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SUL FILO DELLA MEMORIA

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forghieri

nel cuore e nell’anima

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LA BELLA STORIA DELL’INGEGNERE PIÙ AMATO.

di Danilo Castellarin

Alcuni distacchi lasciano un vuoto incolmabile e graffano il cuore. Hanno provato in molti questa struggente emozione il 2 novembre quando si è diffusa la notizia della morte di Mauro Forghieri, per trent’anni nel cuore e nell’anima della Ferrari. Non succede con molte persone che se ne vanno di provare questo senso di smarrimento collettivo. Spesso si allargano le braccia, chi crede sussurra una preghiera, altri pensano fra loro che 87 anni, in fondo, è pur sempre un bel traguardo di vita. E tutto ricomincia. Non è andata così per Lui, per l’ingegnere Mauro Forghieri, anima bella, pulita, sincera, colta, perfno simpatica nelle sue tirate, la cui perdita ha suscitato nel mondo sportivo internazionale un’eco vastissima e commossa. Forse perché Forghieri è stato il simbolo di un’Italia onesta, che usciva a fatica dalla durezza del dopoguerra. Forse perché tanti avevano capito la sua apertura mentale, la sua passione incontenibile, la sua forza di trascinatore capace di far risorgere con genialità la Scuderia dai buchi neri dove tante volte era precipitata quando ancora la Ferrari non era Fiat, quando i mezzi erano pochi, i budget risicati e in pista lo scontro era con colossi del calibro di Ford, Porsche e Matra nei prototipi e contro le velocissime scuderie britanniche in F.1. Forghieri era diventato l’artefce di tante riscosse, a fanco (e a volte più) dei piloti stessi. E pensare che pochi mesi dopo l’assunzione a Maranello aveva pensato di andarsene. L’inizio insomma, non era stato dei più felici. In Ferrari tutto iniziò con uno stage nel 1957. Venne affdato all’ingegnere Andrea Fraschetti, progettista e collaudatore, che morì in prova a Modena, provando una monoposto da lui stesso progettata. Il padre Reclus Forghieri già lavorava in Ferrari e il nonno Anselmo, socialista, era stato molto amico di Sandro Pertini. Dopo la laurea, Mauro, che come tutti i ragazzi degli anni Trenta aveva nella testa il “sogno americano” venne avvicinato da Enzo Ferrari che lo trattenne, offrendogli un posto di lavoro, sessantamila lire al mese. Erano due i giovani su cui Ferrari, occhio lungo, aveva puntato: Mauro Forghieri e Gian Paolo Dallara. Entrambi vennero affdati a Carlo Chiti, direttore tecnico, accentratore per natura, che non dava molto spazio ai ragazzi pieni di idee e proposte. «Sia io che Gian Paolo non potevamo mettere bocca sulle decisioni tecniche», mi confdò un giorno Forghieri, «non potevamo dialogare più di tanto ed entrambi tolleravamo male quella situazione. Andò a fnire che Dallara se ne andò alla Maserati ma non ebbe subito il coraggio di dirlo subito al Capo perché sapeva che Ferrari, quando parlava della casa del Tridente, diceva “Quelli là” e non avrebbe certo gradito che un suo giovane assunto avesse preferito Maserati a Ferrari». Forghieri, anche per le insistenze del padre, tenne duro. E la prima trasferta uffciale fu al Grand Prix di Monaco del 1960 che raggiunse non in aereo, non col rapido in prima classe, neppure con una Gran Turismo. «Viaggiammo in cinque con una Fiat 1100 un po’ sfancata, al volante c’era Romolo Tavoni, a me non avevano dato nessun incarico specifco, mi dissero di guardare e imparare ed io rimasi molto colpito dalle correnti interne che si erano formate in Ferrari, pro e contro il motore posteriore, destinato a diventare il futuro della F.1». L’anno dopo lo mandarono a Monza, dove capitò la tragedia innescata da Jim Clark su Lotus che coinvolse Wolfgang Von Trips su Ferrari e

provocò la morte di 14 spettatori e dello stesso Trips. «Mi impressionò l’assoluta mancanza di organizzazione nell’affrontare le conseguenze dell’incidente e il fatto che la corsa continuò. Non c’erano informazioni e trascorse parecchio tempo prima che al nostro box arrivassero notizie certe sulle gravissime conseguenze di quella collisione. Nonostante questi fatti angoscianti le corse mi avevano affascinato e anche il sogno americano, non ancora evaporato, iniziava a diradarsi…». La svolta arrivò poche settimane dopo, con una virata secca e improvvisa, martedì 31 ottobre 1961. «Avevo già capito da tempo che il Commendatore mi stava osservando. Ogni tanto si avvicinava e mi chiedeva un parere su un dettaglio, un’idea su un progetto. Sembravano sempre incontri fortuiti, domande casuali. Invece era tutto studiato d’intesa con Vittorio Jano, che mi aveva preso a ben volere e aveva parlato bene di me al Capo. Dunque il futuro iniziava a prendere forma ma non avrei mai immaginato che la forma sarebbe stata quella che mi impose Ferrari quella sera d’autunno. “Da questo momento sei tu il responsabile di tutte le attività sportive e sperimentali”. Disse proprio così». Perché una scelta così radicale? Perché proprio in quei giorni la Ferrari era stata falciata dal licenziamento di otto dirigenti. Un gesto innescato dai modi ruvidi di Laura Garello, moglie del Drake, da tempo malata e più incline al comando che al colloquio. Per solidarietà con quelli presi più di mira, molti dirigenti si strinsero fra loro, un gesto sodale, oggi diffcile da immaginare. Poi chiesero a un avvocato di scrivere a Ferrari un invito a contenere gli atteggiamenti ruvidi della consorte. Finì male perché Ferrari si sentì tradito dagli stessi uomini che aveva creato. Li cacciò. E puntò su un giovane. Sul più valido e talentuoso, Mauro Forghieri si chiamava.

Per molti tesserati ASI la passione per l’automobilismo è nata seguendo le competizioni ed entusiasmandosi alle imprese dei piloti e delle auto, soprattutto italiane. La passione per le competizioni ha in Italia radici molto lontane, che risalgono alle origini delle prime gare sperimentali per passare subito dopo ai grandi eventi come la Targa Florio e la Mille Miglia, nelle quali le automobili e i piloti italiani erano sempre grandi protagonisti. Per non parlare dei Gran Premi che ebbero grande diffusione anche nelle città, contribuendo a rendere sempre più popolare questo sport. L’Italia ha sempre avuto in questo settore un ruolo importante e di successo, riuscendo a riscattarsi in periodi diffcili, come il secondo dopoguerra, nel quale emerse tutta la genialità dei nostri ingegneri in tutti i campi del motorismo agonistico. Il primo campione del mondo di Formula 1 è stato Nino Farina su Alfa Romeo, ma tra i grandi protagonisti non possiamo dimenticare Maserati e Ferrari. Il Cavallino rappresenta ancora oggi l’eccellenza italiana nella Formula 1 e raccoglie l’entusiasmo di milioni di fan in tutto il mondo. Anche nelle altre specialità i nostri piloti e le nostre automobili sono state vincenti. Pensiamo ai rally con la Lancia e la Fiat Abarth,

LA GRANDE FESTA DELLO SPORT AUTOMOBILISTICO

A VARANO DE’ MELEGARI UNA GIORNATA DEDICATA ALLA CONSERVAZIONE DELLE AUTOMOBILI DA COMPETIZIONE E SPORTIVE LA CONSEGNA DELLA TARGA ASI ALLA DALLARA ICSUNONOVE DEL MUSEO DALLARA. MASERATI IN EVIDENZA NEL CONCORSO DI ELEGANZA.

di Roberto Valentini - foto di Enrico Schiavi e Press Centre

alle gare in pista delle Sport con Ferrari, Alfa Romeo, Abarth, Lancia e Maserati, delle Gran Turismo con Ferrari, Maserati, Lamborghini, delle Turismo con Alfa Romeo e Fiat Abarth, alle altre formule con i grandi telaisti, con Giampaolo Dallara a fare da capostipite di successo in tutte le categorie. Il motorismo agonistico è motivo di orgoglio e di passione e, sulle pagine de La Manovella, sovente pubblichiamo articoli su piloti e auto da corsa, perché sappiamo che i nostri lettori apprezzano questi argomenti. Come dimostra il grande successo ottenuto da “ASI in pista”, kermesse dedicata alle auto da competizione e sportive che si è tenuta all’Autodromo “Riccardo Paletti” di Varano de’ Melegari (Parma) sabato 12 novembre, organizzata dall’ASI, attraverso il Settore Veicoli da Competizione coordinato da Andrea Bergamini. Erano infatti presenti oltre 150 vetture che si sono esibite oltre che nel paddock anche in pista, inanellando alcuni giri, suddivise per categorie, in tutta sicurezza. Il programma prevedeva una serie di turni in pista, un concorso di eleganza con giuria tecnica e giuria popolare e una speciale sessione di certifcazione.

DUE MASERATI IN EVIDENZA

Il Concorso ha visto assegnare due premi ad altrettante vetture del mitico tridente Maserati. Il premio “Best in Show” è stato assegnato alla Tipo 61 “Birdcage” carrozzata Drogo che nelle stagioni sportive 1961, 1962 e 1963 fu protagonista di corse come la 12 Ore di Sebring, la 1000 Km del Nurburgring, i Gran Premi di Rouen e di Reims. Ultimo dei 22 esemplari costruiti con il particolare telaio a traliccio di tubi (da qui il soprannome inglese che signifca “gabbia di uccello”), fa parte della preziosa Collezione Panini di Modena. Il numeroso pubblico che ha riempito l’autodromo di Varano ha premiato come vettura “Più bella del paddock” la Maserati 6CM del 1938, monoposto della Collezione Sculco che all’epoca rappresentava il Tridente nelle competizioni della massima serie. Altri riconoscimenti speciali sono stati attribuiti dall’ASI alla Abarth 1000 Sport Prototipo del 1964 portata da Sebastiano Morello, alla Ford Cortina Lotus del 1966 condotta da Massimiliano Buccioni e alla Audi RS2 Avant del 1995 di Marco Martellucci. Il Circolo della Biella federato ASI, che ha nel suo DNA la passione per il motorsport, ha consegnato il suo premio alla Abarth 2000 Sport Prototipo del 1968 portata in pista da Edoardo Magnone, presidente del Registro Fiat Italiano.

LO SPETTACOLO IN PISTA

Per l’ASI l’autodromo Riccardo Paletti di Varano de’ Melegari è un riferimento. Uno staff organizzativo di grande esperienza e disponibilità che conosce bene la Federazione di Club, ospitando già da 20 anni l’ASI MotoShow, grande manifestazione internazionale. Il suo tracciato impegnativo ma non pericoloso, completo per via di diverse tipologie di curve, è risultato ideale per coniugare divertimento, spettacolo e sicurezza. Le auto sono state suddivise per categorie omogenee e i driver hanno potuto divertirsi senza eccedere e, soprattutto, trattando bene i mezzi a disposizione, senza lo stress da

prestazione che contraddistingue le competizioni di auto storiche. È stato bello vedere girare alcune vetture allestite con le specifche di un tempo. Particolarmente spettacolari certi modelli da competizione degli anni Sessanta: una Formula Junior del 1961, la Lotus 23 e la Jaguar E. È stato inoltre emozionante vedere (e sentire) girare la monoposto Maserati 6 CM del 1938. Anche a livello di vetture sportive stradali il livello era decisamente elevato, con alcuni modelli piuttosto rari nella loro confgurazione originale, come la Corvette C5 o la Toyota Celica Gt Four Carlos Sainz, per citarne alcune.

