Fatto a mano

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Reportage dalla provincia di Ravenna al seguito della più antica tradizione dell’artigianato artistico e tipico. Quattro percorsi seguendo i quali si scopre che la raffinata arte decorativa dei ceramisti di Faenza si incrocia con lo splendore delle tessere sapientemente lavorate dai mosaicisti di Ravenna,

Ravenna intorno, Verde, Azzurro, Oro

Fatto a mano

che nelle botteghe degli stampatori romagnoli si mantiene viva la tipica stampa a ruggine e dovunque, dall’Appennino alla costa, dal lavoro di mani sapienti e instancabili nascono opere uniche, di ferro o di legno, create ricamando su tessuti antichi o intessute con erbe di palude, ma anche incise sui metalli preziosi.

eventi dedicati all’artigianato.

Fatto a mano

Il testo offre spunti di approfondimento, suggerimenti bibliografici, notizie utili sulle località toccate dai percorsi e sugli

fatto a mano Maestri e luoghi dell’artigianato artistico e tipico nella provincia di Ravenna

Camera di Commercio della Provincia di Ravenna


Fatto a mano

Progetto grafico

Pubblicazione

Agenzia Image

a cura dell’Assessorato

Art direction

al Turismo

Massimo Casamenti

della Provincia di Ravenna

Impaginazione

e della Camera

Alice Lucci

di Commercio della Provincia

Coordinamento

di Ravenna

Tiziano Fiorini

Coordinamento

Stampa

editoriale

Grafiche MDM, ForlĂŹ

Set Studio di Giovanni e Laura Vestrucci Comitato editoriale CCIAA CNA Confartigianato Provincia di Ravenna

Unione Europea Repubblica Italiana

gennaio 2004



Presentazione

Prosegue e si consolida con questa Guida l’intensa collaborazione fra la Camera di Commercio e la Provincia di Ravenna. Nel caso specifico viene posta una nuova tessera nel complesso lavoro di valorizzazione dell’offerta integrata del territorio. Qui è di scena l’artigianato artistico (mosaico, ceramica, tela stampata, preziosi, artigianato della fantasia, ecc.) che ci prende per mano alla riscoperta dei laboratori divenuti anche occasione per rivisitare le nostre tradizioni, la nostra cultura, i nostri valori, anche nella loro valenza sotto il profilo turistico. Ringraziamo le Associazioni artigiane Confartigianato e CNA che, dopo aver proposto l’iniziativa, ci hanno assistito nella sua realizzazione. Grazie anche all’autrice, Laura Vestrucci, per l’intelligente creatività con cui ha realizzato la Guida. Francesco Giangrandi Presidente della Provincia di Ravenna

Gianfranco Bessi Presidente della CCIAA di Ravenna

Questo viaggio all’interno delle botteghe artigiane rappresenta la “certificazione di qualità” dell’artigianato della nostra terra. Straordinario è il risultato che scaturisce dalla fusione tra la materia sulla quale operano i Maestri artigiani e la genialità con cui essi esprimono la loro manualità. La CNA e la Confartigianato sono grate alla Camera di Commercio e alla Provincia di Ravenna per avere accolto la proposta di realizzare questa pubblicazione ed esprimono il loro apprezzamento a Laura Vestrucci, autrice di grande rigore ed al tempo stesso emotivamente coinvolta. Il ringraziamento più sincero va, infine, a tutti gli artigiani. Essi rappresentano una testimonianza diretta e indiretta di qual è stato il cammino dell’uomo verso la civiltà ed a tutt’oggi costituiscono un solido elemento su cui può poggiare l’economia e la società moderna. Riccardo Ferrucci Presidente provinciale CNA

Lorenzo Tarroni Presidente provinciale Confartigianato


Fatto a mano Camera di Commercio della Provincia di Ravenna

Progetto narrativo e testo: Laura Vestrucci

“ [...] Un creatore può fare solo una cosa, può solo continuare, ecco quello che può fare.” (da “Picasso” di Gertrude Stein, Adelphi)


Indice

5 Introduzione 6, 7 Cartografia 8, 9 Capitolo Primo Ravenna, di mosaico vestita 34, 35 Capitolo Secondo Passaggio a Faenza 66, 67 Capitolo Terzo Una ruggine da non perdere 82, 83 Capitolo Quarto Memoria d’antico 113 Appendice Luoghi da vedere Eventi e sagre 120 Bibliografia


Introduzione

Fatto a mano. È una precisazione che aleggia intorno all’artigiano; nessuna conversazione con lui termina prima che questo inciso, a mo’ di attributo, venga pronunciato. La mano distingue il lavoro, gli attribuisce un valore, quasi un marchio di qualità, esorcizza le nostre paure di massificazione del desiderio di bellezza e di bontà. Ciò che è bello e buono deve essere fatto a mano. L’uomo artigiano, però, non separa la mano dall’idea, anche il più fedele osservante dei canoni di una qualche tradizione di manifattura non ammetterà mai che la sua mano abbia eseguito senza creare. La fisiologia stessa del corpo umano può sostenere questa stretta adesione della mano alla mente che crea. Fatto a mano. E siamo anche risospinti indietro, fino all’infanzia dell’umanità e alla nostra stessa, quando ogni conquista si è ottenuta grazie alla manipolazione di qualche materia e oggetto. Un flashback addirittura inevitabile quando il manufatto ci viene presentato con un pedigree 5 di ineccepibile valore storico. Ma subito, e senza nostalgie, ritorniamo al nostro tempo, difficile, complesso, eppure affascinante, se è vero che oggi si può ancora parlare con persone orgogliose del loro lavoro fatto a mano. Mi ha colpito, come una freccia lanciata durante una breve intervista, rilasciata in occasione delle sfilate di alta moda parigina, nella stagione autunnale 2002, la riflessione dello stilista Christian Lacroix sulla mano, intesa come veicolo di modernità nella creazione artistica. Questo reportage lo conferma, ed è esso stesso una pagina aperta sulla modernità dei mestieri più antichi dell’uomo. Laura Vestrucci


Fe r

ra ra

Conselice > Simbologia della cartina: mosaico ceramica

Bologn

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tele stampate

Massa Lombarda artigianato minore

Sant’Agata sul Sa

Bagnara di Romagna

Solarolo

Castel Bolognese

Riolo Terme Faenza Villa Vezzano Casola Valsenio

Brisighella

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San Martino


Venezia

Sant’Alberto Alfonsine

Fusignano nterno

Mezzano Villanova

Lugo Bagnacavallo

Piangipane

Cotignola

Ravenna

Russi

S. Stefano

S. Zaccaria Cervia

Cesenatico Rimini

Castiglione

Gambettola



Ravenna, di mosaico vestita Guida ai laboratori del mosaico in provincia di Ravenna


Ravenna, di mosaico vestita Guida ai laboratori del mosaico in provincia di Ravenna

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Si viene a Ravenna almeno una volta nella vita e da ogni parte del mondo. A Ravenna, come a Parigi, come a Londra, come a Roma. Si viene richiamati dal fascino di presenze inequivocabilmente uniche. Sono le decorazioni musive conservate nelle basiliche e nei mausolei, in alto, sopra gli altari, sulle pareti absidali e nei perimetri geometrici delle dimore tombali. Si viene e si guarda, il capo alzato verso le volte e le cervici impegnate in semirotazioni. Si guarda e si ascolta la competente parola della guida che racconta, spiega, rivela. Oppure, si guarda e si legge la dettagliata descrizione delle guide cartacee. Durante il tour ci accompagna la discreta, ma costante presenza dei souvenir shop che sono per il turista come un segno distintivo del luogo, meta di flussi turistici di notevole intensità. E, senza l’affanno di accalcarsi nei quartieri più frequentati come tappe del tour, incontriamo i laboratori di riproduzione degli antichi mosaici bizantini o di realizzazione di mosaici moderni che ci offrono l’incontro ravvicinato con i mosaicisti, artigiani e artisti, maestri e discepoli. Se, spinti dal desiderio di portare via con noi un ricordo delle meraviglie basilicali, vorremo acquistare una tavoletta musiva realizzata dalla mano esperta del mosaicista, sarà possibile, anche, domandargli ragione artistica del suo lavoro che conserva il segreto del rapporto tra i materiali,


> µουσειον: la derivazione del termine mosaico ha

le tecniche del loro utilizzo e la luce che, infiltrandosi tra gli alabastri nei siti originali, permette ancora il miracolo della bellezza senza tempo.

suscitato gli interessi

Si può a ragione definire “senza tempo” la bellezza delle opere musive in virtù dei materiali difficilmente corG.Scaligero,G.G.Voss): ruttibili che le costituiscono. Una sorta di eterna pittura, c’è chi cita di aver tro- opera delle Muse come ci suggerisce l’etimologia della vato scritto museum, parola se si ritiene di farla risalire al greco µουσειον. di numerosi studiosi

(A.Furietti,M.Grapaldo,

chi riporta musiacum,

Se, tuttavia, il mosaico si sviluppò in tempi più lunghi rispetto alla pittura vera e propria, dobbiamo forse accettare vi ha visto la radice come motivazione la difficile reperibilità dei materiali di di un vocabolo semita, base. Inoltre la preparazione tecnica del mosaicista era una condizione di partenza per il risultato finale che era soprattutto quando la parola viene usata legato non solo alla scelta dei materiali adatti all’opera, ma anche alla preparazione del fondo su cui le diverse tessere come aggettivo e avrebbero trovato dimora definitiva. potrebbe legarsi al La tessera fu sempre un elemento primario della comtermine semita “Mosè”, posizione, un modulo riproducibile in dimensioni imprevequindi “pertinente a Mosè”. (Ipotesi presen- dibilmente diverse, visto che si giunse a collocarne anche sessantatre nello spazio di un centimetro quadrato (come tate ne “Il Mosaico” nell’opus vermiculatum realizzato nelle più belle ville di I. F. Roncuzzi, romane). Tra una tessera e l’altra l’interstizio aveva la fun- 11 Ed. Longo) zione di collegare ogni singola unità nel contesto globale, era una sorta di facilitatore del risultato finale. Ma il fondo sul quale si giocava la partita tra tessera e interstizio era addirittura il protagonista della creazione musiva. La sua composizione, infatti, avrebbe determinato la tenuta del mosaico nel tempo. L’impresa di portare un mosaico a parete, un mosaico come quelli parietali che ancora oggi ammiriamo nelle basiliche ravennati, richiede un fondo fatto ad arte. A Ravenna, a Firenze, a Roma furono diversi i tentativi e le soluzioni per ottenere un valido e duraturo sostegno ai mosaici. Gli impasti classici o empiricamente creati, i leganti e i chiodi di rame o di bronzo, ma anche di ferro e fili di ferro intrecciati a reticolato ebbero, e hanno tuttora, la funzione di trattenere la composizione musiva, di fissarla alle pareti a tempo indeterminato. E bisogna aggiungere che i mosaici di Ravenna sono assai diversi da quelli di Venezia o di Roma. Nelle chiese e nei palazzi della Serenissima e della Capitale i mosaici risultano lisci e piatti chi museacum, altri

mosiacum. E c’è chi


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per effetto delle tessere usate quasi uniformi e molto regolari. Nel mosaico ravennate, invece, le tessere hanno ciascuna una forma diversa e vengono collocate con inclinazioni e profondità variabili. La superficie risulta, così, scabrosa e ruvida, tale da trattenere o riflettere la luce secondo la posizione dell’osservatore, comunque ribassata rispetto alle pareti absidali o basilicali. Un’attenta osservazione, possiamo chiamarla studio, dei mosaici ravennati durante i restauri ha consentito di constatare come nei vari periodi di epoca bizantina le tessere fossero diverse per forma e spessore secondo l’idea architettonica che guidava il loro utilizzo. Se nel periodo di Teodorico le scene e le figure vengono progettate per coprire grandi superfici esse sono però come contenute in uno spazio definito e l’esecuzione del mosaico risulta molto curata e raffinata, in primis nel taglio dei materiali, smalti e ori, che vengono tagliati spesso a cuneo e smussati per reagire meglio all’accostamento. Il re Teodorico era, poi, assai esigente e voleva egli stesso conoscere i particolari più tecnici dell’esecuzione. Di certo gli artisti all’opera per sua commissione erano stimolati a dare il meglio di sé. E ci sono ancora particolari rintracciabili come totalmente autentici del loro lavoro in monumenti come la bellissima Sant’Apollinare Nuovo. “Qui, ad esempio, in un particolare della lunetta sopra


> Tessere d’oro: si legge nel testo di Isotta Fiorentini Roncuzzi “Il Mosaico, materiali e tecniche dalle origini a oggi”, Ed.Longo, Ravenna 1990: “... i maestri vetrai bizantini applicavano sopra una lastra di vetro di un certo spessore, detta supporto, dopo averla inumidita leggermente, la foglia metallica d’oro. Sopra di essa distendevano un sottile strato di vetro polverizzato e rimettevano nel forno. Al calore la polvere di vetro formava una sottile pellicola vetrosa detta cartellina che proteggeva l’oro. La cartellina non risultava abbastanza trasparente, non si univa completamente al supporto, non era uniforme in ogni punto. Si staccava facilmente lasciando la foglia oro allo scoperto. L’unico pregio era la non uniformità. È questa la caratteristica principale dell’oro bizantino.”

la porta di Ravenna – spiega la professoressa Isotta Fiorentini Roncuzzi – possiamo riconoscere la mano del mosaicista che vi lavorò direttamente creando l’opera di getto e in un solo tempo, su un disegno che era rappresentato nella sua mente come idea trasferita direttamente sulla superficie: un’idea di luce, di colore, di trasparenza e di opacità per un risultato di profondità prospettica.” Quando, all’epoca di Giustiniano, le decorazioni musive diventano addirittura monumentali, inserite in uno spazio architettonico che dilata sapientemente lo spazio, il lavoro del mosaicista assume la responsabilità di ricoprire spazi enormi ed egli è consapevole di dover operare per soddi13 sfare un punto di osservazione assai lontano e ribassato rispetto alla superficie su cui realizza l’opera musiva. La tessera perde il gusto per la forma che aveva caratterizzato altri periodi, è di taglio più grossolano, ha dimensione maggiore. Non è, qui, importante la definizione delle forme, perché esse quasi si dissolvono nella distanza e nella monumentalità del contesto basilicale, e assistiamo al trionfo delle sfumature di colori e dei fondi dorati. Essi, costituiti con tessere d’oro ottenute con un sapiente dosaggio dei componenti chimici della foglia metallica, impegnano il mosaicista a risolvere non pochi problemi come quello del rapporto occhio-visione, in sequela di rigorose leggi fisiche. Bisognava evitare il fenomeno dell’abbagliamento diminuendo la riflettività della superficie d’oro e, nel contempo, si doveva annullare l’effetto uniforme della tonalità. L’abilità del mosaicista si esprimeva anche in sapienti passaggi di zone prive del metallo dorato collocate proprio al limite di alcune figure quasi a creare una linea continua incolore che attenuava l’effetto della luce riflessa dall’oro e definiva meglio la visione del disegno. Ma le tessere dorate avevano anche la funzione di sottolineare l’importanza di un particolare, di un volto, di un edificio. Un esempio per tutti può essere la rappresentazione a mosaico della “Gerusalemme celeste”,


la “città d’oro” che l’Evangelista Giovanni descrive nel libro dell’Apocalisse e che possiamo ammirare nella basilica di San Vitale a Ravenna.

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Le succinte note, quasi pennellate, che fin qui hanno voluto introdurci a qualche segreto dell’arte musiva sono uno stimolo ad intraprendere il percorso vero e proprio attraverso l’opera dei maestri mosaicisti che nella città di Ravenna vivono e operano esportando il frutto della propria sapienza un po’ ovunque nel mondo. I mosaici parietali nelle basiliche e nei monumenti costruiti in epoca teodoriciana e bizantina sono il giacimento al quale la città ha attinto vigore portando motivo ad una schiera di giovani di studiare l’arte del mosaico e di protrarre il tempo della formazione artistica dilatandola fino a diventare la scelta professionale definitiva. Si è creato, dagli anni ’50 del Novecento ad oggi, un flusso quasi ininterrotto di relazioni tra docenti e allievi, con scambi e collaborazioni attraverso le scuole che hanno assolto il compito di trasmettere i fondamenti della conoscenza del giacimento musivo. E dalle scuole senza soluzione di continuità si giunge ai laboratori, luoghi spesso riposti, così bene integrati nell’edilizia urbana residenziale che non è sempre facile individuarli tra le altre postazioni professionali. Ma c’è anche chi ha scelto di allontanarsi dal centro introducendo l’attività di composizione del mosaico nelle aree dedicate agli artigianati che si avvicinano al limite che li separa dalla produzione seriale. Assai spesso questo accade per risolvere problemi di spazio: il capannone artigianale delle nostre periferie è una struttura che consente al mosaicista di impegnarsi anche nella realizzazione di grandi opere. In un loft artigianale ho incontrato il mosaicista Liborio Puglisi, originario di Enna e approdato a Ravenna nel 1968 grazie ad una borsa di studio per il restauro del mosaico per il quale aveva già frequentato tre anni di scuola nella sua città. Dopo un periodo di attività svolta nella centrale via Cavour, Puglisi ha deciso di separare il laboratorio, dove egli realizza sia riproduzioni delle famose scene della


15 tradizione bizantina sia soggetti nuovi da lui ideati, dal negozio, in viale Baracca n. 5. Nel laboratorio, situato ora in via Faentina n. 218/x, il mosaicista tiene anche corsi di mosaico sia professionali sia per appassionati dell’arte. I gruppi di turisti che vogliono una dimostrazione del procedimento di costruzione del mosaico possono ottenerla prendendo un appuntamento telefonico. Di Puglisi dobbiamo segnalare l’ideazione di un kit per il mosaicista hobbista. Tra le sue opere di recente realizzazione, la rotonda realizzata a Riccione nel 1999 è incentrata sulla simbologia dei quattro elementi materiali, aria, acqua, terra e fuoco. Per associazione di provenienza dell’artista artigiano, possiamo spostarci nel centro città e precisamente in via di Roma, al n. 30/a, dove ha sede lo studio laboratorio di un altro siciliano trapiantato a fare mosaici a Ravenna. Enzo Scianna, di Palermo, si trasferì a Ravenna negli anni ’70 del Novecento, proveniente dall’esperienza della pittura e da un tour che lo condusse in molte regioni italiane e in paesi europei. A Ravenna ha poi sviluppato la sua passione per il mosaico al punto da lasciare la pittura. Ma di essa restano, forse, tracce nelle sue opere che si distinguono per la forza espressiva. Nell’esposizione, che precede il locale laboratorio in via di Roma, si trovano proposte


> Cooperativa Mosaicisti di Ravenna: le origini si fanno risalire all’anno 1924 quando venne istituita la Scuola del Mosaico dell’Accademia di Belle Arti di Ravenna per desiderio e grazie all’impegno del diret-

16 tore V. Guaccimanni. Nel primo dopoguerra la scuola, premuta da numerose commesse esterne, riconobbe di non avere le risorse umane per fronteggiarle, sicché si costituì il Gruppo Mosaicisti dell’Accademia delle

di arredo, mosaici moderni spesso in collaborazione con artisti contemporanei e non mancano le riproduzioni dei famosi temi della tradizione bizantina. Rimaniamo su questo argomento, ovvero la riproduzione dei grandi mosaici del passato conservati a Ravenna e per approfondirlo restiamo nell’area urbana del centro storico dove lavorano mosaicisti che si distinguono anche per la realizzazione di copie. Dire – anche – non è privo di importanza, perché tra tutti coloro che dedicano la loro professionalità al mosaico è difficile trovare chi non abbia, in qualche modo e dopo il periodo della propria formazione, rivolto la propria attenzione al patrimonio conservato tra le mura monumentali. Allo stesso modo si può affermare il contrario, perché è altrettanto difficile trovare chi non abbia in qualche misura tentato la strada della ricerca personale, realizzando una produzione artistica originale forse meno nota di quella riproduttiva. Le due anime del mosaicista, quella artigianale e quella artistica, in definitiva sempre convivono e possono alternativamente ottenere visibilità attraverso le scelte che il mosaicista stesso opera durante il proprio curriculum. Abbiamo un esempio di questo nell’incontro con la Cooperativa Mosaicisti di Ravenna che ha sede in via Fiandrini, nel basso edificio che fronteggia l’ingresso all’area monumentale di San Vitale. Questa, presso la Cooperativa, è una tappa da prevedere e da prenotare per ottenere anche notizie di interesse storico che l’attuale presidente, Marco Santi, può documentare.

Belle Arti che ebbe

Le realizzazioni curate dai mosaicisti soci dell’attuale cooperativa esprimono tre fondamentali direttrici che nel settore possono essere separatamente seguite, ma qui, tra scuola e bottega prevedeva che fossero grazie alle diverse competenze della equipe, convivono assunti solo studenti egregiamente: la fattura di copia dei mosaici bizantini conservati in Ravenna, la creazione di mosaici moderni, su provenienti dalla cartoni di artisti, il restauro eseguito in diverse località stessa Accademia. italiane ed estere. Le copie o riproduzioni degli originali Successivamente, nel 1976, la bottega si eseguite dalla Cooperativa Mosaicisti, così come quelle slegò dall’Accademia che ogni altro mosaicista esegue nel suo laboratorio, e si costituì l’attuale hanno il grande merito di far conoscere il patrimonio di valore inestimabile fuori dai confini municipali. Sebbene Cooperativa. da numerosi decenni il mondo si sia mosso verso Ravenna per conoscere il giacimento musivo, tuttavia è stato grande come direttore il

Salietti. La convenzione


il contributo dei mosaicisti esecutori delle copie per incrementare questa conoscenza. L’iniziativa che le riassume tutte è quella che portò all’organizzazione di una vera mostra itinerante agli inizi degli anni ’50 del Novecento, composta da 200 copie di mosaici ravennati eseguiti dalla stessa Cooperativa Mosaicisti. > Mostra itinerante: la collezione delle copie dei mosaici antichi fu prodotta all’inizio degli anni ’50 su iniziativa del Prof. Giuseppe Bovini e con il patrocinio del Rotary Club e della locale Azienda di Soggiorno e Turismo, per promuovere nel mondo la conoscenza di Ravenna e del suo patrimonio musivo. Esecuzione della copia: di ogni pezzo fu eseguito il disegno esatto e completo dei contorni su di un lucido trasparente, applicato ai mosaici originali. In secondo luogo si fece la campionatura di tutti i colori, diversamente graduati, e si ordinarono presso le Vetrerie di Murano le piastre vetrose che, dopo il taglio manuale, avrebbero dato un numero considerevole di tessere. Il metodo di esecuzione del mosaico era detto “diretto su base provvisoria” (un letto di calce su cui era stampato il lucido) ed era poi strappato, pulito e ricollocato nella definitiva sistemazione. Il Prof. Giuseppe Bovini scriveva nel 1962: “Questo lavoro non si limita alla riproduzione esatta delle singole tessere nei loro contorni e nei loro toni cromatici, ma si estende anche al rendimento della originaria inclinazione 17 e profondità che impresse loro il pollice degli antichi “magistri musivari”. La Cooperativa Mosaicisti vanta anche una autorevole esperienza nell’esecuzione del cosiddetto “mosaico moderno” cosa resa possibile dalla capacità di creare un legame tra la tradizione e il modernismo pittorico. Le opere nate da questa esperienza si sono avvalse della collaborazione con artisti di chiara fama come Chagall, Guttuso, Campigli, Severini e altri dei quali si sono tradotti in mosaico i cosiddetti “cartoni” privilegiando sempre la scelta dei materiali della tradizione e le tecniche rigorosamente artistico-artigianali. Siamo giunti così alla sezione di atti-


vità dedicata al restauro del mosaico che impegnò la Cooperativa già dal periodo postbellico nell’intento di intervenire tempestivamente a sanare i mosaici danneggiati dai bombardamenti. > Cartoni: sotto la direzione dell’attuale presidente, Marco Santi, si è realizzata la trasposizione a mosaico del cartone di Sharir (1995). L’opera, di mt. 4,10 x 18, destinata al Complesso dirigenziale del Shalom Mayer Tower Ltd di Tel Aviv, raffigura l’intera città di Tel Aviv, con i suoi settori, i mestieri, le istituzioni, i personaggi. L’esecuzione dell’opera ha richiesto l’utilizzo di un elevatissimo numero di materiali organici e inorganici, marmi, 18 smalti e ori. E’ in fase di realizzazione il mosaico sui cartoni dell’artista calabrese Gisa D’Ortona, che opera in stretta collaborazione con il coniuge, lo scultore ed esperto d’arte, Michele di Raco. L’opera verrà collocata nella Chiesa di Santa Lucia a Reggio Calabria e occuperà un’area di 130 metri quadrati. La scelta dell’artista è quella di operare secondo le tecniche tradizionali, con tessere tagliate a mano e materiali preziosi. > Restauro: il restauro eseguito nei primi anni ‘50 dai soci della Cooperativa Mosaicisti fu guidato dall’Architetto Orlandini dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, il quale impostò la tecnica basata sul distacco della tessitura musiva dalle pareti e la sua ricollocazione in sito dopo averla liberata dai supporti sottostanti utilizzati dai restauratori precedenti. La tecnica del distacco venne in seguito abbandonata per i mosaici parietali per i quali si sono intraprese metodiche di documentazione e di intervento che prevedono la collaborazione attiva di ricercatori per supportare anche la scelta dei materiali più idonei al successo dell’intervento. Il CNR-IRTEC di Ravenna è partner della Cooperativa Mosaicisti. All’epoca il restauro era eseguito in modo separato dagli operatori della cooperativa, quasi degli “operai” che eseguivano il lavoro manuale assistiti, ma sporadicamente, dall’intervento di studiosi come il Bovini che salivano sulle impalcature, controllavano i lavori e ne traevano spunto per elaborare qualche pezzo teorico. Il lavoro del restauro, poi, non era documentato, per cui


ne restano solo frammentarie testimonianze, soprattutto appunti che lo scrupolo degli “operai” di certo appassionati e incuriositi ci ha conservati. La Cooperativa Mosaicisti svolge corsi per l’apprendimento dell’arte del mosaico anche per hobbisti che ne vogliano conoscere le tecniche di base. Ci si può rivolgere in via Fiandrini per le iscrizioni. La didattica del mosaico è molto viva in Ravenna e tra i mosaicisti è facile trovare quelli che, come nella Cooperativa, organizzano corsi all’interno del proprio laboratorio. In genere si tratta di brevi periodi, una settimana o quindici giorni, frequentati principalmente da allievi stranieri. Il fascino del mosaico è molto sentito in paesi come il Giappone o gli Stati Uniti ma anche nelle nazioni europee come la Germania e la Francia. Per gli hobbisti, il fatto di produrre un oggetto di mosaico e di poterlo conservare è già una motivazione sufficiente e, comunque, l’esperienza è replicabile. Ancor più forte sarà la motivazione a frequentare un laboratorio, sotto la guida di un maestro mosaicista, degli studenti regolarmente iscritti ai corsi negli Istituti di formazione all’arte del mosaico. Il passaggio dalla fase teorica, seppur appresa dall’insegnamento di ottimi docenti e dalla pratica vissuta nei labo- 19 ratori scolastici, all’esperienza diretta nel laboratorio privato guidato da un maestro mosaicista, è una prova ineliminabile prima di passare alla conduzione di una propria attività nel settore. Tra gli studi-laboratorio che offrono corsi di avviamento e avanzati segnaliamo anche “Belkis” di Marisa Iannucci, in via dei Poggi n. 80, dove le lezioni (da settembre a maggio, settimane full time o moduli trimestrali) spaziano dal disegno e dal corso d’arte al corso specifico sul mosaico e sulla scultura, che utilizza inserzioni musive. La mosaicista realizza opere legate all’edilizia e all’architettura sia in edifici pubblici che privati e, seppure in minima parte, si dedica al tema bizantino.


