TerrAmica Num. 4 - 2016

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N째 4 - GENNAIO

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I VITIGNI RESISTENTI ALLE MALATTIE IMPARARE AD ALLEVARE LE LUMACHE CONOSCERE E DEGUSTARE LA GRAPPA SPECIALE ISTITUTI AGRARI

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EDITORIALE 4 5

Quanto è importante la formazione di Flavio Rabitti agraria? Uno sguardo al Comitato di Redazione COLTIVAZIONI

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sommario

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Le varietà di vite resistenti alle malattie fungine

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ZOOTECNIA 24

Terreno e acqua in elicicoltura

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La rogna auricolare del coniglio Il suino Nero di Calabria Farmaci veterinari: un uso consapevole Elicicoltura: l’importanza di terreno e acqua

di C. Papeschi e L. Sartini di Francesco Marino di C. Papeschi e L. Sartini di Davide Merlino

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Degustare la grappa

ANIMALI DA COMPAGNIA 35

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ANNO III - N° 4 - GENNAIO 2016 DIRETTORE EDITORIALE: FLAVIO RABITTI

Impaginazione e grafica: Flavio Rabitti

Direttore responsabile: Marco Salvaterra

Reg. Tribunale di Firenze nr. 3876 del 01/07/2014

Periodicità: Semestrale

Stampa: Tipografia Baroni e Gori srl Via Fonda di Mezzana, 55/P 59100 - Prato

Redazione: Cristiano Papeschi (Responsabile scientifico Zootecnico), Eugenio Cozzolino (Responsabile scientifico Coltivazioni), Marco Salvaterra, Marco Giuseppi, Flavio Rabitti, Luca Poli, Lapo Nannucci

Sommario

L’Arlecchino Portoghese

di Federico Vinattieri

AGROALIMENTARE ITALIANO

TerrAmica - Rivista Associazione di Agraria.org Sede legale: Via del Gignoro, 27 - 50135 - Firenze C.F. 94225810483 - associazione@agraria.org www.associazione.agraria.org

Foto copertina: Leonardo Graziani

Il luppolo spontaneo di L. Ghiselli, R. Tallarico, S. Romagnoli Le pacciamature biodegradabili di Eugenio Cozzolino di Francesco Marino Il fico d’India Vite: le varietà resistenti alle di Marco Vacchetti malattie fungine La Biodiversità: recupero e di Fabio Di Gioia valorizzazione di Ivano Cimatti L’agricoltore attivo

Gli autori si assumono piena responsabilità delle informazioni contenute nei loro scritti. Le opinioni espresse dagli autori non impegnano la rivista e la sua direzione.

di Marco Sollazzo Il vino “fai da te” di Mario Francesco Carpentieri L’arte dell’insaccato di Paola Soldi Impariamo a conoscere la grappa di Cesare Ribolzi Fermenti e caseificazione Il contributo del mare di Lapo Nannucci nell’alimentazione umana

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AMBIENTE, FORESTE E NATURA 51 54

Il mulo: un animale da valorizzare di Gemma Navarra Tutela della proprietà e possesso di M. Piccioni e M. Rapaccioni nel codice civile SPECIALE ISTITUTI AGRARI

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L’Istituto Agrario di Firenze

di L. Poli e F. Rabitti

ASSOCIAZIONE DI AGRARIA.ORG

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Quanto è importante la formazione agraria? conoscere il ricco mondo dell’istruzione agraria in Italia, che nonostante le riforme che hanno in parte indebolito l’aspetto formativo più professionalizzante, continuano a rappresentare una specificità nel variegato mondo della scuola italiana. Esistono istituti agrari con aziende non virtuali, strutture d’avanguardia, organizzazione efficiente, che hanno rappresentato e rappresentano esempi sui quali le locali

tante dare ai ragazzi un “imprinting” più rispettoso della natura ed una conoscenza dei metodi agricoli più sostenibili? Può essere utile per il futuro dei nostri figli offrir loro una formazione che permetta di accedere al settore primario, unico in grado di creare occupazione anche nei momenti più difficili (il settore vanta una crescita nel 2014 di oltre il 7% del tasso di occupati, con circa 57 mila nuovi lavoratori in un anno)?

attività agricole traguardano per acquisire innovazioni.

Editoriale

Negli ultimi anni, nonostante il perdurare della crisi economica ed il ristagno dei consumi, sono sempre di più gli italiani che riscoprono gli antichi sapori dei cibi e che stanno tornando a consumare prodotti genuini acquistati direttamente dagli agricoltori. La valorizzazione del ruolo delle aziende agricole e la qualificazione dei coltivatori passa anche attraverso un’adeguata formazione scolastica in campo agrario? Quanto è impor-

Per aiutare a rispondere a queste domande e dare un’occasione di presentazione delle scuole ai nostri lettori, abbiamo pensato, a partire da questo numero, di dedicare degli articoli speciali agli istituti agrari d’Italia. In ogni numero faremo la conoscenza di una diversa realtà, con illustrazione della specifica offerta formativa, delle strutture e dei progetti educativi avviati; impareremo così a

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Per proseguire nel processo di modernizzazione del nostro settore agricolo è necessario avere tanti giovani preparati ed in grado di valorizzare al meglio le eccellenze su cui l’Italia può contare per il rilancio non solo dell’agricoltura ma anche dell’industria agro-alimentare e del turismo. Il primo speciale abbiamo voluto dedicarlo all’Istituto che ha formato molti di noi, l’Agrario di Firenze!

Flavio Rabitti Direttore editoriale Rivista TerrAmica

Editoriale


Uno sguardo al Comitato di Redazione di TerrAmica Cristiano Papeschi (Responsabile Scientifico Settore Zootecnico): laureato in Medicina Veterinaria presso l’Università di Pisa, specializzato in Tecnologia e Patologia degli Avicoli, del Coniglio e della Selvaggina presso l’Università di Napoli, è attualmente in servizio presso l’Università degli Studi della Tuscia (Viterbo); già collaboratore di numerose riviste tecniche a carattere zootecnico e veterinario, membro di comitati scientifici e di redazione. Eugenio Cozzolino (Responsabile Scientifico Settore Coltivazioni): diplomato presso l’Istituto Tecnico Agrario Statale “De Cillis” e laureato in Scienze Agrarie presso la Facoltà di Agraria dell’Università di Napoli “Federico II, lavora presso il Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura. Marco Giuseppi: diplomato presso l’Istituto Tecnico Agrario e laureato Magistrale in Scienze e Tecnologie dei Sistemi Forestali alla Scuola di Agraria dell’Università degli Studi di Firenze, si interessa di selvicoltura urbana e della gestione e valorizzazione degli ecosistemi urbani e periurbani; collabora all’organizzazione e gestione delle attività dell’Associazione di Agraria.org. Luca Poli: diplomato presso l’Istituto Tecnico Agrario e laureato magistrale in Scienze e Tecnologie dei Sistemi Forestali all’Università degli Studi di Firenze; contribuisce all’aggiornamento di alcuni servizi on-line di Agraria.org (Catalogo aziende agricole, Rivista di Agraria.org) ed organizza e gestisce alcune attività dell’Associazione di Agraria.org (segretario). Lapo Nannucci: diplomato presso l’Istituto Tecnico Agrario e laureato in Scienze e Tecnologie Agrarie alla Facoltà di Agraria di Firenze, è iscritto all’Albo dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Forestali di Firenze; libero professionista settore pesca ed acquacoltura, è consulente esterno di Federpesca e CE.S.I.T, Centro di Sviluppo Ittico Toscano. Particolare esperienza nel settore della pesca di piccoli e grandi pelagici. Marco Salvaterra: laureato in Scienze Agrarie presso la Facoltà di Agraria di Bologna, è docente presso l’Istituto Tecnico Agrario Statale di Firenze; dal 2000 si occupa di divulgazione in campo agricolo attraverso il network Agraria.org che comprende, fra le altre cose, un Catalogo di Aziende Agricole, uno di Allevatori, una Rivista quindicinale online ed un Forum del settore. Flavio Rabitti (Direttore editoriale): diplomato all’Istituto Tecnico Agrario Statale di Firenze e laureato in Tutela e Gestione delle Risorse Faunistiche alla Facoltà di Agraria di Firenze; dal 2009 iscritto all’Albo regionale degli Imprenditori Agricoli. Gestisce una piccola azienda agricola in Toscana a Suvereto (LI), all’interno della quale produce vino, olio extravergine di oliva, miele, ed una serie di prodotti artigianali al tartufo (www.rabitti.eu).

Editoriale

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Il luppolo spontaneo La biodiversità del luppolo spontaneo (Humulus lupulus L.) come risorsa locale nella preparazione di birre artigianali. Lisetta Ghiselli, Remigio Tallarico, Sigfrido Romagnoli – Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agroalimentari e dell’Ambiente – Università degli Studi di Firenze di

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Coltivazioni

a pianta del luppolo, tipica degli ambienti temperati, si trova diffusa spontaneamente in molti ambienti europei di cui è originaria. Individuata come pianta utile per la preparazione di una bevanda alcolica chiamata braga dai popoli slavi, successivamente dal secolo XVI iniziò a diffondersi come coltura nei paesi a tradizione birraria: Germania, Belgio, Francia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Inghilterra. In Italia la conoscenza della pianta del luppolo si ebbe in seguito alla calata dei popoli nordici nella nostra penisola. Fino ai primi decenni dell’Ottocento in cui si è avuto l’impianto dell’industria birraria in Italia, il luppolo non ha trovato interesse da parte degli agricoltori, malgrado i tentativi per diffondere la coltivazione. I principali motivi della mancata affermazione di questa coltura sono legati a diversi aspetti quali la tradizione viticola del nostro Paese e la scarsa diffusione della birra come bevanda rispetto al vino. In definitiva si riscontrava la mancanza di una sufficiente filiera di utilizzo del prodotto, che non trovava adeguati sbocchi commerciali. Il successivo sviluppo della produzione di birra in Italia non ha comunque stimolato di pari passo anche la diffusione della coltura del luppolo, poiché tale materia prima è di facile approvvigionamento nei paesi europei confinanti, dove la coltivazione è molto diffusa grazie ad una consolidata industria birraria. Ancora oggi il luppolo per produrre birra sia industriale che artigianale viene importato dai Paesi esteri, in particolare Germania, Bel-

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gio, Repubblica Ceca, Slovacchia, viene inclusa nelle specialità offerte Stati Uniti, ecc. Con l’avvento dei dalle aziende agrituristiche ai propri PSR promossi dalla UE oggi vengo- avventori. Si tratta di un prodotto no rivalutate molte specie scompar- che, in confronto alla birra industriase o di nuova introduzione, tra cui le, presenta caratteristiche di gusto anche il luppolo di cui si sta consoli- e aroma particolari, legate alla spedando la filiera di utilizzo sia nell’in- cifiche modalità di preparazione; la dustria farmaceutica ed erboristica birra artigianale inoltre, non essendo che nelle produzioni agroalimentari, pastorizzata, risulta ricca di metaboin particolare nel settore dell’home- liti importanti per la salute del consubrewing. Tale settore è in continua matore, e, non ultimo, può mettere espansione grazie al Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 5 agosto 2010, che ha equiparato a prodotto agricolo la birra prodotta in azienda o in piccoli birrifici artigianali. Attualmente si registra il proliferare di numerosi microbirrifici artigianali (circa 500 secondo dati di Assobirra), in continua espansione in tutte le regioni della penisola; in molti casi essi hanno raggiunto ottimi standard qualitativi, tali da essere annoverati nelle guide alle birre d’Italia promosse dalle varie associazioni per la tutela delle produzioni agroalimentari di qualità. È in espansione anche la produzione di birra a livello hobbistico, per il consumo prettamente domestico. La birra artigianale come prodotto aziendale, insieme ad altri prodotti tipici, Fig. 1 - Infiorescenze maschili di luppolo spontaneo.

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Coltivazioni


in evidenza le tradizioni e la storia del luogo in cui viene prodotta. La mancanza di una vera e propria filiera produttiva che comprenda anche la fase agricola delle materie prime rende più oneroso per l’attività birraria artigianale l’approvvigionamento di tali materie, rendendo la birra così ottenuta più costosa e non accessibile a tutte le fasce di consumatori, ma risulta penalizzante anche per il prodotto che ne deriva, che non può essere considerato effettivamente legato al territorio. La costante crescita dei birrifici artigianali comincia attualmente a stimolare anche piccole produzioni di materie prime quali orzo e luppolo.

oltre ad essere un prezioso patrimonio di biodiversità, costituiscono materiale utile per l’economia locale proprio per i numerosi utilizzi che se ne possono fare. L’uso che in questa sede ci interessa maggiormente è quello dell’amaricazione della birra, che presenta numerosi risvolti tecnologici in quanto conferisce alla bevanda una miriade di gusti e sapori, in particolare nella produzione di birre artigianali, le quali proprio grazie a queste materie locali, possiedono spiccate caratteristiche di tipicità legate ai diversi agroecosistemi in cui le materie prime si sono prodotte. Infatti la diversità di ecotipi di luppolo sviluppatisi nei numerosi microam-

tolitri ed un impiego di 4750 occupati. La produzione birraria si realizza in 16 stabilimenti industriali e in circa 500 microbirrifici; questi ultimi producono circa 320.000 hl all’anno (solo il 2,4% del totale) ma rappresentano una percentuale importante degli occupati con circa 1.700 unità (oltre il 35%), oltre ad assicurare i prodotti maggiormente caratterizzati sotto l’aspetto organolettico. Resta però un notevole passivo commerciale in quanto, nello stesso 2013, le importazioni sono state di 6,17 milioni di ettolitri, mentre le esportazioni assommavano a 1,93 milioni di ettolitri. La situazione è ancora peggiore per quanto riguarda le materie prime: a fronte di un consumo annuo di malto pari a 158.141 t, la produzione nazionale nel 2013 è stata di sole 67.370 t. Il luppolo impiegato nel 2013 ammontava a 3.481 t, pressoché totalmente importato; il principale Paese fornitore è di gran lunga la Germania con il 95% circa delle importazioni.

Breve descrizione del luppolo

Fig. 2 - Infiorescenze femminili di luppolo spontaneo. Per quando riguarda l’orzo è vivace la riscoperta e il recupero di varietà locali e di antica coltivazione, mentre per il luppolo si stanno sviluppando piccole coltivazioni diffuse a macchia di leopardo su tutto il territorio nazionale sia a livello hobbistico che sperimentale, utilizzando cultivar estere di consolidate caratteristiche, impiegate molto diffusamente nella produzione di birra industriale e artigianale. La birra artigianale oggi è un prodotto di diffusione nazionale con aziende che producono decine di migliaia di bottiglie con ottimi volumi di affari. I molti ecotipi di luppolo spontanei diffusi nelle svariate nicchie ecologiche del nostro paese,

Coltivazioni

bienti del nostro paese si manifesta con differenti contenuti e tipologie di resine e oli essenziali che contribuiscono a caratterizzare la tipicità di una birra artigianale.

Situazione della birra nel comparto agroalimentare italiano Nonostante l’industria della birra in Italia sia di impianto relativamente recente, con i primi stabilimenti risalenti agli anni ’40 dell’Ottocento, il settore birrario in Italia costituisce una realtà economica e produttiva di tutto rispetto, con una produzione secondo l’ultimo rapporto Assobirra (dati del 2013) di 13,26 milioni di et-

Il luppolo (Humulus lupulus L.) è una pianta erbacea decidua appartenente alla famiglia delle Cannabaceae. Presenta un rizoma il quale conferisce perennità alla pianta mediante lo sviluppo primaverile di numerosi getti che accrescendosi si trasformano in fusti rampicanti flessibili e volubili, raggiungendo altezze anche superiori agli 8 metri. I fusti, di forma semiquadrangolare e cavi all’interno, presentano piccole appendici spinescenti che consentono al tralcio, il cui apice vegetativo ha una velocità di accrescimento di oltre 30 cm/ giorno, di aggrapparsi avvolgendosi in senso orario a qualsiasi sostegno: tronchi, pali, ecc. Di norma la parte aerea delle piante è uccisa dal gelo invernale, ma nuovi germogli si sviluppano nella primavera successiva. Le foglie sono cuoriformi o palmato-lobate con 3-5 lobi, con margine seghettato, picciolate, situate sul fusto in posizione opposta. La pagina superiore si presenta rugosa mentre quella inferiore è resinosa. I fiori sono di colore verdognolo; essendo il luppolo una specie dioica, sono unisessuali e quindi sono presenti su piante separate. I fiori

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maschili, o staminiferi, sono riuniti in pannocchie pendule (Fig. 1); ciascun fiore presenta 5 tepali fusi alla base

pianta, il luppolo, come abbiamo accennato, ha ciclo primaverile-estivo. In primavera (marzo-aprile) dai rizomi radicali spuntano numerosi germogli. In condizioni climatiche ideali (18-22 °C) i germogli si sviluppano molto rapidamente; la fase vegetativa è di circa 7 mesi. Nei primi 4 mesi (marzo-giugno) si ha la maggior parte dello sviluppo in altezza, con una notevole formazione di fitomassa. Nel mese di luglio, fino a metà del mese di agosto, si hanno le fasi di fioritura, fecondazione e allegagione dei coni e nel mese di settembre la maturazione dei coni e la relativa raccolta.

