Interviste per Gina Roma

Interviste per

di Paola Voncini

Progetto grafico Arturo di Grazia - mail: artdigra@libero.it

Patrocinio

Comune di Pordenone

Provincia di Pordenone

Organizzazione

Associazione culturale Pordenone

Volume edito in occasione di: "GINA ROMA opera grafica" Mostra: Pordenone convento di San Francesco 20 aprile - 19 maggio 2013 Presentazione del volume: “Interviste per Gina Roma” di Paola Voncini saletta incontri di San Francesco 29 aprile 2013 ore 18.30 Conferenza: “GINA ROMA Lʼimpegno coniugato al femminile” di Enzo di Grazia saletta incontri di San Francesco 6 maggio 2013 ore 18.30 Montaggio del filmato: Dario Bagatin I testi riprodotti sono stati estratti per trascrizione dalla registrazione delle interviste filmate. Non sono stati revisionati dagli intervistati.

Coordinamento: Enzo di Grazia Testo: Paola Voncini

Fotografie: Danilo Rommel Progetto grafico: Arturo di Grazia

di Paola Voncini

a: Pier Antonio Appoloni Franca Battain Claudio Cattaruzza Roberto Costella Giovanna Lisa Gian Pietro Martin Aldo Segatto Bepo Tonon

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INTERVISTE DI

In attesa del centenario della nascita di Gina Roma, l’Associazione Culturale “La roggia” di Pordenone ha voluto renderle omaggio autoritratti nel convento di San Francesco in Pordenone.

Grazie alla mostra è nata la curiosità e l’esigenza di conoscere meglio questa straordinaria artista, la sua gioia di vivere, la sua prorompente energia attraverso le parole di quanti l’hanno incontrata, frequentata, ne hanno condiviso l’amicizia.

Ricordi, aneddoti, racconti ricreano idealmente il ritratto di più intima sensibilità, oltre quindi la mera fruizione delle sue opere, che pur esprimono una sorprendente correlazione armonica tra arte e vita.

Gina Roma: donna, artista, moglie, madre, amante degli animali, viaggiatrice, questi e tanti altri aspetti della sua vita emergono dalle interviste realizzate nel marzo 2013 a familiari, amici, colleghi.

Sono brevi conversazioni che gettano uno sguardo sulla sua personalità e che mi auguro possano rimanere quale testimonianza Paola Voncini 3

1996 San Quirino (PN) Villa Cattaneo - Mostra personale

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INTERVISTA A Assessore alla Cultura del Comune di Pordenone

Come hai conosciuto Gina Roma e cosa ti ha colpito della sua personalità?

Gina Roma l’ho conosciuta nel 1996 in occasione di una sua mostra realizzata a Villa Cattaneo nel Comune di San Quirino (ndr in provincia di Pordenone) quand’ero Assessore alla Cultura.

Di lei mi hanno colpito fondamentalmente due aspetti. Quando ci siamo conosciuti per parlare della mostra - all’epoca lei aveva già un’età ragguardevole, ottantadue anni - ricordo che aveva una vitalità esplosiva e un’energia notevole, trasudava voglia di che esprimeva attraverso i quadri. I colori che usava, la decisione di segno denotano una grande vitalità, una personalità forte, che tuttavia non rinunciava all’eleganza di una femminilità garbata.

L’altro aspetto è che dopo pochi minuti di conversazione era come se ci fossimo sempre conosciuti; è nata subito una sintonia particolare, si è creato tra noi questo rapporto di buona conoscenza, per cui, anche dopo la conclusione della mostra, ci siamo incontrati ancora e, in quelle occasioni, abbiamo proseguito le chiacchierate soprattutto di viaggi, perché lei, come me, amava molto viaggiare.

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1979 Pordenone galleria “la roggia� Mostra personale

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INTERVISTA A Presidente dell’Associazione Culturale “la roggia”

Come mai oggi un tributo a Gina Roma?

Quando aprii la mia prima galleria d’arte a Pordenone nel 1971 non avevo contatti e qualcuno mi suggerì il nome di Gina Roma.

Andai a trovarla ad Oderzo, dove lei aveva fondato il Circolo Culturale Quattro Cantoni, ricordo che fu molto disponibile. A quel tempo io consideravo gli artisti come persone inarrivabili, dei miti, invece con lei ebbi un bellissimo contatto, mi suggerì i nomi del Trentino, tra i quali c’era Vico Calabrò e tanti altri. Cominciai a realizzare alcune mostre di questi artisti, sempre con il suo supporto “spirituale”.

