TerrAmica Num. 5 - 2016

Page 1

Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - 70% FIRENZE ISSN 2421-2628 (cartaceo) - ISSN 2421-2717 (digitale)

N° 5 - LUGLIO

2016

I PERMESSI PER I NUOVI VIGNETI MANGIARE LE BANANE MADE IN ITALY IL CONIGLIO: DENTI E MASTICAZIONE IL LUPO IBRIDO NORD AMERICANO

g

a

r

i

c

o

l

t

u

r

a

,

z

o

o

t

e

c

n

i

a

,

a

m

b

i

e

n t e



EDITORIALE 4 5

Aiutiamo l'imprenditoria giovanile di Flavio Rabitti in agricoltura! Uno sguardo al Comitato di Redazione COLTIVAZIONI

6 10

sommario

12 16 18

Le nuove autorizzazioni per gli impianti dei vigneti

26

Il cane lupo ibrido: American Wolfdog

Il coniglio: denti e masticazione

18

Foto copertina: Leonardo Graziani

di Guglielmo Faraone di Mario Pagano di Fabio Di Gioia di Alessandro Lutri

ZOOTECNIA 20 24 26 31

34 38 40

40

ANNO III - N° 5 - LUGLIO 2016

Esigenze di produzione e di resa casearia di Giovanni Canu nell’allevamento bufalino di Marco Baroni Il parto della scrofa Il coniglio: denti e di C. Papeschi e L. Sartini masticazione Elicicoltura: la preparazione di Davide Merlino del terreno

Le analisi del vino in una produzione “fai da te” Il salame campagnolo La ricotta

43 45 48

di Federico Vinattieri di Clarissa Catti di Federico Vinattieri

di Marco Sollazzo di Mario Francesco Carpentieri di Cesare Ribolzi

AMBIENTE, FORESTE E NATURA 50 52 54

Impaginazione e grafica: Flavio Rabitti

Direttore responsabile: Marco Salvaterra

Reg. Tribunale di Firenze nr. 3876 del 01/07/2014

56

Periodicità: Semestrale

Stampa: Tipografia Baroni e Gori srl Via Fonda di Mezzana, 55/P 59100 - Prato

60

Gli autori si assumono piena responsabilità delle informazioni contenute nei loro scritti. Le opinioni espresse dagli autori non impegnano la rivista e la sua direzione.

Il "Ciuffato Tedesco"... colore o forma? Il Kakapo American Wolfdog, un affascinante ibrido

AGROALIMENTARE ITALIANO

DIRETTORE EDITORIALE: FLAVIO RABITTI

Sommario

di Alessandra Bruni

ANIMALI DA COMPAGNIA

TerrAmica - Rivista Associazione di Agraria.org Sede legale: Via del Gignoro, 27 - 50135 - Firenze C.F. 94225810483 - associazione@agraria.org www.associazione.agraria.org

Redazione: Cristiano Papeschi (Responsabile scientifico Zootecnico), Eugenio Cozzolino (Responsabile scientifico Coltivazioni), Marco Salvaterra, Marco Giuseppi, Flavio Rabitti, Luca Poli, Lapo Nannucci

Il Diospiro o Kaki Le banane italiane "Made in Sicily" Le vene delle foglie L'Azzeruolo Le nuove autorizzazioni per gli impianti dei vigneti

Il fungo Piopparello La Portulaca L'imprenditore agricolo

di Matteo Ioriatti di Nino Bertozzi di Ivano Cimatti

SPECIALE ISTITUTI AGRARI L’Istituto Agrario Emilio Sereni di Roma

di L. Poli e F. Rabitti

ASSOCIAZIONE DI AGRARIA.ORG Come fare per RICEVERE TERRAMICA direttamente a casa tua Per ricevere “TerrAmica - Rivista Associazione di Agraria.org” è sufficiente essere soci. Per associarsi bastano 10€ l’anno! Iscriviti online su www.associazione.agraria.org!

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

3


Aiutiamo l'imprenditoria giovanile in agricoltura!

N

connessione internet. A tal riguardo l’Associazione di Agraria.org, fin dalla sua nascita, ha cercato di aiutare le aziende agricole nella promozione e nella diffusione della vendita diretta; ne è un esempio il catalogo online per la promozione della filiera corta http://www.aziende.agraria.org/, nel quale ogni azienda ha la possibilità di registrarsi gratuitamente. Le aziende associate hanno invece una visibilità mag-

In verità non è tutto facile come sembra; il settore è molto competitivo, i prezzi di ritiro di molti prodotti agricoli sono spesso quasi al limite della convenienza, mentre la burocrazia e le direttive (comunitarie e non) alle quali sottostare sono sempre più rigide e numerose. Se oltre a tutto ciò pensiamo anche che per avviare un’attività agricola (anche piccola) sono necessari grossi investimenti iniziali, l’entusiasmo iniziale tende ad affievolirsi velocemente. Ci sono però sicuramente anche dei punti a favore di chi vuole iniziare questo genere di attività; le moderne tecnologie ed attrezzature, per esempio, aiutano molto nella gestione delle quotidiane attività rispetto a quello che erano obbligati a fare i nostri nonni. Inoltre, i giovani agricoltori, possono attingere ad un bacino di vendita molto più ampio rispetto a quello disponibile diversi anni fa; infatti con la diffusione di internet, dei social media e di tutti gli strumenti ad essi collegati è possibile rivolgersi a nicchie di mercato di ogni parte del mondo o, volendo, potenziare la vendita diretta nel territorio. Tutto ciò può essere gestito anche con costi molto bassi, con l’ausilio di un semplice e moderno smartphone ed una

giore, comparendo per prime nella lista di risultati all’interno di un riquadro dedicato (non è richiesto nessun costo aggiuntivo per l’azienda, oltre ai 10€ di iscrizione annuale all’Associazione). Le iniziative come quelle della nostra Associazione (che sta già lavorando anche ad un Marchio di Qualità per le aziende guidate da giovani agricoltori che soddisfino determinati requisiti), unite all’utilizzo delle moderne tecnologie ed associate ai finanziamenti europei messi a disposizione con l’avvento della nuova PAC per il settore agricolo e forestale (più di 50 miliardi di euro nel periodo 2014/2020), possono veramente fare la differenza ed aiutare un settore come il nostro a risollevarsi. I giovani imprenditori avranno però un ruolo fondamentale in tutto ciò e dovranno quindi essere aiutati nella loro impresa con tutti i mezzi a disposizione.

Editoriale

egli ultimi anni si parla molto di ricambio generazionale del settore agricolo e di come i giovani imprenditori abbiano voglia di tornare al mestiere più antico del mondo fra mille problemi e difficoltà. Spesso i media, parlando dei giovani agricoltori, mostrano però una situazione un pò distante dalla realtà, nella quale sembra emergere una facilità di avvio e gestione dell’attività quasi surreale.

4

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

Flavio Rabitti Direttore editoriale Rivista TerrAmica

Editoriale


Uno sguardo al Comitato di Redazione di TerrAmica Cristiano Papeschi (Responsabile Scientifico Settore Zootecnico): laureato in Medicina Veterinaria presso l’Università di Pisa, specializzato in Tecnologia e Patologia degli Avicoli, del Coniglio e della Selvaggina presso l’Università di Napoli, è attualmente in servizio presso l’Università degli Studi della Tuscia (Viterbo); già collaboratore di numerose riviste tecniche a carattere zootecnico e veterinario, membro di comitati scientifici e di redazione. Eugenio Cozzolino (Responsabile Scientifico Settore Coltivazioni): diplomato presso l’Istituto Tecnico Agrario Statale “De Cillis” e laureato in Scienze Agrarie presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Napoli “Federico II, lavora presso il Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura. Marco Giuseppi: diplomato all'Istituto Tecnico Agrario e laureato magistrale in Scienze e Tecnologie dei Sistemi Forestali all'Università degli Studi di Firenze. Segretario dell'Associazione di Agraria.org e responsabile progetti Erasmus+ (youth exchange e Servizio Volontario Europeo). Svolge la libera professione di Dott. Agr. e Forestale collaborando con diversi studi agronomici. Luca Poli: diplomato all’Istituto Tecnico Agrario e laureato magistrale in Scienze e Tecnologie dei Sistemi Forestali presso l’Università degli Studi di Firenze. Iscritto all'Ordine dei Dottori Agronomi e Forestali di Firenze. Riveste il ruolo di vice-presidente dell'Associazione e svolge le mansioni di webmaster della Rivistadiagraria.org e del Catalogo online delle aziende agricole. Lapo Nannucci: diplomato presso l’Istituto Tecnico Agrario e laureato in Scienze e Tecnologie Agrarie alla Facoltà di Agraria di Firenze, è iscritto all’Albo dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Forestali di Firenze; libero professionista settore pesca ed acquacoltura, è consulente esterno di Federpesca e CE.S.I.T, Centro di Sviluppo Ittico Toscano. Particolare esperienza nel settore della pesca di piccoli e grandi pelagici. Marco Salvaterra: laureato in Scienze Agrarie presso la Facoltà di Agraria di Bologna, è docente presso l’Istituto Tecnico Agrario Statale di Firenze; dal 2000 si occupa di divulgazione in campo agricolo attraverso il network Agraria.org che comprende, fra le altre cose, un Catalogo di Aziende Agricole, uno di Allevatori, una Rivista quindicinale online ed un Forum del settore. Flavio Rabitti (Direttore editoriale): diplomato all’Istituto Tecnico Agrario Statale di Firenze e laureato in Tutela e Gestione delle Risorse Faunistiche alla Facoltà di Agraria di Firenze; dal 2009 iscritto all’Albo regionale degli Imprenditori Agricoli. Gestisce una piccola azienda agricola in Toscana a Suvereto (LI), all’interno della quale produce vino, olio extravergine di oliva, miele, ed una serie di prodotti artigianali al tartufo (www.rabitti.eu).

Editoriale

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

5


Il Diospiro o Kaki Caratteristiche e cultivar di un frutto molte volte sottovalutato di

Alessandra Bruni

I

l diospiro (o kaki) è originario delle zone temperate della Cina, da dove si è diffuso nella vicina Corea ed in Giappone per poi passare ad altri continenti. Molti studiosi ritengono che il diospiro fosse conosciuto già dai Greci e dagli antichi Romani, mentre altri pensano che sia stato introdotto in Europa alla fine del 1700. Nel 1796 il direttore inglese del Giardino Botanico di Calcutta portò i primi esemplari in Inghilterra; venne considerata inizialmente una pianta ornamentale. In Italia il primo albero fu piantato nel giardino di Boboli a Firenze nel 1871 e da qui si diffuse nei giardini e nei parchi di tutta Europa. Nei primi anni del 1900, con l’importazione di nuove varietà dal Giappone, divenne a tutti gli effetti una coltura da frutto; i primi impianti specializzati nacquero a Salerno, per poi estendersi in Emilia Romagna.

Inquadramento sistematico

Coltivazioni

Ordine: Ebanales Famiglia : Ebanaceae Genere: Diospyros Specie: D. kaki Linneo, per la produzione di frutti e portinnesti.

Importanza economica Negli ultimi anni la produzione mondiale è in leggera costante crescita, grazie soprattutto al contributo cinese; in diminuzione sono invece le produzioni in Italia e Giappone. La maggior parte della produzione cine-

6

se è consumata sui mercati interni. Ad oggi la produzione è basata su varietà a polpa morbida ed in piccola parte a polpa soda.

Caratteri botanici Albero di dimensioni anche notevoli, molto longevo e pollonifero. Si distinguono rami a legno (lunghi, con gemme a legno), rami misti (con gemme a legno e miste) e brindilli (rami corti, con gemme miste). Le gemme miste sono coniche ed inserite all’apice del ramo; quelle a legno sono più appuntite. Esistono fiori femminili (pistilliferi), maschili (staminiferi) ed ermafroditi (pistilliferi e staminiferi). Il kaki fiorisce sui rami dell’anno e l’antesi avviene scalarmente in 10 giorni, completandosi alla fine di maggio. Il frutto è una bacca di forma e pezzatura variabile, con un numero di semi da 0 a 8. La specie è ritenuta poligamo-dioica, poiché esistono diverse possibilità di espressione del sesso; vi sono quindi piante con soli fiori femminili, piante con fiori femminili e maschili, piante con fiori femminili, maschili ed ermafroditi ed altri casi meno interessanti. L’impollinazione è entomofila (essenzialmente api). Poiché la recettività dello stimma è molto breve, è necessario che nel frutteto vi siano pronubi al fine di garantire l’impollinazione. La fruttificazione avviene anche per via partenocarpica, ma tale capacità dipende molto dalle cultivar. La partenocarpia è una for-

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

ma "alternativa" di sviluppo dei frutti in assenza di fecondazione, per cui essi risultano essere privi di semi e più facili da consumare (processo del tutto naturale). I frutti impollinati presentano però uno sviluppo più regolare con caratteristiche organolettiche notevoli.

Scelta della cultivar Secondo l’astringenza dei frutti alla raccolta: Costanti alla Fecondazione Non Astringenti (CFNA), con frutti non astringenti alla raccolta, indipendentemente dalla presenza di semi (kaki dolce). La polpa è chiara e i frutti sono eduli fino dalla raccolta. Costanti alla Fecondazione Astringenti (CFA), con frutti astringenti, indipendentemente dalla presenza di semi. La polpa è chiara e i frutti sono eduli soltanto dopo l’ammezzimento. Variabili alla Fecondazione Non Astringenti (VFNA), con frutti non astringenti, se fecondati. La polpa è scura e provvista di uno o più semi; i frutti non sono eduli alla raccolta se partenocarpici, richiedendo in tal caso l’ammezzimento della polpa. Variabili alla Fecondazione Astringenti (VFA), con frutti astringenti, anche se fecondati. Non astringenti solo attorno ai semi; il numero dei semi, seppure elevato, non determina mai la completa commestibilità della polpa. Il gruppo delle costanti alla fecondazione non presenta alcun cambiamento di colore della polpa mentre

Coltivazioni


il gruppo delle variabili alla feconda- Costanti alla Fecondazione Astrin- buccia è di colore rosso brillante, la zione può presentare la polpa di co- genti (CFA): polpa giallo-aranciata fino ad aranlore chiaro, se il frutto non è fecon- Hachiya, Yokono, Atago, Rojo Bril- cione-rossastra a maturazione fisiodato (partenocarpico) e la polpa di lante (probabilmente CFA), Tomate- logica, di sapore molto buono. L'ecolore scuro, se il frutto è fecondato. ro, Xato del Bonrepòs, Aneva. poca di maturazione è tardiva. I frutti Quando la fecondazione è insuffi- Variabili alla Fecondazione Non sono privi di semi ed astringenti alla ciente (uno o due semi), la modifica Astringenti (VFNA) (kaki mela): raccolta. del colore della polpa interessa sol- Kaki Tipo, Nishimura Wase e Sho- Triumph (CFA) tanto l’area prossiCultivar con vigore ma ai semi (fig. 1/L); elevato, provvisto mentre la restante di soli fiori pistilliferi, parte rimane chiaproduttività media. ra. L’astringenza del I frutti presentano diospiro è dovuta una pezzatura mealla quantità elevata dio-grossa e forma dei tannini che traquadrata in seziomite impollinazione ne longitudinale, la o ammezzimento buccia è di colore vengono insolubigiallo-arancio, la lizzati eliminando la polpa di colore gialfastidiosa astringenlo ed ha un sapore za. medio-buono. EpoSecondo la qualica di maturazione: tà di tannino nella tardiva. I frutti sono polpa e la capacità astringenti alla racdei semi a rilasciacolta e richiedono Essiccazione dei kaki in un’azienda giapponese re composti volatil’intenerimento o la li: gatsu (fecondati), Vainiglia e Merca- rimozione artificiale dell’astringenza Gruppo indipendente dai composti telli (impollinatori). per essere consumati. Sono adatti volatili (VIG), in cui il processo di Variabili alla Fecondazione Astrin- alla rimozione dell’astringenza meperdita naturale dell’astringenza non genti (VFA): diante anidride carbonica, poiché i è dipendente dalla formazione ed Triumph, Hiratanenashi (con i cloni frutti mantengono la consistenza per accumulo dei composti volatili nella Tone Wase e Sugita Wase), Aizumi- un periodo piuttosto lungo. polpa (cultivar CFNA) shirazu. Cultivar diffuse in Italia Gruppo dipendente dai composti Kaki Tipo (VFNA) volatili (VDG), in cui il naturale pro- Questa cultivar presenta un’elevata La cultivar Kaki Tipo (varietà pistillicesso di perdita dell’astringenza è affinità con il portinnesto D. lotus L., fera, VFNA) è diffusa al Centro-Nord dipendente dalla formazione ed ac- con vigore medio-elevato, è provvi- in assenza di impollinatori, per la cumulo dei composti volatili nella sta di soli fiori pistilliferi ed è molto produzione di frutti da consumarpolpa (cultivar non CFNA) produttiva. I frutti sono di pezzatura si dopo la maturazione fisiologica VFNA, portano semi con elevata ca- grossa e forma rotonda, la buccia (molli); al Centro-Sud si trova consopacità di rilasciare composti volatili; è di colore arancione chiaro-giallo- ciata ad impollinatori ed altre cultivar VFA, portano semi con bassa capa- gnola, la polpa arancione, di sapore dello stesso gruppo ma portatrici di cità di rilasciare composti volatili; molto buono. Epoca di maturazio- fiori maschili (Vaniglia e simili) per CFA, portano semi con capacità nul- ne: intermedia. I frutti privi di semi la produzione di frutti eduli alla racla o molto bassa di rilasciare compo- devono essere mangiati dopo in- colta commerciale (kaki mela). Sono sti volatili. tenerimento o rimozione artificiale meno diffuse le cultivar CFNA quali Secondo l’epoca di maturazione: dell’astringenza. La rimozione dell’a- Fuyu, Cal-Fuyu, Hana Fuyu, Jiro, precoce (es. Hana Fuyu) stringenza causa una perdita rapida O’Gosho (kaki dolce), mentre si sta intermedia (es. Kaki Tipo) della consistenza della polpa e quin- diffondendo in Emilia Romagna la tardiva (es. Fuyu, Gosho, Jiro) di una riduzione della conservabilità varietà Rojo Brillante. del frutto. Portinnesti Principali cultivar Rojo Brillante (probabile CFA) Costanti alla Fecondazione Non Cultivar con elevata affinità con i por- D. lotus L. è il portinnesto più utilizAstringenti (CFNA) (kaki dolce): tinnesti D. lotus L. e D. virginiana L., zato in Italia; ha una buona resistenJiro (con i cloni Maekawa Jiro, Muka- vigore elevato, provvista di soli fiori za al freddo e alla siccità, induce una ku Jiro, Jiro C.24276), Fuyu (con i pistilliferi, elevata produttività parte- vigoria elevata e non risulta affine cloni Giant Fuyu, Cal-Fuyu), Hana nocarpica. I frutti hanno una pezza- con la maggior parte delle cultivar Fuyu, Gosho (O’Gosho), Tenjin Go- tura molto grossa e forma conico-al- CFNA. E’ suscettibile ad Agrobactesho, Suruga. lungata in sezione longitudinale, la rium tumefaciens.

Coltivazioni

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

7


Fig. 1: A) Sviluppo del germoglio fiorifero - B) fiori femminili - C) fiori maschili - D) frutticini allegati - E) fruttificazione della cultivar “Kaki tipo” - F) varietà “Triumph” - G) aspetto della corteccia - H) diospireto a palmetta I) le tre principali specie presenti in Italia: 1- D. virginiana L., 2- D. lotus L., - D. kaki L. - L) polpa della cultivar “Kaki Tipo” variabile alla fecondazione - M) “Kaki hachiya” - N) “Kaki mela” D. kaki L.: presenta un’ottima affinità con tutte le cultivar ed elevata rusticità; D. virginiana L.: disforme e pollonife-

8

ro, utilizzato in Sicilia.

Esigenze pedoclimatiche Il kaki è una specie delle zone tem-

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

perate calde con differenze varietali assai marcate in rapporto alla resistenza ai fattori climatici. Le cultivar afferenti ai gruppi non CFNA sono

Coltivazioni


generalmente più resistenti al freddo, mentre le cultivar CFNA richiedono temperature più miti, specialmente durante la fase di maturazione dei frutti. Il kaki può resistere a temperature invernali intorno ai -15°C. E’ suscettibile ai venti che possono provocare scosciature nel tronco quando i rami sono carichi di frutti; non è estremamente esigente in fatto di terreni, prediligendo comunque quelli sciolti e ben drenati. Il D. lotus L. è più resistente ai freddi invernali, per cui viene impiegato come portinnesto nelle zone fredde, con punto d’innesto alto (oltre 1 m).

Malattie di natura batterica: tumore radicale. Principali crittogame: marciumi radicali, cancro, oidio e muffa grigia sui frutti. Insetti: sesia o rodiscorza, mosca della frutta, tortrice, cocciniglia, nematodi.

Aloj B., 1982 - Il Kaki. REDA, Roma. Nasi F., Lazzarotto R., Ghisi R., 1989 - Coltivazioni Arboree. Liviana Editrice, Padova. Bellini E., Giordani E., 1999 - Il kaki. L’Informatore Agrario, 24 botanistinthekitchen.files.wordpress.com www.vivaisquadrito.it www.nothinginthehouse.com

Bibliografia Bellini E., 2007 – Le specie legnose da frutto. Arsia. Park Y.M., Kang S.M., 2005 - III International Symposiumon Persimmon. ActaHorticulturae, 685. ISHS. Valli R., 2002 – Arboricoltura generale e speciale. Edagricole.

