Gli itinerari Letterari proposti in questo volume sono un suggerimento al turista che si muove tra paesi e città della provincia di Ravenna, affinchè egli possa conoscere i “Grandi”, scrittori, poeti, musicisti che ivi sono nati e hanno vissuto o soggiornato. Le “case” restaurate e trasformate in musei, le biblioteche e i musei conservano il patrimonio di esperienze esistenziali e crea-
Ravenna intorno, Verde, Azzurro, Oro
Itinerari letterari
tive di uomini che non si sono potuti sottrarre alla fama conseguente al loro spiccato talento. Partendo da Ravenna dove la memoria del grande Dante ha motivato la creazione della “zona dantesca”, ci si addentra nella piadi Gioacchino Rossini e di Pietro Mascagni, la poesia di Vincenzo Monti, la narrativa di Grazia Deledda e di Alfredo Oriani, le rime di Dino Campana.
Itinerari letterari
nura e si raggiunge l’Appennino ad incontrare il talento musicale
itinerari letterari Percorsi tra storia musica e letteratura in provincia di Ravenna
Camera di Commercio della Provincia di Ravenna
Premessa
Ravenna e la sua provincia - così ricche di straordinarie testimonianze culturali e ambientali - offrono al visitatore molteplici percorsi, caratterizzati da diversi fili conduttori che passano per l’arte, la storia, la natura, le tradizioni, l’economia. Dopo aver proposto due itinerari attraverso le tradizioni enogastronomiche e l’artigianato artistico, questa terza Guida nata dalla collaborazione tra Camera di Commercio e Provincia di Ravenna consente di intraprendere un affascinante viaggio attraverso i luoghi che hanno visto protagonisti personaggi letterari, poeti e musicisti. Gli itinerari suggeriti ci portano alla scoperta di case e giardini, musei e biblioteche, cimeli e documenti, che raccontano la vita e le opere di personaggi illustri, offrendo inoltre l’opportunità di conoscere e visitare tutto il nostro territorio passando dalla città alla costa, dalla pianura alla collina. Francesco Giangrandi Presidente della Provincia di Ravenna
Gianfranco Bessi Presidente della CCIAA di Ravenna
Itinerari letterari Camera di Commercio della Provincia di Ravenna
Progetto narrativo e testo: Laura Vestrucci “E qui dove un’antica vita si screzia in una dolce ansietà d’Oriente, le tue parole iridavano come le scaglie della triglia moribonda” [Eugenio Montale, “Dora Markus” da “Occasioni” ]
Indice
5 Introduzione 6 Prologo 10 Capitolo Primo La Ravenna di Dante 44 Capitolo Secondo Tra note e rime 76 Capitolo Terzo Cervia, tra le righe il vento 90 Capitolo Quarto Pensieri e scritti in Appennino 108 Appendice
Introduzione
Potrebbe sembrare nostalgico decidere di entrare nelle città e nei paesi del mondo per visitare dimore nelle quali è nato e vissuto un personaggio, uomo o donna, scrittore, poeta o musicista, per un periodo più o meno lungo. Eppure è un fenomeno a livello mondiale quello dell’allestimento e apertura delle case-museo, come quello dei parchi letterari, tutti luoghi che vivono sulla memoria di un “Grande”. Che cosa si possa fare quando si entra in questi luoghi non è difficile immaginarlo: si guarda, si legge, si ascolta, ci si muove negli ambienti e ci si immerge in un clima del tempo passato che deve evocare le vicende del personaggio e del suo tempo, e tanto più il clima è stato con sapienza conservato o ricreato tanto più noi saremo certi di aver fatto un viaggio proficuo e di aver aumentato le nostre conoscenze. Le emozioni saranno anche più intense se saremo stati coinvolti in qualche animazione spettacolare. Il turismo culturale si arricchisce oggi di queste opportunità che sono da sostenere come attività di pace e di crescita collettiva e che danno a molte 5 piccole località un motivo in più di essere conosciute e frequentate. Così possiamo conoscere la Petite Plaisance di Margherite Yourcenar (Maine), e Saint Sauveur en Puisaye (Borgogna) paese natale di Colette, o la Rungstedlun di Karen Blixen (Danimarca) o, ancora, la casa museo di Gunter Grass e la casa dei Buddenbrook (Centro Thomas Mann) a Lubecca; così, passando alle nostre terre, veniamo a San Mauro Pascoli, che già nel toponimo si svela, o ad Alfonsine e a S. Alberto nella Bassa ravennate dove si rievocano Vincenzo Monti e Olindo Guerrini e restando in pianura a Bagnacavallo, ricordiamo Leo Longanesi; se ci inoltriamo nell’Appennino entriamo nel mondo di Alfredo Oriani a Casola Valsenio e di Dino Campana a Marradi; così Cesenatico presenta ai suoi turisti la dimora dello scrittore Marino Moretti e la “ventosa” Cervia rende testimonianza al premio Nobel Grazia Deledda che vi soggiornò nella graziosa villa “la Caravella”. Parla per tutte le località toccate da questo lungo itinerario letterario il capoluogo di provincia, Ravenna, che per una volta ci distoglie dallo splendore dei mosaici bizantini e ci introduce alla “Zona Dantesca”, luogo fisico, inserito nell’urbanistica della città, ma reso quasi immutabile dall’eco dei versi immortali del più grande esule della storia. Laura Vestrucci
Prologo
Il piacere del viaggio è pressoché ineliminabile nell’animo di ogni uomo, perché il fatto di uscire dalla propria terra e dalle proprie sicurezze per andare a conoscere le terre altrui dà espressione concreta al bisogno di ogni persona di essere in armonia con il mondo, con gli abitanti del mondo.
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Il viaggio è, fondamentalmente, attività di pace, praticata nei secoli, con maggiore o minore intensità, da uomini e donne di ogni ceto e con creatività sorprendente per quanto concerne il mezzo. Fanno parte della nostra storia di europei i pellegrini in paziente cammino sulle tracce dei santi evangelizzatori, e i viaggiatori del tour europeo alla ricerca delle architetture religiose e civili, nonché del paesaggio in epoche di romanticismo. Due tipologie di visitatori che tuttora si affacciano ai confini sempre meno marcati dell’Europa del terzo millennio. L’Europa si è preparata lungamente ad accogliere le folle di passaggio, da un angolo all’altro del continente, per una migrazione rapida e piacevole come è quella del turista. E’ stata una sorta di formazione progressiva indotta dai mutamenti socioeconomici e dalle aspettative esistenziali delle nuove generazioni. L’attuale “mordi e fuggi” non è altro che il desiderio di albergare in siti molto diversi dal proprio e lontani tra di loro, anche per brevi periodi, assaggiare di tutto un po’, trarre da ogni paese uno spunto di conoscenza che, comunque, arricchirà il proprio know how. La stanzialità è di altre epoche. Le grandi “città d’arte” europee sono oggetto quotidianamente dell’assalto di questa nuova tipologia di turisti, ma anche le province hanno imparato a dare valore alle proprie risorse artistiche e culturali e sanno creare sempre più legami tra queste e le eccellenze del territo-
rio, in primis quelle enogastronomiche e quelle ambientali. Infatti si è sviluppato quasi un movimento turistico che trae motivazioni inedite dall’offerta integrata dei vari territori. L’esempio più vicino a noi che conferma questo trend è quello della città di Ravenna e della sua provincia. I cittadini del mondo non cessano di inserire nel proprio tour europeo o italiano l’antica capitale del regno di Bisanzio ed essa è consapevole di custodire una bellezza senza tempo e di non dover, per così dire, muovere un dito per attirare a sé nuovi visitatori. I piccoli comuni della sua provincia, invece, come quelli delle altre province europee, hanno compreso l’importanza di vivere accanto ad una capitale e si sono attrezzati per incanalare verso il proprio territorio l’interesse del pubblico. Se la fascia costiera della provincia ravennate enfatizza il successo del capoluogo, seppure concentrandolo in alcuni mesi, i comuni della collina fino al primo Appennino e della pianura, la “Bassa”, hanno attribuito nuovo credito alle proprie glorie storico-culturali e ambientali – naturalistiche. 7 Sono nati parchi, a tutela del patrimonio naturale, si sono ristrutturate le rocche e le torri, sono stati allestiti musei a tema, biblioteche, gli antichi teatri riportati a splendore hanno riaperto la stagione e le case natali e di famiglia di personaggi illustri, del mondo culturale e scientifico, vedono oggi una nuova epoca, non più legate alla famiglia che per più generazioni le ha possedute ma, soprattutto, al nome dell’uomo o della donna illustre che le ha abitate, anche solo per qualche stagione della sua vita. Così a Cervia, a Lugo, ad Alfonsine, a S.Alberto così a Faenza, a Casola Valsenio dove si sono visti scrittori, musicisti, poeti, letterati nascere o approdare, già adulti, ad una qualche dimora che oggi è diventata una risorsa, il che vuol dire una tappa di un tour che può impegnare una giornata, un week end o solo qualche ora. E sembra confermato come un destino di grandezza, ancora una volta, quello di Ravenna che diede asilo di pace al più grande poeta di tutti i tempi, quel Dante Alighieri che ancor oggi riposa nella patria “adottiva”. Un grande che ormai da sette secoli attira a sé, a Ravenna, i grandi dopo di lui. Anche i grandi d’oltralpe continuano a cantarla in brevi composizioni: così Herman Hesse,Thomas Eliot, Ezra Pound.
8 > I Grandi dopo Dante: sebbene Ravenna sia città capace di attrarre l’attenzione degli uomini di pensiero, poeti, scrittori o musicisti, grazie al patrimonio artistico conservato nelle sue basiliche e monumenti, tuttavia non si può negare che la presenza del sepolcro di Dante nella Zona del Silenzio abbia motivato un pellegrinaggio centellinato nei secoli. Si può partire dall’Alfieri che fu a Ravenna nel 1783, in primavera, come egli stesso precisa nella sua Vita, e si recò al “…sepolcro del Poeta e un giorno intero vi passai fantasticando, pregando e piangendo”. Nel 1797 giunse a Ravenna Vincenzo Monti che si fece anche promotore dell’elezione di Dante a “cittadino” della repubblica, cosa che avvenne nel 1798. Lord Byron giunse a Ravenna nel 1819. La sua visita al sepolcro fu fatta con solennità, con il corteo dei servitori in livrea di gran gala, e il poeta inglese rimase a lungo assorto e immobile con le braccia incrociate sul petto. Lasciando Ravenna aveva detto: “Non c’è paese al quale io sia stato più affezionato di Ravenna”. Ma, forse, in questa affermazione dobbiamo calcolare il peso della relazione sentimentale che egli ebbe in questa città con Teresa Guiccioli. Leopardi era a Ravenna nel 1826, vi rimase per dieci giorni e si recò a rendere omaggio alla tomba del Maestro, esperienza della quale riferisce nello Zibaldone. Carducci venne a Ravenna nel 1865, celebrazione del VI centenario della nascita di Dante enfatizzato dal ritrovamento avventuroso delle ossa del Poeta. Carducci compose poi versi che consacrarono ai posteri la Pieve di San Donato in Polenta, come luogo probabile di preghiera di Dante nel suo passaggio in Romagna. Oscar Wilde dedicò a Ravenna un poemetto. Nel 1902, Gabriele D’Annunzio era a
Ravenna e l’anno seguente nel secondo libro delle Laudi ricorda Ravenna in due poesie. Dino Campana fu a Ravenna per un breve periodo nel 1904 a causa del servizio militare, come è stato scoperto studiando gli archivi del distretto militare di Firenze, e i riferimenti alla città nelle sue opere(Canti Orfici e altre liriche) sono ormai accettati. Ebbero occasioni frequenti di essere a Ravenna Marino Moretti e Diego Valeri, il primo per la vicinanza della sua Cesenatico, il secondo perché vi insegnò Lettere nell’Istituto Tecnico. Con Eugenio Montale Ravenna entra nella poesia italiana di grande richiamo e vi rimane con Ungaretti, che richiama in una breve lirica le colombe del mausoleo di Galla Placidia, con P. Paolo Pasolini e Andrea Zanzotto. Il viaggio nelle case e nei giardini, ma anche nelle piccole piazze di paese, nei musei già allestiti è ravvivato dalle voci dei custodi di tante storie, persone che oggi conservano il patrimonio di suppellettili o oggetti, documenti, diari, epistolari, composizioni autografe poetiche e musicali, ed anche abiti e monili che riaccendono la luce di un’epoca e di un’esistenza. Si vorrebbe trovarli lì i personaggi, ad accoglierci di persona, e con qualche impegno di creatività si potrà anche evocarli, farli rivivere, creare una performance in stile di spettacolo. È stato fatto, nell’agosto dell’anno 2003, a Cervia. Abbiamo rivisto una matura Grazia Deledda discorrere, nel giardino della villa che fu quella dei suoi soggiorni estivi, con un giovane Marino Moretti e poi incontrare nelle strade del centro storico il suo “portafortuna”, il cervese Trucolo. Se, giungendo alle dimore di questo viaggio attraverso i comuni della provincia di Ravenna, non sarà ancora pronta una scena, potremo comunque crearla come imago mentis, con l’aiuto della forza evocativa degli ambienti e del racconto che qualcuno farà a noi.
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La Ravenna di Dante 11
La Ravenna di Dante
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I ravennati. Un giorno di quasi sette secoli fa, si svegliarono ed ebbero, chi prima, chi dopo, la news di un ospite di riguardo alla piccola corte del locale signore, Guido da Polenta. Un ospite che visse con loro, camminò tra le case e le piazze, riguardò i mosaici delle basiliche, passeggiò nella pineta, alzò gli occhi al loro cielo e godette degli stessi colori e profumi di cui loro godevano. Per circa sei anni. Dante Alighieri era l’ospite. Dopo sei anni di vita con i ravennati Dante morì, all’età di cinquantasei anni, velocemente, per una febbre malarica contratta fuori Ravenna, di ritorno da una delicata missione a Venezia. Il suo umore in quel viaggio era depresso per il timore di non aver avuto successo nella missione diplomatica; Dante giunse a Ravenna stremato e morì dopo poco tempo. A Ravenna fu sepolto e i ravennati non lo lasciarono più andare via. > Missione a Venezia: avvenne nell’estate del 1321. Il motivo era il rischio di una guerra dichiarata dai Veneziani a Ravenna, come reazione alla cattura da parte dei Ravennati di navi veneziane e alla uccisione del comandante. Il Doge Soronzo aveva minacciato la guerra e la sottrazione a Ravenna delle saline di Cervia. Guido Novello da Polenta inviò Dante con richiesta di scuse e con l’impegno di punire i responsabili. Dante, esperto di diplomazia, ottenne una tregua che sfociò nell’anno successivo nella pace tra Ravenna e Venezia. Ma dopo la sua morte. I fiorentini. Avevano avuto Dante come concittadino dal 1265, anno della sua nascita, fino al giorno in cui, condannandolo a morte i suoi avversari politici, egli uscì Legenda 1. Sepolcro di Dante dalla sua città. Anche con loro Dante aveva condiviso e Museo Dantesco molte cose: case, strade, piazze, chiese, giardini, cielo, 2. Palazzo Rasponi colori e profumi…. e la lingua, la lingua che era segno 3. Casa Polentana inconfondibile del suo essere di quella terra. I fiorentini detta “Casa di lo ebbero come concittadino fino all’età matura. Poi lo Francesca” persero per sempre. 4. Casa Matha
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14 “A egregie cose, il forte animo accendono l’urne de’ forti… e bella e santa fanno al peregrin la terra che le ricetta”. Lo avevano compreso, forse, i ravennati quattro secoli prima che il Foscolo componesse la famosa ode? È un fatto, comunque, che essi difesero per secoli il sepolcro del Poeta, creativi fino all’ultima imprevedibile mossa del nascondimento delle sue spoglie terrene, pur di non farsele portare via. Da chi? Dai fiorentini, naturalmente, che a più riprese e con diverse autorità tentarono di riportare a casa il loro illustre concittadino. Così, i ravennati. E tra loro i diretti protagonisti, i frati francescani. Avranno guadagnato qualche merito in cielo per aver trattenuto nei propri chiostri i resti dell’ospite esule? Se sul cielo non possiamo esprimerci ci è consentito, però, riconoscerne il merito in terra. Ravenna, la capitale dell’impero Bizantino, e prima ancora del regno dei Goti e, ancor prima, dell’impero romano d’Occidente, è diventata, per merito loro, anche la Ravenna di Dante.
Dante giunge a Ravenna Aveva quasi cinquanta anni Dante Alighieri quando giunse a Ravenna e sulla data del suo arrivo sono diverse le congetture degli studiosi. > Data dell’arrivo a Ravenna: non è stata stabilita con certezza la data di arrivo di Dante a Ravenna e di conseguenza si sono elaborate diverse ipotesi, tra le quali indichiamo le seguenti. Giovanni Boccaccio (13131375) che è ritenuto il primo biografo di Dante, ritiene che l’anno fosse il 1314. Corrado Ricci (1858-1934) si spinge fino al 1317 ovvero dopo la successione di Guido Novello alla Signoria della città in seguito alla morte di Lamberto. Tale successione avvenne nell’ottobre 1316. Il Ricci ricorda anche che dopo il 1318 l’accesso alla città sarebbe stato assai improbabile per una sopravvenuta epidemia di peste. Ivan Simonini, scrittore e studioso ravennate, nel suo recente libro “La basilica degli specchi” (Ed. Essegi, 1993) colloca l’arrivo di Dante a Ravenna tra il 1314 e il 1315. Nato a Firenze nel 1265. Secondo il suo primo biografo, Giovanni Boccaccio, doveva, però, dimostrarne di più se il Petrarca, vedendolo a Pisa, all’età di otto anni, lo ricordava come “più giovane di mio nonno, ma più 15 anziano di mio padre”. Il peso delle vicende che lo avevano costretto a lasciare la sua Firenze si faceva sentire e numerosi aneddoti su di lui sono incentrati sul suo camminare pensieroso e un po’ arcigno, poco incline alla compagnia, schivo e forse altero, disdegnoso. Ma non dovette essere tale nelle frequentazioni del cenacolo di intellettuali, letterati, giuristi che lo avevano accolto tra di loro, già conoscendone la fama: e neppure dovette essere così con gli allievi, che in Ravenna aveva numerosi. Possiamo, quindi, figurarci un Dante pensoso e un po’ respingente mentre attraversa le strade di Ravenna, forse assorto in riflessioni e ricordi più che attratto dalla folla che lo incrocia. È, anzi, molto verosimile questa figura di uomo colto e dolorosamente consapevole della condizione di esule, che non per finzione e ipocrisia sa allentare la tensione del proprio animo nei luoghi e nei momenti della compagnia o dell’insegnamento, ma rimasto solo non può impedire alle sue intime tensioni di riafferrarlo. Siamo anche noi così, quando camminiamo per le strade del nostro mondo, presi dagli affanni dell’ultima ora e intrappolati nella rete dei nostri pensieri.
Una dimora per Dante
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Dove ebbe dimora Dante, in Ravenna? Dispiace di non poter identificare in Ravenna il sito di una abitazione di Dante. Se ne è persa la traccia. Fino all’inizio del XX secolo si dette credito ad una lapide posta sulla facciata est della casa, al numero civico 6 di via Dante Alighieri, che era attribuita alla famiglia dei Da Polenta. Proprio di fronte alla tomba del Poeta. Lo scritto “Questa casa fu un tempo dei polentani che ebbero la gloria di accogliere ospitalmente Dante Alighieri”, risultò infondato quando lo studioso ravennate Silvio Bernicoli (1857-1936) trovò un documento del 1 gennaio 1385 che dimostrava l’appartenenza di quell’edificio alla famiglia Scarabigoli.
> Da Polenta: la famiglia dei da Polenta ebbe il potere in Ravenna dal 1275, anno in cui Guido Minore da Polenta (padre di Francesca, cantata da Dante nel canto V dell’Inferno), capo dei guelfi cacciò da Ravenna i suoi avversari politici (i Traversari). Solo nel 1441 i Polentani dovettero cedere Ravenna alla repubblica di Venezia. Il nome deriva alla famiglia da un castello che sorgeva nei pressi del colle di Bertinoro, vicino a Forlì (sec. XI). Lo stemma gentilizio: un’aquila vermiglia in campo giallo oro. Inscriviamo, comunque, questa improbabile dimora dantesca nella nostra memoria e dedichiamo qualche minuto a considerarla quando saremo di fronte alla tomba, al centro della Zona Dantesca. Per rimanere ancora qualche attimo sulla questione della dimora di Dante a Ravenna, e nel tentativo di captare dalla storia e dalla città qualche elemento in più di conoscenza, è opportuno segnalare altri edifici che furono di proprietà dei Polentani e che potrebbero candidarsi ad essere state abitate dal Poeta. Nell’odierna via Corrado Ricci, all’angolo con via Guido da Polenta, l’antico Palazzo Rasponi-Bellenghi
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(Giuseppe Bellenghi, commerciante, ne divenne proprietario alla fine dell’'800) potrebbe essere stato di proprietà dei da Polenta, forse costruito da Guido Novello prima del 1318.