Nel ‘79 nella galleria “La Roggia” che avevo in Corso Garibaldi realizzai un’esposizione di sue opere con immagini di bambini. In seguito, in occasione delle mostre dedicate a Giuseppe Nicoletti e a Bruno Barborini da me organizzate, ci siamo incontrate a Ca’ Lozzio, a Piavon di Oderzo, dove lei ricopriva il ruolo di direttrice artistica.

Lo scorso anno, preparando una mostra dedicata alle donne a Cordovado, decisi di rendere un omaggio particolare ad alcune

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in fondo, tra cui Gina Roma; allora mi scattò il desiderio di fare qualcosa per lei, come lei aveva fatto qualcosa per me, così è nato questo nuovo progetto.

Ho voluto far conoscere e far capire il valore di Gina Roma non un mondo meraviglioso. Per la mostra di Pordenone abbiamo scelto in cui vengono utilizzate varie tecniche incisorie - acquaforte, ad alcuni disegni ed inchiostri, con lo scopo di far conoscere anche questo aspetto meno noto dell’attività di Gina Roma. lei più importante era la pittura, con i suoi colori coinvolgenti e sconvolgenti (basti pensare ai verdi e ai rossi); però, guardando le dignità che meritano.

Ricordi un aspetto particolare della sua personalità?

Era una donna dal carattere molto forte, solare, disponibile, però se una persona non era di suo gradimento la allontanava, ne era quasi infastidita, mentre con le persone con cui c’era feeling era allegra, simpatica. Non dava mai l’impressione di essere debole.

Penso che uno dei motivi di questo atteggiamento, oltre naturalmente all’indole, era dovuto anche al fatto che in quegli anni nel mondo dell’arte dominavano gli uomini, per loro era tutto più facile, mentre le artiste donne dovevano avere una forza

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INTERVISTA A Figlio di Gina Roma

Lei ha scelto la professione di veterinario come suo padre, perché non ha seguito le orme di sua madre?

Fin da giovane accompagnavo spesso mio padre nel suo lavoro, era un bravo veterinario, molto conosciuto in tutto il territorio di Oderzo e nel circondario. Conosceva tutti i contadini e gli allevatori della zona, ho imparato molto da lui e mi sono innamorato di questo spesso solo una mucca, che era l’unico avere per il sostentamento e, se questa si ammalava, grande era la soddisfazione di salvarla.

Anche mia madre seguiva spesso mio padre nella sua attività e in seguito anche me.

Quando sono stato rimandato in terza media, mio padre per punizione mi ha mandato a lavorare da un suo amico fabbro e lì ho delle sculture, che tengo ancora a casa. Raccoglievo i pezzi vecchi Mia madre nel vederle in un primo momento è rimasta allibita e mi ha domandato in dialetto “Ma chi le à fate?” ho risposto “Io” e lei “Ma come atu fato?” “Con la saldatrice” “Ma chi te à insegnà?”

“Nissun”.

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Dopo ha portato le sculture in una mostra e una di queste ha anche ricevuto una segnalazione.

Probabilmente avevo anch’io una vena artistica e il lavoro di mia madre era molto coinvolgente, però ho preferito esercitare la professione di mio padre, amavo di più quel mondo che non quello dell’arte.

Anche sua madre amava gli animali, nelle sue opere sono spesso rappresentati colombi, galletti, gatti siamesi.

Sì, è vero, abitavamo in una casa piena di animali. Avevamo gatti siamesi, colombi e un allevamento di venti cani che poi sono arrivati a trenta. Tra i vari cani ne avevamo uno con il pelo rosso che avevamo chiamato Tito, come il presidente dell’ex Jugoslavia.

A mio padre avevano regalato pure un maialino per fare la porchetta, ma non ha mai voluto ammazzarlo, così il maialino aveva fatto amicizia con i cani e veniva in casa a mangiare insieme a loro. Quando sedevamo a tavola eravamo circondati: c’eravamo mia mamma, mio padre, il maialino Ciccio, io e tutti i cani. che, quando facevamo le camminate per i campi con i cani, ci seguiva. Era molto intelligente, da buon veterinario posso dire che 10

in un’azienda agricola è l’animale più intelligente. Tra le carte di mia madre c’è qualche disegno di quel maialino, ma non l’ha mai dipinto.