> Istituti. A Ravenna si può apprendere l’arte del mosaico nei seguenti corsi istituzionali: ISTITUTO STATALE D’ARTE PER IL MOSAICO G. SEVERINI

Fondato nel 1959 si è inserito nella città come elemento di continuità con la grande tradizione dell’arte musiva che ha lasciato in eredità a Ravenna opere di valore universale. Qui gli studenti dalla più semplice azione di copisti, diventano loro stessi esecutori di cartoni-progetti personali. Lo studio delle discipline ha l’obiettivo di trasmettere capacità critiche e costruttive che consentano allo studente di destreggiarsi nel continuo moto di trasformazione tecnologica della società. Due corsi: Corso ordinamentale, Corso sperimentale. Corso ordinamentale: durata 3 anni con il conseguimento del Diploma di Maestro d’Arte (il diplomato può intraprendere un lavoro autonomo o inserirsi in industrie e laboratori artigiani o come disegnatore in uffici di enti pubblici). Se si frequenta in seguito il Corso Biennale si consegue la Maturità d’Arte Applicata (3+2) e si può accedere a tutte le facoltà universitarie. Corso sperimentale di “Arte e restauro del mosaico”: durata 5 anni con il conseguimento della Maturità d’Arte applicata Sperimentale. Il diploma di maturità dà accesso a tutte le facoltà universitarie e ad altri corsi superiori (Accademia, Cinematografia, Scenografia, Pubblicità) 20 e consente di inserirsi in industrie o uffici pubblici oltre che svolgere una professione artistica. ACCADEMIA DI BELLE ARTI

È stato istituito un percorso formativo sul mosaico che risponde alla vocazione storica della città. Si vuole instaurare un’attività musiva di arredo urbano o di intervento espressivo che rispecchi il potenziale di modernità insito nell’antichissimo linguaggio dell’arte del mosaico. CONSORZIO PROVINCIALE PER LA FORMAZIONE PROFESSIONALE

Corso annuale per mosaicista-progettista: durata 6 mesi. Ore di lezione da 700 a 1.000 (con i migliori mosaicisti ravennati e con valenti tecnici). Stage aziendale 150 ore. Visite guidate in località di inte-


resse quali Pompei, Aquileia, Tunisia. Discipline: storia del mosaico, disegno e fotografia, rilievi grafici e gestione informatizzata delle immagini, chimica e mineralogia dei materiali, marketing e autoimpresa. SCUOLA-BOTTEGA

Ha sede presso il CPFP ed è stata aperta per volontà del Comune di Ravenna, del Centro stesso e con il sostegno di una Fondazione Bancaria per promuovere l’arte del mosaico e il polo ravennate sia a livello della qualità della produzione sia a livello turistico e culturale. Ogni anno la scuola bottega intraprende un progetto che spesso si inserisce nel contesto dell’arredo urbano o dell’ architettura civile. 21 Vocazione primaria della scuola bottega è la realizzazione di copie dell’antico repertorio romano, bizantino e medievale (realizzazioni della S.B: “Pavimenta”, mostra didattica sulle diverse tipologie del mosaico pavimentale; collezione delle copie dei mosaici di S.Giovanni Evangelista). Corsi estivi settimanali (CISIM): dedicati a principianti sono anche un’occasione di avanzamento e di perfezionamento, presso il Centro Internazionale Studi Insegnamento Mosaico di Lido Adriano. Si tengono anche nel periodo non estivo con un massimo di 8 iscritti per settimana. Le iscrizioni sono accettate se pervengono una settimana prima di quella scelta per il corso. SCUOLA PER IL RESTAURO DEL MOSAICO

Gestita dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Ravenna: corso quadriennale (3+1) con frequenza obbligatoria al quale si accede per pubblico concorso. Il numero annuale degli iscritti è contenuto entro le nove unità, di cui sei cittadini italiani e tre stranieri di età compresa tra i 18 e i 30 anni e con diploma di scuola secondaria superiore (livello corrispondente per gli stranieri). Il bando del concorso viene pubblicato annualmente sulla Gazzetta Ufficiale. Le discipline: storiche, tecniche, chimiche, fisiche, biologiche, della documentazione, della tutela e del restauro dei beni Culturali. Laboratori: del restauro del mosaico, del restauro lapideo, di scagliola, gesso e stucco.


La disponibilità del mosaicista ad accogliere nel proprio laboratorio persone nella fase dell’apprendimento laureata in Chimica o in quella dell’approfondimento è un fattore di salvezza Industriale a Bologna. dell’arte, perché mantiene vive quelle relazioni che sono il concime di ogni espressione artistica, relazioni tra maestro Incaricata del corso e discepolo e tra etnie diverse e logisticamente lontane, ma di Chimica del Colore appassionate della stessa forma artistica. presso l’Accademia di Belle Arti di Ravenna. Non è casuale che a Ravenna abbia sede l’Associazione Incaricata del corso Internazionale del Mosaico Contemporaneo, di cui fanno di Chimica del parte 40 paesi, alla cui presidenza è stata per alcuni Restauro presso la decenni, e fino a pochi mesi fa, la professoressa Isotta Fiorentini Roncuzzi, ravennate, autorità indiscussa nel Soprintendenza mondo del mosaico al quale ha dedicato la propria compeper i Beni Ambientali e Architettonici tenza sui materiali grazie agli studi in Chimica Industriale. di Ravenna-Ferrara-Forlì. E ancora lo frequenta con la passione di chi conosce veraDocente di Scienze mente tutto ciò che nel mondo si chiama mosaico. al Liceo Classico di L’incontro con Isotta Fiorentini Roncuzzi presso Ravenna. il Museo della Città dove ha sede l’AIMC (Associazione Ha insegnato Internazionale del Mosaico Contemporaneo) è l’occasione all’Accademia di Belle per fare un rapido viaggio attraverso la storia dell’arte Arti di San Pietroburgo. musiva a Ravenna che si configura come una grande opera Insegna anche nei corsi ancora in fieri, un mosaico essa stessa sul quale si sono del Consorzio Provinciale avvicendati gli interventi dei grandi insegnanti e artisti… 22 di Formazione e scorrono velocemente i nomi di Ines Morigi, Cicognani, Professionale di Ventura, Brunetti, Signorini e Recchi dai quali hanno appreso Ravenna e collabora l’arte i mosaicisti contemporanei di cui andiamo scoprendo con il CNR. Interviene qualche segreto in questo tour cittadino. > Isotta Fiorentini Roncuzzi:

con corsi di lezioni presso Università italiane e straniere e tiene conferenze in Italia e all’estero. Ha di recente ceduto la presidenza dell’AIMC di cui è attualmente vice presidente.

E mentre ci apprestiamo a ritornare tra le strade di Ravenna apprendiamo da Isotta Fiorentini che è in fase di realizzazione il progetto, all’interno del Museo D’Arte della Città, di una sala dedicata al mosaico antico e contemporaneo con l’utilizzo delle moderne tecnologie che consentiranno un excursus multimediale e il collegamento con altri musei nel mondo. È un’operazione virtuale, quest’ultima, che rispecchia


23 la dinamica reale della diffusione dell’arte musiva: da Ravenna nel mondo e viceversa. A conferma di ciò andiamo a conoscere altri protagonisti. Alessandra Caprara conduce uno studio-laboratorio in via Mariani n. 9. Siamo ancora nel centro di Ravenna e non troviamo alcuna vetrina. Un imponente portone di legno, assai diffuso nelle case del centro storico, ci introduce nell’atrio che separa alcuni ambienti al piano terra dove la mosaicista progetta, lavora e tiene corsi di apprendimento. Dopo gli studi compiuti al Liceo Artistico di Ravenna e proseguiti all’Accademia di Belle Arti, Alessandra Caprara ha intrapreso la produzione di piccoli e grandi lavori di copia del mosaico antico eseguiti nel rispetto delle tecniche tradizionali. “Qui tutto è tagliato a mano”, precisa mentre mi conduce nella sala-laboratorio dove due mosaiciste sono al lavoro. Una è la figlia, la seconda generazione di artista, ma c’è una giovanissima e promettente nipote che lascia già disegni appesi nelle pareti dello studio. Il taglio a mano dei materiali che la mosaicista sta facendo con la classica e indispensabile martellina è un gesto che sarà ripetuto un numero indefinibile di volte per portare a termine l’opera su cui si sta lavorando in questo laboratorio. “È un pavimento che sarà collocato in una chiesa del Massachusetts, negli U.S.A.” – spiega Alessandra Caprara,


24 e fa scorrere lentamente il cartone dipinto che riproduce a grandezza naturale il disegno di scene dell’Antico Testamento. Tutto il cartone è avvolto in un grande rullo appeso in alto sul soffitto, e le mosaiciste lo fanno scorrere verso il pavimento per realizzarlo, pezzo dopo pezzo, sul bancone di lavoro con le tessere appena tagliate. “È un lavoro che ci impegnerà per almeno cinque anni; dopo il pavimento realizzeremo per l’abside un Cristo in Gloria. Sono impegnata in viaggi periodici sul posto, sia per controllare i lavori di posa sia per istruire un gruppo di allievi del Massachusetts che lavorano nella loro città, ma che in alcuni periodi vengono qui, a Ravenna, per un ulteriore addestramento”. Se questa opera è stata commissionata da una comunità religiosa, ci sono anche singoli appassionati che desiderano avere nelle proprie residenze un’opera di valore come quella realizzata con il mosaico. Quasi tutti i mosaicisti attivi a Ravenna sono impegnati sia sul fronte di opere di interesse pubblico, sia sul fronte di commesse private. La grande risorsa, il valore aggiunto di un’opera realizzata con il mosaico è anche la sua versatilità che le consente di accostarsi ad altre discipline, di applicarsi, come comunemente si dice, all’arte pittorica, alla scultura, all’architettura, alla rappresentazione drammatica attraverso le sce-


nografie. I grandi artisti hanno spesso privilegiato il mosaicista come partner nella realizzazione di opere di pregio. Ravenna ci offre numerosi esempi di queste connessioni. In pochi minuti di cammino dalla via Mariani ci spostiamo in via L. Negri, al numero 14 per incontrare un’altra ottima allieva dei grandi maestri ravennati, e oggi valente mosaicista, Luciana Notturni, il cui know how si arricchisce di un’attività rara e preziosa per il mondo del mosaico, quella del restauro. Il curriculum di Notturni esprime bene il possibile legame del mosaico con altri mondi artistici, e per averne conferma basti consultare il suo sito web: la mosaicista compare in due foto di repertorio in compagnia del regista Michelangelo Antonioni e del Maestro Riccardo Muti; nella terza foto, alle sue spalle un quadro a mosaico, il premio Nobel Dario Fo. La cronaca raccontata da queste foto è quella di collaborazioni realizzate, insieme con un team di maestri mosaicisti ravennati, nell’ambito della manifestazione “Ravenna Festival”, ideata e presieduta da Maria Cristina Mazzavillani Muti. > I mosaici e Ravenna Festival: “… il percorso parte nel 1991 con un mosaico “musicale” di Gino Severini, realizzato dagli allievi dell’Istituto d’Arte per il Mosaico. Nel 1992 Ravenna Festival presenta “Musive”, 25 7 fontanelle di mosaico realizzate da altrettanti studi cittadini (Arte e lavoro, Alessandra Caprara, Cooperativa Mosaicisti, Silvana Costa, Luciana Notturni, Il Mosaico, Akomena). Nel 1995 la stupenda “Chambre turque” di Balthus, realizzazione di PROMO MOSAICO, con la direzione artistica di Ines Morigi Berti, il coordinamento tecnico di Marco de Luca; gli artisti protagonisti sono A. Caprara, S. Costa, L. Notturni, A. Racagni, F. Nittolo e P. Racagni. Nel 1998 si presenta la realizzazione musiva de “Le montagne incantate” di Michelangelo Antonioni, ad opera di L. Notturni, A. Caprara, S. Costa, D. Strada e con la direzione artistica del maestro Renato Signorini. Nel 1999 la città di Beirut ospita la fontana in mosaico “Ardea Purpurea” ideata e realizzata dal maestro Marco Bravura. Una sua copia sorgerà a Ravenna ancora opera di Bravura, a testimonianza delle “Vie dell’Amicizia” intraprese da Ravenna Festival. Da “Le montagne incantate” di Michelangelo Antonioni, a “La Chambre turque” di Balthus sono grandi realizzazioni che la mosaicista esegue senza abbandonare la sua principale attività che è quella di docente esperta del restauro presso la Scuola di Restauro del Mosaico di Ravenna, unica scuola al mondo, (dipendente dalla Soprintendenza dei Beni Ambientali ed Architettonici) che assolve il compito di formare una generazione di restauratori di cui l’universo mosaico ha forte necessità. Dal 1970 è attivo il Mosaic Art Studio, crocevia di incontri e di colla-


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borazioni che la Notturni instaura con artisti, architetti e designer di fama internazionale e dove, previo appuntamento, è possibile incontrarla. Prima di salutarla cogliamo dalle sue parole il segno di un profondo legame con la sua città e il suggerimento che l’arte dei maestri mosaicisti ravennati sia considerata, anche dagli amministratori locali, un valore aggiunto nella progettualità che viene rinnovando l’assetto dell’arredo urbano. La frequentazione del centro storico di Ravenna ci consente di individuare anche i laboratori dove si è fatta più apertamente la scelta commerciale comunque caratterizzata dall’offerta di oggetti che esprimono un forte legame con i temi della tradizione, ai quali si accompagna una produzione più moderna orientata al complemento d’arredo o anche all’oggetto-souvenir che non guasta mai in una città percorsa continuamente da gruppi di turisti e da scolaresche . In via Rossi, al n. 8, a poche centinaia di metri da piazza del Popolo, si apre la vetrina di “Mo’zaiko”, laboratorio e negozio condotti da Elisa ed Elena Biondi che hanno iniziato l’attività subito dopo il compimento degli studi artistici, rispettivamente nell’Istituto D’Arte e nel Liceo Artistico di Ravenna. “Abbiamo cominciato con un piccolo laboratorio in un garage adibito – racconta Elisa – dove si lavorava per preparare una mostra ogni anno, ma nel periodo estivo il lavoro presso un bar cittadino ci permetteva di avere i mezzi per acquistare i materiali indispensabili alla costruzione dei mosaici. Nel 1999 abbiamo scelto di dedicarci esclusivamente al mosaico e abbiamo aperto questo locale”. Qui la produzione si differenzia in oggetti di ceramica, opere di Elisa, e in mosaici realizzati da Elena. Alcuni progetti prevedono, però, la fusione delle due arti. La collocazione del negozio, così centrale, suggerisce alle due sorelle di creare ogni anno una nuova linea di manufatti giusti anche per il turista di passaggio in città, come piccoli oggetti da regalo creati con fantasia, ma anche le riproduzioni dei mosaici antichi. Da via Rossi, percorrendo via Cavour, raggiungiamo in via Argentario, al n. 5, le vetrine di “Annafietta” che dedica un ampio spazio alla vendita di tutto quanto occorre all’hobbista per costruire un mosaico. È un’idea ben contestualizzata per la vicinanza ai monumenti del complesso di San Vitale. Nel piccolo atelier annesso, si confezionano alcuni degli oggetti che poi vengono messi in vendita. È ricorrente il tema dello specchio con cornice mosai-


27 cata che viene proposto in diverse dimensioni e colori. Spiccano, per la cornice impreziosita da un sapiente gioco di tessere, gli specchi, qui esposti per la vendita, di un’altra mosaicista che ha un suo laboratorio in zona più riposta del centro città, in via Rossi n. 35. Si tratta di Dusciana Bravura, figlia del maestro mosaicista Marco Bravura. Dusciana ha già segnate nel suo curriculum alcune tappe importanti, partecipazioni a collettive di giovani e mostre personali, quali “Specchio delle mie brame”, al Palazzo delle Prigioni di Venezia, nel 2001, e la “Biennale Postumia Giovani” a Mantova, nel 2002. Dopo il percorso scolastico nell’Istituto d’Arte per il mosaico di Ravenna e nell’Accademia di Bologna, Dusciana approda nel 1987 alla collaborazione con il padre che sta costruendo opere di arredo urbano come le fontane (sono “Fontana della Chiocciola” e “Fontana del Tappeto Sospeso”). Accettiamo la provocazione che ci viene dall’aver incontrato la figlia, per giungere al padre; vogliamo infatti mantenere vivo il senso dell’incontro con gli artigiani e con gli artisti attraverso il suggerimento della città stessa. Di Marco Bravura, che vive e lavora in una grande casa immersa nella campagna lungo la strada Faentina di Ravenna, ci insegue la fama un po’ ovunque durante questo percorso dedicato al mosaico. Sebbene, dopo


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gli studi iniziati all’Istituto d’Arte per il Mosaico di Ravenna e completati all’Accademia di Venezia, egli sia rimasto nella Serenissima per diversi anni, tuttavia, al suo rientro a Ravenna con l’apertura di uno studio di mosaico, il suo reinserimento nella città di origine è segnato dal flusso ininterrotto della creatività che si incontra anche, felicemente, con quella del poeta Tonino Guerra. Inizia una collaborazione tuttora in atto tra i due artisti; Bravura non rinuncia mai alla scelta, che è una necessità artistica, di essere non un ottimo esecutore di progetti altrui, bensì di consentire al mosaico soprattutto come progettista che esprime la sua idea dell’opera e la realizza integralmente. “Il mosaico avrà un senso compiuto quando sarà insostituibile come tecnica; – afferma Bravura – questa è stata la mia esigenza fin dall’esordio, ridare al mosaico la sua caratteristica che è l’essere insostituibile”. Nascono così le grandi opere pubbliche da lui progettate e realizzate in Italia e all’estero. Ricordiamo per il turista della terra di Romagna le fontane: “Fontana del Tappeto Sospeso” a Cervia, “Fontana Parco Franco Agosto” a Forlì; con la “Fontana della Chiocciola” siamo invece a S. Agata Feltria e all’estero, a Beirut, è stata costruita “Fontana Ardea Purpurea” che avrà, in Ravenna, quasi una gemella nella monumentale “Ardea Purpurea” in via di realizzazione in collaborazione con la Scuola Bottega del Centro di Formazione Professionale. Ravenna si è potuta avvalere anche dell’acquisizione fatta dall’Amministrazione Provinciale, della splendida “Bambola Orientale”del Maestro. Restiamo sulla Faentina Sud dove, al n. 2, in prossimità di Russi, ha sede il laboratorio di Silvana Costa, mosaicista con un curriculum di poetessa e di performer, le cui opere sono presso collezionisti privati, in Italia e all’estero, e in collezioni pubbliche presso alcuni comuni di Romagna


29 (Ravenna, Cervia, Russi, Bagnacavallo, Forlì). L’intento artistico di Costa sta nel volere rinnovare il potenziale linguistico del mosaico liberandolo dalle regole, farlo apparire altro da sé, unirlo a materiali associabili, come la ceramica, ma anche ad altri addirittura improbabili come spugna, polistirolo, cocci di bottiglia. È responsabile della Scuola per il Mosaico di Cervia dove si tengono corsi durante tutto l’anno, naturalmente anche in estate per i turisti, e per persone di diverse fasce di età. Se un gruppo desidera incontrare Silvana Costa dovrà fissare con lei un appuntamento telefonico. Dalla conoscenza dei mosaicisti ravennati abbiamo tratto la consapevolezza dell’importanza dei materiali che essi usano per realizzare le loro opere, le famose tessere vetrose e gli smalti, e più di uno ci ha suggerito di inoltrarci nella campagna della bassa ravennate, a S. Alberto, dove è attivo il laboratorio di Vittorio Bulgarelli. Qui si producono l’oro e altri metalli preziosi, come il palladio, per il mosaico e tutto è pronto anche per gli smalti. La decisione di cimentarsi in questo settore assai importante è stata presa da Bulgarelli dopo un lungo tirocinio fatto grazie alla sua primaria esperienza di ceramista che lo ha sensibilizzato ai processi termici e alle trasformazioni vetrose. Il brevetto


30 Bulgarelli consente di produrre oro per mosaico senza mandare i materiali in sublimazione, evitando emissioni inquinanti e sintetizzando in un’unica fase il procedimento di doratura, di fusione dei vetri e di tempera. Il processo è già sperimentato anche per gli smalti. C’è una certa attesa nel mondo ravennate del mosaico intorno a queste nuove produzioni, il luogo di provenienza dei materiali vetrosi è sempre stato, infatti, il distretto di Murano, a Venezia, e in particolare le famose ditte Orsoni e Donà. A S. Alberto si coglie l’occasione per conoscere le creazioni di Gatti Elisa che nel suo atelier “Arredo Mosaico”, in via Olindo Guerrini n. 70, può ricevere anche gruppi di turisti in visita. I suoi complementi di arredo (centro-tavola di diverse forme e dimensioni, orologi, specchi, tavolini) sono spesso caratterizzati dall’utilizzo della pietra avventurina, una pietra di sintesi elaborata a Venezia dal ‘600, luminosa e ricca di riflessi e colori solari. Il lavoro di questa mosaicista vuole realizzare una sintesi intelligente tra la tradizione e il gusto moderno. Per restare nell’area esterna alla città, e precisamente nella campagna ravennate ricca di centri rurali, si può raggiungere la frazione di Piangipane, in prossimità di Mezzano, dove ha sede il laboratorio di Salvatore Palazzolo, ovvero


“Domus Aurea”, in via Maccalone n. 52. È una tappa consigliata a quanti intendono superare l’esperienza del complemento d’arredo e sono disponibili a realizzare nella propria abitazione rivestimenti sia delle pareti, sia dei pavimenti. Negli ambienti di Domus Aurea, dove tre maestri mosaicisti mostrano in diretta il processo di esecuzione dei mosaici da rivestimento, si trova un’ampia mostra delle composizioni musive, su disegni classici e moderni, per i diversi ambienti della casa. Salvatore Palazzolo, imprenditore, ma anche ideatore dei decori che vengono qui riprodotti, esporta il nome di Domus Aurea in molte regioni d’Italia e in alcuni paesi esteri dove i suoi mosaici sono installati in dimore private, hotel, chiese, locali del divertimento e della ristorazione. I turisti, anche organizzati in gruppi, possono prenotare una visita del laboratorio. L’ultima tappa di questo percorso si preannuncia come esperienza non usuale, pur essendo perfettamente inserita nel tema del mosaico, in quanto ci offre un’approccio con l’arte musiva che supera il senso della vista e ci spinge a desiderare un contatto tattile con alcuni oggetti. Siamo a San Zaccaria, località immersa nella campagna ravennate, 31 ma molto in prossimità con il confine provinciale verso Forlì. A San Zaccaria vive e lavora Francesca Fabbri che ci sorprende per la capacità di creare con il tessuto musivo ciò che normalmente si crea con i tessuti veri e propri: tappeti, sedie, poltrone dalla morbida seduta, divanetti. La scelta artistica della Fabbri, dopo il primo diploma nel 1982 ed il secondo nel 1987, si orienta alla ricerca e alla sperimentazione contemporanea nel campo del design e dell’architettura d’interni. Affiancata dalla consulenza artistica di Giuliano Babini e in collaborazione con alcuni grandi architetti (Ugo La Pietra, Ettore Sottsass, Adolfo Natalini e altri) e designers, Francesca Fabbri porta nel mondo il


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nome del suo “Akomena, Spazio Mosaico” dove realizza vere e proprie collezioni in serie limitata di tavolini, “Du-Du”, “Tavolini di Mabel”, e “Tappeti di pietra” insieme con l’intrigante “Sassoft” (pouf, poltrone, divani e chaise longue). Di grande impatto visivo e, si vorrebbe, tattile, la Scultura Funeraria per la sepoltura di Rudolf Nureyev a Sainte Genevieve sou Bois, a Parigi. La visita presso Akomena è consigliata solo a gruppi molto motivati e ben organizzati e solo dopo aver fissato un appuntamento. Si conclude all’insegna dello stupore questo breve viaggio nel mondo del mosaico che non dà tregua alle esperienze dei visitatori; dopo il tour tra i magnifici monumenti essi potranno scegliere alcune delle nostre proposte di laboratori e ateliers, per soddisfare la propria curiosità di certo accresciuta dall’osservazione dei capolavori antichi. Ravenna, di mosaico vestita, stupisce il mondo anche per la sua abilità di rinnovarsi nella tradizione.


