TerrAmica Num. 9 - 2018

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ANNO V

N° 9

LA TECNICA DELLA SOLARIZZAZIONE IL CONIGLIO E LA TEMIBILE COCCIDIOSI COME PREVENIRE ERRORI IN CANTINA SCOPRIRE UNO SCONOSCIUTO CANE INGLESE

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EDITORIALE 4 5

Un piccolo aiuto per di Flavio Rabitti tenere viva TerrAmica Uno sguardo al Comitato di Redazione COLTIVAZIONI

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sommario

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La Solarizzazione

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La Solarizzazione La coltivazione per la produzione di legno Un metodo di potatura "alternativo" della vite

di Eugenio Cozzolino di Marco Giuseppi di Alessandra Bruni

ZOOTECNIA Il coniglio e la coccidiosi L'allevamento dei mitili

di C. Papeschi e L. Sartini di Lapo Nannucci

ANIMALI DA COMPAGNIA 27 31

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Come non commettere errori in cantina

Il Lancashire Heeler

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Il Lancashire Heeler Lo "York", il Re dei canarini

di Federico Vinattieri di Federico Vinattieri

AGROALIMENTARE ITALIANO Gli errori più comuni nella produzione di vino hobbistica Il formaggio in cucina Le storie del cibo: La melanzana • La ricetta: Parmigiana di melanzane

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di Marco Sollazzo di Cesare Ribolzi

di Pasquale Pangione

AMBIENTE, FORESTE E NATURA 44

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TerrAmica - Rivista Associazione di Agraria.org Sede legale: Via del Gignoro, 27 - 50135 - Firenze C.F. 94225810483 - associazione@agraria.org www.associazione.agraria.org

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Trekking a cavallo: criticità e rischi di G. Navarra, E. Verdiani da evitare Escursione nella di Piero Puliti Foresta di Sant'Antonio di Ivano Cimatti La PAC nel bilancio europeo ASSOCIAZIONE DI AGRARIA.ORG

Foto copertina: Leonardo Graziani

ANNO V - N° 9 - LUGLIO 2018 DIRETTORE EDITORIALE: FLAVIO RABITTI

Impaginazione e grafica: Flavio Rabitti

Direttore responsabile: Marco Salvaterra

Reg. Tribunale di Firenze nr. 3876 del 01/07/2014

Periodicità: Semestrale

Stampa: Tipografia Baroni e Gori srl Via Fonda di Mezzana, 55/P 59100 - Prato

Redazione: Cristiano Papeschi (Responsabile scientifico Zootecnico), Eugenio Cozzolino (Responsabile scientifico Coltivazioni), Marco Salvaterra, Marco Giuseppi, Flavio Rabitti, Luca Poli, Lapo Nannucci

Sommario

Gli autori si assumono piena responsabilità delle informazioni contenute nei loro scritti. Le opinioni espresse dagli autori non impegnano la rivista e la sua direzione.

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sostenibili con i fondi a disposizione (considerando il fatto che tutti coloro che ci lavorano lo fanno a titolo completamente gratuito).

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Editoriale

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Dal 2014 ad oggi siamo riusciti a portare avanti il progetto con successo grazie alle iscrizioni dei soci (10€ / anno) ed ai generosissimi sponsor che riuscivano a pagare parzialmente le spese di stampa, postalizzazione ed invio. Ultimamente invece sta diventando sempre più difficile riuscire a far tornare i conti, anche perchè negli ultimi anni abbiamo visto crescere sensibilmente i costi relativi alla gestione, stampa ed invio della rivista stessa. Ad ogni numero TerrAmica riceve numerosissimi feedback positivi da parte dei lettori e le due versioni (online

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In ogni caso... mille volte grazie!

Flavio Rabitti Direttore editoriale Rivista TerrAmica

Editoriale


Uno sguardo al Comitato di Redazione di TerrAmica Cristiano Papeschi (Responsabile Scientifico Settore Zootecnico): laureato in Medicina Veterinaria presso l’Università di Pisa, specializzato in Tecnologia e Patologia degli Avicoli, del Coniglio e della Selvaggina presso l’Università di Napoli, è attualmente in servizio presso l’Università degli Studi della Tuscia (Viterbo); già collaboratore di numerose riviste tecniche a carattere zootecnico e veterinario, membro di comitati scientifici e di redazione. Eugenio Cozzolino (Responsabile Scientifico Settore Coltivazioni): diplomato presso l’Istituto Tecnico Agrario Statale “De Cillis” e laureato in Scienze Agrarie presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Napoli “Federico II, lavora presso il Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura. Marco Giuseppi: diplomato all'Istituto Tecnico Agrario e laureato magistrale in Scienze e Tecnologie dei Sistemi Forestali all'Università degli Studi di Firenze. Segretario dell'Associazione di Agraria.org e responsabile progetti Erasmus+ (youth exchange e Servizio Volontario Europeo). Svolge la libera professione di Dott. Agr. e Forestale collaborando con diversi studi agronomici. Luca Poli: diplomato all’Istituto Tecnico Agrario e laureato magistrale in Scienze e Tecnologie dei Sistemi Forestali presso l’Università degli Studi di Firenze. Iscritto all'Ordine dei Dottori Agronomi e Forestali di Firenze. Riveste il ruolo di vice-presidente dell'Associazione e svolge le mansioni di webmaster della Rivistadiagraria.org e del Catalogo online delle aziende agricole. Lapo Nannucci: diplomato presso l’Istituto Tecnico Agrario e laureato in Scienze e Tecnologie Agrarie alla Facoltà di Agraria di Firenze, è iscritto all’Albo dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Forestali di Firenze; libero professionista settore pesca ed acquacoltura, è consulente esterno di Federpesca e CE.S.I.T, Centro di Sviluppo Ittico Toscano. Particolare esperienza nel settore della pesca di piccoli e grandi pelagici. Marco Salvaterra: laureato in Scienze Agrarie presso la Facoltà di Agraria di Bologna, è docente presso l’Istituto Tecnico Agrario Statale di Firenze; dal 2000 si occupa di divulgazione in campo agricolo attraverso il network Agraria.org che comprende, fra le altre cose, un Catalogo di Aziende Agricole, uno di Allevatori, una Rivista quindicinale online ed un Forum del settore. Flavio Rabitti (Direttore editoriale): diplomato all’Istituto Tecnico Agrario Statale di Firenze e laureato in Tutela e Gestione delle Risorse Faunistiche alla Facoltà di Agraria di Firenze; dal 2009 iscritto all’Albo regionale degli Imprenditori Agricoli. Gestisce una piccola azienda agricola in Toscana a Suvereto (LI), all’interno della quale produce vino, olio extravergine di oliva, miele, ed una serie di prodotti artigianali al tartufo (www.rabitti.eu).

Editoriale

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La Solarizzazione Una tecnica ecologica, economica e di facile esecuzione che utilizza la potenza del sole per combattere i fitoparassiti del suolo di

Eugenio Cozzolino

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un cospicuo numero di giorni nella stagione calda. L'innalzamento termico nel terreno dovuto all''effetto serra è responsabile di una serie di fenomeni positivi per le coltivazio-

ni successive. La solarizzazione è un'agrotecnica ecocompatibile, economica e di facile esecuzione. La riuscita del trattamento dipende oltre che dalle temperature raggiunte dal

Coltivazioni

ell'immagine è riportato il frontespizio della pubblicazione del Prof. Katan et al. dove si parla per la prima volta di solarizzazione. Il lavoro fu sottoposto all'esame scientifico e alla critica attraverso una pubblicazione su Phytopathology nel 1976. La pubblicazione descrisse dettagliatamente il metodo, i suoi principi e il suo potenziale nel controllo delle malattie e delle erbe infestanti in condizioni reali. La solarizzazione consiste nel sottoporre il suolo, opportunamente lavorato, bagnato e pacciamato con film plastico trasparente, all'azione benefica della radiazione solare per

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Coltivazioni


terreno anche dall'attenta esecuzione di tutte le fasi che lo compongono.

In cosa consiste La solarizzazione si può effettuare sia in pieno campo che in serra; la tecnica della solarizzazione si effettua mediante la copertura del terreno con film plastico trasparente che deve essere in possesso di

serra stessa. Ovviamente la solarizzazione si esegue nel periodo più caldo dell’anno, giugno-agosto, per circa 30-40 giorni. È stato dimostrato che la solarizzazione è efficace se la temperatura supera per un periodo di tempo sufficientemente lungo il valore di 37-40°C, generalmente riconosciuto come soglia termica minima per una

ivi comprese Orobanche spp., di influenzare la nodulazione simbiotica radicale delle leguminose, di migliorare le condizioni di nutrizione del terreno, di incrementare l’accrescimento e le produzioni areiche delle specie coltivate. In alcune esperienze è stata messa in luce una attività verso le larve di Agriotes (ferretti) mentre, nei confronti dei nematodi galligeni del genere Meloydogine,

Solarizzazione effettuata in un orto domestico una elevata resistenza meccanica, con spessori di 25-50 micron e una capacità termica che esalti totalmente l’effetto serra al suolo. La quasi totale trasparenza a tutto lo spettro solare e l’elevata opacità alla radiazione IR emessa dal suolo sono caratteristiche indispensabili per un film per solarizzazione. In ambiente protetto, serra o tunnel, l'effetto solarizzazione è esaltato in quanto, oltre alla copertura del terreno con pacciamatura, vi è la copertura della

Coltivazioni

significativa riduzione del carico dei microrganismi dannosi. Le ricerche finora condotte hanno permesso di accertare che essa è in grado di assicurare un più o meno efficace controllo di fitopatogeni e fitoparassiti tellurici (Pyrenochaeta lycopersici, Verticillium dahliae, Fusarium oxysporum f.sp. melonis, Fusarium oxysporum f.sp. radicis-lycopersici, Sclerotinia spp., Rhizoctonia spp., Phoma lycopersici, Phytopthora capsici) nonché di numerose infestanti,

i risultati non sono stati sempre ottimali. Prima di procedere, occorre eliminare i residui di vegetazione della coltura precedente, lavorare il terreno alla profondità di 30 cm, e affinarlo bene. Durante le lavorazioni del terreno sarebbe opportuno somministrare e interrare sostanza organica che libera per fermentazione composti volatili (ammoniaca, composti solforici, isotiocianati) ed altre sostanze ad azione tossica verso la carica patogena tellurica.

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Successivamente, occorre predisporre un impianto irriguo con ali gocciolanti, e subito dopo bisogna coprire il terreno con film plastico cercando di far aderire quanto più possibile il film al terreno ed interrando i bordi con cura, specialmente quando si opera in pieno campo. Infine, è necessario irrigare il terreno e portarlo alla capacità di campo. A fine solarizzazione bisogna evitare rivoltamenti di strati profondi di terreno. Ciò per evitare di portare in superficie strati di terreno probabilmente infetti, non sottoposti all’azione del calore. Il trattamento non provoca ‘vuoto biologico', favorisce la sopravvivenza di batteri PGPR (Plant Growth Promoting Rhizobacteria), funghi e attinomiceti antagonisti, etc.

stata presa in seria considerazione perché in passato si è fatto largo uso dei fumiganti. In un contesto politico e sociale nel quale vi sono sempre maggiori spinte dall’Unione Europea, con la progressiva revoca delle sostanze attive comunemente utilizzate come fumiganti e dalla GDO con la richiesta di un prodotto sempre più ecosostenibile, la solarizzazione si ripropone con attualità come una tecnica capace di assicurare risultati economicamente validi agli imprenditori agricoli.

Riferimenti bibliografici https://agronotizie.imagelinenetwork.com/speciali/colture-protette-serre-difesa-tecnica/1431 http://www.fritegotto.it/News-La-solarizzazione/ http://www.ccr.unict.it/pom/descrizione.html#contenimento Dr. Eugenio Cozzolino eugenio.cozzolino @crea.gov.it

I punti critici Le principali motivazioni che, allo stato attuale, limitano la diffusione di questa tecnica sono: • Durata (circa 45 giorni); spesso è considerata una causa ostativa per fare solarizzazione; in coltura protetta, con gli elevati costi di investimento, l'imprenditore cerca di avere un tempo di inattività quanto più breve possibile, ed attualmente diversi mezzi chimici consentiti sono caratterizzati da rapidità di esecuzione, bassi residui sulle colture e costi sostenibili. • Minore efficacia in pieno campo. • Efficacia legata all'andamento climatico.

I punti a favore • Approccio integrato al terreno considerato come un 'ecosistema complesso • Integrabile con altri prodotti • Buona efficacia • Tecnica utilissima in orticoltura in coltura protetta nel caso di aziende biologiche • Aspetto economico • Ridotto impatto ambientale La tecnica della solarizzazione, sebbene nota da tempo a molti agricoltori, spesso non è

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Coltivazioni


La coltivazione per la produzione di legno Una tipologia di coltivazione che utilizza principalmente specie forestali per produrre legno destinato a scopi anche molto diversi fra loro di

Marco Giuseppi

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l nuovo testo unico in materia di foreste (DECRETO LEGISLATIVO 3 aprile 2018, n. 34 ) definisce l’arboricoltura da legno “la coltivazione di impianti arborei in terreni non boscati o soggetti ad ordinaria lavorazione agricola, finalizzata prevalentemente alla produzione di legno a

esclusa dalla definizione di bosco delle normative nazionali e regionali. Tuttavia non è possibile considerare l’alboricoltura da legno come una coltivazione che rientra totalmente nel settore agrario, si può parlare quindi di un anello di congiunzione che unisce i due mondi, se infatti gli

fine del ciclo colturale. Questo ultimo punto è di fondamentale importanza, l’imprenditore può infatti approfittare di congiunture favorevoli anticipando o posticipando il taglio delle piante presenti. L’obiettivo principale dell’arboricoltura da legno è la produzione di as-

Ortofoto 2016 dalla quale si notano impianti di arboricoltura da legno sulle aree golenali del Po uso industriale o energetico e che e' liberamente reversibile al termine del ciclo colturale”. Caratteristica fondamentale degli impianti di arboricoltura da legno infatti è la transitorietà. La coltivazione per la produzione di legno infatti è assimilabile a qualsiasi altra coltivazione agronomica che impegna l’uso del suolo solo per il tempo strettamente necessario al raggiungimento della maturità degli esemplari ed è espressamente

Coltivazioni

impianti vengono fatti essenzialmente su terreni agricoli, si utilizzano quasi sempre specie di derivazione forestale. Strettamente legato al carattere transitorio della coltivazione di impianti da legna vi è la durata ciclo colturale che può dipendere da svariati fattori come la scelta delle specie, l’ottenimento o meno di aiuti per l’esecuzione delle operazione culturali e la condizione del mercato al momento dell’avvicinarsi della

sortimenti legnosi con caratteristiche ben precise. I principali obiettivi di produzione possono essere suddivisi in 3 categorie: a) Tronchi da trancia o da sfogliatrice b) Biomasse c) Tronchi da sega Pur puntando a produrre principalmente un solo tipo di assortimento di legname, è facile che questo non sia l’unico prodotto della coltura. Ad esempio se l’obbiettivo principale è

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Pioppeta all'approsimarsi della fine del turno (foto di Luigi Bellandi) quello di produrre tronchi da tondi da trancia si otterranno anche come prodotti secondari anche materiale da sega e materiale per biomasse. Per la progettazione di un impianto di arboricoltura da legno è opportuno avvalersi di professionisti abilitati che effettuata un’ analisi delle caratteristiche stazionali e delle caratteristiche socio economiche della zona, di concerto con gli obiettivi dell’imprenditore, sappiano fare le scelte migliore per l’individuazione delle specie da piantumare e la definizione del piano di coltura. Essenzialmente la fasi della progettazione di un impianto di arboricoltura da legno possono essere così sintetizzate

Analisi preliminari • Analisi climatica: dove andranno

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presi in considerazione i dati ricavati dalle stazioni meteorologiche più vicine delle temperature massime e minime, con particolare attenzione all’escursione termica e all’intensità delle precipitazioni. • Analisi del terreno: la struttura del terreno viene rilevata tramite campionamenti ed analisi eseguiti prelevando campioni di terreno in numero tale da avere una copertura rappresentativa dell’appezzamento. In particolare c’è da tener conto della profondità del terreno evitando zone con orizzonti induriti o zone troppo argillose che potrebbero causare problemi in alcune specie. Anche il pH è un parametro fondamentale, ogni specie ha una risposta diversa al variare del pH tuttavia la maggior parte delle specie vegetano in maniera ottimale con valori compresi tra

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5 e 8. • Analisi della vegetazione: lo studio della vegetazione spontanea può fornire spunti importanti e informazioni utili sulla situazione climatica e pedologica. La presenza o l’assenza di alcune specie erbacee possono indicare situazioni di povertà di elementi o ristagno idrico (es. equiseto). • Scelta della specie e del sesto d’impianto: in funzione delle analisi descritte ai punti precedenti il professionista, di concerto con gli obietti dell’imprenditore sceglierà la specie che meglio si adatta alle condizioni stazionali e alle condizioni del mercato locale. Le principali caratteristiche da considerare sono: compatibilità della specie, o delle specie, alle condizioni stazionali, in genere questa condizione si riscontra in

Coltivazioni


Impianto di noce per la produzione di legno pregiato (Fonte Terraevita - Edagricole) maniera maggiore con specie autoctone ma anche specie importate possono avere ottimi rendimenti di adattabilità; rapidità di accrescimento e resistenza ad avversità biotiche e abiotiche; Importante è rifornirsi di materiale di impianto conforme alla normativa, certificato, esentie da malattie e prelevato da vivai certificati.