Abbiamo tenuto anche cavalli da corsa e le vacche frisone olandesi.

Sua madre le ha insegnato a usare il torchio?

Più che altro quando doveva mettere i fogli sulla stampa di ferro, la aiutavo a tirare l’inchiostro, che andava passato bene, altrimenti la stampa veniva sporca e poi giravo la manovella. Nel suo studio c’è ancora il vecchio torchio.

La coinvolgeva nel suo lavoro, la portava nello studio?

Sì, andavo spesso via con lei, la sua attività coinvolgeva sia me che mio padre.

Nel marzo del ‘74, immediatamente dopo la laurea sono partito da Milano con la Renault 6 di mio padre piena di quadri e mia mamma mi aspettava a Savona perché doveva mettere su una mostra. Non ho neanche fatto in tempo a festeggiare con i compagni di corso, son dovuto scappare a Savona ad aiutarla ad allestire. Ricordo che quella volta in particolare non aveva nessuno che l’assistesse.

A un certo momento mia mamma ha preso uno studio a Venezia, in palazzo Da Mosto a Campo San Cassiano: 161 scalini da salire; se ci si dimenticava di prendere qualcosa (ad esempio il pane) mia mamma mandava me ed era faticoso salire e scendere.

Però dall’abbaino dello studio si dominava Venezia e lei ha dipinto quadri in cui si vede tutta la città lagunare. Vicino c’era lo studio di un fotografo famoso, Bonzuan.

Di solito mia mamma si fermava tre giorni a settimana a 11

Venezia, spesso andavo con lei e rimanevo qualche giorno. Ricordo che si andava a mangiare alla trattoria “Colomba” e alla vecchia trattoria “Montin”, dove si incontravano alcuni degli artisti che anch’io ho conosciuto: Guidi che parlava con una voce profonda, Carena, a volte Saetti, anche se non frequentava molto il giro degli artisti, Tomea che veniva dal Friuli, Pizzinato, Licata che era molto giovane, Santomaso.

A quel tempo non mi rendevo conto della levatura di quei personaggi. L’ho capito solo in seguito, quando sono cresciuto e anche loro erano diventati più importanti.

A casa vostra c’erano frequentazioni di artisti e intellettuali?

Aligi Sassu veniva spesso, era diventato un amico di famiglia.

Una volta ha fatto un disegno a penna biro dietro il coperchio dei sigari di mio padre e me l’ha dedicato, era di casa. E poi noi spesso lo incontravamo a Milano, quando andavamo da una zia, sorella di mia madre.

Nel ‘61 è stata invitata a partecipare alla Biennale Internazionale d’Arte a San Paolo del Brasile, come ricorda quel periodo? È stato un momento veramente importante, era quasi uno scandalo nel campo pittorico italiano la scelta di un’artista donna, però in seguito a ciò è stata riconosciuta a pieno titolo dai vari critici e intellettuali dell’epoca, oltre che dai colleghi uomini e, a dire di tutti, ha rappresentato molto bene l’Italia. La critica contava molto a quel tempo, se non eri considerato ti mettevano in un cassetto e non ne uscivi più, invece per lei i giudizi sono stati positivi e da quel momento ha aumentato la propria fama.

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È stata più volte invitata da Peggy Guggenheim a New York, perché non è andata? al primo posto e non ha mai avuto rimpianti. Ricordo che anche con questo diminutivo).

Come viveva lei il rapporto con questa mamma un po’ speciale?

Quand’ero piccolo non me ne rendevo conto, sapevo che era pittrice e questo mi bastava. Negli anni ‘50 a Oderzo non era considerata un personaggio importante, era la moglie del dott.

Martin, nonostante avesse già esposto in varie città; era più conosciuta fuori, soprattutto nell’ambiente veneziano.

Ricordo che quando ha partecipato alla Biennale di Venezia c’era stata da parte maschile una certa contrarietà, perché riconoscere che un’artista femmina a quei tempi fosse più importante di un artista maschio era dura da digerire, però lei aveva una forza tale che si faceva digerire... era una donna che aveva un carattere forte e quello che voleva raggiungere lo raggiungeva con determinazione.

