TerrAmica Num. 8 - 2018

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ANNO V

N° 8

CONOSCERE LA TIGNOLA DEL POMODORO TECNICHE DI FILTRAZIONE DEL VINO SCOPRIAMO IL CANE DEI BALCANI ORGANIZZARE UN TREKKING A CAVALLO

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EDITORIALE 4 5

"Novel Food": pericolo di Flavio Rabitti o opportunità? Uno sguardo al Comitato di Redazione COLTIVAZIONI

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sommario

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La Tignola del Pomodoro

La Tignola del Pomodoro Gli "Ortisti per caso" dell'Agrario di Firenze Impianto di un vigneto a Zababdeh in Palestina Conosciamo il digestato

di Marco Gimmillaro di Federica Scarpelli di Francesco Marino di Eugenio Cozzolino

ZOOTECNIA 20 24

Io sono un poligastrico... e tu? Le quote latte: il punto

di C. Papeschi e L. Sartini di Ivano Cimatti

ANIMALI DA COMPAGNIA

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Il Tornjak, il cane dei Balcani Dal Salento, un piccolo grande orgoglio italiano

di Federico Vinattieri di Federico Vinattieri

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La filtrazione del vino

Il cane dei Balcani

AGROALIMENTARE ITALIANO

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ANNO V - N° 8 - GENNAIO 2018 DIRETTORE EDITORIALE: FLAVIO RABITTI

Impaginazione e grafica: Flavio Rabitti

Direttore responsabile: Marco Salvaterra

Reg. Tribunale di Firenze nr. 3876 del 01/07/2014

Periodicità: Semestrale

Stampa: Tipografia Baroni e Gori srl Via Fonda di Mezzana, 55/P 59100 - Prato

Redazione: Cristiano Papeschi (Responsabile scientifico Zootecnico), Eugenio Cozzolino (Responsabile scientifico Coltivazioni), Marco Salvaterra, Marco Giuseppi, Flavio Rabitti, Luca Poli, Lapo Nannucci

Sommario

La filtrazione del vino Il formaggio in cucina Responsabilità penali nella filiera agro-alimentare Le storie del cibo: Le carote • La ricetta: Torta di carote

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TerrAmica - Rivista Associazione di Agraria.org Sede legale: Via del Gignoro, 27 - 50135 - Firenze C.F. 94225810483 - associazione@agraria.org www.associazione.agraria.org

Foto copertina: Leonardo Graziani

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Gli autori si assumono piena responsabilità delle informazioni contenute nei loro scritti. Le opinioni espresse dagli autori non impegnano la rivista e la sua direzione.

di Marco Sollazzo di C. Ribolzi e G.L. Pizzato di Ivano Cimatti di Pasquale Pangione

AMBIENTE, FORESTE E NATURA 44 48 51 54

di Piero Puliti Funghi... che passione! Come organizzare un di G. Navarra, E. Verdiani trekking a cavallo Equitazione: molto è cambiato, di Gianni Marcelli ma non tutto Il marketing per le aziende di Francesco Zenobi agrituristiche

SPECIALE ISTITUTI AGRARI 56 60

L’Istituto Agrario di San Michele all'Adige

di L. Poli e F. Rabitti

ASSOCIAZIONE DI AGRARIA.ORG

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"Novel Food": pericolo o opportunità?

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ganizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura) promuove questo genere di iniziativa, dichiarando che si tratterebbe di una soluzione in grado di fornire proteine di alto valore biologico in modo più economico e sostenibile di molte altre. In Svizzera è già dal 21 agosto scorso che è permesso consumare grilli, cavallette e vermi della farina; per la

tremmo trovare in futuro sulle nostre tavole. Dobbiamo scandalizzarci o cogliere questa nuova opportunità? La risposta non è semplice, soprattutto in un Paese come il nostro che basa la propria storia e tradizione sul cibo e sulla buona cucina. Però forse qualcosa di "buono" in tutto ciò esiste (senza niente togliere alla presunta bontà dei nuovi alimenti): il nuovo Regolamento UE infatti apre alla vendita ma anche alla produzione degli insetti a fini alimentari. Questo vuol dire che il nostro settore è in qualche modo chiamato in gioco e che qualche lungimirante imprenditore potrebbe cogliere al volo questa nuova opportunità. Infatti, lo stesso Regolamento, autorizza a fini alimentari solamente gli insetti allevati; questi dovranno provenire, inoltre, da stabilimenti che rispettano determinate norme igienico-sanitarie richieste dalla legislazione. D'altro canto è già da qualche anno che la FAO (L'Or-

legislazione elvetica, gli insetti destinati all'alimentazione umana, devono inoltre provenire dalla quarta generazione di insetti allevati per essere considerati commestibili. La normativa di riferimento ancora non è molto chiara e, anche se forse l'Italia non è ancora pronta per mettere in pratica il nuovo Regolamento, oramai la strada è stata delineata e dobbiamo in qualche modo prendere atto della novità in arrivo. Chissà se fra qualche mese nel menu di qualche ristorante stellato troveremo in carta anche un invitante tagliolino "grilli e tartufo". Buon appetito!

Editoriale

al 1° Gennaio 2018 entra in vigore il nuovo Regolamento UE sui "Novel Food" (ovvero i nuovi alimenti); la novità è significativa, dato che nella lista degli alimenti autorizzati nei paesi europei entrano a far parte anche alcuni insetti interi. Il baco da seta, le farfalle delle palme, le cimici d'acqua, i vermi della farina, i grilli e le tarantole sono solo alcuni degli insetti che po-

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Flavio Rabitti Direttore editoriale Rivista TerrAmica

Editoriale


Uno sguardo al Comitato di Redazione di TerrAmica Cristiano Papeschi (Responsabile Scientifico Settore Zootecnico): laureato in Medicina Veterinaria presso l’Università di Pisa, specializzato in Tecnologia e Patologia degli Avicoli, del Coniglio e della Selvaggina presso l’Università di Napoli, è attualmente in servizio presso l’Università degli Studi della Tuscia (Viterbo); già collaboratore di numerose riviste tecniche a carattere zootecnico e veterinario, membro di comitati scientifici e di redazione. Eugenio Cozzolino (Responsabile Scientifico Settore Coltivazioni): diplomato presso l’Istituto Tecnico Agrario Statale “De Cillis” e laureato in Scienze Agrarie presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Napoli “Federico II, lavora presso il Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura. Marco Giuseppi: diplomato all'Istituto Tecnico Agrario e laureato magistrale in Scienze e Tecnologie dei Sistemi Forestali all'Università degli Studi di Firenze. Segretario dell'Associazione di Agraria.org e responsabile progetti Erasmus+ (youth exchange e Servizio Volontario Europeo). Svolge la libera professione di Dott. Agr. e Forestale collaborando con diversi studi agronomici. Luca Poli: diplomato all’Istituto Tecnico Agrario e laureato magistrale in Scienze e Tecnologie dei Sistemi Forestali presso l’Università degli Studi di Firenze. Iscritto all'Ordine dei Dottori Agronomi e Forestali di Firenze. Riveste il ruolo di vice-presidente dell'Associazione e svolge le mansioni di webmaster della Rivistadiagraria.org e del Catalogo online delle aziende agricole. Lapo Nannucci: diplomato presso l’Istituto Tecnico Agrario e laureato in Scienze e Tecnologie Agrarie alla Facoltà di Agraria di Firenze, è iscritto all’Albo dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Forestali di Firenze; libero professionista settore pesca ed acquacoltura, è consulente esterno di Federpesca e CE.S.I.T, Centro di Sviluppo Ittico Toscano. Particolare esperienza nel settore della pesca di piccoli e grandi pelagici. Marco Salvaterra: laureato in Scienze Agrarie presso la Facoltà di Agraria di Bologna, è docente presso l’Istituto Tecnico Agrario Statale di Firenze; dal 2000 si occupa di divulgazione in campo agricolo attraverso il network Agraria.org che comprende, fra le altre cose, un Catalogo di Aziende Agricole, uno di Allevatori, una Rivista quindicinale online ed un Forum del settore. Flavio Rabitti (Direttore editoriale): diplomato all’Istituto Tecnico Agrario Statale di Firenze e laureato in Tutela e Gestione delle Risorse Faunistiche alla Facoltà di Agraria di Firenze; dal 2009 iscritto all’Albo regionale degli Imprenditori Agricoli. Gestisce una piccola azienda agricola in Toscana a Suvereto (LI), all’interno della quale produce vino, olio extravergine di oliva, miele, ed una serie di prodotti artigianali al tartufo (www.rabitti.eu).

Editoriale

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La Tignola del Pomodoro Un fitofago chiave delle coltivazioni di solanacee in serra ed in pieno campo: affrontiamo il ciclo biologico e le strategie di contenimento di

Marco Gimmillaro

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Coltivazioni

a Tignola del pomodoro (Tuta absoluta) è un microlepidottero gelechide, una famiglia importante perchè vi appartengono diver-

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se specie dannose in agricoltura, di recente introduzione in Italia. La prima segnalazione è stata fatta nel 2008 in Calabria, ma è dalla

fine del 2008 ed inizio del 2009 che in Sicilia si riportano le prime vere segnalazioni di importanti danni alle coltivazioni in serra del pomodoro da

Larva di Tuta absoluta (cerchiata)

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Coltivazioni


mensa; infatti interi trapianti furono distrutti da questo insetto. Originaria del Sud America della regione delle Ande, come i suoi ospiti principali le solanacee, con gli intensi scambi commerciali è arrivata in Europa e continua la sua espansione verso est; oggi di fatto è presente in tutte le principali aree di coltivazione in Europa e nel bacino del Mediterraneo. Sin da subito ha rappresentato una vera e propria emergenza fitosanitaria, dato che si è adattata benissimo al nostro ambiente, specie nel sud Italia, sia in pieno campo che in serra; questo è dovuto al fatto che le sue infestazioni molto gravi sono costituite da diverse generazioni e non ci sono nemici naturali o molti principi attivi registrati o efficaci. Il problema comunque è comune all’introduzione in un territorio di qualsiasi nuovo fitofago e ultimamente le emergenze sono sempre più frequenti; è la conseguenza della facilità con cui si spostano merci e persone da un continente all’altro e anche i più stringenti protocolli implementati per evitare l’introduzione di nuove malattie od agenti di danno chiaramente non riescono del tutto in questo scopo, specie poi quando l’insetto si è già insediato in Europa. Per dinamiche naturali e per una sempre migliore conoscenza del problema solitamente si ha un riequilibrio della situazione e così anche per la Tuta la fase piu grave sembrava superata. Infatti dopo i primi anni in cui combatterla era veramente difficile e i danni erano stati ingenti (inizialmente anche interi trapianti distrutti o produzioni compromesse), erano seguiti circa 2/3 stagioni in in cui la pressione dell’insetto si è mantenuta molto bassa; oggi però si assiste ad una recrudescenza del problema dal momento in cui si è abbassata la guardia e sono sopraggiunti fenomeni di resistenza ad

Coltivazioni

alcuni insetticidi. Come già detto, in Italia trova maggiore diffusione nelle regioni del Sud Italia dove ci sono condizioni come un clima favorevole e una disponibilità alimentare praticamente illimitata, specie in Sicilia dove trova una superficie coltivata a pomodoro

identificazione, ma un occhio attento specie con alta pressione dell’infestazione riesce a individuarlo anche se solitamente viene deposto singolarmente sugli organi della pianta quali la foglia e i frutti. La larva è la tipica larva dei lepidotteri e presenta una colorazione ver-

Grave danno su frutto notevole e praticamente che copre tutto l’arco dell’anno. La specie, non presentando una fase inattiva, infatti se le condizioni lo permettono sviluppa numerose generazioni e gli adulti si spostano con molta facilità.

Morfologia e ciclo biologico L’insetto presenta adulti lunghi circa 5-6 mm con colorazione grigia e sfumature beige, sulle parti apicali delle ali possono evidenziarsi delle strie scure disposte a raggera su fondo giallo, nella metà basale invece vi è presente un numero variabile di macule scure più o meno sfumate. L’uovo molto caratteristico di forma ellittica presenta una colorazione che va dal bianco brillante al giallognolo alla deposizione al bruno a schiusura, lungo circa 0,35 mm e largo circa 0,25 mm non è di immediata

dognola più o meno chiara tal volta tendente al gialliccio con sfumature sul dorso rosate più o meno evidenti; il capo giallo invece all’esterno è annerito con una placca posteriore bianca con bordo nero molto evidente. Le dimensioni variano da 0,6/1,5 mm della I età ai 7/8 mm della IV età, che è lo stadio che poi da vita alla formazione della crisalide, che presenta una colorazione inizialmente verde ma quasi immediatamente vira al castano. La Tuta attacca esclusivamente le solanacee e ha come ospite principale il pomodoro, ma si possono avere danni anche su patata, melanzana e peperone, ma attacca chiaramente anche solanacee spontanee come l’Erba Morella o la Datura, quindi la loro presenza all’esterno delle aree coltivate può fungere da

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serbatoio per le infestazioni. Rari invece sono gli attacchi a specie non appartenenti alla famiglia delle solanacee. Come già indicato il ciclo non presenta stati di diapausa ma la lunghezza varia esclusivamente dalle condizioni climatiche, che se favorevoli quindi permettono uno sviluppo continuo delle larve; questa è la causa dei numerosi e continui cicli che portano ad avere infestazioni, specie in serra, anche nei periodi freddi. Chiaramente però è più attiva nel periodo primaverile estivo, mentre in inverno si trova specie come crisalide, ma in serra si possono avere anche individui attivi. Il numero di generazioni, che possono essere anche sovrapposte, varia in base agli ambienti e può variare da 6 a oltre 9, con una lunghezza che nei periodi freddi arriva anche a 60 giorni mentre nei periodi caldi scende a circa 30, ma può essere anche più veloce. La larva a maturità si incrisalida in un bozzo sericeo generalmente dopo che si è lasciata cadere al terreno; infatti può ricoprirsi di particelle terrose, ma anche incrisalidarsi sulla pianta, tra le foglie accartocciate o esternamente al frutto nella corona dove si ricopre di fili sericei. Può anche incrisalidarsi dentro mine o frutti e in questo caso senza formare un bozzo. Completato lo sviluppo si ha lo sfarfallamento, con l’adulto che fuoriesce dalla crisalide; l’adulto generalmente ha abitudini crepuscolari o notturne mentre durante il giorno sta sotto le foglie. Anche per l’adulto l’alimentazione e le temperature influiscono sulla longevità che può andare da circa un mese e mezzo fino a pochi giorni. Generalmente la notte successiva allo sfarfallamento si ha l’accoppiamento che avviene con gli individui attaccati per le estemità addominali e il corpo in direzione opposta tra i due. Dopo circa un giorno inizia l’ovodeposizione, che

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avviene generalmente la notte e si protrae per circa una settimana. Le uova sono generalmente deposte singolarmente e in ordine sparso su tutte le parti verdi, dall’apice alle foglie mentre sui frutti generalmente vengono deposte nella zona del calice; il numero di uova deposte è generalmente molto alto e può arrivare anche ad oltre 200 uova per femmina. In 4/5 giorni nelle condizioni migliori, ma fino a 10 giorni, si ha l’incubazione che porta alla nascita della larva, che generalmente dopo la schiusa vaga anche diversi minu-

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ti prima di iniziare l’attività trofica e quindi lo scavo della mina, infatti si allontana generalmente dall’uovo, specie in presenza di altri individui, ha comunque sempre abitudini endofitiche cioè tende a stare dentro gli organi colpiti.

Danni Sulle foglie si ciba del solo parenchima e praticamente inizia a scavare una mina che inizialmente è microscopica e tortuosa, caratteristica che inizialmente alla sua introduzione ha fatto pensare ad attacchi di ditteri del

Coltivazioni


genere Liriomyza, ma successivamente forma un unica camera vescicolare e digiforme in cui all’estremità si intravede l’accumulo nerastro degli escrementi. Se presenti più individui sulle foglie le mine possono fondersi e generalmente si ha il disseccamento delle foglie colpite. Sui frutti generalmente l’attacco avviene dalla corona, dove vengono deposte le uova, ma larve erranti possono attaccare il frutto anche da altre parti, abbiamo visto specie se a contatto con le foglie. Se l’attacco avviene dalla corona inizialmente non si vede, infatti si possono avere ingenti danni perchè quando si manifesta la produzione è già compromessa. Successivamente la parte attaccata inzia a virare, se verde, quindi si intravedono i detriti della rosura; il frutto cosi colpito non è commercializzabile, se piccolo arresta lo sviluppo e generalmente marcisce, portando la larva a colpire altre bacche. Quindi i danni economici sono sempre ingenti, sia in infestazioni precoci dove si può avere la perdita dell’intera piantina, perchè viene compromesso lo sviluppo del germoglio principale, sia in infestazioni in fase produttiva dove si ha la perdita del raccolto. Su altre solanacee invece generalmente colpisce solo le foglie e non sempre l’attacco e’ cosi grave come sul pomodoro.