> Palazzo Rasponi: Cesare Rasponi lo acquistò e lo ampliò negli anni 1541-1542. L’edificio subì poi altre trasformazioni, come nel 1854: fu abbattuta la torre di epoca medievale e, nel 1875 quando il Bellenghi, abbattuta la bertesca (torretta difensiva in aggetto alla costruzione) fece costruire un terrazzino che ancora si vede. > Guido Novello da Polenta: Signore al tempo dell’arrivo di Dante a Ravenna, colui che invitò Dante a fermarsi, ospite, nella sua città. 3
In via Zagarelli alle Mura, accanto a Porta Ursicina, poi Porta Sisi e oggi Mazzini, al numero civico 2, un edificio con porte e finestre antiche è una delle più antiche abitazioni di Ravenna, ed è una delle dimore dei Polentani. Risale al secolo XIII, costruita da Guido Minore da Polenta, padre di Francesca, cantata da Dante nel canto V dell’Inferno. Lo stemma che si vede, tra le due piccole finestre superiori ad arco acuto, è dei Canonici del monastero di Porto che ne acquistarono la proprie-
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18 tà dopo quella della Signoria Veneta (fine secolo XV). Questo edificio viene comunemente chiamato “casa di Francesca” in quanto si è ritenuto che vi abitasse Francesca “da Rimini”. Anche il D’Annunzio nel maggio 1904 venne a visitarla con Eleonora Duse. > Francesca da Rimini: Francesca da Polenta, di Ravenna, fu detta “da Rimini” da Silvio Pellico (autore di un breve dramma “Francesca da Rimini”, messo in scena nel 1815) e da Gabriele D’Annunzio, nella tragedia in 5 atti del 1901, come parte di una trilogia dedicata ai Malatesta, e a lei intitolata). È la giovane figlia di Guido Minore da Polenta, che per consolidare un suo patto con il signore di Rimini, Malatesta da Verrucchio, la dà in sposa al figlio del Malatesta, Gianciotto. Dopo poco tempo dalle nozze Francesca si invaghisce del fratello del brutto e sciancato consorte, l’affascinante Paolo. I due vengono colti in flagrante e uccisi di spada dallo stesso Gianciotto. Ancora nella zona vicino a vicolo Zagarelli alle Mura sorgevano la Domus Magna dei Polentani ed altre case, dove ora sorge il palazzo Lovatelli–Brandolini, in via Mazzini. Queste case erano due, contigue, precedute dal portico e si congiungevano con quelle di vicolo Zagarelli alle Mura. Il proprietario era Lamberto da Polenta, morto nel 1316.
In via Beatrice Alighieri, l’antica via Santo Stefano degli Ulivi, nell’area dell’attuale Stazione Ferroviaria è probabilmente da attribuirsi ai Polentani il “Beldeduit” (in francese antico: bel diporto) e alcuni ritengono che Dante vi abitasse. Il palazzo venne poi demolito nel ’400 dai veneziani, che ne ricavarono materiale per altre costruzioni. > Santo Stefano degli Ulivi: era in origine il nome della chiesa, da cui il nome dato alla via. Vi sorgeva accanto il convento omonimo, cinto di mura che chiudevano gli orti conventuali. In questo convento si ritirò la figlia di Dante Alighieri con il nome di Suor Beatrice e vi morì intorno al 1351.
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In angolo tra le attuali via Cavour e via Matteotti, dove anticamente scorreva il fiume Padenna, era situato un edificio dei da Polenta. Dopo la demolizione di quella e di altre abitazioni qui fu costruita la “Casa Matha” della Corporazione che organizzava i pescatori (sec. X). Alla ricerca di una probabile dimora di Dante, abbiamo fatto una passeggiata “a volo d’angelo” nella Ravenna antica e contemporanea e abbiamo visto quel che lui vedeva o, se tutto è cambiato, il sito di quanto lui vedeva: le case del suo tempo e quelle del nostro, le strade del suo tempo e quelle del nostro.
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I mosaici visti da Dante Durante i sei anni trascorsi a Ravenna Dante ha potuto percorrere la città, conoscerne ogni angolo, frequentarne le piazze, entrare nelle basiliche, sostare a lungo ai piedi delle absidi; ha potuto percorrere le navate, leggere nei mosaici la storia biblica e stupirsi, anch’egli prima di noi, per l’arte incancellabile dei maestri bizantini. Possiamo anche considerare l’ipotesi che i versi della Commedia siano stati ispirati da scene ammirate e perciò viste e riviste: “Ventiquattro seniori, a due a due Coronati venien di fiordaliso” [Purg.XXIX, 83-84] andiamo a vedere le teorie di beati e di profeti in S. Apollinare Nuovo e: …i fiori e l’altre fresche erbette” [Purg.XXIX, 88] abbassiamo lo sguardo ai loro piedi e, ancora: “una donna soletta che si gìa cantando e scegliendo fior da fiore ond’era pinta tutta la sua via.” [Purg.XXVIII, 40-42] può essere una delle vergini che fra rose e gigli muovono appena il piede in S. Apollinare Nuovo. Se passiamo nel mausoleo di Galla Placidia, i quattro
21 animali viventi dell’Apocalisse (gli Evangelisti) vicino alla Croce nella cupola, potrebbero essere: “Vennero appresso lor quattro animali, coronati ciascun di verde fronda” [Purg.XXIX, 92-93] Dante che esce da San Vitale o dal mausoleo di Galla Placidia avrà, come noi oggi, strizzato gli occhi per riabilitarli alla luce del giorno, dopo l’abbaglio degli sfondi dorati, o dei cieli blu punteggiati di stelle. E, come noi oggi, avrà sentito quella sorta di disagio nel doversi immergere nel rumore della vita cittadina dopo quella cascata di silenzio e di colori. Dove vanno i ravennati per sfuggire il rumore e per allentare il ritmo del vivere, nei loro rapidi momenti di riposo dagli impegni di lavoro? La spiaggia, le dune, il mare e la pineta sono meta abituale dei fine settimana dai primi caldi primaverili fino al tardo settembre.
La Pineta vissuta da Dante
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Il litorale si offriva anche a Dante come luogo di ristoro: egli aveva una dimora nella città, aveva il lavoro quotidiano, quello di insegnante, che dava, a lui esule, la sicurezza necessaria per vivere, aveva amici e ammiratori e, soprattutto, aveva un’opera da portare a compimento, un’opera che assorbiva le sue migliori energie creative. Andare verso il litorale, intrattenersi nella pineta era, di certo, come entrare in una basilica naturale, in un ambiente assolutamente compatibile con il bisogno di meditazione o di recupero delle dinamiche della creatività. Anche la pineta, come i mosaici, entra in lui; diventa riferimento ineludibile per la composizione di nuovi versi, quella fascia pinetale densa e fitta, abitata da flora e fauna autoctona, allocata da cespugli selvatici ed erbe spontanee, e percorsa da acque silenziose. “La divina foresta spessa e viva” (Purgatorio XXVIII. 0, 2) dove le acque si incanalano silenziose “avvegna che si mova bruna bruna sotto l’ombra perpetua, che mai raggiar non lascia sole ivi né luna” (Purgatorio XXVIII,V – 31.33) All’epoca di Dante l’area pinetale era complessivamente molto più estesa di quella attuale: era, come il poeta la definì nei suoi versi, una foresta e di certo dovette essere ancora più folta in epoca romana, allorché il suo legno forniva la materia prima per il mantenimento della flotta. Il bosco di pino domestico (Pinus Pinea) e di farnie sviluppava, ancora alla fine del secolo XVIII, una lunghezza di circa 35 Km e la larghezza di almeno 4. Attualmente la vegetazione copre un’estensione che corrisponde a meno di un terzo di quella originaria. I motivi di questa progressiva, ma inarrestabile riduzione
23 sono di natura climatica e antropica. Tuttavia la pineta continua a caratterizzare il litorale ravennate nelle sue due aree, quella a nord di Ravenna, la Pineta di S.Vitale e quella a sud del capoluogo, la Pineta di Classe. Le pinete di Ravenna fanno parte del Parco del Delta del Po all’interno del quale anch’esse sono definite come “stazioni”. Nella stazione “Pineta di San Vitale” viene indicato il classico sentiero “Ca’ Vecchia” che si sviluppa su un percorso pedonale ad anello (utile l’area di parcheggio ben segnalata sulla strada Romea. Info: 0544-428710). Nella stazione "Pineta di Classe" si segnala il sentiero “Le querce di Dante” percorso pedonale ad anello accessibile dalla Statale Adriatica (info: 0544-973040). Dopo la pineta di nuovo la città. E nella città la corte dei da Polenta. Nella vita di Dante la corte dei signori fece la differenza, garantì all’uomo e al poeta una posizione non appena logistica, ma sociale e, diremmo oggi, professionale. Senza l’appoggio dei da Polenta non avrebbe potuto dedicarsi così intensamente alla Commedia che doveva essere ultimata. Le relazioni consolidate dei signorotti locali aprirono spazi di attività, anche remunerativa, al Poeta, alleggerirono, se possibile, la sua condizione di
24 esule. Possiamo dedurre che l’ospitalità di Guido da Polenta abbia incanalato le frequentazioni di Dante, sia di persone, sia di luoghi. Persone e luoghi di immediata disponibilità: il notaio Pietro Giardini e, ancora notaio, Menghino Mezzani, il medico Fiduccio dei Milotti da Certaldo, il maestro Dino Perini. Accomunati dalla passione per le lettere e per le conversazioni cenacolari potevano annoverare come appassionato discepolo lo stesso Guido Novello. E tra i luoghi ravennati di Dante è facile supporre che avessero una maggiore frequentazione, da parte del Poeta, quelli accreditati come proprietà dei da Polenta o legati alla famiglia per altri motivi. Come la Basilica degli Apostoli (V secolo) che nel 1261 era stata concessa ai Frati Minori conventuali e intitolata a San Francesco. > Basilica degli Apostoli, attuale Chiesa di San Francesco: eretta dopo la metà del V secolo dal vescovo Neone e dedicata da lui agli Apostoli. Fu completamente ricostruita tra il X e l’XI secolo. Il campanile fu eretto verso la fine del IX secolo. Nel 1261 la Basilica fu affidata ai Frati Conventuali. Nella cripta, invasa dall’acqua, il pavimento è quello della costruzione antica del V secolo, con resti musivi fra cui un’iscrizione latina che risale alla sepoltura del vescovo Neone.
La Basilica di San Francesco si affaccia su piazza San Francesco che oggi risulta ribassata rispetto al piano stradale per interventi, avvenuti nel 1935, durante i quali fu rimosso dalla piazza anche il monumento a Garibaldi e sistemato in piazza Garibaldi (dove si trova tuttora). La Basilica era uno dei luoghi piÚ cari ai da Polenta che qui avevano fatto seppellire diversi familiari. Guido Novello volle che lo stesso Dante vi fosse sepolto, nel giardino che era il cimitero annesso alla chiesa. Una scelta che la storia, nonostante vicende che egli allora non avrebbe ritenuto possibili, non gli ha contestato. Dante, infatti, riposa ancora nel sito della prima ora. Noi immaginiamo che l’Alighieri frequentasse la chiesa di San Francesco sia in occasione di riti liturgici solenni, essendo essa la chiesa prediletta della famiglia da Polenta, sia nei momenti privati di raccoglimento religioso. Questo soprattutto perchÊ egli aveva di certo trovato nei Francescani di Ravenna quel rapporto amicale che in Firenze aveva avuto con i Francescani di S. Croce. Nelle ore precedenti la sua morte è probabile che lo stesso Dante abbia indicato il cimitero della chiesa come luogo giusto per la propria sepoltura. 25
26 Siamo entrati nella “Zona Dantesca”, denominata “Zona del Silenzio”.
La “Zona Dantesca” 1
Inaugurata il 13 settembre 1936, essa viene considerata come un unicum, un quartiere del centro cittadino i cui edifici, monumenti e strade sono strettamente legati tra di loro, ovvero alla vicenda di Dante Alighieri a Ravenna. I progetti presentati nel corso dei decenni per la sistemazione definitiva di questa area sono innumerevoli, firmati da illustri architetti. Più di una volta si pensò di modificare il sepolcro, a forma di tempietto, costruito dall’architetto Morigia nel 1780, ma per i più diversi motivi sempre si rinunciò, ed esso è ancora all’angolo tra via D. Alighieri e via Guido da Polenta. È il cuore della zona dantesca. Raggiungiamo il monumento lungo via Guido da Polenta, di fianco a piazza San Francesco (Il consiglio è di raggiungerlo da qualsiasi punto della città durante il tour ravennate). L’appuntamento con la Tomba di Dante è irrinunciabile. Ha poca importanza che qualcuno in terra di Romagna lo abbia chiamato “la pivirola”, deridendone bonariamente la forma assimilata, così, ad un oggetto nostro domestico.
> Sepolcro: nel 1780 il cardinale Luigi Valenti Gonzaga affidò i lavori per la costruzione di un nuovo sacello, elegante e decoroso, all’architetto Camillo Morigia, molto conosciuto all’epoca. Morigia progettò il sepolcro nella forma del piccolo tempio a cupola, in stile neoclassico. L’esterno fu rivestito a bugnato, in cima decorato con una cornice dorica in sasso d’Istria, coperto da una cupoletta sormontata da una pigna. Tre piccole finestre si aprono nelle pareti. Nel timpano, sopra la lunetta, dentro ad un cerchio, una serpe che si morde la coda è simbolo dell’eternità. Sopra la porta di ingresso si evidenzia lo stemma gentilizio dei Gonzaga. Nel fregio della porta la scritta recita:” Dantis poetae sepulcrum”. All’interno, sulla parete di fondo, c’è l’arca sepolcrale che conserva le ossa di Dante. Sopra l’urna un bassorilievo scolpito nel 1483 da Pietro Lombardi, raffigura Dante pensoso presso un leggio. Dalla volta pende una lampada votiva alimentata dall’olio dei colli toscani offerto ogni anno dal Comune di Firenze, in occasione dell’anniversario della morte del Poeta. > Pivirola o peparola: il poeta romagnolo Olindo Guerrini (1845-1916), spesso celatosi sotto lo pseudonimo di Lorenzo Stecchetti, paragonò il tempietto dantesco all’oggetto domestico detto, in dialetto, pivirola. Questi i versi ironici: “Morigia, vera gloria romagnola, che fu patacca e mica un architetto. E pisciò sino sangue, poveretto, per fabricarmi questa pivirola.” Il fatto che in esso siano conservate le ossa di Dante Alighieri giustifica il passaggio di migliaia di persone. E si conferma il valore di quanto, in versi, affermava Ugo Foscolo: “A egregie cose il forte animo accendono l’urne de' forti, o Pindemonte, e bella e santa fanno al peregrin la terra che le ricetta …” (I Sepolcri, v. 151-154) Così anche Ravenna è diventata più attraente agli occhi del visitatore: l’antico pellegrino o il moderno turista la sentono degna di essere visitata anche per aver accolto il Poeta e conservato le sue spoglie mortali. E vengono in questa minuscola via del centro, distaccano gli occhi dal fondo dorato delle absidi, dal blu cielo delle volte mosaicate e si incamminano verso il cuore della Zona del Silenzio. L’interesse per la tomba può non avere nulla a che vedere con la bellezza del monumento (abbiamo sentito perché i ravennati hanno attribuito il nomignolo); la bellezza, a Ravenna, è là, nelle absidi e nelle volte basilicali. Qui la bellezza è presente per riflesso di una luce che è quella eterna della poesia dantesca, luce della memoria che emana da questo luogo e dalla sua storia anomala e intrigante di questo sepolcro nascondiglio.
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Un sepolcro e un nascondiglio Dopo la morte di Dante fu presto chiaro che i fiorentini avevano serie intenzioni di riportare in patria le spoglie del concittadino, autore del “poema sacro al quale ha posto mano e cielo e terra”. Le istanze di Firenze, in proposito, erano iniziate nel corso dello stesso secolo XIV nel quale Dante era morto. All’inizio furono gli stessi da Polenta, i successori di Guido Novello, a ricevere tali richieste e a respingerle fermamente. In seguito, dopo il 1441, anno del passaggio di Ravenna sotto il dominio veneziano, fu interessato della questione Bernardo Bembo, ambasciatore veneziano a Ravenna e, dopo di lui, lo stesso Papa Leone X, quando la Chiesa ebbe Ravenna sotto di sé. Con Leone X siamo arrivati al 1515. E ancora i ravennati riuscirono, forse con petizioni speciali e con ambascerie accorate al Pontefice, ad evitare la traslazione delle ossa del Poeta. Fu troppo forte, però, nel 1519 e precisamente il 20 ottobre, la pressione esercitata sul pontefice dal “Memoriale” steso dalla Accademia Medicea e indirizzato allo stesso Leone X, nel quale si chiedeva con insistenza il trasferimento delle ossa di Dante da Ravenna a
Firenze. Anche il grande Michelangelo firmava la petizione con supplica personale al papa e l’impegno a realizzare un progetto degno del “divin poeta”. Messi alle strette, anche da una contingenza politica mutata e poco favorevole, i ravennati non poterono evitare la tanto temuta consegna. Venne da Firenze le delegazione, forte e sicura per l’autorizzazione papale, pronta a eseguire gli ordini ricevuti. Gli incaricati, in Ravenna, di far eseguire gli ordini e quanti erano tenuti a presenziare, per somma prudenza, per non suscitare in città qualche moto di protesta, scelsero di operare nell’ora del Vespero, e possiamo figurarci lo sconcerto degli astanti quando, aperto il sacello e sollevato il coperchio dell’arca sepolcrale, la trovarono vuota: sul fondo solo qualche foglia secca di alloro e piccoli frammenti di ossa. Sconcerto, rabbia e conseguenti proteste dei fiorentini al pontefice non ebbero, tuttavia, alcun risultato. Le ossa non si erano trovate, qualcuno le aveva trafugate. Non ci furono ulteriori indagini: la notizia dell’accaduto serpeggiò in Ravenna e assunse ben presto un’aura di mistero senza tuttavia destare forti preoccupazioni. Tra i concittadini si era diffusa la voce che le ossa introvabili fossero non troppo lontano dalle mura conventua- 29 li. I frati francescani, ai quali la chiesa di San Francesco era stata concessa dal 1261, avevano sotto la propria giurisdizione anche l’area dove era stata sistemata l’arca sepolcrale di Dante. I frati né allora, né in seguito, fecero dichiarazioni in merito e non si curarono della voce secondo la quale un qualche tesoro sarebbe stato nascosto nella proprietà francescana. Giunse l’epoca, agli inizi dell’Ottocento, delle espropriazioni napoleoniche a danno degli ordini religiosi: i francescani dovettero abbandonare chiesa e convento e non lasciarono nulla, nessun documento scritto e nessuna dichiarazione orale che potesse illuminare sul mistero delle ossa di Dante. Nel 1864 i fiorentini ottennero dalle autorità di Ravenna un nuovo diniego alla loro richiesta di riavere i resti dell’Alighieri. Si continuava a contendersi un prezioso “oggetto” di cui, in realtà, nessuno poteva disporre. Nell’anno tra il 1864 e il 1865, a Ravenna ci si preparava per la celebrazione del VI centenario della nascita di Dante. Durante i lavori di abbellimento del sepolcro e di riassetto dell’area circostante, i muratori intercettarono, su un lato della cappella di Braccioforte, una cassetta di legno dalla quale fuoriuscirono ossa umane.
> Braccioforte: cappella oratorio sulla sinistra della basilica. Il nome derivò alla cappella da una leggenda riportata dallo storico ravennate, Andrea Agnello, del secolo IX. L’iscrizione scoperta all’interno era inequivocabile: “Dantis ossa, denuper revisa, die 3 junii, 1677” (“Ossa di Dante, di nuovo riconosciute il 3 giugno 1677”). All’esterno un’altra iscrizione pose fine al secolare mistero: “Dantis ossa, a me fra Antonio Santi hic posita anno 1677 die 18 octobris” (“Ossa di Dante, da me fra Antonio Santi qui poste l’anno 1677, il 18 ottobre”). Questa storia , che poi ebbe un lieto fine, dopo che le analisi scientifiche dimostrarono che quelle ossa rinvenute casualmente erano proprio del Poeta, e dopo che esse furono con grandi onori ricomposte nel Tempietto del Morigia, non può che confermare il pensiero del Foscolo sui sepolcri. Infatti, fino ad oggi, si sono avvicendati alla tomba di Dante personaggi della cultura, della politica, uomini di arte e uomini di potere, e la folla non quantificabile dei cittadini del mondo che viene a Ravenna e non parte senza aver varcato la soglia del sepolcro dantesco. 30 > Grandi onori: in occasione del sesto centenario della nascita e dopo che tutte le indagini sullo scheletro erano state eseguite. Giunsero messaggi da ogni parte d’ Italia, e ci fu quasi un pellegrinaggio ad onorare le spoglie del poeta. Il sindaco di Ravenna pronunciò un discorso molto applaudito dalla folla. Giosuè Carducci, che all’epoca era titolare della Cattedra di letteratura italiana nell’Ateneo di Bologna, depose un fiore in memoria del piccolo Dante, mortogli in tenera età. Egli scrisse anche un sonetto “Nel sesto centenario di Dante”. L’area nelle immediate vicinanze del tempietto offre altri motivi di interesse al visitatore: Il luogo dove le ossa furono nascoste dal 1810 al 1865. Il tumulo di cemento erboso dove esse furono collocate nel periodo dal 1944 al 1945 per proteggerle dai bombardamenti. La lapide, all’interno dell’ex chiostro francescano, a ricordo della scoperta del foro praticato nel muro dai frati francescani. La campana donata dai comuni italiani nel 1921, che suona ogni sera all’imbrunire. > Campana: sistemata in una piccola torre in mattoni, costruita alla sommità della scala presente dietro il tempietto del Morigia. Opera di Duilio Cambellotti, fusa nelle fonderie Lucenti impiegando 6 quintali di bronzo, fu donata alla città di Ravenna con le offerte giunte da alcuni Comuni d’Italia tra cui Firenze, Roma, Napoli, Verona, Milano.