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1999 Pannello a Ca’ Lozzio

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INTERVISTA A Artista e amico di Gina Roma

Come è nata l’attività culturale di Ca’ Lozzio Incontri e che contributo ha dato Gina Roma?

Prima di spostare la mia attività avevo un locale più piccolo sempre a Piavon di Oderzo, dove avevo cominciato a organizzare alcune mostre d’arte, che anche Gina Roma frequentava.

Quando ci siamo spostati in questa sede abbiamo subito pensato ad uno spazio dedicato all’arte. Per l’inaugurazione del locale volevo la voce più autorevole che avevamo nel territorio, quindi chiesi a Gina Roma che si occupasse della mostra di apertura. In un primo momento il rapporto con Gina fu un po’ tiepido, non voleva farsi coinvolgere, ma dopo un mese circa mi diede la sua disponibilità e con forza mi disse che avrebbe inaugurato la prima esposizione a Ca’ Lozzio. Cominciò rapidamente a pubblicizzare l’evento, interessando esperti e rappresentanti del mondo della cultura, tanto che durante l’inaugurazione non ci si stava: è stato un gran successo.

Si adoperò da subito per coinvolgere tutti i suoi amici artisti, anche quelli che frequentavano il centro culturale Quattro Cantoni di Oderzo, come Cesco Magnolato che oggi è direttore artistico di Ca’ Lozzio e sin dalla seconda mostra condivideva le scelte artistiche con Gina Roma; chiamò l’architetto Pier Antonio Appoloni per 15

coordinare gli allestimenti e il fotografo Piero Casonato a far parte Tra i tanti nomi noti del mondo dell’arte sono passati Riccardo Schweizer, Riccardo Licata, Mario Schifano, Giosetta Fioroni, Lina Sari, Vittorio Basaglia, Romano Conversano, Lino Dinetto e molti altri. Collaborare con Gina Roma è stata un’esperienza di vita straordinaria.

Lei ha viaggiato molto con Gina Roma, è stato in Venezuela, negli Stati Uniti, in Europa. Ricorda un episodio particolare accaduto in uno dei tanti viaggi?

Al Guggenheim di New York siamo stati a visitare un’esposizione di italiani e circa a metà percorso, dove c’era uno spazio con alcune sedie utilizzate per le performance, Gina mi ha chiesto cosa ne pensavo della mostra, le ho risposto che era bellissima ma mancava un Roma... non l’avessi mai detto! Gina ha cominciato a raccontarmi di Venezia e degli inviti della Guggenheim e ci siamo seduti a parlare, ad un certo punto ci siamo accorti che molte persone si erano fermate ad ascoltarci, perché pensavano che anche questa fosse una performance artistica. E’ stato molto divertente, lei era sempre protagonista.

Quando eravamo al Moma invece provocatoriamente le ho chiesto “Se le chiedessero di esporre una sua opera qui, avrebbe il coraggio di esporre?” e lei mi rispose “Mi preoccuperei per quelli che complessi di inferiorità.

C’è un quadro di Gina Roma che ha una storia particolare?

Sì. Quando ho iniziato a realizzare i listini della gelateria con da Gina, ma non riuscivo a convincerla, allora ho giocato la mia carta e l’ho chiesto al maestro Magnolato e quando Gina ha visto l’opera, ha detto “Se Magnolato ha fatto questo, io faccio il doppio” e ha realizzato per me i “Giardini di Ca’ Lozzio” di quattro metri e cinquanta di larghezza, ora esposta a Ca’ Lozzio, con lei ritratta al centro del quadro e la mia famiglia.

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INTERVISTA A Architetto e storico collaboratore di Gina Roma

In quale occasione hai conosciuto Gina Roma?

Gina Roma la conoscevo da sempre come opitergina, perché la sentivo nominare, ma il momento in cui si è instaurato un Incisione “Città di Oderzo” nel 1987. L’anno precedente avevo Oderzo ha dato l‘incarico a Gina Roma, allora direttrice della civica Pinacoteca “Alberto Martini”, di proporre una manifestazione per l’inaugurazione. Collegandosi all’incisore Alberto Martini ed essendo anche lei incisore, ha avuto la fulgida idea di programmare questa iniziativa che è proseguita per qualche anno.