UNA SESSIONE SPECIALE DI CERTIFICAZIONE

Nel corso della giornata si è svolta una sessione speciale di certifcazione ASI fnalizzata al rilascio dei Certifcati di Rilevanza Storica e dei Certifcati di Identità alle auto da competizione con più di vent’anni, che rappresentano un segmento estremamente variegato e prezioso nel panorama del motorismo storico. Questo tipo di certifcazione, pur rispettando i regolamenti generali, ha un’estensione più ampia sulla storia di ciascun veicolo, soprattutto riguardo il suo palmares e le evoluzioni tecniche che negli anni hanno contribuito a mantenerlo competitivo. Come i piloti e i preparatori sanno, le auto da competizione devono rispettare i regolamenti che, nei vari periodi storici, sono stati modifcati. In linea generale sono sempre esistite delle schede di omologazione per le corse con descrizioni minuziose delle dimensioni dei vari componenti, ma il problema maggiore per la datazione di una versione sta nelle evoluzioni concesse periodicamente. Facciamo un esempio e, per renderlo più semplice, ci riferiamo a quanto accadeva negli anni Settanta con un’auto da competizione del Gruppo 2 (Turismo Preparato) o del Gruppo 4 (Gran Turismo preparato) il cui regolamento permetteva ampie elaborazioni nell’ambito dell’assetto e dell’alimentazione.

Nel primo caso era possibile allargare la carreggiata coprendo le ruote con vistosi codolini, nel secondo era possibile aumentare il fusso del carburante attraverso un impianto a iniezione al posto dei tradizionali carburatori. Ma occorreva comunque omologare in fche le modifche più importanti, quelle che si discostavano maggiormente dalla versione di serie. Questi aggiornamenti potevano avvenire in tempi successivi e potevano essere applicati alle vetture che avevano già corso con specifche precedenti. Si comprende così che con le auto da competizione la Commissione Tecnica è chiamata a svolgere un lavoro supplementare, abbinando all’analisi tecnica e visiva del veicolo, la sua storia sportiva completa, che può partire da una versione molto vicina alla serie e concludersi con le massime modifche evolutive applicate sulla stessa vettura. A Varano de’ Melegari è stata presentata una Fiat Seicento Kit che sintetizza questo concetto. L’auto è stata costruita nel 1998 ed era stata allestita direttamente da Fiat Auto Corse per disputare il Trofeo Fiat delle Regioni, un campionato monomarca che vedeva al via una ventina di esemplari tutti uguali in rappresentanza, appunto, di ciascuna regione italiana. Nella sua confgurazione originale montava un’iniezione single point, ma già l’anno successivo venne omologata l’iniezione multi point per renderla più competitiva. Nel 2000 la fche comprendeva anche il cambio sequenziale, montato su questo esemplare. In questa confgurazione ha disputato molte gare, pur conservando la sua livrea originale e gli altri particolari che caratterizzavano la confgurazione originale. Ma le evoluzioni, anche importanti, sono state da sempre una costante delle corse. Anche la Maserati Tipo 61 “Birdcage” carrozzata Drogo del Museo Panini di Modena era nata con la carrozzeria della Tipo 60 e subito dopo ricarrozzata da Drogo nella confgurazione attuale, quella che l’ha portata a ottenere i suoi più esaltanti successi. Anche per il pubblico e i partecipanti è stato possibile assistere al lavoro della Commissione Tecnica ASI impegnata nell’esame approfondito di ogni singola vettura che ambisce alla prestigiosa “Targa Oro”, il riconoscimento dell’Automotoclub Storico Italiano abbinato al

rilascio del Certifcato di Identità. Tale documento, realizzato per ogni singolo esemplare, contiene le fotografe, la datazione, gli elementi identifcativi, la descrizione dello stato di conservazione o dell’avvenuto restauro secondo le norme del Codice Tecnico Internazionale FIVA. In questo contesto è stata consegnata la “Targa Oro” alla Dallara Icsunonove custodita nel Museo uffciale della factory. Il presidente ASI, Alberto Scuro, e il presidente della Commissione Tecnica Auto dell’ASI, Vittorio Valbonesi, l’hanno consegnata direttamente nelle mani del patron Giampaolo Dallara celebrando un doppio 50° anniversario: quello dell’azienda e quello della Fiat X1/9, modello sul quale venne sviluppata, nel 1975, la speciale versione Dallara destinata alle competizioni nella categoria Silhouette.

ALBERTO SCURO: UNA GIORNATA MERAVIGLIOSA

La sua passione per le corse è conosciuta, dal momento che Alberto Scuro ha partecipato a diverse competizioni di Formula 1 storiche, vincendo tra l’altro la gara di Silverstone nel 2013 al volante di una Cooper Bristol del 1952. Le competizioni lo affascinano anche se gli impegni odierni di presidente dell’ASI non gli consentono di indossare la tuta e cimentarsi in gara. Ad ASI In Pista era presente con le sue automobili e anche lui è riuscito a compiere qualche giro regalandosi un po’ di adrenalina al volante della Lotus 23. Ma la sua attenzione era più che altro puntata sulla riuscita dell’evento. “È stata una giornata meravigliosa - ha sottolineato il presidente ASI, Alberto Scuro - perché la vita di paddock permette di condividere appieno la nostra passione. Le auto storiche sportive e da competizione trasmettono emozioni e danno adrenalina e con ASI in Pista è stato possibile ammirarne una varietà incredibile. Credo che per il pubblico sia stata una bella occasione per vedere all’opera la nostra Commissione Tecnica nelle fasi più delicate che compongono l’iter certifcativo che quotidianamente portiamo avanti per la tutela futura dei veicoli storici”.

ART DÉCO FUTURISTA

UNA GAMMA DI VETTURE DI SUCCESSO BEN COSTRUITE E ADATTE A UN VASTO SPETTRO DI CLIENTELA MA ANCHE CON LA PRIMA LINEA FORTEMENTE AERODINAMICA VISTA IN EUROPA, L’ELEGANZA E LA CURA DEL DETTAGLIO TIPICA DELLE ARTI DECORATIVE DELL’EPOCA E, IN CERTE VERSIONI, L’ARDIRE DELLA VELOCITÀ. STORIA DELLA “GAMMA #02” DI PEUGEOT, FRA IBRIDI E “MERAVIGLIOSI FRANKENSTEIN”.

di Luca Marconetti

Cosa hanno a che fare l’imponente movimento culturale e fra le prime avanguardie europee che risponde al nome di “Futurismo”, e il celebre fenomeno il quale avrebbe rivoluzionato il volto dell’arte visiva e decorativa che, tra Parigi e gli USA, si sarebbe imposto col nome di Art Déco, se non una coincidenza temporale, a cavallo tra le due Guerre Mondiali? Ce l’avrebbe potuto spiegare bene Henri Thomas, il padre dello stile della gamma #02 di Peugeot, nata con la 402 del 1935, continuata con la 302 del 1936 e completata con la 202 del 1938: lui, infatti, in queste vetture, riuscì a far coesistere slancio estetico, aerodinamicità e ottime - per l’epoca - doti di potenza e velocità, attingendo a piene mani dal concetto americano di “Streamline”, con la voluttuosità, la leggiadria di uno decoro pulito ed esile e la cura maniacale del dettaglio, ossia i fondamenti dei due movimenti culturali citati pocanzi. Infatti, proprio a proposito di Streamline, se in America, a livello commerciale, la prima vettura fortemente infuenzata da esso, la Chrysler Airfow, sarebbe stata un fasco tremendo, questo avrebbe trovato, invece, una decisa affermazione in Francia e in Europa (il Marchio del Leone, è sempre stato molto competitivo all’esterno dei suoi confni nazionali, con un numero importante di esemplari esportati) con la appena citata gamma di Sochaux della seconda metà degli anni ’30, quella contraddistinta dal numero fnale “02”, in linea temporale con la nuova denominazione caratterizzata dallo zero al centro (utilizzato perché, alla base del radiatore, lascia il posto al buco per inserire la manovella di accensione) inaugurata con la gamma 01”. il risultato sono delle vetture che assomigliano più a dei prototipi o a delle fuoriserie, piuttosto che a razionali berline ma che, grazie alla sterminata varietà di carrozzerie e allestimenti, sarebbero state vendute, complessivamente, in centinaia di migliaia di esemplari, facendo registrare uno dei più grandi successi di una casa automobilistica europea fra le due guerre, elemento che infuenzerà e darà una forte caratterizzazione anche al design futuro della casa.

402, 302 E 202: LA GAMMA AERODINAMICA

Il primo modello a vedere la luce al Salone di Parigi del 1935, è la grossa 402, deputata a sostituire in un sol colpo la sfortunata 401 e l’effmera 601. È sconcertante: il frontale perde i classici fari sui parafanghi per evitare i vortici d’aria e li costringe accoppiati all’interno dell’enorme calandra, che, a sua volta, infuenza l’intero andamento della linea, con un proflo morbido e bombato che lambisce i cofani del vano motore ma che si assottiglia fno a diventare appuntito alla base, dove trova posto la denominazione del modello. Lisce e levigate le fancate, scevre da pedane e predellini, con i fregi, la testa del leone come mascotte, gli inserti cromati e la profonda scalfttura che lega visivamente i quattro lati alla base della linea di cintura, mentre il posteriore “a coda di castoro” morbido e arcuato, cela un bagagliaio generoso e si riconosce subito per la curiosa targa posizionata in alto, sotto il lunotto sdoppiato. A rendere più importante il disegno è poi il parabrezza a cuspide in due pezzi e la carenatura della ruota posteriore, proprio come nelle estreme realizzazioni di Figoni & Falaschi su telai Delahaye, tanto di moda nella Francia dell’epoca. L’insieme è un disegno flante, sfuggente, teso alla velocità e al dinamismo, senza alcuna soluzione di continuità o taglio netto, reso più fuido dalla ridotta altezza da terra - permessa dal telaio che vedremo tra poco - e dalla lunghezza di 4,85 m (Berline base). Nel mirino dei progettisti di Sochaux - ma anche di quelli del distaccamento parigino di La Garenne, dove c’è l’Uffcio Studi diretto da Louise Dufresne e dove lavora Henri Thomas - c’è ovviamente la Citroën Traction Avant presentata nel ‘34: se questa colpisce per la meccanica raffnatissima, la Peugeot dovrà stupire con un design mai visto prima su un’auto di serie, tanto da valerle il soprannome di “Fuseau Sochaux”, il “Fuso di Sochaux”.