Le aziende da incontrare

Akomena Spazio Mosaico di Fabbri Francesca via Ponte della Vecchia 27 San Zaccaria tel. 0544/554700 Lavorazione artistica di mosaico. Arredomosaic di Gatti Elisa via O. Guerrini 70 Sant’Alberto tel. 0544/528714 Produzione di oggetti di arredamento. Belkis di Marisa Iannucci via dei Poggi 80 Ravenna tel. 0544/66007 Produzione di decori e di complementi di arredo in mosaico. Cooperativa Mosaicisti Ravenna Soc. Coop. a R.L. via B. Fiandrini Ravenna tel. 0544/34779 Esecuzioni lavori in mosaico. Dimensione Mosaico di Cangini Claudia Maria via Ricci Curbastro 12 Fornace Zarattini tel. 0544/502493 Produzione mosaico. Domus Aurea di Palazzolo Salvatore via Maccalone 52 Piangipane tel. 0544/417329 Produzione e vendita mosaico. Mo’ Zaiko di Biondi Elisa via G. Rossi 8 Ravenna tel. 0544/213365 Mosaici, ceramiche e oggettistica. Moman Sas di Fabbri Francesca & C. via M. Monti 12 Zona Bassette tel. 0544/554700 Produzione mosaico. Mosaic di Lodoli Barbara via Arg. Ds. Canale Molino 39 San Bartolo tel. 0544/497228 Produzione mosaico.

Mosaic and Mosaic di Sbrighi Massimo & C. via Canala 75/79 Ravenna tel. 0544/502666 Produzione mosaico artistico. Mosaici antichi e moderni di Caprara Alessandra via Mariani 9 Ravenna tel. 0544/35448 Mosaicista. Restauro di opere d’arte. P. R. P. Restauro e mosaici d’arte di Perpignani Paola via Ghibuzza 43/a Ravenna tel. 0544/37537 Restauro e realizzazione di mosaici d’arte. Ravennae Srl via O. Guerrini 168 Sant’Alberto tel. 0544/529209 Produzione di ori e smalti per il mosaico. Scianna Enzo via di Roma 34/a Ravenna tel. 0544/37556 Mosaicista.

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Passaggio a Faenza Guida alle botteghe della ceramica in provincia di Ravenna


Passaggio a Faenza Guida alle botteghe della ceramica in provincia di Ravenna

Di passaggio a Faenza per un soggiorno o per un weekend. Si ha la sorpresa di una città a misura d’uomo, agile l’accesso al centro storico dopo il passaggio sul fiume, se si entra da sud est, percorrendo poche centinaia di metri, se si scende da un treno, e in pochi minuti d’auto uscendo dal casello autostradale. La città è “a portata di mano”, raccolta oltre la cinta verde dei viali e presidiata in qualche zona dai resti delle vecchie mura. Inizia presto il dialogo pacato con Faenza che fa quasi da guida a se stessa, come accade alle località entrate nella geografia mondiale grazie alla propria fama. 36 Il passaggio da Faenza è intriso di interesse e di curiosità suscitati dal suo stesso nome che ha superato l’antico legame con i fondatori, che la spartirono equamente tra “decumano e cardo”, a favore del legame ancora più forte con la ceramica prodotta da ben otto secoli nel connubio tra terra e acqua, aria e fuoco. Le “faenze” o “faiences”, come già in epoca rinascimentale, ovvero le maioliche > Albarello: faentine, sono il primo motivo del passaggio a Faenza. vaso piccolo di Piatti, vasi, boccali, ciotole, albarelli, zuppiere, tutti maiolica dipinta in oggetti di uso quotidiano che il sapiente decoro rinnovatosi uso presso gli antichi nei secoli grazie alla creatività degli artigiani locali, ha traspeziali per custodirvi sformato anche in pezzi raffinati che si guadagnano spazio farmaci ed essenze. nel mobile-vetrina delle case borghesi e nobili in ogni


angolo del mondo. Chi viene a Faenza vuole guardare e acquistare, non si lascia la città senza aver messo in valigia o nel portabagagli un manufatto decorato secondo uno dei molti stili della tradizione ceramica faentina. Nelle circa sessanta botteghe sparse ai quattro punti cardinali della città “storica”, con qualche fuga verso la periferia e, in piacevolissimi siti, lungo la sinuosa strada statale 302 meglio nota come “brisighellese”, possiamo rinvenire i segni tangibili dell’appartenenza di ogni singolo artigiano alla tradizione iniziata dai propri predecessori, quelli che novecento anni orsono erano chiamati “orzelarii” e, in seguito, boccalari, vasari o vasai. Si era in epoche remote e l’artigiano era battezzato in ossequio alla forma dell’oggetto da lui forgiato. Oggi noi diciamo ceramista intendendo collegare l’uomo con il prodotto generico, la ceramica, o con la produzione, tout court. Ma, a ben guardare, sulle pareti delle botteghe, in angoli riposti rispetto all’esposizione dei manufatti, si possono individuare carte-diplomi che evidenziano il nome dell’artigiano come “Maestro d’Arte Ceramica” e il suo curriculum attraverso le diverse scuole o istituti o centri di Magistero Artistico. I faentini che hanno voluto consegnare 37 al futuro la pura tradizione della produzione ceramica sono andati a scuola e, non appena la programmazione didattica lo consentiva, sono andati “a bottega” dai loro maestri, uomini che facevano parte della loro vita di cittadini, artisti che da decenni applicavano alla manipolazione della terra la propria genialità creativa di pittori o di scultori. Nella piccola Faenza degli anni ‘50 e ‘60 del secolo XX si sono formati gli artigiani che nella Faenza del 2000 noi incontriamo già carichi di significative esperienze e di successi conseguiti sia nell’alveo della tradizione sia nello spazio mai del tutto esplorato della ricerca e della modernità. Accanto a loro guardano e lavorano i nuovi apprendisti


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dell’arte ai quali è affidato il compito, non facile, di non fare calare il sipario sulla performance faentina. Un atto unico, potremmo dire, ma lungo numerosi secoli, con qualche inevitabile intermezzo di riflessione stilistica per gli attori che, dietro le quinte, hanno voluto portare qualche innovazione al copione iniziale, decisi ad intrattenere il proprio pubblico fino all’ultima battuta. Che non ha una data e non deve averla. Faenza, nelle sue qualità di “città impresaria”, non consente a se stessa quest’ultima battuta e continua a guidare i cittadini del mondo attraverso le sue strade, nelle piazze, nei borghetti rionali dove ferve la produzione di ciò che la fa bella e attraente. E non è forse vero che le donne hanno sempre usato, e tutt’ora lo fanno, l’argilla pura per rinfrescare la propria bellezza? Non ci meravigli, perciò, il fatto che Faenza sia bella grazie alla sua terra: estratta nella “cava” protetta dai rugosi e calanchivi fianchi delle colline, raccolta nelle buche, lì presso scavate, dagli scarriolanti e di qui caricata per la destinazione da essa più ambita, la bottega, dove c’è un uomo, o una donna, capace di redimerla. Dalla cava a cielo aperto non sarà privo di sacrificio il passaggio all’angolo buio e umido della bottega, in attesa della mano sicura che verrà a prelevarla e con gesti potenti vorrà lavorarla fino a toglierle il respiro, prima soffocata dalla pressione e poi travolta dalla vertigine per il continuo ruotare sul piatto del tornio. Una forma, infine, le darà un po’ di pace, e si assopirà così forgiata dapprima in solitario e, via via, in solidale compagnia. Nella bottega si assiepano, quasi a stuolo, le creature foggiate al tornio e aspettano, ancora, a lungo, protette da malsane correnti d’aria o vampate di calori stagionali. Solo l’aria domestica deve circondarle prima del grande fuoco, il primo fuoco della loro esistenza. E sono chiamate “biscotto” queste forme di colore mattone, quasi a presagire il secondo abbraccio della fornace dove faranno il loro ingresso già trasformate in bianche e vitree maioliche sulla cui superficie l’artista traccia linee e disegni, intingendo il pennello in pigmenti che il fuoco secondo esalterà in colori. Bisognerebbe poter assistere alla chiusura del forno riempito di maioliche pressoché candide e all’apertura dello stesso dopo un paziente suo raffreddamento: esplodono i colori che prima si perdevano nel biancore maiolicato. Una meraviglia che alcuni ceramisti hanno voluto estremizzare con l’esperienza di un terzo fuoco, meno potente dei primi due, e in riduzione di ossigeno. Imprevedibili risultati che non si sa in quale percentuale attribuire alla maestria dell’artigiano perché, con la sua complicità, è intervenuta la magia del “piccolo fuoco” con effetti madreperlacei, con


dorature suggestive. Dovremo dare totale fiducia alla parola del ceramista quando ci proporrà oggetti trattati con la terza cottura: i nostri occhi vedranno metalli e non ceramica. Per conoscere e apprezzare l’itinerario artigianale e artistico così succintamente raccontato non occorrono mediazioni culturali. Basta venire a Faenza. Qui vivono e lavorano i protagonisti della migliore performance faentina che è la produzione ceramica. Gli artigiani, qui, non affidano il prodotto del loro prezioso lavoro a commessi che ne curino la vendita. In ognuna delle sessanta e più botteghe faentine, varcando la soglia, si è accolti dal titolare dell’impresa: uomini e donne che hanno tenacemente mantenuto l’unità tra la destrezza manuale lungamente esercitata e l’intelligenza creativa mai appiattita su soluzioni di facile resa commerciale. La stessa dislocazione delle botteghe, spesso ancora attive in siti storici, supera con eleganza e buon gusto la soglia della concentrazione commerciale del manufatto, tipica di altre città caratterizzate dalla produzione di artigianato artistico. La litania, già vista, delle vetrine con retro non impegna senza interru- 39 zione i piani terreni della schiera degli edifici e spesso la bottega si fa cercare dal turista visitatore con l’aiuto dello stradario urbano. Se non è un vantaggio, come secondo alcuni potrebbe esserlo una “cittadella della ceramica” nella città, è, però, una questione di buon gusto ed eleganza che le botteghe si affaccino sulle strade anche dei quartieri più riposti, e non solo sulle piazze e sulle vie del centro storico. Della loro presenza nel territorio urbano si avvale anche l’autorevole complesso museale di corso Baccarini, noto in tutto il mondo come Museo Internazionale delle Ceramiche. Il Museo continua a suscitare l’interesse del pubblico e degli artisti perché è un punto vivo e reale di partenza o un punto di sintesi di un percorso di conoscenza della tradizione ceramica faentina che si può completare dopo averlo visitato o prima di visitarlo. È molto significativo che nell’esordio dell’estate 2002 si sia aperta all’ingresso del Museo la “Sala delle Botteghe d’Arte Ceramica”: ogni 5 settimane le botteghe si passeranno il testimone nella staffetta espositiva delle proprie produzioni.


40 > Sala delle Botteghe d’Arte Ceramica: tale iniziativa è la corretta applicazione di uno dei principi inseriti da Gaetano Ballardini, fondatore del museo nel 1908, nello Statuto Programma. Nel testo statutario il fondatore si diceva convinto che un punto qualificante del Programma fosse proprio l’istituzione di una Stanza Commerciale per la promozione dell’attività delle botteghe ceramiche. La sua finalità era quella di occuparsi di questioni relative ai mercati esteri di ceramica, segnalando i fabbisogni e i cambiamenti del gusto. Oggi, quando altre realtà curano questa promozione, la Stanza Commerciale vuole aiutare il recupero dei valori tradizionali portando, però, contenuti aggiornati e di innovazione. Questa guida-reportage alla conoscenza delle botteghe della ceramica artistica in Faenza potrebbe perciò condurre il turista (il singolo o il gruppo) dapprima nel Museo o infine in esso. La conoscenza della Faenza delle ceramiche si avvale, per essere completa, di entrambe le opzioni. Bisogna tuttavia riconoscere che la visita delle botteghe trasmette, come è ovvio, un maggiore senso della contemporaneità dell’artigianato artistico seppure svelando un forte legame con la tradizione. > Tradizione: il nucleo della tradizione ceramica faentina, o delle “faenze”, si può considerare costituito dalle tipologie tecnologiche e decorative affermatesi nel periodo rinascimentale che viene identificato come la sta-


gione artisticamente più significativa. Ma la notorietà di Faenza come luogo privilegiato della produzione ceramica risale al XII secolo. Si possono trovare capolavori siglati con la firma dell’artista artigiano fino dal secolo XV. Nel 1454 Giacomo di Pietro ornava con oro la maiolica di sua produzione. Tra il 1525 e il 1550 si distingue in Faenza la produzione dei Fratelli Pirotti. E bisogna segnalare come vanto di due secoli fino alla fine dell’ ‘800 la produzione della fabbrica dei Conti Ferniani. Stili e decori della tradizione. Primi secoli dopo il Mille: è il periodo detto anche Arcaico nel quale i vasai di Faenza producono le maioliche (a smaltatura bianco vetrosa con pennello) e le ceramiche ingobbiate o graffite (decorate con punta di chiodo). Temi preferiti: vegetali, tralci, fiori, palmette; faunistici, pesci, uccelli fantastici; araldici riferiti a famiglie legate alla storia della città. Primo Rinascimento: stile Severo, cosi detto per i temi definiti e ricorrenti. In esso si distinguono diverse famiglie: “zaffera”, “italo moresca”, “floreale gotica”, “occhio di penna di pavone”, ”palmetta persiana“, “alla porcellana”. In pieno Rinascimento si diffonde la famiglia delle “Belle Donne” grazie ad una maggiore attenzione alla figura umana e successivamente la rappresentazione umana si completa con la decorazione narrativa detta “istoriato”. Distinguiamo due periodi: primo istoriato dedicato a scene mitologiche e bibliche, riprese o imitate da stampe e libri; secondo istoriato con l’uso di nuove tecniche quali l’uso della maiolica di colore grigio azzurro (è lo stile Berettino) su cui si realizzano decori come le grottesche, festoni di frutti, 41 foglie e altri. Questi motivi sono portati al massimo di espressione nello stile “fiorito” con motivi a “raffaellesche”. Il Seicento è definito dallo stile “Compendiario” che offre al pubblico una serie di oggetti rivestiti da uno smalto bianco, grosso, coprente e colorati con tenui turchino e giallo. I decori rappresentano putti, stemmi, piccole corone di fiori; le forme si rinnovano in crespine, trafori leggeri, usate per saliere, calamai, fruttiere. Faenza si ripropone al mondo con la produzione dei “bianchi” per sopperire alla saturazione del mercato. Metà del Settecento: cambia di nuovo il gusto decorativo ispirato alle mode europee, ma anche ad ambienti esotici; alla fine del secolo si diffondono la “foglia di vite”, “il festone ”, “la ghianda”, “il garofano”. Metà dell’Ottocento: i ceramisti si avvicinano alla pittura da cavalletto con vedute acquerellate e ritratti paesaggistici.


42 All’inizio del percorso che ci porterà nei diversi quartieri della città e nelle strade delle vicine colline fino al borgo medievale di Brisighella, ma anche nei paesi della pianura e della costa, appuntiamo la nostra attenzione sul segno distintivo che individua le botteghe ceramiche di Faenza: una targa decorata secondo una simbologia in uso all’inizio del XVI secolo, le due mani che si intrecciano nel gesto del saluto. La decorazione era riprodotta su piatti portadolci e su boccali donati in occasione di nozze. Alcuni ceramisti mi hanno espresso la propria opinione in merito ad una maggiore esposizione della segnaletica, che potrebbe avvalersi non solo di questa bella targa collocata di fianco all’ingresso della bottega, ma anche di un’indicazione all’inizio della strada dove, assai spesso, troviamo più di una bottega. Posso confermare l’utilità di un’integrazione del genere: quando ci si muove sul tracciato del centro storico voltare a destra, anzichè a sinistra, può portarci da tutt’altra parte rispetto alla nostra meta. Se all’inizio di una traversa di un corso o della traversa della traversa di un corso troveremo un segnale circa la presenza di una bottega il nostro tour sarà di certo più disteso. Non potendo contare all’oggi su questo sussidio, ma avendo come unico supporto utile la cartina predisposta dall’Ente Ceramica Faenza può essere conveniente suddividere la città in settori.


> Ente Ceramica Faenza: associazione fondata nel 1977 alla quale aderiscono artigiani e artisti ceramisti. L’Ente è finalizzato alla tutela del marchio della ceramica di Faenza, alla promozione e valorizzazione sia in Italia che all’estero della produzione di settore, artistica, artigianale, di design. > Marchio: è stato ideato un simbolo grafico che qualifica la ceramica artistica e tradizionale DOC, in base alla Legge 9 luglio 1990, n.188 come modificata dall’art. 44 della legge 6 febbraio 1996, n.52. La denominazione d’origine è riservata ai ceramisti iscritti nell’apposito registro cui all’art. 3 della legge medesima. Tale denominazione viene riportata nei marchi apposti sulle opere che rispondono ai requisiti stabiliti dal disciplinare. Devo subito evidenziare la concentrazione di botteghe in almeno due di questi settori urbani, forse favorita dall’imponente presenza in uno di essi del Museo Internazionale e nell’altro dalla vicinanza alle piazze centrali. Ma di certo la dislocazione delle botteghe deve avere stretta connessione con le ragioni del mercato immobiliare che talvolta hanno indotto alcuni artigiani a staccare il loro laboratorio dal punto di vendita. 43 Tuttavia ho riscontrato che, anche là dove questo sia accaduto, il ceramista ha sempre scelto di ricreare nel negozio uno spazio dove poter eseguire almeno la decorazione, il che giova sia al ritmo del suo lavoro sia alla curiosità del turista. L’osservazione in diretta fa parte integrante della scena che il ceramista volentieri ricrea per il suo potenziale cliente. Come sempre la diversità arricchisce. Faenza, comunque, sarebbe un’altra senza le sue botteghe, quelle che insistono nel suo centro storico. E nel mio viaggio urbano ho scoperto le trame di storie parentali che si sono dipanate negli ultimi cinquant’anni segnando le sorti del settore della ceramica artistica, che non avrebbe conosciuto il successo degli ultimi decenni se non ci fosse stato un passaggio di testimone tra padri e figli o figlie e un rischio d’impresa di coniugi e un coinvolgimento tra fratelli. A costoro si sono aggregate di anno in anno le risorse umane formatesi artisticamente negli Istituti cittadini, giovani che ancor oggi possono contare sui ceramisti titolari di bottega per fare esperienze-tirocinio. Al numero 13 di via Nuova, quasi all’ombra del Museo Internazionale, ho iniziato il mio percorso entrando nel laboratorio del torniante Gino Geminiani che ci introduce alla prima fase della lavorazione, quella che fa i conti con l’argilla, ancora materia informe e umida tratta dalle vene


calanchive. Il torniante la plasma e la cuoce una prima volta ad alta temperatura per ottenere il caratteristico mento base per inse- biscotto. Nella bottega Geminiani, come in quelle degli altri tornianti di Faenza, predomina la bicromia grigio-rosato gnare l’antica arte della foggiatura. Tutti che testimonia il passaggio della materia da fresca a cotta. Le attrezzature che arredano la bottega del torniante sono i gesti e le prese che prive di ogni orpello decorativo: il tornio, il forno, piccoli in esso sono raffiguarnesi che aiutano la foggiatura dopo il sapiente lavoro rate non sono altro delle mani e grandi scaffalature per l’asciugatura e per che atti che si sono ripetuti per migliaia di l’esposizione del biscotto finito. Il torniante vende il suo anni, come un rituale prodotto ai ceramisti che provvederanno alle successive 44 tramandato da torfasi della lavorazione secondo la propria peculiare scelta stilistica. niante a torniante, Geminiani Gino ha doti di formatore e si preoccupa per mantenere viva un’arte che altrimenti anche della divulgazione dei contenuti che sostanziano la sua opera, tiene corsi di foggiatura e ha predisposto non sarebbe potuta un manuale-guida alla conoscenza della sua storia e delle esistere” fasi salienti. (Gino Geminiani). La sua carriera come torniante iniziò per la capacità persuasiva della sorella Silvana che, giovane studentessa diplomatasi presso l’Istituto Statale d’Arte, aveva aperto una bottega. Ancora oggi i pezzi decorati dalla sorella vengono in gran parte dal tornio di via Nuova. Incuriosita da questo intreccio di storia e di arte e favorita dalla prossimità anche logistica, in poche decine di metri raggiungo la bottega di Silvana Geminiani in corso Baccarini n. 15/b . È il primo contatto con la raffinata arte del decoro faentino. L’ambiente è sobrio ed elegante insieme ed emana un calore forse favorito dai mobili in legno in stile classico che la titolare ha utilizzato per la sua esposizione. Oltre l’ambiente negozio si accede direttamente ad uno spazio che suggerisce l’idea del laboratorio ed è, infatti, dedicato alle operazioni che trasformano il biscotto in manufatto artistico. Il percorso artistico di Silvana Geminiani si intreccia con la vicenda di maestri faentini, dai quali ella ha tratto > Manuale:

“vuole essere lo stru-


i primi segreti, e con quella di giovani ai quali ha offerto la possibilità di iniziare l’arte e di intraprendere poi imprese personali. In questo negozio laboratorio Silvana è da sette decoro realizzato a mano nel periodo del anni e lo considera il luogo dove poter lavorare solo a ciò Seicento Faentino che che soddisfa il suo estro creativo, con un rapporto pacato con la clientela che al 10 % è costituita da turisti stranieri. si caratterizza per lo Cosa troviamo presso “Ceramiche Geminiani”? stile compendiarlo; i manufatti sono rive- Ceramiche da arredamento e da regalo, soggetti di ispirazione quattrocentesca, il compendiarlo traforato a mano, stiti da uno smalto bianco coprente e la la grottesca con un blu molto tenue e raffinato. E il moderno, decorazione è costituita anch’esso ornamentale, ma ottenuto con lo studio della da figure semplici, forma e degli smalti e frutto della ricerca personale. > Traforato:

si diffonde come

appena schizzate,

La lettura della carta topografica dell’Ente Ceramica Faenza mi avverte che qui vicino, in corso Baccarini, > Grottesca: al numero 7/a, ha sede la bottega di Cesare Boschi, il vice genere decorativo presidente dell’ente stesso. Il contrasto con la precedente che prese piede nelè subito palese nell’ingresso: la scelta minimalista nella l’arte italiana del esposizione è ottenuta con scaffalature in cristallo che Cinquecento ispiranlasciano totale spazio visivo intorno ai manufatti protagonisti assoluti dell’ambiente: maioliche tradizionali faentine dosi alle decorazioni dominano la scena, anche su espositori murali a griglia, scoperte nei resti a terra, invece, si fanno notare i grandi vasi in cotto bordati della Domus Aurea con il decoro tradizionale. Cesare Boschi, Maestro d’Arte neroniana ( dette 45 “grotte”). Tale decora- con un percorso di “scuola a bottega” presso lo studio dello scultore Angelo Biancini, è stato anche docente. zione presenta combinazioni fantastiche Nel suo laboratorio vengono eseguite la smaltatura e la di animali mostruosi, decorazione a pennello secondo gli stili della tradizione. Cosa troviamo nella bottega Boschi? figurine stravaganti, cornucopie, per lo più Oggetti ornamentali rifiniti secondo il decoro tradizionale di chiaroscuro bianco e nello stile “compendiario”, a “foglie di vite” e “raffaellesche”, soprattutto su ordinazione. Spiccano nella produzione le in fondo turchino. “damine”, i grandi vasi in cotto decorato, i tappi in ceramica per le bottiglie di vino che furono una idea di Boschi cosi azzeccata che ben presto molti altri la replicarono. Nel curriculum artistico del ceramista si distingue “compendiate”.


l’esecuzione di un grande pannello in ceramica (460 piastrelle) eseguito per la Chiesa dei Passionisti a Sant’Arcangelo di Romagna. Dopo queste prime visite e nel dialogo con gli artigiani si fa più chiaro il panorama della produzione ceramica a Faenza e il suggerimento al lettore-visitatore singolo è quello di scegliere la bottega che più risponde al proprio gusto; d’altra parte le occasioni per conoscere la tradizione faentina pura sono tante quante le botteghe attive, perchè è quasi impossibile trovare un ceramista che non vi si dedichi, seppure in piccola misura. Non è impossibile, invece, acquistare oggetti di ottima fattura ad un prezzo accessibile:

46 alcuni artigiani vengono incontro a tale esigenza di acquisto rapido ed economico esponendo piccoli oggetti souvenirs. Ho trovato tale tipo di produzione presso la bottegalaboratorio di Monti Vittoria, al numero 22 di via Cavina; la titolare dedica alcune linee di oggettistica da piccolo regalo a periodi dell’anno solare che sono tradizionalmente segnati da cerimonie religiose o ricorrenze fisse del calendario (comunioni, cresime, feste della mamma o del papà etc.). Ma, seppure entrati con la scusa dell’oggettino, è bene girare lo sguardo intorno: ci sono i decori “le rose e oro” creati dalla ceramista e le pitture di soggetto sacro su lastra di refrattario, e vari decori dal ‘400 in avanti, piatti, vasi, brocche e anche qui le damine. Vittoria Monti ama la maiolica e l’imitazione dei modelli classici. La titolare è disponibile ad accogliere anche gruppi di turisti organizzati che può dividere in due fasi di visita, usufruendo della divisione della sua attività in due spazi separati, con due ingressi ciascuno. A questo punto, visto che da corso Baccarini siamo virtualmente passati a via Cavina, segnalo un gruppo di botteghe, non tanto perchè esse siano particolarmente attrezzate all’accoglienza di gruppi di turisti, bensì per rispondere al proponimento progettuale di offrire una gamma di proposte che soddisfi la curiosità del turista che,


anche singolarmente, volesse entrare in contatto con gli artigiani faentini. Quando ci troviamo su via Cavina, perciò, possiamo visitare la bottega “Le terre di Faenza” di Umberto Santandrea, ceramista che lavora in stretta collaborazione con l’artista giapponese Miho Okai, che ha recentemente rilevato l’attività. La produzione di ceramica di Santandrea ha avuto inizio alla fine degli anni ottanta, sviluppandosi dopo varie esperienze di lavoro nell’industria della ceramica faentina; grazie alla conoscenza della materia prima e delle sue problematiche relativamente ai trattamenti di cottura e smaltatura, egli è potuto passare alla fase più creativa ed artistica con oggetti nei quali il decoro rivisita in chiave moderna gli stili tradizionali. Spicca il riflessato turchese e l’utilizzo di smalti opachi su oggetti ideati come complementi d’arredo. Inoltre Santandrea può offrire al turista la visita di un luogo prezioso per Faenza, la cava di argilla che era storicamente uno dei giacimenti dell’argilla faentina, un luogo suggestivo immerso nel paesaggio dei calanchi faentini. Ancora su via Cavina si affaccia la bottega di Goffredo Gaeta dove il lavoro si articola sotto la guida del maestro secondo la maniera rinascimentale.

Artista eclettico il Gaeta, dopo tre stadi di formazione negli Istituti d’Arte di Faenza e di Firenze e nell’Accademia di Bologna, si afferma come uno dei grandi protagonisti della ceramica contemporanea. Difficile, però, chiuderlo dentro la definizione di un’arte, visto che la pittura, anche su stoffa e vetro, l’affresco, la scultura, anche maiolicata, fanno parte della sua produzione. I contenuti, invece, sono preferibilmente di soggetto sacro. Infatti molte sue opere sono state progettate per le chiese di diversi paesi nel mondo: Stati Uniti, Canada, Giappone oltre che, naturalmente, Italia e anche molto vicino a noi, in Romagna (Faenza, Cesena, Bertinoro).

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Assai vicino a via Cavina, in via Bondiolo n. 11, lavora un altro grande maestro della ceramica d’arte, Ivo Sassi, da Brisighella. In questo studio, presso l’ex chiesina di Santa Margherita, possiamo incontrare anche la ceramista Carmen Fantinelli, moglie dell’artista, la quale dopo un lungo periodo dedicato alla tradizione classica faentina, ai motivi del rinascimento italiano, e all’impiego della tecnica a lustri e riflessi a terzo fuoco, si è ritrovata sulla strada del restauro per il quale si era formata in gioventù. Dopo aver chiuso la propria bottega di viale IV Novembre si è trasferita qui, dove l’impronta preminente nell’ambiente sembra, tuttavia, quella di Ivo Sassi, un maestro che lavora instancabilmente, quasi un operaio della terra che lo ha così affascinato da fargli abbandonare la primiera passione giovanile per la pittura alla quale preferì la ceramica. E nella ceramica egli si è manifestato come artista a se stesso e al mondo, che non ha potuto ignorare l’incontenibile energia che egli infonde alla materia, piegata alla sue scelte artistiche, al desiderio di intervenire nello spazio, di sottolinearne la tridimensionalità, di scatenare la reattività luminosa degli smalti e dei lucidi che fuggono via dalla buia fucina gridando al mondo tutta la riflettività possibile. Pluripremiato ed invitato a mostre ed esposizioni in tutto il mondo, Sassi fa parte di quella schiera di artisti che del nome della propria arte e della propria terra fanno un tutt’uno. Se siamo un gruppo di turisti di passaggio a Faenza e vogliamo avere un’incontro disteso con la ceramica faentina tradizionale non possiamo mancare all’appuntamento con il laboratorio ed esposizione-vendita di Gino Suzzi, meglio conosciuto come “La Vecchia Faenza”. Siamo in via S. Ippolito al numero 23/a. Gli spazi dilatati di una antica chiesa consentono una suddivisione tra la zona dove le decoratrici sono intente al lavoro e quella dove il manufatto viene esposto. Gino Suzzi, maestro ceramista come praticamente tutti i titolari di bottega di ceramica, ha rivolto la sua attenzione e impegnato le sue capacità per ottenere una produzione di qualità nell’alveo della pura tradizione faentina: i colori tipici, la smaltatura ad arte, i decori nel rispetto scrupoloso della tradizione. Qui si trova esattamente ciò che ci si aspetta entrando in Faenza, il solco profondo della pura tradizione.


49 Quando la grande bottega è visitata da folti gruppi, fino a 50 persone possono entrare insieme previa prenotazione, l’equipe si arricchisce della presenza di Laura Silvagni, moglie di Suzzi, ceramista che ha una propria attività con esposizione e vendita in corso Garibaldi, al numero 12/a e il laboratorio in via Mons. Battaglia. La produzione di Laura Silvagni è incentrata su maioliche decorate secondo lo stile “alla raffaellesca” con soggetti ispirati al repertorio della pittura del ‘700, ma senza escludere gli altri stili di epoche diverse che Faenza ha reso famosi. Una peculiarità è la confezione di pezzi di dimensioni inconsuete, piatti e anfore da collocare in ambienti vasti che spesso vengono ordinati da committenti anche stranieri. C’è un’altra ceramista faentina che riesce sempre a conciliare l’impegno per la propria produzione con l’accoglienza dei turisti. Mirta Morigi, in via Barbavara n. 19, ospita gruppi in visita alla città ai quali dà dimostrazione della sua arte, e organizza corsi di apprendimento per i più appassionati. Impegnata nello sforzo di creare nel solco della tradizione, ma sempre con lo sguardo al nuovo, Mirta Morigi è lucidamente presente nel contesto odierno dell’arte ceramica. Il suo estro interviene sulle forme rigo-


rose della tradizione dando vita a presenze inaspettate che sembrano saltate lì, su un vaso o su una brocca, da uno stagno o da un mondo preistorico. È il periodo delle rane, delle lucertole, dei camaleonti, ma anche delle civette multicolori. Dove è finita la grigia argilla? Viva si aggira tra gli scaffali in via Barbavara.

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È ancora folto il gruppo di ceramisti che hanno scelto di rappresentare la continuità della tradizione tout court e assolvono il non facile compito di mantenere integra la qualità della loro produzione, sempre rigorosamente manuale. Grazie al loro costante impegno Faenza può continuare a proporsi al mondo come capitale della ceramica. Massimo Linari propone opere di alto livello nel solco della più raffinata tradizione faentina della Maiolica in via Naviglio n. 19/a. Siamo nel pieno centro cittadino, durante la passeggiata a piedi fa piacere fermarsi e scegliere un oggetto di fattura decisamente tradizionale. Se invece si proviene dall’autostrada A 14, sulla via Granarolo, che dal casello conduce verso i viali, al numero 63, si incontra l’edificio de “I Maestri Maiolicari Faentini”, di Lea Emiliani, la cui facciata si distingue per il grande arco che ricorda gli antichi forni a legna. Ampie vetrine consentono di entrare subito in contatto con le attività che si svolgono all’interno. Un’ampia mostra offre ai visitatori la conoscenza delle pregiate riproduzioni degli stili della tradizione, dall’Arcaico al Gotico-Floreale e al Berettino, ripercorrendo la storia della ceramica dal Medioevo al Rinascimento. L’ubicazione di questo laboratorio è assai favorevole per i gruppi di turisti che potranno anche visitare i locali della lavorazione. Non tutti i ceramisti hanno la concreta possibilità di organizzare il proprio lavoro in misura compatibile con l’accoglienza del turismo organizzato, ma sono tutti dispo-


nibili ad incontrare piccoli gruppi: due o tre persone che entrano nel laboratorio-negozio fanno parte della normalità. Li può accogliere anche il più piccolo ambiente che di Faenza che si conforse ho incontrato in questo percorso, quello del ceramista tendono ogni anno Luciano Sangiorgi, in corso Europa n. 134, due locali il premio del Palio preannunciati da un grande pannello ceramicato raffigudel Niballo la quarta rante il San Giorgio. Ma Sangiorgi, Maestro d’Arte di pasdomenica di giugno. Il Rione ha la fisiono- saggio anche nell’industria ceramica e dotato di talento mia di realtà di aggre- creativo, non sembra preoccupato della capienza della sua bottega, egli lavora soprattutto su commissione e realizza gazione sociale. Ha una propria sede, per i suoi clienti opere che vanno a completare il loro il museo dei costumi arredo, interno o esterno, spesso grandi pannelli decorativi (si cita tra i committenti il Vaticano). Tra gli scaffali della storici indossati dai sua bottega si trovano, comunque, oggetti che rivelano contendenti durante la sua ricerca del legame con la tradizione e con la città. il Palio e organizza > Rioni:

sono cinque i rioni

iniziative promozionali. I rioni si distinguono per il nome in Bianco, Nero, Verde, Rosso e Giallo.

Assai vicino a Luciano Sangiorgi si sviluppa uno dei rioni più attivi di Faenza, il Rione Bianco, con la bella chiesa della Commenda, un plesso storico di grande rilievo per la storia faentina che si può visitare facendone richiesta presso gli uffici della Pro Loco. E a pochi metri dalla Commenda non si può mancare all’appuntamento con la storica Bottega d’arte ceramica 51 Gatti, in via Pompignoli n. 4, fondata nel 1928 da Riccardo Gatti (1886-1972), uno dei più grandi maestri della ceramica del nostro tempo, al quale già a cominciare dal 1948 si affiancava il nipote, Dante Servadei, allievo egregio grazie al quale oggi prosegue la fortuna e la fama della bottega, dove si respira ancora l’atmosfera delle antiche manifatture faentine: ogni oggetto viene prodotto a mano secondo dettami e processi di lavorazione in uso da secoli. Il nome di Gatti si distingue nella storia della ceramica per aver egli inventato il metodo di produzione di maioliche “a riflessi” che, applicata alle più diverse forme rende la loro superficie ricca di fascino e di suggestione per le iridescenze preziose. Grandi artisti contemporanei hanno voluto collaborare con Gatti e si sono avvicendati nella sua bottega. Dal 1998, anno dell’inaugurazione, è possibile visitare, previo appuntamento, il Museo Gatti dove è conservata una preziosa collezione retrospettiva delle più rare opere di Riccardo Gatti.


> Museo Gatti: qui sono raccolte le opere a partire dal 1908, quando ancora Riccardo Gatti non possedeva un proprio laboratorio. Di rilievo sono le opere successive che testimoniano la collaborazione di Gatti con artisti del movimento futurista al quale egli aderì come attesta uno scritto di Marinetti del 1928. Uscirono allora dalla bottega Gatti opere firmate da Balla, Benedetta, Dal Monte, Fabbri. Il percorso museale prosegue verso le opere “a riflessi” del periodo a cavallo tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta del Novecento e giunge agli anni del dopoguerra, quando il Maestro si cimentò con le ceramiche a forme antropomorfe, zoomorfe e astratte. Si approda così alla produzione degli ultimi venti anni che sono rappresentati dai più rari risultati nella continuità della tradizione.

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Restando in tema di musei privati il panorama si è arricchito dal maggio 2002 di un altro fiore all’occhiello per Faenza, il Museo intitolato a Carlo Zauli organizzato e guidato dai figli del grande maestro, Matteo e Monica. Carlo Zauli, scomparso nel gennaio 2002 dopo una lunga malattia che ci ha privato della sua creatività degli ultimi anni, è considerato dalla critica internazionale uno dei massimi rinnovatori dell’arte della ceramica. Nato a Faenza nel 1926 manifestò già nell’infanzia una forte predisposizione alla manualità che volle impostare seguendo il rigore dell’Istituto d’Arte per la Ceramica. Ottenne qui il diploma di Magistero Tecnico al quale si aggiunse il titolo del Corso Speciale per la Decorazione Ceramica. Nel 1950 iniziò il lungo percorso artistico che lo portò a lavorare incessantemente e ad esporre le sue opere in tutto il mondo. Fu a contatto con i più grandi artisti contemporanei in uno scambio continuo di esperienze e ricerche artistiche. Per venti anni fu anche docente di Tecnologia Pratica presso l’Istituto che lo aveva diplomato. Impossibile elencare qui i nomi, le date , i luoghi della sua carriera, ci limitiamo a ricordare che la sua fama è legata a produzioni intitolate “I Bianchi di Zauli”, i “Vasi Sconvolti”, le “Zolle”, le “Arate”, e alla “Faenza”, l’azienda da lui fondata per la produzione di piastrelle di gres in monocottura e per la quale egli creò una linea di design d’avanguardia. Tutto questo si può vedere di persona visitando il Museo Carlo Zauli, in via della Croce, là dove è stato ideato un percorso della memoria e dell’arte nel luogo dove l’artista ha lavorato. È un appuntamento al quale, di passaggio a Faenza, non si può mancare, perché anche qui si ottiene testimonianza di come la lavorazione della terra, anche partendo dalla ceramica, può suscitare nell’uomo che vi si dedica il genio della scultura. È evidente più che mai a questo punto che la tradizione dell’arte ceramica a Faenza ha goduto della forza delle


> Leandro: per comprendere il lavoro di Leandro Lega sono utili le sue parole rilasciate per un articolo dedicato alla figlia: “Ho sempre lavorato fin da giovane, ho faticato anche manualmente e con i piedi piantati per terra per l’azienda familiare dei cementi. Con lo stesso impegno ho affrontato la ceramica... nell’arte ceramica ho messo, forse, la parte migliore di me; ho provato e riprovato in un’incessante ricerca di tecniche, di forme, di ornati, non senza delusioni e però, devo pur dirlo, con successi e non pochi riconoscimenti” (da I Quaderni dell’EmilCeramica, 2002). L’artista è deceduto nei mesi precedenti la stampa di questo libro.

relazioni familiari, del fascino esercitato dai nonni o dagli zii sui nipoti e dai padri sui figli che sono spesso diventati i primi allievi “a bottega“ dei maestri, mentre l’incontro tra uomini e donne della ceramica ha generato sodalizi artistici che tuttora sono un pregio per la città. Un ulteriore esempio ci viene dato da Carla Lega, figlia del maestro Leandro, che si fa guida devota delle opere del padre, esposte nella mostra di via Fratelli Rosselli n. 6, dove ella pure lavora sulle orme dell’artista. La produzione di ceramica artistica Lega nasce negli anni ‘50, ‘60 periodo nel quale il Maestro partecipando a mostre in tutto il mondo ottiene riconoscimenti e vince 53 concorsi. Nel 1975 viene affiancato dalla figlia Carla che sviluppa il proprio interesse verso una produzione innovativa. Gli oggetti a firma Lega sono tutti pezzi unici, decorati a mano e cotti a gran fuoco, rifiniti in riduzione mediante ossidi e nitrati in modo da ottenere effetti iridescenti e sempre diversi. Si diceva poc’anzi dei maestri e dei loro figli che hanno anche inconsapevolmente attinto alla quotidiana sorgente. Bisogna altrettanto considerare la schiera degli allievi, i tanti che pur non avendo in famiglia esempio che li facesse volgere all’arte della ceramica, avendo però scelto di attingere alla risorsa così viva nella propria città, si sono trovati nell’alveo della tradizione così ben segnato e testimoniato dai maestri, appunto, da non poterlo più abbandonare. Oggi la Faenza della ceramica si manifesta al mondo grazie al lavoro dei ceramisti diplomati che continuano a “uscire” dalle scuole faentine per entrare nelle botteghe e lavorare. Un laboratorio di recente apertura è “Superfici”, in via Tomba n. 7/a, dove due giovani diplomate, Marta Monduzzi e Dea Melandri propongono le loro creazioni in ceramica e in mosaico. Oggetti concepiti come complementi d’arredo, specchiere, lampade, tavolini, consolle spesso in collaborazione con un artigiano che crea con il ferro battuto, Marino Tarabusi.


Intanto proseguiamo il nostro viaggio alla conoscenza delle botteghe e dei loro artigiani già affermati professionalmente, ma ci allontaniamo da Faenza per assecondare la loro distribuzione sul territorio extraurbano. La campagna e la collina hanno attirato a sè alcuni ceramisti per i quali il fatto di lavorare nell’area del centro storico non era più determinante anche ai fini di una esposizione verso il pubblico. Costoro hanno, in definitiva, valutato un vantaggio per sè e per la propria attività produttiva il fatto di collocarsi in siti riposti. Questo è vero anche per due ceramiste esperte del restauro che lavorano nell’area rurale faentina più vicina alla cerchia urbana, lungo l’argine del fiume Lamone.