Avendo io restaurato Palazzo Foscolo, ho avuto modo di conoscerla e lei ha capito subito che potevamo collaborare. Il rapporto con Gina Roma o era immediato o non esisteva, noi ci siamo capiti al volo.

L’ho seguita molto nelle sue esposizioni, ed essendo anche stata direttrice artistica di Ca’ Lozzio Incontri abbiamo collaborato in maniera felice, serena, sembrava che pensassimo in due la stessa cosa.

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1950 Pierantonio (Ritratto di Appoloni)

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Chi ideava gli allestimenti: Gina Roma aveva un suo progetto o si faceva consigliare? le opere di un artista, capiva già cosa bisognava fare e anch’io la seguivo tranquillamente, non abbiamo mai avuto problematiche nel capirci, confronti sì, ma poi si arrivava a realizzare l’allestimento in piena sintonia.

Ricordi qualche situazione particolare?

Gina Roma, lei sì, era particolare! Sapeva risolvere ogni situazione in maniera entusiasmante. Non si arrendeva a niente, aveva una grande personalità e subito risolveva i problemi; senza voler peccare di superbia,a volte ci bastava uno sguardo e ci capivamo.

C’è un artista che lei prediligeva? aveva una grande sensibilità artistica. Diceva che non aveva tempo da perdere, anzi, per la precisione, diceva che gli stupidi le facevano perdere tempo. Aveva un carattere non facile e sapeva di essere un’artista di valore.

Ti ha mai fatto un ritratto?

Negli anni ’50 una cara amica doveva sostenere l’esame per entrare all’Accademia ed andava da Gina Roma per esercitarsi nel

studentessa e mi fece il ritratto. Dopo molti anni, alla chiusura della prima Biennale di Incisione, Gina mi diede un pacchetto e mi disse “Questo sei tu.”, aprii il pacchetto e c’era il ritratto che mi aveva fatto negli anni ’50, che tuttora gelosamente custodisco.

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INTERVISTA A Artista e amica di Gina Roma

Lei è stata molto amica di Gina Roma nella seconda parte della vita dell’artista. Come è stato il vostro primo incontro? a frequentarci assiduamente dai primi anni ’80. Il nostro accordo di collaborazione è nato in occasione di una mostra che io avevo organizzato per l’Unione Europea, a cui partecipava anche Gina.

Mi aveva sentito parlare ed era rimasta entusiasta degli ideali che avevo esposto, subito è nato un feeling tra noi, perché con Gina suo mondo interiore.

Era una persona molto piacevole, loquace per cui faceva facilmente amicizia.

Il nostro patto era quello di aiutarci reciprocamente, perché negli ultimi anni aveva dovuto assistere il marito e quindi si era allontanata dalla competizione nazionale in campo artistico. Dopo la scomparsa del marito lei voleva rientrare, ma non sapeva come recuperare questo tempo e allora avevamo fatto questo patto.

Per organizzare la prima Biennale di Incisione ad Oderzo aveva chiesto il mio aiuto, perché conoscevo Farina, allora direttore del Palazzo dei Diamanti e, tramite una mia parente che gli era amica, 21

riuscii ad ottenere un appuntamento, cosa non facile. Andammo all’incontro e proponemmo il progetto. Iniziai quindi a collaborare, purtroppo nel corso dell’organizzazione Gina a malincuore dovette estromettermi per questioni politiche. La nostra amicizia continuò ugualmente.

Andavamo in vacanza insieme in Trentino e in Sardegna a mattino a discutere di arte, di letteratura, di politica, perché Gina era una persona colta, eclettica nell’interessarsi alla cultura. Essendo io di una generazione diversa, osservavo delle cose che lei vedeva con gli occhi di chi era nato molto prima e aveva frequentato grandi artisti, noti critici nel dopoguerra e quindi aveva un bagaglio di vissuto culturale molto diverso dal mio; nonostante ciò, eravamo in sintonia, si può dire che davamo una lettura complementare della realtà.

Gina in un certo senso era anche una femminista, però legata agli schemi degli anni ‘60 in cui bisognava lottare contro questo potere maschile in tutto e dappertutto. Per lei tutta l’arte è stata, oltre che un’espressione della propria storia di vita interiore ed mi fece vedere alcune cartelle in cui aveva disegnato a chine cinesi, diventato lui quello che per primo le ha usate”. Questo episodio non le andava giù, cioè di non essere considerata colei che per prima aveva usato questa tecnica.