Questo infatti, servirà anche a celare un’impostazione tecnica ben più tradizionale e collaudata ma comunque foriera di novità non trascurabili, a partire dal motore, il nuovo “TH” (fortemente voluto da Jean-Pierre Peugeot e disegnato da Alfred Giacque) a 4 cilindri in linea con testata in ghisa, a valvole in testa con albero a camme laterale, di 1991 cm³ di cilindrata in grado di erogare, grazie a un carburatore invertito Zenith EX 22”, 55 CV a 4000 giri/min. il telaio invece, denominato “Bloctube”, pur rimanendo di base il classico separato dalla carrozzeria, presenta in realtà un’ossatura tubolare a traverse applicate ai classici longheroni, così da garantire una soluzione robusta e rigida senza adottare una costosa, all’epoca, monoscocca integrale. Troviamo poi un avantreno a ruote indipendenti con balestra trasversale e retrotreno ad assale rigido con balestra Cantilever, soluzione molto

diffusa nella Francia del periodo poiché brevettata dalla Bugatti; gli ammortizzatori sono a leva. Altra particolarità è - affanco del tradizionale manuale a 3 rapporti (i due più alti sincronizzati) - il cambio totalmente automatico progettato dal mago del settore Gaston Fleischel. Questo tuttavia, risulterà inaffdabile e troppo caro e quindi mai commercializzato, tanto che Peugeot lancerà una terza opzione per la trasmissione, quella elettromagnetica Cotal a 4 marce demoltiplicate, ossia un normale manuale ma con la leva azionabile senza l’utilizzo della frizione. L’impianto elettrico è a 12 volt con due batterie da 6 volt in parallelo, posizionante in basso, dietro la calandra. Pur essendo un’ammiraglia, per rispondere a esigenze di una clientela vasta e trasversale, fn dall’inizio la 402 è disponibile con svariate varianti di carrozzeria, collocabili su due misure di passo, di 3150 o 3300 mm: si va dalla Berline a 4 luci alla Limousine a 6 luci, dalla Coach a 2 porte e 4 luci alla Cabriolet 4 posti con tetto in tela, dalla Roadster a 2 posti con tetto in tela e parabrezza abbattibile all’ingegnosa “Eclipse” (nome uffciale Coupé Transformable Électrique), una coupè-cabriolet ante litteram (disponibile inizialmente solo a 2 posti, poi anche a 4), con tetto in metallo retrattile in un apposito vano con movimento elettrico (ma, per chi non si fda, è disponibile pure manuale…), celebre brevetto del dentista appassionato di tecnica e design Georges Paulin e del carrozziere Marcel Pourtout, già presentato sulle precedenti 401 e 601. Sono poi disponibili gli allestimenti Luxe e Grand Luxe. Conclude l’offerta una pratica versione Commerciale con portellone posteriore a due battenti e allestimento semplifcato (inizialmente senza carenature ruota) e LimousineFamiliale, a 8 posti su tre fle di sedili (in quella centrale abbiamo due strapuntini) e tetto rialzato.

Esisteranno anche dei prototipi sperimentali di 402 diesel, con un 2,3 litri da 55 CV prodotto dalla svizzera Oberhaensli. La 402 e poi la 402 B rimarranno in produzione uffcialmente fno al 1939 ma ne verranno assemblate in poche decine fno al 1942. Al Salone di Parigi del 1936 la 402 viene affancata dalla 302. È la stessa vettura ma ha passo accorciato a 2880 mm e il motore è il TE di 1758 cm³ da 43 CV a 4000 giri/min. Verrà realizzata in versione Berline e Cabriolet, oltre che in una manciata di esemplari Eclipse. Il 3 marzo 1938, al seguito dell’annuncio dell’uscita di produzione della 302, la Casa presenta alla stampa la 202, la nuova media compatta di casa, con linea fortemente ripresa dalla 402 ma opportunamente rivista e ottimizzata per presentare un disegno più sobrio e razionale (parabrezza in unico pezzo, portiere con intelaiatura fnestrini riportata), in grado di rivestire una vettura che torni a occupare l’affollato segmento delle 6 CV fscali, come la 201, fno a quel momento rimasta senza erede. Scomparse le prese d’aria cromate sui cofani motore, ma mantenuti i fari e le ruote posteriori carenati, la 202 è proporzionata e raccolta attorno a una meccanica tradizionale, caratterizzata dal piccolo TG di 1133 cm³ da 30 CV, al telaio Bloctube, a un avantreno a ruote indipendenti inizialmente con barre di torsione, poi abbandonate per la classica balestra trasversale tipo 402, e a un retrotreno ad assale rigido. L’unica carrozzeria disponibile al lancio è la Berline 4 luci e 4 porte ma, già dall’ottobre del ’38, sarebbe stata proposta in un’infnità diversioni: Berline Decouvrable (con tetto in tela ma mantenendo gli archi dei montanti), Cabriolet, Familiale Commerciale con portellone e Pick-up. La guerra interrompe la produzione nel 1941 ma la 202 sarebbe tornata nel 1946 - e fno al 1949 - con un allestimento semplifcato (fa a meno dei fregi e dei bellissimi cerchi Michelin Pilot, che, prima del Confitto, sono gradualmente disponibili su tutta la gamma) solo berlina nella serie B, sostituita già dall’ottobre ’46 dalla BH, ottenibile Berline con tetto apribile metallico, Berline Decouvrable, Cabriolet, pick-up e Break Commercial, con fancate in legno. La BH è dotata del moderno impianto frenante idraulico Lockheed, in luogo del precedente Bendix a cavo con tamburi autocentranti (adottato anche sulle 302 e 402).

LA 402 B LÉGÈRE

Ma c’è un modello della gamma #02 che più degli altri incarna in sé i concetti di velocità e potenza e quelli di aerodinamicità, leggerezza ed eleganza: la 402 B Légère lanciata nel luglio del 1938, come la protagonista del servizio che vedete in queste pagine. Si tratta di un ibrido, quello che oggi chiameremo “crossover” (è il primo esempio di ibridazione industriale fra due modelli della stessa Casa ma diversi per dimensioni, segmento e clientela alla quale sono destinati), poiché, in sé, è una commistione di elementi tratti agli antipodi della gamma, cioè dalla 202 e dalla 402. Più nello specifco: l’auto mantiene il telaio da 2880 mm della 302, ha muso e cofani motore della 402 - anche se si riconosce per una calandra più “esile” - ma il “guscio” dell’abitacolo è interamente quello della piccola 202. L’idea di realizzare delle versioni sportiveggianti, sorge in Peugeot dopo che il suo concessionario parigino d’elezione Emile Darl’mat, ha realizzato una speciale 402 due posti aerodinamica coupé o roadster (col carrozziere Portout) ma poggiante su un telaio 302: giusto per citarla ma meriterà un ampio servizio a parte, è la 402 Darl’mat, che avrebbe riportato il Leone a vincere sui più importanti campi da gara internazionali. Sulla scia di questo entusiasmo, a Sochaux concepiscono la 402 Légère, che ha il telaio corto della 302 ma la meccanica e le carreggiate allargate della 402.

È solo con l’avvento della 402 B nel 1938, dotata del nuovo motore TH2 cresciuto a 2243 cm³, con potenza di 63 CV a 4000 giri/min, rapporto di compressione salito da 6:1 a 7:1, camicie dei cilindri smontabili e testata in lega d’alluminio Alpax (già vista sulla prima 402 Légère), che appare il “meraviglioso Frankenstein” 402 B Légère. I vantaggi di tale progetto, ovviamente, sono estreme leggerezza e compattezza (pesa 1068 kg, più di 200 kg meno della 402 B Berline da 1290 kg) abbinate a una brillantezza e un’elasticità di tutto rispetto, tanto che, così equipaggiata, la 402 B Légère, ha un rapporto peso/potenza di 16,6 kg/CV (meglio di lei fa solo la grintosa Alfa Romeo 6C 2500 e l’inarrivabile Bugatti Type 57 8 cilindri di 3,2 litri, mentre, a titolo di paragone, una 402 normale ha un valore di 20 kg/CV) e può raggiungere i 140 km/h. Quasi tutte hanno il cambio manuale a 3 marce (la “nostra” è una di quelle), appena 891 (su 4569 totali) il Cotal con frizione elettromagnetica a 4 rapporti demoltiplicati. Chiaramente infne, tutto ciò sarebbe stato di giovamento “commerciale” anche per la 202, poiché il trapianto di meccanica ne avrebbe accresciuto l’immagine, trainando quindi le vendite anche dei modelli normali, già molto richiesti di loro, in pratica compiendo, con almeno 45/50 anni di anticipo, quello che sarebbe successo con le hot hatch sportive di vari marchi: vi dicono nulla i nomi “Golf” e “GTI” (ma anche, per rimanere in casa, la piccola 205) oppure “Delta” e “Integrale”?

Un ringraziamento speciale a Fabrizio Taiana, segretario del Club Storico Peugeot Italia e grande amico de La Manovella, nostro “gancio” per tutti i servizi Peugeot.

LO STORICO STABILIMENTO DI SOCHAUX, PUNTO DI RIFERIMENTO PER STELLANTIS

“Sochaux, un sito storico, deve essere uno stabilimento di eccellenza, una vetrina per le ambizioni industriali di Stellantis”, ha dichiarato Arnaud Deboeuf, Chief Manufacturing Offcer del gruppo franco-italiano. È questa la flosofa alla base del progetto “Sochaux 2022”, volto a rendere il sito nella regione della Franca Contea, lo stabilimento più effciente d’Europa per la produzione di SUV multi-energy. Qui, dal 1912 in poi, sono stati prodotti 24 milioni di veicoli, dalla gamma 201 alla gamma #02, dalle 203 alle 504, dalle più moderne berline 508 ai SUV 3008. La trasformazione dell’impianto è iniziata nel 2019 con la nuova, più versatile ed effciente offcina di stampaggio. Nel 2022 invece, le linee di montaggio sono state radunate nel cuore del sito (prima erano dislocate in 5 offcine) e riprogettate per raggiungere una produzione di 400.000 veicoli l’anno, numeri che si addicono al più grande stabilimento produttore di automobili di Francia (insieme a quello di Mulhouse) e che occupa 3000 addetti, che ora possono godere di un’offcina più luminosa, accogliente e con postazioni più ergonomiche. Il prossimo passo, invece, è la riconversione di un’apposita area assemblaggio carrozzeria, in modo che possa ospitare la piattaforma elettrica STLA Medium, sulla quale verranno prodotti i nuovi SUV elettrici di Stellantis. Anche lo storico sito di Montbéliard, nei pressi di Parigi, poi, sarà rinnovato utilizzando i 44 ettari di terreno recuperati attorno allo stabilimento.