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Quando si lascia Faenza per raggiungere Brisighella bisogna prepararsi ad un percorso panoramico e paesaggistico di grande interesse per il quale è consigliabile mantenere una velocità media che consenta di parcheggiare in alcune aree al limite della carreggiata per alcuni appunti di viaggio da scrivere nella nostra memoria visiva. Solo così sarà possibile notare il cambiamento del paesaggio determinato, qui, dalla incipiente coltivazione dell’ulivo che ha fatto di questa zona una delle più caratteristiche aree, è chiamata infatti “areale”, di produzione dell’olio extravergine denominato Brisighello, il primo in Italia ad ottenere la denominazione Dop. Questo suggerimento di una andatura moderata ci consentirà di fare sosta anche per il motivo della presenza, lungo la Brisighellese, S.S. 302, di alcune botteghe di produzione della ceramica faentina. Tutte possono essere visitate anche da gruppi organizzati purchè essi prendano con i titolari un appuntamento telefonico. Nello “Studio Erreti”, al numero 469 di via Firenze in località “La Cartiera”, la titolare, Katia Tavanti, si è trasferita dalla centrale via Tomba (in Faenza). L’ambiente, introdotto da segnaletica rigorosamente di ceramica, è al piano terra di un edificio che si affaccia direttamente sulla strada e si suddivide in stanze di produzione e di esposizione delle varie fasi del lavoro. Dal 1980 la Tavanti si dedica alla produzione di manufatti artistici in quasi tutti gli stili faentini: sono in continua produzione set da credenza (servizi da caffè e da thè), bomboniere, ceramiche da vino, “sputavino”, e da aceto balsamico, che spesso la ceramista confeziona per aziende


agricole della regione imprimendone il logo, e ancora cache pot, porta ombrelli. Gli stili che lo studio Erreti propone sono la “ghianda”, il “garofano”, “il compendiario”, “lo stile severo” e altri della tradizione faentina. In località Celle, via Celle n. 38, immerso nella prima collina, il laboratorio di Alberto Razzi (diploma di Foggiatore all’Istituto Ballardini di Faenza) è inserito in una tipica costruzione rurale che gli consente di organizzare gli spazi suddividendoli in una bella sala di esposizione e nel laboratorio vero e proprio. Una scelta di vivere e lavorare in mezzo alla natura in collaborazione con la moglie, Patrizia Piancastelli (Diploma di Maestro d’Arte applicata). La produzione di Razzi si lascia scoprire attraverso un’attenta osservazione dei particolari che la caratterizzano e sono terrecotte decorate ottenute da argille colorate preparate nel laboratorio, arricchite da interventi con vetri colorati che le fa risplendere e con oro zecchino che le impreziosisce insieme con i lustri colorati cotti a terzo fuoco. Sugli scaffali troviamo anche una serie di statuine del presepe davvero uniche nel loro genere, un motivo in più per visitare questo laboratorio. Proseguendo lungo la S.S. 302 in direzione Brisighella, dopo circa un chilometro, raggiungiamo Villa Emaldi, pregevole esempio di dimora neoclassica, introdotta da 55 un lungo viale di cedri centenari che incrocia il binario della linea storica tra Faenza e Firenze. Oltre la ferrovia si entra nel parco della villa dove vive e lavora la ceramista Antonietta Mazzotti, che ha trasformato la serra neogotica della casa padronale in suggestivo laboratorio, mentre altri locali al piano terra di un edificio annesso alla villa sono adibiti a esposizione permanente delle produzioni: cachepot, saliere, versatoi, piatti da “pompa”, servizi da piatti e da thè, bomboniere con cifre intrecciate e stemmi, ma anche oggetti d’arredo come lampade, portaombrelli, vasi. Antonietta Mazzotti Emaldi con un curriculum di formazione nell’Istituto d’Arte per la Ceramica di Faenza e all’Accademia di Bologna, dopo avere intrapreso l’insegnamento, aprì nel 1972 la sua prima bottega nel centro storico di Faenza. La sua ricerca di una perfezione nella riproduzione degli stili della tradizione faentina le ha valso la stima di un pubblico internazionale che la conosce sotto il marchio di “Manifattura Artistica Antonietta Mazzotti Emaldi”. La sua attività l’ha portata a collaborare con i musei più importanti del mondo e a ricevere riconoscimenti dalle maggiori istituzioni e dalla stampa internazionale. Non c’è che dire, si vorrebbe protrarre la sosta in questo luogo oltre il motivo contingente della produzione ceramica per


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godere del contesto ambientale che ha il fascino delle dimore aristocratiche. A Brisighella , dove si fa sosta per i motivi già detti, il bellissimo borgo e l’ottimo olio di oliva, si deve venire anche per conoscere due ceramisti che lavorano in coppia da una vita e che tutti conoscono come “Bartoli Cornacchia”. Scultore il primo, Walter, antico allievo del Biancini, pittore il secondo, Adelmo, allievo del Maestro Ugonia. Nel grande laboratorio che si affaccia proprio sui binari della linea ferroviaria Faenza-Firenze, di fianco alla stazione di Brisighella, sembra che gli spazi di lavoro siano propriamente divisi tra i due che da sempre occupano ciascuno una postazione fissa: il pittore si dedica all’arte del pennello sotto la finestra che guarda i binari, poco distante, nei pressi di un’altra finestra, lo scultore lavora la creta. Tutt’intorno immagini sacre, madonne, bassorilievi, pannelli, sculture, paesaggi agresti, scene di vita quotidiana. A Brisighella si potrebbe addirittura seguire un percorso dedicato alle loro opere collocate nelle chiese del borgo, ma le ceramiche del laboratorio Bartoli-Cornacchia sono ormai in molte altre città della provincia e della regione (una sessantina in Italia) e viaggiano in Europa ad arricchire la fama della ceramica faentina, ed anche in altri continenti, in Africa, in Brasile e in Terra Santa. Se si vuole gustare appieno la misura del lavoro di questi due artisti è bene andare a Lugo, nella Chiesa Parrocchiale di San Lorenzo, nella cui contro facciata campeggia “Il Giudizio Universale” opera di Bartoli-Cornacchia, che impegna ben 150 metri quadrati di superficie. Abbiamo constatato che Faenza ha diffuso a raggiera intorno a sé la dedizione alla lavorazione della terra trasformata in ceramica; ritornando dalla collina verso la città possiamo verificare questa diffusione anche in altre direzioni, nella pianura e fino alla costa, a Cervia. Nella campagna che si stende lungo l’argine del fiume Lamone, in via San Martino, appena fuori la mura, si sono insediate due restauratrici della ceramica, che svolgono un lavoro prezioso e ricercatissimo da musei, non solo italiani, da collezionisti privati, da antiquari italiani e stranieri. Valeria Castellari, maestra d’arte specializzata in Magistero di Restauro e attiva dal 1977, si occupa del restauro di maioliche e porcellane di alta epoca del ‘700 e moderne. Fra i suoi lavori si citano per il rilievo artistico il restauro del pavimento della Cappella Vaselli nella Basilica di San Petronio in Bologna; il restauro di una parte della collezione dei Musei Civici di Imola; il restauro di opere del Museo


Civico di Lodi; Madonna del Santuario della Salute di Solarolo. Le dedicano articoli riviste specializzate in ceramica antica e antiquariato e riviste divulgative (Dove, Carnet, Brava Casa). Tiene seminari e conferenze in occasione di convegni di studio. > Restauro: la prima forma di restauro fu la racconciatura ovvero la pratica di rimettere insieme i pezzi dei manufatti ceramici rotti fin dall’inizio della primissima produzione ceramica. Si accostavano le parti rotte di un pezzo e lungo i bordi si praticavano dei fori dai quali si faceva passare del filo di spago o di cuoio o di ferro. Se era necessario si dovevano rifare anche parti indispensabili alla funzionalità dell’oggetto. 57 Il restauro che oggi viene praticato su pezzi antichi (o moderni) può essere di tipo conservativo o museale, di tipo antiquariale. Conservativo: mira a conservare e consolidare ciò che di autentico sopravvive in un esemplare, lasciando in evidenza le parti mancanti con un’integrazione puramente plastica di ciò che è andato perduto. Antiquariale: include, oltre alla ricostruzione, il ritocco pittorico che vuole restituire all’oggetto la fisionomia originale, perciò non si deve notare l’intervento. Simona Serra, anch’ella con laboratorio in via San Martino, è discepola della Castellari e ha iniziato l’attività nel 1994. Lavora per antiquari e restaura pezzi di collezioni museali. Dopo questa parentesi dedicata al restauro ritorniamo agli attori della produzione ceramica attivi fuori Faenza. Tra Faenza e Forlì, nella campagna di Reda, vive e lavora Vittorio Ragazzini, siamo in via Colombarina al numero 4, nel suo Studio d’Arte Ceramica. Dal 1990 Ragazzini si dedica alla creazione di pezzi unici di carattere sacro e di pannelli decorativi per l’arredo secondo una personale ricerca in entrambi i campi e spesso in collaborazione con artisti locali. La produzione più caratteristica è però quella dei


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“Milites”, ovvero statuette militari o in divisa storica che egli produce per le varie Arme nazionali o per sodalizi civili nel solco della tradizione iniziata dal suo maestro W. Bosi. Su commissione si possono ottenere anche sculture-ritratto. A circa trenta chilometri da Faenza, immerso nella pace della zona pinetale vicino alle Terme di Cervia, il laboratorio di Giacomo Onestini, faentino per nascita e per formazione artistica, ci riporta all’arte della foggiatura che egli ha praticato sempre con grande attitudine e passione. E difficilmente un grande foggiatore (Premio mondiale per la foggiatura nel 1980) può scegliere la strada della decorazione. Onestini ha accettato la sfida lanciatagli dalla manipolazione della materia prima e si è cimentato artisticamente nella forma. Poi ha lavorato sugli effetti della luce, ottenuti con tecniche sperimentali. Sono i riflessi opachi per riduzione ad acido o ad impasto. Per conoscere da vicino le opere di Onestini si potrà visitare il suo laboratorio presso l’abitazione, in via Murri n. 7, preferibilmente dopo un appuntamento telefonico. La famiglia è attivamente impegnata ad organizzare mostre che facciano conoscere l’opera dell’artista, dopo la sua recente scomparsa. A Cervia, e precisamente a Montaletto, vive e lavora Claudia Farneti ceramista che si è formata al liceo artistico di Ravenna e alla scuola di Ceramica “Albe Steiner”. Gli stili che caratterizzano la sua produzione sono il Romagnolo tradizionale e il “ticchiolo”, decoro di scuola pesarese che in qualche modo la distingue dagli altri ceramisti. Una ventata di modernità si insinua nel suo lavoro quando sperimenta nuovi smalti con tecniche di riduzione in forno e ai nostri occhi appare un oggetto quasi di metallo che non rilascia, tuttavia, alcuna sensazione di freddezza. A Castiglione di Ravenna, in via Zattoni n. 67, Cristiana Casadio, diplomata nel 1977 all’Istituto Ballardini di Faenza, e specializzata in restauro ceramico, ha aperto nel 1980 il laboratorio con vetrina e negozio; qui realizza oggetti d’arredo, in particolare per l’illuminazione, con decori ispirati anche ai motivi delle tele stampate di Romagna, ma fondati sui canoni stilistici della tradizione faentina. Se percorriamo la S.S. 16 Adriatica, che da Cervia ci riporta verso Ravenna, proseguendo verso nord fino a Mezzano, possiamo fare sosta presso “Ceramica Artistica La Balena Bianca” di Cristina Capucci che qui propone un’oggettistica per la casa decorata secondo gli stili


59 classici faentini, ma anche alla “turchescaâ€?, in stile veneziano e secondo una libera creativitĂ . Le ultime tappe suggerite al curioso turista di passaggio a Faenza, per conoscerne le migliori produzioni ceramiche, lo conducono dalla costa cervese, dove siamo giunti seguendo la traccia lasciata da alcuni ceramisti di scuola faentina, fino al capoluogo di provincia, Ravenna, e di seguito nel cuore della campagna ravennate, a Godo di Russi, e a Lugo. Ravenna, capitale del mosaico, ci riserva dunque la sorpresa della ceramica. Quattro ceramiste tengono viva la tradizione della ceramica faentina, ma con qualche concessione ad una, forse inevitabile, influenza bizantina e con una certa apertura alla Romagna. Lo possiamo vedere con i nostri occhi. Malatesta Anna Maria, in via Maggiore n. 149/a, dipinge su ceramica alcuni motivi del mosaico bizantino (fiori, frutta, le colombe), riproduce paesaggi romagnoli e soprattutto ama proporre pitture secondo la scuola dei Della Robbia. Rita Barboni, con bottega in via Pastore n. 6 (siamo nella zona conosciuta come Bassette) si dedica al decoro romagnolo ripreso dalla tradizione delle tele stampate a mano nelle antiche stamperie; prevale il colore ruggine,


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ma anche il blu e il verde vengono applicati su servizi da tavola, soprammobili, lampade. In alcuni oggetti viene proposto anche il decoro siciliano dei limoni. Ancora a Ravenna, in via Canneti n. 2, nei pressi del Duomo, Enrica Roncuzzi e Letizia Tozzi conducono “Argilla srl” e offrono alla loro clientela un assaggio di tradizione faentina con il decoro a “foglia di vite” e il “berettino”, senza sottrarsi al fascino dei mosaici bizantini di cui riproducono particolari intriganti quali le pietre preziose di Teodora, le stelle delle volte basilicali. Una sezione della produzione è dedicata ad oggetti moderni sia nel design, sia nel decoro. A questo punto ci apprestiamo a conoscere alcune attività di lavorazione della ceramica che impreziosiscono il contesto rurale della provincia. Si chiama “Arte Ceramica” la bottega condotta da Maria Cristina Sintoni in via Faentina Nord n. 82, a Godo di Russi. Gli appassionati dell’Araldica avranno un motivo in più per entrare in questa bottega; qui, infatti, si realizzano anche oggetti frutto della appassionata ricerca che la titolare conduce, da oltre 15 anni, sulla rappresentazione grafica codificata degli stemmi nobiliari e sui simboli connessi. Un’ulteriore novità proposta dalla ceramista sono gli oggetti che fondono la cultura della ceramica faentina e quella del mosaico bizantino di Ravenna; intrapresa nel 1989 questa linea produttiva si è presto imposta all’attenzione del pubblico, con il termine sintetico, ma improprio, di “Ceramiche Bizantine”. Non mancano di attirare la nostra attenzione anche oggetti decorati secondo la tradizione faentina negli stili, ad esempio, del ‘400 e del ‘500. Siamo immersi nella zona più vocata all’agricoltura della provincia e continuiamo a scoprire realtà di artigianato artistico che sembrano perfettamente inserite nel contesto rurale; non lontano da qui, infatti, seguendo il suggerimento del percorso dedicato al mosaico, abbiamo incontrato anche alcuni artisti del mosaico.


A Lugo due ceramiste hanno aperto il proprio laboratorio e hanno in qualche modo arricchito l’offerta turistica della propria città. Laura Sughi, in corso Matteotti n. 25, lavora nel pieno rispetto della tradizione faentina di cui ripropone i decori classici eseguiti con sapiente pennellata su un’oggettistica tipica del manufatto faentino. Elisa Grillini si dedica alla ceramica artistica con vocazione alla sperimentazione che le ha consentito di esporre le sue opere, tutti pezzi unici, sia in Italia che all’estero, da sola o convogliata da esperienze di gemellaggio del comune di Lugo con alcune capitali europee. La caratteristica delle sue creazioni è il decoro a “lustro persiano”, antichissima lavorazione di origine saracena con influenza mongolo-cinese. Gli smalti preparati dalla Grillini sono composti da sali metallici, nitrati d’oro e d’argento che, durante la cottura, in ambiente riducente e con l’aggiunta di composti organici, sviluppando fumi, generano riflessi variegati e imprevedibili. Significativa è anche la sua esperienza di insegnamento in Istituti d’Arte, ospitando gli studenti presso il suo laboratorio e raggiungendoli in Comunità di recupero. Anche nelle Favelas del Brasile Elisa Grillini ha creato un laboratorio di ceramica. 61 Attualmente il suo laboratorio, che abbiamo visitato dapprima nel centro di Lugo, si trova a Budrio di Cotignola, in via Gaggio n. 12. L’accostamento delle due ceramiste di Lugo ci consente di tornare al tema del nostro esordio, ovvero la compresenza nella storia della ceramica faentina e nel suo presente delle due componenti che chiamiamo “di tradizione” e “sperimentale”. Sono due approcci molto diversi alla lavorazione della terra e alla sua trasformazione in manufatto; se è impossibile creare una graduatoria tra i due, è invece consentito riconoscere il valore complementare delle due espressioni artistiche. Accade, infatti, che in virtù di questa benefica diversità il turista continui a segnare nel proprio taccuino di viaggio, “oggi passaggio a Faenza”. E, seguendo la nostra traccia, si troverà coinvolto in una storia antica che ha conquistato l’epoca moderna.


Le aziende da incontrare

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Argilla Srl via Canneti 2 Ravenna tel. 0544/213459 Oggettistica in ceramica, mosaico e vetro. Arte Ceramica di Farneti Claudia via Bollana 39 Montaletto tel. 0544/965076 Produzione e decorazione oggetti in ceramica. Arte Ceramica di Maria Cristina Sintoni da Faenza via Faentina Nord 82/2 Godo tel. 0544/419451 Produzione e restauro ceramiche. Arte Della Ceramica di Sughi Laura via Matteotti 27 Lugo tel. 0545/32397 Produzione di ceramiche artistiche. Ballabene Ennio via Fenzoni 1/b Faenza tel. 0546/634393 Torniante. Bartoli e Cornacchia Snc via De Gasperi 10 Brisighella tel. 0546/81283 Ceramisti. Boschi Cesare viale Baccarini 7/a Faenza tel. 0546/22256 Ceramista. Bottega d’arte ceramica Gatti di Servadei Dante via Pompignoli 4 Faenza tel. 0546/634301 Ceramica artistica. Bubani “Arte & Raku” di Bubani Federica corso Baccarini 5/a Faenza

tel. 0546/23113 Ceramica ornamentale e complementi d’arredo. Castellari Giovanna via Granarolo 373 Faenza tel. 0546/41024 Produzione di ceramica artistica. Castellari Valeria via San Martino 21 Faenza tel. 0546/32522 Restauro di ceramica antica. Ceramica faentina d’arredamento di Bedeschi Florio e C. Snc via San Martino 5 Faenza tel. 0546/29504 Accessori in ceramica. Ceramica Artistica La Balena Bianca di Capucci Cristina via Reale 115 Mezzano tel. 0544/522407 Ceramiche artistiche. Ceramica Monti di Monti Vittoria via P. M. Cavina 22 Faenza tel. 0546/25264 Produzione di ceramica artistica. Ceramiche artistiche Vignoli di Vignoli Saura e C. Snc via Fermi 30 Faenza tel. 0546/621076 Produzione di ceramiche artistiche. Ceramiche Cristiana Casadio via Zattoni 67 Castiglione di Ravenna tel. 0544/950308 Ceramista. Ceramiche L’odissea di Moretti M. e Del Fagio D. Snc via Scaletta 6 Faenza tel. 0546/660461 Ceramisti.


Ceramiche Morigi Mirta via Barbavara 19/4 Faenza tel. 0546/29940 Produzione di ceramiche artistiche. Ceramiche Rita di Barboni Rita via Giulio Pastore 6 Zona Bassette tel. 0544/453981 Produzione di ceramiche artistiche. Ceramiche tradizionali di Faenza di Cortesi Romano corso Mazzini 49/b Faenza tel. 0546/26929 Ceramista. Ceramiche Vitali Snc di Vitali Jacopo e C. corso Mazzini 110/a Faenza tel. 0546/25791 Produzione di oggetti in ceramica. Dapporto Mauro via La Fonda 5 Faenza tel. 0546/46295 Ceramista e decoratore ceramico. De Rossi Giovanna via Scaletta 2/2 Faenza tel. 0546/664735 Ceramista torniante e produzione oggetti in terracotta. Diva Srl via Malpighi 4/a Faenza tel. 0546/667606 Decorazione piastrelle. Emiliani Miralba via Madrara 85 Pieve Cesato tel. 0546/44726 Ceramista. F O S Ceramiche di Mazzotti Piero Paolo via Risorgimento 27 Faenza tel. 0546/621362 Produzione ceramica.

Fictilia Arti Ceramiche di Piazza e Morini Snc via dell’Artigianato 12 Faenza tel. 0546/620896 Produzione ceramica artistica. Garavini Ilirio via degli Olmi 10 Faenza tel. 0546/662134 Formatore e stampatore ceramica. Garavini P. Paolo via degli Olmi 16 Faenza tel. 0546/29837 Torniante ceramista. Grillini Elisa Ceramiche d’arte via Gaggio 12 Cotignola tel. 0545/32015 Produzione ceramiche artistiche e decorazione in genere. Immagine Faentina via S. Silvestro 1 Faenza tel. 0546/672151 Produzione ceramica artistica. Keser Diva Design Spa via S. Silvestro 1 Faenza tel. 0546/660676 Progettazione e produzione prodotti ceramici. La Tradizione Dalla Malva & C. via Onestini 15 Granarolo tel. 0546/41584 Produzione ceramica. Maestri Maiolicari Faentini di Lea Emiliani via Granarolo 63 Faenza tel. 0546/664139 Produzione ceramiche artistiche. Maiorana Roberto via Baccarini 9/b Faenza tel. 0546/28477 Ceramista.

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Malatesta Anna Maria via Maggiore 151 Ravenna tel. 0544/465921 Ceramista. Melandri Danilo via Pezzi 3/a Faenza tel. 0546/29480 Decoratore ceramiche. Melandri Marinella via Battaglia 7 Faenza tel. 0546/663840 Ceramista. Mi.Ba. di Missiroli Marco & C. Snc via Donatello 3 Faenza tel. 0546/28120 Semilavorati in argilla e ceramiche artistiche. Mila Donati di Donati Mila e Peroni Barbara Snc corso Saffi 46 Faenza tel. 0546/662665 Produzione e restauro di oggetti in ceramica e porcellana. Ortelli Monica via Don Ragazzini 3/4 Faenza tel. 0546/32488 Ceramista. Pedrelli Giuseppe via Gobetti 12 Bagnacavallo tel. 0545/60497 Ceramista. Pico Faenza di Piancastelli Daniele via San Martino 38 Faenza tel. 0546/33274 Produzione ceramiche. Razzi Alberto via Celle 38 Faenza tel. 0546/622112 Ceramista.

Ricciardelli Liliana via Santa Lucia 77 Faenza tel. 0546/32426 Decorazione e produzione ceramica. Sangiorgi Luciano corso Europa 134 Faenza tel. 0546/33270 Lavori di decorazione ceramiche. Sartoni Danilo via Ravegnana 409/b Ravenna tel. 0544/401806 Ceramista. Sassi Ivo via Bondiolo 11 Faenza tel. 0546/663069 Produzione sculture in ceramica. Serra Simona via S. Martino 2 Faenza tel. 0546/26978 Restauro ceramica. Silvagni Laura via Monsignor Battaglia 11 Faenza tel. 0546/26357 Produzione ceramica artistica. Solovetro e... di Benzi Paola viale Italia 87 Cervia tel. 0544/975242 Lavorazione vetro. Studio ceramico Mancusi di Mancusi Mariapaola via Aldo Moro 6/a Riolo Terme tel. 0546/71111 Ceramista. Studio d’arte Gaeta Goffredo via Gucci 20 Faenza tel. 0546/39141 Ceramista lavorazione vetrate artistiche.


Studio Erreti di Tavanti Katia via Firenze 469 Faenza tel. 0546/43285 Produzione ceramica artistica. Studio Gemi D’at di Geminiani Silvana via Baccarini 15/b Faenza tel. 0546/26566 Lavori da ceramista. Suzzi Gino via Sant’ippolito 23/a Faenza tel. 0546/26907 Ceramiche artistiche.

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Una ruggine da non perdere Guida alle stamperie della Associazione Stampatori Tele Romagnole in provincia di Ravenna


Una ruggine da non perdere Guida alle stamperie dell’Associazione Stampatori Tele Romagnole in provincia di Ravenna

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Se la ceramica è faentina, se il mosaico è ravennate, le tele stampate a mano, nel caratteristico colore ruggine, sono indiscutibilmente romagnole. Ravenna, Gambettola, Meldola, Cervia, S. Stefano, S. Sofia, Riccione, Forlì, Bellaria e Cesenatico, sono tutti comuni di Romagna, luoghi dove è possibile incontrare i protagonisti di un’arte che si è mantenuta viva nel sito storico dei suoi esordi. Dieci botteghe si sono costituite in associazione (Associazione Stampatori Tele Romagnole) per tramandare il metodo tradizionale della stampa a mano, difenderlo dalle imitazioni industriali e diffondere la cultura che è alla base della tradizione stessa. > Sito storico: la stampa su tela diffusa in Europa già nel VI secolo dopo Cristo, forse importata da regioni orientali come l’India, ha attraversato i secoli fino alla modernità utilizzata soprattutto nelle tappezzerie e avvalendosi in alcuni paesi, come nell’Inghilterra del XVIII secolo, dell’invenzione di nuovi metodi. In Italia si crearono dei distretti della stampa su tela, come a Genova e nei territori dello Stato Pontificio, nelle attuali Marche e in Romagna, dove ancora esistono alcuni laboratori, e dove essi erano fortemente legati alla pratica agricola. Ricordiamo a questo proposito la produzione di tele-coperte da buoi stampate a mano che ancora possiamo ammirare in Romagna, nella Storica Stamperia Pascucci. Esse erano prodotte in numerose botteghe, a Dovadola, Meldola, Castrocaro, Santarcangelo, come testimonia un numero della Rivista “La Piè” dedicato alla mostra del folklore romagnolo tenutasi a Forlì nel 1921 e organizzata grazie all’impegno del poeta Aldo Spallicci. Lo stesso Spallicci, appassionato cultore delle tradizioni romagnole, scriveva della fortuna incontrata dalla pratica di stampare i tessuti in Romagna sia per l’arredo domestico, sia per il vestiario, probabilmente incoraggiata dalla fama conseguente alla mostra del 1921. E metteva in guardia dal rischio degli “stampatori d’occasione”. Il fine è ben rappresentato nel marchio dell’Associazione: le mani dello stampatore all’opera, l’una tiene fermo lo stampo di legno, l’altra stringe il mazzuolo, strumento indispensabile per trasferire l’impronta del disegno sulla tela.