Difesa Con l’arrivo dell’insetto purtroppo non è arrivato nessuno degli antagonisti naturali presenti nei paesi di origine, sia parassitoidi che predatori, ma fortunatamente diversi predatori presenti nei nostri ambienti a seguito dei frequenti lanci di insetti utili hanno manifestato una attività soprattutto sulle uova, tal volta specie in basse infestazione in serra la loro azione può contenere l’attacco. I più attivi sono i Miridi appartenenti ai generi Macrolophus e Nesidiocoris attivi predatori di mosche bianche ma che possono predare le uova e le larve appena schiuse nella fase errante; unico problema che ne limita il lancio è che in assenza di prede possono danneggiare la coltura, infatti si cibano dei germogli della

Coltivazioni

coltura provocando dei danni che in alcuni casi se la presenza è massiccia possono interferire sulla crescita della pianta. Il problema può esse-

lasciarli al margine delle coltivazioni vuol dire lasciare un serbatoio continuo specie se in azienda abbiamo trapianti successivi e ancora in pro-

Mine di differenti grandezze ed adulto che ovidepone re ridotto inserendo all’interno della serra alcune piante di zucca lagenaria, molto più appetibile delle solanacee, che può essere anche usata da serbatoio per favorire la presenza di questi predatori in serra. Altri predatori sempre di uova o larve al primo stadio sono l’Orius, il Nabis e gli acari predatori del genere Amblyseius. Oltre agli insetti utili molto importanti sono tutte le pratiche agronomiche e di lotta integrata che mirano a ridurre l’infestazione e che permettono di avere un contenimento molto più efficace della lotta chimica, che comunque nelle zone di maggior infestazione rimane la soluzione più importante. Prima di tutto è importante evitare di lasciare fuori dalle serre o il campo le erbe infestanti specie se presenti solanacee spontanee ed importante risulta non lasciare la coltura a fine ciclo abbandonata o anche se estirpata va adeguatamente smaltita immediatamente, questo vale anche per tutti i residui colturali derivanti dalle potature verdi o della raccolta,

duzione. Se presenti infestazioni in atto specie sui frutti questi vanno allontanati e non lasciati sulla pianta o sul terreno. La paccimatura o la lavorazione superficiale permette di contrastare le crisalidi presenti nel terreno, per questo anche una adeguata solarizzazione è utile a questo scopo. Oltre ai mezzi agronomici in ambiente protetto importanti sono i mezzi fisici con la chiusura di tutta le aperture con reti antinsetto a maglie adeguate e la presenza di doppie porte, perche’ l’insetto con il suo movimento frenetico tende a trovare un varco facilmente se la rete è danneggiata o non posizionata correttamente. Altro accorgimento importante è l’utilizzo delle trappole a feromone che servono ad attirare i maschi e che può essere usato sia per il monitoraggio che per la cattura massale degli individui adulti. Per il monitoraggio va bene la normale trappola a delta con fondo appiccicoso mentre per le trappole per la cattura massale molto efficaci sono le trappole a bagno d’olio, dove

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nel fondo è presente una soluzione di acqua e un olio vegetale che riduce l’evaporazione e la fuga degli adulti che finiscono nella soluzione perchè attratti da un feromone posto poco sopra la superficie; per avere

il metodo della confusione sessuale mediante il posizionamento di diffusori, circa 800/1000 per ha, che vanno posti sui sostegni qualche giorno prima del trapianto e mantengono l’efficacia per più di 3 mesi. In caso

Particolare di una trappola a bagno d'olio per cattura massale una riduzione sostanziale si devono posizionare tra 15 e 30 trappole per ettaro. Per il monitoraggio bastano poche trappole in serra ma per la Tuta non esiste una soglia di intervento o meglio è difficile dare una correlazione tra il numero di adulti catturati e il danno, specie se in presenza di alta pressione dell’insetto, quindi è utile solo per vedere se l’insetto è presente o meno; solitamente dalle prime catture in meno di una settimana si ha la comparsa delle prime mine. Oltre queste tipologie di trappole nell’ultimo periodo si stanno diffondendo le trappole cromotropiche di colore nero che se poste ad altezza della fascia di deposizione delle uova hanno una certa efficacia. Le trappole sono utili sia all’interno della coltivazione che poste all’esterno specie in ambiente protetto. All’inizio si erano diffuse anche trappole luminose ma oggi trovano poco impiego perchè poco selettive catturando anche gli insetti utili. Tutti queste pratiche chiaramente hanno molto più efficacia nelle moderne serre metalliche rispetto alle vecchie serre in legno basse che poco si prestano a molti degli accorgimenti sopra citati; nelle strutture moderne specie in aziende di grandi dimensioni si puo’ applicare anche

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di basse pressioni la confusione è risolutiva mentre in caso di alte infestazioni a volte è necessario, all’inizio dell’infestazione, abbassare la popolazione intervenendo con un insetticida specifico. La lotta chimica chiaramente riveste un ruolo importante ma va integrata a tutti quei sistemi sopra indicati, perchè essendo pochi i principi attivi autorizzati e veramente efficaci e visto che gli interventi per ciclo colturale possono essere numerosi è difficile affidare al solo mezzo chimico la lotta senza un adeguata strategia antiresistenza, dato che questa aumenta la pressione selettiva sugli individui resistenti. Ed infatti già si sono visti sensibili cali di efficacia dovuti all’insorgere di resistenze ad alcune famiglie con meccanismi di azione specifici che inizialmente si erano mostrati risolutivi, ma l’esposizione a questi principi attivi in pochi anni è avvenuta su numerose generazioni quindi era anche prevedibile, specie se non si è applicata una giusta rotazione, come raccomanda anche l’IRAC il comitato di azione sulle resistenze agli insetticidi; nei paesi di origine infatti è nota la diffusione di resistenze incrociate a più meccanismi di azione, ecco perchè man mano che si diffonde l’insetto e si impiega un

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nuovo principio attivo è importante anche valutarne l’efficacia prima di inserirli nei programmi di lotta integrata. Comunque un aspetto importante è quello di arrivare alla lotta chimica solo quando effettivamente necessaria e all’inizio delle infestazioni, quando gli altri sistemi non sono in grado di contenere la diffusione; una strategia fondamentale è quella di non esporre due generazioni consecutive allo stesso meccanismo di azione, traducendosi con la strategia di alternare i differenti meccanismi di azione secondo le finestre di intervento. Questa strategia diventa fondamentale specialmente per quei cicli colturali molto lunghi, come il pomodoro in serra invernale con trapianti in Sicilia a fine estate e che possono durare anche 8/9 mesi. Secondo l’IRAC con questo sistema all’applicazione con uno specifico meccanismo di azione in una finestra di 30 giorni praticamente ne segue un periodo di 60 giorni dove non viene più applicato un principio attivo della stessa famiglia, in modo da ridurre la selezione di individui portatori di geni resistenti; durante una finestra è conveniente fare uno o al massimo due applicazioni dello stesso meccanismo di azione. Oggi ci sono diversi principi attivi autorizzati contro la Tuta, rispetto al passato, appartenenti a diverse famiglie chimiche e che mostrano una buona efficacia e che permettono di attuare diverse strategie ma rimane fondamentale per il futuro seguire un adeguato piano di difesa integrata per il contenimento di questo fitofago chiave delle solanacee. Bibliografia Edizioni l’Informatore Agrario, Tuta absoluta, Guida alla conoscenza e recenti acquisizioni per una corretta difesa, a cura di L. Sannino e B. Espinosa. Tutte le foto di proprietà dell’autore

Dr. Agronomo Marco Gimmillaro marcogimmillaro@ hotmail.com

Coltivazioni


Gli “Ortisti per caso” dell’Agrario di Firenze Il resoconto, dalla prospettiva di una studentessa, della storia di una piccola cooperativa agricola nata presso l’Istituto Agrario di Firenze di

Federica Scarpelli

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a cooperativa ha inizio nella primavera del 2016, quando un piccolo gruppo di ragazzi del collettivo studentesco, coordinati dai professori Angela Baldini, Giuseppe Ferrarelli e Marco Salvaterra,

che la successiva vendita degli ortaggi raccolti, il cui ricavato sarebbe stato devoluto alla scuola. In seguito al successo del primo anno di attività, il progetto è stato riproposto all’inizio dell’anno sco-

dell’inclusività, ha indotto i docenti coinvolti a riarticolare l’offerta per dare vita ad una vera e propria impresa simulata e, più in particolare, anche in conformità allo specifico ambiente scolastico, ad una coope-

ha deciso di intraprendere un’attività pratica pomeridiana. L’esperienza prevedeva sia la coltivazione di un piccolo appezzamento di terreno, assegnato dal Consiglio di Istituto,

lastico 2016-2017, quando ai “veterani” si sono aggiunti moltissimi altri studenti dell’Istituto. L’aumento del numero dei ragazzi, promosso con particolare attenzione al criterio

rativa. Così ha avuto inizio la storia degli Ortisti per caso… In questa prospettiva, per qualche pomeriggio, abbiamo posato pale e zappe e al lavoro sul campo abbiamo

Coltivazioni

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sostituito l’organizzazione della parte amministrativa e burocratica della cooperativa. Durante questi incontri,

gestione delle prime assemblee e nell’elezione delle cariche sociali. Inoltre, ad ufficializzare la nascita

contri pomeridiani, l’ACS “ORTISTI PER CASO”, formata da 46 soci fondatori, con presidente Viola Oliva e

guidati dalla formatrice di Confcooperative Toscana Elena Scannerini, abbiamo approfondito quali siano le funzioni e gli scopi di una cooperativa, discusso sugli organi sociali e i loro compiti, e ci siamo cimentati nella stesura dello Statuto, nella

della ACS (Associazione Cooperativa Scolastica), siglata dalla firma dei soci e dal versamento di una piccola quota associativa, è stato presente un rappresentante di Chianti Banca con funzione di notaio. Nasce così, dopo impegnativi in-

vicepresidente Lapo Manni, con lo scopo di destinare il ricavato delle vendite dei prodotti al finanziamento degli stage estivi interni alla scuola e al sostegno alle famiglie in difficoltà per le spese dei viaggi d’istruzione. Tutti i martedì, dalle ore 14.30, finite le lezioni, e dopo un veloce panino, noi ortisti ci ritrovavamo in azienda pronti a lavorare in pieno campo o in serra per la coltivazione di varietà locali, di alcune delle quali abbiamo riprodotto la semente. Tali ortaggi, come lo zucchino costoluto fiorentino, la melanzana violetta di Firenze, il cece piccolo del Valdarno, il fagiolo di Sorana, il cavolo nero, il po-

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Coltivazioni


modoro costoluto fiorentino, la fagiola garfagnina e, infine, la fava lunga delle Cascine, sono stati curati e coltivati tramite tecniche di coltivazione biologica e sinergica. Infatti, per la concimazione, siamo ricorsi al letame e al compost, mentre per i trattamenti antiparassitari abbiamo

scuola per l’infanzia “Masaccio” di Firenze, dove due ortiste hanno tenuto alcune lezioni sulla cura di ortaggi e sulla realizzazione di un orto in cassetta. Tra le attività extra-scolastiche è stata svolta anche una visita alla storica Cooperativa agricola di “Legnaia” di

fatto ricorso solo ai macerati di ortica e al Bacillus thuringensis, per la lotta contro le infestanti abbiamo utilizzato il diserbo manuale e la pacciamatura con paglia o telo in amido di mais. Inoltre, per rendere gradevole l’orto alla vista, ma soprattutto per attirare gli insetti impollinatori e antagonisti di parassiti, sono stati inseriti tra gli ortaggi fiori come calendule, tagete e nasturzi. Tutti questi ortaggi sono stati da noi venduti durante eventi particolari, interni alla nostra scuola, come gli Open-Day, i colloqui generali con le famiglie e la festa di Primavera. I prodotti sono stati preparati, sotto la supervisione dei nostri insegnanti, e poi venduti in cassette o buste assortite. Il progetto, tuttavia, non è stato limitato agli studenti della nostra scuola, ma abbiamo dato l’opportunità anche ai più piccoli di sporcarsi le mani con la terra. Questo è stato possibile grazie alla collaborazione con la

Firenze dove abbiamo incontrato i responsabili della società e visitato le serre e altre strutture produttive. I nostri sforzi e la nostra fatica nel campo sono stati ricompensati da

scane dedicato alle scuole. La premiazione, svoltasi il 2 marzo 2017, ha visto protagonisti un numero ristretto di ortisti, la presidente Viola Oliva e il vice presidente Lapo Manni, che sono stati elogiati e premiati dalla presidente Claudia Fiaschi e dal presidente nazionale di Confcooperative Maurizio Gardini. Inoltre, motivo di grande soddisfazione è stato riceve l’invito alla presentazione del progetto nazionale di Alternanza Scuola-Lavoro “Coop Work In Class” al Palazzo della Cooperazione di Roma, svoltosi il 6 giugno 2017, durante il quale l’ortista Saverio Castelli ha illustrato il nostro progetto alla presenza di autorevoli relatori, tra i quali il Sottosegretario del Ministero dell’Istruzione, Gabriele Toccafondi. Oltre a questi eventi, siamo stati invitati per la presentazione del progetto in tutta la regione. Tanto è stato l’interesse che la nostra cooperativa scolastica ha suscitato che anche quotidiani come La Nazione e periodici come Vanity Fair hanno deciso di dedicarci un articolo e non solo, la nostra voce è arrivata anche in radio, dove

diversi premi ricevuti, tra cui il più importante è stato la vincita del primo bando “Idee per imprese cooperative” promosso in collaborazione con l’Ufficio Scolastico Regionale e nato all’interno di “Toscana 2020”, un progetto di Confcooperative To-

Dj Francesco Facchinetti ha voluto intervistarci. Terminato l’anno scolastico, i professori hanno deciso di premiarci con una gita finale. Il 9 giungo, con lo zaino in spalla, siamo partiti per Crespina Lorenzana, in provincia di

Coltivazioni

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Pisa, dove abbiamo visitato l’azienda orticola “BioColombini”. Abbiamo poi raggiunto Marina di Pisa e ci siamo rinfrescati con un tuffo nelle acque del Tirreno; in un ristorantino sulla spiaggia ci siamo abbuffati con un pranzo a base di pesce, smaltito

potuti conoscere meglio tanto che adesso abbiamo un gruppo unito e pronto ad accogliere i nuovi ortisti, tanti ragazzi con i quali faremo rinascere la cooperativa “Ortisti per Caso”. Del nostro progetto si è interessata

soddisfazione per tutti noi vedere il nostro tutor Marco Salvaterra e i nostri compagni ortisti Michele e Pamela parlare del nostro progetto alla trasmissione Geo&Geo, in diretta su RaiTre. Si “conclude” qui l’inizio della nostra storia. Voglio infine ringraziare il nostro preside, prof. Ugo Virdia, gli insegnanti Angela Baldini, Cristina Marchetti, Giuseppe Ferrarelli e Marco Salvaterra, la DSGA Marcella Neri, Matteo Alotta e tutti gli altri addetti all’azienda agraria didattica della nostra scuola. Vi aspettiamo numerosi ai prossimi eventi aperti al pubblico nella nostra scuola che verranno comunicati nelle nostre pagine social: Twitter, Facebook e Instagram digitando il magico nome “ORTISTI PER CASO”.

Federica Scarpelli poi con una passeggiata culturale nel centro di Pisa. Tra risate, scherzi e tuffi ci siamo

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anche Sveva Sagramola che ci ha invitato a Roma per una breve intervista televisiva. È stata una grande

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Studentessa dell'Istituto Agrario di Firenze

Coltivazioni


Impianto di un vigneto a Zababdeh in Palestina La sfida è quella di riuscire a produrre un vino più simile possibile a quello che Gesù bevve durante l'Ultima cena di

Francesco Marino

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a vite, il vino e l'olivo hanno un forte significato simbolico nella tradizione cristiana; infatti la loro presenza è evidenziata molte volte nella Bibbia assumendo un col-

toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto”. Il testo oltre ad avere un forte significato religioso, esprime anche un concetto prettamente agronomico: la potatu-

“purtroppo” con l'avvento della dominazione musulmana la coltura della vite è decaduta e la produzione di vino si è ridotta. Il nostro progetto, è quello di ridare slancio al comparto

Veduta dei terreni dove verrà impiantato il vigneto legamento interessante tra le cose terrene e le cose celesti. Giovanni 15:1-2 “Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo

Coltivazioni

ra per migliorare il raccolto. Questo ci suggerisce come in Terra Santa l'allevamento della vite e la produzione di vino ricoprivano un ruolo di primaria importanza nell'economia;

vitivinicolo in quelle terre dove la tradizione ha avuto origine. Sappiamo bene come Gesù beveva e apprezzava il buon vino, proprio nel corso dell'Ultima Cena lo trasformò nel suo

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sangue. Produrre un vino che “assomigli” il più possibile a quello che Gesù ha bevuto nell'Ultima Cena,

pianto del vigneto è Zababdeh in Palestina, città posta a 15 Km da Jenin (Cisgiordania). E' previsto,

Il celebre dipinto di Leonardo da Vinci: l'Ultima Cena (1495-1498) per qualcuno potrebbe sembrare arduo, ma è una sfida che vogliamo vincere. I soggetti proponenti sono l'associazione AgronomiperlaTerrA e la parrocchia San Jacopo al Girone di Firenze a cui si sono affiancati: il comune di Bocchigliero (CS), il governo della Provincia de Río Negro e della Provincia de Chubut “Argentina” e la dottoressa Zingonia Zingone, principale finanziatrice del progetto. La località individuata per l'im-

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come inizio, l'impianto di 2 ettari di terreno a vigneto. In primis abbiamo individuati i vitigni “coltivati” ai tempi di Gesù; per far questo le moderne tecnologie con analisi del DNA ci hanno dato un grande aiuto. Siamo in contatto con docenti dell'Università di Milano che hanno effettuato ricerche in questo settore, individuando i probabili vitigni che tutt'ora sono presenti nel territorio e gelosamente custodite dai contadini palestinesi. Dopo le analisi del terreno, abbiamo effettuato lo scasso, la concimazione organico-minerale ed il tracciamento

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delle piantagioni; a dicembre verranno messe a dimora le barbatelle reperite in un vivaio di Hebron, città posta a circa 30 km a sud di Gerusalemme lungo la dorsale dei monti della Giudea (luogo famoso per le sue uve). Il sistema di allevamento previsto è quello ad alberello, idoneo per il clima caldo/ arido di Zababdeh. Nella potatura di allevamento, impalcheremo la pianta ad una altezza variabile di 30/40 centimetri e la faremo terminante con un sistema di tre o quattro branche brevi, portanti speroni tagliati a uno o tre gemme. L'alberello è caratterizzato in generale da un limitato sviluppo sia in altezza sia in volume, perciò si presta all'adozione con sesti di impianto stretti. Per il ridotto sviluppo, la forte illuminazione presente in Palestina non rappresenta, infatti, un fattore limitante, perciò in assenza di meccanizzazione spinta e in condizioni di discreta fertilità possiamo adottare anche sesti piuttosto stretti. Tuttavia per il nostro vigneto sperimentale abbiamo previsto come inizio, viste le caratteristiche del luogo ed il numero non elevato di barbatelle che siamo riusciti a reperire, un sesto d'impianto largo; distanze tra le file di 2,5 m e sulla fila di 1,5 m. Le incognite che avremo davanti saranno molte. La sfida è appena iniziata! Dr. Agronomo Francesco Marino Agronomiperla Terra.org

Coltivazioni


Conosciamo il digestato Vantaggi, caratteristiche e possibili utilizzi di un sottoprodotto degli impianti di Biogas dalle interessanti proprietà agronomiche di

Eugenio Cozzolino

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l 18 aprile 2016 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Ministeriale del 25 febbraio 2016 "Criteri e norme tecniche generali per la disciplina regionale dell’utilizzazione agronomica degli effluenti

(Decreto Effluenti). Esso prevede la revisione delle norme relative all’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento (sinora disciplinate dal decreto ministeriale 7 aprile 2006) e introduce nuove nor-

Le novità introdotte dal nuovo decreto riguardano in particolare: a) la possibilità di utilizzare agronomicamente il digestato frutto della digestione anaerobica degli effluenti di allevamento e di una serie di materie

Esempio di Digestato (fonte letsrecycle.com) di allevamento e delle acque reflue, nonché per la produzione e l’utilizzazione agronomica del digestato“

Coltivazioni

me sull’utilizzazione agronomica del digestato, prodotto dagli impianti di digestione anaerobica.

tra cui scarti vegetali ed alcuni scarti dell'agroindustria; b) bipartizione del digestato in agro-

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Tabella 1 - Caratteristiche chimiche dei digestati di diversa origine Fonte: Banca dati CRPA zootecnico ed agroindustriale; c) divieto di utilizzazione agronomica del digestato prodotto da colture che provengano da siti inquinati; d) possibilità per le Regioni di modificare il periodo obbligatorio di 60 giorni di divieto di spandimento degli effluenti, a seconda delle diverse condizioni climatico-ambientali; e) introduzione di una graduale limitazione all'uso di colture no-food alternative all'utilizzazione agricola dei terreni coltivati;

f) calcolo dell'azoto tramite l'effettivo fabbisogno delle colture. Con questo decreto si sancisce la possibilità di “utilizzazione agronomica del digestato” ovvero “la gestione di digestato, dalla sua produzione fino all’applicazione al terreno ovvero al suo utilizzo irriguo o fertirriguo, finalizzato all’utilizzo delle sostanze nutritive e ammendanti in esso contenute”. Una frase, quest’ultima, che riconosce all’utilizzo del digestato (oltre che dei reflui e di quant’altro

trattato in questo decreto) un ruolo nel recupero delle sostanze nutritive e minerali in esso contenute, in primis azoto, fosforo e carbonio. Si tratta di un piccolo passo verso la realizzazione di un’economia circolare in agricoltura, modello che si sposerebbe perfettamente con quelle che sono le sfide principali dell’agricoltura moderna: aumento della produzione nel rispetto delle risorse non finite; gestione sostenibile dei suoli e delle acque; diminuzione

Tabella 2 - Trasformazioni dell'azoto Fonte: L’Informatore Agrario-2009, 43: 55-58

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Coltivazioni


delle emissioni di carbonio e dell’uso di combustibili fossili.