308 HYBRID PLUG-IN GT PACK: ARIE DA GRANDE

La 202 sarebbe stata solo una versione accorciata e ristretta delle più flanti 302 e 402, se, a Sochaux, non si fossero inventati il trapianto di meccanica della 402 B. Questo concetto, in Peugeot, nonostante non abbia mai più visto un’operazione tanto ardita, è comunque sopravvissuto con diverse operazioni successive, specialmente per dare un’immagine più sportiva a modelli altrimenti considerati “medio di gamma”. È successo, per esempio, con l’adozione di motori di grossa cilindrata su modelli utilitari - la 205 GTI 1.9 dotata di un motore condiviso con le ammiraglie 605 e Citroën XM - oppure con frazionature più “nobili” su vetture medie - un V6 sulla 505 o perfno sul monovolume degli anni ’90 806. Oggi questo si è un po’ allontanato dall’aspetto meramente motoristico, per concentrarsi più su quello contenutistico, oltre che del design. Ne è un esempio tangibile l’evoluzione della compatta della gamma che, dalla 309 di metà ’80 è diventata 306, poi 307 e 308, quest’ultima giunta alla sua 3^ serie. La nuova 308 infatti, mentre molti preferiscono abbandonare il segmento per proporre crossover e mini-suv ritenute più redditizie, non solo rimane salda nel suo segmento, ma esce dalla “confort zone” di un design lineare e rassicurante per ammiccare alla sportività, a una grinta inedita che esalta il family feeling con modelli più grandi come la 508 rendendolo aggressivo e afflato e si getta a capoftto nel settore delle “B Premium”, quello popolato da VW Golf, Audi A3 e Mercedes Classe A. E, fnalmente, ci sentiamo di dire, con i contenuti giusti per farlo, che dimostrano una crescita e un miglioramento generale, assolutamente tangibili: abbiamo provato la Hybrid Plug-In GT Pack, equipaggiata con un 4 cilindri 1.6 da 181 CV abbinato a un’unità elettrica che porta la potenza a 225 CV totali e 320 Nm di coppia. I due motori insieme garantiscono spunto fulmineo - garantito dal bel cambio automatico a 8 rapporti - mentre l’auto, a batteria carica (si può caricare in garage o nelle colonnine pubbliche) può viaggiare totalmente in elettrico per circa 60 km. Modernissimi - e comodi - gli interni, con ben 3 schermi touch per controllare la vettura, sicurissima, con tutti gli equipaggiamenti ADAS di serie.

PARIGINE A DUE RUOTE

QUELLO DELLE MOTO JONGHI È UN MARCHIO POCO NOTO NEL NOSTRO PAESE MA MOLTO PIÙ CONOSCIUTO OLTRALPE. OGGI SCOMPARSO HA AVUTO UNA STORIA SPORTIVA DI GRANDE SUCCESSO.

La storia della piccola Casa motociclistica francese “Jonghi”, inizia nel 1929 da una costola della famosa Nagas & Ray, fondata nel primo dopoguerra. La crisi mondiale della fne degli anni Venti coinvolge anche questa fabbrica e il direttore tecnico Giuseppe Remondini, tenta di salvarla cercando nuovi fnanziatori. L’industriale argentino Tito Jonghi risponde all’appello facendo però richiesta di riportare il proprio cognome nella ragione sociale di questa nuova società. La condizione viene accettata di buon grado e, nel 1932, a Choisy le Roi, alle porte di Parigi, inizia la produzione delle moto Jonghi, caratterizzate da un’immagine sportiva ed estremamente moderna per l’epoca. I successi non tardano ad arrivare e una Jonghi 350 con valvole in testa, derivata da un modello Nagas & Ray, si presenta al Gran Premio delle Nazioni di Roma nel 1932 e sotto lo sguardo sbalordito del pubblico, la motocicletta trionfa nella classe 350, alla media di ben 134 km/h e con tre minuti di vantaggio sulla seconda classifcata. Un esordio quindi di tutto rispetto per questa neonata Casa motociclistica. Ma l’attività sportiva della Jonghi è particolarmente intensa, grazie soprattutto all’impegno profuso da Remondini, che crea motori appositamente studiati e molto performanti. Nonostante gli ottimi risultati delle gare e gli sforzi produttivi, l’azienda però non decolla e viene dichiarato il fallimento nel 1933.

di Matteo Comoglio

Viene così rilevata dai fratelli Eichel, già proprietari della Prester, e la produzione riavviata sotto il marchio Prester-Jonghi. Nel 1936 una Prester-Jonghi 350 bialbero, appositamente progettata da Remondini e pilotata da George Monneret, stabilisce il record mondiale di velocità sull’ora a 170,840 km/h. Questi tentativi di record sono molto seguiti dal pubblico in quegli anni, e molti di questi successi furono ottenuti da questa piccola fabbrica proprio grazie ad Arrigo Remondini, sapiente meccanico e collaudatore di notevole qualità. Ma il destino beffardo e i conti da pagare, non riescono comunque a far decollare l’attività e così si decide di avviare la produzione di un motore ausiliario per biciclette, che otterrà un notevole successo. Sull’onda di questa piccola ripresa, nel 1937 viene progettata e costruita una motoleggera con motore a due tempi di 100 cm³. L’accoglienza è abbastanza fredda e per aiutarne le vendite, si sponsorizza un raid nel deserto sahariano, che ha un esito positivo a dimostrazione della robustezza della nuova motocicletta. Dopo un paio di anni di tranquillità, scoppia purtroppo il Secondo confitto mondiale e durante l’occupazione tedesca della Francia, i fratelli Eichel vengono deportati nei campi di concentramento e non faranno mai più ritorno in patria. Così la Prester-Jonghi, nel 1944 viene rilevata dalla SATAM, azienda specializzata nella refrigerazione, che ne assicura la continuità tecnica, lasciando Giuseppe Remondini alla direzione dell’azienda. Il marchio viene cambiato in “Motos Jonghi” e la produzione ricomincia fra molte diffcoltà nel 1945 con il modello di 100 cm³ a due tempi, riproposto poi nel 1946 con cilindrata aumentata a 125 cm³.

SCHEDA TECNICA JONGHI 125 2T ACT

MOTORE: Monocilindrico verticale a 2 tempi. Alesaggio e corsa 54x54 mm, cilindrata totale 124 cm³, potenza max 6 CV a 5.500 giri. Avviamento a pedale, raffreddamento ad aria. TRASMISSIONE: Cambio a 4 marce, trasmissione fnale a catena.

TELAIO: Tubolare a doppia culla aperta. FRENI: Anteriore e posteriore a tamburo centrale monocamma, anteriore comando manuale, posteriore comando a pedale. SOSPENSIONI: Anteriore a forcella telescopica con molla centrale, posteriore a forcellone oscillante con due ammortizzatori telescopici. RUOTE E PNEUMATICI: Cerchi a raggi da 26”, pneumatico anteriore rigato, posteriore scolpito. PESO: a vuoto 85 kg. PRESTAZIONI: velocità massima 80 km/h.

La guerra viene pian piano dimenticata e Remondini può dedicarsi ai motori a 4 tempi. Così nel 1948, al salone di Parigi, viene presentata la Jonghi 125 ACT (Arbre a Cames en Tête), motoleggera moderna, mossa da un motore a quettro tempi di 125 cm³ e potenza di 8 cv, velocità massima 100 km/h. Nel 1951 viene presentata la 250 H, questa volta con motore a 2 tempi, seguita nel 1953 da uno scooter sempre a 2 tempi con cilindrata 125 cm³, denominato “Polo”. Purtroppo questo piccolo mezzo sarà il canto del cigno per questa piccola azienda. Gli anni Cinquanta per la Francia segnano il declino del mercato motociclistico e la Jonghi chiude i battenti nel 1957. L’esemplare del nostro servizio è una Jonghi 125 a due tempi del 1949 in perfetto stato di conservazione, mai restaurata ad eccezione dei terminali di scarico. Dalle sue condizioni si può notare quanto queste motologgere fossero davvero ben costruite, longeve ed affdabili.

Il record di Malcolm Campbell, stabilito il 3 settembre 1935 poco sopra 300 mph, rimase inviolato per un paio di anni ma, fra il 1937 e il 1939, la sfda fu raccolta da altri due illustri personaggi del cosiddetto monopolio inglese. George Edward Eyston e John Rhodes Cobb posero l’asticella alquanto più in alto e il secondo, subito dopo la Seconda guerra mondiale, addirittura riuscì a superare 600 km/h, segnando il massimo record assoluto di un’auto con motore a pistoni. Nel progettare i loro veicoli, i due nuovi personaggi seguirono i paradigmi tecnici di quel tempo, defnito molto appropriatamente da Cyril Posthumus, nel suo libro Land Speed Record del 1971, come l’“età dei mostri”; tuttavia, Posthumus non poteva prevedere che altre ben più evidenti mostruosità tecniche sarebbero state costruite negli anni successivi. Pur essendosi dedicato a tutte le discipline sportive motoristiche, Eyston, con la sua Thunderbolt, passò alla storia per la conquista di tre record assoluti sul lago salato di Bonneville; i primi due furono rispettivamente ottenuti il 19 novembre 1937, con 502,444 km/h e il 27 agosto 1938, con 555,555 km/h. Eyston scelse di costruire un veicolo con ben due motori aeronautici Rolls-Royce. Questi motori erano dello stesso tipo di quello impiegato da Campbell sulla ultima Bluebird e, addirittura, uno dei due motori fu generosamente dato in prestito proprio da lui; erano disposti in parallelo, entrambi collegati all'asse posteriore. La loro cilindrata complessiva di circa 73 litri sarebbe stata in grado di produrre 4.700 CV ma si reputò suffciente tararli a 4.000; alla massima potenza consumavano circa 37 l/min, più di 4 l/km alla velocità del record. La carrozzeria fu progettata dal francese Jean Andreau, particolarmente esperto in aerodinamica, che già aveva fatto parlare di sé con la Peugeot 402 N4X del 1935, accreditata di un cx di 0,34, allora non certo comune; la costruzione in alluminio fu invece affdata alla Bean che, sollecitata a completare il veicolo per la stagione del 1937, ebbe a disposizione solo sei settimane per svolgere il lavoro, con risultati non proprio eccellenti in merito al peso del veicolo che raggiunse circa 6.300 kg. La carrozzeria, lunga 9,3 m e larga 2,2, copriva completamente la meccanica, mostrando solo qualche protuberanza ben raccordata in corrispondenza degli elementi più ingombranti; due prese d’aria affancavano il cupolino trasparente del posto di guida. La sua forma ben proflata terminava con una deriva verticale di stabilizzazione e comprendeva due pannelli mobili a comando pneumatico, che si aprivano ai lati della coda, con la funzione di freni aerodinamici. Questi alleviavano la fatica imposta ai freni meccanici, che tuttavia erano già del tipo a disco, anche se costruiti come una comune frizione, con due dischi premuti un contro l’altro, secondo il brevetto del geniale Frederik Lanchester, il primo costruttore di automobili inglese. L'autotelaio, degno di un autocarro pesante, comprendeva tre assali, con quello posteriore dotato di ruote gemellate motrici; le ruote avevano dischi da 31’ con canali da 7’. Tutti gli assali erano dotati di sospensioni a ruote indipendenti a quadrilatero con balestre trasversali; le carreggiate diminuivano verso la parte posteriore, per far sì che ogni ruota percorresse una superfcie stradale non danneggiata dal passaggio delle ruote che la precedevano. Anche se il fondo di sale era ben più consistente della sabbia delle spiagge oceaniche, la pressione di contatto degli pneumatici col suolo, elevatissima, creava solchi che avrebbero infuito negativamente sulla guidabilità del veicolo. Il debutto della Thunderbolt non fu subito coronato dal successo; noie alla frizione impedivano l’avviamento del veicolo e causarono un ritardo di due settimane. Il 28 ottobre si svolse fnalmente la prima prova, che nel giro di andata indicò una velocità superiore di pochi chilometri all’ora al record di Campbell; tuttavia, il giro di ritorno non poté svolgersi a causa della rottura di un innesto. Una seconda prova si concluse senza i risultati attesi ancora a causa della frizione e, solo a novembre, furono disponibili le parti modifcate in grado di risolvere ogni problema. Subito dopo il primo record valido iniziò la stagione delle piogge e si dovettero interrompere le prove. A questo punto, lo stesso Reid Railton, che già aveva collaborato con Parry-Thomas e contribuito agli ultimi successi di Malcolm Campbell, decise di entrare in scena in piena autonomia, con la prima auto interamente costruita secondo le sue idee, associandosi con John Cobb che, autore di eccellenti risultati sportivi, aveva deciso di competere anche nei record assoluti di velocità.