Dott.ssa Alessandra Bruni Laureata in Scienze e Tecn. Agrarie

Tecniche colturali Lavorazioni: Le lavorazioni del terreno sono sostanzialmente riferibili al periodo autunnale (15-20 cm di profondità) e primaverile (1-2 lavorazioni superficiali). Nelle zone umide si ricorre all’inerbimento totale. Irrigazione: Una buona disponibilità idrica è importante durante il periodo della fioritura, allegagione ed accrescimento dei frutti. Il diospiro tollera abbastanza bene la siccità estiva, ma la pezzatura dei frutti può essere migliorata con apporti idrici nei periodi più siccitosi, generalmente in luglio-agosto. Concimazione: Nelle condizioni colturali italiane, il diospiro trae giovamento da concimazioni azotate frazionate nel periodo compreso dalla ripresa vegetativa (febbraio), quando c’è una ripresa dell’attività radicale, fino a primavera (aprile-maggio), quando c’è la massima crescita vegetativa e la fioritura. In un terreno sufficientemente dotato di sostanze nutritive si consigliano dosi annuali di 100-150 kg/ha di azoto, 50-70 kg/ha di fosforo e 70-100 kg/ha di potassio. Nei suoli fertili conviene evitare eccessive concimazioni azotate, che possono accentuare lo sviluppo vegetativo a scapito della produzione. Avversità: La specie è rustica e richiede pochi interventi di lotta contro i parassiti.

Coltivazioni

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

9


La banana italiana “Made in Sicily” Ci sono zone d’Italia dov’è possibile coltivare anche le banane: l’esperienza siciliana di

Guglielmo Faraone

I

l Banano appartiene al genere Musa: oggi la nuova nomenclatura indica in Musa acuminata ed

di conseguenza abbandonando i vecchi termini di Musa sapientum o banano da frutto e Musa paradisiaca o banano da pane, mentre nel commercio il termine “Banana” è dato a quei profumati, dolci e morbidi frutti che utilizziamo allo stato fresco, mentre ai frutti più duri e ricchi di amido da cuocere viene dato il nome di “plantano”. In Italia non abbiamo bisogno di questa distinzione poiché non si utilizzano le piante di “Plantano” ed abbiamo un’unica coltivazione importante dislocata nella valle del fiume Oreto, in provincia di Palermo, dove la Famiglia Marceno’ ha iniziato la prima coltura industriale degna di questo nome; viene sfruttato il clima siciliano proprio nel territorio paBanane siciliane della Valle dell’Oreto a Palermo lermitano, dove in Musa balbisiana, a livello scienti- anticamente si coltivavano anche il fico, i termini da adottare. Si vanno “Falsomiele“ (la Canna da zucche-

10

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

ro), lo zafferano e la vecchia cultivar di banana “comune di Sicilia” che trovavamo in passato. E’ bene comunque ricordare che anche nei distretti della Sicilia orientale crescevano piante importate dalla Somalia. Il genere Musa prende il nome dal grande Antonio Musa, medico romano dell’imperatore Augusto; la vecchia classificazione di Linneo (Musa sapientum) ci ricorda che Alessandro Magno notò che i sapienti, i saggi indiani, andavano a meditare sotto questi alberi e che questa notizia permise al noto classificatore di ricordare il fatto. All’interno dell’Herbarium Aboinense leggiamo invece che la Musa paradisiaca è il vero “Pomo d’Adamo” ed ancora oggi, per curiosità, voglio ricordare che gli americani chiamano il frutto secco della banana il “Fico d’Adamo”. I paesi esportatori nel mondo sono i paesi del Sud America (Costa Rica, Equador, Colombia e Giamaica, che esportano in Europa), le famose Repubbliche delle Banane, dato che la loro economia si può dire che ruoti sul commercio di tale frutto e sull’indotto generato (questo spesso in passato gestito dalla potente compagnia bananiera americana United Fruit). Un altro paese è quello delle Filippine, che invece esporta tutto il loro prodotto in Giappone. Ma il paese massimo produttore al mondo resta comunque l’India, seguito dal Brasile. Riguardo l’Italia, si riporta che in passato l’approvvigionamento di banane proveniva dalla produzione africana ed in specie da quella somala, (per ovvie ragioni storiche)

Coltivazioni


fino agli anni 70; successivamente, vista la situazione geo-politica del corno d’Africa, gli importatori hanno preso contatti con i grossi marchi, uno per tutti Chiquita. Oggi, vista la situazione igienico sanitaria causata da diverse patologie (Malattia di Panama, Peste, Sigatoka nera) che ha portato alla

distruzione di migliaia di ettari delle due cultivar Gross Michel e Cavendishii, guardiamo con orgoglio lo svilupparsi ed il crescere della Cooperativa Valle dell’Oreto, unica produttrice a livello industria-

le in Italia di una banana prodotta senza fitofarmaci, la cui immagine commerciale è affidata alla sua responsabile Letizia Marceno’ mentre la parte tecnica sviluppata dal fratello Agrotecnico Stefano Marceno’.

La coltivazione Il Banano è fra le più grandi piante erbacee dotate di fiore ed anche se viene chiamato “albero” possiede un semplice pseudofusto. La distanza di piantagione varia ma possiamo affermare che un sesto di 3,50 x 3,50 metri, come si vedono nella coltivazioni siciliane, sia ideale (senza scendere sotto i 3x3); la piantagione è sistemata in linee regolari

con buche che debbono scendere di almeno 35 cm. La riproduzione può avvenire per polloni o con i rizomi; questi ultimi, vengono collocati con le gemme verso il basso. Lo stesso viene fatto nel caso in cui si voglia riprodurre per polloni, stando attenti in entrambi i casi a pulire il terreno e sostituire prontamente le fallanze. Dopo circa un anno la pianta produce il suo primo grappolo: una buona pianta può dare 7-8 grappoli all’anno ed un ettaro (sull’isola di Cuba) può produrre in media 600 caschi del peso di circa 40 kg. In Sicilia invece, con un clima mediterraneo sub-tropicale, la produzione è minore dato che in alcune annate è necessario fare i conti con i ritorni di freddo e con il forte vento di scirocco che frange le grandi foglie. Per tale motivo gli impianti si trovano nella parte alta della vallate del fiume Oreto, in una zona protetta dai venti, anche se l’evento che nel 2014 portò la neve a Palermo (cosa rarissima), fece notevoli danni. I terreni elettivi sono quelli freschi, sciolti, alluvionali, mentre per la concimazione si sfrutta quella necessaria ai nespoli del giappone (TerrAmica num. 1) ed agli agrumi, essendo del tutto simile. Il frutto si raccoglie a 3/4 di maturità e non completamente verde come quelli di importazione che fanno lunghi viaggi con le bananiere per arrivare fino ai nostri mercati. Se lasciamo il frutto sulla pianta e lo raccogliamo con la sua coloritura gialla, così come fatto per piccole quantità per il consumo locale, dopo un paio di giorni noteremo delle puntine di color marrone: questo è il momento di assaggiare il frutto maturato naturalmente, che è una delizia paradisiaca che diffonde per la vallata per più chilometri, nelle giornate calde, un odore che fa immaginare il Giardino dell’Eden. Il prezzo per tanta bontà? Solo 1€ in più al chilo rispetto alle migliori banane di importazione. Ed allora scegliamo di acquistare solamente la banana italiana MADE IN SICILY!

Gugliemo Faraone L’Agrotecnico Stefano Marcenò con un casco di magnifiche banane siciliane

Coltivazioni

Docente di Coltivazioni Mediterranee

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

11


Le vene delle foglie Utilizzo di un approccio 3D per determinare il profilo del sistema vascolare di

Mario Pagano

L

a crescente necessità di conoscere lo stato d’idratazione delle piante coltivate è particolarmente sentita, anche in funzione dei recenti cambiamenti climatici orientati sempre di più ad una irregolare disponibilità di precipitazioni. Tale problematica sta stimolando la ricerca di metodologie innovative che consentano di monitorare con facilità e accuratezza i parametri fisiologici determinanti per una corretta valutazione dello stato idrico della pianta. In questa ottica, le foglie delle piante rappresentano organi fondamentali per il bilancio dell’acqua. Ciò è dovuto ad un lungo processo evolutivo di una poliedrica struttura anatomica in cui le vene rappresentano senza dubbio il cuore di questa organica evoluzione (Brodribb et al. 2007). Questa architettura, oltre ad essere

12

essenziale per un supporto meccanico della foglia stessa, gioca un ruolo cruciale nell’efficienza fotosintetica (Price et al. 2011; Pagano et al. 2016) e nel consumo di acqua. L’importanza di una identificazione dell’architettura del sistema vascolare delle foglie, attraverso moderne tecnologie d’indagine (Pagano et al. 2014), può rivestire un ruolo di primo piano nel predire la modulazione delle risposte fisiologiche agli stress idrici. Inoltre, una capillare ramificazione delle vene nella foglia

al. 2002). Recentemente è stato dimostrato come la densità delle vene per unità di superficie (Sack et al. 2006) e lo spessore del mesofillo (Aasamaa et al. 2001) possono essere coinvolte nell’efficienza idraulica. Una ridotta funzionalità idraulica, dovuta ad uno stress idrico o ad una limitata vascolarizzazione venosa, si può tradurre in una perdita di produzione. Unitamente a questo punto, un aspetto di primo piano nell’anatomia della foglia è rivestito anche dall’estensione della guaina del fascio (BSE - Bundle Sheath Extension). Tale area anatomica, definita come estensione delle cellule della guaina

Fig. 1 - Esempi di modelli 3D della rete venosa consente un migliore raffreddamento della stessa (Pagano et al. 2015) con potenziali benefici per le performance della fotosintesi (Chaves et

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

che sono disposte concentricamente intorno alle venature (McClendon 1992), è stata recentemente coniugata ad alcuni aspetti fisiologici di

Coltivazioni


particolare rilievo per le foglie. Infatti, come evidenziato in studi recenti, la “BSE” è coinvolta nei seguenti aspetti: assorbimento della luce; conduttanza idraulica; controllo stomatico; supporto biomeccanico, dissipazione del calore (Griffiths et al. 2012; Sack et al. 2013; Shatil-Cohen et. al 2011; Pagano et al. 2015). In quest’ottica, una sua determinazione tramite tecnologie informatiche, in grado di evidenziarne

dividendo l’area della foglia in quadranti. Le immagini sono state elaborate attraverso l’uso del software Fiji versione 1,50 (http://fiji.sc/ Fiji), mentre con l’ausilio dell’ottica macro sono stati effettuati degli ingrandimenti delle porzioni di lamina ritenute più interessanti per la realizzazione di modelli 3D. Il modello 3D è stato realizzato utilizzando il medesimo software. Dalla rielaborazione delle immagini

dalla presenza della BSE (B) e una raffigurazione con uno spettro termico virtuale dell’intera impronta digitale della lamina fogliare. Lo spettro termico virtuale può rivelarsi utile anche per stimare la distribuzione del calore su tutta la foglia. Un’altra funzione interessante di Fiji è quella che permette di determinare l’area occupata dal sistema idraulico. Infatti come evidenziato in figura 2 è stata misurata la porzione

Fig. 2 - Determinazione dell’area occupata dal profilo della guaina del fascio in un punto della rete tridimensionalmente il suo profilo, può essere di aiuto nell’investigare il ruolo di queste cellule nelle differenti condizioni ambientali in cui le piante sono coltivate. In questo studio, come specie modello, è stata utilizzata Vitis vinifera L. (cv Sangiovese). Le immagini delle foglie sono state acquisite direttamente sulla pagina fogliare, utilizzando una fotocamera EOS 700D (Canon, Giappone) equipaggiata con un obiettivo macro EF 100 millimetri f/2,8 (Canon, Giappone). L’acquisizione digitale dei campioni è stata eseguita

Coltivazioni

acquisite è emersa la potenzialità del software Fiji nella caratterizzazione morfologica della rete venosa nella varietà da uva da vino oggetto dello studio. Il modello 3D della porzione di rete idraulica investigata ha consentito di evidenziare il ruolo della “BSE” nel disegno complessivo della lamina fogliare. Nella figura 1 sono rappresentati i modelli tridimensionale, ottenuti con i “tools” disponibili con Fiji, della porzione di lamina fogliare investigata. Partendo da sinistra verso destra, il processo di “imaging” annovera, oltre alla scelta del campione da riprodurre (A), una riproduzione virtuale del “solco” prodotto

di area occupata dal vaso di primo ordine. Tale approccio può essere esteso anche ai restanti sette ordini che normalmente contraddistinguono le foglie di questa varietà. Inoltre, il software consente anche di visualizzare attraverso una distribuzione tridimensionale (fig. 3), lo spettro RGB che contraddistingue il campione analizzato. Tale spettro, con particolare riferimento al verde, potrebbe, sussidiariamente ad un impiego di una strumentazione scientifica dedicata, dare una informazione sulla vitalità della foglia.

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

13


Dallo studio è emerso che il software Fiji si conferma come un valido strumento informatico per la caratterizzazione del profilo dell’estensione della guaina del fascio. In quest’ottica, una determinazione della rete idraulica tramite tecnologie informatiche, in grado di evidenziarne tridimensionalmente il profilo, può es-

anatomical characteristics associated with shoot hydraulic conductance, stomatal conductance and stomatal sensitivity to changes of leaf water status in temperate deciduous trees. Australian Journal of Plant Physiology, 28: 765-774. Brodribb T.J., Field T.S., Jordan G.J., 2007 – Leaf Maximum Photosynthetic Rate and Venation Are Linked by Hydraulics. Plant Physiology, 144: 1890-1898. Chaves M. M., Pereira J. S., Maroco J.,

Pagano M., Storchi P., 2015 – Leaf vein density: a possible role as cooling system. Journal of Life Sciences, (9) 299-303 (doi 10.17265/1934-7391/2015.07. 001). Pagano, M., Corona, P. and Storchi, P., 2016 – Image analysis of the leaf vascular network: physiological considerations. Photosynthetica, 1-5. Sack L., Scoffoni C. 2013. Leaf venation: structure, function, development, evolution, ecology and applications in the past, present

Fig. 3 - Distribuzione 3D dello spettro RGB su una porzione della lamina fogliare sere di aiuto nell’investigare il ruolo del network idraulico nelle differenti condizioni ambientali in cui le piante sono coltivate. In futuro, sarà possibile, quindi, realizzare modelli in grado di integrare le conoscenze acquisite attraverso l’identificazione della rete idraulica con, ad esempio, le esigenze di irrigazione del vigneto. Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria - Unità di Ricerca per la Viticoltura Viale Santa Margherita, 80 52100 - Arezzo mario.pagano@crea.gov.it fax +39 0575353490 Bibliografia Aasamaa K., Sober A., Rahi M., 2001 – Leaf

14

Rodrigues M. L., Ricardo C. P. P., Osòrio M. L., Carvalho I., Faria T., Pinheiro C., 2002 – How plants cope with water stress in the field. Photosynthesis and growth. Annals of Botany, 89: 907-916. Griffiths H., Weller G., Toy L., Dennis R.J., 2012 – You’re so vein: bundle sheath physiology, phylogeny and evolution in C3 and C4 plants. Plant, Cell Environ, 36: 249-261. Leegood R.C., 2008 – Roles of the bundle sheath cells in leaves of C3 plants. Journal of Experimental Botany, 59: 1663-1673.

and future. New Phytologist, 198: 983-1000. Sack L., Frole K., 2006 – Leaf structural diversity is related to hydraulic capacity in tropical rainforest trees. Ecology, 87: 483491.
 Shatil-Cohen A., Attia Z., Moshelion M., 2011 – Bundle-sheath cell regulation of xylem-mesophyll water transport via aquaporins under drought stress: a target of xylem-borne ABA?. The Plant Journal, 67:72-80.

McClendon J.H., 1992 – Photographic survey of the occurrence of bundle-sheath extensions in deciduous dicots. Plant Physiology, 99: 1677-1679. Price C. A., Symonova O., Mileyko Y., Hilley T., Weitz J. S., 2011 – Leaf Extraction and Analysis Framework Graphical User Interface: Segmenting and Analyzing the Structure of Leaf Veins and Areolas. Plant Physiology, 155: 236-245. Pagano M., Storchi P., 2014 – The image processing how method to investigate the leaf vascular network: a first study in Vitis vinifera (L.). International Journal of Computer Engineering & Applications, vol. VI, Issue III.

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

Mario Pagano Ph. D.

Unità di Ricerca per la Viticoltura Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria

Coltivazioni



L’azzeruolo Una specie da frutto dai numerosi usi, conosciuta anche come “mela di bosco” e presente spontaneamente in natura di

Fabio Di Gioia

L

’azzeruolo è una specie da frutto originaria dell’Asia minore, anche se ormai è da lunghissimo tempo naturalizzata nei paesi del bacino del Mediterraneo. Si tratta di una piccola pianta da frutto diffusa prevalentemente allo stato spontaneo nei boschi, dove assume

La specie da frutto più interessante è il Cratagus azarolus. Questa pianta è sporadicamente diffusa in Italia e la sua classificazione botanica risulta alquanto difficoltosa a causa di fenomeni di ibridazione spontanea e l’accentuata variabilità a cui va incontro questa specie.

ridotta (4-8 mt), di natura cespugliosa e arborescente a crescita molto lenta e chioma di forma arrotondata.

spesso il nome anche di mela di bosco. Gli esemplari di questa specie, sono veramente pochi ed è per questo che è necessario favorirne un loro recupero al fine di evitare la loro definitiva scomparsa.

Altre specie interessanti sono il: 1. Biancospino (Crataegus oxyacantha). 2. Crataegus pennatafida, adatto alla trasformazione industriale. 3. Crataegus mexicana, noto anche con il nome di manzanilla (piccola mela). 4. Crataegus pontica che viene utilizzato nei programmi di miglioramento genetico. L’azzeruolo è una pianta di altezza

si presentano irregolari e ricche di nodi. I giovani rami sono pelosi, con corteccia nerastra e provvisti di spine. Foglie Le foglie presentano un margine intero, a volte dentato, sono di consistenza dura e leggermente pubescenti e di colore biancastro nella pagina inferiore. Fiori I fiori sono piccoli e bianchi, riuniti

Sistematica e caratteristiche della specie Ordine: Rosales Famiglia: Rosacee Sottofamiglia: Pomoidee

16

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

Caratteristiche botaniche Tronco e rami Il tronco ha una corteccia di colore marrone scuro, mentre le branche

Coltivazioni


spesso in infiorescenze a corimbo, portate all’apice dei rami dell’anno in un numero di 10 - 20 fiori ciascuno. La fioritura della pianta è molto abbondante, avviene tra la fine di maggio e gli inizi di giugno ed è più tardiva rispetto alle altre pomacee affini. Frutti I frutti sono dei pomi di forma sferoidale, sferoidale - appiattita, piriforme quasi depressa, con un’ampia cavità calicina, di piccole dimensioni, con una buccia di colore rosso, giallo o biancastro a seconda delle varietà. Possono presentare anche residui del calice del fiore sotto la corona dello stesso frutto La polpa invece è di colore crema, succosa, saporita, aromatica a volte farinosa a volte butirrosa, dal sapore gradevole sul dolce - acidulo. Il frutto presenta una ridotta conservabilità. Semi I semi presenti in un numero variabile da 1 a 5 hanno consistenza legnosa.

Germoplasma e varietà locali Questa specie da frutto, è caratterizzata da un’ampia variabilità genetica, dovuta dalla presenza di pochissime varietà selezionate ma dotate di un’ampia rusticità. Le più interessanti sono: 1. Azzeruolo Rosso. 2. Azzeruolo Bianco d’Italia o Moscatella. 3. Azzeruolo Giallo o Giallo del Canada. 4. Invernale. Attualmente a livello amatoriale e nei giardini possiamo ritrovare 4 tipologie diverse d’azzeruolo coltivato che sono a: • Frutto piccolo e rosso. • Frutto rosso - arancio di medie dimensioni. • Frutto giallo a polpa farinosa di medie dimensioni. • Frutto grande di colore giallo chiaro, saporito e profumato.

Esigenze pedoclimatiche L’azzeruolo è una pianta di notevole rusticità ed è per questo che si adatta in ogni tipo di clima e di terreno, ad esclusione di quelli troppo umidi e compatti. La pianta presenta però una crescita

Coltivazioni

molto lenta nel tempo, richiedendo al tempo stesso un clima mite e posizioni ben soleggiate.

mati quando sono ammezziti, ossia quando i tannini si sono trasformati in zuccheri dal sapore dolce.

Coltivazione

Utilizzazione e proprietà

L’azzeruolo si propaga essenzialmente per innesto, usando come portinnesto principalmente il biancospino (del quale è molto affine), o più raramente il pero selvatico, il cotogno e il nespolo comune. Non viene adottato alcun sistema di

Le azzeruole possono essere trasformate in confetture, marmellate e gelatine, utilizzate per insalate o macedonie di frutta. Infine si possono utilizzare anche in pasticceria, oppure conservate sotto spirito o grappa.

potatura, lasciando assumere alla pianta il suo portamento naturale di forma piramidale. A volte tuttavia risulta opportuno ricorrere a qualche taglio di ritorno, per evitare che la chioma sfugga eccessivamente, vista la tendenza della specie a produrre molti rami di prolungamento. Il frutto matura tra le fine di agosto e gli inizi di settembre. La raccolta è prevalentemente manuale, ma la maturazione verrà completata in fruttaio per favorire l’ammezzimento del frutto in modo da trasformare i tannini astringenti in zuccheri dolci. Le azzeruole tuttavia hanno una breve conservabilità e non sopportano i trasporti quando sono mature, per questo è necessario consumarle subito dopo l’ammezzimento.