Fasi attive di realizzazione dell’impianto La fase di realizzazione dell’impianto nelle coltivazioni per la produzione di legname è la parte che definirà insieme alle cure colturali la buona riuscita dell’attività produttiva. È infatti

Coltivazioni

indispensabile che alla fase di progettazione eseguita da un tecnico competente segua la fase operativa curata da una ditta di comprovata esperienza nell’ambito dell’arboricoltura da legno. Si riportano di seguito le principali operazioni da effettuare per la realizzazione dell’impianto ex-novo. • Operazioni preliminari Tali operazioni sono volte alla preparazione della superficie agricola per le successive lavorazioni del terreno. Comprendono la rimozione della vegetazione presente e delle ceppaie delle eventuali piante arboree presenti. La rimozione della vegetazione che

insiste sul terreno in questione deve comprendere il taglio, la trinciatura e l’allontanamento di arbusti e piccoli alberi. Le operazioni devono essere svolte tramite l’ausilio di mezzi meccanici e manuali nel rispetto delle normative vigenti in materia. • Lavorazioni principali o profonde Scopo fondamentale delle lavorazioni è quello di modificare la struttura del terreno, influendo sulla sofficità e permeabilità dello strato attivo e provocando l’interruzione della capillarità superficiale per ottenere un miglior controllo della circolazione dell’acqua. Grazie a tali lavorazioni si favorirà l’esplorazione del suolo da parte dell’apparato radicale.

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Piante di Pioppo pronte per essere messe a dimora in un nuovo impianto (fonte prsi.ca) Le lavorazioni che si renderanno necessarie al fine di ottenere i risultati di cui sopra variano in funzione della tipologia del terreno e della specie scelta, a titolo puramente esemplificativo si riportano delle operazioni standard per una pioppeta di pianura in condizioni normali: • Scasso profondo ad un’altezza di 70-100 cm • Aratura leggera ad una profondità di 30-40 cm • Fresatura o discatura per la preparazione superficiale del terreno Lo scasso profondo può essere so-

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stituto con la discissura o ripuntatura (70-100 cm) al fine di evitare un’eccessiva alterazione degli orizzonti. Grazie a questa accortezza sarà possibile non effettuare la successiva aratura evitando di riportare l’orizzonte minerale e povero di sostanze nutritive in superficie. • Concimazioni Qualora risulti necessaria una concimazione per incrementare la produttività dell’impianto in situazioni di scarsità di nutrienti può opportuno integrare il terreno con le seguenti concimazioni:

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- solfato ammonico 26% (o equivalente in urea): 250-300 kg/ha di azoto (N). - perfosfato minerale 19-21 %: 120160 kg/ha di fosforo (P2O5). - solfato potassico 50-52%: 250-350 kg/ha di potassio (K2O). Fosforo e potassio vanno somministrati durante la fase di preparazione del terreno, mentre l’azoto dovrà essere frazionato nel corso degli anni. È consigliabile effettuare l’interramento dei concimi fosfatici e potassici con l’aratura profonda pre-impianto, in modo da arricchire di elementi

Coltivazioni


nutritivi tutto il profilo maggiormente esplorato dalle radici. Per quanto riguarda l’azoto, che risulta un elemento più mobile si deve procedere alla distribuzione localizzata nell’anno d’impianto. • Sistemazioni idrauliche In caso di condizioni sfavorevoli al defluire delle acque di ristagno si renderà necessario realizzare la baulatura della superficie agricola, realizzare una rete di fossi secondari che adduca ad un fosso principale, il quale poi defluisce in un fosso scolmatore. • Squadro del terreno Scopo dello squadro è l’individuazione sul terreno dei punti in cui saranno messe a dimora le piante, in modo da garantire il rispetto delle distanze ed il corretto allineamento. Il corretto allineamento risulta infatti di fondamentale importanza al fine di eseguire le cure colturali senza rovinare le piante, oltre a permettere un buon incremento della massa legnosa. Tutti i metodi di squadro sono validi per ogni tipo di sesto. La metodologia e la scelta degli strumenti più idonei (squadro agrimensorio o laser, stazione totale, GPS, etc..) sono delegate in genere alla ditta che si occupa delle operazioni di impianto sulla base del sesto d’impianto definito in fase di progettazione. • Protezione delle nuove piante Per limitare l’eccessiva diffusione delle infestanti, può essere opportuno mettere in opera il telo pacciamante in polietilene mediante apposite macchine portate da trattori. La stesura avviene traguardando delle mire, poste all’estremità del filare durante le operazioni di squadro principale. In caso di impianto in zone ad alta presenza di animali selvatici è opportuno proteggere le piante con shelter in plastica soprattutto nei primi 1 o 2 anni di impianto • Materiale d’impianto Al momento dell’arrivo del materiale di impianto è opportuno verificare che le piante siano ben sviluppate, lignificate, corrette nella forma, esenti da parassiti, lesioni e difetti che le escludano dalla qualità leale e commerciale (Dir. 71/161/CE). Le piante dovranno provenire da vivaisti legalmente riconosciuti e dovran-

Coltivazioni

no essere accompagnate da certificato di identità clonale. • Epoca e modalità d’impianto È fondamentale per un buon attecchimento effettuare l’impianto nel periodo di pieno riposo vegetativo delle piante, cercando di effettuare la piantumazione tra Gennaio e Febbraio evitando periodi di gelo intenso. È necessario ridurre al minimo il periodo intercorrente tra l’estirpo e la messa a dimora delle piante per evitare la disidratazione. In caso di deposito prolungato nell’aria di cantiere prima della messa a dimora sarà necessario provvedere all’idratazione mediante totale o parziale immersione in acqua. • Piano colturale Scopo del piano colturale è quello di definire puntualmente tutte le cure colturali per l’ottenimento del miglior stato vegetativo della piantagione e quindi massimizzare gli incrementi legnosi o comunque raggiungere l’obbiettivo che l’imprenditore si è posto. Seguendo le indicazioni del piano colturale sarà possibile per la ditta esecutrice dei lavori far riferimento al quadro operativo ed al relativo cronoprogramma definito dal progettista. Anche il proprietario d’altro canto avrà modo di verificare e gestire in maniera più semplice l’operato delle ditte durante l’intero turno dell’impianto. • Risarcimenti Anche quando l’impianto viene realizzato ad opera d’arte, si possono verificare, per varie ragioni delle perdite di alcuni individui. È infatti prevedibile una certa mortalità degli individudi che, tuttavia, non deve nei casi normali, risultare superiore al 10%. Nel caso si abbiano delle perdite, si procederà alla fine del primo anno al così detto risarcimento, effettuando il reimpianto dei soggetti morti. I risarcimenti effettuati negli anni successivi (2°-3°) non danno garanzia di attecchimento e corretto accrescimento delle nuove piante, poiché esse potranno soffrire la concorrenza da parte delle altre piante ormai in pieno sviluppo. • Rimozione infestanti e altre lavorazioni Affinché le piante possano crescere costantemente, è necessario, soprattutto nei primi anni, effettuare

alcune lavorazioni periodiche per eliminare la vegetazione infestante. Le lavorazioni superficiali, ripetute due o tre volte durante la stagione vegetativa sull’intera superficie del pioppeto, rappresentano la pratica più diffusa per l’eliminazione delle malerbe. È auspicabile l’impiego dell’erpice a dischi effettuando due passaggi incrociati oppure un’altra tipologia di lavorazione che permetta di eradicare la vegetazione indesiderata e rivoltare il terreno. Generalmente le lavorazioni ordinarie svolgono un’azione positiva durante i primi anni del turno poiché vanno ad eliminare la concorrenza esercitata dalle infestanti che sottraggono alle giovani piante nutrienti ed acqua. Le operazioni di estirpazione si ridurranno col passare delle stagioni e l’affermarsi delle piante di pioppo sulla vegetazione eliofila infestante. La frequenza degli interventi sarà valutata dalla ditta operante sulla base delle indicazioni di massima del progettista. • Potature La potatura è fondamentale per riuscire ad ottenere un prodotto di qualità, eliminando prontamente i rami nella parte bassa del tronco infatti si riesce a contenere il numero dei nodi del legno e si rende utilizzabile una misura del legno adatta ai fini commerciali e si può incidere sulla conformazione cilidrica. Bibliografia • E. Buresti, P. Mori, Progettazione e realizzazione di impianti di Arboricoltura da Legno, Manuale Arsia, 2003; • R. Giannini, R. Mercurio, Il noce comune per la produzione legnosa, Ed. Avenue media, Bologna, 1997; • R. Mercurio, G. Minotta, Arboricoltura da legno, Ed. Clueb, Bologna, 2000.

Dott. Marco Giuseppi Agronomo forestale marco.giuseppi@ gmail.com

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Un metodo di potatura "alternativo" della vite In attesa del periodo di riposo vegetativo, una piccola introduzione ad una metodologia di potatura alternativa, quella proposta da Simonit&Sirch di

Alessandra Bruni

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egli ultimi trent’anni in viticoltura si è verificato un profondo cambiamento per le forme di allevamento. In tutta Italia, seppur

o a cordone speronato. Queste due forme determinano un infittimento dei vigneti e una riduzione della produzione media ottenendo dei miglio-

dotto lo spazio disponibile per lo sviluppo della vite. Appaiono evidenti ormai su tutto il territorio nazionale, a distanza di 30 anni dall’introduzio-

La ramificazione controllata evita di "riportare indietro" i punti vegetativi della pianta (fonte simonitesirch.it) con dinamiche diverse, si è passati dalle forme tradizionali, più o meno espanse, alle forme a controspalliera. Sempre più frequentemente i vigneti sono stati convertiti a Guyot

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ramenti qualitativi. Mentre le forme tradizionali espanse permettevano uno sviluppo delle branche che si allontanavano dal fusto, con l’avvento di sesti di impianto molto fitti si è ri-

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ne di queste due forme, i problemi legati al contenimento dell’acrotonia della vite. La vite in natura si sviluppa per diversi metri, mediante germogliamen-

Coltivazioni


to delle gemme distali (fenomeno di accrescimento delle gemme più lontane rispetto all’inserzione del tralcio sul tronco, detto acrotonia) rispetto a quelle prossimali. Quindi con la potatura si ha una riduzione dell'allon-

tronco e dei punti vegetativi. Eliminando un tralcio, i vasi che lo alimentano diventano inutilizzabili e si seccano; si forma così un cono di disseccamento che si estende fino al legno vivo. Più i tagli sono di

dovute ai tagli. È importante non creare tagli di grossa dimensione ed operare con piccoli tagli su legno giovane di 1 o 2 anni di età; questi ultimi possono essere assorbiti dall’accrescimento

Guyot semplice (fonte simonitesirch.it) tanamento della vegetazione. La potatura invernale, nel caso della vite, è un atto tecnico mutilante che si ripete ogni anno. La pianta è costretta a doversi organizzare ogni volta nella circolazione della linfa per i tagli frequenti e sistematici effettuati dal potatore in prossimità del

Coltivazioni

grossa entità ed eseguiti su legno vecchio (più di due anni), tanto più i disseccamenti si espandono fino ad un approfondimento nel legno. Per avere un buon sistema conduttore bisogna costruire una canalizzazione interna, ovvero uno scorrimento linfatico senza interruzioni

del legno. In primo luogo l’obiettivo sarà quello di diminuire il numero delle ferite di potatura. Secondo, evitare di eseguire grossi tagli potando solo i tralci giovani; così facendo si riduce la superficie di taglio e si costruisce una canalizzazione continua dei vasi di

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trasporto. Ciò si ottiene più facilmente eseguendo un taglio «pulito», che non asporti le gemme di corona localizzate alla base del legno di uno e

crescere nello spazio (centimetri/ anno) con lo sviluppo di ramificazioni controllate ed evitando di “riportare indietro” i punti vegetativi (con tagli di ritorno). In questo modo la

Il terzo principio prevede tagli di piccole dimensioni, a carico di legni di uno o due anni di età. Intervenendo in questo modo si riduce la superficie di taglio e il conse-

Doppio capovolto (fonte simonitesirch.it) di due anni di età. Effettuare tagli di piccole dimensioni, inoltre, è una pratica che limita l’ingresso di patogeni.

Il metodo SIMONIT&SIRCH Questo metodo prevede sostanzialmente quattro regole: Ramificazione controllata Il potatore permette alla pianta di

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pianta assume una forma sempre più riconoscibile, diversa a seconda del sistema di allevamento. Continuità del flusso Il secondo principio del Metodo SIMONIT&SIRCH è basato sulla continuità del flusso linfatico che attraversa la struttura della pianta, organo di comunicazione tra radici e chioma. Tagli e corone

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guente disseccamento interno sarà poco esteso e localizzato. Inoltre i tagli, almeno che non si voglia far seccare una porzione di legno, si effettuano tutti nel rispetto delle gemme di corona. Legno di rispetto Quando si pota il legno di due anni di età, si avrà cura di lasciare una porzione di legno di rispetto.

Coltivazioni


Tale espediente permette di allontanare dal flusso principale della linfa la zona del disseccamento conseguente al taglio.

Introduzione tecnica al GUYOT La potatura tradizionale invernale del Guyot consiste nel lasciare un

un continuo rinnovo in questa zona ed evitare così tagli di ritorno. Le frequenti capitozzature infatti provocano al fusto delle ferite notevoli con perdita di importanti porzioni di legno (e di sostanze di riserva) e la compromissione del sistema di trasporto linfatico. Inoltre le continue ferite sulla testa di salice determinano una

vicini agli speroni evitando lo sviluppo di branche. Si eseguono tagli di ritorno come nel caso della potatura tradizionale del Guyot. Tutto ciò determina la perdita di punti vegetativi con conseguente calo di produttività. Il metodo SIMONIT&SIRCH prevede invece tagli solo su legno giovane, la

Canalizzazione con tagli effettuati sul lato opposto (foto Alessandra Bruni) capo a frutto (tralcio che fruttificherà) ed uno sperone in basso per il rinnovo. Nella pratica andremo ad eliminare il capo a frutto dell’anno precedente mentre lasceremo il nuovo capo a frutto ed il nuovo sperone. Operando ogni anno in questo modo avremo un forte ingrossamento alla fine del fusto detto “testa di salice” il quale produrrà molti germogli con conseguente lavoro in potatura verde e spese vegetative da parte della pianta. Il metodo SIMONIT&SIRCH prevede il mantenimento della “testa” della pianta al di sotto del filo di banchina di 15-20 cm in modo da piegare agevolmente il capo a frutto effettuando

Coltivazioni

chiusura progressiva dei flussi linfatici perciò avremo una riduzione del germogliamento ed una difficoltà ad avere tralci di rinnovo.

Introduzione tecnica al CORDONE SPERONATO Il cordone speronato è una forma di allevamento caratterizzata da un fusto verticale che si prolunga orizzontalmente sul quale sono inseriti generalmente quattro punti vegetativi. I punti vegetativi sono i centri produttivi dove sono inseriti gli speroni, a 1 o 2 gemme franche, rinnovati annualmente per la produzione. La potatura tradizionale insegna a mantenere gli speroni il più possibile

costruzione di ramificazioni ed una canalizzazione dello scorrimento linfatico con conseguente longevità per le piante maggior produzione omogeneità linfatica ed una accumulo di sostanza di riserva necessarie alla pianta per resistere al freddo ed alla siccità.

Dott.ssa Alessandra Bruni Laureata in Scienze e Tecn. Agrarie

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Il coniglio e la coccidiosi La coccidiosi è un problema pressoché onnipresente nell’allevamento cunicolo: conoscere questa patologia, antica quanto il coniglio stesso, significa anche capire come proteggere i nostri animali da un parassita veramente subdolo di

Cristiano Papeschi e Linda Sartini

C

hiunque allevi conigli da carne (o da compagnia!), sia a scopo amatoriale o famigliare che produttivo, ha avuto a che fare con la coccidiosi. Questa parassitosi può passare inosservata ma anche arrecare gravi danni alla salute dell’animale e provocare notevoli ripercussioni sull’allevamento, sia in termini di ritardo nell’accrescimento o nell’incremento ponderale, sia, in alcuni casi, di mortalità. Con questo articolo cercheremo di sviscerare in maniera semplice il problema, fornendo al lettore alcune indicazioni su come prevenire ed affrontare una patologia piuttosto importante ma spesso sottovalutata.

I coccidi: piccoli nemici invisibili

Zootecnia

La coccidiosi è una patologia molto frequente nell’allevamento cunicolo; i coccidi sono piccoli protozoi appartenenti al genere Eimeria di cui ne esistono numerose specie, tredici per l’esattezza, tutte a tropismo enterico, ovvero in grado di parassitare l’intestino, ad eccezione di una sola che interessa, al contrario, il fegato (vedi tabella 1). Le varie specie di Eimeria differiscono tra loro non solo in quanto a tropismo, sebbene la maggior parte di

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esse trovi la propria naturale localizzazione a livello dell’intestino tenue,

tanto maggiore sarà la quantità di cellule danneggiate, tanto più gravi saranno le conseguenze sull’organismo animale. Il coniglio infestato dai coccidi dissemina attraverso le feci le oocisti del parassita. Una volta raggiunto l’ambiente esterno, le oocisti non sporulate, e quindi non infestanti, vanno incontro ad un processo di maturazione che richiede diversi giorni. Una volta sporulate, queste potranno essere ingerite da un altro coniglio attraverso gli alimenti contaminati (fieno, erba, ecc.) ed infestandolo a sua

ma anche in quanto a patogenicità, ovvero alla capacità di creare lesioni all’organismo animale: Eimeria perforans, E. intestinalis ed E. flavescens sono considerate le specie più dannose, mentre altre specie, come ad esempio Eimeria coecicola, sono considerate poco patogene. Il ciclo biologico del parassita prevede la sua replicazione all’interno delle cellule della mucosa intestinale, le quali vanno incontro a rottura; per-

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Zootecnia


Oocisti di coccidi osservate al microscopio (foto C. Papeschi) volta. Anche un coniglio già infestato può andare incontro a ripetute reinfestazioni.