Un gesto sospeso nel tempo. Un’azione infinite volte replicata fino a diventare simbolo dell’autenticità dell’arte. Senza quel gesto non esiste la stampa a mano delle tele romagnole. Ed è un gesto sonoro, di un rumore tondo, compatibile, non ostico per i timpani di chi lo produce e di quanti intorno a lui lavorano. Legno batte legno sulla tela adagiata sul bancone. Uno, due colpi, ma sapienti, colmi di concentrazione. Li riceve la matrice di legno di pero incisa con sgorbie e scalpelli per pochi, circa cinque, millimetri. Il legno di pero si addice al lavoro dello scalpello, è tenero, infatti, e si confà alle economie sobrie degli stampatori che lo acquistavano anche nei tempi più antichi in quantità. Se ogni bottega ha oggi un patrimonio di centinaia o di migliaia di matrici, lo dobbiamo all’oculato accumulo dei primi artigiani che, quasi in dote, trasferirono il proprio caveau di legno alle generazioni a seguire. La fantasia dell’incisore possiamo apprezzarla direttamente sulla tela: motivi geometrici, a greca semplice o complessa, catene di anelli, teorie di roselline, foglie di edera, foglie di quercia, foglie di vite, il grappolo d’uva tra pampini e foglie, ballerini rusticani in mezzo a tralci in fiore e ancora forme di spighe e rose lungo i bracci di corone floreali, cerbiatti in corsa, il grifo alato, l’aquila in volo, il fagiano tra il fogliame, galletti, rustici boccali e caveje. 69 Tra tutte le matrici incise per ornare le suppellettili di casa, una fu dedicata dai primi stampatori alla stalla e sul dorso dei buoi, che bisognava riparare dai rigori invernali, veniva gettata la coperta recante a stampa la figura di S. Antonio Abate, protettore delle bestie e delle stalle. Le abbiamo viste, riproposte dalla stamperia Pascucci di Gambettola, in mostra anche sulle spiagge romagnole, le coperte per i buoi e le tende da spiaggia, quelle che riparavano dal sole i nostri nonni, ma stampate con gusto moderno, una proposta che ha piacevolmente sorpreso il pubblico dei turisti per il felice mix di attualità e di tradizione. Perchè di questo si tratta; il lavoro che gli stampatori


romagnoli del terzo millennio proseguono nelle proprie botteghe ci si offre come connubio tra l’arte che si radica nell’antica, pura tradizione e il gusto dell’uomo moderno che, in qualche misura, sa rinnovare la produzione per non segnare il passo. La creatività dell’artista impegnata su qualsivoglia materia sa creare con successo il binomio tra antico e moderno, senza cedimenti alle lusinghe della produzione a basso costo e in grandi quantità, industriale e indistinta. Le sorprese non mancano quando si concepisce così il lavoro artigianale e il passato prossimo in Romagna ci offre già esempi di eventi realizzati grazie alla stretta collaborazione tra artigiano stampatore e artisti, pittori, come è accaduto a Bertinoro, a Predappio nella cornice della Villa Pandolfa e a Forlì nella ricorrenza della festa patronale, con la mostra dedicata alla Madonna del Fuoco, la cui immagine è stata ritratta da noti pittori e stampata a mano su tela dalla stamperia Pascucci.

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Le dieci botteghe riunite sotto il marchio dell’Associazione (nata sotto gli auspici delle Associazioni Artigiane Provinciali), presieduta da Elisa Balsamini, hanno ciascuna la propria peculiare identità artistica, fatta di storia, di legami, di sperimentazioni, di ricerche, di scelte, di innovazione e tutte hanno accettato di non lasciarsi andare alle prospettive del guadagno facile ottenibile con la produzione seriale. Le dobbiamo ringraziare, perchè hanno scelto insieme una strada e un ritmo di lavoro che preservano la loro produzione da sollecitazioni esterne e da contaminazioni. Eppure tutte devono vendere, per non trasformarsi in piccoli musei, ciascuna deve studiare una strategia di marketing per conquistare la propria fetta di mercato e individuare le occasioni giuste per incontrare il cliente. Che ama entrare nella bottega, viverne lo spazio fisico e reale e non dimostra disagio se non vi trova i segni della modernità. Fuori dalla bottega, l’arte della stampa a mano si può incontrare


71 in mostre, fiere, padiglioni, palazzi, in luoghi aperti, nelle sagre locali, nelle piazze, nelle darsene, ovunque l’artigiano stampatore sceglie di portare il segno permanente del proprio lavoro. Lo abbiamo visto anche nei paesi d’Oltralpe, in Germania, in Austria, in Norvegia, quanto sia compatibile la presenza dell’artigiano stampatore all’opera con gli strumenti dell’arte, con la folla curiosa che si raduna per un evento di festa e di mercato. Si hanno testimonianze di scambi culturali e commerciali iniziati nella circostanza di eventi organizzati all’esterno della bottega e tutte le esperienze vi rifluiscono sia come entusiasmo dell’artista, sia come nuovi contenuti introdotti nell’opera. Recentissimi esempi ci confortano anche circa il proficuo scambio che si può realizzare tra l’artista, il poeta, lo scrittore, il pittore, lo stilista e l’artigiano stampatore. Un nome per tutti a conferma di ciò è quello di Riccardo Pascucci di Gambettola, art director della stamperia di famiglia, che ha raccolto negli anni recenti e negli ultimi mesi sollecitazioni dal mondo della moda e dalle varie discipline artistiche, ma sempre grazie all’incontro con personaggi in sintonia con la sua vena di ricerca e di creatività. Sono nati così gli arazzi firmati da lui insieme con il poeta Tonino Guerra. E non solo. La stamperia di Gambettola ha


72 portato la tela stampata romagnola nella cornice di Palazzo Pitti a Firenze esponendo insieme alle più consolidate aziende di tessuti per l’abitare. Visiteremo la bottega dei Fratelli Pascucci a Gambettola, in via Verdi n. 18. In provincia di Ravenna, e precisamente a Santo Stefano, andiamo per conoscere un artigiano stampatore aderente all’Associazione, sulla cui attività di bottega si rincorrono voci e fama degne di un preambolo di leggenda popolare. Egidio Miserocchi, in realtà, non ha accumulato ancora gli anni che potrebbero conferirgli una patina leggendaria, eppure scambiando con lui qualche parola in più si scoprono le sfumature del suo personaggio. Architetto, mosaicista, stampatore, pittore, ma potremmo annoverarlo anche nella schiera dei ricercatori di quante altre espressioni creative si possano affacciare ad una mente versatile in buona sintonia con la manualità artigiana. Se si entra nella bottega decisamente naif di Miserocchi per ottenere la visione delle tele stampate romagnole, ci si avvicina agli scaffali dove esse sono ripiegate in buon ordine, ma per raggiungerle e sfiorarle si devono superare con gli occhi altri tessuti, i più diversi, tra cui anche sete e velluti che per i loro colori e i decori di cui si fregiano


richiamano la nostra attenzione. Non c’è ordine espositivo, un disordine voluto sembra, e forse è, lo specchio dell’arruffata fantasia dell’artigiano. O è più giusto chiamarlo artista? Si ripropone la domanda che ci accompagna in questo nostro viaggio tra artigianato e arte. Miserocchi non si adegua neppure all’utilizzo dei classici stampi in legno di pero. Ne possiede diverse centinaia, ma continua a crearne altri di materie nuove, le più astruse, eppure disponibili a farsi cesellare secondo una sua idea. E i colori sono anch’essi il frutto di ricerca e sperimentazione che mettono alla prova le fibre e i reagenti naturali. Nelle stampe di Miserocchi, tuttavia, troviamo anche la tavolozza e le pennellate del pittore: a riempire gli spazi che, nel rigore del disegno stampato resterebbero bianchi, interviene la pittura. Oltre a ciò si avvicina alla linea del traguardo il progetto di un luogo dove dare spazio e tempi nuovi al proseguimento della storia. Una nuova bottega dove lavorare, studiare, fare ricerca e anche insegnare ad altri come già gli accade di fare. Ma non pensiamo al classico laboratorio e alle botteghe che possiamo incontrare in questo percorso romagnolo. Mi sovviene, qui, l’espressione di Riccardo Pascucci, che mi fece presagire una diversità, “Un tempio!”, mi suggeriva. Comprendo la sua meraviglia guardando le 73 foto che Miserocchi ha scattato dell’ambiente che sta costruendo con le sue mani: mosaici pavimentali e parietali, pitture, materiali raccolti nei luoghi meno canonici e, forse, anche qui ingannerà il nostro occhio con l’arte, da lui praticata, del tromp l’oeil. Per ora, tuttavia, continuiamo ad annotare l’indirizzo dell’attuale bottega in via Miserocchi n. 4 a Santo Stefano di Ravenna. E prima di raggiungerla diamo un preavviso telefonico. Restiamo In provincia di Ravenna, a Cervia, dove è molto conosciuta e anche facilmente individuabile la bottega “C’era una volta”, che si affaccia sul porto canale quasi di fronte al mercatino del pesce e alla storica “La Pantofla”, il locale della Cooperativa dei Pescatori. “C’era una volta” è condotta da Maurizio Babbi ed Elisa Drudi che hanno offerto ai turisti della famosa località balneare un’occasione in più per apprezzare la tradizione romagnola. Gli ospiti delle più diverse provenienze in soggiorno a Cervia non mancano di visitare la bottega dove, entrando,


74 si è avvolti dalla calda cornice di tele disposte in ogni angolo, nella scenografia creata dai mobili in stile rustico provenienti dalla casa di campagna dei nonni, come le credenze e il letto antico sul quale fa spicco la coperta stampata nella bottega. I due artigiani si integrano perfettamente nelle fasi del lavoro, lei provvede al taglio delle tele, alla loro cucitura e presiede la vendita, lui è l’artigiano artista, responsabile delle scelte peculiari dell’arte: disegno, incisione, stampa e fissaggio dei colori sono il know how di Maurizio Drudi che ha appreso la tecnica in quindici anni di lavoro presso la storica Stamperia Pascucci a Gambettola. Per convenire con la nostra prima affermazione sull’arte della stampa a mano su tela, laddove l’abbiamo definita romagnola, ci lasciamo guidare dalla storia, dalla tradizione, dall’odierno operare e, lasciando la provincia di Ravenna ci dirigiamo verso il territorio forlivese che ci offre numerose opportunità di conoscere stamperie aderenti all’Associazione. A Gambettola, come poco sopra si ricordava, lavorano i fratelli Pascucci, in via Verdi n. 18, che hanno mantenuto la sede storica del primo stampatore della famiglia attivo nel lontano 1826 e che oggi rappresentano, in questa storia familiare e aziendale insieme, la quinta generazione.


> Mangano: era un’ imponente macchina, una pressa, usata per stirare a freddo le tele prima di lavorarle e tingerle. Le tele uscivano dalla pressatura lucenti e compatte. Il meccanismo, pesantissimo, era azionato dalla forza di due persone adulte che mettevano in movimento, girando intorno ad un perno ruotante, i rulli attorno ai quali la tela era stata predisposta. Era caratteristico il rumore provocato, uno scricchiolio di legno in movimento. Oggi si può ammirare il mangano in alcune botteghe: nella Stamperia Pascucci, in quella di S. Arcangelo, due più piccoli nelle Stamperie Olivetti a S. Sofia e Menghi a Bellaria.

Un passaggio di testimone che ha superato abbondantemente il secolo e mezzo mantenendo intatta la tecnica di lavorazione, la qualità del prodotto e la sua bellezza che attira l’attenzione di un pubblico attento alla tradizione, ma moderno e deciso a collocare le tele stampate a mano nella propria abitazione o nel luogo di lavoro (è il caso dei locali della ristorazione o degli alberghi). Il laboratorio dei Pascucci, che si snoda tra diversi ambienti antichi, sale con i soffitti ancora travati in legno, scaffali ricolmi di stampi di legno che sono un documento unico della storia di questa stamperia, il grande mangano usato per la stiratura delle tele, tutto ci vorrebbe riportare indietro nel tempo e, una volta entrati, il tempo sembra davvero fermarsi e la fretta di riprendere la nostra strada si perde tra queste mura che l’assorbono, come assorbono i rumori del lavoro quotidiano. Eppure essi stessi, gli artigiani artisti di questa famiglia, ci insegnano che il legame con il presente è irrinunciabile, ci ricordano che ogni giorno le scelte aziendali sono fatte anche guardando al futuro e che le nostre scelte di consumatori possono essere determinanti per il successo degli stampatori romagnoli radunati sotto il marchio dell’Associazione. Scegliere la qualità nella produzione è il primo impegno e, per non venir meno all’esigenza, quando se ne presenti la 75 necessità, di una produzione quantitativamente impegnativa, le dieci botteghe possono attuare un processo “a catena” fra di loro. L’importante è che non si passi a metodi che sono del tutto sbilanciati sulla quantità, come la serigrafia, e che non si scenda nella qualità degli stessi tessuti. Per questo i Pascucci sono sempre alla ricerca di tele antiche, quelle ancora conservate nei vecchi bauli e nelle cassapanche di famiglia e spesso le ricevono spontaneamente da persone che desiderano ornarle con i decori romagnoli, ma le acquistano anche da privati, ancora bianche, per poi stamparle nella bottega. La continuità dei metodi di produzione nel corso dei


76 secoli non ha comportato, tuttavia, l’assenza di personalizzazione nell’esecuzione del lavoro. Riccardo Pascucci, che ci guida in questa visita, ci fa notare che lo stesso ornato, ad esempio i galletti, realizzato dal nonno, è diverso da quello realizzato oggi da suo fratello. C’è un’evoluzione nella tradizione e la fase del lavoro che più la manifesta è quella affidata all’incisore, colui che crea il disegno, lo incide sullo stampo di legno di pero. Ogni generazione offre all’azienda un incisore che lascia una traccia personale. Ma gli stampi possono essere anche assolutamente nuovi, commissionati da un cliente che desidera un disegno da lui pensato, uno stemma per la famiglia, e sugli scaffali vi sono alcuni esempi di questa produzione moderna e personalizzata. E parlando di stampi si affronta anche il discorso della loro conservazione e della memorizzazione delle migliaia di matrici che sono conservate sugli scaffali. Salta fuori, allora, un pesante catalogo che raccoglie, stampati su ruvida carta gialla, tutti i disegni della collezione Pascucci. Alcuni li ammiriamo poi direttamente sulle tele che egli srotola sul banco di lavoro e su quelle che sono stese ad asciugare in alto, sopra le nostre teste, appese alle canne che nascondono il soffitto della sala. In questi giorni il panorama dell’asciugatura è rinnovato dai grandi arazzi che Riccardo Pascucci ha realizzato in collaborazione


con il poeta Tonino Guerra. Ma le novità appassionano tra i Pascucci soprattutto lui, Riccardo, che cura proprio la produzione e il rapporto con il cliente, che avverte le flessioni del mercato, più sensibili in alcuni periodi, ma accettate come fasi ineludibili. L’importante è guardare avanti mantenendo forte il legame con il proprio patrimonio culturale, ciò che affascina la clientela. Il viaggio alla scoperta delle stamperie romagnole, dove ancora si pratica il metodo della stampa a mano, può continuare nelle province di Forlì-Cesena e Rimini dove in maggior numero esse sono situate. Tra la costa, a Cesenatico, Bellaria, Rimini e Riccione, e l’Appennino, da Forlì, Meldola e Gambettola fino a S. Sofia, gli stampatori mantengono viva la tradizione pur proponendo soluzioni moderne e accattivanti per il nostro abitare. I DECORI

C’è stata un’epoca in cui gli stampatori della Romagna attinsero idee per decorare le proprie tele dal repertorio accademico, ovvero dal cosiddetto “ornato”, che si era venuto consolidando grazie al fiorire, dal Seicento all’Unità d’Italia, di accademie dove si approfondivano le conoscenze della pittura e del disegno. 77 I luoghi del sapere accademico nel campo delle “belle arti” più vicini al territorio delle stamperie erano l’Accademia di Bologna e l’Accademia di Ravenna, sorta quest’ultima nel 1827. Dai luoghi del sapere le conoscenze uscivano e si diffondevano anche tra il popolo, visto che gli artigiani stampatori scelsero di inserire tra le decorazioni della propria bottega anche quelle desunte da modelli accademici. A questa divulgazione contribuirono di certo anche i testimanuali di disegno che nei primi decenni del XIX secolo vennero pubblicati. Se poi si vuole fare una ricognizione anche se molto rapida sul risvolto sociologico di questo fenomeno si può


ipotizzare che le classi contadine, che soprattutto usavano il tessuto stampato nelle proprie dimore, avessero colto l’opportunità di avere un qualche richiamo all’eleganza tipica della borghesia, utilizzando decori secondo i dettami dell’ornato accademico, pur se riprodotti su tessuti non così raffinati come quelli in uso nelle case borghesi. Un’altra fonte di ispirazione per l’incisione dei clichès furono i motivi del ricamo e dei merletti divulgati da testi canonici come il Burato (1527) o dai dettami della società Aemilia Ars (attiva a Bologna dal 1898 al 1903). L’attenzione degli incisori si appuntò frequentemente anche sui motivi più ornamentali del mosaico bizantino (tralci, girali) e ancora sulle decorazioni ceramiche (airone faentino). In anni relativamente recenti, anni ‘30 del Novecento, si fa strada un concetto di decorazione più moderno, inerente al design e alla grafica pubblicitaria, che utilizza uno stampo riempito di chiodini di ferro tale da riempire completamente la superficie dei tessuti anche più sottili della canapa, quali il lino e la seta. Questo tipo di stampo si può tuttora trovare nel caveau di alcune stamperie. LA STAMPA A RUGGINE

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Il Romagnolista Aldo Spallicci descrive la preparazione della pasta in “La Piè”, X, 1929, p. 88: “Tre vasi, tre misture. Ecco tutto il gabinetto del chimico tintore. In un caldano tenuto in vista d’un braciere (perché il calore deve essere molto discreto), fanno un bagno aromatico chiodi e ferramenta di ogni genere. Aceto di vino, dev’essere ben forte e maturo. Niente acido acetico. Un vecchio aceto di botticella ben sgrumata di tartaro che a levarne solo il cocchiume se ne profumi tutta la cantina. Si intride poi, in un secondo vaso, del fiore schietto di farina di frumento in acqua di acetato di piombo e di solfato di ferro. Infine si fa consumare nell’acido nitrico (che fa da mordente) qualche pezzo di ferro non corroso dalla ruggine.


79 È certo che la mistura ad occhio richiede una lunga esperienza. L’essere qui più, là meno generoso nella manciatella, significa donare un tono più freddo o più caldo alla tinta. È un po’ un impasto da tavolozza che vuole un certo garbaccio da pittore. Ora di tre vasi se ne fa uno solo e il contenuto, ben rimescolato, tanto da avere una certa densità da colla da attaccare o da inchiostro da tipografia (…), si rovescia in un vassoio da calcina o in una cassetta”. Ingredienti di base: ferro dolce opportunamente ossidato e trattato con puro aceto di vino e acido nitrico per farne precipitare la ruggine; si aggiungono acetato di piombo e solfato di ferro e il tutto viene “legato” con farina bianca di frumento che deve dare consistenza collosa alla pasta colorante. I pesi e le misure sono determinati dall’esperto colpo d’occhio dell’artigiano. Gli altri colori sono ottenuti nelle stamperie con basi minerali sintetizzate chimicamente e ciascuna può ottenere colori inediti facendo proprie ricerche ed esperimenti, come la bottega Visini di Meldola che ha ideato il verde marcio ricavato dall’ossido di rame. Dopo la preparazione della pasta come procedono gli odierni stampatori? La pasta viene stesa su un tampone; la tela viene collocata sul bancone da lavoro, ben imbottito.


80 L’artigiano prende lo stampo, lo intinge nel tampone e lo appoggia sulla tela che vuole decorare con un gesto sicuro, rapido, indi lo percuote con il mazzuolo una, due, anche tre volte. Il mazzuolo ha il peso calibrato di circa 4 chili e imprime il disegno con nitidi contorni. L’operazione si ripete fino a decorare tutta la tela. Ora la stoffa decorata viene posta ad essiccare, appoggiata in alto a bastoni, e quindi si passa al fissaggio ottenuto con soda caustica che rende la tinta ruggine permanente.


Le aziende da incontrare

C’era una volta di Drudi Elisa via Nazario Sauro 150 Cervia tel. 0544/971234 Stampe su tela. Miserocchi Egidio via Miserocchi 4 Santo Stefano tel. 0544/563728 Stampe su tela.

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Memoria d’antico Guida alle botteghe degli artigianati minori in provincia di Ravenna


Memoria d’antico Guida alle botteghe degli artigianati minori in provincia di Ravenna

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E subito è doverosa una precisazione. Si può parlare di minorità di alcuni artigianati solo in riferimento alla loro concentrazione sul territorio, ovvero alla diffusione. Null’altro, infatti, potrebbe relegare in seconda posizione l’arte del liutaio o quella del progettista e costruttore di navi in legno e, ancora, come potremmo non sentire il valore dell’arte orafa e il romantico richiamo delle ricamatrici e delle sarte che vestono bambole confezionate in ceramica? Sono pochi gli artigiani del ferro battuto, ma ottengono risultati splendidi nella loro fucina. Che dire poi degli anziani che continuano a dare dimostrazione, e soprattutto alle giovani generazioni, dell’arte di intrecciare le antiche erbe di palude? La piadina romagnola viene cucinata ad arte in ogni comune della provincia, mentre un solo artigiano continua a costruire il testo per cuocerla. E ancora... uno solo sa creare arte in attesa del vento. Questi artigiani hanno accettato il testimone nella staffetta della storia e hanno saputo traghettare nel millennio più tecnologizzato l’arte antica, salvandone non solo la memoria, ma, ci auguriamo, il futuro. Questi artigianati valgono come un tesoro. LA LAVORAZIONE DEI METALLI PREZIOSI

Si entra nel mondo della lavorazione dei metalli preziosi in punta di piedi e con la sensazione di invadere un “luogo” ricco di segreti custoditi tra le mura di alcune piccole imprese artigiane. Piccole può significare il lavoro di una sola persona, il titolare. È anche questa l’entità di risorsa umana che caratterizza l’impresa di oreficeria sparsa nei centri storici del territorio provinciale di Ravenna. Spesso però l’impresa si accresce diventando negozio, dove il frutto della creatività artigiana diventa proposta commerciale; il cliente affezionato, l’intenditore o l’investitore sanno che dietro i portoncini blindati di alcune oreficerie-negozio potranno trovare quella nicchia di creatività, un oggetto già creato dall’orefice o quello che essi gli vor-


ranno proporre come oggetto del proprio desiderio affinché egli lo costruisca. In Italia esistono dei veri e propri distretti dell’arte orafa, a Vicenza, a Valenza Po, ad Arezzo sono sorte innumerevoli ditte e si organizzano eventi espositivi, ma solo di recente si è organizzato un corso di studi a livello universitario per la lavorazione del metallo prezioso, a Milano presso l’Università della Bicocca. In realtà le migliaia di orefici attivi sul territorio hanno quasi sempre imparato a bottega e, se hanno frequentato corsi professionali e scuole, hanno comunque cercato ben presto di affiancarsi ad un maestro orefice nel suo laboratorio. Il breve percorso sul territorio provinciale per conoscere alcuni artigiani orefici tocca il capoluogo, Ravenna, ed i comuni di Russi e Fusignano. A Ravenna, per conoscere un artigiano che realizza il ciclo completo del lavoro sul metallo prezioso nel proprio laboratorio, andiamo da Riccardo Brescini, in via Camporesi n. 21. Quando si dice laboratorio si immagina un luogo non definito dall’immagine esterna, rivolta al pubblico, ma dalle azioni che si compiono al suo interno. Infatti la vendita, qui, è legata alla commissione, si acquista quasi esclusivamente 85 ciò che abbiamo ordinato all’orafo, un oggetto studiato con lui. La vetrina, se c’è, è secondaria, ha soprattutto una funzione di segnale e secondariamente di attrattiva. Orafo, costruttore, riparatore, incassatore, Riccardo Brescini lo è diventato lavorando il metallo prezioso con passione, curiosità e dedizione fino dalla giovinezza. A 15 anni era già in un laboratorio quando lo notò Paolo Ferretti, attivo a Russi, e lo spronò ad intraprendere un’attività in “proprio”. “Da quel momento, erano gli anni ‘70, non c’è stato per me un solo giorno senza lavoro”, vuole precisare Brescini, che è ancora legato alla tradizione dei Ferretti di Russi attraverso il figlio, Daniele Ferretti, che tuttora gli commissiona dei pezzi. Nel laboratorio di Brescini si realizza il ciclo completo della produzione, dall’idea all’oggetto “finito”, attraverso tutti i passaggi che trasformano un lingottino o una lamina in anello o in bracciale o in catena. È possibile ripercorrere nel laboratorio l’iter della lavorazione chiedendo al titolare un appuntamento e si potrà cogliere l’occasione di studiare con lui un oggetto da regalare a noi stessi o ad una persona cara. Qui tutti i procedimenti fondamentali sono realizzati a mano e con il supporto, indispensabile, di alcuni strumenti e di piccole macchine: si passa dai crogiuoli alle lingottiere,