Ma di cosa parliamo? l processo di digestione anaerobica consiste nella degradazione, in assenza di ossigeno, della sostanza organica contenuta nell’ingestato (materiale in ingresso costituito da effluenti di allevamento e/o biomassa vegetale). Il digestato, con il metano, la CO2 ed altri gas minori è uno dei sottoprodotti di questo processo. Durante la digestione anaerobica, peraltro, i composti azotati presenti nell’ingestato non vengono eliminati ma solo parzialmente trasformati da una forma in un'altra e si ritrovano quindi integralmente nel digestato. Recenti studi del CRPA hanno dimo-

da: • sostanza organica ad alta stabilità biologica; • sostanza organica con alta concentrazione di molecole cosiddette recalcitranti (humus-precursori); • azoto prontamente disponibile (alta concentrazione di azoto ammoniacale: 50-70 % sull’azoto totale); • azoto organico contenuto in molecole complesse.

Applicazioni possibili del digestato Prove sperimentali di campo hanno dimostrato che non ci sono differenze tra effluente di allevamento conservato in vasche di stoccaggio e effluente di allevamento digerito anaerobicamente per quanto riguar-

carribotte, mentre se il terreno è già lavorato occorrerà scegliere un sistema a basso calpestamento. Per facilitare la distribuzione, il digestato tal quale in uscita dall’impianto di digestione anaerobica, andrebbe preferibilmente sottoposto ad un processo di separazione solido/liquida. La frazione liquida potrebbe essere utilizzata filtrata e/o diluita con idonei impianti per fertirrigazione (avendo tale frazione caratteristiche simili a quelle di un concime di sintesi a pronto effetto), oppure distribuita al suolo ricorrendo a sistemi che prevedono l'interramento anche a pochi centimetri di profondità. La frazione solida concentra in sè la sostanza organica del digestato, contiene un'elevata percentuale di azoto organico sull'azoto totale e viene normalmente distribuita con i comuni carri spandiletame. La diversificata gestione dei due sottoprodotti (frazione liquida e solida) consente di ottenere migliori risultati agronomici, favorendo una migliore utilizzazione dell’azoto da parte delle colture e di conseguenza, la sua minore potenziale dispersione nell’ambiente.

Conclusioni

Carro spandiletame in funzione (fonte cdn.agriland.ie) strato come la digestione anaerobica migliori lo stato-igienico sanitario delle matrici di ingresso. Il livello di micotossine e di batteri del letame e delle biomasse vegetali vengono degradati sensibilmente all’interno degli impianti a biogas, anche in condizioni di mesofilia (temperature moderate). Ciò che esce da un impianto a biogas, il digestato, in estrema sintesi, è migliore di ciò che entra.

Caratteristiche agronomiche del digestato Il digestato è un prodotto ottenuto in seguito a profonde modificazioni biologiche e chimiche. Rispetto al materiale di origine, il digestato (tab 1 e 2) è caratterizzato

Coltivazioni

da la potenzialità a fornire azoto per la crescita delle colture. E' già stato dimostrato in vari studi che il digestato può assicurare un valido effetto fertilizzante sulle principali colture agrarie, così come è stato verificato che in certe condizioni può garantire una concimazione completa anche senza integrazione con concimi minerali, mentre è chiaro che l’efficienza di utilizzo dell’azoto che si apporta con il digestato dipende dalle tecniche e dalle epoche di distribuzione. Le tecniche per distribuire in pre-semina sono varie e dipendono dalle condizioni del terreno, se già arato oppure no, dalla sua tessitura e dal suo stato di umidità. Ovviamente se il terreno è sodo si avranno maggiori possibilità di intervento, anche con

Il Decreto Effluenti pubblicato in Gazzetta è rimasto orfano di un articolo che introduceva l’equiparazione
del digestato ai concimi di sintesi. Questa sarebbe stata la grande novità del Decreto e sarebbe stato in linea con quanto affermano numerosi studi scientifici secondo cui il digestato non solo è equiparabile, ma in alcuni casi porta risultati agronomici migliori, oltre che vantaggi economici e ambientali. Bibliografia http://www.agricolturanews.it/luso-agronomico-del-digestato/ http://users.unimi.it/ricicla/lab_lodi/fertilizzanti_rinnovabili.html http://www.ersaf.lombardia.it/upload/ersaf/ gestionedocumentale/nitrati_digestato_revisione_2011_784_7966.pdf http://www.crpa.it/media/documents/ crpa_www/Settori/Ambiente/Download/Archivio-2012/IA_9_2012_p25.pdf

Dr. Eugenio Cozzolino eugenio.cozzolino @crea.gov.it

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Io sono un poligastrico... e tu? Vediamo insieme le caratteristiche fisiologiche che differenziano gli animali con un solo stomaco da quelli che ne possiedono di più di

Cristiano Papeschi e Linda Sartini

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Zootecnia

utti hanno sentito pronunciare, almeno una volta nella vita, il termine “ruminante”. Ai miei tempi, ma sono passati ormai quasi quarant'anni, alle scuole elementari

ni. Cerchiamo di fare un pò di chiarezza nella maniera più semplice possibile, prendendo come modello di riferimento il bovino, ma considerando che anche pecore e capre

Bovini da carne al pascolo (foto Cristiano Papeschi)

si parlava anche di alberi, funghi, ortaggi ed animali della fattoria: fu in una di quelle appassionanti lezioni che appresi, per la prima volta, la differenza tra animali monogastrici e poligastrici. Ancora oggi si spiega ai

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bambini come è fatta la natura o ci si limita solamente agli sguardi al presente ed al futuro trattando esclusivamente temi quali il touch-screen, la tastiera virtuale, il sistema operati-

vo o internet? Ma veniamo a noi. Chiunque allevi bovini, bufalini o piccoli ruminanti sa che questi animali possiedono un rumine, ma non tutti sanno esattamente a cosa serva e come funzio-

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possiedono un'anatomia ed una fisiologia digestiva identiche, solo in scala ridotta (soprattutto per quel che riguarda le dimensioni). Gli erbivori monogastrici (cioè con un solo stomaco), ad esempio il cavallo ed

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Durante il riposo viene effettuata la ruminazione (foto Roberto Corridoni) il coniglio, possiedono un apparato digerente composto da esofago, stomaco, intestino tenue (composto da duodeno, digiuno ed ileo), un cieco (nel quale avviene la fermentazione della fibra), il colon ed il retto. I poligastrici (quindi con più stomaci) dopo l'esofago e prima dello stomaco vero (noto come abomaso) possiedono altre tre camere: il rumine, un grosso comparto suddiviso in un sacco dorsale ed uno ventrale della capacità totale di 90-200 litri, il reticolo, un “contenitore” più piccolo posto anteriormente al rumine della capienza di 7-12 litri, e l'omaso, altro compartimento posto sul lato interno del rumine (e poco più voluminoso del reticolo). Per cui, prima dell'abomaso (che prende il posto dello sto-

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maco ghiandolare dei monogastrici) ci sono ben tre “sacchi” chiamati, più in generale, “pre-stomaci”.

Come funziona dunque la digestione? Il bovino ingerisce l'alimento, dopo una masticazione molto rapida e sommaria, che attraverso l'esofago giunge nel rumine. In questa grande camera, per la forza di gravità e grazie alle contrazioni muscolari del rumine stesso, le particelle più piccole e

pesanti si depositano sul fondo mentre l'alimento grossolano e leggero

La ruminazione Avete mai notato che i ruminanti, quando si sdraiano a riposarsi, masticano in continuazione? È proprio questa la cosiddetta “ruminazione”. L'alimento viene risospinto in bocca dal rumine in modo che l'animale lo possa masticare e sminuzzare per poi rimandarlo indietro e ricominciare da capo con un’altra boccata di materiale, sempre proveniente dal più grande dei pre-stomaci. La ruminazione avviene esclusivamente quando l'animale è a riposo e mai mentre si alimenta o è in attività. Un bovino rumina per circa 10-12 ore al giorno durante le quali produce circa 180 litri di saliva, importante per lubrificare l'alimento e favorire il meccanismo della masticazione.

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rimane più in alto e viene risospinto attraverso l'esofago alla bocca, dove viene masticato nuovamente. Un pò per volta il materiale più minuto viene sospinto nel reticolo che opera un'ulteriore selezione prima di inviare la materia fine all'omaso. In questa sede si ha l'assorbimento dell'acqua e di alcuni nutrienti e, se necessario, viene trattenuto e rimandato indietro l'eventuale materiale grossolano sfuggito al blocco precedente. Dall'omaso si passerà all'abomaso nel quale alcuni enzimi opereranno una prima digestione chimica che verrà conclusa poi nell'intestino. Ma facciamo un salto indietro e torniamo al vero protagonista della nostra storia: il rumine. Senza il rumine e la sua importante opera, gli animali poligastrici potrebbero ingerire quintali di alimento e morire comunque di fame. Il rumine non è solamente un sacco dove il cibo viene stoccato e separato. Al suo interno sono presenti miliardi di batteri, ma anche

tantissimi protozoi, che svolgono diverse Il giovane ruminante funzioni, in particolare la digestione della cel- I lattanti, siano essi vitellini, capretti o agnelli, hanlulosa, dell'emicellulo- no un'alimentazione esclusivamente lattea. In questi sa, degli amidi e delle soggetti i pre-stomaci sono molto poco sviluppati in proteine. Dal metabo- quanto non necessari in tal momento. Il latte viene lismo di questi batte- by-passato dall'esofago fino all'abomaso attraverso ri, meglio conosciuto una struttura anatomica provvisoria nota come “doccome “fermentazio- cia” esofagea, che permette all'alimento liquido di ne”, deriva la produ- saltare le altre strutture e giungere direttamente nello zione di Acidi Grassi stomaco ghiandolare dove avrà inizio la sua digestioVolatili (ac. Acetico, ne. Mano a mano che il giovane animale si avvicina ac. Propionico ed ac. allo svezzamento e grazie all'alimentazione sempre Butirrico) che ven- più orientata al consumo di fibra, i pre-stomaci iniziegono riassorbiti dalla ranno a svilupparsi gradualmente fino alla loro forma mucosa e forniscono anatomica definitiva. circa il 60-80% dell'energia presente nella ed anidride carbonica (CO2) che razione. Inoltre questi batteri sintetizzano anche proteine verranno eliminati con l'eruttazione: di elevato valore biologico che sa- attenzione dunque a non fumare viranno poi recuperate dall'animale cino ad una vacca che erutta! L'incon i successivi meccanismi digesti- tero pacchetto composto dalle quatvi. Come prodotti di scarto si avrà in- tro concamerazioni, pre-stomaci più vece la formazione di metano (CH4) abomaso, occupa quasi per intero il

Schema di anatomia dei pre-stomaci (disegno Linda Sartini)

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Bovini a riposo (foto Cristiano Papeschi) lato sinistro della cavitĂ addominale del ruminante e, tanto per farsi un'idea della sua dimensione, possiamo dire che sarebbe in grado di contenere un essere umano (in alcuni casi anche due)! Tutto questo adattamento funzionale deriva dal fatto che gli animali che si nutrono di fibra, quindi gli erbivori, da soli non sarebbero in grado di digerire proprio la fibra stessa, e quindi "sub-appaltano" ad altri orga-

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nismi questo compito: insomma una simbiosi conveniente per tutti. Allora la domanda sorge spontanea: e i monogastrici che non possiedono i pre-stomaci come fanno? Ci ha pensato la natura... gli erbivori monogastrici possiedono un voluminoso cieco, un grosso diverticolo che sostituisce i pre-stomaci dei ruminanti, all'interno del quale avvengono le fermentazioni batteriche e la digestione della fibra.

Dr.ssa Linda Sartini DVM Specializzata in ispezione degli alimenti di origine animale

Dr. Cristiano Papeschi DVM

UniversitĂ degli Studi della Tuscia Specializzato in teconologia e patologia del coniglio, della selvaggina e degli avicoli

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Le quote latte: il punto Affrontiamo il tema della nuova e definitiva sconfitta dell'Italia nella complessa vicenda delle quote latte di Ivano

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Cimatti

a Corte di Giustizia UE, con una ragionata sentenza, ha respinto il ricorso dell’Italia ed ha confermato la decisione della Commissione UE che da tempo insiste perché Roma recuperi la bellezza di 1,3 miliardi di € dai produttori di latte. La detta sentenza della Corte di giustizia europea ha chiuso un piccolo filone di questa partita, quello che riguarda la legge con cui l'Italia ha fatto slittare dal 31 dicembre 2010 al

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30 giugno 2011 la rata annua con la quale i produttori stavano versando il dovuto negli anni precedenti (dal 1995 al 2002) al governo, che a sua volta aveva saldato i conti in sede europea. La Corte ha affermato che il Tribunale aveva commesso un errore di diritto ritenendo che l’aiuto oggetto della decisione 2013/665/ UE della commissione fosse un aiuto esistente perché inizialmente autorizzato dal Consiglio con la legge

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italiana di differimento al 30 giugno 2011 della rata annua di rimborso . L'Italia aveva infatti concesso un arco di 14 anni per permettere ai suoi debitori di saldare le posizioni, per altro senza l'aggravio degli interessi. Con la legge 10 del 2011, però, di fronte alla crisi del settore lattiero-caseario erano stati differiti di sei mesi i termini per il pagamento della settima rata, quella in scadenza alla fine del 2010. Questa dispo-

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sizione non è piaciuta alla Commissione, secondo la quale si è trattato di un nuovo aiuto di Stato illegittimo, visto che avrebbe favorito i produttori in debito risparmiando loro i costi finanziari di un esborso immediato. A metà del 2015 il Tribunale UE cui si era rivolto l’Italia, accolse parzialmente il ricorso col quale si chiedeva di annullare integralmente la decisione comunitaria o, in subordine, di annullarla nella parte in cui ordinava di recuperare l’integralità degli aiuti individuali concessi. I giudici stabilirono che si trattò di una mera modifica di una condizione accessoria di un aiuto esistente, precedentemente autorizzato, non divenuto illegale nella sua integralità ma solo nella parte relativa alla modifica unilateralmente apportata dallo Stato italiano. Di qui l’impugnazione da parte della Commissione davanti alla Corte di giustizia. Che poco tempo fa ha accolto gli argomenti comunitari re-

spingendo definitivamente il ricorso dell’Italia e, per l’effetto, confermando la decisione della Commissione di recupero integrale degli aiuti. Il vantaggio economico derivante da questa proroga - di fatto i sei mesi di interessi dovuti su una rata - è stato in realtà minimo, anche in considerazione del fatto che solo una piccola percentuale dei produttori si avvalse della proroga. Nella fattispecie, 1.291 agricoltori che hanno risparmiato tra 8 centesimi e 694,19 euro; nella stragrande maggioranza dei casi, il 92% per la precisione, l'aiuto è stato inferiore a 100 euro. Più per evitare di vedersi messo in discussione tutto il pacchetto di rateizzazione di recupero delle quote latte, che spaventata dall'incidenza economica di questa partita, l'Italia aveva fatto ricorso al Tribunale Ue e aveva ottenuto una prima vittoria, nel settembre del 2013, contro la Commissione. Ma quest'ultima ha

nuovamente impugnato la sentenza del Tribunale. E così si giunge al punto finale di oggi, ed è a favore di Bruxelles. La Corte ha infatti accolto l’impugnazione della Commissione, definitivamente respingendo il ricorso dell’Italia e confermando la decisione della Commissione di recupero integrale degli aiuti, compresi dunque gli interessi per quei sei mesi di differimento. Secondo i giudici "costituiscono 'nuovi aiuti' 'tutti gli aiuti, ossia regimi di aiuti e aiuti individuali, che non siano aiuti esistenti, comprese le modifiche degli aiuti esistenti'". In sostanza, perché un aiuto si qualifichi come "nuovo" basta che se ne interrompa "l'integralità" del regime. "Pertanto, in caso di modifica del regime di aiuti esistente, da parte di uno Stato membro, in violazione di una condizione di autorizzazione del regime medesimo, tale Stato non avrà alcuna garanzia che detta modifica non incida sul complessivo regime di aiuti autorizzato e che resteranno dunque fermi i vantaggi concessi in base ad esso". Detta la norma generale, ne deriva che la legge italiana ha determinato un nuovo aiuto di Stato e ora bisogna recuperare anche i (pochi) interessi risparmiati dai produttori. La notizia è stata commentata dal ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina, per il quale "ci troviamo a gestire una pesante eredità del passato, figlia di scelte politiche precise. Chi oggi in campagna elettorale parla di agricoltura, dovrebbe rendersi conto dei disastri provocati quando avevano responsabilità di governo". "La Lega Nord paghi per allevatori e cittadini, visto che proprio sulle quote latte quando era al Governo ha fatto una campagna elettorale le cui conseguenze ora si ripercuotono sulle casse dello Stato italiano", hanno fatto eco i deputati M5S della Commissione Agricoltura.