Cosa aspettarsi? In molti casi i conigli infestati non mostrano segni clinici evidenti, in altri possono presentare dimagrimento, ritardo nell’accrescimento, diarrea (a volte emorragica!), depressione, debolezza fino anche, nella peggiore delle ipotesi, alla morte. I segni clinici appena descritti sono la conseguenza, diretta od indiretta, dei danni che il parassita determina sulla mucosa intestinale con conseguente malassorbimento. I soggetti maggiormente a rischio sono i giovani conigli dal momento dello svezzamento in poi, ma nessuno è mai completamente fuori pericolo. I conigli deceduti per

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coccidiosi intestinale si presentano, solitamente, magri, disidratati, con il posteriore imbrattato e con l’intestino pieno di feci liquide e gas.

I fattori predisponenti Come abbiamo accennato precedentemente, la

La coccidiosi epatica La coccidiosi colpisce prevalentemente l’intestino. Una forma particolare e molto caratteristica è la coccidiosi epatica, una patologia sostenuta dal protozoo Eimeria stiedae, un particolare coccidio che si localizza nel fegato, soprattutto a livello dei dotti biliari, causando alterazioni epatiche. Nelle infestazioni lievi la patologia decorre per lo più in maniera asintomatica, ma quando una certa percentuale del fegato risulta danneggiata l’animale inizierà a mostrare segni di sofferenza. Al momento della macellazione, o dell’autopsia, la coccidiosi epatica è facilmente riconoscibile in quanto il parassita causa lesioni molto caratteristiche all’organo interessato, che si presentano sotto forma di puntini biancastri sia sulla superficie che nello spessore dell’organo. Nella coccidiosi epatica lieve le lesioni saranno in numero ridotto e spesso passeranno inosservate, mentre nelle infestazioni massive o prolungate nel tempo tutto il fegato potrà essere disseminato di questi punti bianchi che diventeranno, dunque, molto evidenti.

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trasmissione di questi agenti patogeni avviene per via oro-fecale, ovvero per ingestione di alimenti contaminati da materiale intestinale contenente le oocisti sporulate. Il fattore predisponente per eccellenza è la scarsa igiene: residui di feci che permangono all’interno della gabbia o deiezioni non rimosse dai box o dai recinti a terra permettono alle oocisti di sporulare e permanere nell’ambiente, andando cosi a contaminare l’acqua e l’alimento. Il coniglio potrebbe ingerire le oocisti anche durante la toelettatura, quando il materiale fecale presente sul pavimento vada ad imbrattale la pelliccia e le zampe. Altri fattori che possono predisporre allo sviluppo della patologia sono lo stress, il sovraffollamento, le condizioni igieniche scadenti o altre patologie concomitanti in grado di abbassare le difese immunitarie degli animali.

Il Grigio di Carmagnola La razza denominata “Grigio di Carmagnola” ha avuto origine da una popolazione locale di conigli comuni a mantello grigio, molto diffusa nelle aziende piemontesi alla fine degli anni cinquanta. Con il passare degli anni, però, la selezione venne velocemente abbandonata e la razza subì un progressivo calo numerico della popolazione, fino a scomparire quasi completamente agli inizi degli anni Ottanta, almeno come razza pura. Nel maggio del 1982 un gruppo di ricercatori dell'Istituto di Zootecnica Generale (ora Dipartimento di Scienze Zootecniche) della Facoltà di Agraria dell'Università di Torino diede il via ad un'indagine su una popolazione di conigli a mantello grigio, creando un primo nucleo riproduttivo di femmine acquistate sul territorio in cui tale popolazione risultava abitualmente presente: i comuni di Carmagnola, Piobesi e Vigone. I soggetti appartenenti a questa popolazione vennero denominati "Grigio di Carmagnola", sia per il colore che per la sua diffusione nel territorio di questo comune della provincia di Torino, sede del Centro di Allevamento dove erano e sono tuttora detenuti gli animali. In assenza di uno standard di razza, i ricercatori ne stabilirono uno sulla base delle caratteristiche tradizionali di questi conigli. Cosa dice lo standard: Il Grigio di carmagnola è un coniglio di taglia media con muscolatura asciutta e soda, corpo allungato con spalle e lombi carnosi, dorso forte e ben curvato, bacino ampio, arti mediamente lunghi con cuscinetto plantare rivestito da pelo forte e folto. Il peso varia da 3,5 a 5,5 kg nei maschi e da 3 a 4,5 kg nelle femmine. La pelliccia è folta e soffice con pelo di media lunghezza, la testa è leggermente allungata con profilo convesso, ben salda sulle spalle. Le orecchie sono forti e portate a V, di lunghezza massima di cm 14. Il colore è grigio, più chiaro nelle regioni ventrali del tronco, sulla faccia mediale e plantare degli arti posteriori e nella parte inferiore della coda; è presente una macchia triangolare più chiara a livello della nuca. Il sottocolore è grigio o grigio chiaro, senza mai diventare bianco. L'orecchio può avere dei margini neri, la faccia dorsale della coda è scura, le unghie sono pigmentate mentre l'occhio è bruno. Difetti: Difetti leggeri sono considerati una struttura disarmonica, uno scarso dimorfismo sessuale, la presenza della giogaia grande nella femmina, l’abbozzo della giogaia nel maschio, le orecchie lunghe con portamento non corretto, il mantello più chiaro o più scuro del grigio medio, il sottocolore bianco e un cerchio più chiaro o più scuro intorno all'occhio. Come difetti gravi troviamo le orecchie ad ariete, uno scarso sviluppo muscolare, un numero di capezzoli inferiori ad otto, i testicoli “trascinati”, il pelo della faccia e della superficie plantare delle zampe lungo o rado, il colore fulvo e l’occhio rosso.

La prevenzione e la cura La prevenzione, ormai è chiaro, dipende molto dall’igiene dell’allevamento, dalla pulizia della gabbia e

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Roberto Corridoni dalla rimozione periodica e costante delle deiezioni. È consigliabile far eseguire con una certa frequenza un esame delle feci sugli animali

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presenti in allevamento, in modo da intervenire qualora fosse diagnosticata la presenza di questi parassiti. L’esame coprologico andrebbe fatto

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L'igiene della lettiera è fondamentale (foto C. Papeschi)

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Lesioni epatiche (foto C. Papeschi) eseguire, inoltre, su tutti i soggetti di nuovo acquisto, prima che questi vengano introdotti in allevamento e messi a contatto con i conigli già presenti. Le oocisti dei coccidi sono visibili solamente al microscopio, poiché la loro dimensione è tale da renderli invisibili ad occhio nudo. Da un punto di vista preventivo è possibile somministrare mangimi medicati con coccidiostatici mentre in caso di infestazioni gravi e sintomatiche, quindi con presenza di segni clinici evidenti, esistono diverse molecole che possono essere utilizzate a scopo terapeutico È importante evitare

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il “fai da te” e rivolgersi sempre ad un veterinario esperto in conigli che saprà suggerire le migliori strategie profilattiche e terapeutiche, provvedendo a prescrivere il farmaco di prima scelta e ad indicare gli eventuali tempi di sospensione. Con la coccidiosi è sempre meglio “giocare” sulla prevenzione, onde evitare di trovarsi ad affrontare situazioni spesso gravi che, oltre ad arrecare danni fisici agli animali, possono causare morie consistenti. È necessario sottolineare che la coccidiosi è una patologia “specie-specifica”, il che significa che i coccidi del coniglio rappre-

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sentano un pericolo solo per questa specie, e non sono pertanto trasmissibili all’uomo o ad altri animali. Dr.ssa Linda Sartini DVM Specializzata in ispezione degli alimenti di origine animale

Dr. Cristiano Papeschi DVM

Università degli Studi della Tuscia Specializzato in teconologia e patologia del coniglio, della selvaggina e degli avicoli

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L’allevamento dei mitili Sistemi di allevamento tradizionali ed innovativi dei molluschi bivalvi di

Lapo Nannucci

I

mitili sono molluschi molto apprezzati fin dall’antichità e tradizionalmente allevati in Mar Mediterraneo con differenti tecniche. Il Mytilus galloprovincialis (Lamarck, 1819), specie autoctona del Mar Mediterraneo, è un organismo sessile che trascorre la sua esistenza attaccato al substrato, generalmente a massi e scogliere, sia in ambiente marino che lagunare. Questi animali riescono a muoversi con l’aiuto del piede, un muscolo adattato alla funzione di locomozione e si attaccano a substrati di varia natura tramite una serie di filamenti secreti da una ghiandola, che vengono chiamati filamenti del bisso (seta naturale prodotta dal mitilo). Questo bivalve si differenzia dal Mytilus edulis (Linnaeus, 1758) di origine atlantica, per il colore esterno delle valve più scuro, la forma più appiattita della zona postero-dorsale della conchiglia ed il bordo esterno del mantello che risulta di colore violaceo anziché giallo-bruno.

Biologia ed habitat Il mitilo è un organismo filtratore, che

respira e si nutre tramite il passaggio dell’acqua attraverso le branchie, costituite da una coppie di piastre composte da un gran numero di filamenti paralleli, che hanno la funzione di filtrare il nutrimento (prevalentemente fitoplancton e materiale organico) dall’acqua. La digestione del nutrimento ha luogo all’interno in un’apposita ghiandola situata al centro del corpo. Il guscio del mitilo viene secreto da una porzione di tessuto localizzata strettamente a contatto con esso, denominata manto, che riveste inoltre la funzione di contenere i gameti (ovuli o spermatozoi). La fecondazione avviene per via esterna e le uova embrionate successivamente evolvono allo stadio di larva trocofora e successivamente di veliger, che viene trasportato dalle correnti e dalle maree. Nel momento in cui questi animali raggiungono una lunghezza del guscio pari a 0,25 mm si attaccano su substrati filamentosi tramite l’ausilio dei filamenti

del bisso e sono in grado di staccarsi e riattaccarsi su altri substrati.

Tecniche di allevamento La mitilicoltura in Italia viene praticata principalmente attraverso tre sistemi: • su fondale • pali fissi • filari galleggianti o long-line. Il sistema su fondale è utilizzato soltanto nelle aree lagunari del delta padano e si basa sullo spostamento del prodotto di piccola taglia raccolto in natura, in alcune zone appositamente predisposte, dove viene

Seme di mitili su corda

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lasciato crescere fino al raggiungimento della taglia minima commerciale. Il sistema a pali fissi è diffuso nelle zone lagunari o nei pressi di siti costieri riparati dalle forti mareggiate e consiste nella disposizione, secondo alcuni schemi, di pali che un tempo venivano costruiti in legno di castagno mentre al giorno d’oggi risultano principalmente fabbricati in cemento o metallo. Ai pali vengono appese le calze, reti tubolari in materiale plastico (polipropilene), che al loro interno contengono i mitili (l'insieme della struttura e dei mitili è detto resta). Negli ultimi anni, il sistema che sta

sulta essere il sistema longline, che strutturalmente ricorda un filare e prevede l’installazione di una fune rettilinea, il trave, ancorato al fondo tramite dei corpi morti di calcestruzzo e mantenuto ad una profondità di circa 2-3 metri rispetto alla superficie del mare, grazie ad una serie di galleggianti installati su di esso. La scelta del posizionamento delle strutture deve essere effettuata tenendo conto delle caratteristiche ambientali e meteomarine dell’area di insediamento, in quanto una scelta errata potrebbe comportare gravi danni alle strutture ed all’ambiente circostante.

Sistema longline resta avendo più successo e che si sta diffondendo maggiormente è quello a mare, tecnica di allevamento che nel corso degli anni si è evoluto moltissimo, soppiantando gli impianti classici a pali fissi. La tecnica ad oggi più utilizzata ri-

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I mitili vengono allevati in reste, costituite da reti tubolari in polipropilene normalmente chiamate “calze” all'interno delle quali vengono inseriti i molluschi. Le reste, caratterizzate da una lunghezza compresa tra i 2 ed i 5 m,

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vengono fissate sul trave ad una distanza variabile le une dalle altre a seconda delle caratteristiche della zona e la maglia della rete di contenimento viene dimensionata in funzione delle dimensioni dei molluschi presenti all’interno. Il reclutamento del “seme”, ovvero i piccoli mitili costituenti il materiale di partenza dell’allevamento, solitamente avviene in ambiente naturale, avvalendosi degli esemplari che colonizzano il trave e le cime facenti parte integrante della struttura dell'impianto. Nel caso in cui la zona in questione sia scarsa dal punto di vista del reperimento del seme, il materiale può essere acquistato presso schiuditoi o altri allevamenti e successivamente immesso all’interno delle calze. Il ciclo di produzione completo, dalla semina alla raccolta, dura in media 12 mesi anche se, in particolari zone, nel caso a noi più vicino ad esempio in alcune aree del mare Adriatico, la tempistica risulta nettamente inferiore. Durante questo periodo vengono effettuate un certo numero di operazioni, tra le quali quella del reincalzo degli esemplari, fase consistente nella sostituzione delle reti per il contenimento degli animali, al fine di adeguare la dimensione delle maglie alla crescita dei molluschi. Tutte le operazioni di routine come la manutenzione delle strutture, il sollevamento delle reste, la sgranatura, il reincalzo degli esemplari, la fase di selezione e quella di raccolta, vengono portate avanti tramite l'utilizzo di imbarcazioni dotate di macchinari che consentono di adempiere alla totalità delle operazioni sopracitate.. Generalmente, le reste vengono vendute nel momento in cui i mitili raggiungono la taglia commerciale (50-70 mm di lunghezza) e possono essere commercializzate tal quali o come prodotto sfuso. Durante le fasi di raccolta e prima commercializzazione occorre porre cura sia agli aspetti legati alla qualità e vitalità del prodotto, sia all’adozione di pratiche che ne garantiscano la salubrità.

Evoluzione dei sistemi di allevamento in mare aperto Il sistema neozelandese Il sistema di allevamento longline,

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pur rappresentando la tecnica ad oggi più utilizzata, non rappresenta in assoluto la forma di stabulazione più innovativa. Alcuni impianti di nuova concezione infatti, hanno adottato un sistema denominato “neozelandese”, che risulta essere un’evoluzione delle strutture precedentemente descritte. Il “neozelandese” come nel caso dei normali longline, si avvale di un elemento base costituito dal cavo o trave, ancorato al fondo tramite dei corpi morti e mantenuto ad una profondità di circa 3 metri rispetto alla superficie del mare grazie ad una serie di galleggianti, installati su di esso ad intervalli variabili a seconda delle esigenze. I mitili vengono allevati su di una corda continua denominata “agugliato", che viene fissata al trave tramite l'utilizzo di sagole distanziate di circa 8 metri l'una dall'altra e posizionata lungo il filare con un andamento a

risulta molto più performante sia in termini di resistenza alle mareggiate, permettendo di limitare le perdite di prodotto, che relativamente al livello di ecosostenibilità, in quanto non essendo previsto l’utilizzo di reste di materiale plastico, si evita che il loro eventuale distacco contribuisca ad inquinare i fondali. Anche in questo caso, per portare avanti le varie fasi di allevamento, è necessario l’utilizzo di un'imbarcazione di servizio attrezzata con una serie di strutture e macchinari utili allo svolgimento delle operazioni propedeutiche al completamento del ciclo di produzione, che si conclude con la fase di raccolta. Durante quest’ultima fase, l'agugliato viene fatto passare attraverso una macchina che consente il distacco dei mitili, i quali in seguito verranno avviati alla selettrice, che permetterà di separare gli esemplari in funzione

positamente dedicato alla captazione del seme.

Smart Farm Il sistema di allevamento considerato più innovativo, risulta essere la tecnica Smart Farm, il cui impiego, nonostante la recente diffusione, risulta essere particolarmente radicato in Nord Europa. Le unità costituenti il sistema, denominate Smart Unit, sono adattabili ai diversi siti grazie all’utilizzo di tubi in Polietilene galleggianti, che vengono posizionati in mare ed ancorati al fondo tramite l’utilizzo di corpi morti o ancore, collegati a ciascuna delle due estremità del tubo. Lungo tutta la lunghezza del tubo viene installata una particolare rete in fibra plastica, che viene stesa in acqua in senso perpendicolare rispetto all’asse orizzontale della superficie del mare e che rappresenta il substrato per la stabulazione dei

Smartunit (fonte submariner-network.euprojectsbalticbluegrowthmussel-farms) serpentina. L’agugliato produce "festoni" di circa 4 metri, disposti ad anse in senso perpendicolare rispetto all’asse orizzontale del mare ed i molluschi vengono mantenuti compatti sulla corda tramite l’utilizzo di una speciale calza di cotone idrosolubile, che dopo un certo periodo di tempo, a contatto con l’acqua marina, si scioglie. Data la sua particolare conformazione, questa tipologia di impianto

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della loro dimensione. Gli individui piccoli, attraverso l’ausilio della fibra di cotone idrosolubile subiranno un reincalzo su spezzoni di corda liberi, mentre il prodotto pronto alla vendita verrà confezionato ed avviato al circuito commerciale. Per quanto concerne il reclutamento dei piccoli mitili, materiale di partenza dell’allevamento, normalmente avviene in ambiente naturale tramite l'impiego di un tipo di agugliato ap-

mitili. La dimensione delle maglie della rete risulta variabile in funzione della specie di mitili allevata e del relativo stadio di crescita, pertanto le unità destinate alla fase di finissaggio, antecedente la raccolta del prodotto, risultano costituite da una rete dotata di maglie più grandi rispetto a quella impiegata nell'ambito delle altre unità facenti parte del sistema di allevamento. Questo tipo di tecnologia consente

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di poter installare impianti anche in zone caratterizzate da elevato moto ondoso, in quanto la struttura offre meno resistenza alle mareggiate rispetto agli altri sistemi per l'allevamento di mitili offshore. Tutto ciò comporta una serie di vantaggi in termini di sicurezza, di limitazione delle perdite di prodotto e di riduzione dell’impatto ambientale, in quanto non vengono utilizzate calze in materiale plastico, che potrebbero staccarsi e depositarsi sul fondo.

concerne l'automatizzazione delle varie fasi del ciclo di produzione ed in particolare, relativamente alla fase di raccolta, le operazioni vengono effettuate con una velocità nettamente superiore rispetto agli altri sistemi di allevamento, consentendo un ridotto impiego di manodopera.