Le azzeruole consumate fresche sono dissetanti, rinfrescanti, diuretiche e ipotensive. Nella cosmesi i frutti rivitalizzano le pelli sciupate. Nella medicina tradizionale, l’azzeruolo viene utilizzato come droga, attraverso l’estrazione dei principi attivi dai germogli fioriti ed essiccati della pianta. La specie infine, viene utilizzata anche a scopo ornamentale.

Caratteristiche nutrizionali I frutti sono molto ricchi di glucosio e fruttosio, ma anche di acidi organici quali l’acido malico e l’acido citrico. Discreto risulta il contenuto di fibra, minerali (fosforo P e ferro Fe) e vitamine (vitamina A e vitamina C). Anche questi frutti, come nel caso delle nespole, presentano un elevato contenuto di tannini astringenti, ed è per questo motivo che vanno consu-

Bibliografia AA.VV., 1991. Frutticoltura speciale. Reda, Roma. Bellini E., Giordani E., Bignami C., 1999. Il germoplasma toscano delle specie legnose da frutto: i fruttiferi minori. Atti del convegno Firenze, 19 novembre 1999, ARSIA – Regione Toscana, Firenze. Bellini E., 2002. Arboricoltura speciale. Dipartimento di ortoflorofrutticoltura. Facoltà d’Agraria. Università degli studi di Firenze. http://en.academic.ru/, http://ljplus.ru/ - Archivio fotografico http://www.naturamediterraneo.com, 2016. Crataegus azarolus/Azzeruolo - Forma del frutto. Archivio foto.

Dr. Fabio Di Gioia fabio_digioia@ libero.it

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

17


Le nuove autorizzazioni per l’impianto dei vigneti Nuovo anno, nuovi cambiamenti di

I

Alessandro Lutri

l nuovo anno 2016 ha portato importanti novità nel settore della viticoltura, più nello specifico per i vigneti da vino. Entrando immediatamente in argomento, ciò che salta subito all’occhio è l’eliminazione dei diritti di reimpianto ai quali eravamo ormai abituati e che spesso erano anche oggetto di compravendita. Infatti, dal 1° gennaio di quest’an-

18

no per impiantare o reimpiantare i vigneti occorrerà ottenere una autorizzazione, ai sensi del D.M. 12272 del 15/12/2015, riportante disposizioni nazionali di attuazione del Regolamento UE n. 1308/2013. Tali autorizzazioni sono totalmente gratuite, proprio per evitare forme di

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

speculazione come avveniva in passato (si legga vendita diritti di reimpianto) e non sono cedibili a terzi se non per alcune eccezioni, quali: il decesso del titolare dell’autorizza-

Coltivazioni


zione o casi di fusione o scissione della persona giuridica che aveva ottenuto l’autorizzazione.

Ogni anno entro il 30 settembre il Ministero farà conoscere la superficie nazionale che sarà oggetto di autorizzazione per l’anno succes-

ogni anno, per una superficie uguale od inferiore alla superficie in conduzione risultante dal proprio fascicolo aziendale. Qualora venga autorizzata una superficie inferiore al 50% della superficie richiesta, si potrà rifiutarla entro 10 giorni senza incorrere in alcuna sanzione. Una volta ottenuta l’autorizzazione

to, devono presentare apposita domanda, garantendo che entro la fine del quarto anno dal nuovo impianto, venga estirpata una superficie a viti pari a quella impiantata. Nei casi in cui la superficie da reimpiantare sia collocata esattamente nello stesso punto di quella da estirpare, se il reimpianto avverrà entro 3 anni dall’estirpazione, ci si potrà

sivo. Tale superficie sarà composta dall’1% delle aree vitate presenti a livello nazionale alla data del 31 luglio dell’anno precedente. A questo 1% si aggiungeranno le superfici che saranno state oggetto di rinuncia delle autorizzazioni richieste nell’anno precedente, tramite apposita domanda presentata da parte delle aziende agricole e che non siano state riassegnate nel corso della campagna antecedente. Quindi per ottenere le autorizzazioni al nuovo impianto occorrerà presentare per via telematica tramite il portale SIAN, apposita domanda tra il 15 febbraio ed il 31 marzo di

all’impianto di nuova superficie a vite, questa avrà una validità di 3 anni dalla data del rilascio. Nei casi di autorizzazioni per il reimpianto, occorrerà presentare apposita domanda entro la seconda campagna viticola successiva a quella dell’estirpazione e potrà essere richiesta per una superficie pari a quella estirpata od inferiore (con riserva di richiedere entro i termini una nuova autorizzazione per la superficie rimanente). Le autorizzazioni anche in questo caso hanno una validità di 3 anni. Le aziende che intendono anticipare l’impianto di una superficie a vigne-

avvalere di una procedura semplificata. Per meglio specificare, la comunicazione di avvenuta estirpazione avrà sia funzione di domanda di autorizzazione al reimpianto che di autorizzazione stessa e non occorrerà attendere quindi l’autorizzazione vera e propria.

Come ottenere le autorizzazioni?

Coltivazioni

Dr. Agronomo Alessandro Lutri www.progettareinverde.com

alessandrolutri@ hotmail.it

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

19


Esigenze di produzione e di resa casearia nell’allevamento bufalino Operazione spesso difficile nel periodo primaverile-estivo di

Giovanni Canu

C

Zootecnia

on il sopraggiungere della primavera si hanno, nella filiera del latte bufalino, una serie di importanti modifiche nelle esigenze tecnico-commerciali del comparto. Con l’arrivo del mese di marzo, infatti, molti caseifici applicano una maggiorazione del prezzo del latte pagato agli allevatori per poter meglio sostenere la maggiore richiesta di latte che il periodo impone dando, di conseguenza, un concreto incentivo agli allevatori per far sì che la percentuale maggiore di produzione lattea coincida con i mesi che vanno da febbraio a settembre. Ovviamente, per far ciò, gli allevatori devono mettere in pratica politiche di gestione aziendale che, giocoforza, penalizzano il reddito durante il periodo invernale. La prima pratica da attuare affinché i parti (e di conseguenza il picco produttivo che ne deriva) siano concentrati nel periodo sopraindicato, consiste nella destagionalizzazione della mandria. Laddove la fecondazione delle bufale avvenga con l’inserimento dei tori in mandria (ma anche con la programmazione di eventuali piani di fecondazione artificiale) si procede con l’isolamento dei tori a partire dai primi giorni del mese di ottobre, limitando così drasticamente i concepimenti nel periodo tra ottobre stesso e febbraio, mese in cui i tori vengono nuovamente inseriti in mandria. Ovviamente, vista la gravidanza di circa dieci mesi della bufala, gli accoppiamenti di fine settembre daranno lattazioni che iniziano nel periodo

20

di tempo compreso tra fine luglio ed inizio agosto dell’anno successivo, mentre i primi nuovi accoppiamenti di fine febbraio ed inizio marzo daranno lattazioni dal principio di gennaio in poi, con picchi produttivi che

nel periodo estivo per scendere fino a 6-7 quintali nel periodo autunnale. In aziende di circa 400-500 capi, le entrate economiche derivanti da soli 600-700 kg di latte spesso coprono, a malapena, le spese primarie.

Bufala al parto (Az. Ferro - loc.Spinazzo Salerno) si spalmeranno nei mesi di maggiore richiesta del mercato. Questa improduttività indotta ha per l’allevatore costi enormi, visto che spesso vede la quantità di latte prodotta in autunno a livelli davvero bassi. Ci sono, ad esempio, aziende fortemente destagionalizzate che producono anche 22-25 quintali di latte

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

I costi derivanti dall’alimentazione in primavera-estate sono, poi, sempre maggiori vista la necessità di dover applicare delle forzature energetiche e di integratori che stimolino quanto più possibile la sfera riproduttiva a farsi trovare pronta in un periodo dell’anno in cui il fotoperiodo lungo mal si sposa con la naturale tendenza di questa specie ad accoppiarsi

Zootecnia


con facilità nelle giornate autunnali caratterizzate da poca luce. L’avvento della stagione calda ed il cambiamento della disponibilità di determinati alimenti (erbe primaverili, laddove si utilizzi foraggio fresco non affienabile o utilizzabile diversa-

appunto il latte! Alterazioni che riguardano il tenore in grasso e proteina, l’incremento vertiginoso dell’acidità o un suo decremento con conseguenti allungamenti del tempo di cagliata della pasta o perdita della tipica elastici-

Bufale al pasto mente) determina, unitamente alla presenza in stalla di molti animali freschi di parto con chimica del latte ancora non stabile per via della montata lattea, un’alterazione delle caratteristiche di caseificazione del latte stesso proprio nel momento in cui massima resa e facilità di lavorazione sarebbero aspetti assai graditi al caseificio. Nella bufala, quindi, si hanno durante l’anno, in seguito a notevoli mutamenti ambientali (stress competitivi e metereologici) ed alimentari (variazioni assetto ormonale tra asciutta e lattazione, cambio dell’assetto foraggero, cambiamento repentino di molti alimenti) modificazioni significative dell’assetto metabolico che possono pregiudicare notevolmente le performances produttive e dare sempre più spesso origine a vere e proprie patologie. Patologie che sempre più spesso hanno andamento sub-clinico (ossia non presentano una sintomatologia grave e manifesta in modo chiaro) ma che possono alterare notevolmente la composizione del prodotto finale di questo tipo di allevamento che è

Zootecnia

tà; possiamo inoltre riscontrare aumento dei contenuti di urea nel latte stesso (con inibizione della sintesi di caseina) o aumento della carica batterica. Non per ultimo possiamo riscontrare latte “annacquato” per alterazione del punto di congelamento (vedi riferimento alle mastiti) o latte eccessivamente contaminato da batteri. Tutte quelle sopracitate sono situazioni che compromettono il processo di caseificazione in modo più o meno grave.

Parliamo di patologia Analizziamo ora le patologie che maggiormente intervengono nelle modificazioni qualitative del latte di bufala. Le indigestioni e le affezioni del settore gastrico anteriore sono le principali indiziate di queste variazioni peggiorative della qualità del latte. Una delle più frequenti è di sicuro l’indigestione con acidosi. Questa si riscontra con grande frequenza per l’impiego largamente diffuso dell’insilato di mais, soprattutto se mal conservato, di concentrati e di molti cereali ricchi in carboidrati semplici, facilmente digeribili e di pronto utiliz-

zo (mais, orzo, frumento, sfarinati o fioccati…). Quando una dieta risulta bilanciata nei suoi costituenti fondamentali (fibra grezza, glucidi e proteine), si verifica nel rumine una formazione normale di acidi grassi volatili. Qualora amidi ed altri carboidrati risultino, entro certi limiti, in eccesso si verifica il mutamento dell’habitat ruminale che favorisce una intensissima moltiplicazione di batteri glucolitici con conseguente ed abnorme produzione di acido lattico, ed il pH ruminale decresce notevolmente (da 6,8 - 6,5 fino a 5,5 dove l’acidosi si limita al contenuto ruminale); in presenza di razioni fortemente sbilanciate, acidogene quindi, la formazione di acido lattico è talmente tumultuosa da sovrastare completamente la produzione degli acidi grassi volatili. L’ulteriore abbassamento del pH del contenuto ruminale (fino a 5,0 - 4,0) causa stasi della motilità dell’organo ed insorgenza di infiammazioni gastrointestinali. Quando il problema non viene tempestivamente contrastato (meglio se prevenuto) la patologia può degenerare anche nel coma. A questo punto la morte del soggetto non è un evento raro. Per quanto riguarda i tenori chimici del latte, possiamo avere la caduta repentina del titolo di grasso che da circa 8,50 grammi ogni 100 grammi (dato medio di riferimento) può scendere intorno al 6,50-7,00. La pasta da filare appare vetrosa, fragile a volte e poi anelastica per perdita immediata di liquidi. Le bufale fortemente produttrici ed in regime alimentare forzato, possono manifestare tutti i sintomi descritti. Nella maggior parte dei casi, però, una bufala in odore di acidosi tende semplicemente a fare molto meno latte o a non raggiungere un picco di lattazione da campionessa. In ogni caso l’acidosi determina un dismicrobismo ruminale, con produzioni di acidi che possono, unitamente all’abbassamento del tenore di grasso nel latte ed alla minore sintesi di k-caseine, un peggioramento della caseificabilità del latte che pregiudica il risultato del prodotto finale, ossia la mozzarella.

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

21


Nel caso di insorgenza dei suddetti disturbi risulta essere di grande aiuto l’utilizzo di glicole monopropilenico (additivato di vitamine del gruppo B e sorbitolo), il quale è un complemento alimentare energizzante. In commercio vi sono molteplici prodotti liquidi che ne contengono una buona dose e, come accennato, se arricchiti di vitamine e zuccheri solubili sono in grado di stimolare diversi effetti metabolici. Un prodotto liquido “metabolico stimolante” dovrebbe avere tra i suoi componenti sostanze come vitamina pp (antichetonica ed antilipolitica), glicole propilenico (favorisce la sintesi epatica di glucosio), glucosio e sorbitolo (aumentano la glicemia nel breve periodo) nonché peptidi attivi (per migliorare l’appetito e sostenere comunque le produzioni) ed acido malico in grado di stimolare il batterio Selenomonas ruminantium ad utilizzare l’acido lattico in eccesso per i propri fini energetici di metabolismo. Ulteriori aiuti in casi di acidosi grave (pH inferiore a 5,0) vengono dall’utilizzo di colture di lieviti, capaci di apportare microrganismi attivi sulle fibre e sulla cellulosa, in grado quindi di ristabilire un habitat ruminale più congeniale alla produzione di acido acetico che è, in definitiva,

un precursore del grasso del latte. Per quanto riguarda stati di acidosi meno gravi ma ugualmente dannosi ai fini della produzione casearia si può procedere con l’inserimento in razione di tamponi specifici che abbiano oltre al classico bicarbonato di sodio, anche del propionato di sodio, in grado di esplicare azione antinfiammatoria in caso di mastite. Ricordiamo che una forte acidosi può portare a comparsa di mastiti che, alterando la permeabilità delle membrane della mammella, fa sì che le componenti acquose del sangue non vengano trattenute, alterando in modo significativo il punto di congelamento. Un buon tampone deve essere in grado di tamponare rumine, abomaso ed intestino (comunque in stati di acidosi anche grave) i quali utilizzati con costanza nell’ordine di 80-100 grammi/capo giorno sono in grado di stabilizzare fortemente eventuali disturbi digestivi sul lungo periodo.

Cagliata da filare

22

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

Discorso diametralmente opposto si ha in caso di alcalosi ruminale. Soprattutto nei mesi di aprile, maggio e giugno con l’utilizzo in alcune aziende di insilati primaverili o erbe verdi molto concimate con concimi azotati o liquami si può incorrere in razioni troppo ricche in composti azotati. Questo avviene anche quando negli insilati mal conservati si ha liberazione di ammine in seguito a

Filatura manuale putrefazione. L’alcalosi ruminale si manifesta, nella bufala, dapprima con diarrea scura e fetida in cui l’odore di idrogeno solforato (ricordiamo che una frazione proteica ha lo zolfo come composto aggiuntivo) è molto marcato. Il pH ruminale sale oltre il 7,4 e si iniziano a vedere casi diffusi di anoressia ed iperemia mammaria e vaginale. Il rigonfiamento di liquidi del comparto utero-vaginale può determinare, a causa di peso eccessivo e lassità legamentosa, prolasso del comparto in quegli animali che sono nel primo mese di lattazione. Gli animali in alcalosi possono anche demineralizzarsi (a livello uterino la cosa diventa pericolosa per le ovaie) a causa della formazione di solfuri acidi in sede intestinale in seguito a fenomeni putrefattivi di materiale proteico indigerito. A livello visivo l’animale può presentare seborrea sul dorso a causa di sovraccarico epatico. Il latte ad un’analisi può presentare innalzamento del tenore di urea (oltre 40 mg/dl e 3,4 circa di gradi sh) e abbassamento del livello proteico (minore di 4,50 grammi ogni 100 grammi di latte). L’abbassamento del tenore proteico del latte è dovuto ad una carenza di energia in rapporto all’eccessivo apporto proteico della razione; in pratica i batteri ruminali utilizzano le catene carboniose delle proteine per produrre energia. In caso di crollo dei gradi sh del latte si ha un allungamento del tempo di

Zootecnia


cagliata tale da rendere il prodotto ingestibile; infatti oltre un certo orario di attesa la pasta inizia, comunque, a dare problemi di putrefazione. Non sempre il problema è dovuto a razioni sbilanciate, anche se la voglia di produzioni record quando il latte è ben pagato può indurre in errore. Spesso, effettuando analisi chimico fisiche sull’unifeed di stalla si riscontrano errori di razionamento abbastanza evidenti. Ad esempio identificando come valori ottimali, per una bufala in lattazione, parametri sul secco quali: proteina 15%, amido 20%, fibra 22%, ndf 42%, possiamo osservare come ci si discosti anche di molto senza che l’allevatore ne abbia reale consapevolezza. Spesso si sente dire che “un paio di chili in più” di mais o di soia sono stati aggiunti per assecondare le esigenze produttive di una mandria fresca. Il problema diventa evidente quando, ad analisi, viene fuori che l’amido è in realtà salito a 23 o 24%, ma cosa più grave la fibra e l’ndf sono scesi a livelli pericolosi. Se aggiungiamo che con la stagione calda o con il semplice venticello primaverile la quota fibrosa si asciuga rapidamente e si demiscela dall’unifeed ci rendiamo conto del perché’ la nostra mandria ha difficoltà a produrre un latte soddisfacente in termini qualitativi. Quindi, ancora una volta, è l’ambiente inteso come mutate condizioni climatiche e il management inteso come mutate, appunto, esigenze produttive a fare la differenza ed a generare inconvenienti. Tornando ai problemi del cambio di stagione possiamo affermare che il caldo eccessivo con alta umidità fa sì che gli animali bevano oltre un quintale di acqua e ciò che ne consegue è una diluizione eccessiva del succo ruminale che si traduce in scarsa efficienza con conseguente insorgenza di patologie digestive se non si interviene prontamente a stimolare il metabolismo e la ruminazione in modo mirato. La ruminazione stessa è presieduta da impulsi che percorrono varie serie di nervi cranici che hanno origi-

Zootecnia

ne dall’encefalo. Questi fasci sono raggruppati nella denominazione di nervo vago o pneumogastrico o nervo decimo delle dodici paia di nervi cranici. L’alternanza di fasi di alta pressione con giorni grigi e conditi da vento caldo di scirocco fa sì che si abbia una cosiddetta ipotonia vagale (ipofunzionalita’ del sistema nervoso parasimpatico). Questa si traduce in scarso riflesso alla ruminazione e, in definitiva, alla comparsa di cicli ruminativi meno intensi e scarsamente rimescolativi, con conseguente minore attacco della fibra da parte della flora microbica. Il tutto esita in un latte altalenante sia in quantità che in qualità… Anche stimoli dolorifici di diversa provenienza (urti e competizione per il cibo in stalle con fronte di mangiatoia non sufficientemente ampio, tori che spingono le bufale, lotte gerarchiche) possono inibire in via riflessa i movimenti dei prestomaci, si ipotizza per eccessiva secrezione di adrenalina e di ormoni dello stress in generale. Aggiungiamo anche il fatto che con il salire delle temperature (in campania i 30 gradi in primavera non sono evento raro) si ha un aumento del battito cardiaco e della frequenza respiratoria, con conseguente spossatezza degli animali seguita da calo dell’ingestione di sostanza secca. Minore ingestione di sostanza secca può determinare, oltre al calo produttivo in generale, uno spiccato calo del tenore proteico del latte e della sua resa in mozzarella. Quindi, al fine di evitare tali rischi, una mandria non dovrebbe mai produrre in inverno meno del 50%

di latte che produce in estate, al fine di non concentrare eccessivamente i parti nell’arco di due o tre mesi, per giunta coincidenti con ore di luce maggiori e caldo in salita. L’allevatore deve altresì conservare o approvvigionarsi dei migliori foraggi da somministrare nella delicata fase di picco produttivo; fieni leggeri

Mozzarella appena formata e digeribili facilitano l’ingestione e l’opera dei batteri che degradano la cellulosa e producono, alla fine grasso nel latte. Fondamentale gestire i bisogni di energia e proteina apportati con i mangimi, fermo restando che è pur sempre meglio puntare ad una ruminazione efficiente e ad un latte di qualità di grande richiesta, che puntare alle sole produzioni quantitative. Latte di qualità significa, poi, sanità di mandria e tassi di fertilità elevata.

Dr. Giovanni Canu Nutrizionista animale canu76@gmail.com

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

23


Il parto della scrofa 3 mesi, 3 settimane e 3 giorni di

Marco Baroni

N

ei mesi scorsi abbiamo letto sul Forumdiagraria.org di alcune problematiche relative al parto delle scrofe, con conseguente perdita dei suinetti e della scrofa stessa. Lo scopo di questo articolo è quindi quello di chiarire alcuni punti fondamentali relativi a questa delicata fase dei nostri suini. Nello specifico affronteremo il tema relativo al parto in allevamenti semi-intensivi o intensivi, fase successiva alla gestazione che nei suini ha esattamente una durata di 3 mesi, 3 settimane e 3 giorni.