Dal giorno della sua installazione, nel 1921, la campana batte brevemente per tredici volte a ricordare il giorno 13 in cui Dante morì. Il percorso nella zona dantesca prosegue con la visita alla Chiesa di San Francesco alla quale si accede da Piazza San Francesco, porticata e ribassata rispetto al piano stradale. > Chiesa di San Francesco: vedi p. 24 > Piazza San Francesco: è delimitata a sud dal Palazzo dell’Amministrazione Provinciale di Ravenna, a nord da un portichetto cinquecentesco che proviene dal Monastero di Porto e fu rimontato qui nel 1936. Sul lato della Piazza che confina con il palazzo Casa Oriani (ex Casa Rizzetti) è stata posta una lapide che ricorda il soggiorno a Ravenna del poeta Lord Byron che così recita: “Qui era la casa ove dimorò nel 1819 Lord Byron, sommo poeta inglese, amico dei patrioti ravennati”. La storia che abbiamo raccontato più sopra, l’iter misterioso delle ossa di Dante che in realtà sono state spostate solo di pochi metri, ma con grande premura e audacia, al punto da renderle introvabili, ha lasciato dei segni che oggi sono conservati nel Museo Dantesco, insieme con molti altri documenti. 31
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Museo Dantesco Da piazza San Francesco si torna in via Dante Alighieri, al numero civico 4, dove si accede al Museo Dantesco dal “Chiostro del doppio portico”. Il museo fu allestito nel 1921, per volontà della Amministrazione Comunale, organizzato dallo studioso ravennate Corrado Ricci e, dopo un lungo periodo di chiusura, fu riaperto al pubblico nel 1990. Ricci curò che vi trovassero organica sistemazione memorie, cimeli, progetti e opere ispirate a Dante e alcuni oggetti preservatisi dall’usura del tempo e dalle vicissitudini delle spoglie dantesche. Andiamo a vedere la cassetta di legno (lunga poco meno di 80 cm) che contenne le ossa trafugate e che fu recuperata nel 1865, le immagini del ritrovamento della cassetta e riproduzioni, disegni, incisioni che descrivono le vicende della tomba. In ogni altro ambiente ci si può soffermare su materiali di interesse documentario che testimoniano l’interesse che Dante ha suscitato in tutto il mondo. Ne è un esempio il Museo del Centro Dantesco (nei corridoi sud, est e nord del chiostro).
> Museo: durante la redazione del testo apprendiamo che sia il Museo, sia la Biblioteca sono oggetto di riorganizzazioni importanti per le quali non è ancora stabilito il periodo esatto di ultimazione. La sosta nella Biblioteca, alla quale si accede in uscita dal Museo, è consentita per la consultazione di testi e documenti. Qui si trovano, nella sezione dedicata a Dante, volumi di pregio. > Biblioteca dantesca: dal 1964, anno della prima sede nella casa conventuale, in via Guaccimanni, ad oggi, presso i locali del Centro Dantesco, in via D.Alighieri, essa è stata ampliata e addirittura se ne è raddoppiata la capienza. Oggi conta più di dodicimila pezzi e prevede la sola consultazione in loco. È collegata via cavo in fibraottica con le altre biblioteche cittadine; è dotata di due postazioni multimediali a disposizione del pubblico. Il materiale è attualmente diviso in sezioni: dantesca, francescana, ravennate, arte-artisti. Sono stati recepiti il fondo Amaducci, W. Della Monica, e sono consultabili l’antico Archivio Conventuale, l’Archivio del Centro Dantesco. La Biblioteca è parte integrante del Centro Dantesco, che fu creato da Padre Severino Ragazzini, nel 1963. La sua intenzione, come in seguito egli dichiarò, era di “dare inizio ad un’opera che non avesse solo la durata 33 di un “centenario”….Accanto alla tomba di Dante, che mette a contatto con Dante morto, creare un centro dantesco che mettesse a contatto con un Dante vivo”. Il successo di tale iniziativa è tuttora riscontrabile e il fine è pienamente raggiunto: Dante vive oggi per il “potere” poetico-culturale della sua opera e grazie, anche, alle iniziative che in suo nome nascono, grazie alle relazioni che si allacciano intorno alla sua opera, tra paesi lontani, là dove sorgono i comitati per le diverse celebrazioni. La memoria di Dante ha innescato nei Frati Francescani di Ravenna una creatività a trecentosessanta gradi che
34 si esprime anche nell’organizzazione di mostre annuali d’arte a tema dantesco e la Biennale Internazionale Dantesca, dedicata al bronzetto e alla piccola scultura. Il percorso dantesco che abbiamo fin qui suggerito è un racconto che ha come sfondo la città di Ravenna colta in quella porzione della sua storia che si è intrecciata con quella del sommo poeta Dante. Gli edifici della città conosciuti lungo il percorso sono protagonisti del racconto che ha inizio nel secondo decennio del secolo XIV: una narrazione a finale aperto. Perchè la città è fatta dagli uomini per gli uomini.
I cittadini di Ravenna promuovono la cultura dantesca I protagonisti, che ad ogni generazione si ripropongono desiderosi di riconfermarsi tali, sono i cittadini di Ravenna e tra essi quanti hanno dedicato le energie migliori alla creazione di opere e azioni di vario genere in memoria di Dante. Tre realtà sono attivamente impegnate a Ravenna per mantenere viva la memoria del sommo Dante e per svilupparla come occasione di approfondimento culturale. 35 Esse integrano in modo armonico la complessità di aspetti che l’opera del poeta racchiude e propongono al pubblico approcci diversi e complementari. L’Opera di Dante, istituita agli inizi del ‘900, esprime l’impegno diretto della municipalità che vuole conservare il saldo legame degli inizi con l’Alighieri. L’Opera è capofila delle manifestazioni del “Settembre Dantesco” iniziativa che propone annualmente, in coincidenza con l’anniversario della morte del poeta, letture dalla Divina Commedia magistralmente realizzate da famosi attori molto apprezzati dal pubblico. In collaborazione con il Fondo dantesco della Biblioteca Classense, sono organizzate anche le “Letture Classensi” che vogliono proporre la conoscenza dell’opera dantesca anche attraverso la visuale della integrazione, in essa, delle diverse arti e discipline. Questi appuntamenti, a cadenza annuale, coinvolgono soprattutto le scolaresche in orario scolastico, ma sono aperte anche ad appassionati cultori di Dante. L’Opera di Dante, attraverso il Fondo dantesco conservato nella Biblioteca Classense, è punto di riferimento per studi universitari, tesi di laurea e realizza prestiti di documenti e di testi utili ad altre istituzioni culturali nel loro approccio al mondo poetico di Dante.
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Il Centro Relazioni Culturali, in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Ravenna ha dotato la città di una serie di iniziative dedicate alla figura e all’opera di Dante Alighieri. Anima instancabile del Centro e ideatore della sua attività, Walter della Monica diede vita al Progetto Dante nel 1995 con la lettura integrale della Divina Commedia ad opera di Vittorio Sermonti, a diretto contatto con il pubblico. Fu un evento di grande rilievo, nella Basilica di San Francesco accanto al sepolcro di Dante e si replicò, a Ravenna e in altre città d’Italia, fino al 1997 quando si concluse con un’anteprima dell’ultimo canto del Paradiso davanti al Pontefice, Giovanni Paolo II. Terminato il ciclo del Progetto Dante, la creatività di Walter della Monica approdò nel 1998 a “La Divina Commedia nel mondo” rassegna internazionale inedita nella storia della critica e della divulgazione dantesca, con il fine di creare relazioni tra quanti si dedicano alla conoscenza e allo studio di Dante e della sua opera nei più diversi paesi del mondo (America, Russia, Giappone, Persia, Africa). L’evento, durante i giorni del Settembre Dantesco, coinvolge traduttori, studiosi e lettori dei diversi paesi che danno vita ad una conversazione in lingua italiana sulla presenza di Dante e della Commedia nel paese della versione in programma; segue la lettura di un canto sia in italiano, sia nella lingua straniera prescelta. Il pubblico resta letteralmente avvinto per tutta la durata dell’evento che è di circa un’ora e trenta minuti. Nel 2002 ha avuto inizio una nuova sezione della rassegna “La Divina Commedia nel mondo”, ovvero il premio “Il lauro dantesco”, concorso riservato a nuovi lettori della Divina Commedia in pubblico, in età compresa tra i 18 e i 35 anni. Una sorta di casting a concorso per le nuove leve della lettura di Dante in pubblico. > Walter Della Monica: ideatore insieme con Toni Comello del “Trebbo poetico”, ovvero letture in pubblico, in piazza o in luoghi al chiuso, di poeti delle diverse epoche letterarie, con commento. Walter Della Monica introduceva il poeta e illustrava la poesia, Comello la recitava. Il primo Trebbo si tenne a Cervia il 7 Gennaio 1956. L’iniziativa ebbe un tale successo che i due ideatori la replicarono in molte località della loro regione e poi in altre regioni dell’Italia e anche all’estero. Il Trebbo fu apprezzato da poeti come Ungaretti, Quasimodo e in alcuni dizionari della Lingua italiana il vocabolo “trebbo” fu introdotto con citazione dei due “aedi”.
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Il Centro Dantesco Fu creato da Padre Severino Ragazzini nel 1963, il quale dichiarò di voler “dare inizio ad un’opera che non avesse solo la durata di un “centenario”. Accanto alla tomba di Dante, che mette a contatto con Dante morto, creare un centro dantesco che mettesse a contatto con un Dante vivo”. Nel 1964, con un ciclo di conferenze nella Basilica di S. Francesco, furono aperte le celebrazioni Centenarie Dantesche e iniziò la raccolta di libri, cimeli e opere d’arte a tema dantesco. Nel 1967 fu inaugurato il primo nucleo
della biblioteca. Il Centro Dantesco organizza annualmente mostre d’arte a tema dantesco e la Biennale Internazionale Dantesca, dedicata al bronzetto e alla piccola scultura. La Zona Dantesca viene comunemente considerata come un unicum che comprende altri edifici storici la cui vicinanza al Tempietto del Morigia li ha visti coinvolti nei diversi progetti di sistemazione della zona stessa. Casa Rizzetti (secolo XVI) venne inclusa nel progetto dell’Architetto Arata che sull’antica casa veneziana tracciò l’attuale casa Oriani che oggi ospita la Biblioteca Oriani specializzata in Storia Contemporanea e Studi politici e sociali. A pochi metri di distanza si può fare una tappa enogastronomica in un suggestivo locale della ristorazione tipica romagnola: Ca’ de’ Ven, rinomata enoteca. Sugli scaffali ottocenteschi sono esposte le più significative pubblicazio> Biblioteca Alfredo Oriani: nata nel 1927 in virtù dell’istituzione dell’Ente “Casa di Oriani”, volta a ricordare la figura dello scrittore romagnolo, dal 1936 ha sede nell’edificio di via Corrado Ricci, al numero civico 26. La biblioteca conta circa 150.000 libri e periodici nel campo della storia contemporanea e studi politici, economici e sociali, con particolare attenzione al fascismo e all’antifascismo, alla storia dei partiti politici e dei movimenti 38 sindacale e operaio, alla storia economica.
39 ni della storia di Romagna. L’edificio che ospita la Ca’ de’ Ven è l’antico Palazzo Rasponi-Bellenghi, costruito come fortilizio o torre (era detto Torre di San Francesco) a difesa della famiglia Rasponi. Un ultimo suggerimento rivolto al visitatore che ci abbia fin qui seguito è la tappa alla Biblioteca Classense, nella vicina via Baccarini, che ha una sua sala (l’ex refettorio dei Monaci Camaldolesi, che qui ebbero il loro centro conventuale fino al 1804, anno della cessione al Comune) dedicata alle letture dantesche. La sala-refettorio, dominata da un grandioso affresco “Le nozze di Cana” (1580) del pittore ravennate Luca Longhi, è chiamata Sala Dantesca. Dedicata a Dante nel 1921, nel sesto centenario della morte, in essa si tengono le “Lecturae Dantis”. > Biblioteca Classense: il nome deriva dal monastero in cui è inserita, chiamato “ Classe dentro” dopo che venne trasferito da S. Apollinare in Classe a Ravenna, dopo la battaglia del 1512. Il prestigio culturale del monastero si deve all’abate Pietro Canneti (1659-1730) fine erudito e bibliofilo, che curò l’ingresso di opere di valore e ne accrebbe la quantità. Il patrimonio bibliografico comprende codici manoscritti altomedievali e medievali, incunaboli, cinquecentine, fondi e collezioni per un complessivo di oltre 600 mila volumi.
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Con Dante in Romagna Dante, novello Virgilio, ci ha consentito di compiere un percorso in Ravenna, di passare dalla città della sua epoca a quella attuale, senza soluzione di continuità. Egli può fare di più, lo ha già fatto, ha composto versi che hanno intagliato ogni angolo della Romagna come su un pannello ligneo. Le arti si integrano tra loro e l’utilizzo magistrale della parola può incidere la memoria come lo scalpello il legno. Seguiamo, dunque, Dante come guida a conoscere le terre di Romagna. La nuova risorsa del turismo culturale è, appunto, quella di poter tracciare percorsi definiti da tappe in locations che personaggi della cultura, della letteratura in particolare, hanno toccato per diversi motivi durante la loro esistenza o che hanno voluto immortalare nella loro opera. Non abbiamo, invero, certezze cronologiche, non sappiamo in quale anno, esattamente, Dante fu nelle diverse località romagnole, così come abbiamo visto assai difficile definire una data del suo arrivo a Ravenna, ma questo non ci impedisce di percorrere la “sua” Romagna. Ravenna, dove abbiamo ritrovato i luoghi danteschi, è punto di partenza per questa uscita.
Ravenna è precisamente definita nella sua posizione geografica: “Siede la terra dove nata fui sulla marina dove’l Po discende per aver pace co’ seguaci sui”. [Inf.V.97-99] sul litorale dell’Adriatico, dove il Po discende con i suoi affluenti; Dante vuole anche precisare la condizione politica della città che lo ha ospitato: “Ravenna sta come stata è molt’anni, l’aquila da Polenta la si cova, sì che Cervia ricuopre co’ suoi vanni” [Inf. XXVII. 4042] E, nel contempo, introduce e mette in relazione con la storia di Ravenna la vicina Cervia, l’antica città del sale. L’uscita da Ravenna più vicina alla città è, però, la pineta, “per la pineta in su’l lito di Chiassi” [Purg. XXVIII. 20] che al tempo di Dante era ambiente di grande estensione e densità, una vera e propria foresta, “la divina foresta spessa e viva” [Purg. XXVIII. 2] nella quale egli dovette immergersi, uomo nella natura, prima che poeta alla ricerca di ispirazione. Dopo Ravenna, Forlì, 41 “La terra che fè già la lunga prova e di franceschi il sanguinoso mucchio sotto le branche verdi si ritrova.” [Inf. XXVII. 43-45] città che, forse, Dante conobbe addirittura prima di Ravenna. Alcuni critici avrebbero, infatti, ricostruito il viaggio d’esilio del poeta dal paese di San Gaudenzo del Mugello, (dove egli partecipò nel 1302 ad una azione contro Firenze) verso Forlì, passando per la località d’Acquacheta. La strada antica che dalla Toscana giungeva in Romagna sfiorava la cascata dell’Acquacheta e Dante così ne rievoca il suono e il sito:
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“Come quel fiume ch’ha proprio camino primo da Monte Viso’ inver’ Levante, da la sinistra costa d’Apennino, che si chiama Acquacheta suso, avante che si divalli giù nel basso letto, ed a Forlì di quel nome è vacante, rimbomba là sovra San Benedetto de l’Alpe per cadere ad una scesa, ove dovria per mille esser recetto;” [Inf. XVI. 94-99] Dall’Acquacheta, seguendo il corso del fiume Montone, Dante sarà passato per Portico di Romagna dove la famiglia dei Portinari di Firenze, famiglia della Beatrice dantesca, aveva un suo palazzo (sec. XIII) tuttora presente con lo stemma padronale. Il passaggio per Castrocaro potrebbe avere suggerito a Dante l’immagine del “nobile castello, sette volte cerchiato d’alte mura difeso intorno da un bel fiumicello”. [Inf.IV.106-08] poiché il fortilizio in Castrocaro era, al tempo di Dante, chiuso da tre giri di mura e circondato dal fiume Montone. A Forlì, secondo Flavio Biondo, Dante giunse nel 1303, presso Scarpetta degli Ordelaffi. Fu ospitato nelle case degli Ordelaffi che sorgevano dove è ora palazzo Albicini. Sull’attuale edificio una lapide informa: “Qui dove la case degli Ordelaffi accolsero Dante Alighieri oratore dei Fiorentini di parte bianca proscritti…” e all’interno, un dipinto, del Randi, del 1854, rappresenta l’Alighieri che dialoga con Scarpetta. In Palazzo Reggiani, attraversando Corso Garibaldi, un ipotetico ritratto di Dante, un altorilievo in terracotta, di epoca quattrocentesca fu rinvenuto durante lavori di scavo nel giardino. Il viaggio nella Romagna dantesca si spinge fino a S. Leo che il poeta avrà di certo visto per aver così bene reso l’inarrivabile posizione della Rocca: “vassi in San Leo… con esso i piè; ma qui convien ch’om voli. [Purg. IV, 25-27] La città di Cesena è definita nella sua posizione, tra la pianura e il monte, rispetto al fiume Savio, “E quella cu’ il Savio bagna il fianco così com’ella siè tra ‘l piano e il monte, tra tirannia si vive e stato franco”. [Inf. XXVII: 52-54] e anche Faenza e Imola sono ricordate per i loro fiumi: “Le città di Lamone e di Santerno, conduce il lioncel dal nido bianco che muta parte da la state al verno”. [Inf. XXVII. 49-51]
Quando si giunge al canto XIV del Purgatorio (seguendo le parole di Guido del Duca, che compare con il Guelfo forlivese, Riniero dè Calboli) siamo di nuovo in Romagna, a Bertinoro: “O Brettinoro, che non fuggi via Poi che gita se n’è la tua famiglia E molta gente per non esser ria?” [Purg. XIV,112,114] La vicina Polenta, dove il castello dei da Polenta era tenuto da Guido Riccio, nemico dei cugini ravennati, resta, come meta del viaggio di Dante in Romagna, sospesa nell’aura poetica di Giosuè Carducci che con il verso in cui pone il “forse” davanti all’inginocchiarsi di 43 Dante nella Pieve di San Donato ha offerto, comunque, fama imperitura a tutto il sito. Poi Longiano, Bagnacavallo, Castrocaro sfilano davanti a noi, nomi di un geografia politica le cui maglie inducono il poeta a toni anche giudiziali, “[…] o romagnuoli tornati in bastardi! […]”. Che Dante abbia conosciuto la Romagna è ormai opinione unanime. Conobbe bene la Romagna fisica e, non di meno,quella politica, aiutato di certo da documentazioni accreditate e per gli eventi della sua epoca da una consapevole capacità di giudizio.Se egli le dedicò versi numerosi e pregni di poesia e di significati, fu forse un modo di riconoscersi grato alla terra che lo aveva accolto nei giorni più difficili dell’esistenza, quelli dell’esilio. Non ci scontenti la sua poesia allorché diventa come freccia scoccata verso personaggi di Romagna o verso i romagnoli tutti, giacchè il poeta compie la sua missione oltre se stesso. La grande poesia accade sempre oltre l’uomo che la compone. Il poeta ne è trapassato e redento.