Salubrità del prodotto Per quanto riguarda l'allevamento dei mitili e dei molluschi in generale, è importante ricordare che il prodotto

que classificate “C” non devono superare livelli di E.coli di 46.000/100 g e devono obbligatoriamente effettuare lunghe permanenze in impianto di depurazione. Fonti bibliografiche: - FAO. © 2005-2012. Cultured Aquatic Species Information Programme. Mytilus galloprovincialis. Cultured Aquatic Species Information Programme .Text by Figueras, A. In: FAO Fisheries and Aquaculture Department[online]. Rome. Updated 1 January 2004. [Cited 15 June 2012]. http://www.fao.org/fishery/

Sistema neozelandese Le fasi di allevamento vengono eseguite in acqua senza necessità di smantellare e rimontare le strutture dell'impianto e la raccolta del prodotto viene portata avanti tramite l'impiego di speciali macchinari che, muovendosi a cavallo del tubo costituente le smart unit, tramite due “braccia” laterali, staccano i mitili su entrambi i lati della rete. Le macchine per la raccolta possono essere trasportate dalla gru dell'imbarcazione di servizio all'impianto, oppure essere dotate di propulsione indipendente ed i mitili, una volta staccati dalla rete, vengono pompati in acqua direttamente a bordo dell’imbarcazione, dove avvengono le fasi successive del ciclo di produzione. La tecnologia SmartFarm risulta essere molto vantaggiosa per quanto

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finale, prima di essere venduto, può seguire due vie, in funzione al tipo di zona nella quale avviene l'allevamento. I molluschi allevati in acque classificate “A” devono dimostrare una presenza di Escherichia coli nel liquido intervalvare inferiore al limite di 230 ufc/100 g di polpa e liquido intervalvare e possono essere commercializzati direttamente attraverso il Centro di spedizione molluschi, evitando la fase di depurazione. Quelli provenienti da zone classificate “B”, che devono far riscontrare livelli di E. coli nell’intervallo compreso tra di 230 e 4600 ufc/100 g, hanno necessità di essere sottoposti ad un periodo di depurazione, che deve essere portato avanti all'interno di appositi impianti. Infine, i molluschi provenienti da ac-

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culturedspecies/Mytilus_galloprovincialis/en; - FAO. © 2004-2012. Cultured Aquatic Species Information Programme. Mytilus edulis. Cultured Aquatic Species Information Programme. Text by Goulletquer, P. In: FAO Fisheries and Aquaculture Department [online]. Rome. Updated 1 January 2004. [Cited 15 June 2012]. http://www.fao.org/fishery/ culturedspecies/Mytilus_edulis/en; - CATAUDELLA S., BRONZI P. (2001). ACQUACOLTURA RESPONSABILE Verso le produzioni acquatiche del terzo millennio. Molluschicoltura. Mitilicoltura.

Dr. Agronomo Lapo Nannucci lapo.nannucci@ gmail.com

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Il Lancashire Heeler Un piccolo gioiello sconosciuto di origine inglese, nato come "cane da fattoria" capace di sorvegliare le mandrie e tenere sotto controllo i topi di

Federico Vinattieri

L

Ma da dove "saltata fuori" questa razza? Quel che molti neofiti non vogliono capire è che la stragrande maggioranza delle razze attualmente riconosciute, sono il frutto del meticciamento di altre già esistenti, e non vedo il perché ci si debba scandalizzare di tali dinamiche, che talvolta sono additate come bizzarre o addiruttura aberranti. Io che conosco piuttosto bene anche il mondo dell'ornitologia e dell'avicoltura, vi

Animali da compagnia

Tipico maschio di razza Lancashire Heeler - nome del soggetto: "Mirox Earl Angus Le Beau" posso garantire che questi meticciamenti sono assolutamente normali e all'ordine del giorno, per la creazione di nuove razze e nuove varietà. Ed è proprio il caso del nostro Lancashire Heeler! Le sue origini infatti sono chiare e possono facilmente anche essere dedotte dal suo aspetto fisico; infatti questo piccolo cane, nasce dall'incrocio fra un "Welsh Corgi" e del "Manchester Terrier". Il meticciamento tra queste due razze è palesemente evidente dai tratti morfologici presenti nell'attuale razza, dai colori, e anche dall'aspetto caratteriale. E' dunque frutto di un semplice meticciamento conseuentemente selezionato ad hoc. Una razza di recente creazione quindi, che ha avuto origine quando il bestiame nella zona di Ormskirk, cittadina inglese nella Regione del Lancashire, bestiame sorvegliato dal Welsh Corgi, chiamato anche "Welsh Heeler", incontrava il "Man-

Animali da compagnia

o possiamo definire uno degli ultimi arrivati nell'elenco delle razze canine riconosciute. Non è stato semplice per me riuscire a trovare le informazioni necessarie per poter redigere un breve articolo su questa razza. Non esistono testi cartacei specifici sulla razza da cui poter attingere e le tantissime informazioni riportate in rete, sono scritte in lingua straniera e nella maggior parte dei casi sono nozioni ripetitive e ricopiate di portale in portale. Le uniche informazioni sulla razza redatte in lingua italiana, sono ahimè, scritte tempo addietro dal sottoscritto. Si tratta di una razza totalmente sconosciuta in Italia. Sfido a trovare qualche cinofilo italiano che conosca bene questa razza. Tra tutte le razze appartenenti al "gruppo n° 1 F.C.I.", ossia a quel raggruppamento che comprende tutte le "razze da pastore e bovari", l'unica a non aver mai messo piede sul suolo italiano, è proprio il Lancashire Heeler, almeno da quanto mi risulta.

chester Terrier", questa fu la combinazione che dette origine alle "fondamenta" della razza attuale. Visto e considerato la sua città natale, infatti questo piccolo cane è anche chiamato "Ormskirk Heeler" o "Ormskirk Terrier". La razza è nota in quella zona da circa 150 anni e veniva usata come "cane da fattoria", capace di sorvegliare le mandrie e tenere sotto controllo i topi. E' stata allevata in quella zona per moltissime generazioni, pertanto questo cane si è mantenuto rustico, temperato dal proverbiale clima ostile di quei territori. Il primo Club del Lancashire Heeler fu fondato nel 1978 e il riconoscimento Kennel Club Inglese solo nel 1981. Lo standard oggi in vigore è stato reso pubblico il 4 aprile 2016, quindi recentissimo. Non conoscendo personalmente e direttamente questa razza, ho contattato diversi noti allevatori stranieri, chiedendo solo in-

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formazioni, soprattutto sulla sua indole, sul suo aspetto caratteriale. Le risposte ai miei quesiti hanno avuto sempre gli stessi esiti: si tratta di una razza a molteplici attitudini. Non riuscirete mai a trovare un cane così dinamico e così poco specializzato in una disciplina specifica, ma incredibil-

dell'altezza al garrese (misurato dal garrese alla coda). Un tronco costruito nel "rettangolo" quindi. La testa deve essere ben proporzionata al corpo. Analizzando la sua regione cranica vediamo che il cranio ed il muso sono su piani paralleli. il Cranio è piatto e largo tra

mente versatile, connotato che lo rende un tipo di cane dalle mille capacità e adatto a (M. Davidson, illustr. NKU Picture Library) decine di tipologie di le orecchie, affusolato verso gli ocausilio a l l ' u o - chi, che sono ben distanziati. Il santo mo, dal l a v o r o naso-frontale, chiamato in gergo cis u l l e g r e g g i , notecnico "Stop", è moderato, equiall'agility, dalla distante tra il naso e l'occipite. Nella guardia, a l l ' o b e - regione facciale vi sono diversi tratti dience, fino alla distintivi. Il naso (o tartufo) è di colofunzione più semplice di re nero o marrone, il colore varia in eccellente cane da compagnia. Un base al colore del mantello. Il muso cane multi-funzionale dunque, che è affusolato verso il naso. Le labbra non ha subìto una selezione mo- si presentano ferme. La dentatura no-attitudinale, come la maggioran- presenta mascelle forti con una perza delle razze canine appartenenti fetta, regolare e completa chiusura al medesimo raggruppamento, ma a forbice, cioè i denti superiori che si che può fungere da "razza jolly" per sovrappongono strettamente ai denmolti contesti, in situazioni differenti. ti inferiori e si adattano alle mascelCome sempre dovrebbe essere fat- le. Gli occhi sono a forma di manto, per arrivare a conoscere bene dorla, di media grandezza, di colore una razza e a poterla descrivere, scuro, tranne nel mantello "marrone bisogna prendere il suo standard e fegato" dove gli occhi possono esseanalizzarlo (rif. FCI-Standard N° 360 re più chiari per abbinarsi al colore / 30.05.2016). del manto. Le orecchie sono portate sollevate in attezione o erette. Aspetto generale Orecchie cadenti che non mostrano L'Heeler si presenta piccolo, gra- alcun accenno a essere sollevate zioso, energico, robusto, vigile, con sono indesiderate. Il collo è di lununa struttura forte, corpo muscolo- ghezza moderata, ben incassato so, tutte carateristiche essenziali per nelle spalle. La regione del tronco un "piccolo lavoratore". presenta una linea superiore ferma e Come taglia lo standard prevede livellata, mai insellata e inclinata ver30 cm al garrese nel maschio, e 25 so la groppa. La regione lombare è cm al garrese nella femmina. Un corta. Il torace presenta costole ben parametro anatomico fondamentale cerchiate, che si estendono bene. indicato nello standard è la lunghez- La coda è attaccata alta; riportato inza complessiva del corpo, la quale dietro in una leggera curva quando deve essere circa 2,5 cm più lunga è vigile, ma non formando un anello

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completo. Vediamo gli arti anteriori: la spalla è ben formata; il gomito è saldo contro le costole; i piedi anteriori sono piccoli, sodi e ben imbottiti. Gli arti posteriori nel complesso sono m u scolosi. Dal retro dovrebbe essere parallelo, quando si muove o in piedi. Il ginocchio e garretti ben angolati. Piedi posteriori piccoli, sodi e ben imbottiti. Il movimento (o andatura) è una voce molto importante nel giudizio di questa razza, e deve sempre essere vivace, naturale, fluido. Il "loose movement" (movimento sciolto) è un requisito fondamentale. Il mantello presenta un sottopelo che funge da rivestimento, resistente agli agenti atmosferici, corto, spesso, duro e piatto. Il "topcoat" è leggermente più lungo sul collo. Il sottopelo non deve mostrarsi attraverso il pelo, né lasciare che i peli più lunghi sulla criniera stiano dritti. Il pelo lungo o eccessivamente ondulato è altamente indesiderabile. Le colorazioni ammesse sono il nero focato o marrone (fegato) focato, con intensità di pigmento collegata al colore del mantello, con intense macchie focate sulle guance e spesso sopra gli occhi. Intense focature

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sul muso e sul petto e dalle ginocchia in giù, all’interno delle zampe posteriori e sotto la coda. È desiderabile un segno distintivo (segno del pollice) nero o fegato, a seconda del colore del mantello, appena al di sopra del piede anteriore. L’intensità delle focature può sbiadire con l'età. Il bianco va scoraggiato. Una piccola macchia bianca sul petto, benché ammessa, è indesiderabile. Passiamo a quello che è uno dei requisiti fondamentali di questa particolarissima razza, come abbiamo già detto, ossia il comportamento. La voce "aspetto caratteriale" è stata volutamente inserita nello standard ufficiale ed è un connotato importantissimo. Non bisogna mai dimenticarsi che questo piccolo cane, all'apparenza un cane da casa, è in realtà un eccelso cane da bestiame, il quale conserva anche un istinto da "terrier", adatto anche per la caccia

alla lepre e al coniglio selvatico. Il coraggio è la sua dote principale. Durante il lavoro non deve mostrare esitazioni, ma con il proprietario deve sempre mostrarsi felice e affettuoso. Sicuramente il Lancashire Heeler, nonostante la sua taglia, non può essere considerato un cane da compagnia a tutti gli affetti, il fatto di classificarlo nel gruppo dei "cani da pastore" è stato corretto. Ho letto alcuni articoli scritti da autorevoli allevatori stranieri, nei quali si fa riferimento al concentrarsi nella selezione, sul mantenimento della sua innata attitudine al lavoro, e questo penso sia giustissimo. Il L. Heeler è un cagnolino intelligente che ama persone, bambini e giochi. E' un cane che "scoppia di energia" e ciò non deve sorprendere, dato il tipo di lavoro per cui è stato allevato. Sotto eccitazione risulta veramente difficile tenerlo a bada,

pertanto l'obbedienza di base e le buone maniere dovrebbero essere insegnate fin dalla tenera età. Niente delizia questo cane più del gioco! Mentre è amichevole con altri cani, potrebbe avere la tendenza a voler essere un "cane dominante", che potrebbe essere un problema in una famiglia, in quanto la gelosia può prendere il sopravvento. Non v'è dubbio che può essere definito un "piccolo-grande compagno". Il suo addestramento è piuttosto facile in quanto apprende con una rapidità impressionante, e impara prestissimo a rispondere ai comandi. I rigidi rimproveri fisici e/o verbali non dovrebbero mai essere usati in quanto tali metodi serviranno solo a minare la sua fiducia, l'affetto ed il rispetto per il suo proprietario. L'allenamento di rinforzo positivo con "leccornie" e lodi per contrassegnare il lavoro ben fatto, consen-

Lancashire Heeler colorazione "marrone focato" (fonte immagine: dogwallpapers.net)

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Lancashire Heeler colorazione "nero focato" (fonte: dogwallpapers.net) tirà di raggiungere sia le prestazioni che il rafforzamento dei legami tra cane e conduttore. La socializzazione che familiarizzerà il cane con varie persone, luoghi, situazioni ed altri animali, dovrebbe iniziare presto e dovrebbe essere un processo continuo. Le esposizioni canine, ad esempio, sono contesti preziosi, anche per socializzare. Per il suo benessere fisico e la sua salute si dovrebbe garantire, al proprio L.H., regolari passeggiate e sessioni di gioco, sia per mantenerlo fisicamente attivo, sia per la sua stimolazione mentale. Si rivelerà un eccellente compagno di passeggiata. Non richiede una quantità eccessiva di esercizio, ma una semplice passeggiata in un parco può essere sufficiente. Un consiglio: fate attenzione ai piccoli animali! Il suo innato istinto di cacciatore lo può portare a non controllarsi in caso di presenza di piccoli roditori, uccellini o piccoli altri animali.

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Quali sono i difetti principali che può presentare questa razza? Come in tutti gli standard i difetti sono considerati come un qualsiasi deviazione dai punti precedenti e la gravità con cui essi sono considerato deve essere esattamente proporzionale al loro grado e all’effetto che possono avere sulla salute e sul benessere dell’animale, nonché sulla capacità del cane di svolgere il suo lavoro tradizionale. Ma andiamo ad analizzare i difetti da squalifica, ossia quei difetti su cui in fase di giudizio, determinato l'immediata squalifica del soggetto e conseguente allontamento dalle esposizioni; sono due: 1) aggressività o eccessiva timidezza; 2) chiara presenza di anomalie fisiche o comportamentali. Due connotati che giustamente devono essere fortemente penalizzati. Essendo una razza molto "giovane", ha ancora in sè tutti i vantaggi dell'e-

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terosi dovuta al meticciamento da cui la razza ha origine, quindi possiamo dire che si tratta di una razza sana. In una selezione corretta, bisogna stare attenti solo alle patologie dell'occhio, e alla lussazione della rutula (patella luxation). Non credo che questa razza si diffonderà in maniera repentina, ma penso che prima o poi anch'essa riscuoterà interesse di molti appassionati e ci sta benissimo che presto, anche alcuni allevatori italiani, si cimenteranno nella sua selezione. Una razza che merita veramente attenzioni e meriterebbe di essere presa seriamente in considerazione anche nel nostro Paese. Allevamento di Fossombrone http://www.difossombrone.it/ Federico Vinattieri www.difossombrone.it

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Lo "York", il Re dei canarini di

Federico Vinattieri

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uando si parla di canarini inglesi, ci vengono subito in mente le razze più note, che anche i profani conoscono, come il Gloster, il Lizard, e altre non meno comuni. Lo Yorkshire è il canarino inglese per antonomasia. Impossibile scrivere di questa razza senza usare i superlativi... la "mediocrità" non appartiene a questo spettacolare canarino. Si tratta di un canarino dolicomorfo, di grande taglia, facente parte appunto del sottogruppo delle razze cosiddette "pesanti", del gruppo dei canarini di forma e posizione lisci.