La nuova automobile, battezzata Railton Special, utilizzava due dei ben noti motori Napier Lion VIID a dodici cilindri a W. La potenza non era molto elevata ma Railton riteneva che fossero suffcienti, progettando un veicolo al uanto più leggero della Thunderbolt. La novità più rilevante risiedeva anche in una ricercata trasmissione, scelta per scaricare a terra più facilmente tutti i 2.700 CV disponibili a 3. 00 giri min; saggiamente si decise di ricorrere alla trazione integrale, collegando ogni motore ad un assale diverso. Le ruote in uesto caso erano nuovamente solo uattro ma, essendo tutte motrici, il peso del veicolo poteva essere interamente sfruttato per l’aderenza. La vettura fu mantenuta entro dimensioni ragionevoli per la categoria, con una lunghezza di circa 8,7 m e una larghezza di 2,4 m, istallando i motori in parallelo, con una leggera angolazione rispetto al piano di simmetria

dell'automobile, in modo da far concorrere i loro assi di rotazione sui centri delle carreggiate; come conseguenza, il telaio a trave centrale era proflato a , per adattarsi alla disposizione scelta. Le carreggiate erano 1,53 m davanti e 0,93 m dietro, probabilmente per la stessa esigenza descritta per la Thunderbolt. Le sospensioni erano tutte indipendenti ed i freni posti sui differenziali per contenere le masse non sospese. Per risparmiare peso, i motori erano privi di volani e frizioni e per uesto il veicolo doveva essere avviato a spinta. Il peso totale era contenuto in poco più di tre tonnellate, anche grazie all impiego di leghe di alluminio innovative. La forma della carrozzeria fu accuratamente proflata in modo da ridurne la resistenza aerodinamica; non esisteva radiatore perché si fece uso di un sistema di raffreddamento a ghiaccio fondente, impiegato anche per contenere la temperatura dei freni. La carrozzeria era costruita in modo da essere facilmente separata dal telaio per tutte le operazioni di manutenzione e rifornimento, da eseguirsi prima della corsa di ritorno; essa poteva essere sollevata a mano da sei uomini. Nelle foto, Cobb presenta l’autotelaio ancora scoperto e si fa ritrarre nel claustrofobico posto di guida. In considerazione della posizione avanzata dell’abitacolo e dell’assenza di porte per non appesantire la

BIBLIOGRAFIA

World Land Speed Record, illiam oddy, otor Racing Publication 1951. Enciclopedia dell’Automobile, AAVV, Fabbri Editore 1967, vol. I, II e XI. Land Speed Record, Cyril Posthumus, sprey Publishing 1971. Milleruote, VV, ditori omus- e gostini, 1975, vol. V, VII e IX. Dizionario dei piloti, Tommaso Tommasi, ondadori ditore 1977. The Land Speed Record, Peter olthusen, aynes 198 . Coupé Gordon Bennett, Patric Bescueut, Editions du Palmier 2005. La più veloce, Giancarlo Genta, Massimo Grandi, e Lorenzo Morello, Edizioni ASI 2017. FIA World Land Speed Records, .fa.com

carrozzeria, Cobb doveva essere calato da una gru, a carrozzeria smontata, sul sedile. Lo stesso carro attrezzi che recava la gru era anche utilizzato per l avviamento del veicolo. Nelle immagini vediamo la Railton pecial del record del 1947, ora esposta, con la carrozzeria sollevata, al useo della cienza di irmingham. La Thunderbolt e la Railton s incontrarono a onneville nell estate del 1938; dopo molti tentativi, la Railton pecial, il 15 settembre, ottenne 5 3,380 m h ma la Thunderbolt, il giorno dopo, stabil il suo terzo record raggiungendo 575,080 m h. La Thunderbolt impiegata nel terzo record fu modifcata in alcune parti della carrozzeria e nel raffreddamento dei motori, adottando, anche in uesto caso, un serbatoio di ghiaccio fondente da attivarsi in caso di surriscaldamento. Anche la carrozzeria fu modifcata, allungandola di circa 1,3 m ma alleggerendola di circa 900 g; tuttavia, lecito pensare che il notevole miglioramento del record sia stato dovuto anche a un fondo più consistente. La Railton Special si prese la rivincita solo nell’anno successivo, il 23 agosto 1939, con 595,041 m h, l ultimo record omologato prima della econda guerra mondiale. La Thunderbolt, invece, cessò di competere, perché distrutta da un incendio mentre era esposta alla New Zealand Centennial xhibition, alla fne dello stesso anno.

l termine della guerra, Cobb pensò di rimettere in servizio la Railton pecial dopo aver introdotto alcune modifche, fra le uali le più importanti consistettero nell allungamento dei rapporti del cambio e nell’adozione di nuovi pneumatici Dunlop adatti ad arrivare a 400 mph, un limite che sembrava a portata di mano. Con uesta Railton pecial modifcata, ancora a onneville, il 1 settembre 1947, fu raggiunto il nuovo record di 33,803 m h, poco meno dell’obiettivo stabilito. Del piccolo scarto fu incolpato il fondo della pista non perfettamente consistente. uesto punto, essendoci proposti di limitare la storia delle auto da record ai soli veicoli che avessero in comune con le automobili almeno il motore a pistoni, potremmo chiudere la serie col diagramma riassuntivo ui esposto1, che riporta tutti i record assoluti omologati dalla I fno a uella data. Tuttavia, non possiamo esimerci dal mettere in evidenza alcune considerazioni che emergono dal tentativo successivo, eseguito da onald Campbell, il fglio di alcolm, che con la sua lue ird Proteus, il 17 luglio 19 4 a La e yre, un lago secco sito in ustralia, registrò un nuovo record a 48,783 m h. La luebird Proteus, sempre mantenendo lo schema a uattro ruote motrici, nel tentativo di raggiungere 500 mph circa 800 m h , aveva abbandonato il tradizionale motore a pistoni in favore di una turbina a gas, che in uegli anni molti costruttori Chrysler, I T, Rover ritenevano dovesse comparire sulle auto del futuro come già era accaduto sugli aerei. Il motore scelto, il Proteus, era stato progettato e costruito dalla ristol iddley per aerei a turboelica, e uindi era composto da un velocissimo turbocompressore e da una turbina separata, che comandava l’elica con un albero relativamente lento, facilmente adattabile anche al comando di ruote motrici. Esso era anche facilmente istallabile su un veicolo a trazione integrale, grazie alle uscite anteriore e posteriore dell’albero della turbina, e non necessitava di cambio e frizione, per la capacità di erogare una consistente coppia anche ad albero fermo; inoltre, il suo peso era inferiore a uello di un motore a pistoni e non richiedeva alcun sistema di raffreddamento. Pur capace di circa 4.000 CV, pesava appena a 4.000 g, uasi un cavallo per chilo. La nuova Bluebird, ora esposta al National Motor Museum di Beaulieu, nonostante il supporto di tutte le principali industrie inglesi, non ebbe un debutto facile e non riusc mai a raggiungere la velocità che si prefggeva i 1.000 CV aggiunti a uelli della Railton pecial avevano fatto crescere la velocità massima solo di 15 m h

GEORGE EYSTON

Nato il 28 giugno 1897 da una famiglia benestante a Bampton, nell’Oxfordshire, al contrario di molti che lo precedettero nel mondo delle corse e dei record, non era un autodidatta, ma un ingegnere laureato al Trinity College di Cambridge. Piuttosto alto e corpulento, uando era impegnato nella gui da era facilmente riconoscibile per gli occhiali. ra taciturno e con la testa reclinata da un lato ascoltava pazientemente discorsi ed esperienze dei colleghi e, senza commentarli, ne faceva eventualmente tesoro. llo scoppio della guerra, interrotti gli studi, si arruolò nel Reggimento del Dorset e successivamente fu destinato alla Royal Artillery. Il 18 luglio 1917 ricevette la ilitary Cross per il coraggio con il uale portò a termine diverse missioni di ricognizione sotto il fuoco nemico. Cessate le ostilità, lasciato il servizio militare con il grado di Capitano, ritornò al college per laurearsi. Incline alla ricerca e agli esperimenti innovativi, apr uno studio di consulenza, riuscendo a depositare numerosi brevetti sulle trasmissioni, sui freni a disco e sulla sovralimentazione, mettendo a punto il sistema Po erplus che fu adottato dalle idget e 3 agnette. omo coraggioso e dai numerosi talenti, amava la competizione ed era ancora studente allo tonyhurst College uando si cimentò, sotto false generalità, in diverse gare motociclistiche. Nel dopoguerra, mentre si affermava come consulente ed inventore, si dedicò con buoni risultati a corse automobilistiche di livello. Al volante di una ugatti T39, vinse il P di oulogne del 192 e l anno dopo, sempre con la Casa alsaziana, con una T35 , il P La oule; con la agnette, in coppia con Lurani, vinse anche la classe 1100 alla ille iglia del 1933; nel 1934 con la 3 agnette, il ritish mpire Trophy e la classe 1500 del P di Cecoslovacchia. a ricordare anche numerosi secondi posti registrati alla 24 re di pa del 29, con Ivano s y su lfa Romeo, alla Coppa d Irlanda del 1930, nel 32 al ritish mpire Trophy ed al Tourist Trophy su Riley. L incontro con ldridge - ottimo tecnico, pilota e detentore di numerosi record di categoria e di uello mondiale del 1924 - lo portò ai record, ritenuti se non più facili, certamente più lucrosi per il generoso montepremi messo in palio dalle industrie di accessori. ra i due nac ue un empatia, uindi una profonda stima, che sfociò nella collaborazione tecnica ed organizzativa dei record, suggellata dalla nomina di ldridge a Record ttempt anager di yston. I due con uistarono diversi record di categoria a ontlhéry, con macchine da loro costruite o messe a punto, e nel 1936 a Bonneville, con la Speed of Wind, numerosi altri sulle lunghe distanze. Rientrati in Inghilterra, si dedicarono con passione alla progettazione e realizzazione della Thunderbolt. Come si visto, il bolide era fortemente penalizzato dal peso. Questa carenza, non certo di progetto, era dovuta all impossibilità di usare costose leghe aeronautiche per la limitata disponibilità fnanziaria. Purtroppo, dopo l ultimo test prima del tentativo uffciale, ldridge, appena rientrato in Inghilterra, contrasse una grave polmonite che lo portò alla morte il 27 ottobre 1937, un mese prima che Eyston, il 19 novembre, con uistasse il suo primo record. Come lo storico William Boddy annotò, Eyston continuò da solo l opera di perfezionamento della Thunderbolt, che culminò con il record del 27 agosto del 1938. A metà settembre Eyston e Cobb si ritrovarono a Bonneville per un confronto serrato. bello ricordare che uei duelli ravvicinati si svolsero in un clima di sana rivalità, anzi di collaborazione, sempre in atto fra i due contendenti. Tuttavia, la lotta si interruppe, come si visto, con l incendio della Thunderbolt in un magazzino di ellington. urante la econda guerra mondiale, yston fu consulente di varie industrie e Controllore Regionale del inistero della Produzione Bellica. Rimasto attivo come consulente sino a tarda età, mor a Lambeth, sobborgo di Londra, l 11 giugno 1979. The Times del 23 settembre gli dedicò un ampio reportage. ltre alla ilitary Cross, yston fu insignito del Trofeo egrave nel 1935, nominato Cavaliere della Legione d nore nel 1938 e ffciale dell Impero britannico nel 1948.