Il delicato momento della nascita Quando le scrofe sono pronte per il parto l’allevatore deve essere altret-

24

tanto pronto ad assicurare che il tutto si svolga nel migliore dei modi. Per prima cosa è necessario preparare la gabbia o il box, avendo cura di mettere a disposizione acqua fresca e cibo; le scrofe devono avere la possibilità di alzarsi e sdraiarsi facilmente e la capacità di costruirsi il nido con paglia, trucioli di legno o strisce di carta. E’ sempre utile controllare le feci, che devono essere “in mucchietto”, lucide, soffici e facili da schiacciare; feci dure ed arrotondate sono sintomo di problematiche come transito intestinale lento, alimento inadatto o insufficiente assunzione di acqua. Siate sempre pronti ad intervenire; con l’aiuto del vostro veterinario procuratevi

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

l’attrezzatura per il primo intervento, come ad esempio guanti e gel per l’ispezione ginecologica, siringa ed istruzioni per l’uso dell’ossitocina. Inoltre è necessario essere istruiti di come si possa intervenire in vagina in caso di bisogno.

Subito dopo il parto I suinetti, alla nascita, si ritrovano in un ambiente freddo nei pressi della scrofa, bagnati, con poco grasso e poche riserve di glicogeno; essi devono assumere il colostro (il primo latte) il più rapidamente possibile per riuscire a scaldarsi e creare le prime difese immunitarie. Per raggiungere la temperatura ambientale ideale (che va dai 32 ai 35 °C) si può ricreare un perfetto microclima con l’ausilio di una lampada ad infrarossi. Il picco delle perdite dei suinetti si verifica durante i primi 3 giorni di vita: in questa delicata fase, i piccoli non possiedono anticorpi e se assumono poco colostro non hanno neanche il “carburante” per riscaldarsi, specialmente se sono di basso peso. I suinetti devono assumere più colostro possibile entro le prime 24 ore, così da risultare più forti

Zootecnia


e resistenti per tutta la loro vita. L’ordine di assegnazione dei capezzoli della scrofa per i vari suinetti viene determinato entro i primi 3 giorni, bisogna quindi accertarsi che i soggetti più piccoli arrivino alle mammelle, considerando anche che i quarti anteriori contengono il latte migliore. E’ comunque utile adottare un allattamento frazionato (creching o split nurse), isolando i suinetti più grossi nel nido per circa un’ora, in modo che quelli più piccoli possano accedere facilmente ai capezzoli della scrofa. Per quanto riguarda la temperatura, un’analisi attenta dei suinetti sarà utile per capire se l’ambiente sia troppo caldo o troppo freddo. Se per esempio i piccoli sono sdraiati insieme su un fianco e con gli arti distesi la temperatura è ideale, mentre se risultano ammucchiati uno sopra all’altro e con la pancia al pavimento la temperatura del locale è troppo bassa. Rendere il nido confortevole con l’uso di paglia o strisce di carta aiuta sempre. Una buona regola, quando non si hanno scrofe al parto in contemporanea e si possono verificare problemi, è fare la cosiddetta “banca del latte” o del colostro. Per fare ciò si procede mungendo una scrofa del parto precedente conservando il colostro in congelatore; all’occorrenza si può riscaldare e somministrare ai suinetti in difficoltà. La mungitura della scrofa si effettua a mano e con l’uso di un bicchierino; con due dita si preme il capezzolo (meglio quelli anteriori) e con pazienza si mira ad ottenere una discreta quantità. Bisogna infatti considerare che i suinetti assumono 15 pasti da 15 ml di colostro nelle prime 12 ore di vita. E’ necessario comunque sempre stare attenti a cosa ‘’dicono‘’ le scrofe: difatti una scrofa ben distesa sul fianco è con buone probabilità in pie-

Zootecnia

na salute e propensa all’allattamento, mentre se invece risulta coricata a pancia in giù non ha abbastanza latte e la sua posizione mira a proteggere le mammelle dalle morsicature dei suinetti. Utile a tal riguardo anche l’analisi delle mammelle,

alle dimensioni delle gabbie o box parto ed al pavimento che, se sdrucciolevole, è spesso causa di schiacciamenti; il rischio di schiacciamento risulta più elevato anche per le figliate di quei soggetti che hanno l’abitudine di ‘’sedersi a cane‘’. Un altro

che se risultano “flosce” hanno sicuramente scarsa disponibilità di latte. C’è da dire che anche i suinetti ‘’parlano‘’: devono infatti avere un aspetto lucente e se hanno ferite sul capo o sul fianco del muso può essere a causa di scarsità di latte. In questo caso anche le mammelle della scrofa mostrano ferite a causa della morsicatura dei suinetti per eccessiva stimolazione.

rischio di mortalità per la prole è rappresentato, per ovvi motivi, da scrofe che mordono i piccoli, evento più frequente nelle femmine inesperte al primo parto.

Cause di mortalità Le principali cause di perdita di suinetti sono la debolezza, la piccola taglia e lo schiacciamento; quest’ultimo capita quando la scrofa si sdraia o si rotola da una posizione all’altra (utili, in questo caso, le cosiddette “barre antischiacciamento”). Se il parto è rapido e la produzione di latte è buona ci sono comunque meno problemi da affrontare. I suinetti nati da scrofe di grossa taglia corrono maggiori rischi, quindi attenzione

Take home message In conclusione questi sono i punti fondamentali con i quali l’allevatore dovrà confrontarsi; l’affrontare un parto richiede quindi precisione, pazienza, impegno ed esperienza. Osservare i nostri animali in modo consapevole comporterà sicuramente la buona riuscita delle operazioni e la minimizzazione delle perdite in allevamento.

Marco Baroni Allevatore di suini soniadav73@ gmail.com

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

25


Il coniglio: denti e masticazione Una macchina perfetta ma con qualche imperfezione. Vediamo insieme come funziona l’apparato masticatore dei lagomorfi e le sue ripercussioni sull’alimentazione e la salute di

Cristiano Papeschi e Linda Sartini

I

denti sono strutture complesse ed indispensabili alla sopravvivenza degli animali e dell’uomo: come tutti sappiamo, la loro funzione varia

dall’alimentazione fino alla difesa. Ogni specie animale è caratterizzata dal possedere una dentatura particolare, per la quale il numero

dei denti, la tipologia di questi e la loro forma dipende dallo stile di vita e dalle abitudini alimentari che questa conduce. La complessità delle

Un giovane coniglio

26

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

Zootecnia


strutture dentali risulta evidente già a partire dalla loro stratigrafia ed architettura, più o meno simile in tutti i mammiferi seppur con qualche differenza; andiamo a descriverla a grandi linee.

Struttura generale del dente Il dente è come un iceberg, in superficie se ne vede solo una piccola parte! Innanzitutto riconosciamo una porzione emersa, ovvero sporgente all’interno della cavità orale, nota come “corona”, ed una infissa all’interno degli alveoli dentari di mandi-

deputate al trofismo del dente; questo è alloggiato all’interno degli “alveoli”, che altro non sono che dei fori sagomati scavati entro lo spessore delle ossa della bocca (mandibola e mascella). Infine la gengiva, come tutti sappiamo, è quella porzione “carnea” che ricopre le ossa e parte del colletto dentale all’interno della cavità orale, la cui superficie viene denominata “mucosa”. Il coniglio possiede 28 denti ripartiti secondo la seguente formula denta-

“ipsodonti” o “a crescita continua”: ciò significa che crescono senza interruzione per tutta la durata della vita dell’animale. E’ stato calcolato che gli incisivi, ad esempio, crescono di circa 10-12 cm all’anno e questo è possibile grazie alla presenza di una radice aperta ed una gemma dentaria molto attiva. Ora la domanda sorge spontanea: “ma se i denti crescono in continuazione, come mai questo fenomeno non è visibile? Perchè i denti dei conigli rimangono sempre della stessa lunghezza?”. La risposta risiede nel tipo di alimen-

le: I 2/1, C 0/0, Pm 3/2, M 3/3. In pratica, osservando l’arcata superiore, sono presenti due grossi incisivi anteriori e due piccolissimi incisivi posti subito dietro a questi, tre premolari e tre molari. Nell’arcata inferiore possiamo trovare, invece, due soli grandi incisivi, due premolari e tre molari. I canini sono assenti (del resto in un animale erbivoro non servono strutture atte a lacerare le carni della preda) e al loro posto è presente un ampio spazio privo di denti chiamato “diastema”. I denti del coniglio, a differenza di quanto avviene nella maggior parte dei mammiferi, sono detti

tazione e nella particolare anatomia della bocca. Il coniglio e la lepre si nutrono di vegetali estremamente fibrosi, i quali provocano abrasione delle superfici dentali come se si trattasse di carta vetrata. Questo continuo sfregamento provoca la limatura costante delle superfici di taglio, giorno dopo giorno e la crescita continua ha lo scopo di compensare questo consumo rimpiazzando fisiologicamente quello che viene a perdersi. Paradossalmente, se il coniglio non possedesse denti in grado di rigenerarsi, nel giro di poche settimane masticherebbe con le

I denti del coniglio

Dentatura normale bola (arcata inferiore) e mascella (arcata superiore) chiamata “radice”. La corona presenta una superficie masticatoria ricca di aree in rilievo e scanalature, ovvero la parte del dente coinvolta attivamente nella masticazione ed altamente specializzata e ricoperta da un tessuto molto duro detto “smalto”, mentre la radice è costituita da “cemento”. La zona di transizione tra radice e corona si chiama “colletto”. Internamente al dente vi è la “dentina”, che avvolge e protegge la “cavità pulpare” al centro della quale sono presenti piccoli vasi sanguigni e strutture nervose, quelle

Zootecnia

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

27


gengive! Inoltre i denti del coniglio La razza di questo numero: L’Ermellino si contrappongono tra di loro in La razza denominata “Ermellino” è l’antenata dei conigli nani colorati ed è originaria dell’Inghilterra, maniera perfetta, dove venne selezionata nel 1880 a partire da conigli Olandesi nati col manto completamente bianco. quelli dell’arcata Dopo averla perfezionata con accurati incroci, la razza venne inizialmente denominata “Polish Rabsuperiore contro bit”, cioè “coniglio polacco”. Pochi anni più tardi, forse in Germania, vennero fissate le sue odierne quelli dell’arcata caratteristiche e il coinferiore, in modo niglio assunse il nome che un ulteriore definitivo di “Ermelconsumo venga lino”, standardizzato dal garantito anche definitivamente punto di vista morfolodallo sfregamento tra dente e gico nel 1910. dente. In con- Circa un decennio dizioni normali, dopo, nel 1921 in quando la bocca Francia, la razza vendel coniglio è cor- ne ufficialmente ricorettamente con- nosciuta. formata, è pos- L’Ermellino è stata in sibile osservare assoluto la prima razcon facilità sola- za di conigli nani cremente gli incisivi, ata, nonché la più picsemplicemente cola mai concepita. sollevando le Gli allevamenti, solo esclusivamente labbra: osserva- ed amatoriali, sono distriti frontalmente, buiti in molti paesi d’Europa tra cui l’Italia, specialmente nel nord del Paese, dove sono presenti molti quando l’animale allevatori. è a bocca chiusa, gli incisivi su- Caratteristica principale di questa razza è il manto completamente bianco candido, con occhi che periori sono posti offrono due colorazioni, quella rossa (data dall’albinismo) e quella blu (data dal leucismo). davanti a quelli Il suo comportamento vivace e docile, unito ad una ridotta mole e da un insieme grazioso e armoniinferiori, rappor- co, ne fanno, oltre che un eccezionale pet, anche un amabile ed apprezzato compagno di giochi per to spaziale che i bambini che spesso lo preferiscono a cani o gatti. deve essere con- Agile, scattante e sempre desideroso di correre, l’Ermellino lascia in chi lo guarda un senso di gioia e servato anche tenerezza; sempre curioso di esplorare, non è raro vederlo intento a sorreggersi sugli arti posteriori, quando si guar- restando in posizione verticale per aumentare la sua capacità visiva. di la dentatura di lato. Questa Cosa dice lo standard: giustapposizio- E’ un coniglio di piccole dimensioni dove la tipicità deve essere evidente, il corpo raccolto, corto e ne consente una arrotondato, egualmente largo avanti e dietro. corretta mastica- Le zampe devono essere corte ed esili, la coda piccola e aderente. Il peso non deve superare il chilo zione, di conse- e mezzo, con un punteggio massimo nei soggetti che pesano meno di un chilo. guenza, un cor- La pelliccia è fine, folta e con poca giarra, il pelo deve essere corto ed il colore del mantello bianco retto consumo. puro. Anche i molari- La testa, in proporzione al corpo, è grande e sferica, la fronte e il muso larghi. All’altezza degli occhi formi (premolari la fronte è larga circa 5,5 cm nel maschio e 5 cm nella femmina. L’occhio è grande, rotondo e ben e molari), diffi- aperto, caratteristica denominata “occhio a rana”; come precedentemente descritto, gli occhi possocilmente visibili no essere rossi o azzurri. data la loro posi- Le orecchie sono corte e dritte, fini e pelose, con una lunghezza massima di 5,5 cm. zione arretrata e la limitata capacità del coniglio Roberto Corridoni di spalancare le fauci, si giustappongono in madei denti del coniglio viene garantito niera perfetta ed i movimenti masti- altrettanto costante e programmata. dalla masticazione di alimenti duri e catori orizzontali ne determinano il Un bel problema fibrosi e dallo sfregamento delle suconsumo costante, anche in questo caso rimpiazzato da una ricrescita Come già accennato, il consumo perfici dentali tra di loro. Può capita-

28

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

Zootecnia


re di trovare in allevamento qualche animale affetto da malocclusione: questo termine sta ad indicare una non corretta chiusura della bocca ed una conseguente crescita abnorme dei denti. Il fenomeno risulta più evidente a livello degli incisivi in quanto questi, quando troppo lunghi, arri-

orale, alle labbra ed alla lingua. Il coniglio affetto da malocclusione generalmente tende a dimagrire in quanto non può alimentarsi correttamente e, nei casi più gravi, smette di mangiare, produce copiose quantità di saliva (anche mista a sangue) e deperisce rapidamente. Oltre all’ef-

compressione che spinge la radice sempre più in profondità all’interno dell’alveolo provocando erosione e deformazione dell’osso sottostante. Inoltre le radici dentali vanno spesso incontro ad infezione secondaria determinando lo sviluppo di ascessi, visibili sotto forma di tumefazioni

fetto principale e visibile ad occhio nudo, ovvero la crescita della corona dentale, in corso di malocclusione possiamo avere altri danni notevoli, in quanto anche la radice di premolari e molari può provocare problemi. Quando questi denti crescono in maniera abnorme ed anomala, con la masticazione si ha una sorta di

sporgenti a livello del margine della mandibola, oppure come masse più o meno spesse al di sotto dell’occhio, in quanto le radici dei molari superiori sono molto vicine all’orbita oculare. Inoltre, tale compressione sul dotto lacrimale può provocare eccessiva lacrimazione (per mancato drenaggio) ed infiammazione con

Malocclusione degli incisivi vano a sporgere oltre le labbra ma lo stesso, seppur in misura ridotta, avviene anche a carico di premolari e molari che sono, però, di più difficile osservazione. La malocclusione comporta diversi problemi, a partire dalla difficoltà nella prensione e nella masticazione dell’alimento fino a vere e proprie ferite alla mucosa

Zootecnia

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

29


Occlusione dentale corretta alopecia (perdita di pelo) della regione perioculare.

Quale l’origine della malocclusione? Le cause di malocclusione sono fondamentalmente due. Nel primo caso si parla di “malattia dentale congenita”, ovvero un problema che inizia prima della nascita. Questo fenomeno è particolarmente frequente nei conigli da compagnia, i cosiddetti “nani”, in quanto le leggi di mercato hanno portato alla selezione di soggetti sempre più piccoli e con muso arrotondato mentre, in condizioni normali, nel coniglio questo è piuttosto allungato; nel nano viene ricercato un musino sempre più corto ed accattivante e questo comporta, molto spesso, un riassetto, seppur impercettibile, della posizione e dell’inclinazione dei denti che quindi possono non mantenere più gli adeguati rapporti anatomici con conseguente deviazione delle radici e mancato consumo delle superfici dentali. Questo può succedere anche nei conigli da carne per un difetto di sviluppo od una leggera malformazione, in tal caso il problema si manifesta in giovanissima età, già nei primissimi mesi di vita. Siccome il difetto è trasmissibile alla prole, sarebbe meglio escludere quei soggetti dalla riproduzione. La “malattia dentale acquisita”, come dice il

30

termine stesso, è un problema che nuare ad alimentarsi, gli incisivi sogcompare successivamente, general- getti a sovracrescita possono essere mente a seguito di errori di gestione periodicamente pareggiati da mano alimentare. Quando i conigli, ovvia- esperta. mente parliamo di soggetti con una Dr.ssa Linda Sartini corretta conformazione anatomica, DVM vengono sottoposti ad una dieta Specializzata in ispeadeguata (erba, fieno, mangime zione degli alimenti di origine animale pellettato e solamente piccolissime quantità di altri alimenti) difficilmente sviluppano questa patologia, poiché Dr. Cristiano Papeschi DVM i denti vengono consumati in manie- Università degli Studi della Tuscia Specializzato in ra costante. Al contrario, quando vi teconologia e siano errori alimentari (ad esempio patologia del coniglio, la somministrazione di cereali fiocdella selvaggina e degli avicoli cati in grande quantità o altri alimenti “morbidi”), oltre a correre il rischio di problemi digestivi si fa più frequente la comparsa di difetti occlusali. Episodi di malocclusione possono capitare, anche se meno di frequente, in animali che abbiano riportato frattura o lussazione della mandibola, nei quali non si sia avuta la completa restitutio ad integrum. Come Ponzano Veneto (TV) - Via Roma, 156 palliativo, in attesa Tel. +39 348 3579498 della macellazione e per consentire ilconiglio@ilconiglio.com www.ilconiglio.com all’animale di conti-

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

Costruzione Gabbie Conigli e Polli

Zootecnia


Elicicoltura: la preparazione del terreno Affrontiamo adesso il tema della preparazione del terreno per l’installazione di un allevamento di lumache secondo il “metodo Madonita” di

Davide Merlino

D

opo l’ultimo articolo, nel quale sono state descritte le caratteristiche del terreno e dell’acqua per poter realizzare un allevamento di lumache, parliamo della fase successiva e cioè quella della lavorazione e della preparazione del terreno stesso prima dell’installazione dei recinti.

Il primo passo Partendo dal campo incolto, anche se lavorato in passato, la prima fase

tempo, di arare profondamente con un mezzo idoneo per poi fresare e renderlo il più friabile possibile. Molti si chiedono se la pendenza o la presenza di pietre possa rappresentare un problema per l’allevamento. In realtà non lo sono, in quanto la pendenza è un ottimo aiuto per il drenaggio dell’acqua in caso di forti piogge e le pietre, se in piccole quantità, non arrecano alcun fastidio; al contrario, se il campo in questione fosse eccessivamente pietroso, sa-

trattare il terreno per eliminare erbe spontanee che potrebbero compromettere successivamente la nostra coltivazione.

Il passo successivo Una volta effettuata questa lavorazione ed avendo del tempo a disposizione prima di procedere alla semina vera a e propria, andremo a predisporre gli scavi per la recinzione perimetrale antifuga, indispensabile per evitare la perdita del-

Esempio di recinti realizzati con rete speciale Spiranet Recinto è quella dell’aratura e della fresatura di tutto l’appezzamento, in modo da preparare la base per una corretta semina. Si consiglia, soprattutto se il terreno è fermo da qualche

Zootecnia

rebbe meglio toglierle. Questa lavorazione, se possibile, andrebbe fatta con almeno due mesi di anticipo in modo da avere il tempo di operare una “falsa semina” e

le chiocciole nei periodi di massima attività, momento in cui il rischio di dispersione è estremamente elevato. In passato venivano utilizzate delle lamiere disposte perimetral-

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

31


mente, le quali avevano il compito di evitare la fuga perché si pensava

recuperarle. La rete perimetrale, come quella dei recinti interni, deve

ma molto efficace) e il trattore con assolcatore (più veloce, efficace e preciso); ciò non toglie che si possa comunque impiegare qualsiasi altro metodo che riesca ad eseguire uno scavo di 30 cm.