Quale sono le origini di questo particolarissimo canarino? Dal suo nome è facile dedurre la sua provenienza, infatti porta lo stesso

nome della contea dello Yorkshire, a nord est dell'Inghilterra, dove è stato creato e selezionato alla fine del 'Settecento. La sua derivazione è certa e documentata. Deriva dalla selezione dei prodotti del meticciamento del "Grande Canarino Olandese", oggi definitivamente estinto, con il "Lancashire", che invece esiste tutt'ora. I primi prodotti di questo incrocio avevano una forma affosolata ed una notevole lunghezza, ma oltre a ciò, caratteristica più importante,

assumevano già la particolarissima posizione eretta. Proprio per questa ultima peculiarità, gli inglesi iniziarono a chiamare questi uccellini con il nome di "guardsman", che in lingua inglese significa "soldato" o "ufficiale della guardia". Addirittura si af-

fermava, in modo goliardic o ovviamente, che per la loro singolare forma, del tutto rivoluzionaria per gli ornitofili dell'epoca, questi canarini avrebbero potuto

Maschio di Yorkshire giallo lipocromico (fonte foto: breeding-cage.com)

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passare attraverso una fede nuziale. Successivamente, avvenne un ulteriore meticciamento, anch'esso importantissimo, questi canarini vennero accoppiati con il "Bossù belga". Quest'ultima combinazione risultò appunto fondamentale, poiché donò ai prodotti maggiore robustezza, arti inferiori più allungati, ne migliorò notevolmente la posizione e anche la compostezza del piumaggio. In quel periodo quel tipo di canarino veniva chiamato "Yorkshire Continentale" (adesso classificato come Yorkshire "vecchio Tipo"). Negli anni 'Quaranta del secolo scorso, venne nuovamente meticciato con un'altra razza inglese per eccelleza: il "Norwich". Dalla selezione degli esemplari derivanti da questa ultima ed essenziale combinazione, venne creato lo "Yorkshire canary" moderno, che ha mantenuto, con la dovuta evoluzione selettiva, le sue affascinanti peculiarità di forma e postura, fino ad oggi. Questa nuova tipologia di York, ben differente dalla vecchia, si insediò di prepotenza nel mondo della canaricoltura e da subito tutti gli ornitofili inglesi, e poi europei, ne furono attratti. Il pioniere del "nuovo tipo" fu l’allevatore Golding che ne disegnò lo Standard, nel quale mostrava il connotato più tipico, ossia la compattezza del blocco testa-collo-spalle. Questo modello venne adottato dalla F.O.I. (Federazione Ornicoltori Italiani) negli anni '70 del secolo scorso e solo in un periodo relativamente recente, anche dalla C.O.M. (Confederation Ornithologique Mondiale) nel 1991. Lo York è senza dubbio un connubio di potenza e di eleganza, che non ha eguali tra tutte le razze di forma e posizione lisci. Un vero canarino nobile nel portamento, imponente, che attrae per il suo aspetto, anche chi non ha interesse per questi uccelli da gabbia. Oggi questa razza ha raggiunto un'ampia diffusione in tutto il mondo. Nel nostro Paese vi sono moltissimi allevatori, che ogni anno eccellono a livello internazionali, nelle Mostre Ornitologiche d'Europa, con i loro esemplari, portando lustro alla Ornitofilia italiana. Nel 1983 venne fondato lo Yorkshire Canary Club Italiano, che attualmente tutela la razza e

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organizza eventi ogni anno su tutto il territorio nazionale. Per conoscere meglio questo canarino, cerchiamo di esaminarlo nello specifico da punto di vista estetico e, come consuetudine, quando si esamina o si osserva un animale di "razza" è d'obbligo prendere in esame per filo e per segno il suo standard ufficiale. Come per tutte le razze e le specie di uccelli di gabbie da voliera, lo standard è suddiviso in voci, alle quali è attribuito un punteggio, a seconda dell'importanza che ha quel connotato in quella determinata razza. Per lo York il punteggio complessivo di 100 punti, è quindi suddiviso nelle sei voci, riportate qui di seguito in ordine di importanza: Posizione, Piumaggio, Testa, Corpo, Lunghezza, Benessere Generale.

ghe, con tibie ben visibili e mai divaricate. Le zampe devono essere ben bilanciate rispetto al corpo e le tibie devono giacere sulla stessa linea passante per il punto più alto delle spalle. La coda deve essere rialzata rispetto alla linea del corpo. Sono quindi da considerarsi difettosi, i soggetti con posizione troppo inclinata in avanti o esageratamente eretta. Altro difetto ricorrente è la

Andiamo ad analizzarle una ad una: 1) POSIZIONE punti assegnabili 25. La posizione è a circa 70 gradi, protratta nel tempo, deve esprimere fierezza. Essa, inoltre, sarà mantenuta non in maniera statica, ma dinamica, infatti, è particolarmente apprezzato il cosi detto “lavoro sul posatoio”, caratterizzato da un continuo movimento delle zampe. La posizione ideale viene garantita solo dai soggetti con zampe lun-

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troppa lunghezza delle zampe o con tibie troppo impiumate o non visibili. 2) PIUMAGGIO - punti assegnabili 25 Il piumaggio deve essere ben aderente al corpo, compatto, mai rilassato, il più liscio possibile, corto e di tessitura fine, provvisto di un colore naturale uniforme. Anche la distribuzione dell’intensità o della brinatura deve essere uniforme. Le ali saran-

no ben aderenti al corpo, lunghe, portate alte e termineranno poco oltre la radice della coda; inoltre esse combaceranno tra loro senza mai incrociarsi. Un piumaggio troppo corto, troppo lungo, mosso, con sbuffi o arricciature, deve essere penalizzato. Difetto sono anche ali cadenti, troppo corte o incrociate. 3) TESTA - punti assegnabili 20 La testa deve essere ampia, rotonVecchia raffigurazione dei primi esemplari di Yorkshire da, liscia e piena, deve allargarsi verso la nuca per fondersi uniformemente con il collo e le ampie spalle. L’occhio sarà grande, rotondo e ben visibile, il più vicino possibile al centro della testa, con sopraccigli evidenti ma mai sporgenti e sempre ben aderenti. Il becco deve essere corto e di forma conica. Sono da considerarsi difettose le teste piatte, piccole, spigolose o sfuggenti, ma anche i sopraccigli sporgenti, becco troppo grande o occhio troppo piccolo o decentrato. 4) CORPO - punti assegnabili 10 Il corpo deve essere “robusto” ed assottigliarsi gradatamente verso la coda, assumendo la forma di un cono con la punta verso il basso. Le spalle, larghe e arrotondate, devono essere portate alte e devono fondersi gradatamente con la testa senza mostrare alcuna rientranza o restringimento. È fondamentale che

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il punto di maggiore rientranza tra le spalle e la nuca sia in linea perfetta con gli occhi. Il petto deve essere pieno, in sezione trasversale deve avere larghezza e rotondità simile a quella delle spalle e deve iniziare subito sotto l’attaccatura del becco. L’immagine ideale del corpo, vista in sezione trasversale, disegna un cerchio perfetto. Rappresenta grave difetto la forma cilindrica, dovuta all’eccessiva pesantezza del ventre e della cloaca. Ogni deviazione dalla forma richiesta in questa voce dello standard è da considersi un difetto. 5) LUNGHEZZA - punti assegnabili 10 La lunghezza minima è di cm 17. Una lunghezza inferiore quindi è da penalizzare in fase di giudizio. 6) BENESSERE GENERALE - punti assegnabili 10 L’igiene deve essere massima, la pulizia perfetta. Il Canarino avrà buona vivacità e temperamento, senza essere forastico. Se colorato artificialmente, il Canarino deve presentare una distribuzione uniforme della colorazione, senza variazioni di intensità. Su questa voce vengono tolti punti solo se il soggetto viene presentato con piumaggio sporco, zampe scagliose, se il soggetto presenta una colorazione a chiazze, o se il soggetto si presenta letargico. Queste sono essenzialmente le voci prese in considerazione per il giudizio di un esemplare di razza Yorkshire. Ora che abbiamo appreso come deve essere questo canarino, vediamo sinteticamente altre importante nozioni.

Come si giudica questo canarino alle Mostre ornitologiche di bellezza? Quando un giudice si trava di fronte uno York, deve sempre tenere a mente che ha davanti un canarino di "Forma e Posizione", e quindi va giudicato seguendo dei criteri precisi. La giusta valutazione della posizione richiede che la gabbia sia posta su un ripiano alto. La gabbia da mostra è quella denominata "a cupola", utilizzata per esporre molti altri canarini di forma e posizione, sia lisci che arricciati, come ad esempio: il Bernois, il Lancashire, l'Arricciato del Sud, Il

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Melato Tinerfeno, il Gibber Italicus e molti altri... Nel caso del nostro York, questa gabbia a cupola deve essere "allestita" con un posatoio in alto, centrale, di sezione ellittica e il suo diametro deve essere maggiore di 14 mm. Come scritto anche sui "criteri di giudizio", è preferibile iniziare il giudizio

osservare lo spessore, talvolta limato, il diametro e/o la presenza di tagli... purtroppo esistono allevatori disonesti che approfittano della bellezza di alcuni soggetti acquistati da altri allevamenti, facendoli passare per propri, applicando il proprio anello all'animale, sul quale è riportato il proprio codice, che fa riferimento al

non è altro che la versione ridotta dello York, alla quale sta lavorando l'amico allevatore fiorentino Giuliano Passignani. La nuova razza, già in essere, ma non ancora riconosciuta ufficialmente a livello nazionale, è in corso di selezione, e per la quale è già stato redatto uno standard approssimativo. Al principio questa nuova razza era stata chiamata "Yorkillo", nomignolo che fa subito pensare ad un piccolo Yorkshire, ma poi la Commissione Tecnica ha consigliato di cambiare il nome in "Toscanello", che ne evidenza meglio le origini. La taglia fa razza! Questa è una regola per tutte le razze animali, pertanto se con la selezione si riuscisse ad ottenere uno York significativamente più piccolo di dimensioni rispetto alla versione originale, questa dovrebbe essere per forza riconosciuta ufficialmente. La selezione del Toscanello è oggi a bun punto, ed anche se ci vorranno ancora alcuni anni di lavoro, prima o poi si arriverà a produrre soggetti omogenei che saranno in tutto e per tutto dei mini-York.

Conclusioni

Esemplare di York pezzato lipocromico (fonte immagine: pinterest) scartando i soggetti con piumaggio rilassato o che presentano evidenti sbuffi; poi saranno eliminati i canarini con testa e corpo non adeguati allo Standard. I soggetti restanti dovranno essere osservati a lungo contemporaneamente per valutare la posizione migliore: quest’ultima inoltre consente al Canarino di esprimere al meglio anche le altre sue caratteristiche. Lo Yorkshire, come il Bossù belga, tende a perdere la posizione con il progredire della giornata per effetto della stanchezza e dello stress, pertanto va giudicato durante la mattinata. Durante l'osservazione in mostra, il giudice deve prestare molta attenzione ad eventuali manomissioni dell’anello, del quale è consigliabile

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"registro nazionale degli allevatori" (R.N.A.) iscritti alla F.O.I.-onlus, anello che può essere applicato solo nei primi 6-7 giorni di età del canarino, e che poi risulterà inamovibile per tutta la vita dell'uccellino, una sorta di "carta d'identità" ornitica. Su questa razza si deve tener conto anche della colorazione del piumaggio, in quanto nello York è ammessa la colorazione artificiale.

Curiosità Come abbiamo detto, non esistono altre razze che possiedono le medesime caratteristiche di forma e di posizione di questo straordinario canarino... ma vi è un'unica eccezione! Esiste un reale progetto di creazione di una nuova razza di canarino, che

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Lo Yorkshire è considerato da gli appassionati di canarini inglesi, un po' come l'"Everest" della canaricoltura. Razza non semplice da allevare, in quanto è d'obbligo l'utilizzo delle balie per imbeccare i nidiacei. Proprio per la difficoltà nella riproduzione e soprattutto nella sua selezione estetica, è diventato uno dei canarini più costosi e più apprezzati a livello internazionale. Chi non avesse mai avuto occasione di vederne alcuni esemplari dal vivo, consiglio vivamente, almeno una volta, di andare ad ammirarli nell'ambito di qualche manifestazioni ornitofila... ne rimarrete sicuramente affascinati! Allevamento di Fossombrone http://ornitologia.difossombrone.it/

Federico Vinattieri www.difossombrone.it

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Gli errori più comuni nella produzione di vino hobbistica Dai punti critici alla sottovalutazione degli aspetti fondamentali di

Marco Sollazzo

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egli ultimi vent’anni, alcune persone hanno deciso di ricominciare vecchie tradizioni, tra le quali la produzione del vino. Alcune pratiche enologiche utilizzate in passato sono tuttora utilizzate, mentre altre sono state revisionate

catura nel mondo enologico e cioè se è doveroso o meno utilizzare la solforosa nel vino. Seppure molti produttori hobbistici hanno la volontà di produrre vino senza solfiti per una produzione più naturale e con meno chimica possibile, l’obiettivo è

delle aziende vitivinicole ne fa uso. L'aggiunta di solforosa deve essere fatta in maniera mirata, con analisi alla mano e utilizzando quantità adeguate. E’ inoltre da sconsigliare l’aggiunta eccessiva della solforosa nel processo produttivo, la quale ol-

e/o sostituite con delle nuove tecniche più idonee ad una produzione di qualità. Tuttavia, ci sono molte questioni che sono ancora dibattute tra i più esperti e che creano confusione tra i produttori hobbistici; come risultato, spesso il piccolo produttore si ritrova deluso dai risultati ottenuti. Tra le questioni più dibattute nel mondo hobbistico ritroviamo: a) Solfiti in enologia. Negli anni passati, la solforosa, nelle diverse forme commercializzate ad uso alimentare, veniva impiegata in maniera esagerata oppure si sceglieva di non utilizzarla per le sue controindicazioni. La disinformazione di questo prodotto ha portato ad una spac-

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ancora di difficile portata. Infatti, anche se inizia a diventare una realtà quella della produzione di vini senza solfiti da parte di aziende professionali che decidono d’investire grandi capitali per la produzione di vino (ad esempio investendo nell’ utilizzo di gas inerti, nel mantenimento del catena del freddo, ecc..), questa via non rappresenta una scelta possibile per il produttore hobbistico, il quale non ha le capacità economiche, gli strumenti e le competenze necessarie per produrre un vino senza solfiti. Tuttavia, gli esperti sono d’accordo che non esistono surrogati comparabili alle caratteristiche dei solfiti e perciò la stragrande maggioranza

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Fig.1 - Limiti massimi di solfiti in enologia nelle diverse tipologie di produzione di vino.(fonte vinolibero.it)

tre a portare ad arresti fermentativi e sentori sgradevoli può provocare reazioni allergiche. Per quest’ultimo motivo, il limite massimo di solforosa per la commercializzazione del vino è regolamentato dalla legge (fig.1). b) Lieviti selezionati. Nelle generazioni passate si produceva il vino in maniera completamente naturale senza nessuna aggiunta di lieviti selezionati. Il succo d’uva, una volta pigiato, veniva trasferito in una botte di legno e questo iniziava a fermentare in maniera completamente naturale e spontanea. Questo perché l’ecologia microbica presente sulle uve e nell’ambiente di lavorazione partecipa in maniera attiva al processo di

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Fig.2 - Diverse espressioni organolettiche a seconda della tipologia di lievito selezionato utilizzato (fonte mdpi.com/) fermentazione. Anche se all’epoca il vino era molto gradito da chi lo produceva per il suo elevato contenuto zuccherino, il vino poche volte completava la fermentazione, la quale rallentava e si arrestava. Il vino spesse volte si presentava poco alcolico, dolciastro e leggermente frizzantino per la diretta conseguenza della parziale fermentazione. L’utilizzo al giorno d'oggi di lieviti selezionati permette una maggiore sicurezza fermentativa e un minore apporto di composti secondari, incrementando la standardizzazione del processo e una riduzione dell’impatto ecologico microbico naturale dell’uva. Numerosi lieviti sono stati isolati e selezionati, perciò ogni tipologia di lievito selezionato esprime caratteristiche organolettiche diverse (fig.2). Tra i sostenitori dei vini naturali ci sono persone contrarie all’uso di lieviti selezionati per la poca “naturalezza” del processo fermentativo; tuttavia è importante ricordare che l’ecologia microbica dell’uva (che dipende dall’annata e dalla gestione del vigneto) può condizionare positivamente o negativamente il vino. c) Macerazione con i raspi. Seppur

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in passato ci sono state produzioni di vino con l’utilizzo di raspi durante il processo di macerazione perché si ricercavano vini più robusti e carichi di tannini, le numerose ricerche scientifiche hanno dimostrato che essi apportano solamente caratteristiche negative al vino e perciò essi sono da separare durante la fase di pigiatura (fig. 3). Tra gli effetti negativi dei raspi ricordiamo: tannini ruvidi e erbacei, riduzione della gradazione alcolica finale per l’elevato contenuto di acqua, maggiore problema di stabilizzazione nel vino per la presenza di minerali e maggiore difficoltà negli spazi nei silos dato il maggiore volume occupato dai raspi. d) Primo travaso. Un altro aspetto molto sottovalutato è la tempistica del primo travaso. Numerosi sono i casi riportati dal produttore hobbista di aromi sgradevoli appena dopo la fermentazione alcolica. La maggior parte di questi aromi sgradevoli è legata alla presenza di fecce grossolane derivate dall’autolisi del lievito e dal materiale più pesante precipitato a fine fermentazione. Se le fecce grossolane sono lasciate per lungo tempo a contatto con il vino

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queste formano sentori sgradevoli, tra i quali quelli associati agli aromi di uova marce, cipolla, cavolfiore, ecc.. Il modo migliore per prevenire la formazione di questi aromi negativi è procedere rapidamente ad un travaso dopo la fermentazione, rimuovendo completamente le fecce presenti sul fondo. e) Utilizzo di contenitori in legno di cinque o più anni. Anche se generazioni passate hanno adoperato le stesse botti di legno per diversi anni nel produrre il vino, questo ha sicuramente dei risolvi negativi. Infatti, durante il corso degli anni, le doghe di legno hanno ereditato il patrimonio microbico dei diversi vini che ne sono venuti a contatto e anche di quelle specie che si sono proliferate nello spazio intercorso tra il riempimento della botte tra le diverse annate (fig. 4). Alcune di queste specie microbiche hanno effetti negativi e possono causare difetti nel vino. In aggiunta, l’impossibilità di completa sanitizzazione all’interno della botte, rende il legno un potenziale substrato contaminante. E’ pertanto necessario essere consapevoli che se si vuole utilizzare il

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Fig.3 - Eliminazione dei raspi durante la fase di pigiatura (fonte gbm-manfrini.com) legno per la produzione di vino bisogna sostituirlo in maniera periodica, al fine di evitare possibili contaminazioni. Inoltre, numerose ricerche scientifiche hanno dimostrato che, le doghe di legno, dopo 5 anni di utilizzo nella botte, hanno esaurito le proprietà aromatiche e non apportano nessuna caratteristica organolettica al vino. Oppure come soluzione alternativa al legno, sono oramai sem-

nolettiche del vino. Secondariamente i risultati delle analisi permettono al produttore di migliorare e conservare al meglio il vino prodotto nel corso degli anni. La consapevolezza di analizzare il vino da parte del produttore hobbistico ha permesso una produzione più attenta e mirata alla qualità, identificando eventuali problemi nel processo produttivo. g) Lasciare contenitori scolmi e

di quella di fermentazione, evitare i contatti con l’aria, affinchè il vino preservi le sue caratteristiche peculiari. Uno dei principali errori è quello legato allo stoccaggio e al mantenimento del vino, senza utilizzare in maniera corretta le adeguate misure di protezione (olio enologico, tappi gorgogliatori, galleggianti pneumatici) e nel caso del mantenimento del vino in botte di legno, ad opportune colmature periodiche (fig. 5).