Avv. Ivano Cimatti ivan_cimatti@ hotmail.com

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Il Tornjak, il cane dei Balcani di

Federico Vinattieri

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in da bambino mi sono sempre interessato a tutte le razze canine, mi ha sempre affascinato la loro diversità, le loro caratteristiche e le tante tipologie oggi selezionate. Mi ricordo che trascorrevo intere giornate a leggere le enciclopedie di Fiorenzo Fiorone, grande scrittore e divulgatore cinofilo degli anni Settanta. Oltre alle classiche razze, note a tutti, andavo sempre a studiarmi anche quelle meno conosciute, quelle razze classificate come "poco rappresentate", quelle razze che, soprattutto in Italia, sono note solo agli esperti giudici e meno agli appassionati cinofili e semplici allevatori. Questa voglia di conoscenza del "poco celebre" mi attrae tutt'ora a distanza di decine di anni. Ed è così che talvolta mi imbatto in razze di cui sappiamo poco a livello Nazionale, ma che a mio parere meritano di essere conosciute e di avere quella notorietà a loro negata da altre razze ben più popolari. Fu così che ho conosciuto il "TORNJAK", una varietà canina dalle eccezionali qualità, sia caratteriali che estetiche, che vado ad illustrarvi in questo mio scritto. Praticamente del tutto sconosciuto in Italia, Il Tornjak fu riconosciuto ufficialmente dalla Federazione Cinologica Internazionale il giorno 01

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Giugno del 2007 (Standard F.C.I. n° 355), inserito nel "Gruppo 2", raggruppamento dei cani da utilità, che comprende cani di tipo: Pinscher, Schnauzer, Molossoidi, da Montagna e Bovari svizzeri. Fu proprio in Croazia che vidi esemplari di questa razza per la prima volta. Pochi giorni dopo il suo riconoscimento uffciale, più precisamente

città di Zagabria. Durante quell'evento fu presentata ufficialmente la "nuova razza", e vennero fatti sfilare nel ring d'onore diversi esemplari tipici. Ricordo che questi soggetti mi impressionarono per la loro vitalità, per la loro forza e per la loro tonicità muscolare. La sua origine e la sua storia non è molto documentata, ma possiamo

Tipico maschio di razza Tornjak (fonte: 101dogbreeds.com) il giorno 8 Giugno 2007, io e mia moglie partecipammo con i nostri soggetti all'European Dog Show, Campionato Europeo Canino di bellezza, che quell'anno fu organizzato nella

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esser certi che questa tipologia di cane era già presente nei Balcani, diversi secoli fa, e che per la "ricostruzione" della razza siano stati impiegati cani indigeni di tipo arcai-

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co. Vi sono documenti risalenti all'XI secolo d.C., e altri risalenti all'anno 1374, nei quali viene citata la razza bosniaca e croata. E' curioso sapere che i soggetti appartenenti al ceppo

nee di sangue, tutti di indiscussa tipicità. Oramai la razza è "RAZZA" nel vero senso della parola, la selezione nelle due Nazioni è stata seguita con i medesimi criteri e stessi parametri

femmina) con pedigree, e acquistati nell’allevamento "Vala Liburna di Fiume". Invece una femmina di Tornjak, senza pedigree perché trovata abbandonata in Croazia, vive in pro-

Cuccioli di Tornjak originario erano stati dispersi nelle zone montane della Bosnia-Erzegovina e della Croazia, e nelle valli circostanti. L'iter di selezione che venne usato nello specifico è in buona parte avvolto dal mistero. Vi sono allevatori e appassionati che si son presi la briga di andare a ricercare la storia della razza, per giustificarne l'esistenza più recente, ma non molto è stato compreso di quanto avvenuto in epoca medioevale. La storia più recente invece è ben nota. Dal 1972 ebbe inizio un interessante percorso di selezione e quindi un allevamento costante in purezza, che dal 1978 fu sistematicamente documentato fase dopo fase. In tutta la Bosnia-Erzegovina e in Croazia vi sono attualmente molti soggetti selezionati e appartenenti a differenti li-

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indicati dallo Standard F.C.I., e oggi tutti gli esemplari risultano essere omogenei per morfologia e peculiarità di tipo. Possiamo dire quindi che negli ultimi 10 anni il lavoro svolto dagli allevatori è stato ottimale ed ha raggiunto un livello estremamente soddisfacente. Le nazioni che promuovono il Tornjak, oltre alla Bosnia Erzegovina e alla Croazia dove questa razza è diffusa in qualsiasi contesto sia sociale sia geografico, sono soprattutto la Francia e gli Stati Uniti.

E in Italia? Queste le notizie che sono riuscito ad ottenere: attualmente non esistono allevamenti, ma a Pesaro e in Friuli Venezia Giulia vivono quattro esemplari censiti (tre maschi e una

vincia di Milano. Per chi non ha mai osservato dal vivo un Tornjak, e lo ha visto solo in foto, potrebbe dedurre di potersi travare al cospetto di un cane pigro, sedentario e non adatto al lavoro. Niente di più sbagliato! Se mi chiedessero di descrivere l'indole del Tornjak con un solo aggettivo, non avrei dubbi: "coraggioso". Essendo stato selezionato per il controllo del bestiame, ha sviluppato tutte le caratteristiche tipiche dei cani custodi. Il suo "mestiere" è proteggere le greggi, il Tornjak è disposto a fare qualsiasi cosa per difendere il territorio, il suo padrone, ma anche i cani del suo branco, mostrandosi così assai protettivo, attento, vigile e, in caso di pericolo incombente, di

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attaccare l’intruso. Per questo motivo la sua vista, l’olfatto e l’udito sono molto sviluppati. Ma il Tornjak, sa anche essere un ottimo amico di tutta la famiglia mostrandosi molto dolce con i bambini, affettuoso con gli ami-

ci dei padroni, ma sospettoso verso gli estranei. Questi cani si adattano a vivere anche in casa nonostante, per l’indole e la loro mole, sia più adatta un’abitazione con uno spazio esterno; infatti ha forse più bisogno

di altre razze di fare parecchio esercizio fisico. Il Tornjak impara molto facilmente e altrettanto facilmente può essere addestrato, rispondendo molto bene all’educazione di base ed ai comandi elementari. La sua

La Sig.ra Simona Borgatti con la sua femmina di razza Tornjak

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personalità è dominante, ha un forte istinto del branco, pertanto ha bisogno di una guida sicura e determinata. In generale sono cani molto calmi ed equilibrati in presenza del padrone, abbaiano raramente e quando lo fanno è un abbaio di avvertimento sia per segnalare la presenza di un estraneo sia per “avvertire” i cani troppo agitati; sono rustici, resistenti a qualsiasi clima anche se chiaramente per la mole e il folto pelo preferiscono il freddo, sanno stare anche da soli per molte ore senza abbaiare o agitarsi; non è il cane scalmanato che tira al guinzaglio o che fa le feste saltandoti addosso. Dai bambini si lasciano pazientemente accarezzare. Pur essendo protettivi verso la famiglia e la proprietà sono meno possessivi e più dolci del Ciarplanina o del Pastore del Caucaso. Una curiosità su come viene alimentato questo cane, da chi lo utilizza prettamente per il lavoro come "cane da guardiana": la nutrizione del Tornjak che vive con il gregge è modesta, naturale e composta da qualsiasi cosa disponibile al momento. I prodotti a base di latte sono una fonte importante di proteine. Talvolta questi cani vanno anche a caccia di piccoli animali, principalmente roditori. Durante la preparazione ai rigidi mesi invernali, i "tornjaks" sono trattati meglio del solito, mettendo a loro disposizione quotidianamente cani fresche e gustose. Poi naturalmente i cani di questa razza allevati solo per la loro bellezza, sono probabilmente alimentati con metodi più commerciali. Ora che abbiamo appreso un pò della sua storia ed il suo aspetto caratteriale, dobbiamo comprendere meglio la sua morfologia, e lo faremo commentando le varie voci del suo standard. Iniziamo parlando in generale del suo aspetto: il Tornjak è un cane grande e potente, ben proporzionato e agile. La forma del corpo è quasi quadrata. L’ossatura non è leggera, ma nemmeno pesante o grossolana. È un cane forte, armonioso e ben equilibrato sia in stazione che in movimento. Il pelo è lungo e spesso. Bisogna considerare che il corpo, vi-

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sto di profilo, deve essere inscrivibile in un "quadrato" immaginario. La sua taglia varia dai 65 cm ai 70 cm per i maschi, e dai 60 cm ai 65 cm per le femmine, con una tolleranza di ± 2 cm. La "testa" è certamente uno degli aspetti tipici e estremamente importanti di cui l'allevatore deve tener di conto, mai tralasciando quanto richiesto, ossia i rapporti tra cranio e muso che devono essere di 1:1, (quindi il muso deve essere lungo quanto il cranio); quest'ultimo diverge nelle linee superiori rispetto al muso. Le arcate sopraorbitali sono leggermente visibili. La parte posteriore del cranio è allungata ma moderatamente ampia. La regione dalle arcate sopraorbitali all’occipite è piatta. La protuberanza occipitale è molto leggera. Il salto naso-frontale (in gergo chiamato "stop") deve essere leggermente pronunciato. Questi piccoli aspetti sembrano di poco rilievo, ma invece si rivelano estremamente importanti perché determinano l'espressione e il giusto "disegno di testa". Il tartufo deve essere largo, con narici sufficientemente ampie e con pigmento scuro, in armonia col colore del mantello. La depigmentazione non è assolutamente permessa e quindi deve essere considerata difetto. Il muso è rettangolare, con una canna nasale diritta e con labbra strettamente aderenti, con pigmento scuro. Le mascelle sono lunghe e forti. Dentatura completa con perfetta chiusura a forbice. Occhi a forma di mandorla, con palpebre ben aderenti, colore scuro. Rime palpebrali con pigmento scuro. Orecchi di medie dimensioni, triangolari, piegate e ricadenti, attaccate piuttosto alte, portate aderenti alle guance con pelo più corto. Il collo è di media lumnghezza, poderoso, portato leggermente basso, con pelle strettamente aderente. Sul collo il pelo è lungo, abbondante, che forma una criniera. Veniamo ora al tronco. Si tratta di un cane a dorso corto, con garrese moderatamente sviluppato; anche la regione lombare è corta e larga. Il

"rene" è sovente un po' più allungato nelle femmine. La groppa è di media lunghezza, ampia e leggermente discendente. Il torace è molto spazioso, forte, disceso, largo e di forma ovale. Il punto più basso è almeno a livello dei gomiti. Mai a forma di botte. La punta dello sterno è moderatamente marcata. La linea inferiore non è retratta ma dalla fine dello sterno risale gradualmente verso il posteriore. Il Tornjak ha una coda lunga, attaccata a media altezza, molto mobile. A riposo la coda ricade e in movimento è sempre rialzata al disopra della linea dorsale, il che è una caratteristica della razza. È fornita di abbondante pelo e di un distinto pennacchio. Gli arti anteriore sono ben sviluppati, con forte ossatura e muscoli tonici, paralleli e perpendicolari al terreno quando il cane è in stazione. Le spalle di media lunghezza, ben inclinate. L’angolo scapolo-omerale è di circa 120°. Il braccio è forte, quasi della stessa lunghezza della spalla, con gomiti aderenti al corpo ma non troppo stretti e avambraccio verticale. Ossa forti, muscoli sviluppati. I metacarpi sono leggermente inclinati, con piedi atenriori che presentano dita arcuate e ben chiuse e unghie preferibilmente molto scure. E' da notare che i piedi anteriori sono ben più sviluppati rispetto a quelli posteriori. Gli arti anteriori sono anch'essi paralleli, forti, con ginocchio ben angolato, perpendicolari al terreno con giusta angolazione. La coscia è ampia e con buona muscolatura; garretti fermi, proporzionati e metatarso forte. Possibile la presenza di speroni. Un altro aspetto tipico della razza è l'andatura. Teniamo presente che il Tornjak è un "trottatore", pertanto il movimento è ben equilibrato, elastico, armonioso, con buon allungo e forte spinta del posteriore. In movimento la linea dorsale è ferma. Come in ogni razza, il principale elemento di distinzione, che colpisce per primo l'occhio, è il mantello. In generale il Tornjak è un cane a pelo lungo che presenta pelo corto sulla faccia e sugli arti. Il pelo di copertura è lungo, spesso, rude e diritto.

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È particolarmente lungo sulla parte superiore della groppa; sulle spalle e sul dorso può essere anche leggermente ondulato. Sul muso e la fronte, su fino ad una linea immaginaria che va da un orecchio all’altro, sugli orecchi e la parte anteriore degli arti

bianchi con solo delle piccole macchie. Nonostante il pelo folto e lungo il Tornjak non necessità di grande manutenzione: una spugna umida, un’ asciugatura e un’energica spazzolata sono sufficienti. Nella stagione

Due esemplari di Tornjak (fonte: mascotarios.org) e dei piedi è corto. È particolarmente abbondante attorno al collo (criniera), denso e lungo sulle cosce (culotte), formando delle frange lungo gli avambracci. Nei soggetti dotati di buon pelo è anche particolarmente abbondante dietro i metatarsi. La coda è abbondantemente fornita di peli molto lunghi. Il sottopelo invernale è lungo, molto spesso e di una buona tessitura lanosa. Il pelo è spesso e fitto e non deve formare scriminatura lungo il dorso. Se si parla di colore, in generale il Tornjak è un cane pluricolore con pezzature distinte di vari colori uniformi. Abitualmente, il colore di fondo dominante è il bianco. Alcuni cani possono avere un mantello nero e delle pezzature bianche che si trovano più frequentemente attorno al collo, sulla testa e lungo gli arti. Si possono pure trovare soggetti quasi

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estiva tende a perdere il sottopelo che rimane quasi asciutto quando il cane esce dall’acqua, e quindi nella stagione calda il Tornjak richiede una spazzolatura quotidiana. Qualsiasi deviazione da quanto sopra descritto deve essere considerata come difetto e la severità con cui questo verrà penalizzato deve essere proporzionata alla sua gravità. Tra i difetti più comuni si possono riscontrare anomalie del colore del mantello o della forma degli occhi; difetti caratteriali, come ad esempio estrema timidezza o aggressività o difetti di "costruzione" (e qui l'elenco sarebbe assai vasto). In ogni modo il Tornjak deve possedere i requisiti sopra elencati e soprattutto, come viene chiaramente richiesto, deve mostrarsi un cane tonico, muscoloso, vigoroso, energico, come un vero e proprio cane da lavoro e vali-

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dissimo ausiliare dell'uomo. - Per chi si vuole documentare a fondo sulla razza: In rete, digitando la parola “Tornjak” si trovano parecchi articoli, ma tutti fanno riferimento alla scheda della razza pubblicata sul sito della Royal Canin e di E.N.C.I., e solo per lo più dei "copia-incolla" di tali informazioni. Gli articoli e le pubblicazioni più precise sono in mano agli allevatori di Bosnia, Croazia, Cecoslovacchia e sono tutte nelle loro lingue. In italiano vi è un interessante articolo nozionistico, a cura della giornalista Simona Borgatti e Andrea Pellicani, pubblicato sul n° di febbraio 2014 della rivista dell’E.N.C.I. “I nostri cani”. Consiglio di leggere in rete le interessanti informazioni pubblicate da Lorena Kovacicek, dell'allevamento Vala Liburna. Esiste poi una pubblicazione intitolata “I cani da pastore dell’Est”, redatta dal Medico Veterinario Dr. Sergio Zavattaro, ed edita da "Giunti Editore", dove però il Tornjak non compare, poichè il periodo in cui il medico si è documentato ed ha scritto questo testo, ha coinciso purtroppo con la guerra nella ex Juogoslavia; comunque nella pubblicazione ci sono riferimenti generali alle caratteristiche delle razze da guardiania dell’Est Europa. Intanto in rete ci sono video interessanti, uno di questi intitolato “The kingdom of Tornjak”, che consiglio vivamente di visionare, che mostra com’è la vita lavorativa di questi cani sugli altopiani della Bosnia e della Croazia. Allevamento di Fossombrone http://www.difossombrone.it/

Federico Vinattieri www.difossombrone.it

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Dal Salento, un piccolo grande orgoglio italiano di

Federico Vinattieri

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uando si parla di ornitofilia italiana, la mente va subito alle varie razze di canarini. L'Italia può vantare di aver creato alcune delle razze più straordinarie e in diverse varietà possiamo senza dubbio affermare di essere stati dei "pionieri" nella canaricoltura e quindi nella selezione di determinate mutazioni e caratteristiche morfologiche. Per le razze di Canarini "Arricciati", l'Italia ha avuto un indiscusso ruolo da protagonista, arrivando alla creazione di razze che oggi tutti ci invidiano, come lo straordinario Arricciato Gigante Italiano, il Padovano, il Fiorino, il Gibber Italicus, il Rogetto ed il Benacus (questi ultimi due di recentissimo riconoscimento a livello nazionale). Nel raggruppamento delle razze di Canarini di "Forma e Posizione Lisci", l'Italia non ha invece un ruolo dominante, anzi, purtroppo in questo settore abbiamo un solo "baluardo" che ci rappresenti. Insieme a tutte le bellissime razze di stampo inglese (la maggior parte), quelle tedesche, svizzere, belghe, spagnole, irlandesi, ecc... emerge solitaria una razza italiana molto particolare, anch'essa di recentissima acquisizione: il "Salentino". Per far sì che una razza abbia i requisiti per essere riconosciuta, deve differire da ogni altra razza esistente, per almeno tre aspetti morfologici. Il Salentino ha ampiamente superato tale imprescindibile richiesta. Si tratta di un canarino "meso-dolicomorfo", di taglia leggera, il quale è

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stato creato, come dice il nome, nel Salento. Per la sua recente creazione non possiamo quindi dedicare a questo

canarino dei paragrafi sulla "storia e origine", come è mio solito fare quando tratto una razza nello specifico; posso solo dire che la sua selezione, a detta di coloro che hanno creato la razza, è iniziata circa 15 anni fa. La "partenza" avvenne dal meticciamento di un soggetto maschio di "Ciuffato tedesco" con una femmina "Bossù belga", due razze molto differenti tra loro. Negli anni sono stati poi utilizzati meticciamenti con il "Japan Hoso" ed il "Gibber italicus". Il Salentino venne riconosciuto ufficialmente a livello nazionale nell'ambito dei Campionati Italiani di Ornitologia, tenutisi a Parma a dicembre del 2010; la Commissione Tecnica della Federazione Nazionale, composta da esperti, valutò i 13 soggetti esposti singolarmente e le 2 STAMM presenti

(“STAMM” = gruppo di 4 canarini che vengono valutati per omogeneità). Questi superarono con successo le aspettative ed ottennero quindi anche il riconoscimento ufficiale come "Razza". La ratifica avvenne nel mese di Gennaio 2011. Attualmente, vengono riconosciute la varietà ciuffata e quella a testa liscia, ed è importante sapere che entrambi possono essere SOLO lipocromici, quindi con totale assenza di melanina nel piumaggio. Una delle caratteristiche tipiche della razza, che al principio creò qualche diverbio tra allevatori, è l'obbligo della colorazione artificiale ROSSA, che viene eseguita anche nei bianchi dominanti, che assumeranno la colorazione nelle zone di elezione. Le caratteristiche fondamentali sono rappresentate da quattro connotati inderogabili, ossia dalla posizione ad angolo retto, dalla forma del corpo, con petto appiattito, schiena dritta, spalle strette e senza cunette, dalla lunghezza, e dalla testa-ciuffo. Questo canarino viene giudicato in quella che viene definita in gergo ornitofilo "gabbia a cupola", ossia nella medesima gabbia utilizzata per il giudizio dello Yorkshire, del Bernois, e di molte altre razze di Forma e Posizione Lisci, ma anche in alcune razza di Posizione Arricciati, come l'Arricciato del Sud o il Melado Tinerfeno. La