Ed ora realizziamo il nostro recinto

Sansone Michelangelo Co-fondatore de La Lumaca Madonita alle prese con la sostituzione di pali di sostegno

Una volta effettuato lo scavo perimetrale procederemo con il montaggio dei pali di sostegno, in legno o cemento (meglio evitare pali in ferro perché surriscaldano), che verranno installati a distanza di 1,50 mt l’uno dall’altro, tenendo presente che quando andremo a montare la rete questi dovranno rimanere all’esterno del perimetro. I pali comunemente più utilizzati per questo scopo sono quelli in legno di castagno da 2,30 mt, che dovranno essere interrati almeno 50 cm. Dopo aver messo a dimora i pali procederemo all’installazione della rete, che dovrà essere fissata su questi montando precedentemente tre cavi di acciaio; finito il montaggio potre-

che, messe a contatto con il terre- essere interrata almeno 20 cm in no, emettessero una lieve scossa modo da evitare l’ingresso di insetti elettrica; in realtà questo fenomeno dannosi per la lumaca. elettrostatico non avviene per cui, Lo scavo può essere effettuato in invece di evitare la fuga diventavano molti modi, ma quelli più utilizzati pericolosissime per i gasteropodi in sono la motozappa con singolo asquanto le chiocciole che si attacca- solcatore (più faticoso, poco preciso vano di notte al metallo durante il giorno venivano bruciate dalle altissime temperature che queste lamiere potevano raggiungere. Inoltre, come se non bastasse, il gravissimo impatto ambientale che determinavano era spesso causa di blocco da parte delle autorità. L’innovativo sistema da noi proposto consiste nel sostituire le lamiere con una speciale rete di colore verde che ha le stesse caratteristiche tecniche di quella utilizzata nei recinti, ma è alta 2,00 mt ed ha il compito di sia di evitare la fuga delle chiocciole dal perimetro dell’allevamento che di dare il Distribuzione mangime speciale per alimentazione chiocciole tempo all’allevatore per

32

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

Zootecnia


I prodotti chimici commercializzati per tale scopo possono essere utilizzati solo da personale specializzato dotato, secondo le normative più recenti, di patentino che abiliti all’utilizzo di fitofarmaci. Nell’impiego di diserbanti bisogna tener presente i danni che potrebbero essere provocati alle chiocciole o agli ortaggi che andremo a seminare successivaPiccoli di Helix Asersa Muller Madonita mente. Dal momento del mo finalmente coprire lo scavo ed diserbo dovremo attendere almeno 30 giorni affinché il prodotto esauriinterrare la rete. sca il suo effetto, e solo successivaTornando al terreno… mente andremo ad effettuare un ulNel frattempo le erbe spontanee teriore fresatura prima della semina. saranno cresciute e procederemo Terminate le operazioni di fresatura quindi con il trattamento di diserbo. inizieremo con la schematizzazione

dell’impianto che andremo ad installare sul terreno. Tenendo presente che i recinti standard misurano 3,5 x 46,5 mt, andremo a piantare i pali che formeranno i quattro angoli dei recinti e legheremo una corda in modo da ottenere immediatamente un colpo d’occhio di quello che sarà l’impianto ultimato. I pali utilizzati dovrebbero essere, anche in questo caso, in legno di castagno da 1,25 mt ed andranno interrati per circa 50 cm e la corda precedentemente legata nei pali sarà la guida per gli scavi che faremo per interrare la rete speciale antifuga. Effettuando gli scavi come precedentemente descritto, possiamo procedere alla realizzazione dell’impianto d’irrigazione... che verrà descritto nel prossimo numero di TerrAmica!

Davide Merlino La Lumaca Madonita

foto

Zootecnia

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

33


Il “Ciuffato Tedesco”... colore o forma? Conoscere una magnifica razza di canarino tramite i criteri di giudizio di

Federico Vinattieri

Q

uando si parla di Ciuffato tedesco, molti pensano di trovarsi di fronte ad una “razza giovane”, ossia ad una razza di recente selezione, ma questo non corrisponde a realtà. Sì, è vero che il riconoscimento della razza è avvenuto da pochi decenni, ma il Ciuffato tedesco come “tipo di canarino” esiste da molto più tempo.

Animali da compagnia

nea su canarini Harzer allevati in Germania, tra il XVII e il XVIII secolo; altri autori sostengono che sia un’anomalia selezionata volutamente dall’uomo e sia staUn pò di storia ta indotta nei canarini All’inizio del XVIII secolo, un Cana- con “lesioni forzate” rino molto simile era già allevato in in gabbia, che Germania. Si presume che il ciuffo, hanno innefattore con comportamento genetico scato poi il a carattere dominante, sia stato im- p r o c e s s o portato dalla Gran Bretagna ed inse- di mutaziorito in un ceppo di cantori “Harzer” ne che ha intorno all’anno 1670; c’è chi affer- sviluppato lo pterima invece che il ciuffo nel canarino lio da cui nascono le pencomparve quale mutazione sponta- ne del ciuffo. Teorie varie, ma la realtà è che non esistono documentazioni certe di come questo carattere sia venuto fuori. Fatto sta che oggi il ciuffo è proprietà tipica di molte razze. Nel periodo compreso tra gli anni ‘20 e gli anni ‘40 del secolo scorso, ossia nel periodo intercorso tra Soggetto testa liscia di razza Ciuffato tedesco a ala aperta i due conflitti

34

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

mondiali, alcuni allevatori tedeschi iniziarono a selezionare i canarini da canto ciuffati solo per migliorarne il ciuffo, trascurandone le proverbiali qualità canore, fino ad allora unica caratteristica ricercata in questi pennuti. Ma, come successo in quasi tutte le razze dell’epoca, la seconda guerra mondiale condusse alla quasi totale estinzione della razza in via di selezione. L’opera di “recupero” fu ripresa intorno agli anni ‘50 del secolo scors o dal Signor Josef Heine, considerato il “pioniere” e “padre della razza”. E’ documentato che nell’anno 1952 venne perfezionata la razza come la conosciamo oggi, e nell’anno 1963 il Ciuffato Tedesco fu riconosciuto ufficialmente dalla Federazione Tedesca ed anche dalla C.O.M. (Confédération Ornithologique Mondial). La C.O.M., sotto consiglio e supervisione di alcuni esperti giudici ornitofili, ha ufficialmente ammesso solo la varietà “ciuffata”, pur affermando la necessità che sia allevata la varietà a testa liscia, indispensabile ai fini riproduttivi, per evitare il doppio fattore omozigote, il quale ha effetti letali negli embrioni. La decisione di riconoscere solo la varietà ciuffata sta nel fatto che quella a “testa liscia” è praticamente identica ad un

Animali da compagnia


qualunque canarino di colore, anche scontrabili sono molteplici, come ad del becco, la nuca deplumata, il dopse con piccole differenze identifica- esempio il ciuffo troppo rotondo, il pio centro del ciuffo o il centro ciuffo bili solo da occhi esperti. ciuffo di forma irregolare o scompo- non ben delineato. La Federazioni Altro importanOrnicoltori Itatracce di melanine sul piumaggio, becco, zampe, unghie; te aspetto in Lipocromici liani (F.O.I.- onquesta razza, presenza di screziature sulla nuca lus) ha riconodirei di primaria tracce di lipocromo, orlature o unghie bianche (o carnicine) importanza, è sciuto il Ciuffato nei tipi ossidati (nero e bruno). Sono consentite, invece, nei il Tedesco solo “COLORE”, tipi diluiti (agata e isabella); colore non uniforme, opaco, anche nell’anno 2005. questo sbiadito o a chiazze; disegno non conforme ai canoni del- aspetto Il nome originacon Melaninici lo standard; mancata o insufficiente ossidazione di becco e un valore di 20 le della razza è zampe dove prevista; brinatura o intensità non omogenea; punti. Sono am“Deutsche Hauinsufficiente estensione lipocromica nelle zone di elezione messi tutti i tipi benkanarie”; dei soggetti mosaico, tenuto conto del dimorfismo sessuale. e le varietà di mentre in lingue francese è cocolore dei CaTab. 1 - Alcuni dei difetti più comunemente riscontrabili alle mostre nosciuto con il narini di colore, nome di “Canari sia lipocromici à toupet allemand”, o più semplice- sto, il ciuffo formato da penne corte e sia melaninici, intensi, brinati e momente “Huppé Allemand”. dure che non si adagiano sulla testa, saico. Nei soggetti lipocromici sono il ciuffo che copre parte degli occhi e richiesti la massima lucentezza e Caratteristiche uniformità del colomorfologiche re nonché la totale Analizziamo meglio assenza di macquesto canarino di chie melaniniche forma e posizione sul piumaggio, liscio, elencando e sul becco e suldefinendone i “crile zampe (unghie teri di giudizio” e comprese), pena quindi le varie voci la non giudicabilidello standard uffità del soggetto. I ciale. ciuffi dei lipocromiIniziamo con la caci possono essere ratteristica tipica anche screziati di della razza, che è eumelanina nera una delle poche e bruna, ma tale che lo distingue dai screziatura non canarini di colore: il deve debordare “CIUFFO”. sulla nuca, anche Il ciuffo, come si in questo caso la può dedurre, in pena è la non giuquesta razza ha dicabilità del soguna importanza getto. Nei melaninotevole nella sua nici sono richiesti valutazione, infatti un colore lucido, nella scala valori uniforme e senza conta ben 20 punti. schiarite nonché Questo nasce da la totale assenza un unico punto picdi macchie lipocolo e centrale del cromiche su tutto il cranio, deve essere corpo, sulle zampe compatto e confore sulle unghie ed me alla forma ovale è richiesta l’ossidella testa e deve dazione di becco toccare appena la e zampe, ove preradice del becco vista. Nei tipi nero e lasciare scoperti e bruno non sono gli occhi chiudendo ammesse orlature perfettamente sulsulle penne coprila nuca. I difetti ri- Particolare della testa di un Ciuffato tedesco trici, e laddove pre-

Animali da compagnia

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

35


senti il soggetto non viene giudicato come accade nei Canarini di colore. Nei soggetti mosaico si richiede la massima espressione del lipocromo

canarini di colore. Come abbiamo detto in precedenza, la “FORMA” è un aspetto che ha creato non pochi dibattiti tra gli allevato-

Ciuffato tedesco femmina giallo lipocromico nelle zone di elezione, tenendo conto della differenza che contraddistingue i maschi dalle femmine, quindi del dimorfismo sessuale nella medesima varietà. Anche in questa voce dello standard bisogna tener conto di moltissimi difetti a cui si può andare incontro, che possono essere suddivisi a loro volta in “motivi di non giudicabilità” e “motivi di penalizzazione”: in tabella 1 riportiamo alcuni dei più comunemente riscontrabili esaminando i soggetti di questa razza alla mostre ornitologiche. La colorazione artificiale è ammessa dove è prevista dallo standard nei

36

Soggetto testa liscia di razza Ciuffato tedesco giallo lipocromico

ri, i giudici e gli appassionati di questa razza di canarino, caratteristica che nella scheda analitica di giudizio ha un valore di 15 punti. La forma è molto molto simile a quella del Canarino di colore e deve però dare l’impressione di potenza ed eleganza. Il corpo non deve essere troppo tozzo ma neppure troppo esile, il collo deve essere robusto all’attaccatura con il tronco mentre il dorso ed il petto saranno larghi, pieni e bene arrotondati. Le ali, devono combaciare e chiudere unite all’inizio della coda, quest’ultima sarà compatta, bene armonizzata

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

con il corpo ed in linea con lo stesso e dovrà terminare a “M”. Le zampe devono essere di media lunghezza, robuste e lasciare intravedere una

piccola parte della tibia. Alcuni difetti evidenti e penalizzabili sono: forma del corpo troppo robusta o troppo esile, collo sottile o troppo massiccio, dorso e petto troppo larghi o prominenti o troppo stretti, ali troppo lunghe, cadenti o incrociate, coda troppo corta o larga o cadente, zampe troppo lunghe ed esili o troppo corte e che non lasciano intravedere la tibia. Altri 15 punti vengono assegnati al “PIUMAGGIO”. Questo deve essere perfettamente liscio, aderente, serico e brillante, mai abbondante o scomposto, né corto, né opaco,

Animali da compagnia


e ovviamente non possono mai e poi mai essere presenti arricciature o sbuffi sui fianchi, poiché sarebbe un indicazione di possibili meticciamenti. La “LUNGHEZZA” del canarino ha un valore di 10 punti. Da standard, la lunghezza ideale è compresa tra i 13,5 ed i 14,5 cm; una lunghezza differente da quella indicata è sempre da considerarsi un difetto: purtroppo ultimamente non è difficile trovarsi davanti, in ambito espositivo, a soggetti di taglia molto ridotta. Nello standard vi è anche la voce “POSIZIONE”, alla quale si è dato 10 punti di valore. Il Ciuffato tedesco deve presentare una posizione a circa 45°. Il portamento, esattamente come nei canarini di colore, deve essere vivace ma non irrequieto. Un atteggiamento letargico o troppo agitato è da considerarsi un difetto. Per evitare ciò è consigliabile un valido “addestramento alla gabbia”, come si dice in gergo ornitofilo, ossia è buona norma abituare il canarino al tipo di gabbia da mostra, che nel caso del C.T. è uguale a quella utilizzata nei canarini di colore, cioè quella classica “a cassetta”, chiusa dai lati e con due posatoi di sezione tonda di 12 mm di diametro e distanti 12 cm.

Animali da compagnia

Dieci punti vengono assegnati per il “BENESSERE GENERALE”, voce che durante il giudizio viene quasi data per scontata in quanto si presu-

Scheda Analitica di Giudizio me che un canarino che viene esposto in una mostra di bellezza debba essere presentato in condizioni di massima igiene e pulizia, pertanto un volatile con piumaggio sporco e con le zampe scagliose, oppure in evidente stato di malessere o in muta, verrà fortemente penalizzato, o addirittura non giudicato.

Quanto sopra indicato è, in sostanza, la “mappatura completa” di come deve o non deve essere un Ciuffato tedesco. Il giudizio viene svolto su di un tavolo e deve sempre avvenire con luce naturale e nelle ore di maggiore luminosità. Purtroppo questo affascinante canarino non è tra i più allevati in Italia ed è difficile ammirarne un numero considerevole alle mostre ornitologiche. Probabilmente gli allevatori non riescono ad appassionarsi a questa razza poiché può essere esposta solo la varietà a testa ciuffata e il numero dei soggetti ciuffati nelle varie covate è sempre inferiore al numero di soggetti a testa liscia; lo “scarto” di produzione quindi è molto più elevato rispetto a tutte le altre razze appartenenti al gruppo della “forma e posizione liscia”. Il Ciuffato tedesco è sicuramente un bellissimo canarino, che ha fatto parlare di sé a lungo e che continuerà a subire elogi e critiche per molti altri anni. Allevamento di Fossombrone http://ornitologia.difossombrone.it/

Federico Vinattieri www.difossombrone.it

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

37


Il Kakapo Una rarità da salvaguardare di

Clarissa Catti

E

’ il piu grande del suo genere, non può volare, è notturno, ma nonostante l’aspetto strano è un pacifico animale che rischia l’estinzione: una vera meraviglia del mondo animale. Questo è il Kakapo, Strigops habroptillus, uno dei pappagalli più grandi del mondo, classificato al giorno d’oggi come il più raro sull’orlo dell’estinzione.

Origine e diffusione Originario della Nuova Zelanda si ritrova solamente nelle foreste più fit- il suo valore ha raggiunto quote conte, misura circa 60-66 cm di lunghez- siderevoli sul mercato nero. Purtropza ed appartiene alla famiglia degli po (o per fortuna) è una specie che psittaciformi; in lingua Maori il suo non è in grado di adattarsi alla vita nome significa pappagallo nottur- in gabbia; infatti ha bisogno di ampi no e questa è un’altra caratteristica spazi dove poter scorrazzare. Come che lo rende unico, oltre al fatto che il Guaruba, il pappagallo dorato, è non può volare. un animale che in cattività cadrebbe Vederlo è una vera gioia per gli ap- in una depressione incurabile senza passionati. Un animale così buffo, possibilità di riproduzione (in molma splendidamente affascinante ti casi questi esemplari si lasciano nella sua stranezza, ci fa rendere conto di quanto l’essere umano possa essere dannoso nei confronti della natura. La sua esistenza è a rischio a causa della deforestazione e dell’introduzione di predatori terresti che trovano nelle sue caratteristiche una debolezza da sfruttare a proprio vantaggio. Frutti di Rimu, dei quali si ciba il Kakapo Il Kakapo vive strettamente sorvegliato in aree morire). Moltissimi anni fa è apparso specifiche del suo habitat, in quanto anche su alcune isole nei pressi del-

38

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

le coste della Nuova Zelanda mentre oggi lo troviamo solo all’interno di un’area protetta priva di predatori e raggiungibile solo con guide zoologiche.

Caratteristiche morfologiche Fisicamente è un uccello molto particolare: il suo piumaggio è di color smeraldo, morbidissimo, con sfumature giallastre e striature nere che gli permettono di mimetizzarsi nel sottobosco neozelandese. Ha zampe grandi con una spessa epidermide che gli consentono di scavare nel terreno senza ferirsi, un becco molto grande e delle piume fini alle estremità simili a vibrisse. Il suo peso può arrivare fino a 3 kg. La sua alimentazione è molto varia; come molti pappagalli della Nuova

Animali da compagnia


Zelanda si nutre di nettare (che risulta un buon alimento ricco di zuccheri) ma anche di frutta e funghi, che sono parte integrante della propria dieta alimentare.

Altra caratteristica particolare di questa specie è relativa alla riproduzione: questi soggetti infatti si accoppiano solamente quando una particolare pianta fiorisce, il Rimu, una conifera che raggiunge svariati metri di altezza e che produce raramente sufficiente cibo per i Kakapo. Purtroppo la produzione dei fiori (e quindi dei frutti) delle piante di Rimu avviene solamente una volta ogni 3-5 anni ed è per questo che i ricercatori che si occupano di questi animali devono ricorrere all’inseminazione artificiale; questa pratica risulta quindi essenziale per la salvaguardia di questi pappagalli, evitando così anche possibili accoppiamenti fra consanguinei (dato il numero limitato di soggetti). Il maschio matura sessualmente molto presto, intorno ai 5 anni, mentre la femmina intorno agli 11; durante il periodo degli amori il maschio corteggia la femmina gonfiando una sacca sotto la gola, emettendo al contempo lunghi suoni che echeggiano a chilometri di distanza. Purtroppo anche fra gli esemplari salvati dall’estinzione gli studiosi

Animali da compagnia

hanno dovuto effettuare una selezione. Infatti, dato che solo le femmine che superano un certo peso corporeo sono in grado di deporre (nello specifico necessitano di almeno un

re nuovi piccoli gruppi riproduttivi. In queste isole i ricercatori sorvegliano i nidi 24 ore al giorno e grazie a specifici radiotrasmettitori monitorizzano gli spostamenti degli esemplari.

chilo di grasso per adempiere alla funzione), i ricercatori hanno pensato bene di distribuire mangiatoie

Nonostante negli ultimi anni l’attività di ricerca sui Kakapo sia aumentata si sa ancora molto poco su questi grandi e bellissimi pappagalli. Da appassionata di salvaguardia di specie in via di estizione (ho avuto esperienze soprattutto con rapaci e psittacidi) purtroppo non ho ancora avuto la fortuna di vedere uno di questi animali dal vivo: sarebbe un traguardo fantastico! Ma ci vogliono molti anni di studio e di preparazione sul campo prima di poter affrontare certe specie ed è per questo che mi trattengo: sarebbe uno spreco di tempo riuscire a vedere una specie che a malapena conosco ed alla quale posso apportare pochi contributi dal punto di vista scientifico. Ma forse, un giorno, verrà anche il mio momento...

dotate di bilance lungo i percorsi dei Kakapo, in maniera tale che solamente i soggetti con un determinato peso avessero la possibilità di aprire i dispenser e quindi di alimentarsi. Una decina di anni fa gli esemplari rimasti erano solo una quarantina mentre oggi se ne contano più di 100; si stanno infatti individuando nuove “isole santuario” dove ospita-

Bibliografia Foto: http://nzbirdsonline.org.nz/ http://kakaporecovery.org.nz/

Clarissa Catti

nurannaproduction@ yahoo.it

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

39


American Wolfdog, un affascinante ibrido di

Federico Vinattieri

L

a storia dell’uomo è ricolma di aneddoti ed esperienze legate al Lupo selvatico e questo binomio è purtroppo quasi sempre corrispondente ad episodi di alta drammaticità. Sul “palcoscenico” della vita vi è una partita in corso tra uomo e lupo che dura da migliaia di anni, una storia di amore e odio che, se pur travagliata, ritorna sempre in auge e non finisce mai di stupire: nelle tracce del nostro passato si trovano centinaia di documenti storici che ci raccontano questa storia.

realtà dei fatti nessuno ha in mano né esperienze dirette né informazioni ottenute con seria ricerca; il metodo utilizzato è invece spesso quello del “sentito dire” e del “forse è così”,

intendiamo quando si parla di AWD. L’AWD non può essere definito una “razza” in quanto non è mai stato redatto uno standard ufficiale, ed infatti, attualmente, è possibile ri-

Lupo o non lupo? Fin da bambino, sono sempre stato affascinato dal “selvatico” e soprattutto da quegli animali che facevano tornare alla mente il “preistorico”, che evidenziavano nel loro aspetto la poderosità che impressiona. Tempo fa, per caso, mi sono imbattuto su internet in un animale che pensavo fosse un normalissimo Lupo nord-americano selvatico, ma che, con mio grande stupore, risultò essere un AWD, abbreviazione convenzionale di “American Wolfdog”, quindi una creazione dell’uomo. Avendo già a che fare con cani lupo, essendo io un allevatore di Saarlooswolfhond, iniziai a raccogliere informazioni su questo particolare ibrido. Mi accorsi subito che l’argomento in rete veniva trattato con grande superficialità e che non vi era niente né di specifico né di ufficiale sul “wolfdog”. Sui vari Forum echeggiano leggende metropolitane riguardo a questo cane-lupo e, come sempre accede sui social, tutti si credono esperti, anche nella

40

Esemplare di AWD (American Wolfdog) hight content abitudini fortemente deleterie per chi ricerca informazioni e che, in buona fede, crede in quel che legge non verificandone la fonte. Persino quando chiedevo informazioni sull’AWD ad amici e colleghi allevatori di altre razze di tipo lupoide, notavo che le loro risposte erano sempre vaghe e senza fondamento alcuno di veridicità. A quel punto ho iniziato a condurre ricerche in prima persona e, con molta difficoltà, sono pian piano riuscito a estrapolare delle nozioni utili per comprendere al meglio cosa