Conclusioni Il seguente articolo ha cercato di fare luce su aspetti spesse volte trascurati ed allo stesso modo di rendere consapevole il piccolo produttore riguardo gli strumenti che può utilizzare per migliorare la propria produzione. Anche se Fig.4 - Contaminazione da muffe delle Fig.5 - Botte scolma. Mantenimento errato di il vino non è un’equazione doghe di legno (fonte brigantisrl.it) conservazione del vino.(fonte gustodivino.it) matematica, il produttopre più diffusi i contenitori in acciaio sottovalutare il modo corretto di re deve fare in modo di arrivare ad inox per la loro facile pulizia e gestio- mantenere il vino. E’ ormai ben identificare le potenziali variabili e, ne nel processo produttivo. noto che Il nemico numero uno del in alcuni casi, venire a compromesf) Analisi del vino: una procedura vino è l’aria, composta dal 21% di si per arrivare alla produzione di un sottovalutata ma fondamentale nel ossigeno. Il vino a contatto con l’a- vino qualitativamente bevibile e acmigliorare la produzione casalinga ria porta alla trasformazione natura- cettabile dal consumatore. di vino è il controllo analitico del pro- le e spontanea dell’alcool presente dotto presso un laboratorio specia- in aceto (la molecola principale è Dr. Marco Sollazzo lizzato. Le informazioni raccolte han- l’acido acetico). E’ chiaro così, che Laureato in Viticoltuno lo scopo di intervenire in maniera senza l’intervento dell’uomo, il vino ra ed enologia mirata sul vino, evitando l’uso e abu- diventa naturalmente aceto. E’ persollazzo.marco@ hotmail.it so di additivi, a volte superflui, che ciò raccomandabile durante tutte le ne compromettono le qualità orga- fasi di trasformazione, ad eccezione

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Il formaggio in cucina Seconda parte - Alla scoperta dei formaggi italiani e dei loro utilizzi nelle ricette tipiche della Liguria, Lombardia e Trentino Alto Adige di

Cesare Ribolzi

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n questa seconda parte del viaggio tra i formaggi d' Italia, iniziamo dalla Liguria, regione caratterizzata dalla presenza del mare che fa da confine da un lato e gli appennini che chiudono il resto della regione e la isolano dalle altre regioni.

no, ovino o caprino). Formaggi tra loro simili ma che per qualche aspetto si differenziano da villaggio a villaggio. Buona parte del formaggio che viene utilizzato nella cucina ligure, proviene dal mare, dalle isole Sardegna e Corsica dove

Pansotti di magro alla ligure con salsa di noci (foto wineandfoodtour.it) La tradizione casearia di questa regione è poca, piccola se paragonata a quella di altre regioni e la parola formaggio viene poco citata fin dai più vecchi trattati culinari della regione. Questo non significa che non ci sia nessun formaggio come ingrediente della cucina ligure. La famosa torta salata della tradizione genovese, la Torta Pasqualina, prevede tra i suoi ingredienti la 'quagliata' anche detta prescinseua in dialetto ligure. Specialmente nell'entroterra ligure, nelle valli appenniniche, si è sempre allevato bestiame da latte e con esso qualche formaggio, chiamato generalmente 'formaggetta', lo si è sempre fatto (sia esso da latte vacci-

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viene prodotto il pecorino che è entrato nella ricetta del pesto di basilico genovese come ingrediente importante. Da oltre appennini, è giunto il Parmigiano Reggiano e lo Stracchino che gradualmente ha sostituito la Formaggetta del giorno dei morti la cui produzione è molto calata per scarsità di latte. Nell'entroterra imperiese e savonese sopravvivono però delle produzioni che suscitano un certo interesse. Tome e caciotte, Formaggette o Robiole ottenute da latte di mucca o capra e pecora. Ad oggi possiamo citare la Formaggetta di Stella, prodotta nell' omonimo paese in provin-

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cia di Savona, apprezzato e richiesto formaggio ottenuto da latte di capra esclusivamente biologico. Si sa di un formaggio o meglio un precursore dei formaggi di questa regione, risalente addirittura all' inizio dell'era cristiana, marchiato col simbolo della città etrusca di Luni, una mezza luna che marchiava il formaggio come se fosse un precursore dei moderni DOP. Formaggio che impressionava per le dimensioni capaci di bastare per "mille merende ai ragazzi". Da ricerche preistoriche relative ai formaggi, sembra che una forma potesse pesare fino a mille libbre romane, ovvero 327 kg! Forse un precursore dell'attuale formaggio grana padano e parmigiano reggiano. Piatti e ricette che prevedono l'uso di formaggi sono dunque la Torta Pasqualina nella quale la pasta brisée, le bietole o spinaci, la Prescinseua il pecorino e le uova, vengono uniti, insaporiti da sale, pepe e ammorbiditi col latte e infornati per originare questo gustoso piatto. La Focaccia di Recco che nel 2015 ha ottenuto il riconoscimento IGP, abbina la tradizionale squisita focaccia genovese al formaggio fresco che la arricchisce e la rende davvero unica. Rappresenta ad oggi il solo IGP ligure e mentre al momento della sua origine nei 5 forni di Recco, dei quali quello dei Molterdo esiste ancora oggi, veniva prodotta solo nel periodo preinvernale, per Ognissanti e per i Morti, oggi viene proposta tutto l' anno rendendo anche celebri a livello nazionale alcuni ristoranti che la servono con successo. Carni lessate e baccalà possono venire insaporite dal Marò di Sanremo, una gustosa salsa che unisce ad un pesto di fave, delle foglie di menta,

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Baciocca (foto ilgiornaledelcibo.it) pecorino, aglio ed olio. Ancora con il pecorino come ingrediente, si preparano i Barbagiuai, ravioli farciti con zucca, bietole, bruss (ricotta fermentata), uova, cipolla, aglio, porro, sale e pepe ed olio. Rimanendo nel genere, in Liguria e limitrofe zone, si possono gustare i Pansoti al sugo di noci. Una pasta di farina e vino bianco, viene farcita con un ripieno di borragine, bietole, preboggion, ricotta fresca, grana grattugiato, uova, aglio e maggiorana. Cotti i Pansoti, si condiscono con le noci in una salsina fatta con olio, aglio, un po' di ricotta e formaggio grattugiato. Tornando alle torte salate, in Liguria troviamo la Baciocca preparata alternando pasta sfoglia ad un impasto di fettine di patate precedentemente messe sotto sale per un' ora, cipolle e uova sbattute. Si ricopre l' impasto con una seconda sfoglia e si inforna. Diverso è il discorso relativo alla molteplicità di formaggi e produzoni casearie DOP e IGP che troviamo in Lombardia. … la prima cosa che si mette in tavola è il formaggio in Lombardia e quelle genti accorte e benedette mai voglion che si levi via insin a tanto che non si sparecchi, e la cena o il disnar fornito sia. Ercole Bentivoglio, In lode al formaggio, da Le satire et altre rime piacevoli, 1557.

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81 diverse tipologie di formaggio riconosciuti dalla Regione Lombardia, dei quali ben 14 sono formaggi DOP, tra cui anche un formaggio esclusivamente di latte di capra, e dei quali l' ultimo riconosciuto è lo Strachitunt. Si passa con molta disinvoltura da formaggi molli e freschi come la Crescenza, al Gorgonzola, al Taleggio, ai Nostrani e semiduri valtellinesi e bergamaschi, alle paste filate della Valpadana fino ai duri di pianura e di montagna, i formaggi grana. Di piatti con formaggi lombardi quindi se ne possono immaginare molti e tra tanti vorrei ricordarne almeno qualcuno della tradizione. Casoncelli al Bagoss Il Bagoss è un formaggio duro prodotto nelle zone montane della provincia di Brescia, in particolare la sua origine sembra essere a Bagolino, in val Sabbia, i cui abitanti vengono chiamati 'bagossi'. Il suo disciplinare di produzione ne prevede 2 varianti, una al 'naturale' e l' altra nella quale viene aggiunto

La Lombardia per tradizione e conformazione morfologica è la regione italiana che più di tutte produce latte. Tra latte di pianura, latte di collina e latte di montagna, la produzione media mensile è attorno alle 500000 tonnellate. E' in Lombardia che nasce l'industria casearia in Italia, la trasformazione del latte con mentalità industriale a partire dalla nascita delle scuole casearie per la formazione del personale, l'introduzione delle macchine scrematrici, i sistemi refrigeranti e l'energia elettrica al servizio dell'industria. I pionieri del passaggio dalle produzioni artigianali a quelle industriali, furono persone come Mattia Locatelli a Ballabio in Valsassina, Antonio Zazzera e Carlo Polenghi a Codogno, ad Egidio Galbani a Ballabio ed Eugenio Cademartori ad Introbio. FonCasoncelli al Bagoss (fonte damentale anche mestoloviaggiatore.files.wordpress.com) lo sviluppo dell' industria dei codiuvanti caseari do- dello zafferano durante la trasforvuto a Martino Clerici che nel 1872 mazione del latte. E' un formaggio a Cadorago cominciò a produrre ca- che viene invecchiato fino a 3 anni glio a titolo noto. Questi presupposti di stagionatura e viene consumato hanno permesso di produrre ad oggi a scaglie come aperitivo, tal quale

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a tavola o grattugiato o come ingrediente dei 'casonsei al bagoss' che sto per descrivere. Si prepara una pasta con farina ed uova, acqua e sale. La si lascia riposare quindi la si stende e se ne ritagliano dei rettangoli di 4x6 cm circa. A parte in un tegame si rosola del burro, gli si aggiunge il Bagoss, pan grattato, noce moscata, sale e pepe. Preparato un impasto grossolano, lo si porziona sui rettangoli di pasta e li si richiude a forma di grossa caramella. Si bollono in acqua i casoncelli e quindi li si salta con burro e salvia. Al momento di servirli gli si grattugia sopra ancora un po' di Bagoss, noce moscata e pepe. Passando in Valtellina possiamo assaporare gli Sciatt che si peparano facendo un impasto on acqua, farina di grano saraceno e farina bianca. All'impasto viene aggiunto il formaggio Casera tagliato a dadini, viene lasciato riposare un paio di ore e quindi gli si aggiunge del lievito in polvere. Si prepara dell' olio ben caldo e con un cucchiaino si raccoglie una piccola porzione di impasto e formaggio e la si mette a friggere finchè si dorano, una alla volta. Sempre nella zona della val Chiavenna, Valtellina, rappresentano un classico i Pizzoccheri, pasta fresca preparata con 2 parti di farina di grano saraceno ed una parte di farina bianca ed acqua. Una volta ottenuto l'impasto, lo si schiaccia col mattarello fino ad ottenere una sfoglia di 2-3 mm che viene tagliata in corte strisce. Il condimento viene preparato cuocendo le verze, le coste e le patate a pezzetti, in acqua salata. Si prepara anche un soffritto di aglio in burro abbondante e formaggio casera tagliato a cubetti. Si cuoce la pasta in acqua bollente e si mescola con le verdure, il formaggio ed il burro fuso. Si attende un momento che il formaggio si fonda e si serve in tavola. Ancora dalle montagne lombarde della valtellina ma non solo, origina un'altra gustosa ricetta a base di polenta. La Polenta Taragna che si ottiene da farina di grano saraceno , farina di mais, formaggi locali stagionati e freschi, burro, pan grattato e sale.

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La preparazione inizia mettendo a bollire dell' acqua salata alla quale è stata aggiunta una parte del burro. Quando l'acqua bolle, si aggiunge la farina gialla e poi quella nera di grano saraceno. La polenta va cotta per circa un'ora, intanto si aggiunge il resto del burro. Al termine della cottura si aggiunge il pan grattato ed in ultimo il formaggio tagliato in grossi pezzi. A secondo delle diverse zone dove viene preparata la polenta taragna, il formaggio può essere diverso ed essere proposto nelle tipologie prodotte localmente. Ancora dalla Valtellina, descriverò la ricetta per la preparazione dei Taroz, piatto pressochè sconosciuto fuori dalla zona dove è nato, sulle sponde del Davaglione. Gli ingredienti per fare questo piatto sono patate, verdure, fagioli, fagiolini e cipolla, burro, casera giovane e casera stagionato, formaggio grana grattugiato, sale e pepe. Si preparano facendo bollire le patate sbucciate con i fagiolini, a parte si cuociono i fagioli. A termine cottura le verdure si schiacciano con un cucchiaio. Le cipolle si soffriggono col burro e quindi si versano sulle verdure e si tiene caldo a fiamma bassa. Si aggiunge quindi il burro ed i formaggi tagliati a dadini, si prova sale e pepe e si serve ben caldo. Passiamo al Trentino Alto Adige, la regione delle montagne dolomitiche, delle tradizioni e delle lingue che mescolano l'italiano con l'austriaco. Qui l'economia riceve un grande aiuto dallo sfruttamento delle zone impervie d'alta quota dove gli animali, bovini, caprini ed ovini, consentono di produrre reddito e di mantenere il territorio seppure con la coscienza della scarsa competitività della pastorizia di montagna. Grazie alla varietà di zone climatiche che vanno dal mediterraneo del lago di Garda al glaciale dell' Adamello e della Presanella, agli altipiani del Vezzena, a zone decisamente più asciutte come le valli di Fiemme e di Fassa. Terreni che passano dal calcareo delle Dolomiti al profirico e granitico del Lagorai e della val di Sole, originano pascoli sensibilmente diversi che consentono produzioni casearie dalle infinite sfumature di

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profumi e di sapori. Così come per i vini, i formaggi esprimono il loro forte legame con il territorio. Dalle produzioni industriali di sta ritornando a piccole produzioni di nicchia garantite da marchi tipici come 'Sapori di Malga' che riunisce sotto di sé 12 caseifici a carattere artigianale. Nonostante siano state rinvenute fondamenta di malghe nella valle del Chiese, risalenti a 3000 anni fa, le prime tracce scritte relative a produzioni di formaggio in Trentino, risalgono al 1249. In questa pergamena viene menzionato l'uso di formaggio quale moneta di pagamento dell'affitto dovuto per l'utilizzo di boschi e pascoli. L'importanza delle malghe era divenuta tale da scatenare vere e proprie liti, guerre pastorali ed eccidi di bestiame per il loro controllo. Da allora fino al tramonto della civiltà contadina degli anni '60, i lavori di vallata e le attività di malga sono sempre state correlate, ogni paese aveva la propria malga e produceva il proprio 'nostrano di malga'. Fino agli inizi dell' 800, tutto il formaggio veniva prodotto in malga, solo successivamente, a Rumo in val di Non, fu aperto il primo caseificio trentino. Si andò razionalizzando la produzione casearia concentrando i luoghi di trasformazione del latte. Si passò quindi dalle circa 500 malghe degli anni di inizio secolo, alle 84 degli anni 70. Ad oggi ce ne sono ancora una cinquantina anche se assistiamo ad un ritorno ai loro prodotti per via del loro gusto più marcato e caratteristico rispetto al prodotto industriale. Vediamo quali sono questi formaggi prodotti nel Trentino partendo dalla Tosèla, il formaggio fresco, più semplice, dalla pasta compatta e morbida. In Valsugana si producono formaggi tendenzialmente magri dato che il grasso del latte viene trasformato in burro di montagna, Lagorai, Crucolo, i 'nostrani' che possono essere considerati variazioni dei formaggi del vicino altopiano di Asiago, il Vezzena ottenuto da latte semigrasso, a pasta semicotta, leggermente piccante, il Puzzone di Moena prodotto in val di Fiemme e Fassa, dal particolare ed intenso gusto ed aroma, particolarmente gradito al mercato dei consumatori. In Val di Non si produce il

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Trentingrana, in val di Sole il Casolet, la Spressa nelle Giudicarie, valli del Chiese e Rendena. Sebbene la cultura contadina della zona imponga il consumo di polenta accompagnata da formaggio e funghi porcini o finferli, una sua variante detta polenta carbonera, prevede l'u-

cabile polenta. Simile alla Tosela è lo Schiz, cagliata fresca e candida prodotto nelle valli del Primiero, si consuma tagliato a fette, rosolato nel burro ed aggiunto di panna, sale e pepe. Anche questa ricetta è considerata pietanza per la polenta.