Cenni di tecnica colturale In Italia non esiste la coltivazione su larga scala del luppolo. In questi ultimi anni, con l’avvento dei birrifici artigianali, si possono censire lungo tutta la penisola delle piccole superfici destinate a luppoleti per uso di ciascun birraio artigiaFig. 3 – Coltura sperimentale di luppolo nale; la messa a dimoe 5 stami. I fiori femminili, o pistillife- ra dei luppoleti fa comunque uso di ri (Fig. 2), sono formati da un ovario materiale di propagazione di provemunito di due lunghi stimmi pelosi e nienza estera con cultivar di provate sono disposti a due a due all’ascel- qualità. la di brattee membranose situate su Le zone più rinomate e famose per un asse lungo 2-3 cm, formando un la coltivazione del luppolo e anche amento globoso detto comunemente per la qualità del prodotto sono sicono. All’interno delle brattee sono tuate nel centro e nord Europa, quali presenti le ghiandole di colore gial- ad esempio la Boemia (Saaz), il nord lo in cui è contenuto un composto di della Baviera (Hallertau), le zone di sapore amaro e resinoso costituito Spalt e di Tettnang in Germania, la da alfa- e beta-acidi, detto “luppoli- regione del Kent in Inghilterra. na”. Sono presenti anche polifenoli e Le varietà di luppolo sono molto nunumerosi oli essenziali; questi ultimi merose e si distinguono in tre grandi sono i principali responsabili dell’a- gruppi: varietà aromatiche a bassa roma delle diverse varietà di luppolo. percentuale di alfa-acidi ma ricche di Il frutto è un achenio situato all’a- oli essenziali, varietà amaricanti con scella delle brattee dell’infiorescen- alta percentuale di alfa-acidi, varietà a duplice attitudine. Tra le prime si za femminile. Per quanto riguarda la biologia della citano gli ecotipi provenienti appunto

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dalle regioni di coltivazione della Repubblica Ceca (Saaz) e della Germania (Hallertau, Spalt, Tettnang), e inoltre varietà inglesi (Fuggle, Goldings, Sovereign), statunitensi (Ahtanum, Amarillo, Cascade, Centennial, Liberty, Vanguard, Willamette), neozelandesi (Motueka), ecc. I luppoli amaricanti provengono per la maggior parte dagli Stati Uniti (ad esempio Admiral, Apollo, Bravo, Columbus, Galena, Magnum, Millennium, Nugget), ma anche dalla Germania (Herkules), dal Regno Unito (Phoenix, Pilgrim, Pioneer, Target), dalla Nuova Zelanda (Green Bullet, Pacific Gem, Southern Cross, Summit), ecc. Tra le varietà a duplice attitudine vi sono Chinook, Cluster, El Dorado, Warrior (Stati Uniti); Challenger, First Gold (Regno Unito); Premiant, Sladek (Repubblica Ceca); Galaxy (Australia); Nelson Sauvin, Rakau, Super Alpha, Wakatu (Nuova Zelanda), ecc. La coltura inizia con la preparazione del terreno che prevede uno scasso autunnale di 70/80 cm, incorporando anche i concimi organici. In primavera avviene la messa a dimora delle talee, formate da parti di rizoma, con una densità di circa 2-2,5 piante/ m2 per le cultivar più precoci e 1-2 piante/m2 per quelle più tardive, che tendono a produrre più vegetazione. Poco prima di iniziare la piantagione, in corrispondenza dei posti che saranno occupati dalle talee, si fanno delle piccole buche, larghe e profonde 25-30 cm. La messa a dimora avviene verso la fine di marzo/ inizio di aprile ponendo in ciascuna buca la talea, che poi si copre con uno strato di terra per favorire il radicamento. Dopo circa due settimane iniziano a spuntare i germogli che possono entrare in produzione nello stesso anno, ma occorre attendere il secondo anno per ottenere un prodotto di buona qualità. Il luppolo è una pianta rampicante e necessita quindi di strutture di sostegno (Fig. 3) che vengono generalmente piantate nel secondo anno. Nel caso si preveda la raccolta meccanizzata, superiormente alla palificata viene predisposta una rete a maglia che copre tutto l’impianto, in modo che le infiorescenze che portano i coni penzoleranno dalla rete e

Coltivazioni


potranno essere raccolte facilmente. Alla fine del primo anno le piante vengono potate ad un’altezza di circa 30 cm, ricoprendole successivamente con terra. Negli anni successivi, le cure colturali consistono principalmente in sarchiature per eliminare le infestanti, in concimazioni di mantenimento e in lavorazioni dell’interfila; ad ogni raccolta si fa seguire la potatura con asportazione dei sarmenti. Nella primavera le piante sono sottoposte al taglio di una parte dei germogli: l’operazione si effettua quando il luppolo inizia a vegetare, sopprimendo un certo numero di getti, ed assicurando così ai germogli residui un vigore adeguato per una buona produzione. Le eventuali piante maschili sviluppatesi dai rizomi o comunque presenti nell’appezzamento devono essere estirpate perché la fecondazione danneggia la qualità dei coni, con formazione di semi che nel processo di birrificazione portano al conferimento di un gusto eccessivamente amaro e non voluto. La raccolta si effettua quando i coni (asportati insieme ad 1 cm di pedicello) presentano un colore verde, con sfumature gialle, squame chiuse e al tatto un po’ untuose, di consistenza elastica; in questa fase la luppolina all’interno del cono è abbondante e di colore giallo-limone e nel luppoleto si diffonde un odore forte, aromatico e caratteristico, dovuto agli oli essenziali presenti nei coni. La maturazione avviene dalla metà di agosto alla fine di settembre e il periodo ideale per la raccolta dura dai 10 ai 20 giorni; operando in fasi precedenti o successive la qualità del prodotto sarebbe compromessa. Subito dopo la raccolta il luppolo viene conferito all’essiccatoio, con una temperatura che non deve superare i 50-60°C allo scopo di evitare possibili alterazioni dei principi attivi. I luppoli più pregiati hanno coni piccoli (2-3 cm di lunghezza) ed omogenei. Il loro colore deve essere giallo, leggermente sfumato di verde; se prevale il verde significa che la raccolta è stata precoce, se invece le sfumature vanno dal rosso al bruno, sono indice di raccolta tardiva o più spesso di cattiva conservazione.

Coltivazioni

Una volta essiccato, il luppolo viene pressato e confezionato in sacchi; una parte notevole viene ridotta in polvere o in pellets, di uso più agevole nella produzione industriale della birra rispetto ai coni.

Utilizzazioni del luppolo Come noto, la maggior parte del luppolo è utilizzato nella produzione della birra, in cui i coni (Fig. 4), o estratti da essi ottenuti, vengono aggiunti al mosto (cioè il liquido zuccherino prodotto dall’infusione del malto) durante la bollitura cui il mosto stesso viene sottoposto prima della fermentazione. Il tempo di bollitura è variabile a seconda della va-

si vuole ottenere, ma è comunque dell’ordine di alcuni ettogrammi per ogni ettolitro di birra. Il luppolo viene utilizzato anche per aromatizzare alcuni tipi di bevande analcoliche usate in varie regioni d’Europa e in America Latina. I numerosi componenti bioattivi del luppolo ne consentono vari usi in campo erboristico: i coni sono utilizzati per infusi dotati di proprietà sedative e quindi utili per combattere l’ansia, l’agitazione e l’insonnia, oltre alle difficoltà di digestione e all’iperacidità gastrica. L’infuso di luppolo contiene inoltre fitoestrogeni che possono essere utili nel trattamento dell’acne femminile e dei disturbi

Fig. 4 – Coni di luppolo spontaneo rietà di luppolo e degli effetti che se ne vogliono ottenere: i luppoli amaricanti vengono fatti bollire per tempi lunghi (60-90 minuti) per ottenere il massimo grado di isomerizzazione degli alfa-acidi, in quanto sono gli isomeri ottenuti in questo modo ad avere la massima solubilità nel mosto e quindi il maggior potere amaricante. I luppoli aromatici sono invece immessi solo nelle ultime fasi della bollitura (10-30 minuti), poiché tempi più lunghi porterebbero alla degradazione o all’evaporazione degli oli essenziali. La quantità impiegata è variabile a seconda del prodotto che

della menopausa e nella prevenzione dell’osteoporosi. Per uso esterno si preparano unguenti dotati di proprietà antidolorifiche e calmanti del prurito. Un’azione sedativa hanno anche i bagni (immettendo coni di luppolo nell’acqua calda della vasca); per combattere l’insonnia si possono inoltre usare cuscini riempiti di coni essiccati. Si deve infine citare l’uso alimurgico: i germogli che crescono in primavera, quando sono ancora verdi e teneri, hanno un gradevole sapore amarognolo e si impiegano come gli asparagi; sono quindi lessati e utiliz-

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zati per insalate, frittate e risotti, soprattutto nel Veneto dove prendono il nome di “bruscandoli”.

Linee di sviluppo della ricerca sui luppoli spontanei Come Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agroalimentari e dell’Ambiente dell’Università di Firenze, abbiamo avviato un progetto di ricerca con l’obiettivo di favorire il comparto di produzione della birra artigianale utilizzando materie prime prodotte nei territori italiani, e in particolare

ricco secondo i dati presenti in letteratura. La caratterizzazione chimica delle accessioni di luppolo spontaneo è attualmente in corso, con risultati preliminari di notevole interesse. Lo studio e la valorizzazione del germoplasma locale di luppolo dovrebbe poi procedere di pari passo con quello delle specie utilizzabili nella produzione del malto, quali l’orzo e il farro. In una successiva fase, dal miglioramento degli ecotipi locali potrebbero essere ottenute varietà selezionate e maggiormente idonee

ed alle zone collinari e montane del Centro e del Sud. Anche il potenziale mercato della coltura è rilevante, in quanto, come già ricordato, l’industria birraria italiana fa uso di circa 3.500 t annue di luppolo, che potrebbe essere utilmente ottenuto nel territorio nazionale, una volta accertata l’idoneità tecnologica del prodotto; una migliore conoscenza dei principi attivi della pianta potrebbe anche ampliarne gli impieghi erboristici e fitoterapici. Valorizzare la diversità dei luppoli dei vari ambienti della nostra penisola, oltre che ridurre l’esborso valutario necessario per l’importazione, stimolerebbe la creazione di varietà di luppolo italiane idonee a diversificare l’agricoltura dei comprensori italiani, soprattutto quelli collinari e montani, ed a promuovere la realizzazione di una vasta gamma di prodotti birrari che sarebbero a questo punto espressione dei vari e differenti territori in cui avrebbero origine le materie prime agricole. BIBLIOGRAFIA Assobirra (2014): Annual Report 2013 (documento pdf su www.assobirra.it) Mucci F. (1981): Luppolo (Humulus lupulus L.). In: Baldoni R. e Giardini L. (a cura di), Coltivazioni erbacee (pagg. 569-572), Patron Editore, Bologna.

Fig. 5 – Pianta spontanea di luppolo in comune di Poppi (AR) valorizzare la biodiversità dei luppoli spontanei. Una prima indagine conoscitiva ha permesso di appurare la grande diffusione della specie in Toscana e in altre regioni dell’Italia centrale, principalmente in ambienti collinari e montani (Fig. 5), ma anche in pianura e in prossimità delle coste laddove vi siano terreni fertili e freschi. Per stabilire le possibilità d’impiego delle piante spontanee si rende necessaria una valutazione del contenuto di metaboliti secondari e in particolare di alfa- e betaacidi, componenti principali nel processo di birrificazione, come pure della quantità e composizione degli oli essenziali che caratterizzano l’aroma; altrettanto importante è però mettere in luce la ricchezza di componenti importanti dal punto di vista nutrizionale, quali i composti fenolici dotati di attività antiossidante, di cui il luppolo risulta particolarmente

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alla coltura.

Prospettive per il luppolo in Italia Il luppolo è una specie le cui prospettive di sviluppo nell’agricoltura italiana hanno un sicuro interesse. La larghissima diffusione delle piante spontanee attesta l’idoneità di molti ambienti alla coltura; i terreni più idonei sono quelli fertili, freschi, sciolti o di medio impasto, profondi e ricchi di humus, a pH neutro, mentre da un punto di vista climatico sono da evitare gli ambienti con estati molto calde e siccitose, dove si può avere colatura dei fiori. La pianta è longidiurna e richiede quindi giornate con almeno 15 ore di luce per la fioritura; sono necessari inoltre almeno 120 giorni liberi dal gelo. Nel complesso la coltura si può ritenere adatta a gran parte del Nord Italia, dal livello del mare fino a 1200 m di altitudine,

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Stevens J.F., Page J.E. (2004): Xanthohumol and related prenylflavoniods from hops and beer: To your good health!, Phytochemistry, 65: 1317-1330. Tallarico R., De Acutis L., Ghiselli L. (2013): Il luppolo (Humulus lupulus L.): valorizzazione di genotipi spontanei autoctoni per la produzione di birra artigianale. Relazione presentata al convegno BIRBIENA 2013 – Bibbiena (AR), 13 luglio 2013. Tallarico R., Romagnoli S., Ghiselli L. (2013): Materie prime autoctone per la produzione di birra agricola e artigianale. Relazione presentata al convegno BIRBIENA 2013 – Bibbiena (AR), 13 luglio 2013. Tironzelli M. (2007): Gli antiossidanti nelle materie prime dell’ industria birraria: il caso del luppolo. Tesi di dottorato, Università di Bologna, pagg. 33-36.

Lisetta Ghiselli Dip. di Scienze delle Produz. Agroalimentari e dell’Ambiente - UniFI Remigio Tallarico, Sigfrido Romagnoli DISPAA - UniFI

Coltivazioni


Le pacciamature biodegradabili Un’innovazione sostenibile per l’agricoltura: metodologie d’impiego, risultati ed esperienze di

Eugenio Cozzolino

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teli per la pacciamatura sono sostanzialmente realizzati con materiali plastici, contribuendo in questo modo al 45% della domanda mondiale di film plastici in agricoltura, pari a circa 2,8 milioni ton/anno. Le coltivazioni potenzialmente pacciamabili in Italia nel 2010, in serra e in pieno campo, occupano una superficie totale pari a oltre 230 mila ettari e sono concentrate soprattutto in Puglia, Sicilia, Emilia-Romagna e Campania. Degli oltre 4 milioni di tonnellate (4.015.000), di materie plastiche consumate in Italia ogni anno, 255.000 t (pari al 6%) sono utilizzate in agricoltura. L’80% circa di queste è costituito da polietilene e polipropilene. In questo ambito, il 60% è rappresentato da film plastici in Ldpe impiegati per la copertura e per la pacciamatura.

Il problema pacciamatura • Produzione rifiuti plastici da agricoltura, circa il 5% del totale • Produzione di rifiuto concentrata in aree

Coltivazioni

ristrette e in particolari periodi dell’anno • Rifiuto plastico molto sporco con residui di suolo, vegetali, pietre, contaminato con residui di agrofarmaci • Difficilmente riciclabile e per poche applicazioni di basso valore (basse proprietà meccaniche dei manufatti finali) • Elevati costi legati al riciclo

La soluzione La principale alternativa disponibile sul mercato per ovviare a questo tipo di problemi è rappresentata dal telo biodegradabile che, anche a fronte delle esigenze del mondo agricolo di riuscire a caratterizzare la produzione con tecniche in grado di conferire un valore aggiunto, sempre più riconosciuto dal mercato finale e dalla distribuzione, si trova quindi in un contesto generale estremamente positivo. Il telo biodegradabile utilizza risorse rinnovabili quali amidi da diverse colture (mais, altri cereali, patata) ed oli vegetali nella

Fonte:Green Management Institute sua composizione. Inoltre è compostabile secondo le norme UNI11183 (Italia) EN 13432 OK Compost (Europa). Un telo per pacciamatura biodegradabile svolge le stesse funzioni garantite da un analogo in PE: controllo malerbe, regolazione temperatura del suolo, contenimento delle perdite di acqua dal suolo e maggiore pulizia delle parti eduli dei prodotti a contatto col suolo. Il vantaggio ulteriore è rappresentato dalla possibilità di interrarlo direttamente nel terreno, alla fine del ciclo colturale,

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Prova melone nell’azienda sperimentale del CRA-CAT di Scafati lasciando poi che per azione della popolazione microbica avvenga la sua biodegradazione in biomassa microbica, H2O, CO2 (o metano in condizioni asfittiche). L’adozione di questa innovazione tecnica, pertanto, rappresenta un ulteriore elemento di qualificazione dei sistemi produttivi agricoli nella direzione di un uso più efficiente delle risorse ed un contenimento dell’impatto ambientale. I settori produttivi elettivi per l’introduzione della pacciamatura biodegradabile sono quelli a più alta intensità di input come l’orticoltura e la frutticoltura.

