, letteraria e il giovane Guerrini non potè soffocarla: esordì celandosi sotto lo pseudonimo di Lorenzo Stecchetti (anno 1868), su “Lo Staffile” emanazione satirica de “L’amico del popolo”, foglio di parte repubblicana. Quelle di Stecchetti erano satire dure. Iniziò a collaborare anche con altri giornali cittadini (“L’Indipendente”,“La Patria”, “Il Monitore”). Pur residente a Bologna dal 1870 Guerrini non perse i contatti con l’area ravennate: si unì al gruppo fondatore dell’Università della Camerlona (ove sorgeva una celebrata osteria), fu eletto Consigliere comunale per Ravenna nelle file dei progressisti, nel 1870 fu anche assessore per il settore scolastico, un mandato confermato più volte. Operò a favore di S.Alberto dove istituì la sezione locale dei pompieri e la Biblioteca Popolare legata alla Società di Mutuo Soccorso alla quale era iscritto. La biblioteca apri il 21 Aprile 1872 e fu un’opera di grande importanza, visto che all’epoca era molto diffuso l’analfabetismo. Lo Statuto della Società si proponeva il “mutuo soccorso intellettuale, materiale e morale” e “il miglioramento morale da perseguire con conseguimento del lavoro e dell’istruzione”.
all’origine della istituzione bibliotecaria. Guerrini visse, poi, e lavorò a Bologna, a Genova e di nuovo a Bologna dove morì, il 24 ottobre 1916 Durante i 48 anni di attività letteraria (dal 1868 al 1916) Guerrini si propose sotto diversi noms de plume: Mercutio, Lorenzo Stecchetti, Marco Balossardi, Giovanni Dareni, Argia Sbolenfi, Pulinera e Bepi. Le edizioni del suo Postuma, uscito nel 1877 sotto lo pseudonimo di Lorenzo Stecchetti, furono 47 fino al 1979. Il canzoniere di Stecchetti è uno dei libri più diffusi dall’Unità ad oggi. Molto conosciuti i Sonetti Romagnoli, composti nella lingua dialettale, editi postumi nel 1920 da Zanichelli.
La Biblioteca Popolare è accessibile al pubblico, all’interno di Casa Guerrini, e in essa sono catalogati e conservati più di 2 mila volumi: un fondo che esprime non solo il valore storico e antiquario, ma anche richiama il messaggio di “mutuo soccorso intellettuale” che fu
b) La seconda opzione del percorso è, in direzione nord ovest, da Fusignano a Conselice che richiama il pubblico con l’ installazione-murales dedicata allo scrittore Giovanni Guareschi. Da Fusignano si ritorna a Lugo, si sceglie la direzione Massa Lombarda e si procede verso Conselice, dapprima sulla Sp.50, poi sulla Statale 610, detta Selice (costruita sul tracciato dell’antica strada romana). Nell’ottobre 2004 è stata inaugurata l’opera dedicata allo scrittore Giovanni Guareschi e realizzata dallo scenografo cinematografico Gino Pellegrini. L’allestimento scenografico si è inserito nel progetto di riqualificazione di Piazza Guareschi voluto dal Comune di Conselice e cofinanziato dalla Regione Emilia-Romagna. Il titolo dell’opera “Dove l’acqua non è di rose” richiama l’originale condizione dell’area interessata dal progetto che 122
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era, seppure a pochi passi dalla piazza principale, in degrado. Il lavoro di Pellegrini è durato circa due anni e ha come protagonista, come in un film, sui muri dipinti della piazza e su sagome di legno, lo scrittore Guareschi in gita a Conselice insieme con i suoi personaggi, tra i quali si distinguono Peppone e Don Camillo. Altri personaggi sono del luogo, riprodotti da foto d’epoca. Le figure umane risaltano sui fondali dipinti, realizzate su tavole di legno poi sagomate e montate. Il progetto prevede di essere completato interessando altre zone e strade limitrofe. Quando tornerete a Cervia, dovete sapere che Giovanni Guareschi, nato a Fontanelle di Roccabianca, in provincia di Parma, nel 1908, morì a Cervia il 22 Luglio del 1968. In questa località, da dove siete partiti, la famiglia ha una villa, in via Bellucci, che i figli tuttora utilizzano di passaggio a Cervia. Lo scrittore trascorse a Cervia i periodi estivi degli anni dal 1962 al 1968. A Cervia i figli di Guareschi, Alberto e Carlotta, sono più volte intervenuti alla manifestazione” Cervia, la spiaggia ama il libro” che si tiene da più di un decennio nei mesi di Luglio e Agosto e che ha dedicato diversi incontri al popolare scrittore che sempre attira una folla di fedeli e appassionati lettori. In particolare, si tengono anche gli “Itinerari Letterari” che vengono dedicati a letterati che hanno un legame speciale con Cervia, come appunto, anche Giovanni Guareschi.