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Era una donna battagliera, combattente, una donna che non si arrendeva facilmente, ma intimamente fragile. Probabilmente c’erano due motivi per questa sua fragilità: il primo perché le era morta la mamma quand’era ancora giovane e poi perché si era iscritta all’Accademia dieci anni dopo le sue coetanee e ha dovuto lavorare tanto per recuperare quel tempo, quindi le è rimasta sempre un po’ l’idea che qualcuno potesse superarla e lei non potesse rimanere sempre protagonista.

Gina era una persona che voleva essere sempre all’avanguardia e sempre la prima, diceva “Io sono quella che abbatte muri e apre nuove strade”: questo era l’obiettivo che si era posta.

Aveva il desiderio di essere considerata una persona che stava informava di tutto e di tutti, non stava semplicemente nel suo studio a lavorare, amava molto informarsi, stare in mezzo agli artisti.

Lei riusciva a circondarsi di colleghi, un po’ perché grazie a Ca’ Lozzio dava l’opportunità agli artisti di farsi conoscere, ma anche per questa sua loquacità molto seduttiva; da giovane l’ammiravano molto anche per la sua bellezza oltre che per la sua bravura, però poi nella maturità attraeva anche per il suo dialogare che era sempre molto pertinente, molto acuto. Gina era anche una persona un po’ prepotente, diceva sempre “Nessuno mi può comandare, semmai comando io”: questa era la sua dinamica psicologica. Era anche molto autocritica, sebbene non lo facesse sapere; aveva l’onestà intellettuale di riconoscere il valore di un artista, non lo sminuiva, solo che voleva essere lei la protagonista.

Sapeva che avevo una grande conoscenza della storia dell’arte delle donne e quando mi diceva di essere la prima e l’unica che

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una badessa, perciò le ribattevo che non era la prima ad utilizzare quella tecnica, anche se certamente era una delle poche artiste ad si infastidiva perché voleva essere la prima che scopriva un nuovo linguaggio, nel senso di colei che apriva la strada, non la prima per superiorità.

Lei ha scritto una poesia per Gina Roma, vuole leggerla?

Sì, l’ho scritta prima che morisse e mi disse che le corrispondeva, perciò la leggo volentieri.

A Gina Roma Il respiro della luce tra le radici del sottobosco aleggia il selvaggio istinto di un’ape Re-Gina e nel personale canto vibra ora come colomba ora come gazza ora come stormo di uccelli neri nel respiro della luce

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INTERVISTA A

Artisti, amici di Gina Roma

Mi racconti come è nata e cresciuta la vostra amicizia con Gina Roma.

Gina Roma mi aveva invitato alla prima Biennale di incisione “Alberto Martini” nel 1988 e successivamente nel ’90 me la quarta Biennale e lavorai insieme a Roberto Costella per l’organizzazione. Nell’occasione ho voluto rendere un omaggio a partita da lei, purtroppo dopo questa non seguirono altre biennali.

Con l’aiuto di Giorgio Trentin iniziai ad organizzare dal 1986 le Biennali di Incisione a Gaiarine, precedenti quindi a quelle di Oderzo, ma Gina mi disse in seguito che non ne era a conoscenza.

Nel ’94 esposi in una personale a Ca’ Lozzio, presentato da Incisori Veneti, di cui lui era il presidente.

Successivamente a questa mia mostra c’è stato un cambiamento sua cerchia di amici; siamo stati a Lubiana insieme, in quanto io partecipavo per la quinta volta consecutiva alla Biennale di Incisione e lei era venuta a salutare un amico sloveno che era stato collaboratore di una delle Biennali di Oderzo.

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Nel ’95 feci una mostra personale ai Carraresi, presentato da Costella. Naturalmente avevo invitato all’inaugurazione Gina Roma e lei intervenne inaspettatamente durante il discorso di presentazione, parlando dell’esposizione e una cura maniacale nelle incisioni. Eravamo 2004 Neve in giardino - Acquaforte diventati amici anche perché partecipavamo agli stessi concorsi e andavamo insieme alle mostre: a Urbino, dove c’era l’Associazione culturale il Pellicano molto attiva dal punto di vista artistico; a Santa Croce sull’Arno; a Moggio Udinese; nel ’97 ad Osimo a una mostra organizzata dall’Associazione Incisori.