Questo deludente risultato dimostrò chiaramente che la velocità massima delle auto da record non era solo determinata dalla loro potenza ma anche dalla capacità delle ruote di trasmetterla al suolo. Per migliorare i record sarebbe stato necessario non solo abbandonare i motori a pistone ma anche le ruote motrici, ricorrendo alla spinta di turbomotori a reazione montati su veicoli a ruote folli. uesto uanto si fece nelle auto da record successive, che a nostro giudizio, dell automobile avevano ormai ben poco; il record attualmente imbattuto stato omologato il 15 ottobre 1997 dal pilota della R ndy reen, che ha raggiunto 1227,98 m h ach 1,02 a bordo del Thrust C, un veicolo da 10 tonnellate con due turbogetti dalla potenza complessiva di circa 100.000 CV . Il prossimo veicolo, che si propone di arrivare a 1.000 mph circa 1. 00 m h , se troverà gli sponsor che si accollino le ingenti spese, non si accontenterà solo di un turbomotore a reazione ma farà anche uso di un razzo.

JOHN COBB

ohn Cobb nac ue il 2 dicembre 1899 a sher nel urrey, nei pressi del futuro autodromo di roo lands che fre uentò sin dall’adolescenza, affascinato dalle potenti e veloci auto in corsa. uo padre Rhodes era un ricco bro er di pellicce, con una vasta rete di negozi in tutto il Regno nito. ohn segu un regolare corso di studi e dopo l ton College passò al Trinity all di Cambridge. initi gli studi, il padre lo inser nell azienda di famiglia dove progred rapidamente diventandone uno degli amministratori. In uel tempo ohn era uno snello gigante dagli atteggiamenti tran uilli, e nulla lasciava presagire che nel 1925 uella antica passione per le corse sarebbe improvvisamente esplosa. c uistata una I T da ran Premio del 1911, esord a roo lands con buoni risultati, con uistando la vittoria nell ssex est eeting. ra il 192 ed il 1927, continuò a correre con ualche successo a roo lands, al volante di allot, Riley, lfa Romeo e Talbot, fnché nel 1928, ac uistata una elage P del 25, attratto dall imperante mito della velocità, iniziò la sua carriera di recordman, alternandola alle classiche competizioni. Nel 1932 commissionò a Reid Railton una specialissima vettura adatta sia ai record che alle gare in pista, la Napier-Railton, dotata di un propulsore a 12 cilindri di 23.970 cm3, capace di 580 CV a 2 00 giri min, trazione integrale, cambio a tre velocità e una flante carrozzeria aerodinamica. Con uesto bolide, fra il 33 ed il 37, Cobb stabil numerosi record di categoria a roo lands, ontlhéry e onneville. roo lands, oltre a trionfare nelle 500 iglia del 35 e del 37, stabil il 7 ottobre del 35 il PV a 230,84 m h, rimasto imbattuto sino alla chiusura della pista. Nel 1937, ormai deciso a tentare il record assoluto, depositò presso le ffcine Thomson Taylor il suo bolide, che, tuttavia dopo la guerra, fu protagonista di una curiosa storia, che merita di essere riportata. u prima ac uistato dal produttore del flm Pandora and the Flying Dutchman, dove performò una pazza corsa a Pendine ands, guidata dal recordman tephen Camerun Nigel Patric , al uale Pandora va ardner chiese come prova d’amore la distruzione dell’amato bolide, salvo autorizzarlo poi al recupero. uccessivamente, fu ac uistato dalla Parachutes e modifcato per apparire come un caccia, in fase di atterraggio, frenato dal paracadute. Fu in seguito esibito dal famoso collezionista Patri Lindsay in numerosi eventi storici. i nostri giorni, perfettamente restaurato, esposta nel roo lands useum. urante il confitto Cobb, licenziato aviatore nel 1924, fece parte della Royal Air orce sino a 1943 uando, con il grado di Capitano, fu trasferito all ir Transport Auxilary. Nel 1947 Cobb convolò a nozze con lisabeth itchel- mith che mor 14 mesi dopo, colpita dal morbo di right. Nel 1950 sposò Vera Victoria Henderson, nata nel 1917 e deceduta nel 2007. La guerra, cos come un giorno era iniziata appena una settimana dopo il suo terzo record, un giorno fn ed i tempi furono maturi perché un Cobb, un po appesantito, ma non arrugginito, stabilisse il 1 settembre 1947, con una versione aggiornata della Railton Special denominata Railton Mobil Special, il nuovo e ultimo record, rimasto imbattuto per diciassette anni. Come Campbell, Cobb si dedicò anche al record sull ac ua, ma al contrario del suo amico l impresa gli fu fatale. Infatti, il 29 settembre 1952, un onda anomala delle gelide ac ue scozzesi del Loch Ness disintegrò il Crusader, uando aveva già raggiunto 312 m h. Nel 1975 il flm The Mysterious Monster avanzò l’ipotesi che l’onda anomala fosse stata causata da Nessie, il mostro del lago. Cobb riposa nel cimitero di Christ Church ad Esher, nei pressi della rove ouse state, residenza storica della sua famiglia, demolita negli ultimi anni del 900. al 2017, una lapide commemorativa fu posta nel prato della Cranmer Primary School, costruita dove un tempo sorgeva la rove ouse.

BITURBO

LA RIVINCITA

Ai raduni di auto sportive, quando si chiacchiera con appassionati “dalla sessantina in su”, un ricordo affora con sorprendente frequenza: nei garage di molti di essi, negli anni ’80, almeno una Biturbo è passata, anche solo per un breve periodo. Non poteva essere altrimenti, d’altronde: agli occhi di chi amava le belle auto, quanto svelato alla presentazione nel dicembre 1981, aveva del sensazionale. Una coupé compatta, ma con un interno spazioso e opulento; una linea elegante ma non vistosa, come era imperativo di quegli anni; novità tecnologiche e prestazioni da sportiva di razza, senza oltrepassare il confne, fscale e psicologico, dei due litri di cilindrata. Dotazioni di categoria superiore, e un marchio di prestigio come Maserati, prima di allora appannaggio di pochi ricchi, che improvvisa-

OGGETTO DEL DESIDERIO DEGLI ITALIANI NEI PRIMI ANNI ’80, LE MASERATI BITURBO HANNO POI SUBITO UN CROLLO DI VENDITE E DI IMMAGINE CHE LE HA CONDANNATE A UN LUNGO OBLIO. TUTTAVIA OGGI, A QUARANT’ANNI DAL DEBUTTO, STANNO TORNANDO IN AUGE TRA GLI APPASSIONATI, PER VIA DEI CONTENUTI TECNICI, DELLE PRESTAZIONI, E DI QUOTAZIONI CHE, PUR IN CRESCITA, SI MANTENGONO ANCORA ACCESSIBILI.

di Claudio Ivaldi

mente strizzava l’occhio alla media borghesia rampante di quegli anni, debuttando nei segmenti oggi defniti “premium”. Già, perché oltre a tutto questo, ciò che fece davvero scalpore alla presentazione della Biturbo era il prezzo di listino, al di sotto dei venti milioni di lire, poco più di un’Alfetta GTV, molto meno di una Porsche 924 Turbo. Troppo bello per essere vero, veniva quasi da pensare; ci sarà sotto qualcosa - sussurrarono i maliziosi - dal momento che l’artefce del “miracolo” era quella vecchia volpe di Alejandro De Tomaso, abile e vulcanico “car guy”, trasformatosi in pragmatico e disinvolto imprenditore, con una preziosa rete di amicizie oltreoceano e nei palazzi della politica, ma che per i suoi metodi poco ortodossi era visto con sospetto da stampa e sindacati. E in effetti qualcosa di anomalo, dietro alle quinte di quel progetto, c’era: non nasceva solo dall’esigenza di rilancio della Maserati, ma rispondeva a una serie di complesse logiche politiche, industriali e sindacali, sull’asse RomaModena-Milano. Tramite la fnanziaria pubblica GEPI, infatti, lo Stato aveva elargito i fondi per salvare Maserati e Innocenti, affdandone la gestione a De Tomaso, ma in cambio pretendeva rapidi riscontri occupazionali. Ecco allora l’idea di una vettura Maserati accessibile, i cui elevati numeri produttivi avrebbero garantito il rientro dalla cassa integrazione, a Modena dove si sarebbe prodotta la meccanica, e soprattutto a Lambrate dove era previsto l’assemblaggio fnale. Ma proprio questo contesto in cui è stata concepita, fnirà per segnare negativamente la vicenda di quest’auto.

Il progetto Biturbo, infatti, sarà condizionato da due problemi di fondo. Il primo è la fretta: messo con le spalle al muro da politici e sindacalisti, De Tomaso è costretto ad accelerare i tempi di messa in produzione, non consentendo alla vettura di benefciare di un adeguato sviluppo. L’altro è una progettazione in economia: la smania di tenere basso il prezzo di listino, per garantire numeri di vendita elevati, porterà ad alcune cadute di stile, imperdonabili su una Maserati: dalle lamiere cagionevoli, all’uso di materiali non all’altezza (per quanto appariscenti) negli interni, fno all’adozione di componenti tecnici poco raffnati, come la scatola guida della Fiat 131 e le sospensioni posteriori ispirate alla Bmw Serie 3 E21, che penalizzeranno il comportamento stradale, oltre a un anacronistico carburatore al posto dell’iniezione, quasi “obbligatoria” sui motori sovralimentati. La Biturbo eccelle invece in ciò che si riesce a progettare “in casa”, laddove la bravura dei tecnici non deve sottostare ai diktat di riduzione costi dell’uffcio acquisti. A partire dalla linea: il compito viene affdato a Pierangelo Andreani, in forza al gruppo come designer Moto Guzzi, che realizza un piccolo capolavoro stilistico per armonia di proporzioni, eleganza e sobria sportività. E soprattutto, il motore. I tecnici Ennio Ascari e Walter Ghidoni progettano ex-novo (contrariamente a quanto spesso si legge, non vi è alcuna derivazione da quello della Merak) un V6 che è un vero gioiello di tecnologia. Primo motore stradale al mondo con doppia sovralimentazione, e primo in Europa con tre valvole per cilindro, il “Biturbo” batte vari record, ponendosi al debutto come il due litri più potente (184 CV) sul mercato. E poi è robusto e ben costruito, non consuma olio nemmeno ad elevati chilometraggi. Le due piccole turbine IHI che operano in parallelo, riducono l’inerzia del 75%, dando una coppia generosa e un’erogazione più pronta rispetto agli altri “turbo” del periodo e una spinta notevole, con il tipico “calcio nella schiena”. Le prestazioni sono entusiasmanti: 215 km/h e accelerazione 0/100 in soli 6,5”, un dato “best in class”, all’epoca alla portata di pochissime supercar. Alla presentazione, la Biturbo si rivela un successo oltre ogni aspettativa, con un clamore mediatico che mette in apprensione la concorrenza.