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Un tipico soggetto Salentino a testa liscia

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gabbia deve avere due posatoi bassi e un solo posatoio centrale in alto. Il posatoio regolamentare è quello di 10 mm di diametro, di forma ellittica. La procedura per giudicare questa razza, è indicata chiaramente nei "criteri di giudizio" ed è buona norma rispettarla scrupolosamente in modo da valutarne al meglio pregi e difetti della postura. Nei criteri di giudizio è indicato che è bene valutare il Salentino tenendo la gabbia un poco più in alto del viso. Il soggetto in questo modo abbasserà più di sovente la testa, e assumerà più facilmente la posizione. Il Salentino non deve essere mai osservato dall’alto, perché l’incombere del viso del giudice lo porta ad acquattarsi od a sollevare e torcere la testa per vedere meglio. È utile una prima valutazione ad una certa distanza dal pannello di tutti i soggetti posti alla stessa altezza, successivamente va giudicato al tavolo alto. Ma vediamo ora quali solo le varie voci dello Standard ufficiale di questo particolare canarino e cerchiamo di commentarne le varie voci, abbinando i punteggi approvati dalla Federazione Ornicoltori Italiani per la sua "scheda analitica" di giudizio. Partiamo dalla "Posizione", che è senza dubbio la peculierità più importante per questa razza, proprio per questo è stato stabilito di abbinare a questa caratteristica il punteggio più alto nella scala valori, ben 25 punti su 100. La posizione è ad angolo retto con il collo esteso e di media lunghezza, la schiena perpendicolare al posatoio e con la coda che ne é la sua naturale continuità. Una posizione che diverge dall'an-

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golo retto è quindi da considerarsi difetto; difetto grave è anche una postura non perpendicolare al posatoio, una testa portata in alto, un collo

La Scheda di Giudizio del Salentino troppo corto o una coda portata al di sotto del posatoio. La "Forma" è anch'essa una voce di primaria importanza, a cui vengono assegnati ben 20 punti su 100. Basti tener presente che il corpo di questo tipo di canarino, non deve formare triangoli, da qualsiasi parte lo si osservi. Il petto deve essere appiattito senza prominenze e la schiena deve presentarsi dritta sino alla coda; le spalle devono essere strette, non alte e non devono presentarsi come cunette che evidenzino i carpi. La coda sarà leggermente aperta, a coda di rondine. I principali difetti sono: un

petto troppo grosso, presenza di schiena arcuata (tipo Japan hoso), spalle larghe e/o con presenza di dossi. La schiena del Salentino non deve mai ricordare quella del Bossù belga. Anche la coda a forma "di rondine" è un difetto. Altro aspetto fondamentale è la "Lunghezza", a cui vengono attribuiti 20 punti; quella ideale è da considerarsi di 12,5 cm, con tendenza al diminuitivo. Ogni eccesso è penalizzabile. I soggetti che presentano una taglia superiore ai 13,5 cm non dovranno essere giudicati. La "Testa" e il "Ciuffo"; 15 punti abbinati a questa voce. Il ciuffo deve essere ben centrato, di forma ovale, composto, perfettamente aderente alla testa, formato di piume che non coprono l’occhio La testa deve essere di forma ovale e lievemente appiattita al vertice. Un ciuffo scomposto, non ovale o con stempiatura nucale è da considerarsi difetto grave. Stessa cosa vale per una testa non ovale, cioà rotonda o troppo grande. Nonostante sia una razza "di posizione", il "Piumaggio" ed il "Colore", come abbiamo già accennato, hanno una valenza che la rende unica. 10 i punti abbinati a questa voce. Il piumaggio deve essere perfettamente liscio, aderente in ogni parte del corpo, mai rilassato e senza sbuffi. Il colore sarà sempre lipocromico e, poiché sottoposto a colorazione artificiale rossa, deve essere brillante e distribuito in modo uniforme. Fanno eccezione i bianchi in cui non può essere pretesa l’uniformità della colorazione artificiale. È ammessa la sola screziatura del ciuffo. Un piumaggio non aderente e quindi non liscio, mosso, è da considerarsi un difetto. Se vi è la presenza di una colorazione non uniforme è un difetto ed il soggetto

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deve essere inevitabilmente penalizzato, come se vi è anche la presenza di macchie melaniniche o di screziature del ciuffo, caratteristiche che sono motivi di "non giudicabilità". Veniamo ora a quelle che sono considerate le voci meno importanti, poiché non costituiscono aspetti che costituiscono la tipicità di questa razza, ossia le "Zampe", a cui sono stati abbinati 5 punti, come per la maggior parte delle razze di canarini, ed il "Benessere generale" (anche per questa voce 5 punti). Le zampe del Salentino devono presentare una leggera flessione e devono essere portate parallele tra di loro; se sono troppo flesse o dritte, che ricordano la posizione del Gibber Italicus, è da considerarsi difetto; o anche se si presentano divaricate e quindi viene meno il parallelismo. Quando si parla di "Benessere generale" si deve tener presente che si sta parlando di esposizioni di bellezza, quindi sio dovrebbe dar per scontato che un soggetto esposto dovrebbe (e sottolineo "dovrebbe") essere presentato in perfette condizioni di salute e pulizia, requisiti che a volte, ahimè, non vengono rispettati, e quindi si assiste, per fortuna molto raramente, a vedere esposti dei soggetti con piumaggio e zampe sporchi, o addirittura con zampe squamate/scagliose o con problemi di salute; inutile dire che soggetti mal presentati o in pessime condizioni di pulizia non possono essere giudicati o vengono fortemente penalizzati sulla voce del "benessere". Il giudice ha l'obbligo di valutare il soggetto nel momento in cui ce l'ha di fronte, e quindi vi sono rari casi

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che un soggetto durante il giudizio non sia in permetta forma per lo stress o per cambio di ambiente, mentre il giorno successivo si riprende e quindi l'allevatore, che non è

presenza di soggetti alle varie Mostre ed ai Campionati Italiani di ornitologia, che non supera mai la ventina di esemplari ingabbiati; ma pian piano l'interesse andrà sicuramente

Soggetto di Salentino "ciuffato" presente al giudizio, non si spiega tale penalizzazione. Nella maggior parte dei casi comunque, un soggetto di scarsa vivacità o con problemi di salute, resta stabile per tutta la durata dell'evento.

aumentando, sia a livello nazionale che in ambito internazionale, non appena gli appassionati allevatori di questo genere di canarini si accorgeranno del fascino, dell'eleganza e della bellezza delle sue forme.

Queste sono le "linee guida" per giudicare e per selezionare un Salentino, per valutarne pregi e soprattutto difetti di tipicità. Il Salentino è da considerarsi un piccolo orgoglio per l'ornitofilia italiana, poiché unico rappresentante nazionale tra i canarini di "Forma e Posizioni lisci". La razza non annovera ancora un consistente numero di allevatori, e lo dimostra l'esigua

Allevamento di Fossombrone http://ornitologia.difossombrone.it/

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La filtrazione del vino Elementi pratici per la filtrazione del vino in una produzione hobbistica di

Marco Sollazzo

D

torbido e gli strati filtranti, passato un certo periodo, tenderanno ad ostruirsi per via del materiale che si depositerà su di essi. I cartoni andranno sostituiti con dei nuovi e si continuerà il processo di filtrazione fino a quando questo sarà terminato. Il numero di cartoni filtranti e la porosità di essi, deciderà la velocità e il livello di filtrazione del vino. Appena terminata la fermentazione alcolica, data l'alta torbidità del vino, sarà necessario utilizzare dei cartoni filtranti con porosità molto larga per far sì che i filtri non si ostruiscano subito e non si comprometta il processo di filtrazione. In linea pratica, dovremmo filtrare il vino almeno 4 volte, utilizzando ad ogni

filtrazione dei cartoni a maglia sempre più stretta, prima di vedere un

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urante la produzione del vino, un passaggio importante riguarda la filtrazione fisica dello stesso. Infatti, nel processo di trasformazione dall'uva in mosto e dal mosto al vino, il materiale colloidale risulta presente nel prodotto finito. Nel corso del tempo, il materiale più pesante tende a precipitare e come risultato si ha un'illimpidimento della soluzione mosto-vino. Tuttavia, il processo di sedimentazione, avviene gradualmente e non è mai completo; le particelle meno pesanti rimangono in sospensione per un periodo molto lungo e queste, se non rimosse, possono portare alla formazione di caratteristiche negative del vino e al deprezzamento del prodotto. Per ovviare a ciò, sono presenti diversi sistemi di filtrazione nel settore enologico. Il più comune a livello hobbistico è quello a cartoni (fig. 1): un tipo di filtrazione che avviene a livello perpendicolare, dove quindi il vino viene fatto passare perpendicolarmente agli elementi filtranti. Man mano che il vino passa attraverso i cartoni filtranti questo risulterà meno

Fig. 1 - Esempio di filtro a cartoni

vino simile a quello che viene acquistato negli scaffali in bottiglia (fig.2).

Metodologia di filtrazione

L'anidride carbonica prodotta durante la fermentazione alcolica terrà in sospensione il materiale colloidale (fig.3a). In questa fase il mosto/ vino non deve essere mai filtrato, in quanto si potrebbero avere dei rallentamenti e/o arresti fermentativi e il materiale colloidale presente in soluzione non permetterebbe una buona filtrazione. Una volta terminata la fermentazione alcolica tumultuosa, il materiale colloidale più pesante tenderà a precipitare sul fondo; il temFig.2 - Possibile risultato che si può ottenere dopo alcune filtrazioni del vino

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po di precipitazione è determinato dalla temperatura presente e dalla grandezza delle particelle nel liquido (fig.3b). Anche in questa fase, il vino non deve essere mai filtrato, in quanto una parte del materiale colloidale è ancora in sospensione

bile usare circa 6 - 8 cartoni filtranti, tra i 500 litri e 2000 litri di vino gli elementi filtranti dovrebbero essere compresi tra 8 e 14 e così via. Nella maggior parte dei filtri, questi devono essere posti in posizione alternata al filtro (solitamente è specificato nel filtro e nei cartoni filtranti) ed è consigliabile che questi siano imbevuti in acqua prima di essere posizionati nel filtro. Si può praticamente riempire un secchio pulito con dell'acqua e immergere completamente gli elementi filtranti per un paio di secondi, uno ad uno, prima di posizionarli nel filtro. I cartoni filtranti sono monouso a b c e devono essere usati lo stesso giorno in cui Fig.3 - Processo di sedimentazione durante e dopo la fermentazione alcolica (fonte vinepair.com) essi vengono bagnati e preparati nel filtro. e se questo venisse pescato dal fil- do, prima della prima filtrazione è Nella filtrazione con i cartoni di tipo tro, si avrebbe una ridotta capacità importante fare un travaso prelimi- sgrossante a 10 micron è possibile di filtrazione. Inoltre è possibile che nare, il quale può essere effettuato: che non si noti nessuna differenza la fermentazione, seppur in maniera a) prelevando il vino pulito dalla par- visiva tra il vino da filtrare e il filtrato, ridotta, sia ancora presente. te alta del serbatoio utilizzando una poiché il vino potrebbe essere in parDopo 5 - 7 giorni dalla fine della fer- pompa enologica e spostando il re- te già parzialmente pulito. Tuttavia, mentazione, il processo di sedimen- stante vino torbido in una damigia- quando si rimuoveranno i cartoni filtazione più grossolano sarà com- na; tranti utilizzati, si noterà sulla superpletato; la precipitazione porterà il b) usando il rubinetto inferiore, an- fice un deposito feccioso, risultato materiale più pesante sul fondo e la che se in questo caso è necessario che hanno svolto la loro funzione parte più pulita si troverà nella parte valutare la torbidità del vino. Se il ma- filtrante efficacemente. Questa filtrapiù alta del serbatoio (fig.3c). teriale colloidale è sopra al rubinetto zione, anche se può sembrare non In questo fase, anche se il primo superiore, sarà necessario prima indispensabile, è assolutamente improcesso di filtrazione può iniziare, travasare in una damigiana la parte portante per rimuovere tutte le partiè consigliabile fare un travaso preli- torbida, poi travasare il vino pulito ed celle superiori ai 10 minare dalla parte superiore del tino infine collezionare il fondo del vino micron, le in un contenitore vuoto, che consen- nella stessa damigiana dove è stato q u a l i ta di prelevare in sicurezza tutta la precedentemente raccolto il torbido. intaseparte del liquido pulito. Tale travaso L'aggiunta di prodotti enologici deve rebpreliminare è necessario per evitare essere fatta solo nel serbatoio di che la feccia sul fondo venga pesca- destinazione e mai in quello iniziale ta dal filtro e/o agitata accidental- per evitare la risospensione del mente. Pertanto, è importante che il torbido nel vino. Una volta fatto serbatoio iniziale non venga mosso, il travaso preliminare, si può proper evitare che il materiale colloidale cedere alla prima filtrazione, la torni di nuovo in sospensione. quale deve essere fatta con dei Se il materiale feccioso non è ecces- cartoni filtranti a maglia molto sivo, è possibile fare il travaso preli- larga, di tipologia sgrossante minare prelevando il vino pulito dal (10 micron). Il numero di cartorubinetto inferiore del serbatoio. In ni filtranti utilizzati incrementerà alternativa, qualora il materiale fec- la velocità e il tempo di filtracioso sia più alto del rubinetto infe- zione del vino. Tra 100 e riore del serbatoio, il travaso prelimi- 500 litri di vino è nare può essere fatto raccogliendo in consiglia-

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una damigiana il vino molto torbido dal rubinetto inferiore, procedendo successivamente al travaso del vino meno torbido nel serbatoio vuoto ed infine raccogliendo nella damigiana del vino torbido gli ultimi litri rimasti sul fondo del serbatoio. Riassumen-

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bero il filtro nella seconda filtrazione. In ultimo luogo, alla fine del processo di filtrazione, si può tentare di filtrare la feccia presente sul fondo del

la feccia torbida, essa va eliminata o lasciata da parte e comunque mai aggiunta al vino pulito filtrato. Nella vinificazione in bianco, la prima

Fig.4 - Numero e dimensione di cartoni filtranti utilizzati in una produzione hobbistica serbatoio e/o raccolta nella damigiana durante il processo preliminare di travaso. Questa operazione viene

filtrazione viene fatta circa 7 giorni dopo la fermentazione completata; nella vinificazione in rosso 14 giorni

stretta a 3 micron (ma sempre sgrossanti). In questo periodo, infatti, altro materiale colloidale presente nel vino si depositerà naturalmente sul fondo. Per una filtrazione ottimale sarà necessario considerare e mettere in atto tutte le dovute precauzioni usate nel primo passaggio di filtrazione. In questo caso, un travaso preliminare non è necessario, ma è consigliabile, specialmente per i vini molto strutturati o molto colloidali. Se il vino dovrà essere pronto per dicembre, verranno fatte le successive due filtrazioni a distanza di 4 settimane circa, utilizzando filtri di finitura a maglia 1.5 micron (3° filtrazione) e di tipo brillantante a 0.9 micron (4° filtrazione). Se il vino verrà bevuto nell'anno successivo, la quarta filtrazione, può essere posticipata a 2 settimane prima di imbottigliare. Da notare che il vino, essendo un prodotto vivente, ha i suoi tempi di affinamento naturale, perciò filtrazioni troppo ravvicinate potrebbero non apportare i benefici desiderati. Dato il materiale colloidale asportato, il vino

Diag. 1 - Steps sequenziali per una corretta filtrazione: tra una filtrazione e l'altra è consigliato aspettare almeno 3 settimane fatta per ultimo, dato che bisogna evitare di aspirare fino alla fine la feccia e i depositi sul fondo per una resa ottimale e prolungata dei filtri. Se sono pochi litri di vino torbido e non riescono ad essere filtrati, si può considerare di buttarli, se invece sono più di 50 litri, si può provare un ulteriore processo di filtrazione sostituendo i cartoni filtranti utilizzati precedentemente con dei nuovi. In tutti i casi, se non si riesce a filtrare

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dopo la svinatura e fine fermentazione. Il periodo indicativo è metà ottobre e dipende essenzialmente dalla data di raccolta dell'uva e dalla fine della fermentazione. Dopo la prima filtrazione può essere utile fare le analisi del vino per avere un'idea migliore su come occorrerà intervenire nei successivi steps. La seconda filtrazione va fatta circa un mese dopo dalla prima, questa volta con i cartoni a maglia più

appena filtrato potrebbe risultare più astringente del normale, ma questo tenderà a riequilibrarsi dopo circa una settimana. Dr. Marco Sollazzo Laureato in Viticoltura ed enologia sollazzo.marco@ hotmail.it

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Il formaggio in cucina Alla scoperta dei formaggi italiani e dei loro utilizzi nelle ricette tipiche delle nostre tradizioni, partendo dalla Valle d'Aosta e Piemonte di

Cesare Ribolzi e Gian Luca Pizzato

S

e apriamo il frigorifero della cucina di una qualsiasi casa, ci troveremo molto probabilmente latte, burro e formaggio. Sono prodotti infatti piuttosto comuni che entrano nella nostra alimentazione quasi quotidianamente. Cominciamo la nostra giornata tipo: sveglia e colazione. C'è chi si beve una tazza di tè, chi di caffè e chi di latte. Guardando l’apporto nutrizionale di questi tre liquidi, i primi due non ne hanno o è praticamente nullo, se non per il loro contenuto in acqua e sostanze aromatiche. Il terzo invece, pur essendo costituito principalmente da acqua, contiene una certa quantità di grassi, proteine e zuccheri. L' abitudine di abbinare ad un liquido dei carboidrati e grassi sotto forma

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di pane, biscotti e brioches, rende la colazione più nutriente, completa e ci consente di affrontare l’inizio della giornata con una buona scorta di energia. Per ragioni culturali e legate alla latitudine, troviamo diverse abitudini ed usi anche nella prime colazioni di paesi diversi. Si può passare con una certa disinvoltura dalle brioches ripiene di gelato della calabria alle uova con pane, burro salato, bacon fritto dei paesi anglosassoni. Pane, burro, formaggio e yogurt compaiono frequentemente sulle tavole dei paesi del nord europa. Kefir e diversi latti fermentati vengono comunemente consumati nei paesi balcanici. Se però escludiamo l’utilizzo dello yogurt e dei latti condensati, zuccherati o di formaggio zuccherato usato come topping per

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hamburger poi ricoperti con formaggio grattugiato o caffè con cubetti di ghiaccio e zucchero condensato come si usa nei paesi del lontano oriente, l’utilizzo dei derivati caseari lo si ritrova principalmente in europa. Le industrie casearie multinazionali stanno investendo molto nel lontano oriente proprio perché si tratta di un mercato nuovo ed emergente, con un bacino di consumatori in forte crescita ma da "educare" al consumo caseario. Dopo aver fatto una rapidissima panoramica in giro per il mondo, ci siamo resi conto che più ci allontaniamo dall'Europa e meno prodotti, conosciuti e consumati, sono i derivati del latte. Resteremo quindi nelle nostre regioni italiane descrivendone quei caratteri dai quali hanno originato tipiche ed appetitose ricette di cucina.