Knoedel al formaggio (fonte tacchiepentole.com) tilizzo di grano marano di Storo coltivato nella valle del Chiese alla quale si accompagnano il formaggio Valchiese stagionato o tenero, la Spressa o, meno tipicamente, il Trentingrana. I formaggi tagliati a tocchetti, vengono uniti col grana grattugiato, del soffritto di cipolla in burro e salamella fresca, pepe ed una sfumata di vino rosso. Di particolare pregio l' utilizzo di Spressa di Roncone. Ancora di polenta ma 'smalzada' si parla quando la polenta di mais o mista saraceno o solo saraceno, viene tagliata a fette e alternata a burro fuso nel quali siano state sciolte delle acciughe ed a Vezzena. Il Pasticcio di polenta, la vede a fette alternando formaggi che si fonderanno e funghi tagliati a fette e precotti. La Tosela che altro non è che un formaggio molto fresco tipico delle malghe degli altipiani, la si può consumare alla piastra, fritta in padella con del burro oppure infarinata, passata nell'uovo e pangrattato e quindi fritta. Insieme a salsiccia e funghi costituisce il naturale accompagnamento all'imman-

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Passando all'Alto Adige, dove le mucche e le capre hanno la fortuna di pascolare ad alta quota e di produrre importanti quantitativi di latte anche biologico, i prodotti caseari di maggior rilevanza sono principalmente lo yogurt, il burro, le mozzarelle ed il mascarpone mentre i formaggi vengono prodotti in minor quantità. Tra i formaggi altoatesini, ne spiccano certamente il Graukaese letteralmente tradotto in Formaggio Grigio e i diversi Weinkaese, formaggi affinati nelle vinacce. Il Graukaese è un formaggio ottenuto come sottoprodotto della produzione del burro. Il latte viene lasciato sostare e durante questo periodo di tempo la panna affiora ed il latte magro acidifica. Con il proseguimento dell'acidificazione, il latte coagula e si ottiene quindi un formaggio in maniera del tutto spontanea e naturale. In realtà, prima che lo si potesse chiamare formaggio si è dovuta richiedere una speciale autorizzazione in quanto per legge il formaggio è il prodotto ottenuto dal latte per ag-

giunta di caglio, mentre il Graukaese viene prodotto senza uso di caglio. Si presenta con una crosta muffettata grigia esternamente mentre all'interno la struttura è tipica slegata dei formaggi a coagulazione lattica, colore bianco avorio fino ad ocra. Può essere aromatizzato con erbe di montagna e viene utilizzato per la preparazione dei Knoedel al formaggio. Si prende del pane raffermo e lo si mette tagliato a cubetti in un recipiente al quale si aggiunge della cipolla e porro rosolati nel burro. Si aggiunge anche il Graukaese e del Bergkaese, prezzemolo ed erba cipollina. Si sbattono delle uova con del latte e si aggiungono al pane. Si lascia riposare per 3 ore e si aggiunge della farina per addensare il composto. Si formano gli Knoedel e si lessano in acqua salta bollente. Si servono conditi con parmigiano grattugiato e burro fuso. Il Graukaese può anche essere consumato crudo insieme a cipolle tagliate molto sottili, sale, pepe olio ed aceto. Si lascia riposare il tutto un quarto d' ora e si serve in tavola. Tra i Bergkaese, formaggi di montagna, prodotti nelle malghe, il più noto è il formaggio Stelvio, ottenuto da latte leggermente scremato, stagionato per almeno 2 mesi su assi di legno, dalla pasta compatta, morbida ed elastica. Questo formaggio viene usato per lo più come condimento per la polenta, come vuole la tradizione della montagna. Ne prevede l'utilizzo la ricetta della Vellutata di formaggio semigrasso, per la preparazione della quale, il burro fuso viene miscelato con della farina, si aggiunge del brodo freddo e si porta ad ebollizione per qualche minuto. Si grattugia il formaggio semigrasso e lo si aggiunge alla zuppa. Con della panna acida montata si lega la pietanza, si aggiunge erba cipollina e si serve con pomodorini e crostini di pane. Buon appetito e… alla prossima puntata! Caseificio Norden s.a.s. www.norden.eu

Dr. Cesare Ribolzi Casaro

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LE STORIE DEL CIBO La melanzana, "mela-non-sana" di

Pasquale Pangione

L

a melanzana, appartenente alla famiglia delle Solanaceae, produce una bacca carnosa con polpa biancastra e spugnosa. In passato veniva chiamata, da dottori e botanici, “Solanum insanum”, cioè malsana. Fu Linneo a ribattezzarla col nome scientifico di “Solanum melongena” (mela cattiva). La melanzana è originaria dell'India, sebbene esistano documenti che dimostrano la coltivazione di essa nell'area del sudest asiatico sin dalla preistoria. In Europa era sconosciuta fino al sedicesimo secolo, ove fu portata, nell'area mediterranea (Sicilia e Spagna), dagli Arabi (con il nome “Badingian”) agli inizi del Medioevo. Nel Medioevo aggiungevano il prefisso “melo” per indicare vegetali provenienti da lontano (melagrana, melacotogna, melangolo). Quindi “badingian” diventò “melo-badingian” da cui l’attuale “melanzana”. In alcune regioni, invece, il suffisso “melo” è diventato “petro”, da cui si ebbe “petro badingian” per cui si formerà “petronciano”. In alcune zone d’Italia la melanzana si chiama ancora oggi “petronciano” o “petonciano”. La melanzana però, prima di comparire sulle nostre tavole, ha avuto un’esistenza travagliata e lo si può comprendere già dal nome attribuitogli: “mela non sana”, in un certo senso “pericolosa”. Si diceva che provocasse turbe psichiche e disturbi intestinali; i più pessimisti la accusavano di diffondere la peste. Si temeva l’annerimento assunto dalla polpa bianca dopo il taglio; oggi sappiamo che tale annerimento è dovuto ad un enzima (polifenolossidasi) che viene attivato dopo il taglio o l’ammaccatura, provocandone l'ossidazione. In Spagna si pensava che causasse malattie come isteria, epilessia, tisi e cancro. Altri sostengono che peggiori l’umore dell’uomo o addirittura porti a cambiare il colore del viso rendendolo più scuro. L’agronomo Gabriel Alonso de Herrera nel 1513 arriva a dire che “gli Arabi la portarono in Europa per uccidere con essa i Cristiani”. La melanzana cruda ha un gusto amaro che si stempera con la cottura, la quale rende l'ortaggio più digeribile e ne esalta il sapore. D'altra parte, la melanzana ha la proprietà di assorbire molto bene i grassi alimentari, tra cui l'olio, consentendo la preparazione di piatti molto ricchi e saporiti. La normale cottura non è in grado di eliminare del tutto la solanina, che si degrada completamente a temperature molto più alte (oltre 240°C); ciò però non è un problema, perché nella melanzana il contenuto di solanine (α-solanina, solasonina e solamargina) è pari a 9–13mg/100 g di peso fresco, ben al di sotto della quantità ritenuta accettabile per gli ortaggi (20–25mg/100 g di peso fresco). Ad essa vengono riconosciute proprietà depurative, un alto contenuto di acqua e fibre e un basso indice glicemico. L’acido clorogenico e la nasunina, inoltre, agiscono contro i radicali liberi, combattendo l’invecchiamento e le malattie cardiovascolari. Sfatati i miti sulla sua pericolosità, lascio a voi la scelta di metterle in tavola, fritte, al forno, al naturale, con la pasta o nell’insalata.

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LA RICETTA Parmigiana di melanzane Difficoltà: bassa - Preparazione: 70min. - Cottura: 40min. - Dosi: 4 persone Costo: basso

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iatto tipico della tradizione italiana, nato in Sicilia. Benché il nome la ricordi, il piatto non ha alcun legame con la città di Parma, nè con l'omonimo formaggio, bensì, esso deriva dal fatto che disponendo le fette di melanzane in modo ordinato, dà l'idea della “parmiciana” (vocabolo che indica, le antiche persiane a fasce di legno).

Ingredienti Melanzane lunghe nere: 1kg Mozzarella-fiordilatte a fettine: 400g Prosciutto cotto a fette sottili (facoltativo): 200g Basilico spezzettato: 30g Formaggio grattugiato: 100g Sale: qb Pepe: a piacere Olio per friggere: 1l Salsa di pomodoro, la tradizione vuole che sia ragù, come da ricetta che trovate su TerrAmica n°6 (Gennaio 2017), ma va bene qualsiasi salsa vi aggradi: 1l

Preparazione ricetta 1 Preparare la salsa se non la si ha già pronta. Tagliare le melanzane a fette spesse 6mm circa, e friggerle in abbondane olio. Partendo da un sottile strato di salsa (sul fondo della teglia), stratificare nel seguente ordine gli ingredienti:

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melanzane fritte; prosciutto cotto; mozzarella-fiordilatte (sgocciolato); salsa; formaggio grattugiato; basilico; pepe... Ripetere i passaggi fino all'esaurimento degli ingredienti, “chiudendo” con un abbondante strato di salsa. Infornare a 180°C per circa 40 minuti. Servire tiepida.

Preparazione ricetta 2 Procedere come nella ricetta 1, però, prima di friggere le fette di melanzane, infarinarle e passarle nelle uova sbattute e arricchite con sale, pepe, formaggio grattugiato e prezzemolo tritato.

Variazioni, note e consigli Mai come in questo caso, le dosi sono molto indicative... Se avete tempo, potete salare le fette di melanzane, facendole “spurgare” per 30-40 minuti. La salsa può essere sostituita con della besciamella non troppo densa (viene chiamata “parmigiana bianca”). La mozzarella-fiordilatte può essere sostituita con della provola fresca affumicata. Le melanzane possono essere integrate o sostituite con le zucchine. Come consiglio sempre, non ponete limiti alla vostra fantasia. Buon appetito! Pasquale Pangione

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Trekking a cavallo: criticità e rischi da evitare Come prevenire ed affrontare al meglio eventuali imprevisti di

Gemma Navarra e Erika Verdiani

N Ambiente, foreste e natura

el numero precedente di TerrAmica abbiamo parlato degli aspetti più importanti da tener presente quando si organizza un trekking a cavallo: della scelta dei sentieri, dei posti tappa, delle andature da tenere… I viaggi a cavallo sono un’esperienza suggestiva ed avventurosa ed offrono l’emozione di vivere la natura in modo autentico ed esplorare luoghi incontaminati. Come la loro pianificazione richiede preparazione e professionalità, così anche partecipare ad un trekking in sicurezza richiede essere a conoscenza delle possibili criticità che possono emergere. Di seguito analizziamo le problematiche più comuni che possono presentarsi ai viaggiatori equestri:

in punti critici. Anche i sottosella devono essere puliti e le bardature in buono stato e ben ingrassate. Utile è anche dissellare e ripulire il cavallo nelle soste lunghe in modo da arieg-

po' alla volta. Questa operazione va effettuata una mezz’ora prima di arrivare al posto tappa conducendo il cavallo a mano, in questo modo si ottiene anche di non arrivare con il

Fiaccature Le fiaccature sono gonfiori o abrasioni della pelle del cavallo causate dall’attrito con la bardatura (sella, sottopancia, testiera, sottocoda, pettorale). Durante i trekking, il cavallo rimane sellato molte ore e salite e discese aumentano la possibilità che si formino fiaccature. Per la prevenzione è fondamentale, prima di sellare, pulire accuratamente, con striglie e brusche, tutte le parti del corpo del cavallo che vanno a contatto con la bardatura. È necessario eliminare fango, polvere ed incrostazioni di sudore e prestare particolarmente attenzione a punture di insetti e piccole ferite, se posizionate

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Cavalieri del centro ippico in un viaggio al lago di Ridracoli giare la pelle ed eliminare il sudore formatosi durante il tragitto. Levare la sella durante le soste è importante anche per prevenire gonfiori dovuti al tenere il sottopancia stretto troppo a lungo. Quando il cavallo ha la sella da più di 3 ore, è buona norma allentare gradualmente il sottopancia prima di togliere del tutto la sella, in modo da riattivare la circolazione un

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cavallo sudato. Un cavallo fiaccato non può continuare il viaggio!

Disidratazione Un aspetto da non sottovalutare è il pericolo di disidratazione del cavallo, specialmente quando si affronta un trekking di più giorni in estate. Il cavallo è un animale predisposto a forte sudorazione, per questo, in

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seguito a sforzi, può perdere rapidamente molti liquidi e sali minerali. I principali sintomi che evidenziano disidratazione possono essere: generale malessere; sudore insaponato; perdita di appetito; gengive di color rosso pallido (che sbiancano se sottoposte a pressione e tardano più di 3 secondi a riprendere colore); pelle che perde elasticità (una volta pizzicata, la pelle torna distesa con lentezza). Se il cavallo risulta disidratato è indispensabile fargli assumere liquidi al più presto, ma di fronte ad una fonte d’acqua cercare di farlo bere poco alla volta. In

Durante il tragitto, almeno ogni ora di cammino, bisognerebbe fare una sosta in punti dove è presente erba fresca e farli brucare per almeno 5-10 minuti, abbastanza per ripartire carichi ed energici, dato che l’erba contiene molta acqua e vitamine. Naturalmente anche durante la sosta pranzo, momento di relax per noi ma anche per il nostro amico, se nel luogo prescelto non è presente acqua dedichiamogli un po’ di tempo portandolo a mangiare un po’ d’erba, così che sicuramente sarà pronto per continuare questa bella avventura. ATTENZIONE! Prima di utilizzare

sudorazione eccessiva, riduzione dell’appetito, irrequietezza e agitazione (il cavallo tende a mordersi la pancia molto spesso e a toccarla con lo zoccolo dell’arto posteriore come se volesse grattarsi). La causa principale che può portare ad una colica durante un trekking è il cambiamento improvviso di alimentazione: fieno o mangime differenti dal solito, di cattiva qualità o ammuffito. Il rischio è che si formino restringimenti nell’intestino o ancora più gravi torsioni. Se ci troviamo di fronte a questi sintomi, consigliamo di chiamare immediatamente il veterinario e se-

Cavalieri che percorrono a piedi una discesa impegnativa ogni caso è sempre buona norma chiamare il veterinario che potrebbe valutare di dover intervenire. Per prevenire la disidratazione del nostro compagno di viaggio, in situazioni di difficoltà in cui i punti d’acqua scarseggiano, sono distanti o i torrenti sono prosciugati per il calore estivo, possiamo consigliarvi comportamenti molto semplici ed efficaci. Innanzitutto, prima di partire per un viaggio e alla fine dalla giornata, bisogna assicurarsi che tutti i cavalli abbiano bevuto sufficientemente (fin quando non sono loro a dirvi basta).

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questo metodo, se il cavallo non è abituato a mangiare erba, consigliamo di introdurre questo alimento nella sua dieta in maniera graduale così da evitare altri problemi più gravi, le coliche.

Coliche La colica è una patologia molto grave e diffusa tra gli equini. Si presenta come un dolore addominale e le cause che la provocano possono avere origine differente. I segnali che il cavallo manifesta quando viene colpito da una colica sono molto espliciti:

guire le sue istruzioni, far camminare il cavallo ed evitare di farlo sdraiare o rotolare, in modo da stimolare la peristalsi intestinale. Il consiglio che diamo per prevenire coliche durante un trekking è di evitare bruschi cambiamenti di alimentazione: abituare il nostro amico a mangiare l’erba in modo graduale, scegliere di persona il cibo che troveranno nei posti tappa, prediligere mangime o fieno di buona qualità, puliti e che non siano diversi da quelli a cui sono abituati. Evitare inoltre di far bere grandi quantità di acqua fredda e prestare

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attenzione all’eventuale presenza di piante tossiche nei punti sosta.

Mioglobinuria Il cavallo da trekking è un atleta e come tale deve essere ben allenato e preparato per l’escursione. Improvvisi sforzi possono causare eccessivo affaticamento dei muscoli, fino ad arrivare a veri e propri avvelenamenti da acido lattico, la mioglobinuria, che possono com-

viaggio può essere utile fare trattamenti protettivi: esistono prodotti repellenti specifici che hanno durata anche fino a 15 giorni, da applicare dalle orecchie fino alla coda percorrendo tutta la spina dorsale. Tra i rimedi casalinghi consigliamo invece di spruzzare il cavallo (evitando zone sensibili come occhi e naso) con una miscela di aceto bianco e olio di citronella. L’effetto repellente è ovviamente temporaneo ma sono

un ferro, operazione che può essere effettuata solo da chi è in grado di farlo (le ferrature di emergenza vanno poi sempre fatte ricontrollare dal maniscalco). Per chi non si sente sicuro con chiodi e raspe una buona soluzione è portare una scarpa d’emergenza (di una misura che possa andare bene a tutti i cavalli presenti nel gruppo, oppure più scarpe di diverse misure) utile per non far danneggiare ulteriormente il piede che

Cavalieri che fanno pascolare i propri cavalli dissellati durante la pausa pranzo promettere irreversibilmente la salute del nostro compagno di viaggio. È importantissimo cominciare per tempo ad allenare il nostro cavallo in vista di un viaggio e calibrare sempre i percorsi sulla preparazione fisica e l’età dei cavalli, oltre che dei cavalieri (ricordiamoci che la fatica maggiore è la loro). Porre attenzione all’accidentalità e alle pendenze dei percorsi, tenendo sempre il passo come andatura principale. Sulle salite ripide permettere al cavallo di fare delle soste per riprendere fiato e fare dei tratti portando il cavallo a mano per alleggerirlo, anche su strade comode e pianeggianti. Il cavallo colpito da mioglobinuria ha gli arti posteriori bloccati, rifiuta di andare avanti e suda eccessivamente. In tal caso non va assolutamente forzato a camminare e va chiamato immediatamente il veterinario.