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

trovare più che altro semplici descrizioni generiche che non contengono nessun concetto di cinognostica; inoltre non è riconosciuta da nessuna delle maggiori associazioni di tutela delle razze canina, anche se a volte in rete si leggono commenti di proprietari o persone che erroneamente e senza documentarsi a dovere, fanno credere che l’AWD sia riconosciuto dall’American Kennel Club: niente di più falso! Si tratta in realtà di ibridi ottenuti dall’incrocio di lupi con alcune

Animali da compagnia


razze canine riconosciute, lupi per appartenenza dall’originario accop- questa categoria di “ibridi” gli abbila maggior parte “Canadesi”, ma an- piamento con il lupo. La suddivisio- namenti genetici più svariati e bizche di altre zone geografiche, appar- ne classica, a cui molti fanno riferi- zarri, non è possibile generalizzare tenenti a varie linee di origine (che mento, è la seguente: Low content, e redigere una descrizione che posvariano a seconda della zona terri- Mid content, High content. sa essere abbinata correttamente a toriale di appartenenza): linea “bri- Gli “High” sono quelli più apprezzati tutti gli esemplari di questa tipologia tish columbia”, linea “artica”, linea e più ricercati, in quanto presentano di cani-lupo. Naturalmente un AWD “tundra interior”, linea “messicana”, una percentuale altissima di patri- che deriverà dall’incrocio di un Lupo linea “mckanzie”, linea “white”, linea monio genetico derivante dal lupo; canadese per un Malamute, pre“black phase”, ecc... Per gli incroci questi soggetti sono, sia nel compor- senterà caratteristiche diverse da sono stati utilizzati Alaskan Malamu- tamento che nella morfologia, molto un AWD derivante da un Husky pur te, Siberian Husky, Pastori tedeschi affini ad esso. I “Mid” ed i “Low” pre- essendo, ripeto, il carattere anceed altre razze di tipo nordico e di sentano un genotipo ed un fenoti- strale un carattere dominante, quintipo lupoide. In prima generazione la po più “canino”, con caratteristiche di in prima generazione pochissime morfologia del lupo è sempre domi- estetiche fortemente legale al cane, (o talvolta nessuna) caratteristiche nante poiché, come succede in tut- come ad esempio orecchie più gran- del cane saranno visibili. Sostanzialte le specie viventi, l’aspetto ance- di ed appuntite, manto uniforme, mente ci troveremo di fronte ad un strale è sempre quello che domina occhio scuro, eventuali depigmen- grosso lupo a tutti gli effetti, un lupo sul fenotipo “artificiale”, cioè quello tazioni del tartufo o delle unghie, in che però ha assunto un atteggiamanipolato dall’uomo. Pertanto, da alcuni casi presenza di speroni. Se mento e un carattere meno remissiquesti incroci si otterranno sempre e si va a valutare l’aspetto caratteriale vo e meno riservato rispetto al suo comunque ibridi molto affini ai trat- dell’AWD high content, si potrà cer- “parente” selvatico, quindi più geti morfologici del lupo, da cui discendono. Questo è il segreto che fa assumere a tali ibridi un aspetto affascinante che li rendono uguale al lupo, nel quale si notano tutti quei tratti somatici e quelle doti morfologiche che contraddistinguono il lupo nord-americano: zampe allungate, teste ampie, tronchi lunghi, taglia e masse muscolari eccezionalmente sviluppate, muso molto lungo, colorazioni tipiche dei lupi selvatici. Questo mix di caratteristiche estetiche non può che far rimanere a bocca aperta chiunque veda uno di questi esemplari passeggiare tranquillamente a fianco del suo proprietario, magari percorrendo una strada o passeggiando in un centro abitato. A sinistra un AWD maschio, a destra un soggetto di razza Cane Lupo Cecoslovacco “Ma questo è un lupo?”, è Foto di J.Pecorari la frase più comune. Non si può rispondere di sì, ma non si tamente comprendere che la loro stibile. Maestoso, impressionante, può rispondere neanche di no. indole è ben differente da quella di elegante, potente, agile, muscoloso, un cane ed è quindi da considerar- pesante… queste sono le principaQuestione di sangue si molto più impegnativo rispetto ad li caratteristiche che subito saltano La selezione dell’AWD, se di sele- una qualunque razza canina. all’occhio di chi osserva un AWD. zione si può parlare, si suddivide in Descrivere sommariamente l’a- Non è certamente un “cane” alla porbase alla percentuale di “sangue di spetto di un AWD non è semplice, tata di tutti; dedizione ed impegno lupo” presente nei soggetti prodotti poiché avendo inizi selettivi differenti costante sono i requisiti d’obbligo e anche in base alla generazione di e riscontrando nei rappresentanti di per un proprietario di AWD. Bisogna

Animali da compagnia

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

41


sempre tener presente che non si tratta del solito animale domestico, ma di un soggetto estremamente sensibile.

La legislazione Ma è legale detenere un esemplare di American Wolfdog? Secondo la Convenzione di Washington (CITES), in Italia, non è possibile detenere un lupo o un animale con il 96% di “sangue di lupo”, perché viene ritenuto un soggetto non sottoposto a selezione da parte dell’uomo; inoltre sono illegali (quindi sottoposti anche a sequestro, a meno che non vi sia una precisa autorizzazione) anche gli ibridi che nelle 4 generazioni precedenti abbiano subito l’incrocio con un lupo selvatico, pertanto saranno legali tutti i

dei lupi nord-americani. Negli ultimi anni in Italia sono stati effettuati diversi sequestri: in seguito alle perquisizioni, il personale della Forestale ha deferito all’Autorità Giudiziaria otto allevatori di Cane lupo Cecoslovacco per falso in atto pubblico, detenzione di specie protetta, violazione delle normative della Convenzione di Washington che tutela le specie di flora e fauna in via d’estinzione e violazione della legge sulla caccia. Sono stati sequestrati 35 esemplari (16 a Pistoia, 11 a Modena, 2 ad Alessandria, 5 a Cosenza e 1 a Salerno) di Cane lupo Cecoslovacco ibrido di prima generazione. Le indagini condotte dalla Forestale hanno evidenziato che alcuni allevatori avrebbero fatto accoppiare in maniera fraudolenta esemplari di

tre ad un lavoro di censimento tutti gli esemplari di questa categoria di “ibridi”, la ricerca di adeguati proprietari a cui poter attribuire l’affidamento o la cessione di uno di questi esemplari. In America e in Canada negli ultimi venti anni sono nati molti allevamenti di AWD, che pur producendo pochi esemplari cercano di soddisfare la richiesta in costante crescita non solo negli U.S.A., ma anche in Europa; enfatizzata anche un po’ dalla moda, che ha preso vita nell’immaginario collettivo grazie ad alcuni film famosi come la saga di “Twilight” od il “Trono di Spade”, dove i Lupi ausiliari dell’uomo hanno una parte da protagonisti. Ad oggi sono veramente pochissimi gli American Wolfdog presenti sul territorio nazionale italiano, ma il suo fascino e la sua crescente popolarità sui vari social network spingerà sicuramente molte altre persone a importare nuovi soggetti, attratte dalla fantasia di detenere un “quasi lupo” in casa.

Una precisazione doverosa

Soggetto maschio di American Wolfdog - foto di J.Pecorari soggetti a partire dalla quinta generazione in poi. In parole povere, è legale detenere un AWD, purché non presenti il lupo nelle 4 generazioni precedenti. Requisito opinabile, in quanto personalmente dubito che esistano dei protocolli di laboratorio che possano fornire in tempi brevi, mediante prelievo di materiale biologico, dei risultati certi in grado di documentare l’effettiva origine di un determinato esemplare, anche perché per far ciò in Italia dovrebbero essere campionati e classificati tutti i campioni biologici delle varie linee di origine, quindi dei vari ceppi originari

42

lupo cecoslovacco con lupe selvatiche provenienti dai Carpazi (Lupo europeo), dal Nord America (Lupo del Mackenzie) e in alcuni casi con lupi appenninici per migliorare le caratteristiche genetiche e morfologiche della razza.

Uno sforzo per il futuro Negli Stati Uniti esiste una associazione, di recente fondazione, la quale ha assunto l’obiettivo di tutelare in qualche modo l’AWD. Si tratta della U.S.A.W.A., acronimo di “United States of American Wolfdog Association”, che sta svolgendo, ol-

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

Mi permetto di aprire una parentesi: c’è un concetto che per molti allevatori seri, professionisti, caratterizzati da cultura e serietà è molto chiaro, ma purtroppo per molti altri “improvvisati” è ancora molto distante dalla propria filosofia… le razze sono state selezionate secondo un preciso criterio e quindi con la selezione applicata si sono via via scelti esemplari sempre più simili a quello che è richiesto e ricercato nello standard di razza. Introdurre un Lupo selvatico in maniera arbitraria in una determinata razza, seppur quest’ultima sia simile al lupo stesso come il Cecoslovacco, è un enorme passo indietro nella selezione e quindi non potrà che comportare dei danni irreversibili in un ceppo selezionato correttamente. Chiusa la parentesi. E chi vuol capire, capisca! Allevamento di Fossombrone http://www.difossombrone.it/ Federico Vinattieri www.difossombrone.it

Animali da compagnia


Le analisi del vino in una produzione “fai da te” Elementi introduttivi delle analisi chimiche per una vinificazione casalinga di

Marco Sollazzo

U

Agroalimentare italiano

parabili dovuti al “fai da te”.

Quando e quali analisi da richiedere al laboratorio Professionalmente parlando, le analisi chimiche sono necessarie in ogni step del processo produttivo: dal monitoraggio delle uve durante la loro maturazione, alla fase di mosto, dopo la fermentazione alcolica, dopo eventuali correzioni, prima dell’imbottigliamento ed una volta che il vino è stato imbottigliato. Un produttore hobbistico, producendo generalmente poche centinaia di litri, deve necessariamente trovare un compromesso tra il controllo della qualità del vino ed il costo da sostenere. La spesa risulta relativamente

economica se consideriamo che un analisi per campione di vino, costa tra i 10 e i 15 euro. Partendo da questo riflessione, ver-

ranno in seguito illustrate solo le analisi comunemente eseguite nella maggior parte delle produzioni hobbistiche, senza allargare il discorso su analisi più mirate e adottate per una produzione più professionale. Qualsiasi campione di uva, di mosto o di vino per essere analizzato correttamente deve essere rappresentativo ed omogeneo. Per avere dei risultati accurati, le analisi devono essere eseguite lo stesso giorno del campione raccolto. - Nelle uve, il grado zuccherino dell’uva e l’acidità totale, rappresentano ancora i parametri più utilizzati per decidere l’epoca di raccolta. Il monitoraggio delle uve può essere fatto solo parzialmente da un hobbista attraverso l’uso di rifrattometro portatile per il controllo zuccherino dell’uva. Il valore dell’acidità totale può essere richiesto attraverso analisi di laboratorio. I profili di maturazione delle uve possono essere molto diversi, a seconda della varietà, del suolo, dell’annata, ecc. - Nel mosto, il grado zuccherino viene ottenuto mediante l’uso di densimetro (il più comune è il mostimetro Babo). Il risultato del grado babo deve esse-

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

Agroalimentare italiano

na procedura sottovalutata ma fondamentale nel migliorare la produzione casalinga di vino è il controllo analitico del vino presso un laboratorio specializzato. Le informazioni raccolte hanno lo scopo di intervenire in maniera mirata sul vino, evitando l’uso e abuso di additivi, a volte superflui, che ne compromettono le qualità organolettiche del vino. Secondariamente i risultati delle analisi permettono al produttore di migliorare e conservare al meglio il vino prodotto nel corso degli anni. Tutte le analisi devono essere riportate dal laboratorio con la rispettiva unità di misura e con la metodica utilizzata per la determinazione del risultato, poiché alcuni strumenti risultano più accurati e presentano meno margine di errore. In ogni caso, è interesse del cliente richiedere entrambe le informazioni al laboratorio consultato per interpretare meglio i risultati. Una volta acquisiti i dati analitici è bene consultare uno specialista del settore (preferibilmente esterno al laboratorio chimico), per scegliere come ottimizzare le eventuali addizioni al vino senza snaturarlo ed evitare il rischio di errori irre-

43


re corretto alla solforosa litemperatura di bera, svolge riferimento e efficacemente poi conseguenun’azione antemente è postiossidante e sibile ottenere antimicrobica una stima del all’interno del grado alcolico vino. La solpotenziale con forosa libera l’uso di apposiè importante tabelle (fig.1). te perché da - Nel vino, dopo essa dipende il la fermentaziobuono stato di ne, le analisi conservazione generalmente del vino, poirichieste presso ché protegge un laboratorio il vino quando specializzato questo è espocomprendosto all’aria per no: i travasi e le di1) Alcool: ossia verse operazioè la misurazioni enologiche ne della grada(vedi articolo “I zione alcolica solfiti in enoloFig.1 - Utilizzo di un mostimetro babo e della lettura dell’alcool del vino. E’ un gia” - TerrAmipotenziale attraverso grado babo letto a 20°C parametro fonca num. 2). damentale richiesto dal consumato- che, atte ad evitare il contatto pro- 6) pH: è la misurazione della conre e offre al produttore un’idea della lungato del vino con l’aria e aggiun- centrazione idrogenionica all’interno stabilità chimico-fisico e microbiolo- gendo dosi minime ma necessarie di del vino. E’ un parametro che regosolforosa. gica del vino. la diversi equilibri, come il rapporto 2) Acidità totale: è la misurazione de- 4) Solforosa totale: indica la quantità della solforosa totale e libera, l’ecogli acidi titolabili logia microbica a pH 7 presenti all’interno del nel vino. Tale mosto e del valore è molto vino (quindi importante perdella possibile ché esso coriuscita della stituisce parte fermentazione fondamentale malo lattica), di un corpo del etc. Generalvino, della sua mente il vino freschezza e bianco ha un del suo potenpH compreso ziale invecchiatra 3-3,3 menmento. tre un rosso 3) Acidità voha un pH più Tab.1 - Tabella riassuntiva dei principali parametri necessari latile: è la alto compreper valutare la composizione chimica del vino. misurazione so tra i 3,3 e *Il range medio consigliato è riportato per un vino fermo della frazione 3,5. Valori più secco dopo essere stato imbottigliato. degli acidi voalti possono latili presenti nel vino, in particolare totale di solfiti presenti nel vino. Per compromettere la qualità del vino e dell’acido acetico (è un parametro di legge, i limiti massimi ammessi sono l’insorgere di alterazioni microbioloqualità del vino). Tale valore incre- 160 mg/L nei vini rossi e 200 mg/L giche (tab.1). menta con la quantità di aria a cui nei vini bianchi. Anche i ceppi di lieè a contatto il vino: sopra ad 1 g/L il vito, con il loro metabolismo, posso- Dr. Marco Sollazzo vino non può essere commercializ- no incrementare il valore finale. Laureato in Viticoltuzato ed ha come destinazione mer- 5) Solforosa libera: è la misuraziora ed enologia ceologica l’acetificio. Per prevenire ne della frazione libera della solfosollazzo.marco@ hotmail.it valori alti di acidità volatile occorre rosa. Solo la solforosa molecolare, seguire le buone pratiche enologi- una piccolissima percentuale della

44

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

Agroalimentare italiano


Il salame campagnolo Alcuni consigli pratici per preparare e conservare il tradizionale salame campagnolo prodotto in ambito casalingo di

Mario Francesco Carpentieri

N

el mondo commerciale e negli usi e consuetudini, l’animale viene diviso in cinque quartini. La carcassa rappresenta tre quartini: il primo quartino è composto da guanciale, coppetto, coppa, spalla, 4 puntine e il piedino. Il secondo quartino è composto da pancettone, costine, filetto, lonza e la culaccia (arrosto di codino). Il terzo quartino è composto dalla coscia, coda, stinco e piedino. La testa forma il quarto quartino e le frattaglie (cuore, diaframma, polmone, milza, trachea ed esofago ) formano il quinto quartino.

Preparazione dell’impasto I concetti fondamentali per preparare un buon impasto sono: • corretta pulizia personale, degli strumenti e del locale per ridurre l’inquinamento delle carni; • utilizzo di carni provenienti da animali sopranno, sani, non stressati e con un buon ingrassamento; • rapido raffreddamento delle mezzene tagliate in quartini prima della mondatura; • asportazione delle chiazze di sangue e del grasso spugnoso superficiale, prima di iniziare il disosso a seguire la snervatura e mondatura delle parti magre, con una cernita accurata e raggruppamento delle carni in tagli di 1ª, 2ª e 3 ª scelta. Per le parti grasse si scarta il grasso molle e quello spugnoso e si usa solo grasso duro (solido compatto); • utilizzo di un buon

Agroalimentare italiano

rapporto tra parte magra (1ª scelta 75%) e parte grassa (25%); • macinatura eseguita con trafila da 8mm, con taglio vivo, in modo da evitare il riscaldamento della carne; • utilizzo di una dose di sale marino (grana media) non inferiore ai 23g/ kg, indispensabile a garantire una corretta conservazione; • l’aggiunta di spezie e aromi ben conservati: pepe nero intero o mezza grana, dose 1g/kg - vino rosso giovane (poco alcolico) di qualità, dose 15ml/kg - aglio intero (in camicia) in infusione per 3 - 4 ore, dose 2 spicchi in 150ml - altre eventuali spezie (che modificano l’odore ed il sapore ma, ricordiamoci, non migliorano la conservazione) come: noce moscata, cannella, coriandolo, chiodi di garofano e macis, dose consigliata 0,5g/kg; • gli additivi sempre discussi (ma utili): il nitrato di potassio (E252 - salni-

tro), azione secondaria: conservante, dose consigliata 100mg/kg e lo zucchero (destrosio e saccarosio), funzione: aiuta la fermentazione batterica, per carni mature dose consigliata 3g/kg; • modalità dell’impastamento che deve essere lungo e lento, fatto in due fasi: la prima ha la funzione di distribuire in modo uniforme gli ingredienti per cui non bisogna schiacciare, mano aperta a modo di zampa di gallina, movimento rototraslatorio superficiale, questa operazione prevede il rivoltamento di tutto l’impasto per cinque/sei volte. La seconda fase ha la funzione di agire sul collagene, in questa fase le dita sono chiuse (a pugno) e si esercita una pressione di spinta e traslazione nell’impasto. Questa operazione prevede il rivoltamento dell’impasto per quattro volte, oppure sarà considerata terminata quando prendendo in mano una polpetta di impasto e rivoltando la mano aperta, l’impasto stenterà a cadere perché avrà creato un’adesione (collante) con la mano; • l’utilizzo di budelli naturali di 1ª scelta, di dimensioni medie “crespone o cresponetto” (colon suino), ben conservati sotto sale e preparati con acqua tiepida e limoni a spicchi o rondelle, da 4 a 6 ore prima dell’uso.

Sgocciolatura ed asciugamento Per asciugatura si deve intendere la fase in cui la carne subisce un processo fermentativo,

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

45


Allevamento semibrado di suini quando si parla di fermentazione si intende il processo di moltiplicazione batterica con demolizione degli zuccheri e produzione di acido lattico che provoca un aumento dell’acidità dell’impasto e perdita dell’acqua presente in eccesso senza legame. E’ una fase molto delicata, in quanto un’asciugatura rapida porta ad un’eccessiva disidratazione o ad incrostamenti con proliferazione batterica non selezionata con possibile produzione di odori e sapori sgradevoli. Il locale in cui si effettua questa attività deve essere adeguato, riscaldabile e areato. I salami assorbono gli odori, quindi il locale deve essere sgombro e areato almeno un’ora al giorno (nelle ore più fredde). Per produrre calore utilizzare stufe (con tiraggio al minimo) o altro che non produca fumo o odori anomali. Sulla fonte di calore andrà posizionato un grosso con-

46

tenitore a bocca aperta (ma copribile), che porti facilmente all’evaporazione dell’acqua contenuta, il calore immesso nel locale deve esser molto contenuto. Mentre per togliere l’umidità si utilizza un deumidificatore è sconsigliato utilizzare ventilatori o creare correnti d’aria. La durata dell’asciugatura è di circa 8-10 giorni, durante questo periodo i salumi devono essere posizionati distanziati tra di loro di almeno 10cm, posizionando i salumi più piccoli, lontano dalla fonte di calore ed in basso. Fase di gocciolamento: terminato il lavoro del norcino, si può iniziare subito con l’asciugatura oppure far riposare l’insaccato per qualche ora in ambiente freddo 4-5°C per permettere al sale di agire stabilizzando la carne, questo mai a temperatura ambiente. Questa fase ha la funzione di attivare la fermentazione, il fermento è qualcosa di vivo (batteri lattici e micrococchi) che porterà ad un cambiamento dello stato fisico chimico della massa; per aiutare questi batteri, gli insaccati vanno portati a temperature al cuore intorno ai 20-22°C, senza togliere umidità all’ambiente che in questa fase (durata 10- 15 ore) è libera 99%. Fase di asciugatura: in questa fase avviene l’acidificazione dell’impasto, aumenta la coesione della farcia. E’ una fase delicata in quanto si ha un importante calo di peso e il budello deve ritirarsi gradualmente rimanendo aderente all’impasto senza perdere in traspirazione. In questa fase ogni giorno occorre controllare il prodotto e si procede nel seguente modo: 1. Controllo olfattivo: annusare aria e prodotto per sentire se vi sono odori anomali; 2. Controllo visivo: guardare l’aspetto esterno per escludere segni di al-

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

terazioni, eccesso di umidità presenza di patine untuose, budello secco con aspetto di carta pergamena o distacco, muffe eccessive, etc; 3. Controllo tattile: toccare il prodotto per sentire l’umidità, superficiale e la pastosità. Deve esserci un equilibrio di umidità tra la testa del salame che tende a seccare e il fondo che tende a rimanere umido, il budello deve presentarsi asciutto ma morbido e alla compressione deve essere elastico, non deve rimanere l’impronta. Per brevità vi rimandiamo a: http:// www.forumdiagraria.org/norcineria-f90/fasi-maturazione-t33277.html nel pdf fasi maturazione troverete i programmi per le diverse tipologie di salami. Note: per controllare i valori ambientali dell’asciugatura, occorre utilizzare un termometro ed un igrometro o meglio un Termoigrometro; esso è uno strumento e come tutti gli strumenti occorre ricordarsi periodicamente di tararlo. Un modo per verificare che la fase di asciugatura si sia conclusa correttamente è il controllo del calo di peso che deve essere tra il 10 e il 15%. Lo si fa pesando alcuni salami (identificati) prima di appenderli e ripesandoli a fine asciugatura. La formazione iniziale di muffa deve essere bianca o grigia e non folta o lunga, se così non fosse, vorrebbe dire che il salame ha perso poca umidità.