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al laminatoio, alla filiera per giungere alla lavatrice ad ultrasuoni e alla pulitrice dotata di spazzole di varie dimensioni. Un recipiente pieno di segatura di canna è il passaggio per l’asciugatura. Il ciclo della lavorazione non ammette perdite neppure dei minuscoli granuli di polvere caduti sul piano di lavoro o sul pavimento. Tutto viene recuperato. L’acqua che scorre nel lavabo non finisce nel tubo di scarico, che non c’è più, sostituito da un secchio dove un cappello di feltro funge da filtro. Le immondizie, quelle poche che vengono prodotte, non raggiungono i cassettoni municipali bensì, raccolte e trasformate in lingotto, vengono portate alle ditte specializzate nella raffinazione. Un ciclo di lavoro eco-compatibile si realizza nel laboratorio di Brescini, che ha imparato nell’esperienza quotidiana anche l’arte dell’incassare le gemme e le pietre nell’oggetto d’oro da lui costruito. Una caratteristica della produzione Brescini è la lavorazione detta a “fusione diretta” che consente di creare effetti di decoro lavorando il metallo fuso direttamente sulla lamina d’oro. Sono tutti pezzi unici, quindi, quelli che escono dalle mani di questo artista dell’oro. Una seconda tappa alla scoperta dell’arte orafa può essere fatta in via Maggiore n. 159, nel laboratorio di Marco Gerbella. Le sue creazioni, frutto della formazione presso valenti orafi, nella Valenza, patria dell’arte, e della sua personale vena creativa, ci espongono al fascino del monile classico: sapientemente studiato per ottenere un risultato che bilanci perfettamente le sue componenti, perla, pietre e brillanti con la quantità d’oro. Nonostante la giovane età, ha potuto fare anche esperienze di approfondimento dell’artigianato orafo applicato alla creazione di oggetti indirizzati all’uso di rappresentanza istituzionale di autorevoli ambienti, come quelli vaticani. Allievo in questo del maestro Marotto. A Russi l’orafo Daniele Ferretti è facilmente raggiungibile nel negozio laboratorio sotto i portici di piazza Dante n.15. Prima di superare il piccolo ingresso blindato è consigliabile soffermarsi a guardare un angolo della vetrina dove Ferretti espone le sue creazioni: oggetti in oro giallo e oro bianco, impreziositi spesso da pietre, creati secondo un’ispirazione suscitata in lui giovanissimo dalla vicinanza del padre Paolo, orafo astrattista, anticipatore di forme e volumi come nella pittura fu il futurismo. All’epoca, erano gli anni tra il ‘50 e il ‘60 del Novecento, Paolo Ferretti non vendeva le sue creazioni perché troppo in anticipo rispetto al gusto del tempo, che prediligeva


le forme classiche. Nel 1971 il figlio Daniele cominciò ad affiancarsi al padre che gli aveva trasmesso la propria passione creativa, e non solo verso la lavorazione del metallo prezioso. Uomo poliedrico, maestro di magia di scena, prima di lavorare l’oro Paolo Ferretti aveva provato con i metalli dei residui bellici dai quali ricavava gli accendini. Oltre a ciò il passaggio di esperienze dal padre al figlio si arricchisce con le prove nella pittura e nella musica rock. Anche oggi le creazioni di Daniele sono decisamente “ferrettiane”, forse con qualche attimo di pacatezza in più nella invenzione di forme che anche una donna ancorata allo stile classico possa indossare. È sempre apprezzabile, comunque, l’idea che muove la mano, come quando Ferretti decide di lavorare intorno alla madreperla che conserva in sé il piccolo frutto non maturato, o quando costruisce oggetti sul tema dell’abitare, micro-riproduzioni degli ambienti domestici, un salottino, la libreria, la bathroom, fusioni in oro impreziosite talvolta da un brillante. Le tecniche di lavorazione sono per noi come il titolo di una favola, i segreti della lavorazione a colatura, a lastra o a cera persa li lasciamo nell’angolo-laboratorio del negozio, sotto i portici di piazza Dante a Russi. 87 A Fusignano troviamo l’esperienza di un artigiano specializzato nella conoscenza e riparazione degli orologi, sia quelli personali da polso o da taschino, sia quelli d’arredo. Nel laboratorio di Erasmo Baravelli, in via Emaldi n. 86, possiamo portare anche un oggetto prezioso, come un orologio d’epoca in oro zecchino, per farlo restaurare. L’esperienza di Erasmo Baravelli è anch’essa costruita fin dai tempi della giovinezza, con i primi rudimenti, la classica gavetta, appresi a bottega presso lo storico laboratorio Girotti a Bologna. Qui lo notò la titolare della oreficeria di Fusignano che lo invitò a trasferirsi nel laboratorio in provincia di Ravenna dove egli è rimasto fino ad oggi, specializzandosi ben presto nella lavorazione dell’orologeria. Supportato da ripetute frequentazioni di corsi di aggiornamento nella patria dell’arte, in Svizzera, Baravelli ha offerto a Fusignano e a largo raggio nel territorio ravennate la sua sicura competenza avvalorata dalla passione che ha trasmesso anche ai figli: un negozio Baravelli è attivo anche a Faenza presso il Centro Commerciale “Cappuccini”. Qui a Fusignano il negozio, ampio e con grandi vetrine, conserva l’angolo di lavoro con il mobile in legno attrezzato con cassettiere, luci da tavolo, bilancine, piccoli attrezzi indispensabili al meticoloso lavoro delle mani.


Ma le piccole mani dell’orologiaio sono sempre più rare; non è facile, oggi, introdurre i giovani di 15 anni a questo lavoro e se le mani non si esercitano a partire dall’adolescenza esse non saranno più adatte all’arte dell’orologeria. Non a caso le mani di Baravelli sono perfette, testimoni di un’arte esercitata con costanza a partire dall’età giusta. ARTIGIANATO DEL LEGNO

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Cantiere Navale De Cesari a Cervia A Cervia, perla della riviera romagnola dove si viene per i motivi classici della vacanza balneare, per godere, cioè, di sole, mare e spiaggia, c’è un luogo forse poco frequentato dai turisti, molto di più dai proprietari di barche da diporto: la piccola darsena, gremita di natanti che solo verso il molo lasciano qualche spazio alla piccola flotta dei pescherecci cervesi. E accanto alla darsena, passando da Cervia a Milano Marittima sul ponte mobile o sul traghetto, ci si trova, in via Sinistra del Porto, tra il Circolo Nautico e l’imponente mole dei capannoni di un cantiere navale. Siamo nell’azienda di Pier Paolo De Cesari, artigiano, costruttore e progettista di barche a vela di legno, attivo dagli anni ‘70 del Novecento quando, dopo aver frequentato l’Istituto per le Costruzioni Navali di Trieste, si inserì nell’attività iniziata negli anni ’30 dal padre Adriano (registrato con la tessera n. 4, nel 1947, come 4° Maestro d’Ascia Nazionale). Una passione lunga un secolo ha generato un’azienda che aggiunge fama alla Cervia balneare, offrendole il valore aggiunto di un artigianato praticamente unico in Adriatico. Nel Cantiere De Cesari si costruiscono barche a vela in tempi che non possono concorrere con quelli di una catena di montaggio. Il committente, quasi sempre straniero, molto spesso americano, deve prevedere un’attesa di circa tre anni per poter varare la propria imbarcazione che viene costruita completamente a mano, compreso l’arredo che


viene studiato su misura e realizzato sulla barca. Le pareti dell’ufficio di De Cesari, un luogo spartano in totale sintonia con il contesto marittimo portuale in cui sorge, sono tappezzate di foto di imbarcazioni costruite qui e varate nel corso degli ultimi decenni. Oggi si sta lavorando per ultimare la barca numero 363, una 26 metri, che potrà ospitare nel cabinato sei persone più l’equipaggio e il personale di servizio. Almeno otto persone lavorano nel cantiere tra le quali immancabile il maestro d’ascia, l’artigiano portatore di una qualifica indispensabile, la numero uno, per la costruzione delle barche di legno. Con queste premesse non possiamo stupirci quando ci viene detto che il valore di una di queste barche non scema neppure nell’arco di 10-11 anni. Gioielli del mare. IL LIUTAIO

La lavorazione del legno ci porta dal grande scafo delle barche a vela al piccolo strumento musicale costruito nel “ritiro” di un laboratorio cittadino Violini, viole e violoncelli escono dal laboratorio di Marco Minnozzi, liutaio attivo a Ravenna in via dei Tomai n. 3. Cambiano di gran lunga le dimensioni dell’oggetto, dai 26 metri di lunghezza della barca passiamo a 30-35 cm 89 del violino, ma non si accorciano i tempi di lavorazione. La pazienza sembra governare il lavoro degli artigiani del legno. Minnozzi solo grazie ad un costante impegno può costruire forse due strumenti in un anno, visto che deve impegnare addirittura qualche mese per la fase intermedia della verniciatura. E prima di questa ha dovuto ideare il modello, disegnarlo e tagliare il legno secondo il disegno definitivo. Passano in questa prima fase alcuni mesi. Si devono poi costruire le piccole parti, le fasce, gli zocchetti, il manico a riccio, la tastiera, i filetti, l’anima, scegliere e applicare le corde e infine fare le prove di voce, verificare cioè, l’intonazione dello strumento. È l’anima, un bastoncino posizionato in verticale all’interno dello strumento, il punto di verità, la sua corretta posizione e la giusta tensione consentono di mettere a punto la vocalità del violino e dei suoi similari. In quei pochi centimetri di strumento stupisce la varietà di materiali usati: il legno, ad esempio, cambia secondo le parti che esso deve costruire, acero dei Balcani marezzato, salice rosso, abete italiano della Val di Fiemme, ebano, ai quali si aggiungono il budello animale, l’argento o altre leghe per le corde, per finire con le resine naturali che devono rivestire alla perfezione lo strumento affinché esso le senta come ciascuno di noi sente un abito, né troppo largo, né


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troppo stretto. Minnozzi fa questa paziente costruzione da solo, inserendosi perfettamente nella grande tradizione dei maestri liutai che lo ha conquistato giovanissimo durante gli anni di studio compiuti presso il Conservatorio di Parma, coronati da un master negli U.S.A. per apprendere anche l’arte del restauro. Il primo strumento lo costruì nel 1981, ma l’azienda è stata avviata nel 1988. Circa l’80 % della sua produzione è destinata ad una clientela internazionale; in Inghilterra, Svizzera, America, ma soprattutto in Giappone i musicisti eseguono con gli strumenti di Minnozzi. Un artigiano che lascerà, come tutti i grandi liutai, un segno della propria sapienza ben riconoscibile proprio grazie ai mutamenti e all’evoluzione della sua creatività nel creare i modelli, che possono essere un centinaio nella vita di un liutaio. Ogni modello, infatti, seppure costruito secondo il desiderio del musicista committente, porta in sé il segno dell’artigiano che lo ha ideato e realizzato. È così che ancora oggi, possiamo riconoscere uno Stradivari, un Guarnieri. La perfetta conoscenza dei fondamenti tecnici della costruzione è la base su cui si innesta la sensibilità del liutaio. E Minnozzi è certo che questa sensibilità si affini anche grazie a ciò che gli occhi del liutaio possono vedere fuori dal ritiro del laboratorio. Le bellezze senza tempo della sua Ravenna sono per lui un riferimento ineliminabile per creare armonie di forme e di suoni. IL RESTAURO DEL LEGNO E DEL MOBILE D’EPOCA

C’è un pool di artigiani che si dedica al legno nella fase delicata del suo recupero allo splendore d’origine. Sono i restauratori, che si applicano al recupero del mobile d’epoca, ma anche al restauro dei cosidetti “beni culturali” che a Ravenna costituiscono una delle risorse di maggiore interesse turistico e che richiedono una costante opera


di monitoraggio e sapienti interventi di mantenimento. Renzo Valmori è, in Ravenna, un valente artigiano impegnato in questo importante settore del restauro. Per conoscere, invece, i segreti dell’arte del restauro del mobile d’epoca possiamo raggiungere i laboratori di Marcello Monte, in via Bassano del Grappa n. 72 e di Antonio Vicentini, in via Port’Aurea n. 31. Qui il nostro mobile antico, se bisognoso di cure particolari, otterrà di tornare in auge, recuperato, perciò, al suo valore non solo affettivo, ma anche commerciale. Questi artigiani sono consapevoli della necessità di avere degli eredi della loro arte e sono particolarmente sensibili al problema della formazione delle giovani generazioni: auspicano per esse un percorso formativo scolastico completo che aumenti la competitività delle loro prestazioni. ARTIGIANATO DELLA FANTASIA

Non lo diremo ai bambini che abitano nei comuni della nostra provincia che tra la pianura e l’Appennino ci sono luoghi dove si fabbricano i loro sogni: bambole, bambolotti, putti, cavalli a dondolo, in terracotta, e case di bambola in miniatura, accessori in legno e carillon. Un mondo di favola costruito in tre piccole aziende artigiane la cui produzione viene venduta nei negozi specia- 91 lizzati di tutto il mondo. Presso le aziende non si compra, in realtà, neanche uno spillo, ma i tre titolari sono disponibili ad accogliere qualche gruppo di turisti, soprattutto se stranieri, per fare conoscere le fasi della lavorazione. Indispensabile la prenotazione. Partendo da Ravenna la prima tappa di questo tour da favola potrebbe essere presso lo Studio Ceramiche Artistiche di Danilo Sartoni, in via Ravegnana n. 409/b. Dal 1976 in questo laboratorio si costruiscono bambole e bambolotti, si confezionano i loro abiti con tessuti provenienti da antichi corredi, con pizzi e trine e si creano per loro ambienti, suppellettili in miniatura. Ogni bambola è un oggetto unico, le parti del corpo mobili e i visi decorati a mano e lucidati con cera d’api sono in terracotta. Ancora in pianura, ma appena fuori Faenza, passato il primo cavalcavia sulla autostrada, si imbocca via Spadarino, una viuzza immersa nella prima campagna, per arrivare al laboratorio di Cleò, al numero 39. Una creatività bizzarra ci accoglie


92 nel porticato. Sono le “maniche a vento” in forma di uccello migratore, di aeroplano, di conventicola di frati. Girano e si gonfiano ad ogni sospiro dell’aria. Le ha costruite Gianni Fabbri, contitolare dell’azienda. La Cleò, infatti, è conosciuta come azienda di Salaroli Sergio snc; dove è finito Fabbri? Lui, ironico, precisa di essere, appunto, “nella snc”. In realtà la creatività qui è soprattutto la sua: centinaia di bambole, sedute, distese, in piedi, tutte deliziosamente espressive, carinamente sorprese o pensosamente tristi, vestite in sartorie dedicate, pettinate in fogge diverse, calzano scarpe artigianali. Sono pronte per fare il giro del mondo, tanto vasto è il mercato di Cleò. Si attraversano alcune stanze così abitate e si giunge in un angolo di lavoro, irripetibile, dove Fabbri inventa e realizza gli arredi in miniatura che egli ambienta in una scatola, in una custodia di violino, in un pneumatico, in una stalla. Per le sue creazioni è stato premiato anche dalla Disney. Chi desidera acquistare in zona le bambole di Cleò può trovarle a Faenza presso il negozio di Mila Donati, ceramista, che le propone insieme con la sua produzione di ceramiche decorate secondo la tradizione. Bisogna raggiungere Brisighella ed inoltrarsi verso l’Appennino fino a San Martino in Gattara per conoscere


l’azienda artigiana “Piccole cose Pieli”, in via San Martino n. 20. Pieli è il cognome della titolare, di nome Domenica, che qui crea con Simona Sartoni e con un gruppo di abili artigiane, bambole sempre vestite e pettinate secondo un’antica e romantica foggia, ciascuna dotata di un certificato di autenticità e di unicità: i capelli sono veri, i pizzi antichi e pregiati, le stoffe impreziosite da ricami e passamanerie. Oltre alle bambole in azienda si confezionano anche lampade rivestite di tessuti ricamati, carillon e altri oggetti come complementi di arredo. Il mercato è soprattutto estero. LAVORAZIONE ARTIGIANA DELLE ERBE

A Casola Valsenio, patria del famoso professore Rinaldi Ceroni, ideatore del primo Giardino delle Erbe Officinali, tuttora attivo e interessante luogo di sperimentazione didattica, c’è anche un’azienda che contribuisce a consolidare la fama che questo angolo di Romagna pre appenninica ha come di “piccola Provenza”. La “Patrizio Breseghello” in via I Maggio n. 28, porta il nome del titolare, veneto di origine, ma si è sviluppata grazie alla stretta collaborazione con la moglie Maria Rosa, emiliana di Vignola. I due, erboristi diplomati ad Urbino circa venti anni fa, hanno raccolto la tradizione della fami- 93 glia Breseghello che, dalla seconda metà dell’8oo, era attiva nella coltivazione e lavorazione di piante officinali, in provincia di Padova. L’azienda nasce nel 1991 e nel 1996 viene trasferita a Casola. I Breseghello considerano vincente l’idea di specializzarsi nelle erbe, nella lavorazione delle piante officinali e dei loro derivati. La materia prima giunge qui da molte zone dell’Italia e dall’estero, raccolta nei paesi d’origine in periodi che dipendono dal tempo balsamico delle stesse piante, e viene immagazzinata in attesa della lavorazione che può essere totale o parziale. La clientela, anche internazionale, sono i grossisti che seguono poi la distribuzione del prodotto confezionandolo per la vendita. La Breseghello ha introdotto le erbe biologiche che seguono un apposito disciplinare di lavorazione e vengono certificate secondo il decalogo Codex. E un’ottima offerta per il mercato è stata quella del pot pourri che viene proposto in una vasta gamma, già profumato e miscelato secondo una formulazione aziendale. Le novità per lo sviluppo della


> Aule: il riferimento è ad “Arte sonora per i bambini”, percorso di collaborazione (dal 1996) insieme con Arianna Sedioli, esperta di pedagogia

azienda sono legate al futuro inserimento dei figli che potranno curare aspetti importanti come la commercializzazione e portare dentro all’azienda il know how scientifico, secondo il corso di studi che stanno seguendo. Quando sarà aperto il punto vendita aziendale sarà piacevole venire a Casola anche per acquistare i prodotti Breseghello. Oggi è possibile ottenere una visita nell’azienda solo previo appuntamento.

musicale e atelierista, per guidare i bambini

L’ARTE COME MESTIERE, UNA STORIA DI ARMONIA COSTRUITA

tra arte, musica e

CON L’AIUTO DEL VENTO

Ho conosciuto un artigiano, ma molte persone della Romagna ormai lo conoscono e la sua fama si sta diffon(www.artesonoraperi- dendo nel mondo secondo un percorso anomalo, che non segue i canali pubblicitari, bensì le piste da lui stesso tracbambini.com). ciate alla ricerca e nell’attesa di un soffio di vento. Incontro Luigi Berardi nel suo nuovo “Laboratorio del Pereo”, in via Pereo n. 18 a S. Alberto di Ravenna, un loft ottenuto in affitto dalla Cooperativa Culturale del paese. Berardi si può incontrarlo in molti altri posti, laddove egli monta le sue installazioni, “Arpe Eolie” le ha chiamate, lungo l’argine di un fiume, su uno scoglio di mare, lungo le dune, e… lungo i confini del mondo, ma anche nelle sale 94 dove egli espone progetti o nelle aule dove si intrattiene con i bambini ai quali vuole insegnare a dipingere un paesaggio di suoni. Qui, però, nel suo laboratorio, in prossimità di un confine naturale oltre il quale si può solo traghettare verso le umidità delle valli ravennati, si ha la sensazione di poterlo come catturare prima che scappi dietro al vento. Qui egli esprime la sua umanità, di ricercatore che, inserito in un contesto abitativo, famiglie e lavoratori, non vuole oltrepassare la linea del comprensibile, non vuole essere visto come l’artista strano e inavvicinabile, bensì si preoccupa dei suoi vicini e delle loro reazioni al suo lavoro. Che non è usuale, neppure tra gli artigiani. Eppure egli lavora materiali assolutamente compatibili come il bambù, il legno, la corda, il rame, metalli. Ciò che non è usuale è il progetto, l’idea che muove le sue azioni, il credere che il suono della natura sia uno strumento musicale e farlo provare ai suoi simili nel mondo. Nel laboratorio Berardi studia e dà forma ai suoi progetti, nel laboratorio si può fare un percorso attraverso le sue molteplici esperienze o performance raccontate dai manifesti e dalle parti smantellate o ancora assemblate sonorità dell’ambiente in cui vivono


95 che abitano lo spazio: le grandi canne di bambù che sono state sulla Muraglia Cinese nel 2000, le valve di conchiglia prototipo di quelle che saranno poste in galleggiamento, con il contenuto di un ospite, un Totem reduce da un laboratorio didattico, e fuori dal laboratorio, sul prato, “Silenzio Armonico”, una grande campana in forma di doppio gong, nella quale, entrando, si attende un’esperienza sonora, ma anche solo guardandola dall’esterno ci suggerisce una qualche complicità con il suo costruttore e con il paesaggio. Per conoscere subito l’artigiano e la sua versatilità di artista consultate il sito: www.paesaggiosonoro.com. BURATTINAI A RAVENNA

La famiglia Monticelli è impegnata da cinque generazioni nel teatro delle marionette e dei burattini. Infatti produce e promuove spettacoli dal 1800. Il nome dell’attuale compagnia costituita nel 1979 dai fratelli Andrea e Mauro, figli di William Monticelli, è “Teatro del Drago” la cui attività si svolge su due versanti: quello della tradizione, con gli spettacoli di burattini tradizionali e la conservazione dei materiali della Collezione Monticelli, e quello della ricerca attraverso gli spettacoli di figura contemporanei dove si concretizza una personale linea artistica, originale sia nell’impiego dei materiali, sia nelle tecniche


di animazione. Numerose sono state le tournèe all’estero in occasione dei più importanti Festival di settore in Europa (Gran rappresentati da Bretagna, Svizzera, Polonia), in Africa (Tunisia, Libia), in Mauro e Andrea Monticelli sono spet- Asia (Giappone, Taiwan). E numerosi sono i premi assegnati tacoli dinamici, basati ai titolari del Teatro del Drago: “La luna d’Argento” Premio alla carriera nel 2002, Premio Hesperia 2000, al Festival su gag e giochi di Internazionale di Teatro per ragazzi, ad Aosta, Premio parole che divertono Nazionale migliore burattinaio dell’anno, nel 1994, per adulti e bambini dai cinque ai novantacin- ricordarne solo alcuni. Se vogliamo essere tra il loro pubblico dobbiamo inforque anni. 96 I testi sono tratti da marci sulle date delle loro tournèe consultando il loro sito internet: www.teatrodeldrago.it. antichi canovacci L’indirizzo è via S. Alberto n. 297, Ravenna. Le tournèe dell’Ottocento patriromagnole toccano importanti teatri come il Rasi di Ravenna, monio di famiglia: fiabe antiche, espres- ma anche scuole, giardini pubblici in estate, sale parrocchiali, sione di una saggezza piazze, e la scena si ripete nelle città d’Italia e d’Europa. > Teatro del Drago:

i burattini tradizionali

popolare. I ritmi e gli stereotipi sono quelli

IL CENTRO ETNOGRAFICO DELLA CIVILTÀ PALUSTRE

della Commedia

DI VILLANOVA DI BAGNACAVALLO

Villanova di Bagnacavallo è un piccolo centro che si raggiunge facilmente lasciando la S.S. 253 San Vitale che da Ravenna conduce a Bologna. Lo spettacolo può Situata in una zona denominata “ Bassa Romagna” e essere rappresentato in qualsiasi luogo, nel caratterizzata da terreni acquitrinosi, da cui le derivò anche il nome di ”Padusa”, Villanova diede ai propri abitanti una teatro e nella piazza risorsa di lavoro e di reddito grazie alla lavorazione di ben di paese, perchè la sua struttura lo rende cinque varietà di erbe palustri reperite nel territorio insieme con legni autoctoni quali il pioppo e il salice. auto portante e indiSi era nel XIII secolo allorché sorse il paese di pendente, senza par“Villanova delle Capanne”, presto sviluppatosi lungo l’argine ticolari esigenze tecsinistro del fiume Lamone, famoso in zona come re di tutte niche. le bonifiche, che vennero realizzate, però, a partire dalla fine del secolo XIX. Prima di allora la regione era disseminata di zone umide in un ricco complesso idrogeologico costituito da stagni, zone acquitrinose dell’entroterra, aree deltizie, dell’Arte, come pure le maschere.


basse retrodunali. Il tutto offriva agli abitanti una vegetazione spontanea adatta a usi tipici e rispettosi dell’ambiente. La raccolta tramite sfalcio stagionale delle vegetazioni palustri, oltre che dare alle popolazioni motivo di lavoro, aveva la funzione di mantenere l’equilibrio ambientale, favoriva la vita delle zone paludose, agevolava i ritmi migratori degli uccelli. La struttura urbanistica di Villanova, cosidetta “a pettine”, in quanto costituita da borgate costruite lungo la strada che collega i territori di Bagnacavallo e Mezzano, consentiva al passante forestiero di incontrare direttamente la litania delle attività di lavorazione delle erbe che le donne svolgevano anche sulla soglia della casa e nei cortili. Era un modo naturale di promuovere l’economia del paese: esporre le manifatture per attirare l’attenzione del potenziale acquirente-cliente. Stuoie, graticci, legacci, sedie impagliate, borse e sporte, scope, ciabatte, panciotti, pantofole, cappelli costituivano l’offerta della produzione locale, realizzata grazie alla lavorazione delle 5 erbe locali, la canna, la stancia, il giunco, il giunco pungente, il carice. E nelle corti delle tenute e nei poderi si costruivano con la canna palustre i capanni, usati come abitazione, poi sempre più come luoghi per il ricovero di animali, attrezzi di lavoro o di generi alimentari bisognosi di conservazione. 97 I capanni erano un altro esempio di integrazione con il territorio che non riceveva alcun danno da tali costruzioni “a zero impatto ambientale”. Una dimora paragonabile in tutto alle tane costruite dagli animali. Tutto questo è stato salvato in esemplari, raccolto e sistemato in un’area museale, il Centro Etnografico della Civiltà Palustre” a Villanova di Bagnacavallo, in Largo Tre Giunchi n. 1. Il Centro è attivo dal 1985. Grazie alla passione e al lavoro ininterrotto della curatrice, Maria Rosa Bagnari, si è potuto salvare un pezzo di storia interamente scritta dalla capacità di integrazione dell’uomo con l’ambiente in cui egli viveva. Il Centro Etnografico è visitabile secondo un percorso ideato dalla curatrice e suddiviso in ambienti, o sezioni espositive, dove è stato raccolto il materiale prezioso trovato presso le famiglie del paese. Le sezioni espositive sono 6: > La cambra d’in Ca > Bonifica e Trasporti > Canna > Carice-Legno > Stancia-Giunco > I giochi di una volta


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La visita-percorso ha un momento privilegiato nell’incontro con i depositari dell’arte e della cultura delle erbe palustri: artigiani che ancora, nonostante l’età, sono disponibili a dare dimostrazione del modo di lavorare, intrecciandole, le diverse erbe. Assai utili sono gli audiovisivi che possono essere visionati in alcune tappe della visita per completare l’informazione su “Sfalci e raccolte”, su “I Capen”, su “La vita, la gente di un paese”. Da non perdere la visita esterna in ambiente rurale ad un capanno e ad una capanna-cantina di tipologia classica, e la passeggiata in zone umide che solo l’esperienza di una guida esperta può rendere fonte di preziose conoscenze. Il Centro che si propone come struttura interattiva, interdisciplinare, è di interesse didattico per tutte le fasce di età scolare, compresa l’universitaria, ma è molteplice anche il pubblico adulto, studiosi e semplici turisti. L’appuntamento per tutti è nella seconda settimana di settembre durante la Sagra dedicata alla civiltà delle erbe palustri. È NATA PRIMA LA PIADINA O IL TESTO?