sita nel suo centro storico, come la famosa architettura del XVIII secolo, Piazza Nuova, e anche validi motivi relativi alle eccellenze enogastronomiche, presentate e protette dal “Consorzio il Bagnacavallo”, come il famoso vino “bursòn” prodotto da uve Longanesi coltivate, innanzi tutto, dalla famiglia Longanesi e da altre aziende delle zona. In questo percorso letterario vi indirizziamo al luogo del ricordo di Leo Longanesi, illustre e notissimo editore, giornalista e scrittore che qui nacque. Raggiungete “Il Giardino degli Aforismi” entrando nella corte di un antico palazzo nobiliare, al n 35 di via Diaz, entro le mura cittadine, fra colture di piante in via d’estinzione ed il pergolato di un bel ristorante: è un percorso attrezzato con dieci panchine d’autore, ognuna delle quali contiene sullo schienale d’ottone un disegno ed un epigramma di Longanesi incisi con preziosi caratteri. Nel Centenario della nascita gli è stata dedicata un’area, un “Giardino degli aforismi” caratterizzato da panchine decorate con suoi disegni e aforismi. Dopo le mostre, medaglie e pubblicazioni che il Comune ha organizzato negli anni passati, il centenario della nascita è stato salutato con una installazione permanente. Longanesi nacque il 30 agosto del 1905 nel Castellaccio di Bagnacavallo, uno degli edifici più antichi e prestigiosi del piccolo centro storico romagnolo, in cui la famiglia di proprietari terrieri viveva all’epoca, al n 10 di una traversa del Corso principale, allora chiamato Via Papini ed
L’ultima tappa di questo viaggio tra note e rime ci porta a Bagnacavallo, città che offre interessanti motivi di vi-
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oggi intitolata a Francesco Baracca. Dopo un’esistenza densa di attività giornalistiche, editoriali ed artistiche, morì al suo tavolo da lavoro, presso la redazione milanese de “Il borghese”, il 27 settembre del 1957 e fu sepolto a Lugo di Romagna dove aveva trascorso i suoi primi anni dell’infanzia. Potete raggiungere il Centro Culturale “le Cappuccine”, in via Veneto, per approfondire la conoscenza di Longanesi e consultare il fondo che conserva le prime edizioni, le ultime ristampe, riviste , giornali, saggi prodotti su di lui. Il ritorno a Cervia, è di nuovo facilitato dal collegamento autostradale D14 che vi riporterà sulla strada Romea e SS 16 Adriatica.
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Ambientale e storico
Passeggiata nelle Oasi del Parco del Delta del Po
Da Cervia, sulla strada RomeaSs 309 in direzione Nord si supera Ravenna di almeno 10 km e si raggiunge la Pineta di San Vitale. A destra su via del Fossatone ci si inoltra fino alla Cà Vecia, dove c’è un ampio parcheggio e molti cartelli informativi sul Parco del Delta e sulla Stazione Pineta San Vitale e Pialassa Baiona. Ca’Vecchia è’ il Centro di didattica ambientale nella pineta di San Vitale e punto di partenza di escursioni guidate. Vi consigliamo il percorso più frequentato da Ca’ Vecchia fino alla Pialassa Baiona, un’area dove nidificano aironi, folaghe, anatre fino alla laguna salmastra ricca di pesce e avifauna. Siete immersi nell’ambiente e la guida vi farà gustare ogni minimo particolare sia della flora,sia della fauna, vi svelerà i segreti degli equilibri ambientali delle zone umide e pinetali. Si visita la laguna su un lungo argine: e la laguna più rilevante del litorale emiliano romagnolo, il nome Piallassa si fa derivare dalla dinamica di entrata e uscita dell’acqua di mare nell’invaso, quindi “piglia” e “lascia”.
Ninfea bianca e Salvinia, Saliceti, Giuncheti. Vi segnaliamo l’accesso al sentiero “3A” del Parco del Delta in prossimità dell’ampio Parcheggio attraversando il Canale Fossatone grazie al ponticello. Sul sentiero “1A” potete raggiungere la torretta di osservazione di Valle della Canna dalla quale è possibile scorgere a trecentosessanta gradi il paesaggio palustre.