Tra note e rime Musicisti e Letterati nella “Bassa� Lugo, Bagnara, Fusignano, Alfonsine, S. Alberto, Conselice, Bagnacavallo
Tra note e rime Musicisti e Letterati nella “Bassa” Lugo, Bagnara, Fusignano, Alfonsine, S. Alberto, Conselice, Bagnacavallo Da Ravenna a Lugo
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Legenda 1. Casa Rossini 2. Museo Mascagni 3. Corelli 4. Casa Monti 5. Biblioteca Olindo Guerrini 6. Allestimento scenografico su Guareschi 7. Giardino degli aforismi di Longanesi
Da Ravenna a Lugo. La strada che porta al Comune notoriamente vocato al commercio è la statale San Vitale, che collega il capoluogo di provincia con Bologna. Da Ravenna a Lugo si percorrono circa 25 chilometri. Si ha ancora negli occhi lo splendore dei mosaici bizantini, ma presto li riposeremo volgendoli verso le terre della bassa pianura che pure offrono una incredibile variazione cromatica, ma naturale, stagionale, mutevole, quindi, dal verde carico dei frutteti al giallo bruciato delle messi, ai rossi aranciati dell’autunno. Fino a quando l’inverno restituisce i fondali liberati fino all’orizzonte. Il percorso appena iniziato che si snoderà lungo le strade della “Bassa” risuona di musiche sinfoniche, poi riecheggia di alti versi composti in poema, quando raggiunge i confini con le zone vallive si accorda su corde umoristiche vibrate in sonetti che dall’intimo scivolano in rima romagnola. I cittadini della “Bassa” tengono saldo il legame con tutta la storia che li ha preceduti e sono diventati i primi tutori delle tradizioni più antiche, capaci di farle amare anche dai loro nipoti. Sono tradizionali i mestieri, le coltivazioni, le feste e le sagre, la cucina che colora, con il giallo delle paste fatte a mano e il rosso dei salumi e dei sughi, il grigio delle nebbie invernali. Tutto questo esprime un’adesione anche istintiva alla propria terra che si vuole buona per sé e per gli altri. Già avvicinandosi la fine del secondo millennio gli amministratori dei comuni della pianura ravennate sono intervenuti anche sul look delle proprie città e hanno programmato e realizzato il restyling di tanti edifici dei centri storici che il turista può godere sia nell’estetica delle facciate sia nella visita degli ambienti. Tra questi edifici il percorso propone, in particolare, le case che sono state dimora natale o di residenza o di soggiorno temporaneo di uomini creativi, musicisti, poeti, letterati, scienziati o studiosi di diverse discipline.
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A Lugo: Gioacchino Rossini
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A Lugo ci lasciamo portare tra le strade del paese dalle note di un grande compositore che qui è vissuto per un breve, ma intenso, periodo della sua vita. Gioacchino Rossini, nato a Pesaro il 29 febbraio 1792, visse a Lugo dal 1802 al 1804. Era, perciò, nel periodo dell’adolescenza e della formazione. La casa paterna di Gioacchino Rossini è situata in via Giacomo Rocca, al numero 14. Il giovane, tuttavia, non vi abitò negli anni lughesi poiché l’abitazione, di proprietà del nonno, era stata affittata ad alcuni parenti. La famiglia Rossini ebbe invece la propria residenza in via Manfredi, al numero 25. La vocazione di Gioacchino Rossini per la musica dovette manifestarsi precocemente, di certo inscritta nel suo patrimonio genetico: la madre, Anna Guidarini di Pesaro, era cantante, il padre, Giuseppe Antonio, aveva avuto la posizione di trombetta comunale prima a Lugo, poi a Pesaro. Gioacchino crebbe quindi tra spartiti, gorgheggi, solfeggi e fior di melodie e fu presto indirizzato ad approfondire le prime intuizioni musicali. Era attiva, all’epoca, la scuola dei Canonici Malerbi,
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presso la quale il giovane Gioacchino studiò canto, composizione e clavicembalo. Qui fu istruito sui “primi principi di suono e di canto”, fu un apprendistato musicale di cui si ha conferma nella presenza, nel Fondo Malerbi, oggi conservato presso la Biblioteca Trisi di Lugo, di alcune composizioni giovanili che si sono rivelate utili per ricostruire la formazione dell’artista. Le prime due tappe del percorso sono presso le due case legate sia alla famiglia Rossini, sia alla permanenza di Gioacchino a Lugo. La Casa al numero 25 di via Manfredi si raggiunge facilmente dalla Piazza di Lugo. È attualmente un edificio di lineare architettura sul quale è stata inserita una lapide che ricorda il periodo di permanenza del giovane Rossini a Lugo, dal 1802 al 1804. La casa in via Rocca, al numero 14, restaurata per iniziativa del Lions Club di Lugo e segnalata da una lapide con epigrafe in latino, conserva fotografie, documenti e riproduzioni che attestano il legame del compositore con la città. È sede temporanea di mostre ed iniziative culturali. Sebbene Rossini non l’abbia abitata egli ne parlava con accenti di affetto, essendo, comunque un bene di famiglia. Villa Malerbi è la terza tappa del percorso rossiniano. 49
50 È una residenza di campagna ravvivata da un intenso colore rosso mattone, costruita nei primi anni del XIX secolo. Casa di campagna della famiglia Malerbi. Due membri della casata, musicisti, Giuseppe (17711849) e Luigi (1776-1843) avevano fondato la scuola che aveva acquistato credito come una delle migliori della Romagna. Gioacchino Rossini la frequentò con ottimo profitto per la futura carriera e proprio negli anni lughesi, ancora giovinetto, esordì come compositore con la “Sonata a quattro” e con il “Gloria a tre voci”. In Villa Malerbi sono stati a lungo conservati documenti che di recente hanno avuto sistemazione nella Biblioteca Trisi, nel centro storico di Lugo: manoscritti rossiniani, il leggio sul quale Donizetti diresse la prima esecuzione dello Stabat Mater, a Bologna. > Biblioteca Trisi: dal nome del palazzo che la ospita, Palazzo Trisi, edificio del tardo Settecento lughese, costruito su progetto dell’architetto Morelli. Si distingue per le linee sobrie della facciata movimentata da lesene e da due elementi ad arco, il portone d’entrata e il finestrone soprastante. Il Palazzo, insieme con il teatro Rossini, garantisce un equilibrio architettonico alla piazza. La biblioteca ospita circa 150 mila volumi, tra cui 117 incunaboli e oltre 2500 cinquecentine. In Biblioteca è attiva una sezione multimediale molto avanzata, come assai sviluppata è l’attività di
promozione culturale, mostre e convegni. La città riceve molti stimoli culturali, rivolti sia agli adulti, sia ai ragazzi ai quali è dedicata una sezione. Mentre ci spostiamo in paese e ci soffermiamo nella visita di edifici ricchi di storia e di memorie, ma semplicemente inseriti nello stile architettonico delle case di paese del ravennate, riecheggiano le note di una antica querelle levatasi ben presto tra lughesi e pesaresi per affermare rispettivamente ed entrambi il proprio legame, prioritario, con l’artista. La disputa tra luogo di nascita e luogo di residenza, in questi casi, è d’obbligo. La prima voce si levò da Pesaro: nel 1817 fu Giulio Perticari a dare il via ad una serie di botte e risposte in forma di opuscoli, articoli ed interventi. > Opuscoli, articoli, interventi: la città di Lugo rispondeva al sasso lanciato dal Perticari con l’opuscolo provocatorio “nel 18° bisestile anniversario di Gioacchino Rossini, sole della musica nel secolo XIX, fenice nell’arte, lughese di patria, pesarese di nascita, i suoi compatrioti”, del 29 febbraio 1864. > Altri interventi: il lughese, amico di Rossini, Luigi Crisostomo Ferrucci, latinista ed ex bibliotecario della Laurenziana di Firenze, subito dopo la morte del compositore scrisse “La patria di Rossini” su la Gazzetta del Popolo, 1 dicembre 1868 e “Specialità della patria e per incidenza ancora di quella di Gioacchino Rossini” su Il Romagnolo, 29 agosto 1869; sull’argomento produceva un intervento di confutazione il pesarese letterato ed erudito Giuliano Venzolini con “Giudizio perentorio sulla verità della patria di Gioacchino Rossini”, nel 1874, uscito per i tipi della tipografia della Gazzetta d’Italia. Rossini, quando ancora in vita si trovò tra i due fuochi, cercò di districarsi tra le sapienti dispute con una diplomatica quanto ironica battuta con cui si autolicenziava come “Il Cigno di Pesaro e Cignale di Lugo”. C’è tuttavia un fattore di grande peso che contribuisce ad annoverare Rossini tra i figli della terra di Romagna ed è l’imponente raccolta di materiali rossiniani che sono entrati nel famoso Fondo Piancastelli, notoriamente votato alla Romagna.
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> Fondo Piancastelli: i rossiniani considerano Forlì e il Fondo Piancastelli una fonte preziosa di materiali. Il patrimonio di documenti giunse alla Biblioteca Comunale Saffi di Forlì in seguito al lascito testamentario del conte Carlo Piancastelli (1867-1938) nativo di Imola, ma residente, al seguito della famiglia, a Fusignano. Dopo gli studi in legge e quelli umanistici il conte mise a frutto la sua passione collezionistica che dapprima si applicò alla numismatica e in seguito alla Romagna, considerata in molti suoi aspetti. La sezione “Carte Romagna” è stata sistemata nell’inventario realizzato e pubblicato da Piergiorgio Brigliadori e Luigi Elleni, nel 1980. Le raccolte Piancastelli comprendono, oltre al ricco carteggio che riguarda il compositore, anche suoi manoscritti e stampe musicali, spartiti, originali di opere, ma anche riduzioni, trascrizioni, elaborazioni, variazioni. Il Fondo possiede anche una documentazione iconografica costituita da bozzetti utilizzati per le scenografie delle opere Rossiniane. Seguendo le tracce della vita del giovane Gioacchino a Lugo ci spostiamo verso la Chiesa del Carmine, che conserva, in ottime condizioni e perfettamente funzionante, l’organo sul quale Gioacchino fece le sue prime esercitazioni. > Chiesa del Carmine: fu costruita verso la metà del Settecento su una preesistente chiesa, annessa al convento dei Carmelitani, del 1520. Il progetto fu dell’architetto Francesco Petrocchi. 52 In essa si venera Sant’Illaro, patrono della città. È conservato al suo interno l’organo di Gaetano Callido, del 1797, sul quale si esercitò il giovane Rossini. L’organo è ancora in ottimo stato e viene usato per concerti. La data di costruzione dell’organo, il 1797, ci stimola ad immaginare l’emozione di un bambino già appassionato di musica al quale è data l’opportunità di accedere ad uno strumento così prezioso, un organo da poco installato nella chiesa, a poca distanza dalla sua abitazione, che non era certo accessibile ai suoi coetanei. Il suono mirabile prodotto dalle canne sapientemente realizzate dal costruttore Gaetano Callido, dovette stimolare anche la decisione di Gioacchino di proseguire sulla strada intrapresa e diede vigore alla sua creatività visto che esordì come compositore con le “Sonate a quattro” e con il “Gloria a tre voci”. La passeggiata in Lugo sulle tracce lasciate qui dal giovane Rossini ci consente di soddisfare una legittima curiosità, ovvero di conoscere il volto del personaggio e dei suoi genitori. Ci spostiamo, per questo motivo, nella Residenza Municipale (presso la Rocca Estense) nel cosiddetto Salotto Rossini di fronte a tre ritratti ad olio di Anna Guidarini, di Giuseppe Antonio Rossini e dello stesso Gioacchino.
I ritratti dei coniugi hanno il valore aggiunto dell’unicità. Furono donati al municipio di Lugo da Olympe Pelisser, seconda moglie del Maestro Rossini. Il ritratto di Gioacchino, opera della pittrice Handebourt Lescot, eseguito nel 1828, fu donato dallo stesso Rossini alla città di Lugo, ma dapprima conservato dalla cantante Maria Alboni nella sua abitazione. Prima della morte (1894) ella predispose il trasferimento del dipinto al Comune di Lugo. Prima di uscire da Salotto Rossini, conviene soffermarsi su alcuni documenti tra cui una lettera autografa del 1844 in cui Rossini ringrazia per la nomina a consigliere comunale. C’è in Lugo un luogo che è diventato un simbolo di questa città ed è il Teatro Rossini. Costruito ed inaugurato trenta anni prima della nascita di Gioacchino Rossini, nel 1761, in quei decenni il teatro si era affermato come punto di confluenza della già consolidata tradizione operistica lughese. Il sito del Teatro stabile era allora ai margini dell’area commerciale, con affaccio sul prato della Fiera. Oggi lo troviamo in pieno centro. Il progetto fu affidato all’architetto Ambrogio Petrocchi, la sistemazione degli interni, palcoscenico, platea, palchi, fu di Antonio Galli Bibiena. > Teatro Rossini: inaugurato nel 1761, durante la Fiera cittadina, era stato costruito per la sempre maggiore importanza che la tradizione operistica aveva assunto a Lugo nel corso del Settecento. Si scelse come sito l’area ai margini dello spazio commerciale che si affacciava sul prato della Fiera. Oggi è in pieno centro cittadino. Nel 1758 e fino al 1760, furono edificate le parti principali, su progetto di Ambrogio Petrocchi e dal 1760 si realizzarono le opere interne, completate ad opera di Antonio Galli Bibiena. L’inaugurazione avvenne con il dramma musicale “Catone in Utica”, su libretto del Metastasio. Nel 1813 vi si esibì, con grande successo, Nicolò Paganini. Nel 1859, il teatro fu intitolato a Gioacchino Rossini che alimentò con la sua produzione, dal 1814 al 1840, la vita artistica del teatro stesso. Altri grandi gli diedero lustro, tra i quali, Mercadante, Bellini,
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54 Donizetti fino alla comparsa del primo Verdi. Il teatro ebbe un ruolo anche nella vita politica di Lugo, vi tennero discorsi uomini politici, come Mazzini, letterati, come Carducci e il popolo lo frequentò per manifestare le proprie simpatie verso Garibaldi, dopo il suo ferimento in Aspromonte. Ancora tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento vi si eseguirono opere di rilievo, di Puccini, Wagner, Pratella e il grande Toscanini vi diresse l’Aida. Nel corso del Novecento visse un periodo di decadenza come teatro e fu adibito anche a cinema e usato per varie manifestazioni sociali. Questo ne scongiurò la demolizione. Alla fine degli anni ottanta del Novecento fu restaurato, riaperto nel 1986 e rilanciato come teatro, soprattutto per la lirica, ma anche per la musica sinfonica, essendo ottima l’acustica, e per la prosa. Oggi propone stagioni che spaziano dall’opera lirica al teatro di prosa, dalla musica cameristica a quella sinfonica senza escludere la danza e la musica jazz. È considerato tra gli esempi più interessanti di teatro neoclassico in Emilia Romagna. Possiamo supporre che il teatro sia stato, almeno una volta, frequentato da Rossini che, benché giovanissimo, potrebbe esservi stato in compagnia dei genitori. E dopo pochi anni, già nel 1814, la stessa produzione di Rossini divenne oggetto della programmazione lughese.
Francesco Balilla Pratella: il futurismo a Lugo Prima di lasciare Lugo siamo avvertiti dai lughesi che un altro loro concittadino fu uomo di musica, ma in epoche recenti e in sequela di ispirazioni di certo meno romantiche del predecessore Rossini. Con un balzo nel primo ventennio del Novecento si rintraccia l’esatta collocazione della dimora di Francesco Balilla Pratella, seguace del movimento Futurista e residente all’epoca in via Lato di Mezzo, proprio al vertice di un bivio ferroviario, quello 55 che conduceva a nord verso Massa Lombarda e a sud verso Castelbolognese. La strada era chiamata familiarmente dai lughesi “vicolo di Pratella” e chi doveva passare di là usava dire “passo dalla pratella”. Si legge in un libro dal titolo “Il Futurismo a Lugo” (di Castronuovo e Medri, Ed. La Mandragora 2003) che lo scrittore Riccardo Bacchelli in un articolo del 1956, “Un viaggio a Lugo” ricordava una visita a Pratella e di lui scriveva: “A Lugo, Balilla abitava nel vertice di un bivio ferroviario, e aveva i fischi delle locomotive manovranti, si può dire, in casa. Coerente con la sua definizione del Futurismo, originalità e violenza, l’intrusione fonica ferroviaria non lo disturbava minimamente”. Gli autori del testo sopra menzionato ci avvisano che Pratella, come musicista, ma fu anche saggista e insegnante, ebbe in sé due anime in apparenza non compatibili ovvero l’impeto al rinnovamento radicale e il legame con la tradizione umana e musicale della sua terra. Rimanendo nello stesso periodo storico, non possiamo non ricordare la casa di un altro illustre cittadino lughese, Francesco Baracca, asso dell'aviazione nella Prima Guerra Mondiale. La sua casa natale, in pieno centro cittadino, è oggi sede del Museo a lui interamente dedicato.
Verso Alfonsine Da Lugo, prima di inoltrarci verso Alfonsine, nella vasta pianura percorsa da strade che consentono un rapido collegamento tra le sue innumerevoli località, suggeriamo uno spostamento ad ovest, fino a Bagnara di Romagna. Il filo della musica ci tiene ancora avvinti, forse inaspettatamente, in queste aree rurali della provincia di Ravenna. Un intreccio tra musica e relazioni affettive. 56
A Bagnara di Romagna: Pietro Mascagni 2
A Bagnara di Romagna, presso la Chiesa Parrocchiale di S. Andrea, ci attende il piccolo Museo Pietro Mascagni per la cui visita ci si prenota al numero tel. 0545-76054. Questo preavviso consente di ottenere una guida che renderà molto vivace il percorso alla scoperta del musicista e della sua musa ispiratrice. Niente è meglio, infatti, del visitare un luogo come questo ascoltando le parole di persone che sanno metterci al corrente di particolari che superano la vicenda artistica in senso stretto ed entrano nell’intimo della vicenda umana dei personaggi. Questo museo, infatti, si è costituito intorno alla donazione del copioso carteggio, più di 4 mila lettere autografe, tra Pietro Mascagni e la giovane corista bagnarese, Anna Lolli, sua musa ispiratrice. Il carteggio è stato ordinato in modo esemplare e utile alla consultazione, che è assai frequente da parte di giornalisti del settore o di studiosi. La donatrice, Anna Lolli, lasciò anche oggetti della vita quotidiana del musicista, come il pianoforte, spartiti, numerosi ritratti che lo fissano in momenti importanti
57 della sua carriera artistica, e piccole cose come i sigari, i fiammiferi, scatole portapillole. L’epistolario che esordisce nel 1916 e prosegue fino al 1945, anno della morte, è un documento di grande loquacità, perché rivela la personalità di Mascagni allorché egli entrava nel merito del suo lavoro, delle relazioni professionali, dei successi tributatigli dal pubblico e dalla critica. Le persone che in attività di volontariato ci aprono le porte del museo sanno ricreare anche l’atmosfera dell’epoca nella quale si svolsero i fatti che riguardano la vita di Mascagni e ci informano delle attività del Comitato Mascagnano, concerti, manifestazioni culturali e il Premio “Mascagni d’oro”, attribuito ad artisti affermati. Prima di lasciare la chiesa Arcipretale ci viene proposta anche la visita del Museo parrocchiale “Mons. Alberto Mongardi” dove sono custoditi apparati liturgici di pregio, in broccato e damasco, dal secolo XVI al XIX, e ancora testi sacri antichi, oggetti liturgici, vari dipinti tra cui una Pala d’Altare di Innocenzo Francucci da Imola del 1515 e numerose ceramiche votive che spesso gli abitanti della zona hanno donato al museo pur di salvarle dalle ruberie, essendo in genere apposte fuori dalle porte d’ingresso. Fronteggia la Chiesa Arcipretale la Rocca Sforzesca, che
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ospita il Museo del Castello, con tutte le tracce disponibili sulla storia di Bagnara e del suo territorio. Per giungere ad Alfonsine si tocca Fusignano che pure trattiene il ricordo di un musicista, Arcangelo Corelli,(16531713) nativo di Fusignano, forse il maggior rappresentante del Barocco strumentale italiano.
> Arcangelo Corelli: nato a Fusignano nel 1653 si perfezionò in musica a Bologna e si stabilì poi, nel 1670, a Roma. Fu compositore, violinista ed insegnante. Come compositore fu punto di riferimento per i compositori dell’epoca. Anche Handel trasse molto da lui. La sua fama di violinista è da molti paragonata a quella di Paganini nel 19° secolo. Furono suoi disce- 59 poli Geminiani e Vivaldi. Ora, con una virtuale deviazione del percorso, segnaliamo che anche nella città di Faenza si può conoscere un compositore del Settecento, Giuseppe Sarti, (17291802), faentino di nascita, che ebbe grande fama anche in paesi lontani come la Danimarca e la Russia. A Faenza, nella elegante Loggia degli Orefici, è stata apposta una lapide che identifica la casa natale del compositore. La Biblioteca Comunale di Faenza conserva il Fondo musicale sartiano attraverso il quale gli appassionati possono ripercorrere l’iter dell’opera di Sarti (info 0546-21541). Da Fusignano diamo indicazione di due opzioni che arricchiscono il percorso nella pianura. In direzione nord est raggiungiamo, dapprima Alfonsine, dove è prevista la tappa alla Casa Museo Monti e di seguito S. Alberto che risuona della fama del poeta Olindo Guerrini, alias Lorenzo Stecchetti. Se procediamo, invece, verso nord ovest giungiamo a Conselice che si è recentemente distinta per una iniziativa dedicata a Giovanni(no) Guareschi.