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Il giro del nostro paese lo faremo un pò per volta partendo dalla...

Valle d'Aosta E' la nostra più piccola regione, circondata dalle più alte montagne d'Europa. Grazie al lavoro degli agri-

tartufo. Prima del consumo si versa su pane fritto, dentro una scodella. Alcuni dei formaggi Valdostani sono la Fontina, formaggio grasso a pasta semicotta prodotto con latte di mucca intero e crudo, di una sola mungitura, quindi prodotto due volte

Possidenti o "Formaggio con le viole" coltori questa regione è stata messa in condizione di fornire prodotti della terra di alta montagna. La massiccia presenza di mucche e capre ha naturalmente indirizzato l’economia rurale a produrre formaggi oggi molto conosciuti ed apprezzati come la Fontina Valdostana o la Toma di Gressoney, utilizzati in diverse ricette tra le quali ricordiamo la Minestra al formaggio nella quale al brodo, burro e farina vengono aggiunte Toma, uova e latte. Viene consumata versandola in una scodella sopra pane di segale raffermo. Bistecca alla Valdostana: in questa ricetta delle fette di carne infarinate ed impanate, vengono fritte nel burro e quindi coperte di Fontina Valdostana e prosciutto cotto. Una passata in forno e sono pronte per il consumo insieme a patate o legumi cotti. La Fonduta alla Valdostana: dopo aver lasciato diverse ore la Fontina nel latte, la si cuoce a bagnomaria con burro e tuorli d' uovo. La ricetta è compiuta quando si ottiene una salsa ben liscia che può essere aggiunta di pepe ed impreziosita dal

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al giorno. Il termine Fontina lo si legge per la prima volta in un documento dei monaci dell’ospizio del Gran San Bernardo, risalente al 1717. Il significato della parola sembra riferirsi alla sua spiccata attitudine a fondere, indicata con 'fontis' o 'fondis', nel francese antico. Séras: la ricotta ottenuta dal siero rimasto dopo la produzione della Fontina. Toma di Gressoney: è un formaggio da tavola ottenuto negli alpeggi della Valle del Lys o a centro Val di Gressoney in caseifici cooperativi o privati. La produzione è limitata a 1000 - 1500 forme l’anno, che vengono stagionate in cantine o grotte per un periodo compreso tra 60 giorni e 2 anni. Reblec: piccolo formaggio fresco ottenuto da latte intero o da latte aggiunto di panna, nel caso del Reblec de Crama, pronto per il consumo già 12 ore dopo la produzione. Fromadzo: ottenuto dalla trasformazione di latte di 2 mungiture che può essere addizionato di una parte di latte di capra. Può essere prodotto nelle varianti magro, semigrasso, semigrasso con erbe aromatiche e

misto vaccino-caprino. Salignoun: è una ricotta piccante, cui può essere aggiunta della panna o latte, viene impastata con sale, pepe e peperoncino e spesso con erbe di montagna. Ancora, da provare, la Polenta Grassa: polenta messa a strati alternati con Fontina, Toma e burro ed infornata. Alpenballu: palline d'Alpeggio ottenute preparando delle palle di polenta, facendovi un buco che viene riempito con Toma fresca e burro. Le palle vengono quindi messe in padella con il burro, coperte e messe nella brace del camino o in forno fino a doratura. Pappa nera: si cuoce della farina di grano saraceno nel latte, a parte si friggono dei crostini di pane nero, nel burro fuso, che vengono messi in terrine con della Fontina. La Pappa viene quindi versata sopra i crostini e consumata calda.

Piemonte Già nel 1400 si parlava di formaggi piemontesi nella Summa Lacticinorum di Pantaleone da Confienza, nella quale particolare menzione veniva fatta per la Robiole della Morra, nel cuneese, le Ricotte di Chieri e Savigliano, i formaggi di Ceresole, delle valli di Lanzo e della val di Susa. In Piemonte il formaggio è storia, persone ed antiche tradizioni. Molti di questi antichi formaggi esistono ancora oggi, alcuni sono diventati DOP, altri PAT (Prodotti Agroalimentari Tipici), vengono prodotti da casari che tramandano le lavorazioni in maniera quasi eroica, contribuendo al mantenimento di prodotti e tradizioni. Una grandissima famiglia di formaggi piemontesi è quella delle Tome. Vengono prodotte in tutto l’arco alpino piemontese originariamente in montagna e successivamente anche in pianura, portate dai margari al termine della stagione passata in alpeggio.

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Sebbene la produzione della Toma sia diffusa praticamente in tutto il Piemonte, la denominazione DOP è riservata ai formaggi prodotti nelle provincie di Novara, VCO, Biella, Vercelli, Torino e Cuneo, mentre Asti ed Alessandria sono rimaste escluse dal riconoscimento. La vastità del territorio e le grandi differenze morfologiche fanno si vengano prodotte Tome molto diverse tra loro in funzione delle diverse

Tagliolini con Toma lavorazioni, dell’alimentazione degli animali e del microclima. Degne di nota sono le Tome di Lanzo, degli alpeggi del Pian della Mussa, utilizzate anche come 'moneta' per il pagamento dei canoni di affitto delle terre. Le Tome della Valsesia, tradizione delle montagne settentrionali, ottenute da latte crudo, a pasta semi morbida o dura, a rapida o media maturazione. In alpeggio si ottengono le produzioni più pregiate per profumi sapori derivanti dall' ambiente montano. Tome magre vengono prodotte nel biellese, principalmente in val Oropa e valle Elvo, da latte di razza Pezzata Rossa d' Oropa. Nel biellese centrale, valli Cervo, Strona e Sessera vengono prodotte le Tome grasse da latte di razza Bruna Alpina. Nelle provincie di Asti ed Alessandria vengono prodotte le Robiole, formaggi freschi a coagulazione prevalentemente acida. Nelle piccole produzioni il latte viene utilizzato

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crudo e termizzato o pastorizzato nei caseifici. Si ricordano le Robiole di Cocconato e le Robiole d'Alba, prodotte con latte vaccino. Le Robiole di Roccaverano vengono ottenute da latte ovino, vaccino e caprino. Tra i freschissimi, ricordiamo il Seirass, la ricotta prodotta e messa a sgrondare nelle tipiche calze a forma conica. Il Seirass del fen prodotto nelle valli del Penice, Chisone e Susa, viene avvolta in fieno di erba festuca del sottobosco dei pini, essiccata. L'artificio doveva servire a proteggere il prodotto dalle mosche durante il tragitto verso i mercati della pianura e nel contempo conferiva il particolare sapore di fieno alla ricotta. Di derivazione Walser sono il Salagnun, ricotta impastata con erbe di montagna e la Mascarpa un’altra saporita ricotta. Il Sordevolo prodotto nel biellese è una cagliata fresca messa in fuscella e consumata rapidamente con sale e pepe. Il Sancarlin è un formaggio di sapore forte ottenuto impastando la Ricotta fresca con dell’olio, aglio, sale, pepe e peperoncino. Di tutt’altro genere il Bruss o Bross in dialetto, una preparazione cremosa e spalmabile dal gusto molto forte che veniva ottenuta dalla necessità di non sprecare e quindi riutilizzare ogni possibile alimento, tra cui formaggi deteriorati o ammuffiti e croste. Questi venivano messi nella grappa e lasciati ammorbidire ottenendo un prodotto cremoso che veniva spalmato sul pane. Veniva utilizzato anche per condire la polenta o la pasta, le minestre o le patate bollite. Oggi viene prodotto con formaggi freschi buoni e latte pastorizzato, si utilizzano ricotta, panna fresca e latte intero aggiunti di erbe aromatiche. Il Bruss ha ottenuto la PAT. Nei comuni cuneesi di Castelmagno, Pradleves e Monterosso Grana, si produce il formaggio Castelmagno, i cui primi riferimenti bibliografici ri-

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salgono al 1277. Prodotto con latte vaccino crudo che può essere addizionato con latte di capra e/o pecora, deve il suo nome probabilmente al santuario di San Magno e non come tramanda la leggenda, a Carlo Magno. San Magno è il protettore del bestiame e dei pascoli. Pur avendo rischiato di scomparire negli anni '60 a causa dello spopolamento delle vallate alpine, è stato rilanciato dall'amministrazione comunale ed ha ottenuto il riconoscimento DOP. Come molti formaggi di montagna, ne esistono due versioni, una di pianura ed una d'alpeggio, più pregiata. Viene stagionato almeno 60 giorni fino a 24 - 30 mesi e può presentare venature blu-verde dovute allo sviluppo casuale e spontaneo di muffe nobili. Montebore, formaggio prodotto nella zona della val Borbera, di antiche origini, prodotto con latte vaccino ed ovino. Si presenta con la caratteristica forma conica ottenuta sovrapponendo tre forme di diametro decrescente che lo fa sembrare una sorta di torta nuziale. In effetti sembra che sia stato servito al matrimonio di Isabella d'Aragona con Gian Galeazzo Sforza, figlio di Ludovico il Moro, con la partecipazione di Leonardo da Vinci in veste di cerimoniere. È un formaggio eccellente che si abbina molto bene ai risotti o agli gnocchi, mi permetto di consigliare la trattoria 'La via del Sale' a Cantalupo Ligure. Bettelmatt, torniamo in Ossola, zona della Val Formazza dove in pochi alpeggi dove fiorisce l’erba mutellina o muttolina che conferisce il particolare e pregiato profumo, sapore e colore al formaggio. Sette sono gli alpeggi dove viene prodotto nel periodo estivo per un solo mese, solitamente tra la seconda metà di luglio e la prima metà di agosto. Se ne parla per la prima volta in un documento del 1710, conservato nell' Archivio Borromeo. È un prodotto delizioso da consumare tal quale o come ingrediente caratterizzante in tortini, salse e risotti, polente e fonduta o gnocchi. Di origini non piemontesi ma ad oggi ivi maggiormente prodotto è il Gorgonzola, noto formaggio erborinato prodotto nel tipo dolce e nella va-

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riante piccante o 'naturale'. Oggi viene prodotto in buona parte in Piemonte, in particolare in provincia di Novara dove piccole produzioni artigianali sono affiancate da un grande produttore industriale. Del formaggio si hanno tracce sin dall'anno mille ma addirittura sembra fosse prodotto in età celtica, in Lombardia. Il Plaisentif o Formaggio delle Viole è una produzione delle Alte Valli Chisone e Susa che nei recenti anni ha suscitato un certo interesse. La sua origine risale al 1500 quando i territori di Perosa, Pinerolo e Savigliano vennero restituiti ai Savoia dai francesi. Per avere le garanzie di poter continuare a commerciare il prodotto in territorio francese, i produttori regalarono alcune forme di Plaisentif al Castellano. In tempi recenti il formaggio è stato riscoperto e come da disciplinare, viene prodotto con solo latte vaccino munto nel periodo di fioritura delle viole, da giugno a luglio, nei pascoli dell’Alta Valle del Pinerolese, sopra i 1500 metri di altitudine.

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Dopo essere prodotto e stagionato per 80 giorni, il Plaisentif viene marchiato a fuoco con una lettera 'P' con a fianco una violetta stilizzata. Viene venduto dalla terza domenica di settembre in occasione della fiera del Plaisentiff a Perosa Argentina, in provincia di Torino. In concomitanza, c'è il Poggio Oddone col Dono del Formaggio. Occasione per i turisti di visitare i tradizionali borghi di montagna lungo il 'Sentiero del Plaisentif', degustandolo nei nove alpeggi toccati dal percorso. Adesso se ci vogliamo mettere con le gambe sotto il tavolo, potremmo preparare qualcosa con qualcuno dei formaggi citati.

Penne, Radicchio e Gorgonzola Si prepara una salsa facendo sciogliere il Gorgonzola nel latte e nel burro, a parte si prepara un soffritto di radicchio rosso trevigiano e scalogno. Una volta cotta la pasta, saltarla nella salsa con il soffritto.

Crostata di Seirass Preparare una frolla con un pò di lievito, con cui foderare una teglia spruzzata con del pan grattato. Lasciare lievitare e riempire la teglia con un impasto di ricotta, uvetta rinvenuta e torrone sbriciolato, arrivando fino quasi al bordo. Bagnare la superficie con panna liquida ed infornare a 180 gradi per 40'. Per questo numero abbiamo terminato; di cose da dire ce ne saranno ancora tante che vi proporremo nelle prossime puntate. Caseificio Norden s.a.s. www.norden.eu Dr. Cesare Ribolzi Resp. Produz. Caseificio Norden Gian Luca Pizzato Casaro e moderatore Forumdiagraria.org

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LE STORIE DEL CIBO Le carote di

Pasquale Pangione

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a carota (Daucus carota), è una pianta erbacea della famiglia delle apiaceae (ombrellifere), originaria dall’Europa sud-orientale e dall’ Asia occidentale. La carota, così come la conosciamo noi, non è un dono di madre natura bensì una “creazione” del XVII secolo in onore degli “Orange” (famiglia reale olandese), i quali tennero testa agli spagnoli durante la guerra di indipendenza olandese. Quindi, in onore di “Guglielmo d'Orange”, i botanici dell'epoca, resero questa radice arancione, ritenendola più graziosa e appetibile, dandole un gusto più dolce rispetto alle carote selvatiche coltivate fino a quel momento. Contrariamente a quanto si possa pensare, le carote in origine erano viola-porpora e coltivate principalmente per foraggio. Fare una cronostoria è difficile, perché sebbene già citata da “Apicio” nel “De re coquinaria”, o da “Plinio il vecchio” che descrive quattro tipi di carote selvatiche (anche se oggi non tutte sono classificate botanicamente come carote), la sua origine è di difficile collocazione, in quanto la carota è da sempre confusa con la “pastinaca” che le somiglia tantissimo, ma è un'altra pianta. E' “Galeno” che nel secondo secolo, distingue correttamente le carote dalle pastinache e menziona esplicitamente coltivazioni di carote a scopo medicinale. Pare infatti che gli Antichi Egizi, Romani e Greci le utilizzassero ad esempio come cicatrizzante. All'epoca erano conosciute: la “Pastinaca sativa” (detta anche carota romana) e la “Daucus carota” che data la loro forma, venivano considerati afrodisiaci, per curare l’impotenza maschile. La carota, fu portata in Europa dagli arabi, i quali la consumavano da secoli attribuendogli poteri curativi, nutritivi e rinfrescanti (per l'alito). Per arrivare ad essere coltivate e impiegate in cucina bisogna aspettare il genio di Caterina de’ Medici, che le rende alimenti degni delle tavole dei signori. In origine si consumavano solo foglie e semi, poi successivamente fu scoperta la radice che consumiamo oggi, poiché veniva messa in cattiva luce da radici e tuberi più apprezzati come rape e pastinache. Pochi sanno che attualmente esistono cinque categorie di carote: la carota arancione, che contiene la vitamina “A” dalle note proprietà benefiche; la carota violacea, ricca di polifenoli, flavonoidi e in particolare antocianine (sostanze antiossidanti utili alla circolazione e che combattono i radicali liberi); la carota gialla ricca di luteina (vitamina che protegge la macula degli occhi); e la carota bianca e rossa che sono meno interessanti dal punto di vista nutrizionale. Considerata un tonico per la mente influirebbe positivamente il sistema nervoso, essendo ricco di ferro e vitamine. Favorisce l'abbronzatura, la vista e facilita la produzione di latte materno, stimolando lo sviluppo delle ghiandole mammarie nelle puerpere. Potremmo quindi dire che la carota, sebbene non possa essere considerata una panacea per tutti i mali, resta un ottimo coadiuvante per la nostra salute!

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LA RICETTA Torta di carote Difficoltà: media - Preparazione: 25min. - Cottura: 70min. - Dosi: 12 persone Costo: basso

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Tipico dolce inglese, ma molto gradito in tutto il mondo con varianti diverse: in Egitto, le noci sono sostituite dai datteri, in Italia dalle mandorle e così via... La tradizione vuole che ogni fetta, abbia (come decorazione) una “carotina” di marzapane. Trattasi di una torta semplice e naturale fatta in casa con un impasto facilissimo e veloce a base di carote grattugiate fresche per una torta fragrante e soffice. Perfetta per la colazione o la merenda.

Ingredienti Uova: 4 (medie) Olio vegetale: 250g Zucchero di canna: 300g Farina: 260g Lievito per dolci: 16g Bicarbonato: 10g Cannella: 2 cucchiaini “rasi” Carote: 450g Sale: un pizzico Noce moscata: 1 cucchiaino “raso” Noci sgusciate: 120g per la farcia/glassa (facoltativa) Formaggio cremoso: 250g Burro: 100g Zucchero a velo: 150g Buccia di limone grattugiata: ½

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Preparazione Pelare, lavare e grattugiare le carote (se rilasciano molta acqua, colarle). Montare le uova con l'olio vegetale e lo zucchero di canna, fino ad ottenere un composto omogeneo; aggiungere la farina, le spezie e un pizzico di sale. Continuare a mescolare fino a quando avrete un composto omogeneo ed infine versate nell'impasto le carote, le noci tritate grossolanamente, il bicarbonato ed il lievito, amalgamando il tutto. Versare il composto in una teglia imburrata e infornare (in forno preriscaldato) a 180°C per circa 70 minuti. Preparazione farcia Miscelare burro, zucchero a velo e buccia di limone fino ad ottenere un composto spumoso. Aggiungere il formaggio cremoso ed amalgamare bene.

Variazioni, note e consigli Come indicato sopra, le noci possono essere sostituite o integrate con altra frutta secca. Tenere sotto osservazione la cottura. La farcia può essere aromatizzata a piacere. Può essere accompagnata da un centrifugato di carote, ananas, arancia, limone e zenzero. Pasquale Pangione

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Funghi, che passione! Tra scienza, credenze e... molta fortuna di

Piero Puliti

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2°categoria: anche questi conoscono tutte le fungaie e veramente trovano tanti funghi. Prendono solo porcini e ovoli, nei periodi di scarsità anche i galletti. Seguono il bosco giorno per giorno fin dall’inizio del probabile sviluppo; fanno alcuni viaggi a vuoto, ma sicuramente pri-

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uella dei funghi è una passione che hai dentro fin da bambino o una di quelle cose che ti prende durante l’arco della vita (a qualsiasi età) e quando ti ha preso probabilmente non ti lascia più. Più o meno tutti sanno cosa sono i funghi, ma c’è molta confusione su questa materia. Per molti i funghi sono “i porcini”, gli altri che vengono raccolti e consumati sono chiamati con nomi volgari e locali che possono cambiare anche da una valle all’altra. Andare a funghi appassiona moltissime persone e per questo voglio fare delle mie personalissime distinzioni che elenco per ipotetiche categorie. 1°categoria: coloro che raccolgono per la “vendita”. La raccolta produce un reddito che in alcune zone è più che lecito. Esistono dei regolamenti e divieti per chi non è del posto. Loro conoscono tutte le "fungaie", sono gelosi, ti scansano se li incroci nei boschi; sinceramente non godono di grandi simpatie. Anche la mattina molto prima che faccia giorno sono nel bosco con la “pila”, raccogliendo solo nei luoghi strategici, “le fungaie”. Quando, una volta fatto giorno, arrivano gli altri non c’è più niente (così le fungaie rimangono segrete). Dei veri professionisti.