La “piada” in Romagna tutti la fanno ad arte, ma il “testo” per cuocerla ad arte lo fanno solo a Montetiffi: Rosella Reali e suo marito Maurizio Camilletti sono gli unici tegliai rimasti a portare nel nuovo millennio uno dei mestieri più antichi, una famiglia e un’azienda artigiana in un borgo di case di pietra. Prima di loro e fino agli anni ‘90 del Novecento c’erano Pierino Piscaglia e Leone Reali, ma quando essi lasciarono il mestiere per limiti d’età il testo rimase un simbolo di Montetiffi, quasi un pezzo da museo etnografico. Finchè, nel 1998, i due giovani, Rosella e Maurizio, si lasciano conquistare dal fascino discreto dell’antica arte e decidono di imparare dagli unici maestri rimasti. Introduco prima il “testo” non per voler suggerire una risposta al quesito posto nel titolo, ma per collocare


in questo capitolo un manufatto che, come le tele stampate a mano, ci porta oltre i confini provinciali e, in questo caso, fin quasi al Montefeltro. Dobbiamo infatti inoltrarci fino a Ville di Montetiffi ed oltrepassare Sogliano al Rubicone, patria del famoso Formaggio di Fossa, per incontrare gli eredi di un antichissimo artigianato ai quali spetta l’onore e l’onere di aver salvato dall’estinzione il “testo” ovvero la teglia, detta anche tegghia o teggia o tegia, ma anche lastra e tegola, per cuocere la piadina. Oggi le teglie di Montetiffi hanno un marchio che garantisce il metodo tradizionale di fabbricazione, un timbro impresso a rilievo quando la teglia è ancora tenera: una teglia con quattro orecchie alle estremità e al centro la millenaria abbazia di Montetiffi. > Metodo tradizionale: la materia prima per fabbricare il testo è l’argilla, rossastra o grigio verde, prelevata dalle vene naturali in loco. L’argilla viene prima asciugata al sole e, seccata, viene poco alla volta depurata e successivamente impastata con polvere di calcite ottenuta con un antico e faticoso procedimento; la pasta ottenuta, posta sul tornio, viene lavorata a mano fino ad ottenere un disco sottile rifinito nel bordo secondo un disegno semplice, ma ben identificabile. La fase successiva è 99 quella della stagionatura in un luogo chiuso e arieggiato, essa può durare anche due mesi in inverno, ma in estate si ottiene in un solo mese. La cottura avviene in forno dove i dischi di argilla rifiniti ed essiccati sono posti verticalmente in un numero che non supera i 150. La cottura è molto delicata e la temperatura deve salire in modo graduale fino a 700 gradi per non provocare la rottura dei pezzi. Solo dopo due giorni si procede all’apertura del forno. Il testo veniva poi usato per cuocere altri cibi come i ceci, le castagne, carne e pesce e, talvolta, perfino i cappelletti. Quando a causa del prolungato uso il testo subiva danni esso veniva riparato, quasi cucito, con filo di ferro. Seguendo quasi un percorso inverso, la storia della piadina, che nel passato era legata al testo quanto la fame domestica ad un mestiere che la poteva sedare, si è caratterizzata per un passaggio progressivo della stessa da cibo dei poveri, confezionato nelle case della campagna, a prelibatezza portata sulle mense delle nostre città a simboleggiare la tradizione culinaria romagnola. Le città della Romagna sono ormai tutte disseminate dei caratteristici “chioschi” che si affacciano sui marciapiedi, sempre affollati di clienti, alcuni occasionali, di passaggio, altri fidelizzati, che affidano alla piadina il compito di riscaldare le proprie mense nei giorni di festa, o di ravvivare


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i propri banchetti, le feste di compleanno dei bambini e le merende consumate in allegra compagnia. Non si può infine dimenticare che anche nei migliori locali della ristorazione tradizionale la piadina viene sempre servita nel cesto di vimini, spesso gradita più del pane. La ricetta base della piadina romagnola è di una semplicità disarmante: farina, un pizzico di bicarbonato, strutto di maiale, acqua tiepida e sale. Le varianti, e sono relative sia alla quantità degli ingredienti sia alla scelta degli stessi, hanno nel corso dei decenni denominato la piadina con il nome della città in cui quella certa ricetta è adottata per tradizione. La fantasia del cuoco può naturalmente intervenire per modificare l’impasto, ma gli estimatori sono concordi nel preferire il prodotto confezionato secondo la ricetta base. Nell’immaginario collettivo la piadina si accompagna con la musica della tradizione, con il chiassoso vociare delle compagnie, con il sapore degli affettati che la farciscono e dei formaggi freschi come lo squaquerone e, inconfondibile, con il profumo che emana nel momento magico della cottura mentre la forchetta puntigliosa la punge e la spinge sul nero testo infuocato. Si vedono assai spesso lunghe file di persone in attesa di ordinare la piadina, ma... il popolo della piadina romagnola è tale da poter fare lunghe file di attesa ai chioschi senza dare segni di impazienza e senza mancare di rispetto al vicino che come lui aspetta il suo turno. LA PASTA FATTA A MANO

Le mani dell’Azdora, ovvero della donna romagnola che nei decenni del Novecento ha assunto il dettato orale della tradizione nella quale è cresciuta, sono un libro aperto. Ricche di sapienza, insegnano la pazienza e l’abilità, l’umiltà e la devozione. La trasformazione della società italiana, e perciò di quella romagnola, se ha allentato la frequentazione femminile dei siti storici della propria


appartenenza alla tradizione contadina quali l’aia, la cucina, il focolare, il paiolo sul fuoco e il tagliere, non ha tuttavia cancellato l’istinto che ancora oggi porta la donna in età matura a tramandare il proprio sapere manuale alle giovani generazioni. Abbiamo un chiaro esempio di questo nelle “sfogline” della Bassa ravennate che tuttora si sfidano in gare annuali sui taglieri infarinati e testimoniano la poetica iniziazione delle giovani all’arte della pasta fatta a mano ad opera delle madri e delle nonne. Se nell’alveo di questa tradizione dura a morire si è sviluppato un business, ovvero la fioritura di negozi specializzati nella confezione della pasta fresca artigianale, non possiamo temere un esito di allontanamento dal solco della tradizione casalinga, bensì possiamo addirittura applaudire alla capacità imprenditoriale che ancora una volta è delle donne impegnate in affari “da cucina”. Cappelletti, tortelli, passatelli, strozzapreti, lasagne, tagliatelle e tagliolini, destinati al condimento rosso a base di carne di maiale e manzo, ragoùt, o al grasso brodo di gallina o di cappone, vengono incessantemente confezionati nelle botteghe artigianali della Romagna 101 e consentono anche alla donna che lavora come operaia, come impiegata o come professionista, di offrire ai propri commensali un piatto tipico della tradizione, genuino e fatto ad arte. GLI ARTIGIANI DEL FERRO BATTUTO

Nelle campagne del ravennate la bottega del fabbro ancora negli anni ’50 era un valido supporto alle attività rurali, vi si costruivano infatti caveje, vanghe, vomeri e roncole. Ma c’erano anche fabbri che in piccole botteghe si dedicavano alla forgiatura del ferro per ottenere cancelli e oggetti di genere più decorativo. Oggi sono rare le botteghe del fabbro, i pochi artigiani rimasti proseguono con orgoglio un’attività intrapresa in tenera età, ma non trovano giovani ai quali affidare la propria arte. Dire che è un mestiere duro sembra addirittura banale. Chi può amare un lavoro che sviluppa muscoli asimmetrici, che si svolge in un ambiente spesso freddo e caratterizzato dal colore scuro del ferro lavorato al fuoco? Eppure qualcuno sostiene che può essere più sano di altri lavori; si sono visti fabbri nonagenarii.


Noi proponiamo di scambiare qualche opinione con alcuni artigiani che, seppure in modo diverso, testimoniano una passione per il metallo addirittura insospettabile.

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A Fusignano, in via Molino n. 33, Giovanni Martini dopo una vita dedicata al mestiere ha organizzato addirittura una mostra delle opere da lui realizzate in senso artistico. Sono oggetti costruiti nella sua fucina che si può visitare sotto la sua guida per conoscere tutti gli attrezzi del mestiere e le macchine di cui il fabbro si avvale. Martini può farci assistere alla lavorazione del ferro reso incandescente dal fuoco e battuto e ribattuto con un martello che può pesare anche cinque chili. La sua abilità, ottenuta grazie ad un esercizio quotidiano fino dalla giovinezza e ad una innata passione per la manipolazione dei materiali più diversi, la creta usata da bambino, il legno, poi il rame, si è espressa in oggetti classici, un vaso, una brocca, un ortaggio come la zucca, e poi ha creato forme nuove, moderne, avveniristiche, frutto di una intuizione repentina suscitata dal pezzo di ferro ancora informe. La materia prima viene reperita nelle officine meccaniche comprata a peso; sono flange di ferro dalle quali può originarsi un cane, un bue, una stella o una forma tutta da interpretare. Anche la lavorazione del ferro battuto crea eventi, mostre, concorsi, porta soddisfazioni all’artigiano. Martini ha già vinto due concorsi alla Biennale Europea del Ferro Battuto che si tiene a Stia, in provincia di Arezzo. L’ambiente della mostra permanente dei suoi lavori, completamente ristrutturata, è talmente spaziosa da poter accogliere anche un gruppo di turisti. E di fianco al grande edificio si può ammirare anche un vecchio mulino dal quale si gode uno scorcio antico di campagna. A Villa Vezzano di Brisighella, Marino Montevecchi va fiero di rappresentare la quarta generazione di artigiani


103 del ferro battuto, una tradizione di famiglia iniziata dalla fonderia Montevecchi, specializzata nella costruzione di campane da chiesa. Ma non ci sono all’orizzonte eredi che possano prolungare nel terzo millennio, dopo più di cento anni, l’arte dei Montevecchi. L’attività di Marino Montevecchi è incessante, le stanze della sua “fabbrica” sono piene di oggetti finiti pronti per la consegna e il tavolo degli ordini è disseminato di disegni e progetti. Molti i letti costruiti per le coppie di sposi, ma numerosissimi gli oggetti che completano l’arredo di interni ed esterni. C’è poi la sala dove sono conservati gli oggetti utilizzati per mostre personali o collettive. È quasi incredibile la leggerezza che questi oggetti suggeriscono, il ferro lavorato dopo il riscaldamento nelle fucine acquista sotto il martello, pesante diversi chili, uno spessore che sembra suscettibile di movimenti ad un soffio di vento. Qui vengono i clienti, spesso sono architetti e Montevecchi realizza con perizia e passione i loro progetti. Il capannone ha le pareti altissime, rivestite di pezzi da restaurare. Le pause dal lavoro sono poche, troppi gli ordini per concedersi una vacanza, e la sera fino a tardi gli amici vengono qui a fargli compagnia mentre lavora. Quando lo si saluta e gli si stringe la mano è impossibile non notare


104 lo sviluppo anomalo del muscolo che ogni giorno stringe il martello di cinque chili per forgiare il ferro, Montevecchi che in gioventù fu pugile ne va fiero. Prima di venire a Villa Vezzano telefonate perché Montevecchi potrebbe essere in viaggio per montare uno dei numerosi pezzi d’arredo che egli costruisce. Un’altra tappa può essere fatta a Ca’ di Lugo dove un giovane fabbro, Paolo Quadalti, è impegnato a fabbricare originali complementi d’arredo in ferro secondo una progettazione personale, ma definita nel dialogo con il proprio cliente. Se a Villa Vezzano siamo arrivati alla quarta generazione di artefici del ferro battuto, a Ravenna incontriamo il rappresentante della settima generazione: Enrico Bartolotti, artigiano in via Circonvallazione San Gaetanino, al numero 211. Si replica la magia di una lavorazione che può spaziare dalle forme più tradizionali ad altre decisamente moderne per accondiscendere all’evoluzione del gusto: cancellate artistiche, quindi, ringhiere, testate di letti, ma anche tavolini con inserti di mosaico, sedie, lampade, e una nicchia di produzione che esprime la creatività pura dell’artigiano nella realizzazione di animali: gufi, lumache, pesci e altri esseri che traggono vitalità dalla sapiente battitura del


metallo infuocato. Bartolotti, se raggiunto da un preavviso telefonico, è disponibile ad organizzare una dimostrazione della sua arte, dall’accensione del fuoco alla fase creativa. ASSOCIAZIONE “C’ERA UNA VOLTA IL RICAMO” A BRISIGHELLA

Se vogliamo conoscere e ammirare un artigianato che vive grazie alla passione e all’impegno di un gruppo di artiste dell’ago da ricamo dobbiamo segnare in agenda due appuntamenti: il primo, ovvero la mostra annuale, si tiene a Brisighella presso la Chiesa del Suffragio dalla domenica delle Palme fino alla festa di Pentecoste; il secondo, ovvero il concorso biennale giunto nel 2002 alla 4a edizione, richiama un folto pubblico a Faenza, a Palazzo Gessi, dal 24 novembre al 10 dicembre. “Di più non possiamo fare – precisano Anna Bartoli e Claudia Cassani, entrambe ricamatrici provette e maestre di ricamo oltre che organizzatrici dei due eventi – Non abbiamo risorse economiche sufficienti per dare maggiore visibilità al nostro lavoro che, però, ha uno spazio fisso nella rivista Rakam e in altre specializzate”. Ma anche le risorse umane, e sono tutte di alta qualità, non superano le dita delle due mani: dieci persone sono l’anima di questa associazione che, allo spegnersi dei 105 riflettori sulla mostra e sul concorso, rifluisce nel silenzio dell’alta valle del Lamone, fino alle propaggini dell’Appennino, a San Cassiano. Qui incontro Anna Bartoli e Claudia Cassani e le seguo con paziente stupore mentre aprono sotto i miei occhi gli scrigni: scatole e cesti pieni di tessuti rifiniti a ricamo bianco o colorato. E mi introducono brevemente ai segreti dell’Aemilia Ars, mi illustrano le principali differenze tra i punti tradizionali del ricamo. Così incontro un pezzo di storia di questa valle che le ricamatrici mantengono viva e, proprio come accadeva alle nonne e bisnonne loro o delle altre socie, tra un ricamo e l’altro può capitare di passare in cucina a controllare l’arrosto perché il ricamo, in valle del Lamone, era un’attività svolta dalle donne in casa per arrotondare il reddito familiare. A Brisighella e a Fognano l’arte fiorì ed ebbe successo dall’inizio del Novecento fino alla seconda guerra mondiale. Allora esistevano le scuole, a Brisighella sotto la guida delle sorelle Valvassori, a Fognano presso il Convitto Emiliani delle Suore.


Dopo l’apprendimento dell’arte le donne proseguivano questo lavoro tra le mura domestiche, lavorando anche fino a tarda notte a lume di candela. Il che non impedì loro di creare dei corredi splendidi che sono stati conservati nelle case dei privati, nei conventi, nelle chiese e che, durante la mostra, l’Associazione propone al pubblico degli appassionati ed intenditori. Se domando alle due “maestre” quali siano le loro allieve, per quali motivi giungano a frequentare i loro corsi, capisco che l’applicazione all’arte del ricamo compete con molte attività che, in un’epoca tecnologizzata come l’attuale, conquistano il nostro tempo libero. Prima di lasciare questo luogo immerso nel silenzio posso ammirare alcuni pezzi lavorati dalle due ricamatrici in totale libertà creativa e ritrovo il fil rouge che sto pazientemente seguendo in questo viaggio nel mondo dell’artigianato artistico: il legame tra la mano, abile e sicura per un lungo addestramento, e un’idea alla quale essa vuole dare corpo. > Associazione “C’era una volta il ricamo”: si è costituita nel 1988, dopo un corso di formazione professionale per “Operatrici di Ricamo Tradizionale”. Oggi l’Associazione conta 10 socie. Ha sede in viale della Stazione n. 38, a San Cassiano di Brisighella (tel. 0546/86049). 106 Finalità dell’Associazione: 1) Studio ed approfondimento della storia e della tradizione del ricamo 2) Progettazione e realizzazione di pezzi originali 3) Ricerca ed analisi di manufatti d’epoca 4) Divulgazione e formazione, esposizioni e corsi di ricamo. Si vuole mantenere attiva la pratica di tutte le tecniche di base del ricamo e di alcuni merletti come il tombolo, il modano, l’aemilia ars, il lavoro su tulle, velluto, seta ed altri tessuti delicati. L’Associazione organizza: > La mostra annuale che si tiene a Brisighella dall’aprile al maggio. La 1a edizione fu nel 1996. Il pubblico proviene da diverse regioni italiane > Il concorso biennale di Faenza (fine novembre – primi di dicembre) per il ricamo ispirato alla ceramica, che esamina i manufatti provenienti da molte regioni italiane e dall’estero. La partecipazione al concorso è gratuita. La giuria, composta da specialisti del settore, da giornalisti, da ceramisti, è presieduta dal direttore della rivista Rakam. I premi: dal 1° al 5° classificato> pezzi unici del maestro faentino Goffredo Gaeta, dal 6° al 10°> oggetti di maiolica faentina offerti dall’Ente Ceramica Faenza, fino al 22° classificato> un attestato di partecipazione ed un oggetto di maiolica faentina. Premi speciali: assegnati alla Scuola o Associazione di ricamo che ha partecipato con più elaborati, al concorrente più giovane, a quello più anziano e a quello più lontano.


RICAMO BIZANTINO A RAVENNA

Il percorso delle ricamatrici di Brisighella ha incoraggiato altre “artiste dell’ago” di Ravenna a tracciare una pista di conoscenza della tradizione del ricamo ispirato dalla tradizione decorativa bizantina. Carla Scarpellini ha scritto un libro, “Il ricamo bizantino” (Ed. Essegi, 1998), nel quale viene proposto un itinerario di riscoperta storica, anche supportata da un ampio corredo di illustrazioni, della “Bizantina Ars” o Ricamo Bizantino. Essa trae ispirazione e soggetti dai mosaici ravennati del V e VI secolo, ma anche dai capitelli e dalle transenne finemente lavorate. Nel breve saggio di Andrea Ricci, contenuto nel libro, si rintracciano i nomi e i luoghi che danno al Ricamo Bizantino il fondamento di arte appresa presso una scuola e grazie all’insegnamento di esperte ricamatrici. A Russi l’arte del Ricamo Bizantino è tenuta viva da Irma Scudellari Melandri (Artigianato Artistico Bizantino, Russi, tel 0544/580869) che ha voluto riportare in auge il patrimonio artistico di una scuola di ricamo che ebbe alterne vicende, a cavallo dei due conflitti mondiali del secolo passato. Le numerose mostre che Irma Scudellari ha organizzato, e organizza tuttora, nel mondo, in Giappone, in Francia, in Germania e in diverse regioni italiane, fanno conoscere al pubblico una lavorazione che riproduce su tessuto i motivi dei mosaici, dei marmi, dei bassorilievi conservati nelle basiliche di Ravenna. È in fase di ultimazione un testo che la signora Scudellari ha curato sull’argomento.

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108 PIZZI E VECCHI MERLETTI A RAVENNA

Si chiama Flora Giugni e lavora nel suo atelier, in via Pasolini n. 9 (una traversa della centralissima via Cavour), dove realizza articoli per corredi e corredi interi, anche per il neonato. Se desiderate una culla inedita per il vostro bebè qui potete realizzarla. Non solo: la titolare crea tovaglie, tende, paralumi, sottopiatti (erano suoi quelli sulla tavola imbandita per il Presidente Ciampi in visita a Ravenna). E le sue creazioni spesso viaggiano oltreoceano.


Bibliografia

Isotta Fiorentini Roncuzzi, Il Mosaico. Materiali e tecniche dalle origini a oggi, Ravenna Longo Ed. Isotta Fiorentini Roncuzzi, Arte Tintoria a Ravenna. Dalla flora tintoria ai minerali coloranti, Ravenna Longo Ed. Carmen Ravanelli Guidotti, Thesaurus di opere della tradizione di Faenza nelle raccolte del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, Agenzia Polo Ceramico Monica Ribetto, Tesi di Laurea “La Ceramica Artistica di Faenza nel panorama italiano�, 1996/97 (Corso di Laurea in Economia e Commercio) Elisabetta Merendi - Laura Tramonti, Il gioco del mosaico. Il metodo di Bruno Munari in un laboratorio di mosaico, Ravenna, Longo Ed. 120

Carla Scarpellini, Il ricamo Bizantino, Essegi Ed. G. Milantoni, S. Nicolini, S. Pascucci, Decorare ad arte, Essegi ed.


Si ringraziano Archivio dell’Assessorato al Turismo della Provincia di Ravenna Archivio dell’Associazione Stampatori Romagnoli Archivio dell’Ente Ceramica di Faenza Archivio di CNA di Ravenna Archivio di Confartigianato di Ravenna Archivio di Consorzio Provinciale per la Formazione Professionale Archivio della Società d’Area di Brisighella, Casola Valsenio, Riolo Terme Archivio del Comune di Cervia Alessandra Caprara Francesca Fabbri Luigi Berardi Maria Cristina Sintoni Archivio di Centro Etnografico della Civiltà Palustre di Villanova di Bagnacavallo Marco Gerbella Paolo de Cesari Marco Minnozzi Associazione “C’era una volta il Ricamo” di Brisighella Salvatore Palazzolo “Il Teatro del Drago“ dei fratelli Monticelli Sergio Salaroli Danilo Sartoni Carla Scarpellini Ed. Essegi Piero Bandini Cesare Boschi Maria Concetta Cossa Riccardo Pascucci Enzo Pezzi Isotta Fiorentini Roncuzzi Un ringraziamento particolare è rivolto a Edoardo Godoli della CCIAA, a Massimo Branzanti di CNA e a Claudio Suprani di Confartigianato che hanno seguito il progetto nelle sue diverse fasi. L’Autrice


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