Alfonsine: Vincenzo Monti
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Da Fusignano si procede verso Alfonsine dove il percorso approda alla casa natale di un grande letterato, Vincenzo Monti (Alfonsine 1754-Milano 1828) conosciuto in tutto il mondo letterario per la traduzione dell’Iliade di Omero. Se è possibile stupirsi, oggi, di come e dove si manifestino il genio e il talento, forse è il caso di farlo qui, sulla strada per Alfonsine, quando ci si trova completamente circondati dalla campagna coltivata senza poter dimenticare la centuriazione romana, quell’agro centuriato che si stendeva dalla fascia pedemontana fino alle zone paludose e litoranee. Tutto quello che è accaduto dal 2° secolo a.C. fino ad oggi non ha potuto cancellare quei tracciati e le grandi bonifiche attuate, prima quelle al seguito del fiume Lamone, poi quelle idrauliche, hanno creato la piana di Ravenna, dove noi ci muoviamo. Qui, nei dintorni di Alfonsine, su un’estensione di 12 ettari, è stata creata la Riserva Naturale di Alfonsine che si può visitare nelle tre stazioni: lo Stagno della Fornace Violani, il Boschetto dei tre canali, la Fascia boscata del Canale dei Mulini. > Riserva Naturale di Alfonsine: costituita nel 1990 dalla Regione Emilia Romagna, occupa quasi 12 ettari, consente di immergersi nella vegetazione autoctona preservata e di dedicarsi al birdwatching. La cessazione delle attività umane originariamente presenti negli ambienti oggi protetti, ha reso possibile la creazione di biotopi ovvero luoghi recuperati agli equilibri ecologici preesistenti. Non è impossibile, quindi, paragonare il paesaggio attuale con quello dove si sviluppò la vicenda familiare di Vincenzo Monti. Con un virtuale flash back torniamo ad Alfonsine, nella seconda metà del XVIII secolo, in una casa semplice, di austera eleganza, costruita da un agrimensore di nome Fedele Monti, attivo sul podere detto “dell’Ortazzo” dei Marchesi Calcagnini. Fedele Monti in questa casa vide
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nascere undici figli insieme con la moglie Domenica Maria Mazzarri. Due femmine morirono nell’infanzia, gli altri, maschi e femmine, seguirono chi la vocazione religiosa (due fratelli, tra i quali il maggiore, Cesare, e tre sorelle presero i voti) chi la vita coniugale, come lo stesso poeta. Vincenzo Monti nacque il 19 febbraio 1754 e il padre sottolineò l’evento con una nota scritta che recitava: “Oggi mi è nato un figliolo, al quale porrò nome Vincenzo”. Se, talvolta, abbiamo supposto che il genio e il talento abbiano bisogno di stimoli particolari per emergere, siamo in qualche modo smentiti anche dalla vicenda del Monti che nacque nel più tradizionale ambiente rurale della sua epoca. Quando si giunge ad Alfonsine si attraversa il paese in tutta la sua lunghezza e, prima di lasciarlo, si volta a destra, in via Passetto. Al numero 1, al termine di un ordinato vialetto, abbiamo di fronte Casa Monti.
> Alfonsine: il Comune si trova nella Bassa ravennate a circa 18 km da Ravenna e circa 16 km da Lugo. Il nome deriva da Alfonso Calcagnini che nel XVI secolo bonificò le valli e diede origine alla fertile pianura che veniva chiamata “le terre di Alfonso”. Attualmente il paese sorge alla sinistra del fiume Senio, che lo attraversa, ma prima della seconda guerra mondiale l’abitato era alla destra del fiume. 61
Da questo momento diventiamo testimoni di cosa accade se una municipalità si trova con la responsabilità di un concittadino importante di cui vuole conservare viva la memoria, soprattutto se di lui restano casa e documenti. Casa Monti è stata al centro dell’interesse delle istituzioni locali e dal 1954, anno del bicentenario della nascita di Vincenzo, fino al 1998, anno della più recente ristrutturazione, passando attraverso quella del 1978 (era il 150° della morte e le attività di recupero furono possibili grazie al mecenate Marino Marini e alla dispo-
nibilità della locale Cooperativa Muratori), gli amministratori si sono preoccupati della salvaguardia di questo bene culturale. Ma non si possono dimenticare fattori di peso nella felice storia di questo edificio: la buona sorte che lo preservò dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale, e la passione dell’ultimo proprietario, Cassiano Meruzzi, il medico condotto di Alfonsine che, cultore della produzione montiana volle, al momento della morte, nel 1951, donare l’immobile al municipio.
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La casa che si offre al visitatore con la luminosità di una pittura gialla, ma senza toni squillanti e ravvivata dal verde delle persiane, seminascosta da due tassi secolari che le fanno da cornice, ha subito qualche modifica. La costruzione originale fu probabilmente di un piano più alta rispetto all’odierna che, comunque, rende l’idea di una residenza rurale di non piccole dimensioni. Nella cartolina che riproduce una stampa dell’epoca si ha, appunto, l’immagine dell’edificio con il piano-solaio di cui oggi si può dedurre l’esistenza solo dall’interno, da una sala del primo piano. Nella medesima stampa sono raffigurati gli edifici di servizio tipici delle case di campagna e figure di uomini e donne che animano il paesaggio prossimo. In alto, sulla facciata dell’edificio, il capofamiglia aveva fatto scrivere un motto dei salmi: “Redime me a calumniis hominum, ut custodiam mandata tua” [Liberami dalle calunnie degli uomini, affinché io possa osservare i tuoi ordini]. Sembrano quasi profetiche parole, se riferite alla vita del figlio Vincenzo che ebbe una vicenda umana e letteraria alquanto colpita dai mutamenti della storia e dalle reazioni suscitate nei contemporanei dalle sue scelte di uomo e di letterato. Le altre lapidi, sono quattro, riportano sia le date di centenari della nascita e della morte che si sono voluti fissare nella memoria dei posteri, sia quella del IV anniversario della Liberazione.
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Dentro Casa Monti Nell’atrio si ha la sensazione di uno spazio agevolmente ampio e ordinato che oggi viene utilizzato come book shop e per l’esposizione di materiali promozionali della provincia di Ravenna. Sulla parete sinistra si fa notare l’iscrizione che ricorda la visita di Giosuè Carducci, il 25 Aprile 1905. Il poeta, in età avanzata e salute incerta, volle rendere omaggio allo stimato collega e auspicò che il Comune volesse migliorare la condizione dell’edificio. 64 Si sale al primo piano fino alla “Sala della culla”, che è stata concepita come accesso al Museo montiano. È arredata con mobili d’epoca tra i quali si segnala la culla di famiglia del Monti. Alle pareti sono appesi alcuni manifesti che ricordano diverse celebrazioni montiane. Si passa alla “Sala dei documenti” dove gli estimatori potranno fare una sosta prolungata attratti, di certo, dalle edizioni originali delle opere del Poeta, grazie alle quali si può costruire la sua “carriera” dalla fase romana a quella napoleonica. Protetti in bacheche, ma ben visibili, l’editio princeps della tragedia Aristodemo del 1786, il poemetto Bassvilliana, la prima edizione delle Satire di Persio tradotte dal Monti e la seconda edizione del Caio Gracco. Di interesse anche la “Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al Vocabolario della Crusca” e copie di epistole scritte dal Monti a Manzoni e a Leopardi. Da non perdere alcune pagine autografe. Al contrario di quanto accade in altre dimore della memoria, dove è piacevole soffermarsi su piccoli oggetti della vita quotidiana, qui l’unico oggetto attribuibile alla vita domestica del Poeta è una tazza in porcellana decorata e appoggiata su un piattino. Forse troppo poco per ricreare qualche atmosfera di intimità nell’ambiente. D’altra parte nella casa “dell’Ortazzo”
egli trascorse pochi anni dell’ infanzia, trasferendosi presto la famiglia per obblighi di lavoro del padre, a Fusignano (nei pressi del comune si trova ancora oggi la località Maiano Monti e la grande dimora dove la famiglia visse). Abbiamo comunque delle testimonianze dirette, scritti del Monti, in cui egli ricorda con affetto questa casa legata alla sua giovinezza. Scriveva al fratello, l’abate Cesare Monti, nel 1796: “Sospiro la solitudine di Fusignano, anzi quella dell’Ortazzo, in cui sono nato…”, e in una lettera a Madame de Stael del 1805 si legge: “Domattina riposerò sotto il tetto che mi ha veduto nascere. Questa idea mi fa battere il cuore e mi torna in pensiero tutta la mia gioventù”. Quando si entra nella “Saletta Montiana”, allestita nel 1928 per il 1° centenario della morte del poeta, siamo impressionati dal busto marmoreo, che fu realizzato sul calco funerario da Cincinnato Baruzzi, allievo del Canova. La figlia Costanza lo considerò molto somigliante alle sembianze paterne. È presente anche un busto della figlia, ritratta in giovane età, di autore ignoto. Locandine e manifesti che testimoniano l’attività municipale per le onoranze a Vincenzo Monti sono sistemate alle pareti di questa e di altre sale. La visita di Casa Monti avrà un supporto notevole se programmata nel 65 periodo delle Celebrazioni Montiane organizzate ogni anno dal Comitato Montiano. Ma anche nei mesi estivi si organizzano eventi, soprattutto grazie alla disponibilità del parco circostante la dimora, che accoglie agevolmente il pubblico nelle calde serate. L’antica stalla, semplicemente ristrutturata al piano terra, diventa in alcune circostanze saletta per degustazioni dei prodotti tipici della zona. > Comitato Montiano: si è costituito legalmente nel 1993, ma è operante dal 1978 per promuovere e realizzare iniziative ( pubblicazioni, convegni, conferenze) atte a mantenere viva la memoria del poeta Vincenzo Monti.
S. Alberto: Olindo Guerrini
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Da Alfonsine proseguiamo verso S. Alberto che è facilmente raggiungibile: dalla vicina Statale 16, Adriatica, si volta sulla extraurbana 24 (da Ravenna, invece, lungo la statale 309, denominata Romea, sono circa 15 km). Siamo ancora completamente circondati dal paesaggio della Bassa ravennate. La strada di accesso a S. Alberto divide in due parti il paese e lo percorre in tutta la lunghezza. Su questa strada si affaccia la nostra meta ovvero la casa di Olindo Guerrini dove, attualmente, ha sede la Biblioteca Popolare della “Società Operaia” che porta il nome del poeta. Lo stesso Guerrini descriveva così S. Alberto: “Il mio paese non era che una lunga strada fangosa tra due file di casupole, meno che nel centro, costrutte di mattoni seccati al sole e coperte di canne palustri. Fuori, dove ora è campagna fiorente, non erano che stagni e paludi, focolari di malaria (…)” Era il 1915 e Olindo Guerrini era prossimo alla morte (1916). Nello stesso scritto, proseguendo nella descrizione del paese, spiegava per quale motivo egli fosse nato, in realtà, a Forlì, il 14 ottobre 1845. “Puoi dunque immaginare anche il resto. Niente scuole, salvo che quella privata di un vecchio prete, certo Sperindio, che insegnava l’abbici a pochi privilegiati a suon di nerbo (…). Puoi immaginare dunque come si andasse in fatto di medicina e di ostetricia. Mia madre (…) di ottima famiglia di Forlì, quando io mi avvicinai, si recò presso ai suoi pei soccorsi dell’arte, se ce ne fosse stato bisogno…” La casa, oggi Biblioteca, dove è possibile fare tappa
67 per una breve visita era di proprietà del padre. Sulla facciata è stata collocata, nel settimo anniversario della morte, una scritta su lapide nella quale si fa esplicito riferimento al legame dell’ingegno poetico di Guerrini con la sua terra d’origine. Olindo Guerrini nacque, dunque, a Forlì, il 4 ottobre 1845, per i motivi contingenti di cui poco sopra si diceva. La famiglia paterna era, però, di S.Alberto, il borgo confinante con le Valli di Comacchio dove il padre, Angelo, svolgeva la professione di farmacista. La madre, Paolina Giulianini, di famiglia benestante aveva lasciato la propria città di Forlì per seguire il marito. I coniugi Guerrini avevano già due figlie, Luigia e Virginia e, quando si preannunciò il terzo parto, Paolina volle trasferirsi a Forlì, dove rimase per il periodo della balia. Ben presto il piccolo Olindo tornò a S.Alberto. A otto anni entrò nel collegio Municipale di Ravenna e fu istruito secondo un nozionismo sostenuto anche da pratiche religiose non troppo in sintonia con il temperamento del giovane, visto che lo precipitarono verso un precoce anticlericalismo. Aveva appena 14 anni allorchè, nel 1859, si coinvolse attivamente nelle proteste insorte, all’interno del collegio, a sostegno dei moti romagnoli contro il governo pontificio. Dovette lasciare il collegio e il padre lo tra-
68 sferì al Collegio nazionale di Torino, dove frequentò il ginnasio e il liceo, invece, al Cavour. Diplomatosi nel 1865 si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Ateneo di Bologna dove presto anche la famiglia si trasferì. Ottenuto il titolo di dottore fece praticantato in due studi, ma presto lasciò l’attività non avendo intenzione di esercitare la professione. La vocazione letteraria premeva nella personalità del giovane Guerrini che aveva già trovato il modo di esordire celandosi sotto lo pseudonimo di Lorenzo Stecchetti (anno 1868), su “Lo Staffile” emanazione satirica de “L’amico del popolo”, foglio di parte repubblicana. Quelle di Stecchetti erano satire dure, rivolte a reazionari, moderati e inetti. Iniziò a collaborare anche con altri giornali cittadini (“L’Indipendente”,“La Patria”, “Il Monitore”). Pur residente a Bologna dal 1870 Guerrini non perse i contatti con l’area ravennate: si unì al gruppo fondatore dell’Università della Camerlona (ove sorgeva una celebrata osteria), fu eletto Consigliere comunale per Ravenna nelle file dei progressisti, nel 1870, (e per tre volte fino al 1883) e fu anche assessore per il settore scolastico. Operò a favore di S.Alberto dove istituì la sezione locale dei pompieri e la Biblioteca Popolare legata alla Società di Mutuo Soccorso alla quale era
iscritto dal 1866. Iniziato alla Massoneria nella “Loggia Dante Alighieri” di Ravenna, passò poi a quella “VIII Agosto” di Bologna. Il 9 Ottobre 1871 Guerrini formulò richiesta alla Società di Mutuo Soccorso di istituire una biblioteca popolare circolante. L’articolo 2 dello Statuto della Società si proponeva il “mutuo soccorso intellettuale, materiale e morale” e “il miglioramento morale da perseguire con conseguimento del lavoro e dell’istruzione”. Niente parve più adeguato di una biblioteca. Si costituì una commissione e la biblioteca aprì il 21 Aprile 1872. C’era all’epoca molto analfabetismo. 69 > Società Operaia: sorta nel gennaio 1866 fra gli operai di S.Alberto, Savarna e Mandriole, fu la 4a tra quelle fondate nella provincia (dopo Lugo, Russi e Ravenna). Si collocò nell’area di influenza del Partito d’Azione con soci di ambiente repubblicano; G.Garibaldi fu nominato presidente onorario. Nell’archivio dell’Associazione si conserva la lettera con la quale Garibaldi, da Caprera, accettava anche ringraziando per l’aiuto avuto nel lontano 1849 dai sant’albertesi. Oggi la Biblioteca Popolare è accessibile al pubblico, all’interno di Casa Guerrini, e in essa sono catalogati e conservati più di 2 mila volumi: un fondo che esprime non solo il valore storico e antiquario, ma anche richiama il messaggio di “mutuo soccorso intellettuale” che fu all’origine della istituzione bibliotecaria. A Bologna Guerrini ebbe residenza dopo il matrimonio con Maria Nigrisoli di Ravenna, e abitò, dopo la distruzione di un appartamento a causa di un incendio, in via Zamboni, vicino alla Biblioteca. Ma ebbe anche una villa in collina, alla Gaibola, dove coltivava la passione per la campagna. Egli aspirava ad un incarico stabile in Biblioteca, ma lo ottenne solo come assistente. Le vicende familiari non furono sempre felici, indelebilmente segnate dalla morte della adorata figlia Lina, nel 1879. Lo sconforto si coglie in questi versi del 1881:
70 “Tutto m’abbandonò, tutto. Gli stolti ma cari sogni di poeta, anch’essi ne la sventura mia furon travolti”. Poi il menage familiare proseguì allietato dalla crescita degli altri due figli. Nel 1893 egli divenne direttore della Biblioteca dell’Università di Bologna e ricoprì anche incarichi di prestigio nel capoluogo emiliano. Agli inizi degli anni ’90, quando ormai era opinione diffusa che Guerrini come poeta avesse optato per il silenzio, egli ideò invece una nuova figura, Argia Sbolenfi, cuoca nubile e mordace, che esordì nel 1892 e che provocò l’unanime e sprezzante giudizio della critica. In quegli anni novanta Guerrini si dedicava come passatempo alla bicicletta con cui compì escursioni memorabili anche oltre i confini nazionali, fino a Ginevra, e alla quale dedicò sonetti in “È viazz”, ambientandoli tra Emilia Romagna, Piemonte, Valle d’ Aosta, Veneto. Alla vigilia del 1° conflitto mondiale era giunto per lui il momento della pensione, ma chiese di essere riammesso in servizio, di poter essere utile al paese. Gli fu dato, però, il trasferimento a Genova, quale direttore della Biblioteca universitaria, dal novembre 1914 al marzo 1915, allorchè ottenne di tornare di nuovo a Bologna. Qui gli furono tributate onoranze nel novembre
71 1915 per il 70° compleanno. Morì il 24 ottobre 1916 nella propria casa. Durante i 48 anni di attività letteraria (dal 1868 al 1916) Guerrini si celò sotto diversi noms de plume: Mercutio, Lorenzo Stecchetti, Marco Balossardi, Giovanni Dareni, Argia Sbolenfi, Pulinera e Bepi. Le edizioni del suo Postuma, uscito nel 1877 sotto lo pseudonimo di Lorenzo Stecchetti, furono 47 fino al 1979. Il canzoniere di Stecchetti è uno dei libri più diffusi dall’Unità ad oggi. Molto conosciuti i Sonetti Romagnoli, composti nella lingua dialettale, editi postumi nel 1920 da Zanichelli.
A Conselice: in ricordo di Giovanni Guareschi La seconda opzione del percorso è, in direzione nord ovest, da Fusignano a Conselice che richiama il pubblico con una installazione-murales dedicata allo scrittore Giovanni Guareschi. Da Fusignano si ritorna a Lugo, si sceglie la direzione Massa Lombarda e si procede verso Conselice, dapprima sulla Sp.50, poi sulla Statale 610, detta Selice (costruita sul tracciato dell’antica strada romana).
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Nell’ottobre 2004 è stata inaugurata l’opera dedicata allo scrittore Giovanni Guareschi e realizzata dallo scenografo cinematografico Gino Pellegrini. L’allestimento scenografico si è inserito nel progetto di riqualificazione di Piazza Guareschi voluto dal Comune di Conselice e cofinanziato dalla Regione Emilia-Romagna. Il titolo dell’opera “Dove l’acqua non è di rose” richiama l’originale condizione dell’area interessata dal progetto che era, seppur a pochi passi dalla piazza principale, in degrado. Il lavoro di Pellegrini è durato circa due anni e mostra,
73 come in un film, sui muri dipinti della piazza e su sagome di legno, lo scrittore Guareschi in gita a Conselice insieme con i suoi personaggi, tra i quali si distinguono Peppone e Don Camillo. Altri personaggi sono del luogo e sono stati riprodotti da foto d’epoca. Le figure umane risaltano sui fondali dipinti in quanto sono state dipinte su tavole di legno poi sagomate e montate. Il progetto prevede di essere completato interessando altre zone e strade limitrofe. Giovanni Guareschi, nato a Fontanelle di Roccabianca, in provincia di Parma, nel 1908, morì a Cervia il 22 Luglio del 1968. In questa località, dove tra poco faremo tappa, la famiglia aveva una villa, in via Bellucci, che i figli tuttora utilizzano di passaggio a Cervia. Lo scrittore trascorse a Cervia i periodi estivi degli anni dal 1962 al 1968. A Cervia i figli di Guareschi, Alberto e Carlotta, sono più volte intervenuti alla manifestazione” Cervia, la spiaggia ama il libro” che si tiene da più di un decennio nei mesi di Luglio e Agosto e che ha dedicato diverse incontri al popolare scrittore che sempre attira una folla di fedeli e appassionati lettori.