Insetti Tafani, moscerini, zecche e mosche cavalline possono veramente portare allo sfinimento! Prima di un

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sostanze naturali e non tossiche per la pelle.

Malattie infettive Gli insetti possono veicolare malattie infettive (es: piroplasmosi, anemia infettiva, etc…), per questo è buona norma informarsi sulla presenza di eventuali malattie endemiche nella zona in cui svolgiamo il trekking ed assicurarsi che le strutture ospitanti dei posti tappa siano in regola con le profilassi sanitarie.

Problemi di ferratura Ultimo, ma non per importanza, è l’aspetto della ferratura. Prima di intraprendere un viaggio è importante far controllare lo stato della ferratura dei cavalli dal maniscalco di fiducia, poiché perdere un ferro in viaggio può rivelarsi un serio problema. Spesso infatti, quando si perde un ferro, i chiodi strappano parte dell’unghia ed il piede si può danneggiare più o meno gravemente. È buona norma portare in viaggio gli attrezzi da mascalcia in modo da poter rimettere

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ha subito l’incidente. Molte di queste problematiche sono collegate tra loro e perciò ricoprono uguale importanza. Nessun aspetto deve essere sottovalutato ed i comportamenti preventivi sono fondamentali per la salute ed il benessere dei nostri compagni di viaggio. Il rispetto per i cavalli è un aspetto imprescindibile per tutti coloro che intendono fare equitazione, ma per chi fa viaggi a cavallo diventa anche un fattore fondamentale per la sicurezza dei partecipanti, oltre che per la buona riuscita dell’esperienza. Dr. ssa Erika Verdiani Guida Equestre Ambientale di 1° livello

Dr. ssa Gemma Navarra Guida Equestre Ambientale di 1° livello nvrgmm@virgilio.it

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Escursione nella Foresta di Sant'Antonio Una domenica di trekking con gli amici dell'Associazione di Agraria.org di

Piero Puliti

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omenica 27 maggio, con gli amici del Forumdiagraria.org e dell’Associazione di Agraria.org, abbiamo organizzato una bellissima passeggiata all’interno della Foresta di Sant’Antonio, poco sopra Reggello (Firenze). Siamo partiti in 23 dall’antico “Ponte di macereto” che si trova sul torrente “Resco”, nei pressi della confluenza con il “borro di Sant’Antonio”. Imboccando un sentiero che si snoda lungo il “borro delle Fornaci” (affluente del Sant’Antonio) dentro una strettissima gola completamente boscosa (castagni, frassini, scope, cerri e più in alto faggi), abbiamo potuto ammirare i tre simboli che caratterizzano il percorso: la “Massa Macone”, un ampio rientro nella roccia usato un tempo come rifugio per uomini e animali; la “Carbonaia di Masino”, un esempio della dura vita del passato di questi boschi; la “Cascata di Meriggioni”, un bel salto di 15 metri di acqua limpidissima. Il borro delle Fornaci, in questo periodo, ha una notevole portata di acqua e diversi alberi caduti di traverso; lo abbiamo guadato una decina di volte

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anche con qualche piccola difficoltà, cosa che ha reso l’escursione ancora più interessante. Lasciato questo torrente, abbiamo percorso tratto di notevole salita, passando per il punto panoramico di “Massa Falco”. Infine, siamo giunti per l’ora dello “sgranamento” alle case di Sant’Antonio, un rifugio di proprietà del Comune di Reggello, dove è possibile accendere il fuoco e anche passare la notte. Molto apprezzata da tutti la grande “sgranata” a base di salsicce alla brace, finocchiona, pecorino, pane, tanto ottimo vino e una buona grap-

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pa trentina Maxentia. La sosta è durata circa un’ora e mezzo, poi siamo ripartiti per la seconda parte del percorso, un tratto abbastanza impegnativo in salita lungo un torrente detto “delle Fonticine” per le sorgenti usate per l’acquedotto. Siamo quindi giunti al fantastico “Faggione di prato Marcaccio” (quota 1100 metri), un autentico monumento nella foresta di Sant’Antonio. Da qui abbiamo iniziato la via del ritorno, lunga ma tutta in discesa, percorrendo l’antica strada costruita dai Romani per collegare il Valdarno con il Casentino. E’ stata un’escursione molto piacevole, in compagnia di esperti delle foreste e di tanti amici di tutte le età, uniti dalla passione per la natura. Un’esperienza che ci siamo promessi di rifare, percorrendo un nuovo itinerario in questo tratto di Appennino toscano selvaggio e molto suggestivo. Piero Puliti Appassionato cercatore di funghi

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La PAC nel bilancio europeo Breve analisi sui vari aspetto della Politica Agricola Comune europea di Ivano

Cimatti

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l 29 novembre 2017 la Commissione europea ha pubblicato la Comunicazione “Il futuro dell'alimentazione e dell'agricoltura” il quale ha tracciato il percorso della ipotizzata riforma della politica agricola comune (PAC) successivamente al 2020. La Comunicazione descrive il contributo che l’Unione si augura dall'agricoltura: fornire cibo ai cittadini dell'UE, in quantità e qualità adeguati, prendersi cura delle risorse naturali, assicurare posti di lavoro, promuovere le zone rurali ed in ultima analisi consentire lo sviluppo del mercato unico. La detta nota ha ampiamente evidenziato i risultati della Pac in termini di stabilità del reddito agricolo, contributo agli obiettivi climatici e ambientali e alla vitalità delle zone rurali. Al tempo stesso, ha sottolineato la necessità di procedere verso un'agricoltura più sostenibile (secondo le tre dimensioni: economica, ambientale e sociale) per far fronte alle sfide derivanti dall'aumento della volatilità dei prezzi, dai cambiamenti climatici e dalla pressione sulle risorse naturali dell'attività agricola. La Comunicazione rappresenta un

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documento strategico volto a rafforzare il ruolo della Pac nella realizzazione delle priorità europee nel rispetto degli impegni assunti dall'UE a livello internazionale su clima e ambiente (COP21) e sviluppo sostenibile (Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile). La Comunicazione riflette la necessità di dimostrare il valore aggiunto dell'UE della PAC, per rispondere alle numerose critiche che le ven-

gono mosse, attraverso il rafforzamento della sussidiarietà e un nuovo modello orientato ai risultati. Essa parte dalla considerazione che un’impostazione dall’alto (top-down) e un approccio poco attento alle specificità locali (one-size-fits-all) non sono più adatte alla complessità dell'agricoltura europea o ad un si-

stema complesso di pagamenti più selettivi e mirati; pertanto, propone un cambiamento radicale nel modo in cui viene fornito il sostegno all'agricoltura, che dovrebbe garantire una maggiore semplificazione e un'azione ambientale e climatica più ambiziosa. In ogni caso, l'Europarlamento chiede che la nuova PAC sia adeguatamente ed equamente finanziata. Importante la semplificazione e flessibilità nella gestione dei fondi ed evitare assolutamente la nazionalizzazione del Secondo pilastro, soprattutto se venisse male interpretato il principio di "adeguamento ai contesti nazionali". Bisogna evitare, secondo il Parlamento europeo, una sovraregolamentazione a livello nazionale e regionale, che certamente andrebbe nella direzione opposta rispetto all'obiettivo di semplificazione. E' importante che gli Stati membri possano garantire gli stessi standard e che le sanzioni per eventuali violazioni siano le stesse in tutti i paesi UE. Si ricorda che il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue) riconosce una competenza concor-

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rente tra l'UE e gli Stati membri nel settore dell'agricoltura. Di conseguenza, in materia agricola le istituzioni europee applicano il principio di sussidiarietà, vale a dire l’UE può intervenire se questo è giustificato dalla necessità (se gli obiettivi dell’azione non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri) e dal valore aggiunto (se per la sua portata o per i suoi effetti, l’azione può essere conseguita meglio a livello di UE). Per questo motivo la sussidiarietà viene definita un

2020. La proposta di regolamento sul Piano strategico della PAC [COM(218)392 (1) (2)] introduce e definisce i contenuti del New delivery model illustrato dalla Commissione nella sua Comunicazione “Il futuro dell’alimentazione e dell’agricoltura”. Come anticipato, la Commissione propone un cambiamento radicale del modo in cui è fornito il sostegno all’agricoltura, passando da un approccio basato sulla conformità dei beneficiari a regole dettagliate (compliance) ad un

Il 2 maggio scorso quindi sono state pubblicate le proposte sul prossimo Quadro Finanziario Pluriennale (Qfp) per il periodo 2021-2027. Nell’ambito del Qfp le risorse per la Pac ammontano a 365.006 milioni di euro a prezzi correnti, pari al 28,5% del totale degli stanziamenti per impegni (1.179.408 milioni di euro). Del totale per la PAC, 286.195 milioni di euro sono destinati al Feaga (Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia), di cui 267.485 per i pagamenti diretti e 19.870 milioni

“concetto dinamico” in quanto l’azione comunitaria può essere ampliata o ridimensionata a seconda delle circostanze. La proposta di regolamento sembrano quindi andare verso un restringimento dell’intervento comunitario che, per molti detrattori, appare come il primo passo verso la rinazionalizzazione della PAC. Nel nuovo modello proposto, l’UE stabilisce i parametri di base (riducendo così l'onere normativo a suo carico) e gli Stati membri elaborano un Piano strategico nazionale volto a raggiungere obiettivi e traguardi realistici e concordati, avendo a disposizione una maggiore flessibilità nella scelta degli strumenti da adottare per tenere conto delle condizioni e dei bisogni locali. Alla luce del nuovo approccio orientato a ciò che si vuole raggiungere piuttosto che a come viene raggiunto, le proposte sulla riforma della Pac presentate il 1 ° giugno non modificano gli strumenti a disposizione degli Stati membri rispetto a quelli della PAC 2014-2020, ma consentono loro un'ampia flessibilità nell’adottare e combinare assieme gli strumenti che ritengono più appropriati ad affrontare al meglio le proprie specificità. Di seguito si fornisce una lettura organica della proposta di regolamento, dove verranno messe in evidenza le principali novità e le differenze rispetto alla PAC 2014-

approccio orientato ai risultati di ciascuno Stato membro (result-driven based). A tal fine si afferma di voler rafforzare la sussidiarietà attraverso un ribilanciamento delle responsabilità nella gestione della PAC tra UE e Stati membri. La nuova PAC dovrà inoltre fornire un sostegno più mirato e conseguire una distribuzione più equa dei pagamenti diretti, con una maggiore attenzione agli obiettivi climatici e ambientali e alla modernizzazione dell’agricoltura. Lo strumento attraverso il quale concretizzare questo nuovo approccio è il Piano strategico della PAC che ciascuno Stato membro dovrà elaborare per tutto il territorio nazionale, ma che potrà contenere anche elementi definiti a livello regionale. Nell’ambito di tale Piano strategico, sulla base della valutazione delle proprie esigenze, ciascuno Stato membro dovrà definire una strategia di intervento, indicando gli obiettivi che si intendono conseguire e attraverso quali interventi. Il Piano strategico dovrà garantire la coerenza tra le azioni attuate, nel contesto di una condizionalità rafforzata e di un sistema di consulenza aziendale obbligatorio. Dovrà inoltre prestare particolare attenzione agli obiettivi climatici e ambientali e al rinnovo generazionale. A tal fine una parte dei fondi è destinata a raggiungere queste due priorità.

di euro per le misure di mercato, e 78.811 milioni di euro sono destinati al secondo pilastro. Altri 10 miliardi di euro sono previsti in Orizzonte Europa a sostegno della ricerca e dell'innovazione nei settori dell'alimentazione, dell'agricoltura, dello sviluppo rurale e della bioeconomia. Rispetto al 2014-2020 la Commissione stima una contrazione media delle risorse per la PAC di circa il 5%, che colpirà di più lo sviluppo rurale (-10%) – le cui risorse potranno essere salvaguardate grazie all’aumento del cofinanziamento nazionale – e di meno i pagamenti diretti (-4%). Secondo la Commissione le risorse per l’Italia si attesteranno complessivamente su 24.921,3 milioni di euro per pagamenti diretti (-3,9%), 8.892,2 milioni di euro per lo sviluppo rurale (-15,3%) e 2.545,5 milioni di euro per altre poste pre-allocate (-2,5%). In valori costanti (prezzi 2018) il Qfp sarà pari a 1.134.583 milioni di euro in stanziamenti per impegni, pari all'1,114 % del reddito nazionale lordo (Rnl) dell'UE-27.

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Avv. Ivano Cimatti ivan_cimatti@ hotmail.com

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Chi siamo

Associazione di Agraria.org

L’Associazione di Agraria.org è stata costituita nel 2013 da un gruppo di giovani laureati in Agraria, Scienze Forestali e Veterinaria. Fin dalla sua fondazione, grazie all’impegno dei tantissimi associati sparsi per tutta Italia, ha promosso ed organizzato numerose iniziative per diffondere le conoscenze riguardanti pratiche agricole ed agro-alimentari sia a scopo amatoriale che professionale, supportare le piccole realtà agricole nella promozione della loro attività attraverso la vendita diretta, favorire l’inserimento dei diplomati e laureati del nostro settore e la crescita delle aziende agricole associate.

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Promozione attività dell'associazione

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Cosa facciamo In questi ultimi mesi l’Associazione ha curato sempre più l’aspetto ricreativo per i propri soci, oltre che con la diffusione di questa Rivista, anche con numerose attività che si sono incentrate principalmente nel territorio toscano e fiorentino in particolare. Vista la maggior presenza di associati in queste zone, infatti, sono stati svariati gli eventi organizzati, anche se tutti incentrati su uscite di gruppo che hanno unito passeggiate tranquille con momenti didattici e culturali su temi agricoli, forestali ed ambientali. Esperti dell’Associazione, in particolare laureati in Scienze Agrarie e Forestali, hanno guidato con passione e

Escursioni guidate nei parchi cittadini

Spazio Associazione di Agraria.org


Alcuni incontri a tema organizzati dall’Associazione per gli iscritti professionalità le tante persone accorse alle uscite organizzate insieme allo Sportello EcoEquo dell’Assessorato all’Ambiente del Comune di Firenze ed alle tante altre associazioni che ne fanno parte. I percorsi hanno variato per i maggiori parchi e giardini della città, comprendendo spazi verdi comuni rinomati per storia e frequentazione:

Progetto europeo Erasmus + il Parco delle Cascine, il Parco dell’Anconella ed il Giardino di Boboli. Oltre a percorsi più cittadini, i nostri associati hanno calzato gli scarponi da trekking e, armati anche di un buon bastone per i funghi, hanno intrapreso una bella camminata nella Foresta di Sant’Antonio, alle pendici del Pratomagno e subito sopra il paese di Reggello in provincia di Firenze. Ovviamente non poteva mancare la nostra magnifica guida, Piero in arte (sul Forum di Agraria.org) “contadinotoscano”, che ci ha accompagnato per i ripidi sentieri alla scoperta del nostro Appennino e di un altro modo per conoscerlo meglio! Erasmus +: Da aprile 2016 l'Associazione di Agraria. org è stata accreditata come ente di invio nell'ambito del Servizio Volontario Europeo (SVE) all'interno del programma Erasmus + dell'Unione Europea. Il Servizio Volontario Europeo offre ai giovani tra i 17 e i 30 anni l’opportunità di svolgere un’attività di volontaria-

Spazio Associazione di Agraria.org

to in un Paese del programma o al di fuori dell’Europa, per un periodo che va da 2 a 12 mesi, impegnati come “volontari europei” in progetti locali in vari settori o aree di intervento: cultura, gioventù, sport, assistenza sociale, patrimonio culturale, arte, tempo libero, protezione civile, ambiente, sviluppo cooperativo e tanti altri temi. I volontari selezionati dall’Associazione potranno intraprendere un’esperienza che segnerà il resto della loro vita a costo zero, come collaborare presso un’organizzazione no-profit in altri paesi europei, accrescere le competenze nel terzo settore e nel settore del sociale, imparare una nuova lingua e migliorare le competenze di inglese. Rimani in contatto con l’Associazione di Agraria. org per scoprire tutte le possibilità, seguendoci sui social network (Facebook, Twitter) o chiedendo di essere iscritto alla nostra newsletter.

Diventa uno di noi Entra a far parte anche tu di questa grande comunità di appassionati del mondo agricolo e ricevi i prossimi numeri di TerrAmica comodamente e gratuitamente a casa tua. Altri vantaggi per i soci: ● partecipazione ad eventi ed incontri in tutto il territorio nazionale organizzati dall’Associazione ● possibilità di partecipazione a fiere nazionali sull’agricoltura ed ambiente a condizioni agevolate ● visibilità per i giovani tecnici che si affacciano nel mondo del lavoro ● promozione delle aziende agricole guidate da giovani imprenditori (progetto “Smart Farm”) Iscriviti online a soli 10€ l’anno su: www.associazione.agraria.org

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Come associarsi



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