La stagionatura Per stagionatura di un salame si intende quella fase in cui l’impasto fermentato completa l’asciugatura e raffina le caratteristiche organolettiche in quanto i batteri hanno terminato la demolizione, digestione degli zuccheri ed inizia la seconda fase, cioè la fase di autodigestione enzimatica che provoca la trasformazione della carne in salume con liberazione di acidi grassi volatili che conferiscono gli aromi caratteristici. Questo processo avviene in ambienti in cui non si hanno grande variazioni di umidità e temperatura e con ricambi di aria giornalieri che creano un microclima dedicato al tipo di prodotto. I locali devono essere bui. Per la stagionatura si consiglia una temperatura di 12-14°C e un’umidità tra 80% e 88% con ricambi d’aria lenti.

Agroalimentare italiano


La stagionatura dipende dal sistema di lavorazione, dalle dimensioni del prodotto e dalla percentuale di grasso, dal tipo di budello. Con dimensioni e budello idonei (Culare di scrofa) si possono anche superare i 12 mesi di stagionatura, che è il massimo per il prodotto. Il salame per essere commestibile e gradevole al palato deve avere un’acidità massima di pH 4,9 (meglio 5,2-5,3) dopo 10 gg di fermentazione, che risalirà fino a pH 5,9 dopo 3 mesi di stagionatura se ci sarà un

Agroalimentare italiano

muffa bianca ben sviluppata. Questo tipo di prodotto per esprimere delle buone note di aromi caratteristici necessita di almeno 5-6 mesi di stagionatura. Il calo di peso medio a 5 mesi di stagionatura varia dal 25 al 30% su un salame prodotto con carni mature di animali sopranno, mediamente in semibrado si hanno animali di 24 mesi con peso vivo oltre i 220kg, mentre per salami prodotti con carni di animali troppo giovani si parla di un calo, sempre per i 5 mesi di sta-

gionatura, intorno al 45%. Un salame stagionato e ben conservato si presenta con budello aderente e ricoperto di muffe bianche o grigio-verde, di consistenza compatta ma non dura. Alla percussione il suono è ottuso su tutta la superficie e l’odore è delicato e fragrante. La temperatura non deve mai superare i 18°C, rischio l’irrancidimento, mentre per l’umidità se inferiore all’80%, il prodotto tende a seccare ed alla masticazione si presenterà stopposo e legnoso, mentre se supera il 90% si sviluppa troppa muffa, conferendo odore sgradevole al prodotto. Si ringrazia l’Associazione Norcini Bergamaschi nella persona del Dr. Gualtiero Borella per la grande disponibilità.

Mario Francesco Carpentieri mariofcrp@ gmail.com

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

47


La Ricotta di

Cesare Ribolzi

L

a ricotta è un prodotto derivato dal latte non classificato come formaggio ma come latticino in quanto per la sua produzione non viene utilizzato il caglio. In realtà se consideriamo, come vedremo, che viene prodotta a partire dal siero di latte il quale è ottenuto come sottoprodotto della produzione del formaggio, il caglio in realtà ha qualcosa a che fare con la produzione della ricotta. La sua origine è molto antica dato che era già prodotta e conosciuta fin dai tempi dei romani e dei greci. Il suo nome infatti deriva dal latino ‘recoctus’, che significa cotto due volte o ricotto in quanto dopo il riscaldamento del latte per produrre formaggio, si scalda nuovamente il siero per la sua produzione. La ricotta viene ottenuta principalmente dal siero del latte ovino, vaccino, caprino, bufalino o da loro miscele. A seconda del tipo di siero utilizzato, si ottiene una ricotta con caratteristiche diverse, sia per quanto riguarda la tessitura che per i profumi ed il gusto. Viene considerato un sottoprodotto dell’industria casearia anche se in realtà viene prodotta in quantitativi del tutto rispettabili e quindi riveste un’importanza economica certamente non trascurabile. Questo prodotto in Italia è molto conosciuto ed apprezzato ma non altrettanto all’estero per la semplice ragione che non se ne conoscono bene gli utilizzi. Può essere consumata tal quale o come ingrediente per paste farcite o dolci, dai ravioli ai cannelloni, dalle crostate ai

cannoli o nelle salse, può essere impastata con aromi ed infornata. Il suo utilizzo si estende anche al prodotto salato e stagionato o affumicato, in versione da grattugia.

Qualche nozione tecnica Tra i costituenti del latte, ci sono le proteine, di importanza fondamentale per l’industria casearia. Le proteine del latte possono essere distinte principalmente in 2 famiglie: le caseine e le siero proteine. Le caseine sono le proteine che vanno a produrre il formaggio mentre le siero proteine vanno a produrre la ricotta. Quando facciamo formaggio, utilizziamo il caglio, che sappiamo essere a sua volta una proteina, ma enzimatica, che svolge quindi una funzione. La chimosina, il suo ‘principio attivo’, ha infatti il compito di tagliare la k-caseina in 2 spezzoni, agendo tra 2 precisi amminoacidi, che sono la fenilalanina in posizione 105 e la metionina in posizione 106. Mentre la caseina integra, allo stato nativo, si mantiene in dispersione nel latte, i 2 spezzoni risultanti dopo l’ azione del caglio, non possono più esserlo e quindi formano delle micelle di caseina che si separano dal plasma latteo precipitando e inducendo nel latte il passaggio di fase

Le sieroproteine si denaturano

48

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

Spannarola

visibile, da liquido a gel. Otteniamo quindi da un lato il formaggio e dall’ altro il siero di latte. La chimosina è un enzima molto specifico che ‘funziona’ sulla k-caseina mentre lascia inalterate le proteine del siero del latte, principalmente le lattoalbumine e le lattoglobuline. Queste proteine che sono presenti in quantità ridotta ma non trascurabile, rivestono un interessante ruolo nell’alimentazione umana in quanto contengono degli amminoacidi essenziali, che non siamo in grado di produrre nel nostro organismo ma dobbiamo necessariamente introdurre attraverso la nostra dieta. Sono gli amminoacidi solforati: metionina e cisteina.

Produzione della ricotta Le sieroproteine possono essere recuperate dal siero, sottoponendolo ad un’azione combinata di calore e destabilizzazione acida o salina. Questo significa che se scaldiamo il siero oltre la temperatura di denaturazione delle sieroproteine ed

Cavatura

Agroalimentare italiano


aggiungiamo una soluzione acida o salina, induciamo la flocculazione e la separazione delle sieroproteine che verranno a galla e potranno essere raccolte sotto forma di ricotta. A differenza del formaggio che precipita sul fondo della caldaia, la ricotta risale in superficie e viene raccolta utilizzando dei particolari attrezzi detti spannarole. In realtà sono delle spannarole forate per favorire lo sgrondo della scotta dalla ricotta durante il trasferimento nelle fuscelle. La scotta è il nome con cui si indica il siero dopo che è stata prodotta la ricotta. Fondamentalmente la ricotta può essere prodotta aggiungendo al siero riscaldato attorno agli 85 °C una soluzione acida oppure una soluzione di sali di sodio e di magnesio. E’ importante determinare l’acidità del siero ed eventualmente correggerla prima dell’ inizio del riscaldamento. Sieri troppo acidi producono ricotta di qualità scadente. Una curiosità: in Romagna esistono delle fonti naturali di acque che per il loro contenuto salino, sono da sempre utilizzate come coadiuvante naturale nella produzione della ricotta.

Agroalimentare italiano

In Puglia talora invece viene utilizzata acqua di mare per produrre ricotta direttamente dal latte.

Qualità e caratteristiche Importante è la natura del siero sulla qualità della ricotta prodotta: dal siero ovino e bufalino si ottiene un prodotto più morbido e cremoso rispetto a quello ottenuto da siero di latte vaccino o caprino. In particolare la Ricotta da siero vaccino risulta meno fine delle altre e per migliorarne la qualità si aggiunge una percentuale di latte attorno al 5% quando il siero ha raggiunto una temperatura di almeno 65 °C. Se l’aggiunta viene effettuata a temperatura più bassa, il caglio contenuto nel siero farà coagulare il latte e nella ricotta troveremo degli ‘stoppini’ di caseina che invece di migliorare la qualità, la peggiorano. Oltre i 65 °C la chimosina viene denaturata dal calore e perde attività non inducendo più coagulazione del latte. La ricotta è un prodotto interessante anche sotto il profilo della digeribilità in quanto costituito da proteine denaturate e quindi più facilmente ag-

gredibili nel nostro sistema digerente. Per la stessa ragione però è un prodotto molto delicato e facilmente deteriorabile. Un modo per allungare la sua durata è la salatura o l’affumicagione che consentono di conservare di più il prodotto. La ricotta salata ha una durata di mesi e può essere usata come condimento, grattugiandola sulle nostre pietanze.

Una ricetta sfiziosa Spaghetti conditi con una salsina fatta per metà da ricotta di capra e per metà da pesto di pistacchi, allungata con dell’ acqua di cottura. Una vera delizia. E come dessert, che ne dite di ricotta freschissima di pecora impastata con confettura di mirtillo? Ho avuto il piacere di provarla in Sardegna ed è qualcosa da non perdere. Caseificio Norden s.a.s. www.norden.eu

Dr. Cesare Ribolzi Casaro

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

49


Il fungo Piopparello Abbastanza diffuso, è molto amato dai cercatori di funghi per la sua abbondanza in natura e bontà in cucina di

Matteo Ioriatti

I

l piopparello, Agrocybe aegerita, è un fungo piuttosto comune soprattutto in pianura, dove è molto ricercato non solo per la sua diffusione e abbondanza nei luoghi di crescita, ma anche e soprattutto per la sua bontà in cucina.

Dove trovarlo

E’ un fungo molto apprezzato che solitamente si sviluppa in gruppo (gregario), spesso cespitoso. Da

Nelle passeggiate in campagna capita spesso di incontrare alberi vecchi o morenti (di solito pioppi) sui quali questo fungo ama crescere. Si tratta infatti di un fungo che attacca dapprima le piante malate (fungo saprofita) per poi continuare a decomporre la sostanza organica una volta che sono morte (fungo paras-

giovane si presenta con una colorazione piuttosto scura che tende a schiarirsi notevolmente con la maturazione dello sporoforo avvicinandosi a tonalità nocciola/biancastre. Le lamelle sono sottili, fitte e decorrenti (scendono lungo il gambo), dapprima biancastre, poi brune a maturazione completa. Il gambo è anch’esso biancastro, cilindrico, con una struttura fibrosa, dotato di un anello importante. La carne si presenta soda, compatta; il sapore è assai

sita). Svolge quindi un ruolo di primaria importanza nella catena della vita dei sistemi naturali, permettendo il continuo rinnovo del “sistema bosco”. Proprio questa caratteristica ci aiuta nell’individuazione degli habitat più adatti per il proprio sviluppo. Concentriamoci anzitutto sulle piante di pioppo, ovviamente non su alberi vigorosi ma tendenzialmente sofferenti e preferibilmente di grosse dimensioni; proprio su questi il nostro fungo ama crescere, potenzial-

Ambiente, foreste e natura

Caratteristiche

50

gradevole con note di nocciola.

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

mente sia sulle radici che salendo lungo il tronco (attenti a non cadere!). I punti migliori sono però rappresentati dalle cavernette o dalle cavità: è proprio qua che potremmo imbatterci in famiglie abbondanti di piopparello, magari passate inosservate alla vista della concorrenza. Cresce dall’inizio della primavera fino al tardo autunno a seconda delle condizioni climatiche; i periodi migliori sono di solito quelli di tarda

primavera e l’autunno. Ha una buona diffusione lungo tutta la penisola ma, mentre in pianura è facile trovarlo, salendo di altitudine diviene sempre più raro. Buona caccia!

Matteo Ioriatti Micologo mado95 @hotmail.it

Ambiente, foreste e natura


Ambiente, foreste e natura

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

51


La Portulaca Una pianta erbacea recentemente rivalutata per le sue proprietà medicamentose e nutrizionali di

Nino Bertozzi

L

a Portulaca (Portulaca oleracea L.) è una pianta erbacea succulenta della famiglia delle Portulacaceae. Fu Linneo, famoso botanico del XVIII secolo, a conferirgli il nome odierno “Portulaca oleracea” (dal latino portula, piccola porta e oleraceus, pianta coltivata) per il modo in cui il seme di questa pianta si apre, che assomiglia ad una piccola porta.

Descrizione La pianta è annuale, raggiunge un’altezza massima di 30-35 cm ed è caratterizzata da fusti carnosi, striscianti e ramificati di colore marrone-rossastro e da foglie ovali color verde chiaro, anch’esse carnose, con un breve picciolo. La prima fase vegetativa è strisciante, la pianta rimane al livello del terreno, per poi raggiungere una posizione eretta nella fase adulta. Fiorisce in autunno, i fiori sono piccoli e per nulla appariscenti, gialli, all'ascella delle foglie, con 5 petali, si aprono per poche ore durante il mattino, soltanto quando c'è il sole. Originaria dell’India, oggi è diffusa in quasi tutte le zone a clima temperato del mondo. In Italia la Portulaca cresce un po’ ovunque ed è considerata alla stregua di un’infestante. La si può trovare facilmente negli orti, lungo le sponde di fossati, nei campi, accanto ai marciapiedi e nei campi incolti. E’ conosciuta nelle diverse regioni d’Italia con diversi nomi quali: porcellana comune, porcacchia, sportellecchia, erba grassa, erba dei porci, ecc.

52

La Portulaca oleacea è una tipica infestante del terreno lavorato, se la trovate nell’orto e la riconoscete potete lasciarla sviluppare in una parte di terreno in modo da gustarla in insalata. Coltivarla è molto semplice, in quanto la pianta non chiede molto; difatti basta tenerla in pieno sole su terreno ben sciolto ed irrigare spesso a piccole dosi senza creare ristagni. Si propaga per seme, da piantare in primavera, ma anche per talea: i rami della portulaca che si espandono possono radicarsi for-

mando una pianta che potrà essere separata dalla pianta madre. Inoltre la Portulaca emette radici avventizie che le permettono, anche se tagliata, di continuare a vegetare; i fusti infatti possono rimanere vitali per lungo tempo, soprattutto in condizioni di

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

umidità ottimale e sono facilmente utilizzabili per la propagazione della pianta.

Proprietà Fra tutte le malerbe cittadine, la Portulaca è probabilmente una tra le erbe mangerecce più conosciute. Fin dall’antichità era conosciuta ed apprezzata, antichi scrittori greci e latini ne parlavano e la descrivevano minutamente, mettendone in risalto i pregi. Già nell’antico Egitto era usata come erba medicinale e la sua fama nel Medioevo, epoca in cui veniva coltivata nei monasteri, raggiungeva anche i paesi arabi. Il consumo della Portulaca, che era d’uso anche nella penisola italiana, è andato via via scemando, fino a venire riscoperto recentemente, successivamente alla divulgazione di studi che attestano le sue notevoli proprietà nutrizionali e medicamentose. La reintroduzione della Portaluca nella nostra dieta è caldeggiata da molti nutrizionisti per le particolari caratteristiche degli acidi grassi che contiene. Infatti è una delle maggiori fonti vegetali di acidi grassi Omega-3; 100 grammi di foglie di Portulaca contengono all’incirca 350 mg di acido α-linolenico (acidi grassi facenti parte del gruppo di Omega-3). Oltre agli Omega-3 la Portulaca contiene buone quantità di vitamina A, vitamina C e alcune vitamine del gruppo B.

Ambiente, foreste e natura


Per la sua ricchezza di vitamina C in passato veniva utilizzata dai marinai come pianta antiscorbuto, durante i lunghi periodi di navigazione. Troviamo inoltre sali minerali: ferro, potassio, magnesio, fosforo, zinco, selenio e calcio. Tra le sostanze contenute nella Portulaca vi sono anche mucillagini, flavonoidi, e betalaine.

Utilizzi a scopo medicinale In particolare è utile per l’uso esterno su alcune patologie della pelle come ulcere, eczemi, acne e per lenire le punture d’insetto. E’ utile altresì per combattere la tosse, le bronchiti e la febbre. In tal caso viene usata come infuso trami-

te il quale si favorisce la fluidificazione dei muchi bronchiali e la loro successiva eliminazione, oltre a sedare la tosse e combattere la febbre. Per il suo alto contenuto di mucillaggini la Portulaca può essere sfruttata anche per rimediare casi di infiammazione intestinale ed infezioni urinarie. Ha inoltre un’azione vermifuga, diuretica, rinfrescante e depurativa.

Come mangiarla Tutta la parte aerea della Portulaca è commestibile: foglie, fiori, semi e fusto. In particolare in cucina vengono utilizzate le foglie e gli steli più tene-

Ambiente, foreste e natura

ri, crudi o cotti; ma è senza dubbio mangiandoli crudi che il nostro organismo trae maggiore vantaggio, in quanto si mantengono inalterate le vitamine ed i sali minerali che con la cottura andrebbero distrutti. La pianta si può utilizzare nelle classiche insalate di pomodori, cetrioli e cipolle, condite con olio, aceto e origano e con eventuale aggiunta di altri ingredienti, come ad esempio acciughe e capperi. Mangiata cruda ha un leggero sapore salato e acidulo molto particolare, simile a quello del limone. La Portulaca viene aggiunta anche nelle zuppe con ottimi risultati sia per il gusto che per le mucillagini che danno densità ai brodi. Si può aggiungere alla frittate e si può con-

nero) Preparazione Mettere in un pentolino l'acqua con l'aceto, il sale e gli spicchi d'aglio e portare a ebollizione. Stipare la portulaca in due barattoli capienti. Versarvi la miscela di aceto ed i semi di senape nera e nigella, quindi chiudere i barattoli. Conservare in frigo per una settimana prima di consumare. Nella cure per la bronchite • Infuso: aggiungere 10 gr di foglie secche ad una grossa scodella di acqua bollente; coprire con un coperchio lasciare riposare 3 minuti prima di filtrare. Prenderne tre tazze al giorno Per i vermi intestinalli • Infuso: mettere 25 gr di foglie e

sumare cotta come contorno, con la sola aggiunta di olio e limone o di altri aromi. In diverse località italiane è tradizionale la conservazione delle foglie e dei rametti più teneri sotto aceto, da impiegare poi per antipasti.

sommità fiorite in mezzo litro di acqua bollente. Filtrare dopo qualche minuto e prendere tre tazze di infuso caldo al giorno. Per la febbre • Tisana: lasciare macerare per diverse ore 10 gr di sommità fiorite in mezzo litro d'acqua. Filtrare la tisana e prenderne 3 tazzine calde nel corso della giornata.