La Bagnacavallo di Leo Longanesi
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L’ultima tappa di questo viaggio tra note e rime ci porta a Bagnacavallo, città da noi frequentata molte volte per gustare alcune eccellenze enogastronomiche, presentate e protette dal “Consorzio il Bagnacavallo”, come il famoso vino “bursòn” prodotto da uve Longanesi coltivate, innanzi tutto, dalla famiglia Longanesi e da molte altre aziende delle zona. Il motivo principe di questa tappa è, tuttavia, letterario grazie al legame di Bagnacavallo, sua città natale, con Leo Longanesi, illustre e notissimo editore, giornalista e scrittore. Nel Centenario della nascita la municipalità gli ha dedicato un’area dell’area centrale e storica, un “Giardino degli aforismi” caratterizzato da panchine decorate con suoi disegni e aforismi. Nei decennali scorsi la sua città natale gli aveva dedicato mostre, medaglie e pubblicazioni ma in occasione del primo centenario della nascita l’Amministrazione Comunale ha cercato di ricordarlo con una installazione permanente, rispettosa delle sue grandi passioni e per nulla celebrativa. Longanesi nacque il 30 agosto del 1905 nel Castellaccio di Bagnacavallo, uno degli edifici più antichi e prestigiosi del piccolo centro storico romagnolo, in cui la famiglia di proprietari terrieri viveva all’epoca, al n° 10 di una traversa del Corso principale, allora chiamato Via Papini ed oggi intitolata a Francesco Baracca. Dopo un’esistenza frenetica, densa di attività giornalistiche, editoriali ed artistiche, morì al suo tavolo da lavoro, presso la redazione milanese de “Il borghese”, il 27 settembre del 1957 e fu sepolto a Lugo di Romagna dove aveva trascorso i suoi primi anni dell’infanzia. All’interno della corte di un antico palazzo nobiliare, al n° 35 di via Diaz entro le mura cittadine, fra colture di piante in via d’estinzione ed il pergolato di un bel ristorante, è stato ricavato Il Giardino degli Aforismi, un percorso attrezzato con dieci panchine d’autore, ognuna delle quali contiene sullo schienale
d’ottone finemente inciso con preziosi caratteri, un disegno ed un epigramma del famoso giornalista romagnolo. Lo spazio classico della passeggiata, un ritratto biografico ed i libri disponibili per la lettura presso il vicino ristorante rappresentano bene il mestiere e il carattere dell’aggressivo Longanesi, piÚ di qualsiasi altro monumento. Presso il Centro Culturale Le Cappuccine di via Veneto si conservano invece, in un apposito fondo archivistico, le prime edizioni e le ultime ristampe, le riviste ed i giornali, insieme ai saggi piÚ importanti prodotti in questi anni sulla figura di Leo Longanesi, a beneficio degli studiosi ma anche dei semplici lettori, affascinati da una scrittura ironica e pungente, che non conosce tramonti.
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A Cervia, tra le righe il vento
A Cervia tra le righe il vento
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Impossibile tradurre in numero la quantità di persone che dal secondo dopoguerra ad oggi abbiano soggiornato, per qualche giorno, o più, a Cervia, e altrettanto impossibile è stabilire quante tra loro siano tornate nella bella località balneare una seconda e una terza volta. Impossibile. Decine di migliaia, milioni di turisti, tra Cervia, Milano Marittima, Pinarella e la Tagliata. Tra questi c’è, tuttavia, un gruppo di turisti, più di un centinaio, che hanno vissuto a Cervia un’esperienza inedita e insolita per la cittadina dove il sole, il mare e la spiaggia fanno da padroni. In un assolato e troppo caldo pomeriggio di agosto, l’undici di agosto dell’anno 2003 questo gruppo di turisti è stato spettatore e protagonista del primo percorso- spettacolo di genere letterario, ovvero dedicato ad un personaggio del mondo letterario che aveva un legame particolare e significativo con Cervia, intitolato: “A Cervia con Grazia Deledda”. Si ricorda con piacere il particolare della presenza all’evento culturale del nipote di Deledda, Alessandro Madesani Deledda, che partecipò a tutto il percorso e arricchì due momenti significativi, uno nel pomeriggio e uno in serata, con la sua testimonianza. > A Cervia con Grazia Deledda: titolo del percorso spettacolo ideato e sceneggiato da Laura Vestrucci e realizzato l'11 agosto 2003 durante la manifestazione “Cervia, la spiaggia ama il libro”, organizzata da Ass. Albergatori di Cervia con il patrocinio della Camera di Commercio di Ravenna su progetto della società Set Studio. Bisogna sapere, infatti, che Cervia nutre un affetto particolare per la letteratura, al punto da dedicarle una manifestazione che nel 2005 è giunta alla 13a edizione. “Cervia, la spiaggia ama il libro” ha portato tra i turisti centinaia di autori, dei più Legenda diversi generi, con i loro libri. Autore, libro, lettore sono un 1. Villa la Caravella triangolo magico, che dovunque crea attenzione, movimento 2. Rotonda Grazia e spettacolo. E tutti ne sono protagonisti. Ma un percorso Deledda 3. Angolo di Trucolo spettacolo ancora non si era visto. E Grazia Deledda, premio 4. Municipio Nobel per la letteratura nel 1927, come è giunta a Cervia?
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Grazia Deledda a Cervia
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Grazia Deledda (1871-1936) venne la prima volta a Cervia nel 1920. Il soggiorno estivo fu piacevole ed ella vi ritornò più volte in seguito, fino a quando, nel 1928 decise di acquistare un villino sul mare. Prima di Cervia la scrittrice aveva frequentato Anzio e Santa Marinella e ancora, Viareggio (dal 1910). Ma queste località si erano rivelate troppo chiassose e mondane e, in definitiva, anche troppo costose per la famiglia Madesani. Il marito di Grazia, Palmiro, infine accolse il consiglio di un collega di Roma, ma Cervese di origine, Agostino Arani il quale gli suggeriva di provare con un soggiorno a Cervia. Dopo quella prima volta, per quindici estati (fino al 1935) la scrittrice venne a Cervia dove ebbe come punto di riferimento per i primi contatti Lina Sacchetti, allora maestra presso l’Istituto Pascoli. Le due donne, la scrittrice sarda e la colta educatrice cervese, divennero presto amiche, unite da stima reciproca e frequentazioni comuni, anche nell’ambiente letterario che in Romagna aveva un humus assai favorevole allo svilupparsi di un cenacolo. > Lina Sacchetti quando si dedicò alla attività letteraria scelse di scrivere anche di Deledda: “Grazia Deledda. Ricordi e testimonianze” (1971), “Arte e umanità di Grazia Deledda. Messaggio ai Giovani” (1981). C’è un intrecciarsi frequente della storia letteraria delle due donne; a Grazia Lina aveva inviato la sua prima opera “Ghodua domani”, ricevendone da Deledda queste parole “Pochi libri mi sono parsi freschi, piacevoli e, nello stesso tempo, profondi come il suo. La ringrazio di cuore di avermelo mandato”. Era il 1934. Il desiderio di conoscere l’Adriatico era già stato espres-
81 so da Deledda al giovane scrittore di Cesenatico, Marino Moretti, al quale ella così scriveva nel 1915: “Chissà che non possiamo rivederci quest’estate. Io vorrei un po’ rivedere questo Adriatico che non conosco; mi piacerebbe andare a Riccione o a Bellaria, ed anche nella sua Cesenatico; che mi dice lei? Sarebbe possibile avere proprio sul mare una casina con facilità di vita materiale, oppure una pensione, sempre vicinissima al mare, per me, Sardus e Franz? Per la seconda metà di luglio fino alla metà di settembre!”. Infatti, dal 1920 al 1935 la scrittrice sarda venne a Cervia per il suo lungo soggiorno estivo. Cervia all’epoca, vedeva il sorgere della propria attività balneare che ancora lasciava intatto l’aspetto della città, il suo ambiente naturale caratterizzato dalle saline, dai campi, della pineta e della spiaggia dunosa. Il primo stabilimento balneare di Cervia era stato costruito nel 1882, e da quel momento era iniziato il lento progredire di Cervia verso il suo futuro di centro turistico, (Rimini, Riccione, Cattolica e Cesenatico erano state precoci nell’organizzarsi come centri balneari, Cervia fu riconosciuta come Stazione di cure e di soggiorno solo nel 1926). Si può affermare perciò che Grazia Deledda fu testimone
dello sviluppo balneare della località dal 1920 fino al 1935, nonché del suo incremento demografico, visto che nel 1921 Cervia contava 10.212 abitanti, nel 1936 ne registrava 12.319 (Servizi Demografici Comune di Cervia, vedi “Nel paese del Vento” Ed. Longo 1997).
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Ma tornando al primo soggiorno di Deledda a Cervia, Agostino Orani, per soddisfare la richiesta del collega Madesani, aveva chiesto aiuto alla giovane maestra Lina Sacchetti che individuò Villa Igea, di proprietà della famiglia Aleotti; situata nella zona del molo. L’accordo per la locazione fu preceduto da una serie di lettere tra Deledda e gli Aleotti. Villa Igea fu poi riconosciuta come la casa descritta nel romanzo “La fuga in Egitto” del 1925: “Due grandi terrazze a colonnine si sporgevano sulla facciata della villa, e sotto quella del primo piano un piccolo portico, col pavimento stuccato e le colonne rivestite di rose rampicanti, circondava il portoncino d’ingresso”. Dopo Villa Igea fu la volta del soggiorno nel “Vialetto Appi”, nei pressi dell’odierno viale dei Mille, (di proprietà Miccoli) ed infine, la scrittrice già premio Nobel, acquistò nel 1928 un villino sul viale Litoraneo, poi nominato nel 1932, Cristoforo Colombo. In famiglia questa dimora venne dapprima battezzata “La Nuvoletta” poi, seguendo il suggerimento del nuovo nome dato al viale, la si nominò “La Caravella”. Così Grazia Deledda la descrisse nella novella “Contratto” ne “La Vigna sul mare” del 1932. “Villa da Vendere”. Così è scritto sul frontone della casetta color biscotto con le persiane di menta glaciale verde, che pare sbocciata dalla sabbia per l’opera magica di una fata e per mia esclusiva consolazione. Tutto mi piace, le stanze non troppo grandi, ma ariose e fresche, la cucina, il piccolo portico e soprattutto la terrazza… sulla terrazza mi pare di rivedermi dopo un lungo ricevimento… I miei
libri saranno le tue finestre: verso il mare e verso la pianura verde e azzurra di vigne e di tamerici: come da fanciulla voglio studiare ancora le pagine della natura: sola musica quella del mare e del vento, soli colori quelli delle stagioni e delle ore”. In altre novelle viene ricordata come la “piccola casa che ha per ali il mare” o come “l’amichetta sbarazzina; che ha dormito a lungo cullata dal rumore delle onde”. Nell’arredo erano compresi mobili di giunco e nel giardino era stato collocato un tavolo di finto marmo. In una piccola città non poteva passare inosservata la presenza di una turista così speciale, non la signora borghese che aveva lasciato la compagnia cittadina per un breve periodo di cura del sole, ma una donna colta e riservata che era giunta sulle coste dell’alto Adriatico per il lungo periodo estivo. Una scrittrice. E si sa che una scrittrice non potrebbe stare due o tre mesi senza frequentare il proprio mestiere, lo scrivere. Quando una scrittrice, o uno scrittore, si allontana dalla propria dimora e dalla propria città per un lungo periodo sceglie un luogo nel quale lo scrivere sia possibile almeno come nella località di residenza e, se è possibile, dove sia facilitato; si deve creare un feeling tra lo scritto83 re e il luogo del suo lavoro, una corrente di sensazioni
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deve poter scorrere tra il paesaggio, i profumi, i colori, le persone e l’uomo o la donna che per mestiere scrive. Così pure la dimora scelta ha una grande importanza; la luce naturale nelle diverse ore del giorno, gli angoli della casa, la dimensione delle finestre, lo spicchio di paesaggio che da esse è inquadrato. Se il luogo non è in senso assoluto la condizione più facilitante dello scrivere, e sappiamo che è possibile creare arte nelle condizioni più difficili e disumane, tuttavia possiamo ritenere che chi scrive per mestiere lo voglia fare nel luogo più in sintonia con se stesso. Così fu anche per Grazia Deledda che scelse di fermarsi a Cervia, dopo altre soste in varie località balneari, di certo per averla sentita in sintonia con il proprio essere e con il mestiere di scrittrice. “La bella, verde e ventosa Cervia” di cui scrive al figlio il 4 luglio 1931, “Il paese veramente dolce e solatio di Romagna, dove si usa chiamare le persone affini a noi “cari i miei ragazzi o in senso più generale, anzi evangelicamente universale, - cara la mia gente -!”. C’era dunque una corrispondenza tra la scrittrice e la località scelta per il soggiorno estivo, forse qualche rimembranza in essa della primitiva terra natale di Barbagia, aspra e dolce insieme. Il luogo dove in gioventù si era formato il suo sogno di arte e di solitudine, allorchè diceva di sé: “Ho vissuto il contatto del popolo e dei paesaggi più belli e selvaggi nei quali si è immedesimata l’anima mia, ho vissuto coi venti, coi boschi, con le montagne, ho guardato per giorni, mesi e anni il volgersi delle nuvole sul cielo sordo…; ho ascoltato i canti e le musiche tradizionali e le fiabe e i discorsi del popolo, e così si è formata la mia arte, come una canzone, un motivo che sorga spontaneo dalle labbra di un poeta primitivo (da “La scrittrice abita qui” di Sandra Petrignani Ed. Neri Pozza 2003). Ma nulla come l’evoluzione dell’arte dello scrivere subisce le influenze dell’animo
85 dello scrittore stesso, che è innanzitutto uomo, persona in cammino. E se la persona vorrebbe talvolta nascondersi a sé e agli altri, e può realmente farlo, lo scrittore non potrà. La scrittrice non può fingere, né mentire. E così anche Grazia Deledda sentì che era giunto il momento di cambiare; era il 1926 quando in un intervista dichiarò: “Poi di Sardegna basta. Perché della mia terra ho detto quanto sapevo dire, adesso non la sento più”. Parole nette che lasciano capire un passaggio artistico epocale, non appena per il volgersi, da questo momento in avanti, ad altro luogo ispiratore, (Cervia si fa spazio nella sua rappresentazione artistica?) bensì per l’accondiscendere dello spirito creativo ad un altro mondo poetico. Viene il tempo, quando non è più necessario assistere a questo o quel paesaggio per doverlo descrivere. Viene quel tempo quando sarà più facile chiudere gli occhi per vedere e scrivere. E il vento, quello che il corpo impatta violentemente tanto nella terra Sarda, quanto nella terra di Romagna, lungo la costa cervese, se avrà costretto la donna a socchiudere gli occhi e a proteggersi volgendo il capo di lato, aiuterà la scrittrice a individuare il percorso incontrollabile del destino, “come canne, e la sorte è il vento” fa dire Deledda a Efix, uno dei personaggi di
“Canne al vento”. Chiarito questo passaggio artistico inequivocabile resta comunque il contributo indiretto del paesaggio cervese all’opera deleddiana: il vento garbino, il mare, la spiaggia, le paranze da pesca, ed anche i luoghi del paese, la piazza, la chiesa, il palazzo comunale. Tutti questi e molti altri elementi sono introdotti come sfondo della vicenda umana. Questo è il racconto del percorso che noi faremo in Cervia e che quei cento e più turisti hanno fatto seguendo le scene, alcune scene, della vita della scrittrice nel “paese del vento”. Dobbiamo aiutarci con l’immaginazione e, se possibile, scegliendo un periodo dell’anno in cui Cervia sia poco affollata, o un’ora del giorno più silente delle ore di punta. Sebbene il contesto urbanistico sia evidentemente mutato, si potrà fare il tentativo di rivedere Grazia Deledda nel giardino della sua villa La Caravella, in viale Cristoforo Colombo. Oggi essa è la dependance dell’Hotel Odeon. Qui la scrittrice soggiornava nei mesi estivi trascorsi a Cervia, qui regnava il silenzio, interrotto dal rumore del vento, dai fruscii della vegetazione pinetale, e davanti alla villa, oltre la chiara fascia dell’arenile, si stendeva la marina, ora azzurra e pacata, ora tempestosa e spumeggiante. Dentro le fresche stanze della villetta e fuori nel giardino sabbioso, Grazia Deledda attendeva alla scrittura o riposava e riceveva amici e colleghi letterati. Di certo vennero in visita Marino Moretti e Giuseppe Ungaretti. In paese Deledda aveva ben presto consolidato amicizie e conoscenze, come la cara Lina sacchetti, maestra presso l’istituto Pascoli, che la introdusse ad altre frequentazioni cervesi. L’Amministrazione comunale ha segnalato la villa di viale C. Colombo all’attenzione dei cittadini e dei turisti con una epigrafe dettata dal poeta Aldo Spallicci.
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> Epigrafe: “Grazia Deledda rivide qui i profili scarni dei suoi isolani incisi come acqueforti e campiti sui cieli della crudezza del destino e tra venti sciroccali di terra e raffiche salmastre di levante tra un mare fragrante di reti e una terra stranamente fertile di messe e di sale e di grano e una gente impetuosa e cordiale placò la sua nostalgia”. [Cervia nel X anniversario della morte] 2
Ci si allontana dalla villa verso il lungomare “Deledda”; la passeggiata amata dagli abitanti di Cervia e dai turisti fu di certo familiare anche a Grazia che era solita camminare sull’arenile immersa nel paesaggio marino. Dopo un breve tratto percorso in direzione del Porto Canale, si incontra una rotonda fortemente sottolineata da un monumento bronzeo dedicato a Deledda e al suo legame con i cervesi. Qui si fa una sosta. Lo scultore
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Angelo Biancini ha rappresentato il legame tra la scrittrice e Cervia con le due figure di donne simbolo, ciascuna, della propria terra: la donna di Sardegna, isola natale della scrittrice e la donna della Romagna terra che “venerò la maturità e l’opera della grande artista nella sua candida vecchiezza”, come recitava la motivazione all’inaugurazione del monumento sul lungomare (9 Settembre 1956). L’opera di Deledda, che fu decisamente ispirata, in numerose e ben identificate pagine, dalla “ventosa Cervia”, fu un punto di sintesi “letteraria”, ma si può supporre anche intima, tra le due culture, quella cervese e quella sarda. Proseguiamo piacevolmente sul lungomare fino al Grand Hotel che caratterizza da molti decenni la cartolina di Cervia e, ancora, superandolo fino al viale Roma che punta deciso verso il cuore storico di Cervia, il Quadrilatero dei Salinari. Qui la città conserva un altro suggestivo ricordo di Grazia Deledda nell’angolo di Trucolo, anch’esso sottolineato da un’iscrizione murale posta sulla sua casa natale, in via XX Settembre n.25.
> Iscrizione murale: murata nel 1993 a cura degli “Amici dell’Arte”, nel 30° della morte, così recita: “Qui a lungo dimorò lo stagnino Ricci Pitino Augusto Italiano (1890-1963) chiamato Trucolo dai cervesi e “l’Omino dalla goccia di stagno” e “il Gobbo della fortuna” da Grazia Deledda”.
Lo stagnino Augusto Ricci, alias Trucolo, personaggio molto popolare in paese all’epoca dei soggiorni deleddiani, deve fama imperitura alla scrittrice che lo tratteggiò con magistrale sintesi: “[…] il gobbino pareva uno gnomo del mare, sbucato fuori dalle caverne della scogliera, con la luna piena in mano”, e ancora:” […] da lontano è tutto nero, con la sola macchia bianca del viso infantile dove gli occhi ricordano le finestrelle dei campanili al tramonto; un nero che però, a misura che egli si avvicina, si tinge di grigio, di verde, di marrone: è il colore indefinibile dei suoi vestiti; ed egli pare davvero un ragazzino che per ridere si è camuffato da gobbo”(da Novelle, “La Fortuna” e “Il Piccione”).