Risultati sperimentali ed esempi di applicazioni Melone I saggi sono stati condotti a Scafati (SA) nell’azienda sperimentale del CRA-CAT, su terreno franco-limoso, confrontando sei teli: cinque biodegradabili ed un polietilene a bassa densità(PE):

V6 - telo verde, spesso 15 μm; PE - telo nero in polietilene, spesso 50 μm, come testimone. I teli biodegradabili hanno mostrato rese medie comparabili a quelle del telo LDPE, ma con quote di scarto decisamente inferiori. Per la produzione precoce il tipo Verde (V6) è risultato sensibilmente migliore degli altri. L’indice complessivo di qualità del prodotto è risultato più alto con teli biodegradabili in Mater-Bi® (tranne N5) rispetto al telo polietilenico, di poco per i tipi N2 e N3, sensibilmente per i tipi N12 e V6. Valori più alti di solidi totali (1-2 gradi Brix in più) sono stati rilevati per tutti i teli

Prova fragola nell’azienda di Francesco Pezone socio Coop SOLE N2 - telo nero sperimentale non ancora commercializzato, spesso 15 μm; N3 - telo nero commerciale, spesso 15 μm; N5 - simile a N3, ma dopo un anno di magazzino; N12 - telo nero commerciale, spesso 12 μm;

MB rispetto al telo LDPE. Fragola Il saggio è stato condotto con la varietà Sabrina nell’azienda agricola di Francesco Pezone nel comune di Parete (Caserta), su un terreno a tessitura franco-limosa, mediamente dotato di sostanza organica e con pH neutro (7,0). In un tunnel di 35

Risultati delle prove su melone: stime medie con intervallo di confidenza al 95%

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Coltivazioni


m x 5 m sono state sistemate quattro prode con interasse di 125 cm, alte almeno 40 cm rispetto al piano di campagna, con piante disposte a file binate a quinconce, distanziate 35 cm tra le file e 20 cm sulla fila, per una densità di impianto di circa 80.000 piante/ha. Due prode sono state pacciamate con telo nero MATER spesso 20 micrometri e le restanti con telo LDPE nero comune (LDPE) spesso 50 micrometri. Le piante sono state messe a dimora il 15 ottobre 2011, irrigate a pioggia fino alla copertura dei tunnel e quindi con doppia manichetta forata posta sotto il telo di pacciamatura. Per concimazione, irrigazione e difesa fitosanitaria sono state seguite le pratiche in uso nella cooperativa agricola SOLE, alla quale l’azienda è associata, pratiche finalizzate a produzioni di alta qualità e con bassi livelli di residui di prodotti fitosanitari. Con il telo MB la varietà di fragola Sabrina ha prodotto il 19% in più rispetto al telo LDPE comune, con 52 contro 44 t/ha di prodotto commerciabile. Anche la qualità visuale del prodotto è risultata migliore per il telo MB, per una quota significativamente maggiore della prima classe e minore della seconda, oltre che per uno scarto leggermente inferiore, con una differenza rispetto al telo LDPE in termini di prodotto qualitativo (indice della produzione vendibile) pari al 22%. Il miglioramento della produzione è in parte imputabile ad un diverso equilibrio tra componente vegetativa e riproduttiva, in quanto lo sviluppo della pianta è stato leggermente inferiore col il MB (3,5% in meno di biomassa secca per pianta). Le caratteristiche chimiche e fisiche del frutto rilevate sono risulta-

Coltivazioni

Classificazione del prodotto in relazione al tipo di telo pacciamante: stime medie con bande di confidenza al 95%

Caratteristiche dei frutti di fragola Sabrina: le bande rappresentano i valori attesi con intervalli di confidenza al 68 e 95% te coerenti con la migliore qualità visuale delle fragole ottenute con il telo MB rispetto al telo LDPE: tinta leggermente più tipica e colore più intenso e luminoso; maggior tenore di sostanza secca (+5%), maggior resistenza della polpa (+5%), maggiore concentrazione di solidi (+7%) e di acido ascorbico (+6%), anche se con un pH leggermente più alto. L’articolo è una sintesi dell’intervento dell’autore al convegno di Vallombrosa (FI) del 20/09/2015 Bibliografia Cozzolino E. et al. 2010 - MB contro polietilene:più prodotto costi equivalenti. L’Informatore Agrario 27: 34-37.

Cozzolino E. et al. 2011 - Telo biodegradabile su fragola, buoni effetti su resa e qualità. L’Informatore Agrario 29: 46-48. http://www.greenmanagement.org/ Reynolds A. 2009 - Agricultural fi lm market, trends and business development, Agricultural film 2009. Th e international conference for agricolture and horticulture film industry, 2426 febbraio, Barcelona, Spagna(DVD). Villa A. 2009 - Recycling schemes for the thin mulching agricultural film. Analysis of the process and application examples, Agricultural fi lm 2009. Th e international conference for agriculture and horticulture fi lm industry, 2426 febbraio, Barcelona,Spagna (Dvd).

Dr. Eugenio Cozzolino Cter-CREA eugenio.cozzolino @entecra.it

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Il Fico d’India Una pianta da rivalutare di

Francesco Marino

I

l fico d’India (Opuntia ficus-indica) è una pianta dei deserti e degli ambienti aridi che prospera in terreni rocciosi non molto fertili, difficilmente utilizzabili per altre colture. In Italia è diffusa principalmente in Sicilia e Calabria ma si trova anche in alcune aree a temperatura mite del Centro-Sud (Basilicata, Puglia e Sardegna). Nel massiccio etneo “Sicilia” è di norma la prima pianta coltivata per intaccare e disgregare le lave; in seguito farà posto ad altre colture come la vite. Le varietà coltivate sono: - Sanguigna, con frutti di colore rosso violetto, mediamente vigorosa e resistente alle basse temperature

- Sulfarina, di notevole vigore con frutti di colore giallastro e con grandi pale - Muscaredda, molto produttiva con frutti bianco paglierino. L’Opuntia assume generalmente un aspetto cespuglioso, ma il portamento può variare; in ambienti favorevoli per esempio può addirittura presentarsi con una struttura arborescente. La parte aerea è caratterizzata da un sistema di rami, cladodi o pale, che oltre a sorreggere e mantenere il portamento svolgono, al posto delle foglie (in corrispondenza delle quali emergono gli aculei, le “spine”), la fotosintesi clorofilliana. Essen-

do questa una pianta tipica dei deserti, ne conserva le caratteristiche; infatti sono presenti nel fusto strutture adatte ad immagazzinare acqua, che verrà in seguito utilizzata gradualmente nei periodi di siccità. L’apparato radicale è di tipo espanso, ma superficiale. I fiori, a seconda della varietà, presentano: colorazione verde, rosso e giallo o giallo e arancione. Sono ermafroditi, cioè muniti sia di organi maschili (stami) che di organi femminili (pistilli). La fioritura inizia nel mese di maggio e si protrae fino alla prima quindicina di giugno; ogni singolo fiore può rima-

Pianta di fico d’India in fioritura

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Coltivazioni


nere aperto per 10-15 giorni, anche se il periodo utile alla fecondazione è limitato solo ad un paio di giorni. L’impollinazione è per la maggior parte autogama (il polline feconda il pistillo del medesimo fiore), tuttavia la presenza di insetti pronubi, in particolare le api, favoriscono l’eterogamia (fecondazione tramite polline proveniente da un’altra pianta) che ne assicura un’allegagione vicina al 100%. Il frutto è una bacca, nella cui polpa sono contenuti numerosi semi che presentano un rivestimento molto resistente persino all’azione dei succhi gastrici digestivi; questi vengono espulsi dagli animali allo stato integro e ciò spiega come piante di fico d’India possano crescere in zone impervie, dove con tutta probabilità sono riuscite a diffondersi nell’ambiente grazie ad animali che si sono nutriti dei loro frutti. La pianta si riproduce per seme o tramite la propagazione di pale di 2 anni. Con la moltiplicazione attraverso il seme (gamica) non si ottengono piante uguali a quelle da cui derivano e, per questo motivo, la moltiplicazione per parte di pianta (agamica) risulta la più praticata. Per procedere alla riproduzione agamica, a primavera, le pale vengono tagliate al punto di inserzione con la pianta madre, periodo in cui le ferite sono facilmente cicatrizzabili; successivamente vengono lasciate esposte al sole per qualche giorno ed interrate per metà, dopo un’accurata preparazione e concimazione organico-minerale del terreno. Il normale ciclo biologico del fico d’India è caratterizzato dalla produzione e raccolta dei frutti nei mesi di agosto-settembre. Tuttavia, per l’elevato numero di semi e la scarsa succulenza, le caratteristiche qualitative dei frutti estivi non sono eccelse. Per questo motivo, con la tecnica della scozzolatura, (operazione che consiste nell’asportare manualmente i primi fiori formati nel periodo di “maggio-giugno”), si stimola una nuova fioritura più tardiva che consente di raccogliere i frutti, detti “bastardoni”, ad ottobre-dicembre. Questi sono di qualità decisamente superiore, con polpa più succulenta, pezzatura più grande e, non meno trascurabile, minor numero di semi

Coltivazioni

nella polpa. A tal riguardo - racconta la leggenda - che un uomo infuriato per un amo-

in seguito all’umidità notturna le spine sono meno rigide. Il taglio deve essere netto ed interessare anche

Diverse varietà di frutti di fico d’India re finito, una notte recise tutti i fiori del ficodindieto, unica fonte di reddito della sua amata, ma questi come d’incanto rifiorirono. Da allora i frutti migliori si gustarono in inverno.

Poco dopo la scozzolatura, o contemporaneamente ad essa (quando si verificano piogge continue in primavera), si consiglia di asportare una parte delle numerose pale neo-formate; infatti, la notevole produzione di queste inciderebbe negativamente sulla produzione e qualità dei bastardoni.

Raccolta ed utilizzo Dopo aver valutato l’avvenuta maturazione del frutto tramite il colore della buccia (che deve essere quello tipico della varietà), oppure effettuando assaggi a campione, si procede alla raccolta. Questa si svolge a mano, con l’ausilio di spessi guanti, nelle prime ore del mattino quando

1 cm circa di appendice di pala, per evitare processi di marcescenza nei frutti. La maggiore destinazione del frutto è quella allo stato fresco per l’alimentazione umana, ma può essere anche utilizzato per la preparazione di gelati, frittelle o confetture; inoltre, dopo previa fermentazione e distillazione, se ne può ricavare anche una gustosa “acquavite di fico d’India”. Anche se la destinazione del fico d’India è mirata soprattutto alla produzione di frutti e dei suoi derivati, non è da trascurare un suo impiego “veramente alternativo” come alimento per le diete dei ruminanti. Difatti sia i bovini che gli ovini gradiscono molto i cladodi più giovani, sia per la tenerezza degli stessi sia perché presentano spine meno dure; va però tenuto presente che la loro utilizzazione, per una corretta razione alimentare, deve essere da complemento e non come alimento base. Il fico d’India risulta quindi decisamente un pianta da rivalutare, sia per le proprie caratteristiche organolettiche e compositive (vedi tabella), sia per il naturale adattamento ai terreni poveri e marginali, dove troverebbe il suo naturale sbocco anche come metodo conservativo dei suoli. Dr. Agronomo Francesco Marino Agronomiperla Terra.org

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Vite: le varietà resistenti alle malattie fungine di

Marco Vacchetti

O

ttenere un prodotto salubre, di qualità, abbinato ad un minor impatto ambientale e con minor costi, è l’obiettivo di tutti gli operatori della filiera agro alimentare. Nel settore viticolo questo obiettivo si sta raggiungendo anche grazie all’introduzione di nuove varietà “resistenti” alle principali malattie fungine. L’introduzione in Europa delle principali malattie della vite (peronospora, oidio e filossera nella seconda metà dell’800), ha messo in grossa difficoltà la viticoltura europea. La filossera fu “superata” tramite la pratica dell’innesto, mentre per contrastare le malattie fungine, negli anni, sono stati utilizzati prodotti fitosanitari, inizialmente a base solo di rame e zolfo (prodotti di copertura), successivamente sostituiti progressivamente con agrofarmaci sempre più “evoluti” capaci anche di eradicare la malattia. Un utilizzo non commisurato dei prodotti fitosanitari, in particolare di origine chimica, però sta creando non pochi problemi a livello della salute umana e dell’ambiente. L’accresciuta professionalità e le conoscenze tecniche degli operatori agricoli in questi ultimi decenni hanno comunque ridotto l’utilizzo di prodotti fitosanitari, anche adottando pratiche agricole a basso impatto ambientale (come la lotta integrata o utilizzando metodi di coltivazione alternativa, come il biologico ed il biodinamico). Dalla fine dell’800 la ricerca ha cercato di ottenere varietà di vite in grado di resistere a queste malattie. Le prime varietà, ancora oggi molto conosciute nella memoria degli agricoltori sono: l’uva fragola, Isabella, il clinton e successivamente i numerosissimi ibridi Seibel, Cou-

Coltivazioni

derc, Seyve Villard, etc. In Italia la coltivazione di questi vitigni fu proibita nel 1931 tramite il Regio Decreto n. 376, al fine di evitare l’erosione del patrimonio varietale italiano, a differenza di altri paesi dove invece queste varietà furono largamente coltivate. In Francia negli anni ‘50 si raggiunsero i 400.000 ettari con varietà ibride quali: Chamburcin, Villard blanc, Villard noir, Baco noir, Baco blanc. Attualmente 20 varietà ibride sono iscritte al catalogo Nazionale Francese, ma non possono essere coltivate per produrre vini a denominazione d’origine (DOC). Verso il finire degli anni sessanta furono ottenuti in Germania vitigni che segnarono l’inizio di una nuova generazione di varietà resistenti non più definite “ibride”: Regent (1967), Johanniter (1968) e successivamente Solaris (1975) e Bronner (1975). Attualmente numerosi sono i paesi che stanno ottenendo nuove varietà tolleranti alle malattie,

come Germania, Svizzera, Austria, Rep. Ceca, Usa ed Ucraina. In Italia i programmi di ricerca sono iniziati nel 1998 presso l’Università

Varietà resistente Souvignier Gris

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di Udine e negli ultimi anni anche presso l’Istituto Agrario di San Michele all’Adige (TN). La possibilità di coltivazione in Italia

residui di prodotti fitosanitari. La maggior parte delle varietà resistenti provate sono altamente tolleranti alla peronospora ed un pò

Varietà resistente Miss Pink di queste varietà si è ottenuta solamente nel 2009, con l’iscrizione al Catalogo Nazionale delle varietà Regent e Bronner. Ad oggi sono state iscritte anche le varietà da vino di Solaris, Johanniter, Helios, Cabernet Cortis, Cabernet Carbon, Prior e Souvignier gris. Numerose ed interessanti sono le varietà da consumo fresco. Attualmente sono indicate per una produzione familiare o per una vendita locale in quanto non possiedono le caratteristiche merceologiche (dimensioni acino, croccantezza, resistenza alla conservazione, etc.) richieste da un mercato esteticamente esigente, ma hanno il gran pregio di poter produrre un grappolo esente da eventuali

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di zone sensibili come abitazioni, scuole, piste ciclabili, etc; • ridurre i costi di gestione del vigneto e quindi di produzione dell’uva;

Varietà resistente Black Finger meno all’oidio. In alcuni casi è necessario effettuare qualche trattamento antioidico per ottenere una miglior allegagione. L’utilizzo di queste varietà è sicuramente da incoraggiare per: • ridurre notevolmente non solo il quantitativo di prodotti fitosanitari chimici e naturali (rame e zolfo) ma anche limitare il numero dei trattamenti, ovvero le ore operative con i mezzi agricoli; • la coltivazione di vigneti in zone di difficile accesso, in zone con elevate pendenze e scoscese, dove l’utilizzo dei mezzi meccanici risulti essere difficoltoso, pericoloso e costoso; • evitare l’utilizzo della distribuzione dei prodotti fitosanitari in prossimità

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• incentivare la coltivazione e produzione familiare di uva da tavola e da vino; • diffondere la coltivazione su orti, balconi, terrazzi e giardini e per una “viticoltura urbana”. E’ importante e fondamentale ricordare che queste varietà vengono ottenute con metodi esclusivamente naturali (non OGM).