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ma o poi arriva il giorno in cui fanno il pieno. Ma anche su questi c’è qualcosa da dire: i bravi sono solo loro, vanno al bar a vantarsi e mai ti diranno una volta “vieni con me”. Anche fra loro c’è chi vende i funghi ed ecco il perché di tali atteggiamenti. 3° categoria: la massa di gente che

Due giovani esemplari di Boletus pinicola

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appena sente dire del ritrovamento di un fungo si riversa incoscientemente, ingenuamente nei boschi

l’anno (i funghi, in quantità e specie diverse, ci sono sempre) seguiamo le stagioni e l’andamento climatico.

Esemplari di Ganoderma applanatum, cresciuti sul tronco di una quercia alla ricerca, ma vorrei dire alla “razzia” di tutto ciò che spunta dal terreno. E’ un diritto e una libertà di tutti che nessuno vuole togliere, ma un pò di buon senso non guasterebbe. E allora sorgono i problemi: boschi devastati, calpestati, rivoltati, saccheggiati. Alcuni riescono a portare a casa quel poco che rimane, ma è evidente che le due categorie precedentemente elencate hanno già preso il meglio che c’era. Aggiungo che questa categoria è anche la più a rischio per avvelenamenti, intossicazioni e problemi vari dovuti ai funghi; nessuno vuol tornare col cestino vuoto ed allora (per fortuna sempre meno) i più sprovveduti e incoscienti raccolgono di tutto e di più. Purtroppo ho visto, constatato e anche risolto delle situazioni che potevano finire in dispiaceri. Spesso si trovano distese di funghi delle varie specie che “questi individui” non raccolgono, rovesciati e distrutti semplicemente perché per loro sono solo “fungacci”. Questo è solo un atteggiamento da ignoranti ed a coloro che lo mettono in atto dovrebbe essere impedito anche l’accesso ai boschi. 4°categoria: gli appassionati, i sentimentali (a questi, lo dico con un pò di orgoglio e presunzione, appartengo anche io). Si va nei boschi tutto

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Abbiamo una notevole conoscenza didattica, della passione non se ne parla. Con l’avvento della “rete”, oggi è molto più facile conoscere e classificare i funghi; tuttavia, io sono

ia, se li conosci e sono anche buoni è il massimo. Se invece sono sconosciuti, allora sì che nasce l’interesse. A questa categoria di “fungaioli” appartengono coloro che consumano in assoluta certezza le più svariate specie di funghi, alle volte anche migliori dei classici. Aggiungo anche che, salvo rari casi, il cestino o lo zaino non è mai “pieno”. Come da titolo si parla anche di scienza, ma è un argomento assai complesso che lascio ai micologi ed a coloro che hanno più voce in capitolo di me. Posso però affermare che, anche per regolamento regionale (inclusa la mia Toscana), il cestino o lo zaino traforato è necessario per spargere le spore una volta raccolto il fungo e depositato nel contenitore. Ma se il fungo non è maturo, come può perdere le spore? Credo quindi che sia utile allo scopo ma non solo; per esempio serve per non rovinare i funghi raccolti e per non lasciare sacchetti di plasti-

Esemplari di Boletus aereusquercia per consultare dei buoni testi, che danno più soddisfazione (anche se non è sempre facile riconoscere e classificare un fungo da un’immagine). Ad ogni minimo dubbio però è sempre necessario rivolgersi agli ispettorati micologici delle ASL della propria zona. Trovare un fungo è sempre una gio-

ca sparsi nell’ambiente. In Toscana è inoltre prevista la misura del cappello solo per le specie pregiate. 4 cm di diametro per i Boleti (“porcini”) 2 cm per i prugnoli. Per l’Amanita cesarea (ovolo) divieto di raccolta quando è ancora chiuso a uovo. Questa è assolutamente una norma indispensabile: perché solo gli

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Esemplari appartenenti al genere Macrolepiota esperti (e non sono così tanti) riconoscono allo stadio chiuso a uovo un'Amanita cesarea dalla mortale Amanita phalloides. Però anche qui a volte emerge l’egoismo che c’è un pò in ognuno di noi: se lascio i piccoli funghi (si parla esclusivamente di Boleti) e poi passa qualcun altro che li raccoglie? Ed oltre a ciò, che forse è anche peggio, se qualcuno scopre la fungaia? Ed ora veniamo alle credenze popolari: per accertare la commestibilità dei funghi (aglio, moneta d’argento, prezzemolo, etc che dovrebbero cambiare di colore in caso di tossicità) è meglio affidarsi alla scienza e prendere questi “detti” come note di

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folklore. Anche sull’influenza della luna qualche dubbio ce l’ho. Ho constatato varie volte delle grosse differenze: ho trovato funghi in periodi che non dovevano esserci per la luna “non buona” e viceversa. C’è anche chi dice che con un certo tipo di luna i funghi sono completamente pieni di larve oppure non crescono; anche in questi casi, il tutto e il contrario di tutto. Sicuramente saranno coincidenze, ma mi permetto di avere qualche perplessità. Un’altra credenza curiosa è quella che diche che se uno vede un fungo ancora piccolo e non lo raccoglie, questo smette di crescere per il semplice motivo che è stato visto.

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Ciò può sembrare strano, ma ci può essere un fondo di verità: se sei passato molto vicino e involontariamente hai smosso il terreno (anche un qualsiasi animale può averlo fatto), oppure hai raccolto esemplari più maturi interrompendo così le ife, cioè le ramificazioni invisibili che collegano nel terreno i vari esemplari con le terminazioni delle piante simbionti, i funghi lasciati possono aver interrotto il loro sviluppo.

Piero Puliti Appassionato cercatore di funghi

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Come organizzare un trekking a cavallo Consigli, curiosità e tecniche per pianificare un'esperienza unica di

Gemma Navarra, Erika Verdiani

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uando si vuole organizzare un'escursione di più giorni a cavallo è importante pianificare attentamente i percorsi, tenendo conto delle esigenze dei cavalli e dei cavalieri.

Lunghezza totale del percorso La lunghezza totale dell'itinerario va calcolata in funzione dei giorni a di-

sposizione o viceversa. Sappiamo che la media di percorrenza di un cavallo al passo è di circa 6 km/ora, che la resistenza di un cavaliere con medio allenamento non va oltre le 6

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ore reali di cavalcata al giorno e di conseguenza che potremmo percorrere massimo 30 o 40 km al giorno. È importante prevedere eventuali imprevisti (ostacoli, soste…) lasciando un margine temporale di 2 ore prima del tramonto (in estate possiamo prevedere tappe più lunghe avendo a disposizione più ore di luce). Può essere utile prepararsi percorsi alternativi in caso di ostacoli imprevisti

funzione del dislivello e della percorribilità dei sentieri. I chilometri percorsi giornalmente diminuiranno all’aumentare dell’entità del dislivello da affrontare, così come strade accidentate rallenteranno la nostra marcia. Si tende ad escludere sempre strade asfaltate sia per motivi di sicurezza che di piacevolezza della percorrenza, oltre che di interesse paesaggistico-naturalistico. È sem-

(può capitare di imbattersi in alberi caduti in seguito a temporali).

pre necessario accertarsi che le vie che vogliamo percorrere siano comunali o vicinali, in caso contrario è buona norma chiedere anticipatamente il permesso a transitare ai

Dislivello e percorribilità La lunghezza dell'itinerario varia in

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proprietari. Fondamentale è percorrere prima l’itinerario a piedi per verificare se le strade prescelte siano adatte per il passaggio dei cavalli: i sentieri devono essere sufficientemente larghi (ci deve passare una persona a braccia aperte), non es-

cavallo va dai 40 ai 50 litri). E' necessario quindi prevedere di passare da torrenti, fonti o paesi e borghi dove esistono fontane o abbeveratoi (attenzione ai corsi d’acqua che attraversano i paesi: potrebbero essere inquinati). Se dovessimo trovarci in

correttamente il proprio cavallo è quello di controllare che, staccato dalla capezza, il moschettone della longhina non tocchi terra (questo ci assicura di aver legato il cavallo abbastanza corto da evitare incidenti). Il punto sosta deve essere inoltre

sere troppo pendenti, a fondo non scivoloso o pericoloso (evitare lastre di pietra, strapiombi, scalini e zone fangose o paludose dove il cavallo potrebbe sprofondare).

condizioni di non aver trovato acqua lungo il percorso, consigliamo di fare numerose soste per permettere ai cavalli di mangiare erba fresca per reidratarsi. È d’obbligo che l’acqua sia presente nei punti sosta e nei posti tappa.

ombroso ed avere un punto acqua o disponibilità di erba fresca; è buona norma dissellare durante la sosta, ma attenzione a non far raffreddare di colpo i cavalli sudati ed accaldati.

Punti acqua Quando si pianifica un trekking a cavallo è fondamentale prevedere dei punti di abbeveraggio per i cavalli. Ricordiamo che, soprattutto d’estate, il nostro cavallo può perdere molti liquidi ed è indispensabile farlo abbeverare più volte al giorno (il fabbisogno giornaliero d’acqua di un

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Punti sosta Le soste sono importanti lungo il tragitto per far riposare i cavalli ed i cavalieri. Un punto sosta deve avere alberi o staccionate stabili dove legare in sicurezza i cavalli; a tal proposito un consiglio per legare

Posti tappa Il posto tappa deve essere provvisto di un ricovero notturno per i cavalli. Ideale sarebbe avere a disposizione un paddock o dei box ma dal momento che spesso questo non è possibile, dovremmo arrangiarci legando i cavalli a staccionate o alberi. Un’interessante soluzione è

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quella della tesata, un metodo che consiste nel tendere corde da un albero all’altro e legare poi i cavalli alle corde tese; il cavallo in questo modo può muoversi scorrendo lungo la corda (è importante tendere le corde più in alto possibile ed in modo sicuro per evitare che il cavallo si infuni). Deve essere presente un punto acqua, come detto in precedenza e una sistemazione confortevole per i cavalieri (rifugi, possibilità di posizionamento tende, agriturismi, ecc…)

Appoggio logistico Questo è un aspetto essenziale per la riuscita del nostro trekking. È importante avere una macchina d’appoggio a disposizione per portare il cibo per noi e per i nostri cavalli ed

eventuali attrezzature troppo pesanti o difficili da trasportare in autonomia (tende, vettovaglie ecc…). Bisogna inoltre poter contare, in caso di emergenza, su un veterinario, un maniscalco ed un mezzo di trasporto cavalli disposti ad intervenire.

Attrazioni paesaggistiche storico-culturali Un viaggio non si può considerare tale senza una meta degna dell’impegno per arrivarci. Il piacere di un trekking a cavallo, oltre al rapporto creato con il proprio compagno a quattro gambe, è visitare e vedere da un altro punto di vista (più alto di un metro e mezzo) bellezze naturali, paesaggistiche, storiche e artistiche. Il trekking a cavallo diventa

un’esperienza completa se l’itinerario è ben pianificato: si può passare da selvagge foreste a crinali da cui ammirare splendidi paesaggi fino ad antichi borghi dove riscoprire l’antica cultura dei nostri territori. Prima di partire ricordiamo di controllare attentamente l’idoneità delle attrezzature e delle condizioni fisiche del proprio cavallo. Lungo il percorso ricordiamo che il trekking deve essere un piacere anche per il nostro cavallo! Rispettiamolo mantenendo la giusta andatura (nei viaggi si sta quasi sempre al passo) e scendendo spesso, nei punti difficili ma anche su strade facilmente percorribili (ogni tanto è piacevole sgranchirsi le gambe). Ed una volta ben pianificato il nostro trekking… pronti, partenza, via!

Erika Verdiani Laureanda in Scienze Forestali e guida Equestre Ambientale di 1° livello

Dr. ssa Gemma Navarra Guida Equestre Ambientale di 1° livello nvrgmm@virgilio.it

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Equitazione: molto è cambiato, ma non tutto Negli ultimi 30 anni sono cambiati molti concetti, ma le problematiche relative alle selle rimangono spesso purtroppo le stesse di

Gianni Marcelli

I

cavalli sono stati la grande passione della mia vita. Nato e cresciuto in una zona in cui di cavalli non c’era alcuna tradizione nè conoscenza, io, per chissà quale ragione, forse per una qualche predisposizione genetica, sono cresciuto con quel sogno, quell’immagine… quel desiderio chiamato Cavallo. Vengo da una famiglia contadina, di

suo mondo. Ora, facendo un confronto tra allora e adesso, davvero molto è cambiato. Ricordo ancora che allora l’equitazione in Italia, o perlomeno nelle zone e nei centri che io frequentavo, era essenzialmente Monta Inglese. La Monta Western era spesso malvista, considerata come qualcosa di serie B.

mato, e senza perdere troppo tempo. I vari sussurratori che allora si affacciavano sullo scenario erano quasi sempre derisi, considerati alla stregua di paurosi incapaci di salire in fretta su un puledro e starci sopra finché non era sottomesso. L’idea di “dare” al puledro il “suo” tempo era considerata un “perdita di tempo”, come quella di cercare la sua col-

La vicinanza della Maremma Laziale conferiva una qualche dignità alla monta maremmana, da noi comunque non praticata. Ricordo che l’idea dominante del rapporto col cavallo era la sua “Sottomissione”; il cavallo andava Do-

laborazione invece di voler ottenere con la forza la sua sottomissione. Ovviamente non tutto era così, come sempre c’erano sfumature varie tra il bianco e il nero mai così netti come spesso la semplificazione ci porta a pensare, ma, se devo dare una con-

Fig. 1

sani principi ma di scarse disponibilità, così quel mio desiderio rimase tale finché non iniziai avere una qualche indipendenza economica; fu così che, nei primi anni ’80, iniziai ad avvicinarmi più concretamente a questo meraviglioso animale ed al

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horsemanship, clinic, corsi, stage organizzati da cavalieri italiani o stranieri di buon e talvolta grande livello stanno a testimoniare che, anche proprio da un punto di vista culturale, l’approccio al cavallo è cambiato e credo si possa dire che, mediamente, un cavallo di oggi sta meglio di un cavallo di allora. In effetti però, guardando con un pò più di attenzione, non proprio tutto è cambiato. Anzi per qualche aspetto sembrerebbe che sia cambiato davvero poco! Come ad esempio la scarsa, spesso quasi nulla, conoscenza delle problematiche relative alla sella e la convinzione diffusa che ci siano selle che vanno bene per tutti i cavalli e/o sellai capaci di costruire tali selle.

Fig. 2 notazione a quel periodo, nel mio ricordo, il motivo dominante era quello sopra descritto. Tanto è cambiato da allora. Oggi l’approccio è sicuramente più rispettoso del cavallo, sempre nelle intenzioni o nelle dichiarazioni, non

proprio sempre nella quotidianità ma comunque davvero molto è cambiato da allora. Basta guardare i social con tutti che promuovono o pubblicizzano i vari “metodi” cosiddetti dolci, naturali… l’utilizzo (e talvolta l’abuso) di termini come horseman o

A titolo di esempio, riporto un episodio capitato ad un mio caro amico; queste le foto che mi sono state inviate (Fig. 1 e 2). Si tratta di un Fusto di una marca di selle ritenuta spesso tra quelle “che vanno bene su tutti i cavalli”. La sella si era rotta ed è stato ripulito e resinato il Fusto, forse per rifarci intorno una nuova sella… ma questo non è importante, quello che è importante è che quel Fusto (di una sella ritenuta buona per tutti i cavalli) per il cavallo della foto non va bene, in maniera evidente, come descritto nella Fig. 3. Insomma, il concetto importante è che ogni sella può andare bene ad un certo cavallo ma contemporaneamente non andare bene ad un altro. Questo a prescindere dalla qualità della sella ma solo in funzione delle “forme” e “dimensioni” della sella rispetto alle “forme” e “dimensioni” della schiena del cavallo su cui vogliamo metterla. Come un paio di scarpe per i nostri piedi… se abbiamo una 42 di piede, anche la scarpa più bella, costosa e blasonata del mondo, ma di misura 39 ad esempio, non ci andrà bene!

Gianni Marcelli Fig. 3

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Titolare GianniWest Saddlery

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Il marketing per le aziende agrituristiche Cenni introduttivi per capire il significato e l'importanza di un elemento troppo spesso sottovalutato in questo settore specifico di

Francesco Zenobi

M

arketing: questo sconosciuto alla maggior parte delle aziende agrituristiche. Il marketing serve per capire che tipologia di servizi vuole il cliente, cosa siamo in grado di offrire ed i modi con cui lo comunichiamo. Il primo passo è: capire cosa richiede il mercato. Il marketing non ha senso se non si comprende quali sono le attese del-

fidelizzare. A questo principio non viene meno il settore turistico complessivamente e ancor maggiormente quello agrituristico. Ogni impresa ha capito (o sta cercando di capire) che è l’impresa a dover ruotare intorno ai clienti e non viceversa. È molto più conveniente (a livello di logistica, di organizzazione e economicamente parlando) offrire ciò che l’azienda

Marketing significa preparare il terreno per il cliente/consu¬matore, affinché trovi quello si aspetta e non quello che pretendiamo che si aspetti. Il marketing non è vendita, fare del buon marketing rende meno importante la funzione della vendita e consente di risparmiare enorme energie aziendali per il miglioramento dei servizi già offerto o per l’implementazione di nuovi servizi/prodotti Tra le tante definizioni con cu si descrive il marketing, una tra queste dichiara che il marketing è un complesso di azioni/tecniche che vengono utilizzate per la progettazione, realizzazione e vendita di beni o servizi richiesti dal mercato. Anche nel settore agrituristico il marketing si fonda su analisi, idee e spesso anche su intuizioni, anche se così non sembra.

Come soddisfare il cliente

la domanda. Solo in questo caso si può iniziare a pensare e studiare la pubblicità, la creazione di un marchio riconoscibile ed originale e che rimanga facilmente impresso nella mente del cliente/consumatore. In ogni settore economico la competizione è diventata particolarmente ac¬cesa, oltre che a scontrarsi con un consumatore molto difficile da

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possiede ed è adeguato alle richieste del mer¬cato piuttosto che tentare di adeguare il mercato alle nostre proposte. Da quanto fino ad ora affermato, risulta palese che una serie di concetti tra¬dizionali sono fuori luogo e fuori tempo: il cliente è una preda, il mercato una giungla dove vince chi è senza scrupoli.