Letterati e Cervia
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Prima di lasciare Cervia, dopo l’incontro con Grazia Deledda e Giovanni Guareschi (vedi pag 72-73), raccogliamo l’eco che dalla città balneare ci giunge per porre l’accento su altri creativi della parola che da Cervia, loro città natale, si sono spostati o che a Cervia sono giunti per diversi motivi. Scorrono quindi i nomi di Rino Alessi (1885-1970) nato a Cervia, presto giornalista per giornali nazionali e rientrato nella città natale dopo il 2° conflitto mondiale, scrittore di romanzi; Lina Sacchetti (1894-1988), nata a Cervia fu educatrice e scrittrice di molti testi dedicati all’infanzia che le ottennero riconoscimenti ufficiali; nel cenacolo culturale di Cervia era anche una donna medico, Isotta Gervasi (18891967), molto amata dai cervesi per la sua dedizione alla professione; Giuseppe Ungaretti (1888-1970) si legò a Cervia per la sua presidenza al Premio Cervia. La città gli conferì la cittadinanza onoraria nel 1958. Aldo Spallicci (1886-1973), medico e poeta, studioso delle tradizioni e della cultura romagnola, dedicò a Cervia versi in cui risaltano il suo legame con la città vista nei paesaggi, negli ambienti, nel popolo. Umberto Foschi (1916-2000) si è dedicato con passione allo studio della storia di Cervia e della Romagna tutta, spaziando dalla letteratura all’arte, agli avvenimenti politici, sociali e religiosi e alla storia dei clan familiari della Romagna. Qui ricordiamo anche Walter Chiari (1924-1991) attore e showman che amava frequentare Milano Marittima per la sua frizzante mondanità, ma era affezionato a Cervia alla quale ha offerto spettacoli rimasti nella memoria di tutti. A lui è dedicato lo spettacolo che anima le serate estive cervesi “Il Sarchiapone”. Una menzione particolare è dedicata alla “Società Amici dell’Arte” e a “Casa delle Aie” che costituiscono il cuore della vita culturale cervese dal 14 Marzo 1955, data della costituzione della Società stessa.
La società amici dell’arte Fu costituita il 14 Marzo 1955 da una trentina di soci che già all’inizio del 1959 erano diventati 161. L’anno 2005 si conclude con un migliaio di soci circa. Il parere concorde dei soci storici vede Aldo Ascione quale “padre fondatore” della società, che giunse ad animare la vita culturale cervese collegando persone di diverse estrazioni politiche e religiose. Scopo dell’associazione è quello di svolgere attività educatrice e culturale organizzando manifestazioni nei vari campi artistici: musi89 ca, pittura, scultura, architettura, letteratura, drammatica. Oltre a ciò essa si propone di difendere l’integrità del centro storico, del paesaggio, dei monumenti, delle zone di valore ambientale e si impegna a incrementare le tradizioni folcloristiche romagnole. Nel 1966 la Società Amici dell’Arte ottenne dal Consiglio Comunale di Cervia l’uso della Casa delle Aie dove si volle allestire un piccolo museo etnografico romagnolo e dove si intendeva creare un luogo in cui poter gustare i cibi della antica cucina romagnola.
Pensieri e scritti in Appennino
Pensieri e scritti in Appennino
Alfredo Oriani e il Cardello
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Legenda 1. Il Cardello 2. Centro Studi Campaniani
Sono talmente tante le occasioni che ci inducono a percorrere la Statale 306, detta Casolana (ingresso dalla statale n.9, via Emilia), tante e stagionali. E le tappe possono cambiare; prima Riolo “Dei Bagni” più conosciuta come Riolo Terme per un soggiorno termale o per la sagra dello scalogno di Romagna e ancora per la festa di Halloween; poi Casola Valsenio per la sagra dedicata ai frutti dimenticati e per i mercatini estivi impregnati degli aromi del Giardino delle Erbe. Dopo Casola ci si può spingere fino al confine con la Toscana e superarlo: Palazzuolo sul Senio e Marradi sono altrettanto famose per i loro castagneti e per il mercato degli ottimi marroni. Durante uno di questi viaggi, così ben sottolineati da motivazioni di buon “gusto” e di antiche tradizioni, vale per tutti il suggerimento di accondiscendere anche alla sollecitazione culturale, anzi letteraria, che ci raggiunge da Casola Valsenio e anche, più su, verso la Toscana, da Marradi. Se c’è una dimora che conservi, dentro di sé e dopo tanti anni, lo spirito ruvido dell’uomo che la abitò, questa è il Cardello, ovvero l’edificio dove lo scrittore Alfredo Oriani visse fin dalla prima giovinezza e dove egli scrisse le sue opere. Il complesso storico-monumentale “Il Cardello” si raggiunge percorrendo la “Casolana”; poco dopo aver superato l’indicazione turistica dell’Abbazia di Valsenio, del X secolo, si può decelerare perché l’ingresso alla casa di Oriani è molto vicino.
> Abbazia di Valsenio: o Chiesa di S. Giovanni Battista, che era parte dell’abbazia benedettina che nel X secolo aveva dato impulso alla pratica agricola e aveva consolidato la sua influenza nella media valle del Senio. L’edificio si presenta, in posizione sopraelevata rispetto al piano stradale, immerso in un parco lussureggiante.
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L’accesso al complesso è facilitato dall’area predisposta per il parcheggio, nell’area cortilizia della casa rurale “Mingotta”. Il percorso pedonale per i visitatori è fiancheggiato da lampioni in ferro battuto che un artigiano locale, il Benericetti, ha creato a riproduzione degli originali di settanta anni fa. Nel rustico che precede il Cardello è situata l’abitazione del custode (secondo disposizione risalente al 1937), la sala per le conferenze e altri servizi per i visitatori o per gli ospiti. L’aspetto attuale del complesso è dovuto al restauro del 1926, una ristrutturazione forse non del tutto in sintonia con il canone architettonico originale. Qui Oriani si trasferì, ormai quattordicenne, per decisione del padre Luigi che l’aveva acquistata nel 1855. Era il 1866, la madre di Alfredo era morta da poco tempo, e il padre lasciò Faenza e venne a Casola con il figlio Alfredo e la figlia Enrichetta. A Faenza la famiglia mantenne, però, una proprietà. > Alfredo Oriani: nacque a Faenza nel 1852, morì a Casola Valsenio nel 1909. A Faenza in via XX Settembre, al n.10, è stata posta una targa che ricorda il luogo della sua nascita. Nelle sue opere c’è spesso il riferimento esplicito a piazze, strade e luoghi di Faenza. Egli ricorda anche le 5 porte delle quali resta attualmente la Porta delle Chiavi. Questo trasferimento che potrebbe essere considerato una circostanza del tutto usuale nella storia di una famiglia dovette, invece, segnare in modo indelebile la vicenda terrena di Alfredo Oriani. Un rapporto di dipendenza, che acquistò nel tempo i toni dell’insofferenza, legò Oriani alla casa dalla quale si poté allontanare in gioventù per gli studi universitari a Roma. In seguito la decisione di vivere al Cardello fu forse legata alla necessità di non abbandonare la piccola proprietà sulla quale erano impiantati alcuni vigneti e frutteti. Ancora oggi, nella cantina, sono conservate numerose bottiglie di
vino sangiovese. Tuttavia le attività agricole non ebbero per Oriani un’attrattiva tale da indurlo ad accrescere la proprietà e la sua rendita. Egli fu sempre totalmente preso dalla volontà di scrivere, tanto che, per far fronte a spese di pubblicazione di un suo libro, giunse ad abbattere il bosco di pini compreso nella proprietà. E per poter disporre di liquidità, utile ancora a simili esigenze letterarie, non prese iniziative per migliorare le condizioni strutturali dell’immobile. Che era, all’epoca, in condizioni assai precarie, come rivelano le immagini, a noi giunte, di fine ottocento. Anche il parco, che oggi aggiunge valore non solo coreografico alla residenza, non era presente finché fu in vita il proprietario. Alla sua morte, nel 1909, e fino agli anni precedenti il restauro dell’edificio, avvenuto nel 1926, la proprietà era soprattutto impegnata da coltivazioni agricole. Probabilmente fu opera voluta del figlio Ugo e dalla sua consorte, Luigia Pifferi Oriani, il rimboschimento della collina e dell’area antistante la casa. Ma altri interventi si possono supporre avvenuti per coronare la celebrazione che in epoca fascista si fece di Oriani, visto quale precursore degli ideali fascisti. La zona del parco, a monte rispetto all’edificio, fu ristrutturata con la costruzione del mausoleo e abbellita 95
96 con l’impianto di sempreverdi (cipresso, leccio, alloro, pino) per garantire una continuità stagionale di arredo vegetale. La presenza vegetale che pare fungere da trait d’union tra le diverse epoche è un cipresso pluricentenario che oggi supera i quindici metri di altezza. In questa residenza poco confortevole, seppure di non piccole dimensioni, situata in una proprietà di non eccelso valore agricolo, visse Alfredo Oriani, caparbiamente dedito alla produzione di opere di narrativa, di genere storico– politico, e di testi per il teatro, alcuni drammi e una commedia. Una produzione vasta e non sempre fortunata quanto al gradimento del pubblico. Egli se ne dolse sempre, ma forse il dolersene anche sdegnato non servì a suscitare in lui una riflessione pacificante. Potrebbe essergli stato fatale, nel lungo percorso di scrittore, l’aver voluto essere, come lo definì Walter Maturi, - execubitor dormitantium -, ovvero colui che scuote chi sonnecchia. Un equivoco che difficilmente, quando insorga nell’animo dello scrittore, potrà facilitare il suo rapporto con il lettore che non ama imbattersi in messaggi inseriti nella narrazione o nella drammatizzazione. Ma si potrebbe supporre anche una questione di stile e, quindi, sostanzialmente artistica, di capacità di creare feeling con il pubblico. L’esperienza di Oriani dovette
essere ancora più dolorosa in quanto egli non accettò di ammettere o non poté riconoscere il proprio limite artistico, e sempre ritenne inadeguato il pubblico, o il lettore, o la critica o incapaci gli attori che portavano in scena i suoi drammi. Se seguiamo la scrittura critica di Renato Serra dobbiamo vedere, però, il travaglio di Oriani non come disinteressato: “il travaglio di Oriani è violento, febbrile, ma non disinteressato: è dominato dal pensiero e dall’aspettazione del pubblico per l’effetto”. E forse per esorcizzare il timore dell’insuccesso Oriani ironizza su se stesso, scrittore; siamo alla prefazione di “Memorie”: “Io, meno orgoglioso o più scettico, non stimo il mio (romanzo) e lo stampo ugualmente. Molti difetti …….potrei correggere, ma non voglio; davvero essendone inutile la pena per un’opera destinata a morire appena nata”. Secondo Serra questa ironia infelice rivela il vizio dello scrittore che, prima, non ha resistito alla tentazione di usare tutti gli argomenti più di effetto e ora teme, nonostante tutto, di non avere il consenso del pubblico di lettori. Più indulgente di Serra e dello stesso Oriani, Benedetto Croce, pur riconoscendo i limiti evidenti di 97 “Memorie” lo riconduce alla più giusta dimensione di
una prima uscita. Il primo Oriani scontentò, secondo Croce, se stesso e il suo pubblico. Ma il vero Oriani sarà ben diverso da quello dei primi romanzi. Croce addita alla nostra attenzione le novelle contenute nel volume “La bicicletta”, e gli ultimi romanzi “Gelosia”, “Vortice” e “Olocausto”. Il saggio di Benedetto Croce dove egli espose queste tesi su Oriani era del 1908, l’anno precedente la morte dello scrittore, ma nel 1935 un secondo scritto di Croce su Oriani faceva giustizia anche della leggenda di precursore che il fascismo andava intessendo su Oriani: “gran solitario”, “grande sconosciuto”, “gigante tra i pigmei”.
98 Si potrebbe percorrere un breve itinerario in Faenza seguendo le indicazioni di Oriani: Porta Ravegnana, Piazza San Francesco, Chiesa di San Domenico, il teatro Masini, il Duomo con la sua “scalinata di granito”, la chiesa di S. Bartolomeo, la Porta delle Chiavi, e poi ancora il caffè Orfeo, e la trattoria Marianaza. Visitando Faenza, inoltre, consigliamo di andare a vedere il Museo Internazionale delle Ceramiche e la Pinacoteca Comunale.
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Dentro il Cardello 1
Il percorso prevede la visita del Cardello che consente di entrare negli ambienti dove lo scrittore visse e operò, sempre più ossessivamente dedito allo scrivere nonostante gli insuccessi delle sue opere e le conseguenti delusioni. Ogni stanza della dimora rievoca episodi della vita di Oriani e, in particolar modo, il visitatore sarà guidato ad entrare nel clima della quotidianità dello scrittore che, per non disperdere in migliorie e ristrutturazioni della casa una liquidità di denaro che gli era utile per le sue pubblicazioni, accettava di vivere in condizioni precarie. Il Cardello di oggi è, infatti, assai diverso dall’edificio dove Oriani visse; il restauro del 1926 ha valorizzato l’antica struttura, seppure con qualche licenza architettonica, basti pensare alle finestre che, all’epoca di Oriani, erano pertugi dai quali filtrava ben poca luce. Inoltre, dopo il secondo conflitto mondiale, furono realizzati interventi anche con materiali non proprio coerenti con quelli preesistenti. L’interno è un esempio di abitazione signorile romagnola della fine Ottocento, inizio Novecento, ed è considerata museo proprio in quanto documento del gusto di un epoca. È evidente la corrispondenza tra la struttura architettonica
100 e l’arredamento, entrambi sono definiti da uno stile severo che si propone negli armadi toscani e romagnoli, nelle madie, nei letti caratterizzati da colonnine tortili, nei cassettoni con ribalta, e ancora nei tavoli, negli angolari, nelle sedie e nei lampadari in ferro battuto e vetro. L’austerità si percepisce ed è enfatizzata dalla predominanza del colore scuro degli arredi. Al piano terra è notevole l’ambiente-cucina con il suggestivo focolare romagnolo e le suppellettili tipiche in legno come il tavolo massiccio e le madie, in rame le attrezzature domestiche, in ferro battuto il lampadario. Dalla cucina si passa alla sala da pranzo che era collegata alla prima anche tramite un funzionale “passa vivande” tipico delle case signorili. Qui il focolare è più piccolo perché utile solo per il riscaldamento dell’ambiente, come in altre stanze. Quando si passa nella loggia si ha la lieta sorpresa della luce che illumina l’ambiente attraverso l’ampia vetrata. Altri ambienti di questo piano sono una stanza arredata con mobili, tavolo, cassapanche e armadi, in legno e una camera da letto rivolta verso la strada con letto massiccio, inginocchiatoio, armadio e cassettone. Qui riposava la moglie di Ugo Oriani nell’ultimo periodo di vita. Al primo piano vi sono due locali che sono stati mantenuti come in originale dalla ristrutturazione del 1926: la camera
da letto di Oriani, dove egli morì e il suo piccolo studio che conserva i volumi della sua biblioteca personale (ricca la sezione letteraria, con i maggiori classici italiani e stranieri). Altre due stanze sono in successiva comunicazione, delle quali una era la stanza degli ospiti o “delle aquile”, per le sculture poste in cima alle colonne del letto; presente su questo piano anche la biblioteca del figlio Ugo, allestita dopo il 1910. Si passa poi nella loggia, luminosa, e molto ricca di arredi, di ritratti, fotografie dello scrittore anche con la bicicletta molto amata, sue caricature con riferimenti alle sue opere. La visita del primo piano conduce alla camera della moglie di Ugo, Luisa, con letto, cassettoni, mobiletto portaoggetti, tavolino basso con lo stemma di famiglia, il focolare, una specchiera. La camera è collegata ad un boudoir con mobile da toilette. Ancora sul piano la camera da letto di Ugo Oriani, molto ampia, con vista sulla valle riccamente arredata. All’ingresso si notano le formelle di ceramica che illustrano il Cantico delle Creature. Si sale al secondo piano nella torre dove erano i locali del personale di servizio; la vista è molto suggestiva sull’ambiente circostante, (la valle e Monte Mauro, la cima più alta della Vena del Gesso romagnola). Si passa nella zona del sottotetto dove è allestito un piccolo museo della tenuta del Cardello e della famiglia Oriani: 101
due aratri, una caveja, un giogo, le stadere, attrezzi per la vinificazione, e altri oggetti. Il pezzo di maggior interesse è la bicicletta da corsa, una Prinetti-Stucchi del 1894 che fece di Oriani un accanito cicloturista oltrechè scrittore sulle imprese in bicicletta. Alla “due ruote” Oriani dedicò un’ opera “La bicicletta”che mentre descrive le prime gare ciclistiche in pista e in circuito, diventa opera poetica. In fondo all’area del sottotetto sono presenti ricordi del ventennio fascista, periodo durante il quale Oriani fu esaltato quasi come precursore del fascismo. Dopo la visita interna si procede con un percorso visita nel grande parco che offre angoli di interesse botanico-naturalistico. Il parco che circonda il Cardello fu verosimilmente impiantato in diversi momenti tra il 1923 e la fine degli anni ’30. Infatti le foto d’epoca mostrano un’area povera di vegetazione visto che era ancora utilizzata a fini agricoli. Il parco attuale copre una superficie di circa due ettari e, quando sale verso le pendici del monte dal quale scende il Rio Plata diventa bosco. Si possono programmare dei percorsi differenziati con guida per scoprire le numerose specie botaniche (conifere, pini, cipressi, cedri, quercia, lauro…), le orchidee, le piante coltivate e “antichi frutti”. 102
La visita del Cardello si inserisce bene in un percorso più ampio di carattere anche enogastronomico che si caratterizza secondo i tempi stagionali cadenzati da sagre ricche di tradizione e sempre molto frequentate: Festa dei frutti dimenticati a Casola Valsenio e Sagra del Marrone di Casola Valsenio (ottobre), mercatini estivi dedicati alle Erbe Officinali del Giardino delle Erbe (luglio-agosto).
> il Giardino delle Erbe: dedicato ad Augusto Rinaldi Ceroni, il botanico e pioniere dell'erboristeria che lo ha fatto nascere nel 1975, il Giardino presenta 450 varietà di piante officinali, disposte su 11 terrazze. Alcuni locali ospitano serre, olfattoteca, laboratori e punto vendita.
Dino Campana e il “Parco Culturale” La sollecitazione letteraria ci stimola, dopo Casola Valsenio, a superare il confine con la Toscana e ad entrare nella provincia di Firenze, fino a Palazzuolo sul Senio e a Marradi, (nel Mugello) paese natale di un poeta che ha lasciato un segno decisamente originale con la sua opera, oggetto di strali critici, ma anche di grande ammirazione. La strada per giungere a Marradi da Casola segue l’indicazione per Palazzuolo sul Senio da dove si prende la comunale per Marradi. 103 In alternativa si può passare dalla valle del Senio alla valle del Lamone (passando per Zattaglia sulla provinciale 63, strada panoramica fino a Brisighella), con il vantaggio di godere di uno stupendo panorama sulla Vena del Gesso romagnola. (Da Brisighella ci si immette sulla statale 302 fino a Marradi). Un’altra ottima via di comunicazione per raggiungere Marradi è la linea ferroviaria Faenza-Firenze molto amata dai turisti perché consente di fare tappa nei piccoli borghi dell’ Appennino e presa d’assalto nel periodo autunnale, allorché vengono organizzate corse speciali del “Treno delle castagne”. > Marradi: fu dominio dei conti Guidi e, in seguito, della Repubblica Fiorentina. Nel centro storico, molto raccolto e suggestivo, su Piazza delle Scalelle si affacciano il palazzo Comunale, il palazzo Fabbroni del 600, il palazzo del Cannone e la chiesa del Suffragio. In stile tardo-settecentesco il Teatro degli Animosi. La Badia del Borgo (Santa Reparata in Salto) è un complesso monastico dell’XI secolo che conserva dipinti della fine del 400 del Maestro di Marradi. A Marradi nacque Dino Campana, al quale si è in procinto di dedicare un Parco Culturale. Durante la sua breve e tormentata esistenza (1885-1932) visse in una condi-
zione, potremmo dire, di nomade per il continuo desiderio di spostarsi, non solo nelle località vicine a Marradi, lungo sentieri appenninici spesso impervi, ma anche in numerose città italiane (Torino, Genova, Firenze, la Maddalena, in Lombardia, a Faenza, a La Verna) e all’estero, dalla Russia alla Svizzera fino all’Argentina. > Faenza: a Faenza Dino Campana frequentò il Liceo Classico. Faenza fu per lui un punto di riferimento, un luogo in cui tornare. Della città restano tracce precise nella sua opera: la città “rossa e turrita” de “La notte”, canti Orfici; la “grossa torre barocca: … appare sulla piazza al capo di una lunga contrada”, in “Faenza”-Canti Orfici; la piazza del Popolo,” la piazza ha un carattere di scenario nelle logge ad archi bianchi leggeri e potenti”, da “Faenza”- Canti Orfici; il campanile di S. Maria Vecchia,”… io levai gli occhi alla torre barbara che dominava il viale lunghissimo dei platani”, da “La notte”- Canti Orfici.
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Questo bisogno di non chiudere gli orizzonti dell’esistenza nei luoghi nativi o, comunque, in un sol luogo è stato forse frainteso e giustificato come effetto collaterale della sua instabilità psichica la quale, in definitiva, sembra essere stata il fattore di maggiore attenzione della critica letteraria del Novecento che ha circoscritto l’opera del poeta di Marradi in una sorta di marginalità, come sospesa in un giudizio che sembra non superare la compassione o, peggio, il fastidio per l’uomo e non raggiunge la stima per il poeta. Noi non entriamo nel merito della pura questione letteraria, che non ci compete, ma registriamo l’appassionata attività dei cittadini di Marradi che hanno organizzato un Centro Studi dedicato a Campana, un Premio Letterario intitolato a lui e che sono in procinto di costituire un Parco Culturale dedicato a Dino Campana con la collaborazione di studiosi appassionati.