Dr. Marco Vacchetti Laureato all’Università di Agraria di Bologna

Coltivazioni



La Biodiversità: recupero e valorizzazione Una breve introduzione al concetto di biodiversità ed ai principali metodi di recupero e valorizzazione delle varietà vegetali antiche di

Fabio Di Gioia

I

l termine biodiversità (o variabilità genetica) viene di solito utilizzato per definire la variabilità delle for-

Antica varietà di mela “Carlo” me viventi presenti sulla Terra. Dal punto di vista genetico, la biodiversità si esprime come il risultato biologico del patrimonio genetico di una determinata specie (genotipo) e la sua manifestazione a livello esteriore (fenotipo), all’interno del contesto ambientale nel quale la specie in questione si è sviluppata. La biodiversità di interesse per il settore agricolo viene definita biodiversità agraria o agro biodiversità e tra le specie produttive di interesse le varietà antiche o dimenticate sono quelle considerate più rappresentative dal punto di vista della ricchezza del patrimonio genetico.

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Il recupero di queste varietà è importante perché: • Conservano la variabilità genetica, meglio conosciuta come biodiversità. • Sono più resistenti e/o tolleranti ai parassiti. • Si adattano meglio all’ambiente, al clima ed alle caratteristiche dell’area di coltivazione. • Risultano maggiormente favorite nell’ambito della selezione naturale della specie. • Non richiedono interventi colturali (concimazioni, trattamenti fitosanitari, irrigazioni e lavorazioni) frequenti ed eccessivi. • Presentano caratteristiche organolettiche e qualitative considerate migliori. • Permettono di valorizzare la zona tipica di produzione nella quale esse vengono coltivate. • Permettono di mantenere viva la storia, le tradizioni agricole, contadine, culturali e gastronomiche ad esse legate. Per non perdere l’agrobiodiversità alcune regioni italiane, infatti, si sono attivate attraverso l’emanazione di specifiche leggi regionali volte alla

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Coltivazioni


tutela delle risorse genetiche autoctone d’interesse agrario, zootecnico e forestale. Ad oggi sono 7 le regioni che posseggono una propria normativa in merito alla suddetta tematica: • Regione Toscana: Legge Regio-

blico ed istituzionale, il recupero della biodiversità e delle varietà locali viene portato avanti anche attraverso iniziative di natura privata o da parte delle comunità locali; di seguito ne verranno analizzate alcune.

trodurre una varietà antica all’interno del proprio territorio d’origine, evitandone quindi, l’eventuale scomparsa definitiva. L’autoproduzione delle sementi tradizionali Pur trattandosi di una pratica molto complessa, costosa ed impegnativa, l’autoproduzione delle sementi rappresenta la tecnica di riproduzione che maggiormente riesce a garantire ad una varietà antica la possibilità di propagarsi all’infinito evitando il rischio di estinzione. Bibliografia 1) Bartoli M, Longhi F., Bazzanti N., Turchi R., 2010. La tutela e la valorizzazione del patrimonio di razze e varietà locali in Toscana. ARSIA – Regione Toscana, Edizione aggiornata, Firenze. 2) Cerretelli G., Vazzana C., 1995. Un seme, un ambiente: manuale di autoriproduzione delle sementi. Regione Toscana – Giunta regionale, Dipartimento di Agricoltura e Foreste, Edizioni Regione Toscana, Firenze. 3) Olivucci A., 2012. Internet http://www.cadelsanto.org. Kokopelli e la biodiversità anarchica (e lucrativa).

Antica varietà di mela “Muso di Bue” nale 50/1997 “Tutela delle risorse genetiche autoctone” ad oggi modificata e migliorata nella Legge Regionale 64/2004 “Tutela e valorizzazione del patrimonio di razze e varietà locali di interesse agrario, zootecnico e forestale”. • Regione Lazio: Legge Regionale 1/2001 “Tutela delle risorse genetiche autoctone d’interesse agrario”. • Regione Umbria: Legge Regionale 25/2001 “Tutela delle risorse genetiche autoctone d’interesse agrario”. • Regione Friuli Venezia Giulia: Legge Regionale 11/2002 “Tutela delle risorse genetiche autoctone d’interesse agrario e forestale”. • Regione Marche: Legge Regionale 12/2003 “Tutela delle risorse genetiche animali e vegetali del territorio marchigiano”. • Regione Emilia-Romagna: Legge Regionale 1/2008 “Tutela del patrimonio di razze e varietà locali d’interesse agrario del territorio emiliano-romagnolo”. • Regione Basilicata: Legge Regionale 26/2008 “Tutela delle risorse genetiche autoctone vegetali e animali di interesse agrario”. Oltre alle iniziative di carattere pub-

Coltivazioni

4) Rete dei semi rurali, 2011. Semi locali semi legali. Notiziario bimestrale.

I circuiti locali di produzione e consumo e di vendita attraverso la filiera corta Queste iniziative messe appunto in mercati, spacci, Gruppi di Acquisto Solidale (GAS), sostenute a livello regionale e dagli Enti Locali, offrono la possibilità da una parte di garantire un reddito agli agricoltori e dall’altra di offrire l’opportunità per il cittadino Antica varietà di mela “Renettona” - consumatore, Shiva V., et al 2012. La libertà dei semi. di riscoprire le tradizioni e la cono- 5) Rapporto globale dei cittadini. Navdanya Inscenza locale attraverso l’acquisto ternational Firenze. di prodotti ottenuti da varietà locali. Le iniziative di scambio delle seDr. Fabio Di Gioia menti La pratica di scambio gratuito dei fabio_digioia@ semi tra gli agricoltori risulta il milibero.it glior sistema attuabile al fine di rein-

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L’agricoltore attivo Cerchiamo di capire meglio il significato di questo termine coniato allo scopo di selezionare i beneficiari degli aiuti della nuova PAC di Ivano

Cimatti

L

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a legislazione europea (Reg. UE 1307/2013) e quella italiana (Conferenza Stato/Regione del 12 giugno 2012) hanno coniato la locuzione di “agricoltore attivo”, allo scopo di selezionare i beneficiari dei pagamenti diretti, nell’ambito della PAC. Al fine di limitare, in questo modo, l’ambito dei beneficiari ai soli agricoltori in attività (i c.d. active farmers) e quindi escluden-

venire unicamente a favore di un agricoltore attivo. In linea generale, ai sensi degli artt. 4 e 9 del Reg. 1307/2013, è agricoltore in attività, in favore del quale possono concedersi pagamenti diretti, solo chi pratica un’attività agricola in un fondo rustico, le cui superfici sono mantenute naturalmente in uno stato idoneo al pascolo o alla coltivazione.

do gli agricoltori “non attivi”, ossia i soggetti, per i quali l’agricoltura, è o costituisce una parte insignificante della propria attività professionale. E questo per evitare, come è sempre accaduto, che il finanzia-mento pubblico destinato all’agricoltura, venisse consistentemente assorbito da soggetti che agricoltori non sono. La definizione di agricoltore attivo si applica sia ai pagamenti diretti che a molte misure del PSR ed inoltre, l’assegnazione dei nuovi titoli ed il trasferimento dei titoli possono av-

La legislazione italiana, nell’attuare la normativa europea, riconosce una situazione di fatto (sotto forma di prerequisito), per gli agricoltori che nell’ultimo anno, hanno ricevuto pagamenti diretti al di sotto di una soglia che è di 5000 euro per le aziende prevalentemente ubicate in montagna e/o zone svantaggiate ovvero 1250 nelle altre zone. Questo significa che tutti i piccoli beneficiari della PAC sono attivi, considerato che in Italia i beneficiari dei pagamenti diretti nel 2010 sono stati

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poco meno di 1,25 milioni e l’87% di questi ha ricevuto aiuti per meno di 5.000 euro, ma la loro quota sull’ammontare dei finanziamenti concessi è stata solo del 26%. Le imprese agricole che, nell’ultimo anno, hanno percepito prestazioni patrimoniali inferiori a 250 euro (circa il 30%) ovvero laddove la superficie coltivata sia inferiore all’ettaro sono nondimeno esclusi di diritto dalla prossima PAC. In ogni caso, sono considerati agricoltori attivi i soggetti che dimostrano di possedere uno dei seguenti requisiti: a) iscrizione al’Inps come coltivatori diretti; b) imprenditori agricoli professionali, coloni e/o mezzadri; c) partita Iva attiva in campo agricolo a partire dal 2016, con dichiarazione annuale Iva relativa all’anno precedente la presentazione della domanda unica. Per le aziende con superfici ubicate in zone montane e/o svantaggiate in misura maggiore del 50% sarà sufficiente il possesso della partita Iva in campo agricolo. La scelta legislativa, è ovvio e naturale, da una parte, limiterà l’accesso ai finanziamenti del I pilastro e, dall’altra anche a numerose misure del II. Chiaramente tale opzione è osteggiata dai proprietari terrieri che non svolgono la loro attività prevalente nel settore agricolo, ma che hanno conseguito una rendita dai loro terreni sia direttamente come beneficiari degli aiuti comunitari, sia indirettamente sotto forma di canoni di affitto allineati a questi aiuti. D’altronde è anche corretto che la prestazione patrimoniale della PAC

Coltivazioni


venga limitata a questi soggetti, perché costoro hanno uno scarso interesse per le modalità di utilizzo dei terreni agricoli che possiedono (nel senso di cosa coltivare e come), traducendosi in una gestione orientata prevalentemente al breve termine se non addirittura in una manutenzione minima dei suoli come richiede il regolamento comunitario. Questo comportamento diminuisce l’efficacia degli aiuti comunitari e rappresenta un vincolo per la mobilità del mercato fondiario, ostacolando lo sviluppo di attività agricole orientate al medio-lungo periodo. I proprietari terrieri non agricoltori hanno però un rilevante ruolo finanziario sia nel complesso che individualmente, dato che comprendono imprese pubbliche e private di grandi dimensioN° 0 ni; di conseguenza, essi esercitano una notevole influenza politica grazie alla quale la questione dell’agricoltore attivo è stata progressivamente ridimensionata ed attualmente non risulta ancora del tutto definita. Quello che appare certo è l’identificazione di un elenco di proprietari terrieri esclusi per definizione dagli aiuti (la c.d. black list) riconducibili a: aeroporti, ferrovie, acquedotti, agenzie immobiliari, campi sportivi e ricreativi. Ogni stato membro europeo, in ragione della detta legislazione, avrebbe potuto allargare l’elenco dei soggetti esclusi. L’Italia ha così

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allargato la lista nera ad altre quattro categorie: - le persone fisiche e giuridiche che svolgono attività di intermediazione creditizia;

escluse, non rientrando nella black list. Esattamente il contrario, degli enti pubblici. Tutte le restanti aziende, le quali percepiscono importi superori a

- persone fisiche e giuridiche che svolgono attività di intermediazione commerciale; - le società per azioni, cooperative e mutue assicurazioni che svolgono attività di assicurazione e/o riassicurazione; PRODURRE LE PIANTE - pubbliche amministrazioni, salvo PER L’ORTO quelle che effettuano formazione e sperimentazione SCEGLIERE in campo agricolo. IL MAIALINO La limitazione, nondimeno, è soDA INGRASSO lamente di facciata perché non si NOVITA’:istituti IL conoscono finanziari/assiCAVIALE DI curativi/bancari che, direttamente, LUMACA posseggano aziende agricole, quanUTILIZZARE to specifiche e distinte società conAL MEGLIO I trollate che, pertanto, non vengono FITOFARMACI

5000 euro, per avere accesso alla figura dell’agricoltore attivo, sono tenute a dimostrare di non rientrare in una delle figure della black list e di rientrare in uno dei seguenti casi: - inscrizione all’Inps come Imprenditore agricolo principale, coltivatore N° 0o mezzadro; diretto, colono - sono titolari di partita Iva in campo agricolo con dichiarazione annuale Iva.

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2014

Avv. Ivano Cimatti ivan_cimatti@ hotmail.com

PRO LE P Con soli 10€ puoi iscriverti all’Associazione di Agraria.org PER

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e ricevere la Rivista TerrAmica!

Approfittane subito, iscriviti online: www.associazione.agraria.org

Coltivazioni

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La rogna auricolare del coniglio Una malattia parassitaria ancora molto diffusa, soprattutto a livello di piccoli allevamenti rurali di

Cristiano Papeschi e Linda Sartini

I

Zootecnia

l problema dei parassiti ha sempre avuto un certo peso nell’allevamento del coniglio da carne e molte sono le specie di “ospiti indesiderati” con i quali potremmo avere a che fare. Oggi ci occuperemo di una patologia particolare, nota con il nome di “rogna psoroptica” ma

la vogliamo chiamare, l’organismo responsabile di questa parassitosi molto diffusa e fastidiosa è un piccolo acaro, Psoroptes cuniculi.

Questo minuscolo artropode ha di-

ovunque vi siano dei conigli. Il parassita colonizza il meato acustico esterno (o canale auricolare) ed il padiglione, ove compie per intero il suo ciclo biologico. Dopo l’accoppiamento la femmina depone, una alla volta, delle uova ovali piuttosto grandi che misurano circa 250 µm

stribuzione “cosmopolita”, il che significa che è presente più o meno

(0,25 mm). Da queste fuoriescono le larve dell’acaro, degli esserini micro-

Ciclo biologico e morfologia

Allevamento industriale di conigli anche conosciuta come “otoacariasi” o “rogna auricolare”. Comunque

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Zootecnia


scopici di forma rotondeggiante, dotati di sei arti e lunghi circa 330 µm (0,33 mm) che successivamente si

sore della pelle, ed essendo dotati di cheliceri molto potenti, rompono le cellule dell’ospite per nutrirsi dei

superfici interne della gabbia. Il problema è localizzato esclusivamente alla porzione interna dell’orecchio,

Croste all’interno del padiglione auricolare trasformeranno in ninfe ad otto zampe e leggermente più grandi dello stadio precedente. In finale le ninfe evolveranno in adulti che inizieranno a produrre altre uova per dare vita alle generazioni successive. L’intero ciclo biologico, da larva ad adulto, dura circa 20 giorni. Gli adulti possono raggiungere la lunghezza massima di 800 µm (0,8 mm) e per quanto microscopici, possono essere osservati anche ad occhio nudo o con l’ausilio di una lente di ingrandimento: sembrano piccoli puntolini bianchi che si muovono molto lentamente. Questi acari vivono sulla superficie cutanea all’interno del condotto e del padiglione auricolare, a differenza di quelli che provocano la “rogna sarcoptica” o “scabbia” che invece scavano gallerie nello spes-

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fluidi corporei che fuoriescono dalle lesioni. Ogni femmina può deporre numerose uova in tempi molto brevi e questo determina la rapida comparsa di numerosi acari e delle tipiche lesioni di cui andremo a parlare tra breve.

sebbene siano state segnalate da alcuni autori lesioni atipiche “fuori

Segni clinici La presenza dell’acaro e delle sue attività fisiologiche provoca un intenso prurito all’animale, che cerca di lenire il fastidio grattandosi la parte colpita con le unghie e strofinandosi sulle

Psoroptes cuniculi: adulto e larva

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zona”; dato però che l’incidenza di La razza di questo numero: L’Ariete inglese quest’ultime può essere ritenuta Il coniglio denominato “Ariete Inglese” è una razza originaria della Gran Bretagna. più che trascura- Ad oggi gli allevamenti in Europa sono pressoché scomparsi; resistono solamente pochissimi amabile, ci limiteremo tori che mantengono in vita questa particolare variante della razza ariete. a considerare i Selezionata nel XIX secolo, colpisce oltre che per le grandissime orecchie anche per la sua estresoli danni alla re- ma docilità; amata da Fonte www.anci-aia.it gione auricolare. grandi e piccini è fonte L’azione lesiva di curiosità in tutti quelinflitta dall’acaro li che hanno la fortuna sulla cute vie- di vederla, purtroppo ne aggravata sempre più raramente, dal grattamento nelle mostre cunicole. indotto nell’a- Il record di lunghezza nimale, il quale delle orecchie spetsi auto-provoca ta ad un esemplare piccole e grandi americano che in una ferite, fuoriuscita convention in Wichita, di sangue e for- Kansas, raggiunse la mazione di cro- straordinaria lunghezste. Inizialmente za di 79 cm. il danno è circo- A prima vista goffo e scritto e limitato tranquillo, l’ariete inalla porzione più glese è invece un cointerna del ca- niglio vivace e giocherellone che ama molto la compagnia dei bambini. nale auricolare, A causa della sua caratteristica predominante ha bisogno di una lettiera di alto spessore e di grandispertanto le lesio- simi spazi per evitare di ferirsi accidentalmente le orecchie calpestandole con le zampe. ni sono difficil- La storia e la selezione di questa razza, in piena epoca Vittoriana, costituisce una sorta di spartiacmente osserva- que tra l’allevamento classico, destinato alla produzione di carne, pelliccia o pelo e quello che poi bili dall’operatore più tardi sarebbe diventato il coniglio da compagnia; difatti fu la prima ad essere selezionata per a meno che non non essere fonte di guadagno ma esclusivamente per passione verso il magnifico mondo cunicolo e venga eseguita quindi creare qualcosa da ammirare e “tenere con sè”. un’accurata ispe- La leggenda narra che l’enorme lunghezza e la larghezza delle orecchie vennero selezionate per zione del condot- far si che l’animale disperdesse più velocemente il calore, essendo stato selezionato in un contesto to. Con il passa- ambientale molto caldo. re del tempo ed il Questa razza, incrociata poi con altre già presenti sul territorio europeo, diede vita a tutte le altre moltiplicarsi degli razze di ariete (tedesca, francese, etc…). acari, le lesioni crostose tendono Cosa dice lo standard ad estendersi e È un coniglio di medie dimensioni, con un peso che varia dai 3,5 ai 5 Kg, un corpo snello e fine, che ad invadere l’in- differenzia notevolmente questa razza dagli altri arieti; gli arti anteriori sono corti ed eretti, mentre tero padiglione quelli posteriori sono forti e lunghi, che determinano la caratteristica posizione rialzata del treno con formazione posteriore. La testa è allungata ed il profilo fortemente curvo, la corona è appena abbozzata. La di croste molto misurazione delle orecchie si effettua orizzontalmente dalla punta di un orecchio alla punta dell’altro, evidenti, di colo- in leggera trazione sopra la testa. Per la misurazione della larghezza si considera la parte più larga re generalmente della pinna, circa a metà, senza tener conto del pelo dell’orlo. La lunghezza consentita dallo stanbruno a causa dard per le orecchie varia dai 58 ai 65 cm ed oltre, mentre per la larghezza si va dai 12 a più di 15 della presen- cm. Tutte le colorazioni sono ammesse, argentato escluso, compresa la variante pezzata. La razza za del sangue ha origini molto antiche, veniva allevata principalmente per la sua rusticità, lo sviluppo precoce e la dell’animale. Il bontà della sua carne. grattamento e la comparsa di feRoberto Corridoni rite aperte lascia libero accesso ai batteri presenti nell’ambiente e sulle unghie del un fastidio moderato, ma quando il gli animali smettono di mangiare e coniglio, portando le ferite ad infet- problema si estende, questi tendono deperiscono rapidamente. tarsi ed a formare pus. I soggetti a diventare irrequieti. Nei casi più Nonostante il nome agghiacciante colpiti in maniera lieve manifestano gravi compare febbre e setticemia, con cui viene indicata questa pato-

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Uovo di Psoroptes cuniculi contenente la larva dell’acaro logia, la rogna psoroptica non è trasmissibile all’uomo.