Nel parco pubblico di Osimo dopo aver visto la mostra, ricordo che lei aveva cominciato a parlare a voce alta e attorno si era creato un capannello di persone di una certa età che l’ascoltavano; tutti i pensionati che frequentavano il parco si erano Aveva la capacità di coinvolgere chiunque con semplicità.

Era molto estroversa e ci teneva a rimanere al centro dell’attenzione, sentiva la necessità di parlare, non c’era un momento di silenzio, se era seduta in macchina si metteva a cantare, non c’erano vuoti. C’è voluto parecchio tempo per entrare 26

nelle sue grazie, ma una volta rotto il ghiaccio, ogni volta che c’era l’opportunità di muoverci insieme, partivamo. L’amicizia tra noi scomparsa. Ciò che realizzava, la sua forza vitale, il rapporto con la natura erano un tutt’uno: le cose che rappresentava erano cose che lei viveva.

A casa sua aveva un giardino con il roseto, centinaia di piante, gatti, cani, le galline e le tortore, viveva per la natura, era molto coerente nello stile di vita e nei suoi quadri.

Io l’ho conosciuta nell’81 alla sua galleria Quattro Cantoni di Oderzo, dove andai a vedere una mostra e fu subito molto cordiale e gentile, rispose alle mie curiosità e mi riempì di depliant degli artisti. Ci siamo reincontrate molti anni più tardi. Con il tempo era diventata una persona di famiglia.

Come si conciliavano il colore e la vitalità cromatica della sua pittura con la tecnica dell’incisione?

La sua forza era il colore, però nel percorso di un artista non può mancare l’esperienza incisoria, infatti lei andava nello studio di Busato a Vicenza, si fermava due o tre giorni per la produzione delle lastre e per fare prove di stampa e trasformava la forza del colore in forza del segno dovuto all’acido nitrico a volte dell’acquaforte, ma spesso anche con interventi di puntasecca. La forza del colore diventava forza di pressione sulla lastra per creare un solco dove l’inchiostro potesse entrare e poi creare la materia; una volta stampata la lastra, l’inchiostro si leggeva per la testurizzazione pittura piena di materia, di colore e un’incisione.

Lei si dichiarava “pittora incisora”.

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Qual’era la sua cerchia di amicizie?

Non so in base a cosa selezionasse le sue amicizie, però dovevi avere qualche talento per presentarti, era sempre circondata da molte persone di un certo livello artistico e culturale. tecnica incisoria?

Lei mi diceva che ero un “pazzo”, perché sono minuzioso, meticoloso, preciso, impiego giorni e giorni per realizzare un’incisione, mentre lei era gestuale, rapida, il suo modo di fare era l’opposto rispetto al mio. conservava quell’impulsività che caratterizzava la tecnica ad olio con la materia, che voleva si leggesse anche sulla lastra, tra l’altro i temi erano gli stessi della pittura, quindi una lastra era il lavoro di qualche ora più le prove di stampa e i ritocchi; per me una lastra era tutt’altra cosa.

Il risultato era totalmente diverso: nel suo caso era dettato dalla velocità, dalla gestualità, nel mio caso dalla sedimentazione e dalla ricerca.

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INTERVISTA A Insegnante, ricercatore e critico d’arte

In quale occasione ha conosciuto Gina Roma?

Non è facile rispondere, essendo nato quando Gina Roma era dei primi ricordi risale al 1968 ed è legato al dipinto La bambina dei pettirossi del 1947 pubblicato nel testo di educazione artistica di prima media: un’immagine di un candore incontaminato di cui mi colpiva la grazia della delicatissima fanciulla.

Il primo incontro è avvenuto poco dopo, intorno al 1970, quando ad una ex-tempore di pittura organizzata dal Circolo 4 Cantoni di Oderzo, ho ricevuto una “segnalazione” e Gina Roma mi ha Castagno che tuttora conservo.

Lei è stato direttore della Pinacoteca Alberto Martini di Oderzo successivamente alla direzione Gina Roma; quale impronta ha lasciato Gina Roma nell’Istituzione?

Sono subentrato a Gina Roma, che a sua volta aveva sostituito Arturo Benvenuti: dopo la fondazione nel 1970 e la direzione

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1992. Ricordo che Gina Roma mi ha motivato le dimissioni con la necessità di concentrarsi sulla sua attività artistica poiché la cura della Pinacoteca richiedeva troppo tempo, energie, e ciò penalizzava la pittura.