105 > Parco culturale Dino Campana: Dopo l’esperienza positiva della Associazione delle città campaniane, si sta progettando un “Parco culturale” campaniano inteso come riproposta di paesaggi amati e cantati da Dino Campana, l’Appennino Tosco-romagnolo, le città di Marradi, Faenza e Firenze. I sentieri appenninici percorsi tante volte a piedi dal poeta dovrebbero essere considerati, a partire dalla sua poesia, un luogo letterario, che riveste anche altre connotazioni ed echi danteschi e della storia recente (p.e. Resistenza nella Seconda Guerra Mondiale). Si cerca di costruire un consorzio tra città romagnole e città toscane citate da Campana, le province e le due regioni Toscana ed Emilia Romagna che insistono su queste aree per proporle come zone di turismo culturale. In Marradi possiamo vedere, ma solo dall’esterno, la casa dove Campana abitò che è di proprietà di una anziana nipote, e viene utilizzata dagli eredi come residenza estiva. La casa, in via Orlando Pescetti, oltre il fiume Lamone, è segnalata da una lapide. Non esiste più, perché distrutta durante la guerra, la casa natale, nel quartiere “l’Inferno”. È invece possibile e consigliabile recarsi presso il Centro Studi Campaniani (info: 2 055/8045943 o Pro Loco: 055/8045170. Apertura martedì ore 17-19 o in altri giorni su appuntamento) in via Castel Naudarì, n.5. Il patrimonio a disposizione del centro è costituito da autografi campaniani, edizioni
dell’opera del poeta dal 1914 in poi (anche in lingue straniere), monografie, scritti critici, tesi di laurea, materiale iconografico, audiovisivo. Sono presenti anche circa 60 opere donate da artisti italiani e stranieri, da loro dedicate a Campana (progetto “Artisti per Dino Campana”) che andranno a costituire la sezione di Museo di Arte Contemporanea, di prossimo allestimento. È stato acquistato dal centro ed esposto anche l’unico ritratto, dipinto a olio, di Campana realizzato dal pittore Giovanni Costetti nel 1913. Poiché la produzione poetica di Campana è strettamente legata al suo rapporto con il paesaggio appenninico nel quale egli lungamente si è spostato e poiché lo stesso poeta ha descritto nei diari di viaggio o in altri scritti i percorsi da lui seguiti “a piedi”, questo percorso ne ripropone almeno due, ovvero quelli più vicini alla Marradi natale. Durante questo irrequieto peregrinare per i monti e le valli del paese natio egli maturò l’idea del suo capolavoro: “I Canti Orfici”. I due percorsi sono stati descritti in modo dettagliato in “A piedi con Dino Campana” a cura delle Comunità Montane del Mugello. Essi sono: alla rocca di Castiglione e sui monti di Campigno. 106
Alla Rocca di Castiglione Così il poeta ne scrisse: “Il mattino arride sulle cime dei monti In alto sulle cuspidi di un triangolo desolato Si illumina il castello, più alto e più lontano”. La Rocca di Castiglione sorge su una altura non distante da Marradi e può essere raggiunta superando un dislivello di circa 200 mt, in due ore di cammino, fattibile anche da persone poco allenate e da famiglie con bambini. Passaggi intermedi di riferimento: Chiesa di Cardeto, podere Poggioli, Ponte di Camurano, Biforco e ritorno su via Cardato.
Sui monti di Campigno In una lettera all’amata Sibilla Aleramo (1876-1960) scritta da Campigno (8 agosto 1917) si legge “Cara Rina, mi trovo finalmente a Marradi fra le vergini foreste, paese che tu pure hai veduto. Compiango il tempo che ho trascorso in paesi meno vergini… Dalle rupi di Campigno, nelle cui rupi pietrose abita permanentemente il falco io spero di superarle e volare sopra di esse con tutta la fierezza e la forza dell’aquila…” 107 I monti di Campigno sono i meglio conosciuti da Dino Campana, perché si innalzano nelle immediate vicinanze di Marradi. Il dislivello di circa 500 mt è abbastanza impegnativo, di circa 5 ore di cammino, e si consiglia a persone allenate. È possibile anche fare il percorso a cavallo o, per gli esperti, in mountain bike. Passaggi intermedi di riferimento: da Biforco parte la strada per Campigno. Da Campigno si raggiunge la località Porcellecchi, successivamente si segue il sentiero CAI 541 e 2 0 SOFT fino a Pian degli Arali, si attraversa Forro Chiesine, si giunge a Fango, Poggio di Fango, Farfareta. Da Farfareta si torna a Campigno. Il nostro arrivo a Marradi può essere programmato sia nelle stagioni più adatte alle escursioni a piedi che sono l’estate e la primavera sia in autunno quando il paese è letteralmente invaso dopo la raccolta degli ottimi Marroni IGP del Mugello che danno vita a splendidi mercati e a sagre. Molto suggestivo è il treno che conduce da Faenza a Marradi e fa tappa nelle località interessate dalla raccolta.
La rete museale della Provincia di Ravenna
Il territorio provinciale offre ai suoi visitatori oltre 50 musei, caratterizzati da un lato da un patrimonio legato al territorio ed espressione della cultura, della storia e dell’ambiente locale, e dall’altro dall’eterogeneità delle collezioni e delle sedi che le raccolgono. Sono grandi e soprattutto piccoli musei d’arte antica e contemporanea, musei naturalistici e scientifici, musei storici e specializzati, musei etnografici e case-museo, musei archeologici e d’arte sacra, ospitati in antiche rocche, conventi e palazzi di pregio, case natali di personaggi illustri, edifici industriali e rurali, par108 chi e giardini. Il Sistema Museale Provinciale è nato nel 1997 proprio con l’intento di promuovere e valorizzare questo ricchissimo e vario patrimonio culturale, grazie a un’adeguata politica di programmazione e di coordinamento finalizzata a migliorare e ampliare i servizi offerti, a incrementare la domanda del pubblico, a razionalizzare i costi di gestione e amministrativi dei musei del territorio. Oggi sono 37 i musei messi in rete dalla Provincia di Ravenna, diffusi su tutta l’area provinciale. Per ogni informazione si può consultare il sito della rete museale: www.sistemamusei.ra.it.
> Ravenna Centro Dantesco dei Frati Minori Conventuali via Dante, 4 - 48100 Ravenna tel. 0544 33667 fax 0544 218476 centrodantesco@provincia.ra.it www.racine.ra.it/centrodantesco Museo Dantesco via Dante 4 - 48100 Ravenna tel. 0544 30252 Museo d'Arte della Città via di Roma 13 48100 - Ravenna tel. 0544 482356 info@museocitta.ra.it www.museocitta.ra.it > Alfonsine Casa Museo Vincenzo Monti via Passetto, 1 48011 Alfonsine (Ra) tel. e fax 0544 869808 www.racine.it/casamonti raval@sbn.provincia.ra.it Museo della Battaglia del Senio piazza Resistenza, 2 48011 Alfonsine (Ra) tel. 0544 83585 fax 0544 84375 raval@sbn provincia.ra.it > Bagnacavallo Centro Culturale Le Cappuccine via Vittorio Veneto 1/a 48012 Bagnacavallo (Ra) tel. 0545 280913-12 fax 0545 63881 centroculturale@comune.bagnacavallo.ra.it Ecomuseo della Civiltà Palustre largo Tre Giunchi, 1 48012 Villanova di Bagnacavallo (Ra) tel. e fax 0545 47122 www.racine.ra.it/erbepalustri > Bagnara di Romagna Museo Mascagni p.zza IV Novembre, 2 48010 Bagnara di Romagna (Ra) tel. e fax 0545 76054 francesco.barullo@libero.it
Museo del Castello piazza IV Novembre, 1 48010 Bagnara di Romagna (Ra) tel. 0545 76907 turismobagnara@provincia.ra.it > Lugo Museo Francesco Baracca via Baracca, 65 - 48022 Lugo (Ra) tel. 0545 24821 38556 fax 0545 38534 museobaracca@racine.ra.it www.museobaracca.it
> Russi Museo dell’Arredo Contemporaneo S.S. San Vitale, 253 48026 Russi (Ra) tel. 0544 419299 338 1598105 museodes@tin.it www.ngdm.org Museo Civico Rocca del Castello 48026 Russi (Ra) tel. 0544 587641 cultura@comune.russi.ra.it
> Faenza > Sant'Alberto Museo Internazionale delle Ceramiche viale Baccarini, 19 48018 Faenza (Ra) tel. 0546 697311 fax 0546 27141 - 697318 micfaenza@provincia.ra.it www.micfaenza.org Pinacoteca Comunale via S. Maria dell'Angelo, 9 48018 Faenza (Ra) tel. 0546 660799 680251 www.pinacotecafaenza.it > Fusignano Museo Civico San Rocco via Monti 5 48010 Fusignano (Ra) tel. 0545 51621 9556611 cultura@comune.fusignano.ra.it > Massalombarda Museo della Frutticoltura A. Bonvicini via Amendola, 48 48024 Massa Lombarda (Ra) tel. 0545 985831 fax 0545 985837 www.comune.massalombarda.ra.it cultura@comune.massalombarda.ra.it Museo Civico Carlo Venturini viale Zaganelli 2 48024 Massa Lombarda (Ra) tel. 0545 985831 cultura@comune.massalombarda.ra.it
NatuRa. Museo Ravennate di Scienze Naturali A. Brandolini via Rivaletto, 25 48020 Sant’Alberto (Ra) tel. 0544 529260 infonatura@comune.ra.it www.natura.ra.it > Cervia MUSA. Museo del Sale Magazzino del sale - Torre via Nazario Sauro 48015 Cervia (Ra) tel. e fax 0544 977592 www.comunecervia.it Museo dei Burattini e delle Figure via Beneficio Secondo Tronco 48015 Villa Inferno - Cervia (Ra) tel. e fax 0544 965876 museo@arrivanodalmare.it www.arrivanodalmare.it/museo/museo.htm > Casola Valsenio Il Cardello via il Cardello, 9 48018 Casola Valsenio (Ra) tel. 0546 73135 tel. e fax 0544 212437 biboriani@racine.ravenna.it Giardino delle Erbe A. Rinaldi Ceroni strada Prov.le per Prugno, km 1.3 48010 Casola Valsenio (Ra) tel. e fax 0546 73158 info@ilgiardinodelleerbe.it www.ilgiardinodelleerbe.it
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Luoghi da vedere
> Ravenna
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Lo straordinario complesso di basiliche, battisteri e mausolei del V e VI secolo che costituisce la più ricca e ben conservata testimonianza di arte paleocristiana e bizantina in Italia: la chiesa di San Vitale con i mosaici raffiguranti i cortei di Giustiniano e Teodora, il Mausoleo di Galla Placidia che conserva i mosaici parietali più antichi di Ravenna, la basilica di S. Apollinare Nuovo in origine chiesa palatina di Teodorico, la basilica di S. Apollinare in Classe grandiosa per l’architettura e i mosaici raffiguranti la Trasfigurazione, il Mausoleo di Teodorico con la cupola monolitica in pietra d’Istria, i Battisteri degli Ariani e degli Ortodossi. Il Museo Nazionale con notevoli collezioni romane, paleocristiane, bizantine e medioevali. Il Duomo e il Museo Arcivescovile dove è conservata la Cattedra d’avorio del Vescovo Massimiano. La zona dantesca con il sepolcro, il Museo di Dante e la chiesa di S. Francesco. Il Museo d’Arte della Città, presso la Loggetta Lombardesca sede della Pinacoteca Comunale e di mostre prestigiose. La basilica di S.Giovanni Evangelista e la chiesa di Sant’Agata entrambe del V secolo. La zona archeologica con i resti dell’antico porto di Classe. Il dominio veneziano è testimoniato dalle architetture di Piazza del Popolo e della Rocca Brancaleone, mentre la Biblioteca Classense risale al XVI secolo. > Dintorni di Ravenna, S. Alberto nel centro storico caratteristico e ben conservato spiccano la casa in cui abitò Olindo Guerrini ed il “Palazzone”, edificio del 1600 ristrutturato per divenire importante stazione d’ingresso al Parco del Delta del Po. Nelle vicine Valli Furlana e Lavadena stazionano gli aironi rosa.
> Alfonsine
Casa Monti, dove nacque nel 1754 il poeta Vincenzo Monti; il Museo della Battaglia del Senio con cimeli e memorie della seconda guerra mondiale
> Bagnacavallo
L’antico Centro Storico costruito su pianta medioevale, con singolare struttura sinuosa, di prevalente stile barocco; la Piazza Nuova, piazza ovale portificata del XVIII secolo, antica sede di macellerie, pescherie e altre botteghe; la Torre Civica del XIII secolo e gli antichi palazzi nobiliari; la Pieve di San Pietro in Sylvis (VII secolo), una delle pievi meglio conservate del ravennate. > Nei dintorni a Villanova di Bagnacavallo: il Centro Etnografico della Civiltà Palustre 111 con la ricca raccolta di manufatti realizzati in epoca preindustriale con le erbe di valle e il legno di pioppo e salice (lavorazione artigianale tuttora esistente).
> Bagnara di Romagna
La Rocca medioevale, attualmente sede del Municipio, e il Museo Mascagni, che raccoglie i cimeli del musicista e il carteggio di 5.000 lettere tra Mascagni e la bagnarese Anna Lolli.
> Casola Valsenio
L’Abbazia di Valsenio, fondata dai Benedettini intorno Valsenio al X secolo, è di notevole interesse storico e architettonico. Il Cardello, antica foresteria dell’Abbazia, poi trasformato in dimora signorile a fine Ottocento, fu a lungo abitato dallo scrittore Alfredo Oriani. Possiede un parco di rara bellezza.
> Cervia
La Torre S. Michele costruita nel 1691 per difendere il porto dalle incursioni piratesche, oggi sede della biblioteca comunale; il Magazzino del Sale Torre (1691) e il Magazzino del Sale Darsena (1712) dove veniva raccolto e preparato il sale; il Museo della Civiltà Salinara sulla storia e il lavoro dei salinari; il Centro Storico con il “Quadrilatero” delle case dei salinari, il Palazzo Comunale, la Cattedrale, la Chiesa del Suffragio dove è conservato un pregevole
[ luoghi da vedere ]
crocifisso ligneo del XIV secolo, la Chiesa di S. Antonio da Padova, il Teatro Comunale; la fontana “Il Tappeto Sospeso”; la Casa delle Aie costruita nel 1790 come casa del fattore e dei pignaroli della pineta di Cervia; le Terme e il Parco Naturale. > Dintorni di Cervia: la Salina Camillone, unica salina artigianale rimasta in funzione, e le saline a raccolta industriale; il Santuario della Madonna del Pino (1487) di stile tardoromanico con il bel portale in sasso d’Istria; la Pieve di S. Stefano di Pisignano, risalente al 977, che fu ospizio per i romei, i pellegrini che nel Medioevo si recavano a Roma. 112 > Conselice
la Rocca, edificio del XVII secolo che sorge nel Centro Storico, il Palazzo Comunale e la Chiesa di San Martino, entrambi di stile neo-classico.
> Faenza
Il Centro Storico raccolto intorno alle due piazze principali, Piazza del Popolo e Piazza della Libertà, che richiamano l’idea di un salotto a cielo aperto; nel centro storico: il Duomo del 1400, Palazzo Milzetti, il principale palazzo neoclassico della regione Emilia Romagna, il Teatro Masini nella corte del palazzo comunale detto “la Molinella”; il Museo Internazionale delle Ceramiche, uno dei più importanti al mondo, che presenta la ceramica faentina dall’epoca romana ai nostri giorni e numerose opere di ceramica moderna realizzate da famosi artisti del XX secolo; le botteghe dei tornianti e dei ceramisti disseminate un po’ dovunque nella città, luogo di lavoro e di vendita, nelle quali gli artigiani sono lieti di illustrare i passaggi salienti della loro arte. > Dintorni di Faenza, Oriolo dei Fichi: la Torre esagonale a “doppio puntone” costruita dai Manfredi nel 1476, oggi sede dell’Associazione Produttori della Torre di Oriolo.
> Fusignano
Villa Monti, nella frazione di Maiano Monti, fu costruita nel 1717 e venduta alla famiglia di Vincenzo Monti che vi abitò fino al 1889. La Chiesa del Pio Suffragio, sorse a metà del
1700 sul luogo ove si trovava la residenza della famiglia Corelli. L’Oratorio del Santissimo Crocifisso, aperto al culto alla fine del 1600, è il più antico edificio religioso di Fusignano, sopravvissuto alle vicende dell’ultimo conflitto sviluppa nella facciata un interessante coronamento ad edicola. Nella Chiesa di San Giovanni Battista un Battesimo di Gesù attribuito a Girolamo da Carpi. > Lugo
> Marradi
La Rocca di fine ‘500, oggi sede del Municipio; il Pavaglione, caratteristico quadriportico costruito nel XVIII secolo per il mercato del baco da seta, oggi sede del mercato del mercoledì e, in estate, di una famosa rassegna di spettacoli; il Teatro Rossini nel quale si svolgono tutto l’anno spettacoli di prosa, concerti e una stagione lirica di prestigio internazionale; il Museo di Francesco Baracca allestito in onore dell’aviatore lughese eroe della Prima Guerra Mondiale, la chiesa della Collegiata; il Parco del Loto, area di verde attrezzato nell’Oasi delle Buche Gallamini. Piazza delle Scalelle è il cuore su cui si affacciano il Palazzo Comunale, il seicentesco palazzo Fabroni, il Palazzo del Cannone e la Chiesa del Suffragio. Da segnalare palazzo Torriani, il Teatro degli Animosi di forme tardo settecentesche e la casa del poeta Dino Campana. Il territorio, ricco di boschi e castagneti secolari è attraversato da un fitto reticolo di sentieri che conducono, tra l’altro, all’abbazia di Santa Reparata, con opere della scuola del Ghirlandaio, l’Eremo di Gamogna, la Rocca di Castiglionchio.
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Bibliografia
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S. Alberto di Ravenna. P.Brigliadori-S.Spada, La Romagna allo specchio, itinerari piancastelliani, 19981999 (Comune di Forlì-Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì”. Forlì.1998. Giovanni Cenacchi, I Monti Orfici di Dino Campana, un saggio, dieci passeggiate; Edizioni Polistampa.2003. Anna Rosa Gentilini, Dino Campana alla fine del secolo”. Editrice Il Mulino 1999. E. Raimondi-R.Valtorta, Io vidi, il paesaggio nella poesia di Dino Campana. Longo Editore Ravenna. 2003 C.Pezzani-S.Grillo-I.Morini, A piedi con Dino Campana. Itinerari nella natura sulle tracce della storia del grande poeta marradese. Ed. Comunità Montana del Mugello. 2003. Dino Campana, Un po’ del mio sangue. Canti Orfici, poesie sparse, canto proletario italo-francese a cura di Sebastiano Vassalli. Ed. Rizzoli-Bur [settembre 2005]
Itinerari letterari
Progetto grafico
Pubblicazione
Agenzia Image
a cura dell’Assessorato
Art direction
al Turismo
Massimo Casamenti
e dell’Assessorato alla Cultura
Impaginazione
della Provincia
Rita Ravaioli
di Ravenna e della Camera
Coordinamento
di Commercio
Tiziano Fiorini
della Provincia di Ravenna
Stampa Tipografia Moderna
Coordinamento
Ravenna
editoriale Set Studio
luglio 2006
Si ringraziano Ivan Simonini Fr. Maurizio Bazzoni Dante Bolognesi Walter Della Monica Daniele Serafini Bianca Verri Manuela Ricci Luigi Mariani Giovanni Barberini Alfio Longo Giuseppe Masetti Giuseppe Bellosi Pier Giorgio Brigliadori Bruno Taroni Scarpi Walter Mirna Gentilini Anna Rosa Gentilini Giuseppe Matulli
Referenze fotografiche Provincia di Ravenna, Provincia di ForlìCesena, Biblioteca Classense, Fondazione Casa di Oriani, Centro Dantesco di Ravenna, Unione Prodotto Costa, Casa Moretti Cesenatico, Comune di Castrocaro Terme –Terre del Sole, Biblioteca Comunale di Cervia, Ascom Cervia, Comune di Ravenna, Comune di Cervia, Biblioteca Manfrediana di Faenza, Comune e Biblioteca di Lugo, Comune di Conselice, Comune di Bagnacavallo, Archivio Museo Pietro Mascagni –Chiesa Arcipretale di Bagnara di Romagna, Biblioteca Popolare di S.Alberto-Casa Guerrini, Centro Studi Campaniani di Marradi, Associazione Amici dell’ Arte ”Aldo Ascione” di Cervia, Comune di Marradi, Archivi: Giovannini, Senni, Equisetto, Bottaio, Liverani