Profilassi e trattamento L’otoacariasi è una patologia molto frequente nel coniglio, e colpisce con maggiore frequenza gli allevamenti rurali ma non è rara neanche in quelli industriali. Come fattore predisponente riconosce una scarsa igiene dell’ambiente e delle gabbie e la trascuratezza degli animali. Molta attenzione deve essere posta all’acquisto di nuovi soggetti, soprattutto se di provenienza “poco sicura”, i quali potrebbero veicolare la parassitosi in forma non ancora evidente permettendo agli artropodi di penetrare all’interno di un allevamento nel quale il problema non si era mai manifestato, contagiando anche gli altri conigli ivi presenti. Gli acari della rogna psoroptica sono entità vive ed in grado di muoversi, pertanto possono spostarsi attivamente da una gabbia all’altra e da animale ad animale. Molto spesso la diffusione avviene attraverso le croste che si staccano dai conigli parassitati, le quali contengono numerosi acari ma soprattutto tantissime uova pronte a schiudersi. Come ausilio nella pre-

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di ottenere una diagnosi certa e la debita terapia. Un tempo, in maniera casareccia, si usava impiegare olio e zolfo per la lotta a questo parassita, ma oggi esistono piani terapeutici sicuramente più rapidi ed efficaci, sia sotto forma di acaricidi ad uso esterno che per via iniettabile, dei quali non discuteremo in questa sede perchè dovranno essere consigliati o prescritti caso per caso ad opera del veterinario curante. Le croste all’interno dell’orecchio non devono assolutamente essere rimosse in quanto potrebbero provocare dolore all’animale, sanguinamento e favorire la comparsa di infezioni secondarie; le croste cadranno e le ferite si rimargineranno da sè con il progredire della terapia. In conclusione possiamo dire che la rogna psoroptica è una patologia che può essere prevenuta e trattata con successo, ma necessita di un occhio attento e di una buona conduzione dell’allevamento.

Dr.ssa Linda Sartini venzione delle infestazioni si consiDVM glia di curare attentamente la pulizia Specializzata in ispedelle gabbie, lavando, disinfettando zione degli alimenti di origine animale e flambando periodicamente le superfici, eliminando le concrezioni e gli accumuli di sporco e rimuoven- Dr. Cristiano Papeschi DVM do le deiezioni e gli scarti di fieno e Università degli Studi della Tuscia Specializzato in paglia al di sotto della gabbia, che teconologia e andrebbero eventualmente bruciati. patologia del coniglio, La calce ed i disinfettanti, quali ad della selvaggina e degli avicoli esempio i sali quaternari di ammonio o l’ipoclorito di sodio, possono essere utilizzati nei piani di disinfezione degli ambienti e delle strutture, ovviamente con le debite precauzioni per non infastidire o nuocere agli animali. I conigli devono essere periodicamente esaminati, prestando particolare attenzione all’interno dell’orecchio. In caso si noti o si soPonzano Veneto (TV) - Via Roma, 156 spetti la presenza Tel. +39 348 3579498 del parassita è necessario rivolgersi ilconiglio@ilconiglio.com www.ilconiglio.com al veterinario al fine

Costruzione Gabbie Conigli e Polli

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Il suino Nero di Calabria Attualità di una razza antica e poco conosciuta di

Francesco Marino

P

er la suinicoltura del nostro paese il 1873 segna uno spartiacque di notevole interesse; difatti per la prima volta furono importati dal Regno Unito suini Yorkshire Large White. Sino ad allora la nostra suinicoltura era basata sullo

‘900 mediante incroci e successivi meticciamenti con razze locali già precedentemente migliorate con la stessa Large White. E’ importante sottolineare che parallelamente all’importazione delle razze estere migliorate, sarebbe stato possibile,

te estinte, il Suino Nero di Calabria è però stato relativamente fortunato; infatti, nel 1989 in una località interna ed impervia del comune di Rossano (CS), ne furono ritrovati pochi soggetti (5 ♂ e 10 ♀) dai quali ebbe inizio un lenta ri-

Suino Nero di Calabria (foto Madeo Food) sfruttamento delle razze indigene oltre che utile, migliorare anche le scossa, anche se non del tutto aplocali e tale data tracciò l’inizio di razze autoctone evitandone così l’e- prezzabile sia sul piano scientifico un percorso che portò alla loro so- stinzione. (ricerca) che di mercato (prodotti). stituzione, scomparsa ed alla quasi Rispetto alle 16 razze ufficialmen- Dagli inizi del XX secolo fino agli totale amalgamaanni ‘60 il Nero di zione del patrimoCalabria si diffunio suinicolo tradise in quasi tutto il zionale. Solo due territorio calabrerazze sostituirono se con diversi tipi quasi per intero locali: nomi come le nostre indigene Cosentino, Lagofino a costituire negrese, Reggitutt’ora la maggior no e Macchiaiola parte dei capi al(forse una sottolevati nel nostro razza) erano sinopaese: la Large nimi con cui era White e la Landraconosciuto. Ogni ce. Quest’ultima famiglia ne alleè stata importata vava almeno 2 fadalla Danimarca cendo della razza in seguito alla sua una produttrice di creazione avvecarne magra che nuta ai primi del Suinetto di Nero di Calabria (foto Az. Agr. Ferrari Adriano - Altilia, Cosenza) si prestava bene

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NUMERO NATI

leggermente ricadenti in avanti (que- vivo medio dei suinetti alla nascita di sto posizionamento consente all’ani- 1200 g. male, durante il pascolo in zone boschive ricche di essenze spinescenti, un certa protezione agli occhi), arti solidi, asciutti e mediamente lunghi, idonei ad una perfetta locomozione. Le caratteristiche da vero camminatore ne esaltano Soppressata di Suino Nero di Calabria l’attitudine al (foto Dolce Piccante Calabrese) pascolamento che è veramente notevole; riesce L’espressione massima di questo infatti a trovare cibo dove molti altri animale sarebbe in un contesto di suini morirebbero di fame. E’ carat- allevamento allo stato brado o semibrado nei boschi, con integrazione 7.7 2 8 alimentare nei 7.5 7.2 7 1.8 periodi più critici 7 1.6 e finissaggio con 6 1.33 1.32 pascolo a ghiande 1.4 1.24 1.2 5 e castagne a fine 1.2 carriera, in modo 4 1 da dare grasso 0.8 3 più scuro e carne 0.6 2 marezzata più sa0.4 1 pida. 0.2 In conclusione si 0 0 può sicuramente Casertana Calabrese Cinta Senese Nero delle Nero delle Casertana Calabrese Cinta Madonie Madonie Senese affermare che il Nero di Calabria TIPO GENETICO TIPO GENETICO possiede grandi Grafico 1 - Numero medio alla nascita Grafico 2 - Peso vivo alla nascita potenzialità, non (fonte ARSSA Calabria - dati rielaborati) (fonte ARSSA Calabria - dati rielaborati) avendo niente da invidiare alle alin 12 mesi anche 150 kg, mentre terizzato da un mantello nero con tre razze autoctone; anzi, sui pochi le femmine alla stessa età possono setole prevalentemente ispide, an- studi effettuati, alcuni parametri vasuperare 120 kg. Le masse musco- che se in alcuni casi possono nasce- lutativi ne fanno presagire un futuro di sicuro interesse (tab.1). Inoltre la costituzione del Registro Anagrafico dei tipi genetici autoctoni, che ha interessato anche il Nero di Calabria insieme alle altre razze autoctone, ha contribuito a rilanciare questi Tab.1 - Valori medi per tipo genetico splendidi animali. (fonte ARSSA Calabria - dati rielaborati) lari non sono molto sviluppate, ma ben inserite su un apparato scheletrico solido, tipico dei pascolatori. Presentano un profilo frontonasale rettilineo, orecchie medio grandi e

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PESO, Kg

alla trasformazione dei derivati tipici come salsiccia, soppressata, capocollo, pancetta e prosciutto, particolarmente apprezzati in zona e non solo. Oggi insieme alle altre razze autoctone (come la Casertana, la Mora Romagnola, il Nero delle Madonie e la Cinta Senese), la razza Calabrese rappresenta - se pur nella sua consistenza attuale di poche decine di soggetti veramente tipici e molti altri che richiamano più o meno da vicino il tipo originale - un animale che se opportunamente sfruttato costituirebbe un potenziale produttivo delle aree marginali e boschive dei comprensori collinari e montani altrimenti destinati all’abbandono. Difatti queste razze sono ciò che di meglio la natura ha saputo fare nell’adattamento degli individui al loro ambiente di vita originale. Si tratta di animali di taglia media, con maschi che arrivano a pesare

re soggetti macchiati o con calzini bianchi. Analogamente alle altre razze autoctone non ha prolificità elevata; la classe di massima frequenza è di 7 nati per parto, con un peso

Dr. Agronomo Francesco Marino Agronomiperla Terra.org

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Farmaci veterinari: un uso consapevole Spesso vengono utilizzate terapie “fai da te” o ne viene fatto un abuso. Alcune utili informazioni per un corretto utilizzo di

Cristiano Papeschi e Linda Sartini

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a medicina, sia umana che vete- le modalità di conservazione. Sottorinaria, si avvale comunemente linea ancora l’AIFA: “tuttavia, è imdi strumenti noti con il nome di portante ricordare che la lettura del “farmaci”, presidi indispensabili per foglietto illustrativo non sostituisce la terapia e la risoluzione delle più la consultazione del medico”. Non diverse patologie. Qualunque farma- dimentichiamolo! Ma perchè tutto co, in linea generale, è composto da questo preambolo? Per sottolineare un “principio attivo”, ovvero la mo- alcuni punti chiave del discorso che lecola che svolge l’azione farmaco- seguirà. logica richiesta e gli eccipienti, una serie di composti con proprietà particolari che ricoprono una funzione ausiliaria (ad esempio favorire l’assorbimento del principio attivo o rendere più appetibile il prodotto). Ogni farmaco è studiato, formulato e commercializzato per uno scopo preciso e sempre accompagnato da un foglietto illustrativo presente all’interno della confezione. Sul sito dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) si legge testualmente: “Il foglio illustrativo, che deve essere presente in ogni confezione, è una preziosa guida all’uso del farmaco”. Al suo interno sono Esempio di ricetta veterinaria in quadruplice copia contenute informazioni relative alle Farmaci e prescrizione mesostanze presenti nel medicinale, le dico-veterinaria indicazioni terapeutiche, le controindicazioni, le precauzioni d’uso, le Per quel che ci interessa, possiamo modalità di somministrazione, even- scolasticamente suddividere i farmatuali effetti collaterali, la posologia e ci ad uso veterinario in due grandi

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categorie: quelli cosiddetti “da banco” e quelli cedibili dietro prescrizione. Nel primo gruppo ricadono quei prodotti che possono essere venduti presso le farmacie ed in alcuni casi in negozi per animali, che non richiedono prescrizione medica e pertanto si possono acquistare senza difficoltà. Ciò non toglie che, qualora ne venisse fatto un uso scorretto od un abuso, potrebbero comunque causare danni all’animale. Tra i farmaci da banco rientrano, ad esempio, alcuni antiparassitari ed integratori. La maggior parte degli altri farmaci necessitano al contrario di prescrizione, generalmente conseguenza di visita clinica e diagnosi da parte del veterinario. In questo caso il farmaco può essere acquistato esclusivamente in farmacia dietro presentazione di “ricetta”, la quale indicherà non solo il prodotto prescritto o il principio attivo, ma anche la via di somministrazione, la durata della terapia e la dose da somministrare. E’ fondamentale sottoporre l’animale a visita clinica affinchè venga individuata la problematica e la terapia più adatta per risolvere il più in fretta possibile lo stato patologico in questione. Nel caso di animali ad uso zootecnico la cosa è ancor più importante in quanto si tratta per lo più di soggetti produttori di derrate alimentari, molto spesso allevati in grossi numeri ed a stretto contatto tra loro. Pertanto la diffusione delle patologie all’interno del gruppo (mandria, gregge, branco, ecc.) potrebbe essere rapida ed estremamente dannosa sia per gli animali stessi che, in alcuni casi, per l’essere umano. Inoltre, per quel che riguarda la somministrazione di farmaci ad animali da alle-

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vamento, bisogna anche tener presente la questione “residui”, ovvero la presenza di tracce di farmaco in carne, latte o uova che verranno poi assunti dal consumatore finale. Infatti, in zootecnia viene compilata la cosiddetta “ricetta in quadruplice copia”, per consentire una maggiore tracciabilità del prodotto e dei relativi trattamenti: una copia rimane all’allevatore, una al veterinario, una alla farmacia e l’ultima viene spedita alla ASL competente per territorio. Su questo tipo di ricetta viene sottolineato non solo il tipo di trattamento e la posologia, ma anche gli animali trattati ed i tempi di sospensione.

Alcuni errori comuni Veniamo ad alcuni errori comuni che spesso vengono compiuti, sia da alcuni allevatori che da proprietari di animali. Sono fondamentalmente due, ma nel primo caso rientrano

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una serie di fantasiose varianti sul tema. 1) Somministrare arbitrariamente un farmaco: è il primo, gravissimo errore! Come già accennato, un farmaco andrebbe somministrato dietro visita e prescrizione veterinaria. Può accadere che si possieda in casa o in allevamento un determinato farmaco, magari ad uso umano oppure la rimanenza di una prescrizione precedente. Può capitare, certo! E può capitare che, presi dal panico, spinti dall’inesperienza o desiderosi di risparmiare sulla visita veterinaria o sulla spesa in farmacia, si giunga alla conclusione: “Perchè no? Tanto ce l’ho... fammi provare”. E’ sbagliatissimo! Anche se abbiamo l’impressione di sapere quel che facciamo, il rischio è davvero grosso in quanto presuppone la presunzione di aver inquadrato il tipo di patologia (pur non avendo la debita formazione

medico-sanitaria) e di sapere quando e come somministrare la terapia. Altre volte ci si rivolge ad un amico o ad un altro allevatore per chiedere consiglio, il quale magari ci dirà: “ho avuto lo stesso problema e l’ho risolto con questo farmaco…” ma siamo sicuri che il problema sia davvero lo stesso? O forse quel sintomo nasconde altre problematiche? Abbiamo la certezza che quel farmaco riuscirà a risolvere la patologia o farà più danni? Lo stesso dicasi per i consigli ed i protocolli terapeutici reperiti su internet: spesso per esempio capita di chiedere informazioni nei forum. E’ giustissimo, in molti casi, ma non va bene per la risoluzione dei problemi legati alla salute e delle conseguenti terapie, in quanto non sempre chi ci risponde è un veterinario ed anche in quel caso la maggior parte delle volte non è possibile o corretto effettuare una

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diagnosi e suggerire l’impiego di un farmaco solamente sulla base della descrizione di sintomi clinici, senza aver visitato direttamente l’animale.

abbiamo dei dubbi è necessario segnalare il problema al veterinario ed attenersi alle sue indicazioni.