Quando si ritorna sulla statale in pochi minuti si raggiunge l’area di Punte Alberete, una foresta allagata frequentata come oasi ambientale dotata di comodi punti di osservazione per il birdwatching. La vegetazione è costituita di Salice, Frassino, Pioppo, Olmo, Farnia, Frangola, ed Ontano, sempre inframmezzata, nelle bassure, da ampi specchi d’acqua abitati da
Durante il percorso, se assistiti da una guida esperta potrete scoprire le fioriture più vistose: Orchidea, Iris giallo, Giunco fiorito, Salcerella, Campanellino e Ninfea bianca. E le diverse creature che vivono in questo ambiente pesci, rettili (fra cui la testuggine palustre), anfibi (rane, rospi, tritoni), insetti, molluschi e rare specie di uccelli: la grande garzaia di Punte Alberete ospita Airone rosso, bianco e cinerino, Sgarza ciuffetto, Ibis mignataio (simbolo dell’Oasi) e molti altri ancora. Vi segnaliamo l’accesso al sentiero “3A” del Parco del Delta in prossimità dell’ampio Parcheggio attraversando il Canale Fossatone grazie al ponticello. Sul sentiero “1A” potete raggiungere la torretta di osservazione di Valle della Canna dalla quale è possibile scorgere a trecentosessanta gradi il paesaggio palustre. L’itinerario prosegue con una motivazione storica verso la Cascina Guiccioli nella località di Mandriole. Sulla 126
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provinciale, dopo appena un centinaio di metri, al n. 286 di Via Mandriole . La Cascina è il luogo dove morì Anita Garibaldi morì il 4 agosto 1849 alle ore 19.45. Qui, infatti, Garibaldi (intercettato dagli Austriaci nel tratto di mare tra Cesenatico a Venezia) trovò riparo dopo lo sbarco fortunoso a Magnavacca (Porto Garibaldi, località Palazza). La Fattoria è visitabile: al piano terra sono visibili immagini interessanti di Anita e di Giuseppe e materiale iconografico sulla trafila; al primo piano, è stato sistemato il letto dove Anita spirò. Si prosegue verso Sant’Alberto, in via Rivaletto n. 25 dove, all’interno del “Palazzone”- ex fabbrica cinquecentesca è ospitato il Centro Visite del parco del delta del Po. Nell’edificio sono attive due realtà utili per la conoscenza del territorio: il Centro Visite del Parco “Stazione Pineta di San Vitale e Pialasse di Ravenna” e il Museo Ravennate di scienze Naturali. Il Museo di Scienze Naturali nasce nel 1970 - ospitato nei locali della Loggetta Lombardesca di Ravenna - grazie alla raccolta ornitologica donata al Comune di Ravenna dalle sorelle di Alfredo Brandolini, famoso naturalista ravennate. La collezione Brandolini raccoglie gli uccelli della provincia di Ravenna e della Romagna, tutte le specie che dalla via Emilia popolano le pianure, le pinete e le valli fino al mare, a partire dal pettirosso che fu il primo esemplare ad essere imbalsamato dal Brandolini nel 1906. Le nuove acquisizioni hanno ampliato il museo che oggi conserva anche le farfalle diurne e notturne d’Italia con 117 specie, farfalle esotiche, i cerambicidi
delle pinete ravennati, i mammiferi e i rettili del ravennate, le conchiglie dell’Adriatico, di acqua dolce e di terra della Romagna. Vi sono organizzate l’ovoteca, una collezione di uova schedate che possono essere viste dal pubblico, la discoteca, con dischi e cassette su uccelli e di altri animali di ogni continente, l’emeroteca con riviste scientifiche di tutte le parti del mondo. La biblioteca scientifica è dotata di libri antichi e di pregio, dal 1500 ai nostri giorni. Ultima tappa di questo itinerario è il famoso Capanno Garibaldi, seguendo la strada per Marina Romea, in via Baiona. Il Capanno del Pontaccio, che fu luogo di riparo per Giuseppe Garibaldi braccato dagli austriaci durante la sua fortunosa fuga nell’agosto del 1849, per questo motivo viene chiamato Capanno Garibaldi. Oggi la struttura è gestita dalla Società Conservatrice del Capanno Garibaldi. Capanno Garibaldi è facilmente raggiungibile anche dei 9 centri balneari di Ravenna. Terminata la sosta al Capanno, si rientra a Ravenna ( 15 min. circa ). L’intero percorso si può effettuare impegnando una giornata.
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