Portulaca sottaceto Ingredienti 2-3 tazze di foglie e steli di portulaca 250ml acqua 250ml aceto bianco 2 spicchi d'aglio 1 cucchiaino sale 1 cucchiaino semi di senape nera 1 cucchiaino semi di nigella (cumino

Nino Bertozzi Appassionato orticoltore

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

53


L’imprenditore agricolo Analizziamo nel dettaglio la differenza fra imprenditore agricolo e coltivatore diretto di Ivano

Cimatti

S

54

econdo l’art 2135 del Codice Civile, come modificato dal Decreto Legislativo 18 maggio 2001 n. 228 (“Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell’art. 7 della legge 5 marzo

commercializzazione e non per autoconsumo. Le attività di trasformazione e simili possono avere ad oggetto anche prodotti acquistati da terzi, purché risultino prevalenti i prodotti propri. Al riguardo, si evidenzia che,

2001, n. 57”) è imprenditore agricolo il soggetto che esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. Tale definizione vale sia per le persone fisiche che per le persone diverse da quelle fisiche (società di persone, società di ca-pitali, società cooperative). L’imprenditore agricolo definito dal Codice Civile rappresenta la figura più “semplice” di imprenditore operante in agricoltura. Al fine di poter attribuire ad un soggetto la qualifica di Imprenditore agricolo ai sensi del Codice Civile, giusta la citata definizione della nozione d’imprenditorialità, il soggetto deve produrre per la

al fine di verificare la prevalenza, è necessario confrontare in termini quantitativi i beni ottenuti dall’attività agricola principale e i prodotti acquistati da terzi, fermo restando che i prodotti acquistati devono comunque essere prodotti agricoli (ad esempio, uva per la produzione del vino). Infine, aspetto più innovativo della norma, sono ricondotte all’area dell’impresa agricola le attività dirette alla fornitura di servizi, a condizione che la maggior parte delle attrezzature impiegate per le prestazioni di servizi siano anche utilizzate normalmente nell’azienda agricola. Da un punto di vista burocratico-amministrativo, l’imprenditore agricolo,

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

in quanto imprenditore, deve ordinariamente essere in regola con gli adempimenti che la normativa prescrive per qualsiasi imprenditore e quindi deve essere in possesso di iscrizione I.V.A. per l’attività agricola; inoltre, tranne che per i soggetti rientranti in categorie esentate, deve essere in possesso d’iscrizione alla C.C.I.A.A. per l’attività agricola e all’INPS per la previdenza agricola. Occorre infatti tenere conto che le norme di settore (civilistiche e previdenziali) relativamente ad alcune categorie di soggetti (in genere per volumi di affari o dimensioni aziendali inferiori a certi limiti) non richiedono l’iscrizione alla C.C.I.A.A. e/o all’I.N.P.S.; pertanto possono essere considerati imprenditori agricoli, anche senza essere iscritti alla C.C.I.A.A. o all’I.N.P.S., i soggetti rientranti in tali categorie esentate. Il soggetto che esercita attività agricola, nella specie la coltivazione del fondo e/o selvicoltura e/o allevamento di animali e/o attività connesse, che risulta essere in possesso di Partita IVA per l’attività agricola può essere considerato imprenditore agricolo ex art. 2135 c.c., senza necessità di ulteriori accertamenti, anche laddove eserciti in modo prevalente un’altra attività. Il possesso dei requisiti di imprenditore agricolo, ex art. 2135 c.c., non è comunque di per sé sufficiente per l’accesso a tutte le agevolazioni previste per il settore agricolo dalle varie normative. Molte di tali agevolazioni sono infatti riservate alle figure professionali che saranno descritte infra. La prima figura di professionista in agricoltura è quello del coltivatore diretto, il quale è il soggetto che svolga abitualmente e manualmente

Ambiente, foreste e natura


la propria attività in agricoltura, sempreché con la forza lavoro propria e del nucleo famigliare sia in grado di fornire almeno un terzo della forza lavoro complessiva richiesta dalla normale conduzione dell’azienda agricola. È definito coltivatore diretto “il piccolo imprenditore che svolge attività agricola, organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e della propria famiglia (art. 2083 c.c.) e che si dedica abitualmente alla coltivazione del fondo o all’allevamento del bestiame, sempre che la forza lavorativa totale del nucleo familiare non sia inferiore a 1/3 di quella necessaria per la corretta coltivazione del fondo stesso e per l’allevamento del bestiame”. Configurazione che è ulteriormente disciplinata, fra l’altro, dalle leggi nn.604/54, 454/61, 590/65, 203/82 e successive modifiche ed integrazioni, fino al recente Decreto Legislativo 228/2001). La figura del coltivatore diretto è quindi riferita a requisiti di carattere sia soggettivo che aziendale. Differenziandosi, per ciò, nettamente dal concetto di imprenditore agricolo e di imprenditore agricolo professionale che sono, invece, riferiti e connessi a requisiti di carattere esclusivamente soggettivo. Il coltivatore diretto è un imprenditore agricolo che si avvale esclusivamente o prevalentemente di manodopera familiare, mentre “l’imprenditore agricolo conduttore” si avvale prevalentemente di manodopera salariata. Si precisa che il coltivatore diretto è considerato “imprenditore agricolo”, anche qualora non abbia la titolarità formale della azienda agricola, come nell’ipotesi del coltivatore diretto coadiuvante collaboratore nell’impresa familiare agricola della quale sia titolare un altro familiare. Normalmente il coltivatore diretto è comunque anche in possesso dei requisiti previsti per la figura di Imprenditore Agricolo Professionale, ed è in tale veste che accede ai benefici previsti: ciò accade ad esempio in campo urbanistico e per la concessione di finanziamenti, aiuti e contributi previsti nel setto-

Ambiente, foreste e natura

re agricolo. Secondariamente vi è l’imprenditore agricolo professionale. Per IAP

s’intende l’Imprenditore Agricolo Professionale colui il quale, in possesso di adeguate conoscenze e competenze professionali (stabilite dall’art. 5 del regolamento CE n. 1257/1999 del Consiglio, del 7 maggio 1999) dedichi alle attività agricole (così come definite dall´articolo 2135 del Codice Civile), direttamente o in qualità di socio di società, almeno il 50% del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dalle attività medesime almeno il 50% del proprio reddito globale da lavoro. Nel caso in cui l’imprenditore operi nelle zone svantaggiate di cui all’art. 17 del predetto Reg. CE n. 1257/99 i requisiti sopra richiamati sono ridotti dal 50% al 25%. Per reddito viene preso a base quello dichiarato ai fini fiscali (UNICO/ 730) escludendo dal computo del reddito di lavoro le pensioni di ogni genere, gli assegni ad esse equiparati, le indennità e le somme percepite per cariche pubbliche. Le società di persone, cooperative e di capitali, anche a scopo consortile, sono considerate imprenditori agricoli professionali qualora lo statuto preveda quale oggetto sociale l’esercizio esclusivo delle attività’ agricole di cui all’articolo 2135 del codice civile e siano in possesso dei seguenti requisiti: a) nel caso di società di persone qualora almeno un socio sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale. Per le società in accomandita la qualifica si riferisce ai soci accomandatari; b) nel caso di società cooperative, ivi comprese quelle di conduzione di aziende agricole, qua-

lora almeno un quinto dei soci sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale; c) nel caso di società di capitali, quando almeno un amministratore sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale. Fino alla data del 22 aprile 2004 l’accertamento dei requisiti per il riconoscimento della qualifica di Imprenditore Agricolo era di competenza dell’Inps. Dal 6 maggio 2004 (D.Lgs 99/2004) tale accertamento e riconoscimento viene demandato alle Regioni. L’Inps ha comunque la facoltà di acquisire tutte le altre informazioni necessarie all’inquadramento aziendale ai fini dell’imposizione contributiva. Dal 30 giugno 2005 (D.lgs 101/2005) è possibile effettuare l’iscrizione con riserva, allegando alla documentazione certificazione comprovante la presentazione della domanda alla Regione, purché il richiedente entro 24 mesi (o diverso tempo stabilito dalle singole Regioni) dimostri di possedere i requisiti previsti. In mancanza di tale adempimento l’Inps procederà alla cancellazione, dalla data di iscrizione, con conseguente perdita dei benefici eventualmente goduti. L’imprenditore agricolo professionale non è assicurato ai fini INAIL in quanto non partecipa direttamente alla coltivazione o allevamento aziendale. Sono riconosciute imprenditore agricolo professionale le società che possiedono contestualmente i seguenti requisiti: - hanno per oggetto sociale l’esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all’art. 2135 del c.c.; - riportino l’indicazione “società agricola” nella denominazione o ragione sociale; - possiedano i requisiti personali di IAP del socio o dei soci, del socio accomandatario o dell’amministratore.

Avv. Ivano Cimatti ivan_cimatti@ hotmail.com

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

55


L’Istituto Agrario Emilio Sereni di Roma Un’azienda agricola di 30 ha (nei quali troviamo vigneti, oliveti, frutteti, seminativi, serre) e numerosi laboratori di esercitazione (chimica, agronomia, zootecnia, scienze) e trasformazione (cantina, birrificio, etc.)

Speciale Istituti Agrari d’Italia

L

’istituto tecnico agrario Emilio Sereni è una realtà nel contesto dell’istruzione tecnica su-

periore costituito da quattro diverse sedi, distribuite sul territorio dell’agro romano. Tre sedi sono dislocate nel territorio di Roma Capitale: in via Prenestina al n.1385, il complesso principale situato nel VI Municipio; la sede succursale in via della Colonia Agricola, nel III Municipio; la sede Carceraria presso il carcere di Rebibbia, nel suo primo anno di attività. E’ presente inoltre la sede di San Vito Romano, comune nell’immediato retroterra della provincia. La Sede Centrale è nata nell’anno scolastico 1976-77, come sede coordinata dell’Istituto “G. Garibaldi” ed è divenuta autonoma già nell’a.s. 1978-79 grazie al successo riscontrato nei quartieri in espansione nella zona sud-est di Roma e nei numerosi comuni limitrofi. Da subito, la scuola si è posta come elemento vitale e funzionale allo sviluppo di un contesto caratterizzato da una forte

56

vocazione agricola. Una scuola quindi relativamente giovane, ma che mostra un’intensa e

strutturata offerta formativa.

L'azienda dell'Istituto L’Azienda Agraria annessa all’Istituto ha una superficie di circa 30 ha, dei quali 27 sono coltivati e può essere considerato il laboratorio

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

pluridisciplinare per eccellenza: la presenza del vigneto, dell’oliveto, del frutteto, dei seminativi, della carciofaia, dei campi sperimentali, delle serre e della cantina permettono una vasta gamma di esperienze ed hanno prevalentemente una valenza didattico-dimostrativa per la formazione del Perito Agrario. Tutte le produzioni vengono effettuate nel rispetto dei disciplinari biologici. Gli alunni della scuola frequentano quotidianamente l’azienda per svolgere le esercitazioni pratiche e partecipano direttamente alle attività colturali, quali la potatura, la vendemmia, la raccolta delle olive, la produzione di piante ornamentali, la vinificazione, la raccolta e la lavorazione del miele, le prove sperimentali di colture ortive e tante altre esperienze pratiche inerenti il loro corso di studi. Il vino, l’olio, il miele, le piante ornamentali sono i punti di forza del'azienda; questi prodotti possono essere acquistati direttamente all'interno dell'Istituto durante tutto l'anno.

Speciale Istituti Agrari d'Italia


Il piano dell’offerta formativa (Estratto dal POF 2015-2016 dell’Istituto) «Il nostro Piano dell’Offerta Formativa, per quanto riguarda il biennio comune, si è posto l’obiettivo di fornire le basi strumentali, cognitive e propedeutiche, per dare all’allievo la possibilità di costruire un percorso capace di orientarlo nelle scelte future. Il secondo biennio, di indirizzo, è caratterizzato per la proposta di discipline dell’area tecnico professionale che unite a quelle dell’area letterario linguistica e tecnico scientifica, accompagnano il discente verso una formazione la più ampia e completa possibile. Questo secondo biennio è considerato da noi strategico, in prospettiva dell’ultimo anno di corso che, a sua volta, accompagna lo studente dell’istituto agrario all’Esame di Stato di fine percorso (quinto anno). L’Istituto, per sua vocazione e indirizzo promuove la formazione di cittadini consapevoli attraverso lo sviluppo delle conoscenze (il sapere), delle competenze (il saper fare) e delle capacità (il saper essere) degli allievi e favorisce il loro successo scolastico e la loro realizzazione personale e professionale.» L’Istituto Tecnico Agrario Emilio Sereni, oltre alle varie aule ove si svolgono le lezioni frontali, dispone di numerosi laboratori e locali strutturati secondo le normative sulla sicurezza. In tutti i laboratori sono presenti strutture ed apparecchiature avanzate a supporto di una didattica innovativa e all’altezza delle esigenze tecnico-scientifiche. Tra le varie strutture si ritrovano laboratori di chimica, agronomia, zootecnia, scienze, economia ed estimo, informatica, micropropagazione, di tipo pedagogico, oltre ad una moderna sala degustazione vini, con annesso centro polifunzionale. Numerose sono poi le strutture dell’azienda agricola annessa alla scuola, che svolgono un importante ruolo a supporto della didattica: 18 ettari di terreni destinati a seminativo, 8,5 ettari di vigneti con parcelle sperimentali di Malvasia istriana, 2,5 ettari di oliveto, un moderno apiario, 1000 mq di superficie coperta destinata a serra calda, un locale adibito a cantina con macchine enologiche e contenitori vinari, ove avviene la vinificazione e l’imbottigliamento dei vini prodotti ed infine un micro birrificio artigianale. Da annotare inoltre l’importante opera svolta negli ultimi anni da questa Istituzione Scolastica per la diffusione di un adeguato senso di legalità, responsabilità, collaborazione e spirito di gruppo. A tal fine sono stati intrapresi alcuni progetti riguardo la lotta alla criminalità organizzata (Nave della Legalità), la violenza sulle donne e l’omofobia.

Speciale Istituti Agrari d'Italia

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

57


L'Istituto Agrario Emilio Sereni di Roma

Foto di Vittoria Capei Chiaromanni

58

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

Speciale Istituti Agrari d'Italia


Intervista al Dirigente Scolastico dell’Istituto Dott.ssa Patrizia Marini Quali sono i principali motivi che spingono i giovani studenti a scegliere il vostro Istituto? In un mondo che evolve continuamente, risulta necessario modificare l’approccio orientativo con le scuole

secondarie di I grado. Da anni l’Istituto Tecnico Agrario Emilio Sereni di Roma ha creato dei protocolli di didattica curricolare verticale che ci consentono per un triennio di formare gli alunni che poi sceglieranno naturalmente la nostra tipologia di scuola. Sono ragazzi sensibili alle tematiche ambientali di sostenibilità, hanno un amore immenso nei confronti dell’agroalimentare e vogliono con la loro iscrizione e i loro studi dare un contributo importante allo sviluppo del Made in Italy. Da anni abbiamo un trend in crescita del numero di iscritti ai tecnici, segno evidente di affidabilità’ e di rispondenza delle nostre azioni per la promozione dell’istruzione agraria.

L’essere un Diplomato di Agraria e Agro Industria oggi vuol dire avere la possibilità di poter accedere alle Università con una ottima preparazione o prepararsi a divenire perito agrario o imprenditore nell’ambito agroalimentare. Una scuola attuale, concreta, innovativa e sostenibile. Sappiamo che la sede centrale del vostro Istituto è ubicata in una zona molto difficile del territorio romano; oltre a quella formativa, svolge anche un importante funzione sociale? La periferia della Capitale ed in par-

rendono il Sereni un luogo speciale, un’oasi felice, ove vivere serenamente il percorso tecnico scolastico. La Nostra scuola è fiera per l’alto stato di integrazione che svolge in tutti i settori e per più livelli di competente

Luca Poli, il Dirigente Scolastico Dott.ssa Patrizia Marini e Flavio Rabitti ticolare quella di Roma Est è una zona complessa, dai difficili equilibri sociali e economici. Questa periferia pur se cambiata in questi ultimi 35 anni, è stata ampiamente descritta da uno degli artisti e letterato più importante del XX secolo, che era Pier Paolo Pasolini. La vicinanza all’Istituto del quartiere di Tor Bella Monaca, zona molto degradata della Capitale, ci pone nei luoghi di maggiore tasso di dispersione in Italia e quindi la scuola diviene per tale motivo anche un importante presidio della legalità. Lo è da circa 10 anni, e da un numero iniziale di 350 alunni, il prossimo anno avrà circa 1200 alunni e

Speciale Istituti Agrari d'Italia

300 docenti. Questi ragazzi sono straordinari e

acquisite, che consente ogni anno a circa il 40 % di loro di frequentare l’università. Il 30% intraprende l’attività’ professionale correlata, mentre la restante parte intraprende altri percorsi.

Dr. Flavio Rabitti Direttore Editoriale Rivista TerrAmica

Dott. Luca Poli Dottore Forestale luca9008@ hotmail.it

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

59


Chi siamo

Associazione di Agraria.org

L’Associazione di Agraria.org è stata costituita nel 2013 da un gruppo di giovani laureati in Agraria, Scienze Forestali e Veterinaria. Fin dalla sua fondazione, grazie all’impegno dei tantissimi associati sparsi per tutta Italia, ha promosso ed organizzato numerose iniziative per diffondere le conoscenze riguardanti pratiche agricole ed agro-alimentari sia a scopo amatoriale che professionale, supportare le piccole realtà agricole nella promozione della loro attività attraverso la vendita diretta, favorire l’inserimento dei diplomati e laureati del nostro settore e la crescita delle aziende agricole associate.

60

Corso di degustazione olio extra vergine di oliva

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

Cosa facciamo L’Associazione ha quindi ormai compiuto tre anni: guardandoci indietro ci rendiamo conto, non senza stupore, della strada fatta (più di 1000 persone coinvolte, le tante azioni di divulgazione scientifica in agricoltura sul territorio, i migliaia di lettori della rivista TerrAmica, etc), ma se volgiamo lo sguardo in avanti, viene naturale una spinta grintosa per il proseguimento degli ultimi progetti messi in cantiere, tanto per citarne uno la nuova Rivistadiagraria.org (online): sarà infatti redatta dall’Associazione e curata da un gruppo di giovani e competenti esperti del settore che andranno a costituire il Comitato di Re-

Aziende associate: promozione e vendita diretta

Spazio Associazione di Agraria.org


Alcuni incontri a tema organizzati dall’Associazione per gli iscritti dazione. Ma per adesso non vi vogliamo svelare di più: qualche modifica grafica l’avrete già notata ma continuate a seguirci per rimanere sempre aggiornati sugli ultimi sviluppi.

tecipato allestendo spazi ed organizzando workshop, seminari e dimostrazioni pratiche al Toscanello d’oro 2016 Pontassieve (FI). Il brutto tempo non ha scoraggiato gli organizzatori, i visitatori e tantomeno noi, che ci siamo prodigati con corsi sulle erbe spontanee (docente Elena Meini), incontri sulle malattie delle piante e promozione dell’associazione e dei suoi servizi. Anche questo è un evento che, seppur a carattere locale, tutti gli anni conferma la sua vitalità e quella della popolazione che accorre per visitarlo: un grande successo per il quale non ci resta che ringraziare l’Organizzazione. Progetto Arboreti: dopo due anni di servizio per la promozione dell’immenso valore degli Arboreti Sperimentali di Vallombrosa (Firenze), ci siamo presi del tempo per tirare un pò le somme, facendo il punto su quanto fatto finora e su quanto avremmo potuto fare. Chissà che “strada” prenderà Presentazione della Rivista TerrAmica ad eventi del settore questo progetto; di certo lavoreremo affinRecentemente abbiamo inoltre promosso una serie di ché le competenze ed esperienze acquisite finora non incontri per imparare a coltivare orti sul terrazzo e rea- vadano perdute ma servano per far conoscere a sempre lizzare composizioni floreali, oltre che organizzato delle più persone quel magnifico “scrigno” di biodiversità che escursioni alla ricerca di erbe spontanee commestibili sono gli Arboreti. e funghi; inoltre non sono mancati percorsi di avvicinaDiventa uno di noi mento al vino con gli ormai consueti incontri (quinta edizione) del corso di degustazione “DE-GUSTA vino” che Entra a far parte anche tu di questa grande comunità di appassionati del mondo agricolo e ricevi i prossimi ogni anno avvicina al mondo del vino tante persone. Recentemente siamo entrati a far parte dell’Ass. Fore- numeri di TerrAmica comodamente e gratuitamente a sta Modello delle Montagne Fiorentine, per consolidare i casa tua. rapporti con le varie realtà locali, nonstante l'associazio- Altri vantaggi per i soci: ● partecipazione ad eventi ed incontri in tutto il territorio ne si mantenga viva anche a livello nazionale. Eventi e convegni: primavera ed autunno sono le sta- nazionale organizzati dall’Associazione gioni migliori per la partecipazione ad eventi e manife- ● possibilità di partecipazione a fiere nazionali sull’agristazioni all’aperto legate all’agricoltura, ma ancor di più, coltura ed ambiente a condizioni agevolate per i famosi incontri del Forum di Agraria.org! L’Associa- ● visibilità per i giovani tecnici che si affacciano nel monzione ringrazia i soci e forumisti “storici” che non fanno do del lavoro mai mancare la loro presenza e la loro disponibilità ed ● promozione delle aziende agricole guidate da giovani accoglienza: ci regalano sempre dei momenti fantastici imprenditori (progetto “Smart Farm”) insieme a persone che ormai consideriamo essere più Iscriviti online a soli 10€ l’anno su: che amici! www.associazione.agraria.org Partecipazione a fiere e manifestazioni: abbiamo par-

Spazio Associazione di Agraria.org

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

61


Come fare per RICEVERE TERRAMICA direttamente a casa tua Per ricevere “TerrAmica - Rivista Associazione di Agraria.org” è sufficiente essere soci. Per associarsi bastano 10€ l’anno! Ecco i pochi e semplici passaggi per iscriversi: 1. Accedi al sito www.associazione.agraria.org 2. Clicca in alto a destra su “Iscriviti all’Associazione” 3. Compila il modulo con i tuoi dati e scegli il metodo di pagamento desiderato 4. Decidi se pagare con Paypal, Bonifico bancario o Bollettino postale ed attendi il buon esito della registrazione 5. Versa la quota associativa e... ricevi a casa TerrAmica!

Per qualsiasi problema o informazione scrivi a associazione@agraria.org o telefona al numero +39 388 5867540

62

TerrAmica | N. 5 - Luglio 2016

Come associarsi



Agraria.org a g r i c o l t u r a

a

p o r t a t a

d i

c l i c k

Sei un allevatore? Iscriviti gratuitamente nel catalogo allevamenti: http://allevamenti.agraria.org/ Sei un libero professionista del settore agrario o forestale? Iscriviti gratuitamente nel catalogo professionisti: http://professioni.agraria.org/ Hai un’azienda agricola e vendi direttamente i tuoi prodotti? Iscrivila gratuitamente nel catalogo per la Filiera Corta: http://aziende.agraria.org/


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.