Durante il suo mandato ha avviato la schedatura sistematica della collezione martiniana, ha promosso la pubblicazione della la Biennale di Incisione Alberto Martini, che ha gestito insieme a Giorgio Trentin e Pier Carlo Santini, coinvolgendo nel comitato Enrico Crispolti. Più che fare divulgazione culturale e ricerca storica su Martini, Gina Roma si è impegnata a promuovere il linguaggio che è stato peculiarità espressiva di Martini: ha creduto cioè che la Biennale, come rassegna espositiva dedicata al “segno”, con incisori italiani e stranieri, potesse idealmente ricollegarsi e quindi valorizzare anche Alberto Martini e il suo disegno. Gina Roma è stata protagonista nelle prime due edizioni, ha contribuito alla terza, poi nel 1996, già uscita dalla Pinacoteca, ha sostenuto e partecipato come artista alla quarta ed ultima edizione.

C’è un quadro o un’opera di cui ha un ricordo particolare?

Non uno, ma almeno due sono le presenze memorabili. La prima fa parte dei Murales di Cibiana: vicino alle immagini di De Vidal, Rincicotti, Magnolato, Calabrò, De Rocco, Stefani e Joos, nel 1983

Germania frequente nelle valli cadorine. È un ritratto collettivo che include animali domestici, candide colombe e giocattoli di pezza, che mostra umili strumenti di lavoro contadino, qualche povero arredo e rigogliosi gerani: un solidale e variegato gruppo famigliare, matriarcale più che patriarcale, che evoca una stagione senza tempo e si colloca su un muro esterno, sviluppandosi anche su un secondo

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contiguo, dove due adolescenti si sporgono per guardare. È una scena pittorica che celebra la vita semplice e umile, che ribadisce il legame tra famiglia e casa con un intervento pittorico capace di comporre immagine dipinta e parete reale, ridando volto, dignità e presenza ad un’anonima casa abbandonata.

Memoria della luce n.5, di grandi dimensioni, tirata in dieci esemplari e già esposta alla Biennale di Venezia del 1964, che Gina Roma mi ha donato nel 1997. È un’immagine solo tendenzialmente astratta, capace di evocare un mondo vegetale vitale e rigoglioso, l’immagine testimonia la sua presenza in casa mia e mi ricorda un atto di generosità che non mi sarei aspettato, considerate alcune incomprensioni e una distanza mai superata. È un gesto che ho molto apprezzato e un’opera che mi è davvero cara. e friulano e, soprattutto, è stata un punto di riferimento per le generazioni più giovani di artisti?

Non è facile e forse non è possibile rispondere in termini estetici, perché Gina Roma è artisticamente legata alle ultime tendenze avanguardiste, ad un mondo pittorico che si è presto Novecento. Personalmente la sento vicina alle posizioni dell’ultimo naturalismo teorizzate da Francesco Arcangeli, in sintonia – nei Santomaso, soprattutto di Corpora, Birolli e Morlotti.

Però, in rapporto all’ambito trevigiano e veneziano, devo considerare il fatto singolare che sono davvero tante le personalità impegnate artisticamente, e citerei Olimpia Biasi, Alda Boscaro, Mirella Brugnerotto, Gianna Buran, Graziella Da Gioz, Franca Faccin, Lina Sari. Forse il fatto non risulta casuale essendosi Gina allo sdoganamento del mondo femminile veneto dai ruoli

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domestica. Gina Roma assecondando una precisa vocazione artistica ha fortemente voluto diventare artista, oltre che donna autonoma ed emancipata: si è impegnata a ridurre la distanza tra arte e vita, orientando la sua ricerca a un’idea di arte positiva e condivisa.

I risultati pittorici riescono a comunicare un ecosistema pieno di superare i drammi della storia vissuta dalla sua generazione.

Gina Roma, attraverso al pittura, è stata capace di trasmettere nuove speranze e nuove motivazioni. Come artista ha elaborato convinzione estetica e sostenuta da un intento esistenziale, ha creduto alla pittura come linguaggio educativo e celebrativo, consolatorio e contemplativo. Gina Roma è sempre stata così, positiva e propositiva lungo tutti i settant’anni della sua carriera

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