Esempio di farmaci veterinari da somministrare per via orale Per queste ragioni non arrabbiatevi con i moderatori dei forum se rifiutano di rispondere alla domanda diretta: “Che malattia potrebbe essere? Quale farmaco devo somministrare?”. Non spetta né al proprietario né all’allevatore e men che mai ad internet, amici o conoscenti effettuare la diagnosi e prescrivere la terapia, per cui lasciamolo fare ai professionisti, altrimenti ci rimetteranno gli animali stessi e, nel caso di produzioni zootecniche, anche il consumatore. 2) Sospendere la terapia prima del tempo: altro errore gravissimo! Il medico veterinario che prescrive la terapia sa quello che sta facendo e, se indica una certa durata o una determinata dose, è necessario seguire pedissequamente le indicazioni. Diverse sono le situazioni che possono portare alla conclusione errata che sia una buona idea sospendere la terapia: a) l’animale sembra stare meglio già dopo le prime somministrazioni, b) l’animale sembra aver avuto fastidio e manifesta la comparsa di effetti collaterali, c) è difficile somministrare il farmaco, d) ci si dimentica di somministrare qualche dose, e) il farmaco è finito e scoccia ricomprarlo visto che mancano solo un paio di giorni al termine, f) costa troppo, quindi posso farne a meno. Che si fa in questi casi? Si sospende la terapia? Assolutamente no... se

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Problemi di intolleranza o di uso scorretto Molta attenzione deve essere posta al momento dell’acquisto e dell’utilizzo non solo dei farmaci, ma di qualunque prodotto venga somministrato agli animali. Nel foglietto illustrativo sono indicate le specie sulle quali un farmaco può essere utilizzato e per le quali è stato registrato. Questo perchè in alcuni casi si possono verificare fenomeni avversi che possono portare anche alla morte. Prendiamo ad esempio alcuni prodotti di libera vendita come la maggior parte degli antiparassitari ad uso esterno. Ad esempio il fipronil, contenuto in molti prodotti, è tossico per il coniglio o i piretroidi, anch’essi di largo utilizzo, sono letali per il gatto. Lo stesso vale per gli antibiotici, non tutti sono ugualmente tollerati, come ad esempio accade per le penicilline somministrate per via orale nel coniglio o i fluorochinoloni in soggetti troppo giovani. Quindi leggere sempre bene le avvertenze. Se poi un prodotto, come avviene spesso per gli insetticidi, è destinato solamente agli oggetti (stalle, cucce, ecc) non dovrà essere applicato direttamente sugli animali ed in molti casi neanche in loro presenza.

Il problema degli antibiotici Questo è un problema emergente

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di grande importanza! Nel mese di agosto di quest’anno è comparso sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea un documento della Commissione intitolato “Linee guida sull’uso prudente degli antimicrobici in medicina veterinaria”. Questa pubblicazione sottolinea i problemi già ben noti relativi all’antibiotico-resistenza, un fenomeno per il quale i microorganismi, soprattutto i batteri, sono in grado di sviluppare “resistenza” agli antimicrobici rendendoli quindi inefficaci. A causa di ciò le morti per infezione, sia in medicina veterinaria ma soprattutto in campo umano, aumentano sensibilmente ogni anno. Il problema nasce a seguito dell’utilizzo massiccio, che spesso esita nell’abuso, di antibiotici. La questione è particolarmente evidente in medicina veterinaria, sia per quel che riguarda la zootecnia che gli animali da compagnia, dove gli antibiotici vengono somministrati per qualunque problema, spesso anche in via preventiva o quando non necessario. Pertanto nella prescrizione e nell’impiego di antimicrobici va rispettata la regola della “reale necessità” evitando di abusare di questa preziosa risorsa quando non necessario. Piuttosto è meglio intervenire sulla prevenzione, correggendo eventuali fattori predisponenti od errori gestionali. Gli antibiotici non andrebbero mai somministrati se non a seguito di diagnosi certa, scegliendo sempre la molecola più mirata possibile magari a seguito di antibiogramma, rispettando le modalità di impiego ed evitando, se non strettamente necessario, l’utilizzo off-label o l’impiego di farmaci ad uso umano.

Dr.ssa Linda Sartini DVM Specializzata in ispezione degli alimenti di origine animale

Dr. Cristiano Papeschi DVM

Università degli Studi della Tuscia Specializzato in teconologia e patologia del coniglio, della selvaggina e degli avicoli

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Elicicoltura: l’importanza di terreno e acqua Indicazioni specifiche per poter valutare e scegliere al meglio queste due componenti così importanti per questo tipo di attività di

Davide Merlino

C

on l’esperienza diretta sul campo, sia nostra che dei migliaia di allevatori presenti in tutta Italia, Albania, Serbia, Grecia e Bulgaria che usano il nostro sistema di allevamento (che di conseguenza collaborano con noi e con cui ci interfacciamo giornalmente) e con l’aiuto della nostra biologa, la Dr.ssa Rosanna Iannitelli, siamo riusciti a decifrare quali siano le caratteristiche ottimali per un terreno destinato all’elicicoltura e dell’acqua da impiegare nell’allevamento. Come accennato nell’articolo precedente (Parliamo di elicicoltura - TerrAmica nr. 2), la scelta del terreno da adibire all’allevamento della chiocciola deve avere due caratteristiche fondamentali: non essere argilloso e deve disporre di acqua abbondante e costante tutto l’anno (1,5 lt/mq al giorno per 7 mesi). Nella scelta del terreno è dunque necessario valutarne la composizione chimica (metalli pesanti e diossina), la granulometria (percentuale di limo, sabbia ed argilla) ed il pH. Per quel che riguarda l’acqua, invece, bisognerà effettuare un esame microbiologico (Stafilococchi, Escherichia coli, Listeria, ecc.), un’analisi per la ricerca di sostanze chimiche dannose e determinare il pH. Andiamo adesso a considerare le singole voci, per capire quali siano i ranges all’interno dei quali ci possiamo muovere.

Il terreno - Metalli pesanti e sostanze tossiche Questa voce è molto importante, in quanto la chiocciola assorbe tutto quello che è presente nel terreno, anche elementi potenzialmente dan-

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nosi per l’uomo. Per questo motivo è molto importante avre a disposizione un terreno dove i metalli pesanti (Cadmio, Nikel e Rame), nonché la diossina, siano quasi totalmente assenti. Purtroppo quando la presenza di questi elementi è evidente sul terreno, non possiamo far altro che indirizzarci altrove, poiché molto pro-

rebbe ad un consumo di acqua davvero molto elevato, con conseguenti costi troppo alti da poter sostenere. Il terreno ideale per l’allevamento di lumache è un terreno misto, leggermente sabbioso con le seguenti percentuali: sabbia 40%, limo 30% ed argilla 30%. Se ci trovassimo di fronte ad un terreno molto argilloso

Particolare del nostro allevamento elicicolo babilmente nella zona sono presenti fabbriche o altri fattori inquinanti. - Granulometria La composizione del terreno è fondamentale per la buona riuscita di un allevamento; infatti la scelta deve cadere su un terreno che abbia un contenuto di argilla massimo del 70%, poichè una quantità maggiore determinerebbe problemi di ristagno dell’acqua e conseguente marciume degli ortaggi coltivati. Al contrario, un terreno molto sabbioso (oltre il 75% di sabbia) porte-

(70% - 75%) potremmo optare per la realizzazione di canali di drenaggio ed alla lavorazione a schiena d’asino, in modo da drenare l’acqua in eccesso. In questo caso, se il terreno fosse in pendenza, sarebbe l’ideale. Se invece ci trovassimo in un terreno molto sabbioso, potremmo integrare con l’apporto di terra argillosa/limosa da addizionare ma, in questo caso, sono da considerare anche i costi dell’operazione che spesso possono essere proibitivi. - Il pH

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Questo valore è molto importante in quanto le chiocciole non riescono a vivere bene in terreni con pH alcalino (maggiore di 7); pertanto il range da tenere in considerazione è compreso tra 5 e 7, quindi acido. Il livello di pH è abbastanza gestibile; infatti, se ci trovassimo in un terreno acido (livello inferiore a 7), dovremmo aggiungere carbonato di calcio o anche calce viva per portarlo più vicino possibile al volore neutro di 7. Se invece, al contrario fossimo di fronte ad un terreno alcalino, potremmo integrare con del concime organico che, avendo di suo un pH acido, andrebbe ad abbassare quello del terreno.

L’acqua - Esame Microbiologico La presenza, nell’acqua d’irrigazione, dei batteri sopra elencati può essere causa di problemi sanitari, in quanto queste specie batteriche, e molte altre, sono potenzialmente dannose per l’uomo e di conseguenza devono rientrare nei livelli consentiti per legge. In caso di presenza

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di batteri superiori ai valori indicati dalla legislazione vigente, potremmo realizzare una vasca di decantazione sulla quale intervenire con appositi disinfettanti. - Il pH Come per il terreno, il pH dell’acqua deve essere acido e di conseguenza rientrare in un range minore o intorno a 7. La vasca di decantazione può aiutarci anche in questo caso, consentendo l’aggiunta di sostanze acide od alcaline a seconda delle necessità. - Sostanze dannose Spesso, quando vengono effettuate le analisi dell’acqua, si scoprono concentrazioni di sali di un certo rilievo, cosa che ci potrebbe costringere ad optare per la scelta di un altro luogo. Questo perché alcuni sali, ad esempio elevate concentrazioni di cloruro di sodio, possono nuocere alle chiocciole (valore massimo ammissibile 2200 µS/cm a 20°). Lo stesso vale per lo zolfo, quando presente in quantità elevata. Anche eventuali minerali e sali potenzialmente dannosi possono essere trat-

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tati all’interno delle vasche di decantazione. In conclusione, la scelta del terreno e dell’acqua che andremo ad utilizzare per l’irrigazione, dovranno essere valutati con molta attenzione, in quanto i costi di gestione potrebbero lievitare notevolmente e di conseguenza allungare i tempi necessari per l’ammortamento dell’investimento iniziale. L’ideale sarebbe avere a disposizione un terreno di medio impasto con acqua sorgiva o proveniente da rete idrica che possa garantire un quantitativo di circa 1,5 lt/mq al giorno per circa 7 mesi. Quindi attenzione alla scelta perchè potreste trovarvi in difficolta già dal primo anno! Nei prossimi numeri affronteremo altre tematiche importanti come la realizzazione dei recinti, la semina etc.

Davide Merlino La Lumaca Madonita

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L’Arlecchino Portoghese Criteri di giudizio di un canarino unico ed inconfondibile di

Federico Vinattieri

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’Arlecchino Portoghese è una rusticità di questi canarini. Essendo avere tutti i presupposti per creare razza di recente riconoscimen- il prodotto di meticciamenti, si pre- una nuova originale razza di forma to, facente parte del gruppo dei sentavano molto più forti rispetto alle e posizione. Fu il Professor MoreCanarini di Forma e Posizioni Lisci altre varietà, che avevano già subìto no Armando, che nel 1980 era alla di categoria pesante. È un canarino anni di manipolazione ed incroci in presidenza del Clube do Canário di corporatura mesomorfa, incon- consanguineità da parte dell’uomo. Arlequim Português, il quale, aiutato fondibile tra tutte le da un gruppo valido altre razze per la di allevatori, iniziò sua particolarissima un lavoro minuzioso livrea a pezzature di selezione, per otlipocromiche e melatenere un canarino niniche, che alterna con testa più stretta quindi parti del corpo ed allo stesso tempo pezzate scure a parti allungata, con becpezzate chiare, con co più robusto e con aggiunta della tipica una forma più affilalivrea del canarino ta. L’altra intuizione mosaico rosso; un geniale fu quella di accostamento croinserire nella seleziomatico che lo rende ne il fattore “mosaiunico ed estremaco”, che permetteva, mente elegante. e tutt’ora permette, di L’Arlecchino portoottenere soggetti con ghese, chiamato “Arcolorazione bianca, lequin Português” in rossa e melaninica lingua originale, rapcon distribuzione presenta una vera e omogenea su tutte propria evoluzione le parti del corpo, selettiva dei comucomprese coda, ali ni canarini pezzati, ed anche becco. Nel allevati in tutte le suo Paese natale parti del Mondo per questa razza fu ricoil loro spettacolare nosciuta nel mese di fascino estetico, che Dicembre del 2000, da sempre attira gli con approvazione da appassionati. I porparte della Federatoghesi sono riusciti zione Portoghese. Il Maschio Consort di Arlecchino Portoghese a fissare queste casuo riconoscimento ratteristiche e ad ottenere una raz- A questi canarini pezzati si sono poi a livello internazionale fu ufficialza. Le prime mutazioni del canarino aggiunte due caratteristiche, che sa- mente ratificato dalla C.O.M. in ocancestrale hanno prodotto soggetti rebbero successivamente divenute casione del 58° Campionato Monparzialmente acianici, con la presen- due tratti tipici della nuova razza, os- diale di Ornitologia di Matosinhos in za di pezzature lipocromiche; questi sia il ciuffo e soprattutto il fattore ros- Portogallo, nel Gennaio del 2010. ultimi sono stati particolarmente ap- so. L’idea geniale di alcuni allevatori In automatico, sempre nello stesso prezzati soprattutto dagli allevatori di associare pezzature, fattore rosso anno, questa razza fu riconosciuta e portoghesi e spagnoli, attirati dalla e ciuffo nel medesimo canarino fu la ammessa anche dalla Federazione bellezza delle loro pezzature e an- “ricetta” vincente, per differenziarlo Italiana Ornicoltori (F.O.I. - onlus). che dalla prolificità e dall’estrema da tutte le altre razze e per far sì di La procedura di giudizio di questa

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razza deve essere sempre espressa rotondato; corpo eccessivamente angoli uguali della base posti sulla con estrema severità per far sì che affusolato, stretto; petto prominen- nuca e l’angolo più stretto al vertigli allevatori vengano adeguatamen- te, angolato; petto incavato; dorso ce posto sulla fronte; il ciuffo deve te indirizzati sulla giusta strada di convesso; dorso avvallato; ali corte; adagiarsi sulla testa in maniera da selezione. Il essere ben giudizio viene aderente, ma sempre effetsenza coprire tuato con luce gli occhi e il naturale e nelbecco. È tolle ore di maglerato che la giore luminoparte postesità. La gabbia riore del ciuffo in cui vengono sia lievemente valutati quesollevata sulsti volatili è la nuca, ma la medesima è elemento di gabbia utilizpregio che il zata per i caciuffo sia comnarini di coloposto e ben re. aderente. NelSoggetto Ciuffato di Arlecchino Portoghese Ma vediamo la varietà senquesto canarino nello specifico, de- ali troppo lunghe; ali incrociate o ca- za ciuffo, chiamato “Arlequim Par”, la scrivendo i criteri di giudizio dei vari denti. testa deve essa stretta e allungata: aspetti del corpo e nelle caratteristi- Un’altra voce importante nello stan- essa, vista dall’alto, apparirà simile che tipiche richieste dallo standard dard è la parte anatomica che riguar- ad una “U” che si restringe verso il ufficiale. da Testa, Ciuffo e Collo, che vale 15 becco. Al vertice, la testa, benché punti nella scheda analitica di giu- stretta, deve essere leggermente Criteri di giudizio dizio. Bisogna prima di tutto tener arrotondata, non piatta. Il becco Iniziamo con il corpo, che nella presente che nell’Arlecchino Porto- sarà forte e proporzionato. Gli occhi scheda di giudizio analitico alle mo- ghese vi sono due varietà: quella a devono essere vivaci e ben visibili. stre ornitologiche comporta ben 20 testa liscia e quella a testa ciuffata. Il collo deve essere ben delineato punti. In tale voce sono compresi e armonioso e distaccare nettala forma, il petto e le ali. Il corpo mente la testa dal corpo. Anche deve essere allungato, affusolato per questa voce esistono molti ma non eccessivamente “stretdifetti da tener presente in fase di to” (gli autori portoghesi usano giudizio: centro ciuffo non centrail termine “estilizada”, ossia letto; ciuffo non a forma di tricorno; teralmente: “stilizzato”) perché il ciuffo che copre occhi e becco; Canarino mantenga lieve rotonciuffo scomposto; testa larga; dità e armonia di forme. Il petto testa troppo arrotondata; becco sarà leggermente e uniformesottile; becco troppo grosso; collo mente arrotondato, alto e forte corto; collo troppo lungo. ma non eccessivamente largo o La lunghezza del corpo è un alprominente. Il dorso deve essetro tratto anatomico importante re rettilineo, né concavo né conper la valutazione dell’Arlecchino vesso e deve proseguire sempre Portoghese. La lunghezza ideale in linea con la coda. Le zone di per un esemplare di questa razza passaggio tra testa e collo, e tra è 16 cm, quindi una media misucollo-petto e dorso devono essera per un canarino di Forma e Pore ben delineate, armoniose, e sizione Lisci. Ovviamente in queSoggetto Consort di Arlecchino Portoghese non devono formare mai angoli. sto caso il difetto da considerare Allevamento G. Carillo Le ali saranno abbastanza lunè se la lunghezza risulta inferiore ghe in proporzione con il corpo, ben Nella varietà ciuffata, chiamato “Ar- a quella espressa nello standard: aderenti, mai incrociate o calanti e lequim Poupa” e detto anche “Arle- talvolta in mostra si possono vedere termineranno unite sulla base della quín Moña”, il ciuffo, partendo da un soggetti di 14-15 cm che vengono coda. punto centrale del cranio, piccolo ma inevitabilmente penalizzati. Vi sono alcuni difetti importanti che non puntiforme come per altre razze Tutti i canarini di Forma e Posizione riguardano il corpo e che devono ciuffate (ad esempio il Gloster Fan- Lisci vengono valutati anche per il essere presi in considerazione dai cy), deve avere la forma a tricorno, colore, oltre che per la forma. L’atgiudici: corpo eccessivamente ar- ossia a triangolo isoscele, con i due tenzione per il colore e per la sim-