IN UN LIBRO TUTTA LA BITURBO

Quest’opera, presentata in anteprima durante l’evento “40° Anniversario Biturbo”, colma un vuoto: è infatti il primo e unico libro in lingua italiana a trattare a posteriori l’intera vicenda della Biturbo e delle sue molteplici derivate, coprendo vent’anni di storia del marchio. L’autore ha indagato tutti gli aspetti di quella storia, intervistando i protagonisti dell’epoca, analizzando vari documenti, classifcando minuziosamente i dati, avvalendosi della preziosa collaborazione dell’Archivio Storico Maserati. Ne è uscito un volume di oltre 400 pagine, che si pone come riferimento per chiunque voglia saperne di più su quella generazione di Maserati. www.erabiturbo.it

La clientela pare letteralmente impazzita per la nuova Maserati, vista come un sogno realizzabile, e prende d’assalto i concessionari, con le liste di attesa che si allungano a dismisura. Poche volte si era visto un simile entusiasmo per l’arrivo di una nuova auto, di certo mai per una sportiva. E il tutto sulla carta, senza vederla dal vivo. All’inizio del 1982, l’intera produzione dell’anno è di fatto già prenotata, con le caparre che generano un’iniezione di liquidità provvidenziale per ultimare lo sviluppo della vettura e portare il bilancio in attivo. Rispetto alle dichiarazioni della presentazione, tuttavia, l’inizio delle consegne continua a slittare, e parallelamente sale il prezzo di listino (non “bloccato” all’ordine). Ciò inizia a minare la credibilità della Maserati, a raffreddare gli entusiasmi e a spazientire chi attende la consegna. I primi esemplari di Biturbo vengono consegnati a partire da maggio 1982, ma si rivelano acerbi e spesso problematici. Non è solo l’auto in sé a dare qualche grattacapo di troppo, con numerosi difetti di gioventù, ma concorrono anche fattori esterni, come una certa impreparazione della clientela (in particolare quella “parvenu”, che proviene da marchi generalisti) e della rete di assistenza (per ampliare la quale si decide di affdarsi alle offcine Innocenti). Intanto, però, le vendite continuano ad andare a gonfe vele, anche grazie all’arrivo del modello 2,5 litri da esportazione, e di nuove varianti di carrozzeria. Alla fne del 1983 vedono la luce la versione sportiva “Biturbo S”, dotata di intercooler e di un’estetica più aggressiva, e la berlina a quattro sportelli “Biturbo 425”, mentre al Salone di Torino del 1984 viene svelata la Biturbo Spyder, due posti a passo corto, disegnata e assemblata dalla Zagato.

Ma viene affnata anche la Biturbo “base”, con importanti migliorie, come le turbine raffreddate ad acqua e un nuovo differenziale autobloccante. Tra il 1982 e il 1985 la Maserati miete record di vendite e mantiene i bilanci in attivo, consolidando la propria posizione commerciale. Tuttavia, a partire dal 1986, il successo della Biturbo inizia a declinare. L’eco dei problemi dei primi esemplari, per quanto in gran parte risolti, raffredda le vendite in Italia, mentre negli USA, dopo un exploit iniziale, sulla Biturbo si abbatte la scure dell’ente governativo NTHSA, a causa di rarissimi, ma comprovati casi di incendio innescati dal catalizzatore. Le vendite crollano, il bilancio Maserati ripiomba in rosso, e torna la cassa integrazione a Lambrate. Nemmeno la tanto invocata adozione dell’iniezione elettronica, che regolarizza il funzionamento della vettura, riesce a invertire la tendenza. A livello industriale e fnanziario, De Tomaso tampona la situazione grazie a un accordo produttivo con la Chrysler dell’amico Lee Iacocca, mentre le vendite Maserati rimangono in affanno, nonostante l’ampliamento e un generale rinnovamento della gamma nel 1988, con l’abbandono del nome Biturbo - commercialmente bruciato - e un apprezzabile miglioramento della qualità costruttiva. Così, alla fne del 1989 viene siglato un accordo con la Fiat, che acquisisce il 49% del gruppo Maserati-Innocenti, per arrivare alla totalità del pacchetto azionario nel 1993, quando De Tomaso si ritira a causa di gravi motivi di salute. Negli anni in cui erano auto usate, le Biturbo (specialmente i primi esemplari) si sono parecchio svalutate, spesso fnendo in mano a personaggi poco consoni al blasone del marchio, talvolta perfno rottamate quando particolarmente malconce. Relegate al ruolo di cenerentole tra le sportive emiliane, per molto tempo hanno faticato a farsi apprezzare come auto da collezione. I luoghi comuni sull’inaffdabilità, il timore degli elevati costi di manutenzione e una stampa di settore che più volte ha gratuitamente inferito, non hanno permesso di riconoscere appieno l’importanza storica e le molteplici qualità di cui sono dotate. A chi sa guardare oltre e impara ad apprezzarle, invece, si rivelano auto ricche di fascino, prestazionali e appaganti alla guida, con interni dai toni caldi della tradizione artigianale italiana. Inoltre, alle Biturbo va dato atto di aver garantito, pur tra alti e bassi, la sopravvivenza del marchio in anni diffcili, e di aver regalato a molti appassionati “normali”, non necessariamente benestanti, l’emozione di possedere una Maserati. Tuttavia, da qualche anno il vento è cambiato a favore di questi modelli. I giudizi più severi si sono stemperati, e il ricambio generazionale ha portato i quarantenni che oggi si affacciano al collezionismo a guardarle con simpatia, come ricordo d’infanzia degli anni della “Milano da bere”, di cui rappresentano un’indiscussa icona, immortalata in vari flm del periodo. Il rinnovato interesse ha contribuito a smuovere anche le quotazioni, che da anni stagnavano nei bassifondi dei listini, ma

GAMMA COLORI BITURBO (1982)

Avorio “Pale Tigereye” pastello, Amaranto “Dark Garnet” pastello, Grigio Medio “Smoky Quartz” metallizzato, Grigio Scuro “Dark Smoky Quartz” metallizzato, Marrone “Dark Golden Beryl” metallizzato, Blu “Dark Aquamarine” metallizzato. Per tutti: interni in Vellutino Millerighe Beige (a richiesta pelle Amaranto).

ancora oggi la maggior parte di questi modelli resta più che abbordabile. Non esiste, d’altronde, altra auto che al prezzo di un’utilitaria (quando non di uno scooter) offra un simile concentrato di tecnologia, lusso e prestazioni, unite a un marchio di tal prestigio. Oggi come da nuove, quindi, le Biturbo sono accessibili a molti, ma non sono auto per tutti: a livello di guida e di manutenzione necessitano di cautele, attenzioni e amorevoli cure. Grazie alle quali, paradossalmente, risultano più affdabili oggi di quando da nuove venivano strapazzate nel quotidiano. Quindi non sono indicate per gli smanettoni amanti del drifting, o per chi è abituato a lesinare sulla manutenzione, e questo va tenuto presente anche in fase di acquisto, evitando i relitti da restauro totale, in favore di esemplari in ottime condizioni, perché i ripristini di queste auto sono onerosi, trattandosi pur sempre di Maserati. È questo un concetto importante da sottolineare, anche a livello storico: a differenza del basso di gamma di altri marchi di lusso, le Biturbo sono auto genuine, Maserati al 100%, senza sinergie o condivisioni con modelli di larga produzione. Figlie di un’avventura ambiziosa e a tratti romantica, di una piccola azienda come la Maserati che, con mezzi limitati ma tanta passione, ha sfdato colossi come Bmw e Mercedes nei loro segmenti d’elezione, mantenendo nel contempo anche una febile concorrenza interna all’auto italiana. Un’impresa non del tutto riuscita a medio-lungo termine, ma che per il coraggio merita di essere ricordata con rispetto e ammirazione. Si ringraziano per la competenza e la collaborazione il Club federato ASI Maserati Club Italia e, per l’infnita disponibilità e cortesia, i proprietari delle vetture del servizio Mario Audo Gianotti, Riccardo Frola, Germano Bongioanni e Antonio Scarpetta.

LA 5^ GIORNATA NAZIONALE DEL VEICOLO D’EPOCA IN TUTTE LE PIAZZE D’ITALIA

L’ASSOCIAZIONE AMICI DEL TRATTORE D’EPOCA

ha riunito gli amici appassionati di mezzi agricoli di tutti i tipi a Castello di Godego (TV), dove si è svolto un grande raduno e, il presidente della Commissione Macchine Agricole e Industriali ASI Gianfranco Tardioli, ha tenuto un convegno per illustrare le novità dell’articolo 60 che, finalmente tutela anche i veicoli da lavoro storicizzati. La SCUDERIA MARCHE di

Macerata ha portato i suoi soci sulle strade di una storica gara in salita, la Tolentino-Colle Paterno, rievocandola: è stato il clou di una “due giorni” all’insegna della cultura, di paesaggi mozzafiato e della regolarità, con l’attraversamento dei territori di Tolentino e San Severino Marche. A vincere il già trionfatore del Campionato Italiano Regolarità Gianpaolo Paciaroni su Autobianchi A112.

Il CAEM SCARFIOTTI di Monte-

cassiano ha messo insieme 40 storiche iconiche di tutti i tempi per dar vita a “Le Storiche in Piazza”, tenutasi a Civitanova Marche: si andava dalla Bianchi Tipo 15 del 1919 alla Simca Rally 2 del 1978, passando dalle Alfa Romeo 6C, Lancia Aprilia, Augusta, Ardea, Aurelia, Appia, Flaminia, Fulvia e Flavia, Fiat 1500, 509 e Topolino, 500 D, 600 Multipla fino alle straniere Ford A, Citroen Traction Avant, VW Maggiolino, Mercedes 190 SL.

Il CAR CLUB CAPITOLINO di

Roma, ha deciso di celebrare la Giornata Nazionale del Veicolo d’Epoca nell’ariosa location di Spazio Ardeatina: tantissimi soci e appassionati, grandi e piccini, con le vetture più disparate, tutti accomunati da una grande passione, hanno passato una bella giornata insieme godendo anche del clima ancora estivo. L’ADRIATIC VETERAN CARS CLUB di

Riccione, sfruttando la bellissima giornata di questa lunga estate, ha chiamato a raccolta i propri soci sul bellissimo lungomare della perla della Riviera Romagnola, parcheggiando le auto - le più diverse, di tutte le epoche - sotto la scritta che campeggia in Passeggiata Goethe, sul centralissimo lungomare. Tantissimi i curiosi e gli appassionati accorsi.