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Gran parte dell’attenzione aziendale deve essere rivolta a creare il senso della soddisfazione nel cliente; questa risulta essere tra prime (se non la maggioritaria) forma di marketing/ comunicazione come importanza. Un cliente insoddisfatto di per sé è un cliente poco propenso a ritornare nella struttura agrituristica, oltre ad essere un possibile influenzatore negativo per la nostra attività. In caso di influenzatori negativi, acquisire e mantenere un nuovo cliente è ben più costoso rispetto al mantenimento di un cliente soddisfatto dei servizi offerti. La soddisfazione molte volte non si trasforma in fedeltà ma diventa sicuramente una pubblicità gratu-

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ita a nostro vantaggio. Ogni cliente soddisfatto tende a comunicare con i propri amici/parenti la propria esperienza positiva riuscendo a convincere (o quantomeno ad incuriosire), generando valore aggiunto a costo zero per l’azienda agrituristica. Le lamentele dovrebbero essere sempre ben accettate; i clienti più pericolosi sono quelli insoddisfatti

sta dell’imprenditore per abbracciare la percezione della qualità dal punto di vista del consumatore. Attualmente un forte punto di riferimento sono le famiglie: proviamo ad analizzare il punto di vista di una famiglia media in un agriturismo. Sicuramente le famiglie con bambini al seguito sono attirate dalla possibilità di far interagire i loro figli con gli

che non si lamentano. Quelli che si lamentano, infatti, vi stanno concedendo la possibilità di porre rimedio al problema e vogliono mantenere un rapporto di dialogo con l’organizzazione della struttura, rapporto che un’ottima dirigenza deve sapere sfruttare e mantenere viva. Quando capita uno sciopero dei mezzi per raggiungere la vostra struttura o si rimane senza una fornitura di prodotti, che sapete cara al cliente (o altro ancora), non rinchiudetevi, cercate di risolvere le situazioni in modi diversi come ad esempio: far spedire a casa del cliente una serie di campioni o prodotti della determinata linea a lui cara, attrezzare un servizio sostitutivo per la mobilità del cliente e cercate sempre di risolvere i grandi e piccoli problemi sempre con il sorriso. In tutti questi casi, vedrete che la delusione si trasformerà in un apprezza¬mento per il vostro gesto e il ricordo che il cliente conserverà di que¬sta situazione sarà positivo e piacevole. Si deve abbandonare il punto di vi-

animali presenti in azienda. Uno dei punti di qualità richiesti (se non addirittura fondamentali) dalle famiglie è quella di trovare e avere disponibilità di animali socievoli e tranquilli; poco o nulla interessa loro (nella maggior parte dei casi) se l’azienda agrituristica ha animali di particolare pregio/ valore, poiché sono alla ricerca di situazioni che permettano loro di sapere che i propri figli sono al sicuro con animali docili e tranquilli. Se vi rendete conto che un fattore riscuote un basso livello di soddisfazione e si ritiene che questo fattore sia molto importante nell’opinione del cliente (ad esempio, la pulizia delle camere), occorre intervenire immediatamente e senza indugi, in quanto una scarsa soddisfazione su questo aspetto può condizionare negativamente il giudizio complessivo di tutta la struttura agrituristica. Se l’agriturismo si limita alle proposte food, questa carenza per alcuni turisti avrà un basso impatto, considerato che la maggior parte dei frequentatori di agriturismo rivolgono

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le loro attenzioni ai prodotti food. Certamente sarà da considerare il miglioramento dell’offerta inerente al non food, ma potrà essere effettuata con tempi non celeri non essendo una delle priorità per l’azienda agrituristica. Immaginando che siate in grado di proporre una colazione ricca a base di prodotti naturali e tipici, il livello di soddisfazione si accom¬pagna a una forte importanza che viene attribuita a questo aspetto: è necessario quindi mantenere alto il livello di soddisfa¬zione. Se si andasse a impoverire la scelta nella colazione, si incorrerebbe nella delusione del turista, delusione non trascurabile in quanto elemento importante. Pare chiaro che alle fondamenta di tutto ci sono le opinioni dei clienti, opinioni che possono essere raccolti in molti modi, oltre che cercare di indurre i clienti a divulgare l’esperienza positiva vissuta nella struttura agrituristica. Elemento non indifferente per sapere cosa pensa il cliente/consumatore è il monitoraggio costante (più volte al giorno) dei siti specializzati per la recensione delle attività turistiche, riservando particolare attenzione e tempo nelle risposte alle recensioni negative, cercando di comunicare in modo chiaro e rispettoso che della loro segnalazione è stato fatto tesoro e comunicare in modo moderato le opportune spiegazioni del perché è successo. Nel prossimo numero: Come una azienda agrituristica deve confrontarsi a livello nazionale ed internazionale

Dr. Agr. Francesco Zenobi frzenobi@gmail.com

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L’Istituto Agrario di San Michele all'Adige

L Speciale Istituti Agrari d’Italia

’Istituto Agrario di S. Michele all’Adige inizia la sua storia nel 1874 come scuola tecnica agraria di durata biennale con annessa stazione Sperimentale; questa fu istituita al fine di promuovere lo sviluppo dell’agricoltura locale ed in particolare del settore viticolo-enologico, nel periodo in cui il Trentino faceva parte del Tirolo nell’Impero Austroungarico. La lungimiranza dei politici e degli amministratori dell’epoca si concretizzò con la scelta di fondare un Istituto Agrario in grado di affrontare tutte le problematiche che il settore agricolo, ed in particolare quello viticolo, doveva fronteggiare. Arrivando a noi, dopo quasi 150 anni di storia, la Fondazione Edmund Mach (denominazione che richiama quella del primo direttore dell’Istituto) dal 2007 rappresenta e gestisce tutte le attività dell’Istituto e non solo. La sua organizzazione è complessa ed è composta da tre strutture principali: • Centro Istruzione e Formazione, con compiti d’istruzione e formazione nelle materie agrarie, agroalimentari, ambientali e forestali. La proposta formativa non è rivolta solamente a giovani in età scolare che intendono acquisire un titolo di studio nel settore specifico di riferimento, ma anche ad adulti nell’ambito della formazione permanente; l’offerta formativa, come vedremo successivamente, spazia dall’istruzione tecnica e professionale di secondo ciclo, all’istruzione universitaria, nonché formazione, alta formazione e qualificazione professionale. • Centro Ricerca e Innovazione, che svolge attività di ricerca (base e applicata) e promuove l’innovazione

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nei campi di riferimento della Fondazione, con progetti sul miglioramento genetico delle piante da frutto e della costituzione di nuove varietà di interesse commerciale, la valorizzazione del settore agroalimentare e l’utilizzo sostenibile degli ecosistemi agrari e naturali. • Centro Trasferimento Tecnologico, che opera nei comparti agricolo-zootecnico, forestale e ambientale svol-

un orto didattici con superficie pari a circa 3000mq; un parco; un frutteto didattico con diverse varietà e cloni di melo e pero, pari a circa 1,5 ha; i vigneti dell'azienda agricola della F.E.M. soprattutto per le operazioni di potatura, per una superficie pari a circa 5 ha (sistema di allevamento a pergola semplice e guyot). L’Istituto è inoltre dotato di un convitto situato in prossimità della sede

gendo attività di sperimentazione, saggio e verifica di tecniche e tecnologie utili per l’implementazione di processi produttivi sostenibili dal punto di vista economico, ambientale e sociale. A livello di strutture, l’Istituto dispone di 44 aule dislocate in due diversi edifici: la sede principale e la palazzina in località Pozza Nuova, dove si svolge la normale attività didattica. Oltre ad una ricca serie di aule e laboratori attrezzati, gli studenti per le esercitazioni pratiche utilizzano anche terreni e strutture situati nei pressi dell’Istituto scolastico e in particolare: una serra ed

scolastica; questo ospita gli studenti che ne fanno richiesta offrendo loro un servizio di vitto e alloggio, nonché attività di supporto allo studio, sportive, ricreative e culturali. Il progetto educativo è orientato a favorire la maturazione degli adolescenti, dando loro l’opportunità di vivere un’importante esperienza di vita comunitaria e di crescita personale. L’apprendimento delle regole della convivenza civile costituisce parte integrante degli obiettivi che l’Istituto intende perseguire, sia nell’ambito delle attività scolastiche in sede o di quelle integrative in genere, che all’interno del convitto.

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L'azienda agricola L’azienda agricola dell’Istituto, che fa capo anch’essa alla Fondazione Edmund Mach, concentra le principali attività didattiche e sperimentali in alcune parcelle, mentre il 60-70% della superficie rimane investita a finalità prevalentemente produttivo-commerciali. I terreni di proprietà, per un ammontare di 185 ha, dei quali circa 85 destinati a frutti-viticoltura, si trovano in gran parte nelle adiacenze dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige. Altri possedimenti sono localizzati in diverse zone rappresentative dei principali comprensori agricoli trentini: Cles, Mezzolombardo, Faedo, Rovereto, Telve Valsugana e Castelnuovo. Comprensiva di cantina e distilleria, oltre ad esercitare un’attività produttiva e di trasformazione, è anche di supporto alle attività didattiche, di sperimentazione e di ricerca. Per lo svolgimento di tali finalità l’Azienda Agricola mette a disposizione tutte le proprie strutture ed i propri appezzamenti.

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L'Istituto Agrario di San Michele all'Adige

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Intervista al Dirigente Scolastico dell’Istituto Prof. Marco Dal Rì Quali sono le prospettive per il mondo dell’istruzione agraria? Credo che ci potrebbero essere buone prospettive soprattutto a seguito dell’attivazione dell’alternanza scuola lavoro. Purtroppo rimane un grosso neo legato ai nuovi piani di studio conseguenti alla riforma Gelmini: in essi vi sono alcune incongruenze che rischiano di invalidare tutti gli sforzi fatti dalle scuole per formare buoni tecnici. Noi, come scuola paritaria, abbiamo cercato di porre qualche rimedio ma il problema rimane comunque irrisolto. Un consiglio alle ragazze ed ai ragazzi che si apprestano ad iniziare un percorso formativo della F.E.M.?

Il Prof. Marco Dal Rì L’unico consiglio che mi sento di dare a coloro che intendono frequentare questa scuola è quello di verificare molto bene le motivazioni che hanno condotto a tale scelta e conseguentemente essere consapevoli dell’impegno richiesto. Fondamentali comunque, per una buona riuscita in un percorso scolastico come quello proposto in FEM, sono

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le motivazioni.

Il percorso formativo Concentrandosi sull’Istruzione secondaria superiore, l’indirizzo formativo principale è denominato “Agraria, Agroalimentare ed Agroindustria”; è finalizzato all’acquisizione di un complesso di competenze riguardanti l’organizzazione e la gestione dei processi produttivi e trasformativi, l’attività di marketing, il controllo e la salvaguardia di situazioni ambientali e territoriali, gli eventuali giudizi di convenienza economica, la valutazione di beni, diritti e servizi, gli interventi per il miglioramento di assetti territoriali rurali. A fianco dell’attività formativa previsto un percorso di Alternanza Scuola Lavoro (A.S.L.) che prevede diverse attività (disciplinari e interdisciplinari) e riguarda sostanzialmente la gestione di una coltura presso l’azienda agricola della F.E.M. a partire dai primi interventi colturali fino alla raccolta del prodotto finito. Il percorso che coinvolge l’intero triennio è graduale e considera il fatto che all’inizio della terza i ragazzi hanno poche conoscenze in ambito tecnico e, mano a mano che nelle lezioni disciplinari acquisiscono competenze, abilità e conoscenze, l’attività si arricchisce. Non si tratta dunque di un percorso

parallelo alla normale attività didattica, piuttosto una modalità diversa, ma efficace, di fare scuola. Per quanto riguarda invece il percorso di formazione professionale, attivato a partire dall’anno formativo 2003/2004, questo afferisce al settore “Agricoltura e Ambiente” della Istruzione e Formazione professionale della P.A.T. e nel 2011 ha ottenuto la parità formativa. L’offerta formativa consiste in due indirizzi diversi: “Allevamento, coltivazioni, gestione del verde” e “Trasformazione agroalimentare”. Esiste poi un percorso strutturato in un triennio, al termine del quale si consegue la qualifica di Operatore della Trasformazione Agroalimentare, scegliendo tra le tre seguenti opzioni: Trasformazioni vegetali, Trasformazione lattiero-casearia, Lavorazione carni. Il percorso può proseguire con la frequenza di un quarto anno (in alternanza scuola-lavoro) che porta al conseguimento del diploma di Tecnico della trasformazione agroalimentare, nell’ambito di tre opzioni: Trasformazioni vegetali, Trasformazione lattiero-casearia e Lavorazioni carni. Dr. Flavio Rabitti Direttore Editoriale Rivista TerrAmica

Dott. Luca Poli Dottore Forestale luca9008@ hotmail.it

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Chi siamo

Associazione di Agraria.org

L’Associazione di Agraria.org è stata costituita nel 2013 da un gruppo di giovani laureati in Agraria, Scienze Forestali e Veterinaria. Fin dalla sua fondazione, grazie all’impegno dei tantissimi associati sparsi per tutta Italia, ha promosso ed organizzato numerose iniziative per diffondere le conoscenze riguardanti pratiche agricole ed agro-alimentari sia a scopo amatoriale che professionale, supportare le piccole realtà agricole nella promozione della loro attività attraverso la vendita diretta, favorire l’inserimento dei diplomati e laureati del nostro settore e la crescita delle aziende agricole associate.

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Corso di degustazione olio extra vergine di oliva

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Cosa facciamo L’Associazione si appresta a compiere il suo quinto anno di attività (1° marzo 2018): guardandoci indietro ci rendiamo conto, non senza stupore, della strada fatta (migliaia di persone coinvolte, le tante azioni di divulgazione scientifica sul territorio, gli innumerevoli lettori di TerrAmica, etc), ma se volgiamo lo sguardo in avanti, viene naturale una spinta grintosa per il proseguimento degli ultimi progetti messi in cantiere. Recentemente abbiamo riproposto i nostri grandi classici, una serie di incontri a tema che riscuotono sempre molto successo, per imparare a fare l’orto e realizzare composizioni floreali, ricerca in

Promozione attività dell'associazione

Spazio Associazione di Agraria.org


Alcuni incontri a tema organizzati dall’Associazione per gli iscritti natura e riconoscimento di erbe spontanee commestibili e funghi; inoltre non sono mancati percorsi di avvicinamento al vino con gli ormai consueti incontri del corso di degustazione “DE-GUSTA vino” che ogni anno avvicina al mondo del "vino consapevole" molte persone.

Progetto europeo Erasmus + Grande successo ha riscosso l’iniziativa organizzata con il Comune di Firenze e Alia (l’azienda del trattamento dei rifiuti dell’area fiorentina) che ha visto l’associazione impegnata in una serie di incontri sul compostaggio domestico. Sempre con il Comune di Firenze abbiamo organizzato, da giugno a novembre 2017, delle passeggiate guidate da esperti agronomi e forestali alla scoperta del Parco delle Cascine di Firenze. Continua inoltre il rapporto di collaborazione con l’associazione Foresta Modello delle Montagne Fiorentine, per consolidare i rapporti con le varie realtà locali, nonostante l'associazione si mantenga viva anche a livello nazionale. In ottobre, insieme ad altre associazioni del territorio, abbiamo organizzato una giornata alla scoperta di Vallombrosa (FI) dal titolo: "Vallombrosa, miti, simboli e colori”. Tale iniziativa è stata riproposta anche nell’ottobre 2018 ed ha avuto come tema il paesaggio e i pascoli montani appenninici. È proseguita anche la collaborazione con l'azienda agricola “La Lumaca Madonita”, con la quale abbiamo promosso il corso professionale di elicicoltura, presso la sede aziendale di Campofelice di Roccella (PA).

Spazio Associazione di Agraria.org

Erasmus +: Da aprile 2016 l'Associazione di Agraria.org è andata oltre i confini nazionali e ha volto lo sguardo verso l’Europa. Siamo stati accreditati come ente di invio nell'ambito del Servizio Volontario Europeo (SVE) all'interno del programma Erasmus + dell'Unione Europea. Il Servizio Volontario Europeo offre ai giovani tra i 17 e i 30 anni l’opportunità di svolgere un’attività di volontariato in un Paese del programma o al di fuori dell’Europa, per un periodo che va da 2 a 12 mesi, impegnati come “volontari europei” in progetti locali in vari settori o aree di intervento: cultura, gioventù, sport, assistenza sociale, patrimonio culturale, arte, tempo libero, protezione civile, ambiente, sviluppo cooperativo e tanti altri temi. I volontari selezionati dall’Associazione potranno intraprendere un’esperienza che segnerà il resto della loro vita a costo zero, come collaborare presso un’organizzazione no-profit in altri paesi europei, accrescere le competenze nel terzo settore e nel settore del sociale, imparare una nuova lingua e migliorare le competenze di inglese. Rimani in contatto con l’Associazione di Agraria.org per scoprire tutte le possibilità, seguendoci sui social network (Facebook, Twitter) o chiedendo di essere iscritto alla nostra newsletter.

Diventa uno di noi Entra a far parte anche tu di questa grande comunità di appassionati del mondo agricolo e ricevi i prossimi numeri di TerrAmica comodamente e gratuitamente a casa tua. Altri vantaggi per i soci: ● partecipazione ad eventi ed incontri in tutto il territorio nazionale organizzati dall’Associazione ● possibilità di partecipazione a fiere nazionali sull’agricoltura ed ambiente a condizioni agevolate ● visibilità per i giovani tecnici che si affacciano nel mondo del lavoro ● promozione delle aziende agricole guidate da giovani imprenditori (progetto “Smart Farm”) Iscriviti online a soli 10€ l’anno su: www.associazione.agraria.org

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Come fare per RICEVERE TERRAMICA direttamente a casa tua Per ricevere “TerrAmica - Rivista Associazione di Agraria.org” è sufficiente essere soci. Per associarsi bastano 10€ l’anno! Ecco i pochi e semplici passaggi per iscriversi: 1. Accedi al sito www.associazione.agraria.org 2. Clicca in alto a destra su “Iscriviti all’Associazione” 3. Compila il modulo con i tuoi dati e scegli il metodo di pagamento desiderato 4. Decidi se pagare con Paypal, Bonifico bancario o Bollettino postale ed attendi il buon esito della registrazione 5. Versa la quota associativa e... ricevi a casa TerrAmica!

Per qualsiasi problema o informazione scrivi a associazione@agraria.org o telefona al numero +39 388 5867540

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Come associarsi



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Sei un allevatore? Iscriviti gratuitamente nel catalogo allevamenti: http://allevamenti.agraria.org/ Sei un libero professionista del settore agrario o forestale? Iscriviti gratuitamente nel catalogo professionisti: http://professioni.agraria.org/ Hai un’azienda agricola e vendi direttamente i tuoi prodotti? Iscrivila gratuitamente nel catalogo per la Filiera Corta: http://aziende.agraria.org/


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