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metria delle pezzature è molto tenuta in considerazione per l’Arlecchino Portoghese. La voce “colore” nella sua scheda di giudizio analitica ha un valore di 10 punti. Il colore variegato, come abbiamo già descritto, è la caratteristica essenziale e tipica della razza, all’interno del quale dovrà essere sempre presente il rosso. I creatori della Razza avevano in origine indicato che l’Arlecchino dovesse mostrare la coesistenza di 6 colori: rosso, arancio, grigio, marrone, nero e bronzo. L’espressione di questi colori è il risultato della casuale combinazione dell’eumelanina nera e bruna e della feomelanina sul lipocromo di base. Coloro che oggi detengono lo Standard di perfezione affermano che il Canarino deve essere multicolore, variegato (macchie di eumelanina e/o feomelanina) e che deve presentare il fattore mosaico (rosso nelle zone di elezione e bianco nelle altre parti). Nell’Arlecchino “ideale”, la distribuzione melaninica e lipocromica sarà proporzionata e nitida, in modo da concedere omogeneità ed equilibrio ai differenti colori. Per capire meglio, l’Arlecchino Portoghese “ideale” dovrà mostrare per il 50% circa pezzature scure e per il restante 50% pezzature chiare, di colore bianco o rosso. Con l’introduzione del fattore mosaico, il disegno ha assunto la colorazione bianca, rossa e melaninica, colorazione che sarà di pregio se distribuita omogeneamente ed in maniera proporzionata anche nelle ali, coda e becco. L’introduzione del fattore mosaico, inoltre, impone la particolare espressione del rosso

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nelle zone d’elezione. Bisogna sempre tener presente che la colorazione artificiale rossa è obbligatoria. Come per i canarini di razza Sassone di colore, per la colorazione artificiale si usano i classici pastoncini con colorante rosso, da somministrare ai novelli durante il periodo della muta. Anche per la voce “colore” dello standard esistono diversi difetti da tenere in considerazione, come ad esempio: canarino non colorato in

Nidiacei di circa una settimana rosso (non giudicabile); distribuzione non omogenea e nitida delle pezzature; scarsa espressione della colorazione rossa nelle zone di elezione; assente o scarsa espressione della colorazione nelle ali, becco e zampe. Vi sono altre voci dello standard, non meno importanti, ma sicuramente più generiche, ossia il “Piumaggio” (con 10 punti di valore), che deve essere liscio, folto, serico, brillante, sempre compatto e ben aderente in ogni parte del corpo. Non deve presentarsi mai opaco. Il “Portamento” (con 10 punti di valore), voce presente per quasi tutti i canarini, soprattutto in quelli di posizione. L’A.P. deve assumere una posizione di circa 55°, con portamento fiero e con corpo ben elevato e testa sempre sollevata. Deve presentarsi

agile nei movimenti e sempre vivace. Le “Zampe” ( con 10 punti di valore) devono essere forti e mostrarsi leggermente flesse, preferibilmente variegate. La “Coda” (con 5 punti di valore) deve presentarsi stretta, lunga e con una leggera biforcatura all’estremità, anch’essa preferibilmente variegata. La voce “benessere generale”, che ha 5 punti di valore, obbliga l’attenzione all’igiene e alla salute del soggetto esposto. Tra tutti i canarini di Forma e Posizione, sicuramente l’Arlecchino Portoghese è quello riconoscibile a colpo d’occhio, con i suoi tratti inconfondibili, che permette anche facilmente di riconoscere ed individuare i soggetti maschi, che rispetto al sesso opposto presentano la classica colorazione da maschio del canarino mosaico, quindi con maschera evidente e colorazione rossa maggiormente presente su diverse parti del corpo. Anche in Italia questo canarino sta ottenendo l’attenzione di molto allevatori, che attratti forse più dai suoi colori che dalla sua forma, si cimentano nella selezione di soggetti da mostra, con eccellenti risultati a livello internazionale. Allevamento di Fossombrone http://ornitologia.difossombrone.it/

Federico Vinattieri www.difossombrone.it

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Il vino “fai da te” Elementi introduttivi per una vinificazione casalinga di

Marco Sollazzo

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el corso degli anni è sempre più frequente la curiosità di riscoprire vecchie tradizioni che ci hanno tramandato i nostri antenati, una delle quali è la produzione di vino. Fino a non molti anni fa, i nostri nonni hanno utilizzato spazi di campagna e luoghi rurali come base per le attività connesse all’agricoltura e legate alla trasformazione dell’uva in vino. Il processo di urbanizzazione ha spostato in parte queste attività anche in zone periferiche di città. Realizzare un vino “fai da te” richiede tre importanti requisiti (fig.1): - dell’uva in buono stato sanitario con un corretto grado di maturazione - delle nozioni enologiche di base - delle attrezzature e prodotti utili per la trasformazione delle uve in vino

Uva in buono stato sanitario con un corretto grado di maturazione E’ importante sottolineare come la materia prima abbia un ruolo di assoluta rilevanza nella produzione del vino. E’ perciò necessario fare un lavoro a monte sulle uve, affinchè queste risultino il più possibile sane e mature, in un concetto di eco sostenibilità. Infatti, uve poco sane, affette da malattie possono ridurre le qualità organolettiche del vino ed incrementare i livelli di acido acetico, il quale rappresenta uno dei parametri di deprezzamento del prodotto. Al-

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trettanto importante è la scelta ottimale del periodo di vendemmia, cioè la fase in cui si procede alla raccolta delle uve. La data di vendemmia viene scelta in base a diversi parametri, quali la composizione chimica-fisico delle uve (grado zuccherino, acidità e indice polifenolico), la varietà (fattore genetico), le condizioni metereologiche (fattore climatico) e la destinazione merceologica di prodotto (fattore economico). Se non si dispone di vigneto proprio

blemi legati ad alte temperature e a tempi lunghi di lavorazione.

Nozioni enologiche di base

La possibilità di produrre un buon vino a livello hobbistico è legata alla capacità di comprendere quali siano le condizioni negative che causano il deprezzamento qualitativo di un vino e perciò anche quelle ideali di mantenimento. Il nemico numero uno del vino è l’aria, composta dal 21% di ossigeno. Il vino a contatto con l’aria porta alla trasformazione naturale e spontanea dell’alcool Fig.1 – Requisiti per fare un vino fai da te presente in è sempre bene informarsi sulla va- aceto (la molecola principale è l’acirietà d’uva da scegliere, andare fisi- do acetico). E’ chiaro così, che sencamente nel luogo della raccolta per za l’intervento dell’uomo, il vino diaccertarsi che questa sia adatta per venta naturalmente aceto. E’ perciò la produzione di vino. Il rifrattome- raccomandabile durante tutte le fasi tro (fig.2), strumento portatile, aiuta di trasformazione evitare i contatti a valutare il grado zuccherino delle con l’aria, affinchè il vino preservi le uve. Attraverso apposite tabelle di sue caratteristiche peculiari. Le princonversione è possibile avere un’i- cipali fasi critiche dell’uva a contatto dea della gradazione alcolica poten- con l’aria sono le seguenti: ziale del futuro vino. Conviene fare - la raccolta delle uve, dove può avpiù rilevazioni nell’appezzamento e venire lo schiacciamento e la fuoriufare una media per avere dei valori scita di mosto; - lo stoccaggio del vino, senza utilizpiù attendibili. Inoltre l’uva vendemmiata dovrebbe zare in maniera corretta le adeguate essere raccolta nelle ore più fresche misure di protezione (olio enologidella giornata, trasportata nel più co, tappi gorgogliatori, galleggianti breve tempo possibile nel locale di pneumatici) (fig.3); trasformazione, così da evitare i pro- - operazioni di travaso, filtrazione e

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imbottigliamento fatte senza adeguati accorgimenti per ridurre la presenza dell’aria. E’ chiaro quindi come la produzione di acido acetico nel vino aumenta all’aumentare dei tempi d’esposizione all’aria. Non è invece necessario essere preoccupati dell’aria quando: a) durante la fermentazione alcolica, in particolare nella fase tumultuosa, in cui viene sprigionata una grande quantità di anidride carbonica, la quale

Fig.2 - Rifrattometro protegge naturalmente il vino dall’aria e quindi dalle ossidazioni; b) in alcuni casi, dopo la fermentazione alcolica, utile per eliminare gli odori forti di marcio dovuti alla presenza della sedimentazione di feccia nel vino. Il primo travaso del vino può essere fatto all’aria. Ricordiamo inoltre che l’aria nella prima parte della fermentazione alcolica, aiuta la moltiplicazione cellulare dei lieviti. Le contaminazioni microbiologiche dovute ad una cattiva gestione dell’ambiente di cantina possono aumentare le probabilità che il vino abbia dei difetti. E’ buona norma avere un ambiente sempre sanificato, pulito, fresco e non particolarmente umido per lo sviluppo di muffe. L’attrezzatura di cantina, così come i vasi vinari utilizzati, devono essere opportunamente sanitizzati per eliminare eventuali incrostazioni e contaminazioni microbiche presenti. Infine, il non avere basilari conoscenze tecniche sui metodi tradizionali di vinificazione, in bianco e in rosso, portano la persona interessata a commettere errori comuni facilmente evitabili. Ad esempio è

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noto, come il vino bianco, costituito geneticamente da meno sostanze naturali ad azione conservante, ha una maggiore vulnerabilità alle ossidazioni e perciò richiede una maggiore tempestività nelle lavorazioni. Inoltre, il mantenimento della feccia grossolana dopo la fermentazione per un tempo prolungato, l’uso incontrollato dei prodotti chimici senza conoscerne il reale effetto (vedi aggiunte eccessive di solforosa), il mancato monitoraggio del v i n o c o n adeguate analisi chimiche generali (pH, acidità totale, acidità volatile, solforosa libera, solforosa totale e alcool) hanno conseguenze molto negative sulla possibile riuscita del vino.

Attrezzature e prodotti utili per la trasformazione delle uve in vino La strumentazione enologica è parte fondamentale per la realizzazione di un buon vino, orientata anche al miglioramento dello stato di conservazione del prodotto. Un buon investimento sull’attrezzatura enologica permette una

bilmente anche una durata di vita più lunga. Di seguito sono raccolti brevemente in due categorie il materiale per iniziare: 1. Strumentazione analitica di base: a) Una bilancia in grado di misurare il centesimo di grammo, adatta per eventuali prodotti da aggiungere durante il processo di trasformazione. Tali bilance (0,01gr) sono particolarmente adatte fino a produzioni di vino pari ai 2000 litri. b) Un rifrattometro e un densimetro, preferibili in doppia o tripla scala (brix - babo-alcool potenziale). Entrambi gli strumenti misurano il grado zuccherino, il primo è più pratico per prelievi in campo, il secondo richiede un campione liquido più rappresentativo e risulta più adatto in cantina. Entrambi gli strumenti sono calibrati ad una certa temperatura e perciò dopo la lettura è necessario correggere con l’apposita tabella la dovuta correzione. Il costo complessivo di questa strumentazione è compreso tra i 60-80 €. 2. Attrezzatura enologica di base: a) Una diraspapigiatrice, manuale o automatica. Essa ha il duplice scopo, una volta raccolta l’uva, di eliminare il raspo e pigiare l’uva. E’ altamente consigliabile di acciaio inox, oppure trattata con vernice alimentare. Per

Fig.3 - Galleggiante pneumatico inox per evitare il contatto con l’aria lavorazione del prodotto in maniera tempestiva ed efficace. Una strumentazione migliore avrà presumi-

una produzione crescente è conveniente valutare l’idea di comprarne una automatica, risparmiando tem-

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po e fatica. Il costo è molto variabile, si parte da circa 80 euro per una manuale smaltata alimentare fino a superare i 1000 euro per quelle au-

facilmente reperibili a costi contenuti tra i 120 e i 300 €. La possibilità di rimontaggi automatici con pompa, è possibile solo se la pompa è in

- Prodotti per l’igienizzazione indispensabili per il lavaggio del materiale in acciaio. Fanno parte la soda caustica e l’acido citrico. Prima del

Fig.4 – Alcune attrezzature enologiche.(diraspatrice in acciaio inox, torchio manuale e filtro a cartoni) tomatiche in acciaio inox. Esistono delle soluzioni intermedie decisamente più abbordabili ed eventualmente si può valutare l’idea di comprare un usato. b) Un torchio, può essere a movimento razionale manuale o idraulico. Esso ha lo scopo di comprimere l’uva pigiata e far fuoriuscire la frazione liquida ancora presente. Anche qui, ci sono diverse soluzioni più o meno costose, a seconda della capienza, della tipologia e della gabbia presente, in legno oppure in acciaio. Personalmente suggerisco di comprarne uno idraulico e non a movimentazione orizzontale poiché quest’ultimi oltre ad esercitare un maggiore sforzo fisico, presentano l’inconveniente di non poter verificare la pressione esercitata. I professionisti hanno sostituito i torchi manuali a presse automatiche, che diventano però difficilmente ammortizzabili per la produzione di un “vino fai da te”. I costi dei torchi variano dai 200 a più di 1500 €. Molto più abbordabili gli usati, che costano proporzionalmente molto meno. c) Una pompa per il travaso del mosto e del vino. Esistono di diverso tipo con portata diversa (L/h), con o più accessori. Le migliori a livello hobbistico sono quelle autoadescanti con girante in acciaio inox, le quali sono in grado di funzionare anche in assenza momentanea di liquido all’interno della tubazione. Sono

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grado di movimentare il pigiato, è opportuno chiedere al costruttore le specifiche ed il costo può superare i 1000 €. d) Filtro a cartoni, non è indispensabile ma molto utile per velocizzare l’illimpidimento del vino. E’ provvisto di una pompa e di una serie di supporti filtranti. Tra i supporti vanno inseriti i cartoni filtranti a diversa granulometria. Occorre per ogni ciclo di filtrazione, utilizzare i cartoni filtranti con stessa granulometria per ridurre l’intasamento del filtro. Un buon filtro, con girante in acciaio a 12 elementi filtranti, può essere reperibile anche ad un prezzo di 250-300 €. I cartoni filtranti sono monouso ed il costo di una confezione da 25 è di circa 15-20€. e) Vasi vinari in diverso materiale, in legno, in acciaio o in vetroresina. L’acciaio è il materiale più facilmente sanitizzabile; il legno all’opposto è quello che presenta una maggiore difficoltà. L’acciaio ha una durata illimitata nel tempo, il legno presenta una manutenzione più onerosa e le sue qualità vengono perse nel corso del tempo. Tuttavia il legno presenta caratteristiche fisiche ed aromatiche apprezzate soprattutto per i vini di lungo affinamento. I costi variano notevolmente a seconda della dimensione. Evitare di comprare botti di legno usate, poiché potrebbero essere state mal conservate. f) Varie:

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loro utilizzo è importante leggere le modalità d’uso ed essere consapevoli su come usare questi prodotti, impiegando dispositivi di sicurezza individuale (guanti in gomma con protezione chimica e occhiali antischizzo). Per la rimozione delle incrostazioni sul legno, è consigliabile l’asportazione fisica del primo strato superficiale con l’ausilio di una spazzola. - Prodotti enologici per la conservazione ed il miglioramento del vino. Un classico esempio è il metabisolfito. - Caraffe in plastica alimentare graduate per lo scioglimento di prodotti enologici. - Bastone per follature, utile a spingere le vinacce nella parte inferiore del vaso vinario durante la fermentazione alcolica. - Una tappatrice a leva per tappi in sughero/silicone, oppure una per i tappi a corona. L’attrezzatura e la strumentazione necessaria deve essere proporzionata alla quantità di uva che viene lavorata.