Il CLUB MESSAPIA A.S. di Ugento ha legato la sua Tesori di Messapia complice la splendida giornata, oltre 150 veicoli tra auto e moto d’epoca hanno fatto bella mostra nella splendida cornice di Piazza San Pietro in Galatina (LE) per la soddisfazione degli appassionati e dei tanti curiosi che un appuntamento come questo è in grado di attirare. Diverse le vetture e le moto anteguerra.

Il TOPOLINO CLUB LIVORNO ha impostato la

sua Giornata tutta nella sua città: la mattina con l’incontro presso la celebre Rotonda dell’Ardenza, sul Lungomare di Livorno, nel pomeriggio con la sfilata per raggiungere la Rafneria ENI (ex Stanic) dove il Direttore ha accompagnato i partecipanti in una visita esclusiva. All’evento ha collaborato anche il Moto Club Livorno con una esposizione di 2 ruote fra le quali una Guzzi 500. Il CLUB FRENTANO RUOTE CLASSICHE

di Lanciano, insieme con l’OLD MOTORS ABRUZZO di Pescara, hanno “unito le forze” per regalare ai propri soci una giornata all’insegna della cultura e delle eccellenze enogastronomiche del territorio a bordo di veri gioielli: clou dell’evento è stata la visita del Castello longobardo di Roccascalenga (CH), celebre per la sua posizione a picco sulla roccia.

Lo SPORT CLUB IL VELOCIFERO di Rimini ha voluto dedicare la Giornata a Bruno Baccari presso la sua Modigliana, dove auto, soci e cittadinanza si sono incontrati in occasione dell’inaugurazione di una piazza a lui dedicata. La carovana si è poi spostata fra i centri di Faenza e Brisighella, condividendo una bella giornata in amicizia e passione.

La SCUDERIA KINZIKA di Pisa, insieme col Vespa Club Pisa, ha dato la possibilità ai suoi soci di visitare lo stabilimento e il Museo Piaggio di Pontedera, lì dove è nato il mitico scooter e che oggi è meta di “pellegrinaggio” di tantissimi appassionati. Un perfetto connubio tra due ruote, quattro ruote e perfino aerei, elicotteri e treni, tutti mezzi costruiti dal Marchio toscano.

Il CLUB MARCHIGIANO AUTO MOTO STORICHE PICENUM, di

Ascoli Piceno ha organizzato una manifestazione con oltre 70 auto presso la splendida cittadina di Ofda (AP). Per omaggiare il tricolore campeggiavano sotto l’arco gonfiabile tre autovetture con i colori della bandiera Italiana. Per salutare i partecipanti la festa si è conclusa con un pranzo finale. L’HERMITAGE VETERAN ENGINE di Forlì, ha come di consueto pacificamente invaso la centralissima piazza Aurelio Saf con i mezzi dei tanti soci partecipanti, ai quali si sono aggiunti curiosi, visitatori e turisti in numero davvero eccezionale, come non si vedeva da anni, decretando il successo dell’evento.

Il CLUB GUBBIO MOTORI ha aderito all’invito dell’ASI regalando ai cittadini e a i tanti turisti che hanno afollato, in una bellissima domenica di sole, la celebre cittadina umbra, un vero e proprio museo motoristico a cielo aperto: tante vetture rare, anche alcune anteguerra, hanno reso ancora più afascinante l’atmosfera rinascimentale del bellissimo borgo.

Il VETERAN CAR CLUB VITERBO, ha festeggiato la Giornata Nazionale dando l’appuntamento a soci e amici in Largo Garbini, dove si sono trovate un bel numero di auto e moto d’epoca e i loro proprietari hanno potuto salutarsi e passare una mattinata in compagnia presso il gazebo installato dal club. La SCUDERIA VELTRO di Cuneo, per la Giornata, ha raddoppiato: il sabato ha organizzato la Mostra Mercato “Vintage Garage” nel capoluogo dove ha sede e domenica si è invece unita al club Ruote d’Epoca di Cherasco per la visita di quest’ultimo, bellissima cittadina d’origine medievale che sorge sulle prime alture langarole, tra cuneese e albese, importante crocevia degli itinerari napoleonici.

Il CLASSIC CAR CLUB MOLISE ha or-

ganizzato la Giornata a Vinchiaturo (CB), antica località crocevia di antichi popoli dove gli equipaggi hanno potuto deliziarsi della visita dell’Eremo di Santa Maria di Guglieto e del Borgo del paese, rimasto intatto come fu creato e modificato durante il Medioevo. Il tutto è stato condito da una sfilata delle auto e dalla degustazione di prodotti tipici locali.

Il VETERAN CAR TEAM BOLZANO ha portato i par-

tecipanti della Giornata alla scoperta di una chicca storiconaturalistica sconosciuta ai più: il Laghetto di Varna, piccolo comune alle porte di Bressanone dove l’acqua, nonostante la limpidezza, non è balneabile: qui infatti, l’Armata Tedesca in ritirata, scaricava le munizioni prima che il treno varcasse il passo del Brennero. Il VETERAN CAR CLUB PIEMONTE ha radunato i suoi

soci con le loro vetture nella cittadina dell’area metropolitana torinese di Caselle, famosa perché, sul suo territorio, insiste l’Aeroporto Sandro Pertini di Torino. Qui, il variegatissimo panorama di mezzi presenti in piazza Boschiassi, dall’anteguerra ai primi ‘2000, ha allietato curiosi e pubblico in un clima di festa.

Il piemontese REGISTRO AUTOBIANCHI, presso il paese dove ha la sede operativa, Pasta di Rivalta (TO), ha voluto un esemplare per ogni modello della produzione della Casa di Desio che il Registro tutela e promuove - Bianchina Trasformabile, Cabriolet, Panoramica e Giardiniera, la spider Stellina, A111, Primula, A112 e A112 Abarth e infine Y10 - per una bella foto di gruppo con i rispettivi proprietari, da inserire negli annali. Gli amici della VASTO VEICOLI STORICI,

dopo la colazione al Club, sono partiti per la Puglia, per raggiungere Lesina, caratteristica località che sorge sull’omonimo lago ai piedi del promontorio del Gargano. Dopo il tour della cittadina, i mezzi sono stati esposti nella bella piazza sul lungolago. I partecipanti hanno poi visitato l’interessante Centro Visita del Parco Nazionale del Gargano.

Sono state ben 89 le auto che il CIRCOLO RUOTE CLASSICHE RODIGINO ha messo insieme per un bel giro nella provincia veronese, in particolare con la visita a Marega, località del comune di Bevilacqua e la successiva visita alla Villa Cainaqua che sorge a Caselle di Pressana: costruita tra il XV e il XVII secolo, è sempre stata dimora privata di famiglie notabili della zona.

Centinaia di persone hanno potuto ammirare le 40 le auto esposte al Centro Agrocommerciale di Legnaia a Firenze dal TOPOLINO CLUB FIRENZE. Per questa occasione è stata organizzata una conferenza tenuta da Massimo Grandi della Commissione Cultura ASI sulla mitica Ferrari 250 GTO di Giotto Bizzarrini; a seguire è avvenuta la piantagione di uno dei numerosi alberi che verranno piantati dal Club per compensare le emissioni di CO2. La SCUDERIA ROMANA LA TARTARUGA

ha celebrato il 75° Anniversario della prima vittoria della Scuderia Ferrari sul Circuito di Caracalla, con un tour di auto e moto per le vie del centro storico della Capitale. L’occasione è stata anche quella di sottolineare lo stato di degrado nella quale versa la targa apposta da La Tartaruga nel 1997, in occasione dei 25 anni, che ha suscitato la tempestiva istanza del Consigliere Comunale Fabrizio Santori all’Amministrazione. Erano presenti anche gli amici del CIRCOLO ROMANO LA MANOVELLA.

L’ASAS di Siracusa ha ambientato la Giornata in un verde parco a due passi dal plurisecolare Teatro Greco di Siracusa, il più grande della Magna Grecia. Partecipanti e spettatori sono poi stati invitati a un rinfresco a base di delizie locali, circondati dal virescente rigogliosissimo papiro, irrorato dal millenario acquedotto greco, orgoglio della città.

La MANOVELLA DEL FERMANO

ha invitato i suoi soci, non solo a portare la propria vettura in piazza del Popolo a Fermo (dove sono state disposte per… colore!) ma anche, molto semplicemente, ad usare il proprio veicolo per l’intera giornata, anche solo per andare a prendere un cafè. Il risultato è stato che gruppetti si sono radunati nei piccoli centri e hanno confluito a Fermo. Molti poi, hanno proseguito l’incontro sul lungomare di Porto Sant’Elpidio.

Il CLUB CATANZARO CORSE, con il CLUB NAUSICAA VETERAN CAR di Soverato e l’ACCADEMIA

COSENTINA, hanno permesso ai loro soci un tufo nei panorami e nelle millenarie terre che da Soverato “scendono” verso il mare di Catanzaro Lido per raggiungere Santa Severina (KR), sfondo ideale per riunire le epoche, quelle dei luoghi e quelle delle 50 auto partecipanti.

Il CLUB ANTICHI SANNITI

di Piedimonte Matese (CE), ha radunato i soci a Mignano Monte Lungo da dove, dopo la visita del Castello di Ettore Fieramosca con le sue splendide stanze e rigogliosi giardini, accolti da figuranti in costume, tutti insieme, ci si è recati al Sacrario Militare di Mignano, per onorare gli Eroi Caduti per la Patria. Il CLUB TRE MONTI VEICOLI

D’ALTRI TEMPI ha organizzato una esposizione statica in piazza Gagliardi a Montesano sulla Marcellana, dove i partecipanti hanno anche potuto visitare il bellissimo duomo dedicato a Sant’Anna e, soprattutto, “scalare” le sue guglie, per poter abbracciare con lo sguardo l’intero Vallo di Diano e i Monti della Maddalena.

Sono stati ben 3 in tutta Italia i raduni organizzati dal CLUB NAZIONALE X 1/9, tenutisi a Cassino, in Lazio e a Erice e Marzamemi, in Sicilia. L’occasione era infatti, anche quella dei festeggiamenti per i 50 anni della spiderina torinese. A Erice le vetture hanno raggiunto Monterice e poi sono rimaste esposte in piazza Della Loggia, in Lazio, presso la celebre Abazzia di Montecassino e a Marzamemi presso il porticciolo e poi in visita al Castello Tafuri di Portopalo e al Parco Forza di Ispica. Il CLUB ROMBO

ARCAICO di Gravina in Puglia, ha organizzato un Concorso d’Eleganza nella città che lo ospita, in piazza Arcangelo Scacchi, addobbata a festa col gonfiabile del club, le bandiere e gli stendardi. L’occasione è stata una bella mostra statica di 30 vetture e 20 moto, che il foltissimo pubblico ha votato. Al pranzo di commiato in modalità “finger food”, hanno presieduto sindaco e i responsabili degli enti.

Il REGISTRO STORICO

BENELLI di Pesaro in collaborazione con il REGISTRO RUDGE ha espo-

sto nel giardino del Museo Benelli circa 40 moto tra cui la Benelli 500 da competizione guidata da Mike Hailwood, e la Galbusera guidata da Aldrighetti. Per tutta la giornata il museo è rimasto aperto al pubblico con ingresso gratuito.

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