Dr. Marco Sollazzo Laureato in Viticoltura ed enologia sollazzo.marco@ hotmail.it

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L’arte dell’insaccato Aspetti qualitativi nella produzione artigianale/casalinga di

Mario Francesco Carpentieri

Da qualche parte ho letto e fatta mia questa frase: “I salami sono il risultato di una sorprendente, meravigliosa interazione dell’intuito umano e dell’attività di microrganismi “virtuosi” e costituiscono una preziosa eredità da salvaguardare e valorizzare”.

della materia prima (la carne) proveniente da suini pesanti italiani. Ampia varietà ma con unico denomi-

che naturalmente la contaminano. Sotto questo profilo, nella lavorazione dei salami, la prima azione che

natore, la qualità del tessuto adiposo di questi animali, perché l’aroma dei salami è dovuto maggiormente alla parte grassa che non alla parte muscolare; infatti la prima è in grado di incorporare gli aromi originati dai processi chimici naturali che avvengono durante i vari stadi di maturazione. Le carni idonee alla preparazione di salami devono avere una buona capacità di ritenzione idrica, un pH a 24 ore dalla morte compreso fra 5,6 e 5,8, significativa presenza di pigmenti muscolari di mioglobina o ossiomioglobina e buona capacità di assorbimento del sale.

si verifica è l’inibizione della maggior parte dei batteri per effetto della salagione, a vantaggio di micrococcacee e lattici. I primi batteri che si moltiplicano sono i micrococchi, il cui sviluppo si ferma con la riduzione dell’ossigeno. Seguono poi gli stafilococchi, ed i lattici: lattobacilli e pediococchi. Per effetto di questi sviluppi si verifica: a) esaurimento dell’ossigeno - b) riduzione dei nitrati a nitriti - c) esaurimento degli zuccheri - d) abbassamento del pH - e) idrolisi delle proteine e dei grassi. Se i lattici (lattobacilli - pediococchi) sono scarsi, possono prendere il sopravvento i lattici eterofermentanti che producono anidride carbonica (gonfiore, presenze di piccole cavità) ed acido acetico (gusto non gradevole). La mancanza del rispetto delle norme igieniche porta a sviluppo eccessivo di coliformi o di streptococchi

Definizione Il salame fermentato (fermentazione lattica) è una generica definizione che include un’estesa varietà di prodotti carnei delle Terre Italiane; questi sono basati su di una miscela di carne magra e grassa macinata con aggiunta di sale, spezie ed altri additivi ed infine insaccata in budelli.

La tradizione nella norcineria casalinga La tradizione continua soprattutto per il piacere di fare da sé ed il gusto di applicare quei piccoli segreti, tramandati di padre in figlio, che consentono di pensare alla realizzazione di un prodotto superiore a quello ottenuto da altri. Oggi si conoscono bene i microrganismi che danno luogo alle fermentazioni utili e le condizioni che permettono il loro sviluppo. Nel concetto di salvaguardia e valorizzazione dei salami di nicchia, occorre che tutti i norcini facciano propria la conoscenza dell’uso e funzione degli additivi e, cosa importante, che facciano attenzione alla temperatura applicata nelle prime 72 ore, durante le quali avviene la fermentazione; essa influenza il rapporto tra le popolazioni microbiche presenti nei salami con effetti drastici sui rapporti microbici.

Salami delle Terre Italiane Le differenze e, conseguentemente, la peculiarità di ogni prodotto regionale dipendono da un’ampia varietà

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Le fermentazioni spontanee ed i microrganismi virtuosi I prodotti fermentati sono molto antichi. Quando la materia prima viene messa in condizioni adeguate, i processi fermentativi partono spontaneamente ad opera di microrganismi

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fecali, con alterazione del gusto e del profumo.

La “Rosetta Bresciana” Info: gli alimenti fermentati contengono una certa quantità di ammine biogene (composti azotati prodotti per decarbossilazione microbica degli amminoacidi) che se ingerite in grossi quantitativi possono risultare tossiche, sopratutto l’istamina e tiramina. La quantità presente nei salami dipende dalla non buona conser-

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vazione e dalla lunga stagionatura.

Attività proteolitica e lipolitica La proteolisi è il più complesso evento che concorre alla stagionatura dei salumi e consiste nella progressiva degradazione e scomposizione delle proteine. I processi proteolitici portano alla formazione di composti aromatici e all’intenerimento della carne aumentandone così la palatabilità. La lipolisi, ossia la parziale degradazione della frazione lipidica, svolge un ruolo primario nella formazione dell’aroma, caratterizzando il profilo sensoriale del prodotto finale. E’ altrettanto vero che queste reazioni potrebbero fungere da substrato per l’irrancidimento del prodotto; per questo è importante che il grasso provenga da parti anatomiche mature con basse percentuali di acidi grassi polinsaturi e che la stagionatura non venga protratta eccessivamente nel tempo. Utilizzo del tipo di grasso • Grasso duro: situato tra la testa e la schiena e sopra le due cosce del

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maiale. Non si sfilaccia, non si ossida e conferisce sapore e coesione all’insacco. Dose - 5-7% • Grasso di gola: utilizzato soprattutto nei salami a farcia fine. Dose - 7-10% • Lardo dorsale: contrariamente al grasso di gola, si smelma facilmente e per questo viene usato solo per produrre lardelli. Dose - 5-7% • La pancetta tagliata a cubetti viene macinata con due passaggi trafila grossa/piccola. Dose 15-20%

Conclusione Vi invito ad approfondire gli argomenti accennati, incontrandoci nella sezione di Norcineria in: www.forumdiagraria.org Bibliografia Dr. Luca Sgarzi - Effetti degli starter e delle condizioni di maturazione su salumi tipici 2012 Wikipedia enciclopedia online Dr. Mauro Conter - Modificazioni microbiologiche negli insaccati

Mario Francesco Carpentieri mariofcrp@ gmail.com

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Impariamo a conoscere la grappa Classificazioni e tipologie di un’eccellenza 100% italiana di

Paola Soldi

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cquavite di vinaccia prodotta in Italia esclusivamente da vinacce nazionali. Dal 29 maggio 1989, data dell’approvazione del regolamento CEE n.1576, questa definizione accompagna la grappa rendendola un’eccellenza 100% italiana. Un’appartenenza totale al nostro Paese ribadita qualche anno più tardi dalla stessa Unione europea e che porta con sé un immenso patrimonio di cultura, storia, professionalità e passione per i distillati. La grappa affonda le sue origini nella cultura contadina essenziale, quando non si sprecava nulla e si recuperava anche lo scarto del vino fatto di bucce e vinaccioli, ossia la vinaccia, materia prima per avviare l’arte distillatoria che oggi, grazie alla professionalità ed alle competenze acquisite negli anni, conta su impianti e apparecchi senza uguali nel resto del mondo. Con il passare degli anni il distillato di bandiera si è evoluto, sia nella produzione che nei consumi; ha smesso di essere un prodotto tipico della civiltà rurale e tipicamente maschile (difatti anche le donne hanno iniziato a berlo ed a produrlo ) ed è cresciuta sempre di più la sua esportazione all’estero. Perché un distillato di vinaccia possa chiamarsi “grappa” è previsto un minimo di tenore alcolico pari al 37,5% vol. Non c’è un limite superiore e si trovano grappe superbe anche a 50, 60 e 70 gradi alcolici. Ogni grappa è diversa per le vinacce utilizzate in distillazione, per la tipologia di alambicco impiegato, ma soprattutto perché così la vuole

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il Mastro distillatore, vero “regista” di questa arte antica e affascinante. I vitigni più utilizzati nella produzione della grappa sono il Moscato, lo Chardonnay, il Cabernet, il Pinot ed il Prosecco, ma non si deve dimenticare che anche le vinacce di vini più pregiati come Chianti, Chianti Classico, Brunello e molte altre DOC e DOCG danno in distillazione profumi

ta in tre tipologie: quelle fermentate, provenienti da “vinificazione in rosso”, quelle non fermentate, dette anche “vergini” e provenienti da “vinificazione in bianco” e quelle semi-fermentate, provenienti da “vinificazioni particolari”. Quando le vinacce semi-fermentate e non fermentate arrivano in distilleria, il primo passo è la fermentazione, at-

Un nuovo, ma antichissimo, alambicco a bagnomaria sottovuoto caratteristici, riconoscibili e riconducibili alla zona di provenienza, che rende la grappa diversa da zona a zona e da regione a regione.

Tipologie di vinaccia La vinaccia può essere classifica-

traverso un processo che trasforma una sostanza organica (normalmente lo zucchero) in alcol, con l’azione di microrganismi unicellulari come i lieviti. Il passo successivo è la distillazione, per separare le parti volatili di un fermentato in base al diverso

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punto di ebollizione, utilizzando l’alambicco. In pratica, il fermentato viene scaldato per permettere ai vapori alcolici di evaporare insieme agli aromi e, così facendo, si concentra la quantità di alcol contenuta nel fermentato. Raffreddando questi

con un gusto secco, franco, gentile e pulito; grappa giovane aromatica, come la precedente ma prodotta da vinacce di uve di vitigno aromatico (Gewurztraminer, Brachetto, Moscato - Bianco, Giallo, Nero, Rosa, d’Alessandria - Malvasia - Bianca,

Assaggiatori durante una degustazione di grappe vapori, poi, si ottiene un liquido ad elevata gradazione alcolica (fra 75 e 86% alc./vol.), non ancora idoneo per essere consumato e apprezzato. Per questo motivo, l’ultima fase produttiva è la riduzione del grado alcolico del distillato, aggiungendo acqua distillata o demineralizzata. Per quanto riguarda la classificazione della grappa, essa dipende dall’età del prodotto e dalle lavorazioni successive alla produzione. La legge definisce solamente le grappe che hanno soggiornato nel legno, ma non menziona alcuna denominazione per tutte le altre. Per questo motivo, fin dalla sua nascita, l’associazione Assaggiatori grappa e acquaviti (ANAG) ha cercato di dare una classificazione che è diventata una consuetudine e si basa essenzialmente su caratteristiche sensoriali, anche se non è stata recepita dal legislatore. Su queste basi, si parla di grappa giovane, prodotta da distillazione di vinaccia ed imbottigliata al termine della distillazione dopo un periodo di “riposo” in recipienti di acciaio o vetro (non legno), incolore e trasparente, con un profumo delicato, di vinaccia, fruttato e

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di Candia, Istriana, del Lazio, di Lipari, di Sardegna, Nera di Brindisi) o semiaromatico (Prosecco, Muller Thurgau, Sauvignon Blanc, Cabernet Sauvignon, Riesling Renano, Aleatico, Sylvaner, Chardonnay, Lagrei); grappa affinata in legno, imbottigliata dopo essere stata conservata in contenitori di legno per un

tempo inferiore ai 12 mesi oppure in magazzini non fiscali. Il suo colore, profumo e sapore variano a seconda del tipo e del volume dei contenitori di legno. Se è ricavata da vinaccia di vitigni aromatici o semiaromatici, si chiama grappa affinata in legno aromatica; grappa invecchiata o vecchia, denominazione definita dalla legge con una permanenza in contenitori di legno per 12 mesi, tempo certificato dall’Agenzia delle Dogane. Il suo colore, profumo e sapore variano a seconda del tipo e del volume dei contenitori di legno. Se è ricavata da vinaccia di vitigni aromatici o semiaromatici si chiama grappa invecchiata aromatica; grappa riserva o stravecchia, anche questa definita dalla legge, con una permanenza in legno per almeno 18 mesi, certificato dall’Agenzia delle Dogane. Il suo colore, profumo e sapore variano a seconda del tipo e del volume dei contenitori di legno. Il gusto è morbido e delicato. Se è ricavata da vinaccia di vitigni aromatici o semiaromatici, si chiama grappa riserva o stravecchia aromatica. L’ultima tipologia è la grappa aromatizzata, dove la grappa, in particolare quella classificata giovane, viene completata con l’aggiunta per infusione di principi aromatizzanti vegetali naturali, quali erbe officinali e aromatiche, radici, frutti o parti di esse. La tipologia di grappa può legarsi

Premio “Alambicco d’Oro”: premiate 43 grappe e distillati d’eccellenza in arrivo da tutta Italia 43 grappe e acquaviti selezionate fra 135 prodotti arrivati da 9 regioni e 17 province italiane, 4 medaglie d’oro e 39 d’argento assegnate, oltre a un Premio Speciale. Sono questi, in sintesi, i numeri del 32° concorso “Premio Alambicco d’Oro” promosso da Anag, Assaggiatori grappa e acquaviti, che ha visto partecipare 44 distillerie a cui si sono unite, per la prima volta nella storia del concorso, 11 aziende vitivinicole che distillano le cosiddette “grappe di fattoria”. Distillati espressione di tutta Italia, da nord a sud. Tutte le regioni che hanno partecipato hanno vinto almeno una medaglia d’argento. Il numero maggiore è andato al Trentino Alto Adige, con 14 medaglie, di cui una d’oro. Seguono la Toscana, con 7 medaglie d’argento e il Premio Speciale; il Piemonte, con 6 medaglie, di cui 2 d’oro; Friuli Venezia Giulia e Umbria, con 4 medaglie, di cui una d’oro per l’Umbria; Lombardia con 3 medaglie. Chiudono il medagliere Anag, Veneto e Sicilia, con 2 medaglie, e Calabria, con una medaglia per un prodotto distillato in Friuli Venezia Giulia.

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ANAG - Assaggiatori grappe e acquaviti

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anche al vitigno utilizzato e, pertanto, si parla di grappa di monovitigno, distillata da vinacce di un unico tipo; grappa di polivitigno, prodotta

Come servire un buona grappa con vinacce di più varietà di uve che in etichetta vengono dichiarate in ordine decrescente al conferimento della materia prima e grappa torbata, distillata da vinacce di uve rosse affumicate (Merlot, Cabernet, Pinot

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Nero) e tenuta nel legno a invecchiare.

Grappa e acquavite Con queste caratteristiche la grappa, prodotta distillando la vinaccia (buccia e vinaccioli dell’uva) si distingue dall’acquavite di uva, ottenuta distillando l’uva intera fermentata (sia il mosto fermentato che la sua vinaccia insieme). Il distillato di uva, inoltre, si colloca a metà strada fra una grappa e un Brandy (ottenuto distillando una materia prima liquida come il vino) ed è normalmente più elegante e fruttato di una grappa, che, viceversa, è spesso più intensa e strutturata.

Servire e degustare una buona grappa La grappa va servita non troppo fredda, ma nemmeno troppo calda: la temperatura ideale è dai 15 ai 18 gradi per le grappe giovani e giovani

aromatiche e intorno ai 20 gradi per quelle affinate, invecchiate e le riserve invecchiate. Fra gli abbinamenti più classici, si ricordano, quelli con cioccolato e sigari, oltre all’utilizzo ‘spiritoso’ in diversi piatti per esaltarne i sapori. Per degustarla, infine, ricordiamo che occorre mettere in campo non solo il gusto, ma anche la vista e l’olfatto. Il primo esame, infatti, è quello visivo, che mette in risalto la trasparenza, la limpidezza e il colore della grappa, aiutando a capirne la tipologia. Poi è la volta dell’olfatto, perché percependo il profumo si può capire l’intensità, l’eleganza e la complessità del distillato, mentre il gusto coinvolge la lingua e il palato. Altrettanta attenzione merita il calice da degustazione, che vede essere un tulipano di medie dimensioni, mediamente panciuto e non troppo stretto alla bocca, rigorosamente in cristallo o vetro sonoro. Paola Soldi Presidente Federale Anag

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Fermenti e caseificazione L’importanza di questi microrganismi nelle produzioni agroalimentari è notevole: analizziamo insieme alcuni aspetti di

Cesare Ribolzi

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redo che ognuno di noi abbia in qualche modo ed in qualche occasione avuto a che fare con i fermenti. Sono parte della nostra quotidianità e ci danno anche una mano a stare meglio; non mi riferisco solo a formaggi e latti fermentati o burro. Il pane, la birra, il vino, i crauti, il tabacco, il cacao, alcuni salumi, gli insilati destinati all’alimentazione animale, sono tutti prodotti ottenuti dalla fermentazione di diverse materie prime. Una fermentazione è una trasformazione operata da un microrganismo su di un principio alimentare, generalmente uno zucchero semplice o complesso, con lo scopo di trarre energia per la propria sopravvivenza e per il proprio ciclo riproduttivo. Come risultato metabolico di queste trasformazioni, parallelamente alla produzione di energia, i microrganismi producono sostanze che si sono rivelate di grande importanza per l’industria alimentare e zootecnica. Acidi, enzimi e molecole aromatiche sono le principali sostanze responsabili della trasformazione, conservazione e maturazione di molti alimenti. Tra le fermentazioni, quella lattica e quella alcolica sono le più utilizzate industrialmente. La fermentazione lattica viene condotta principalmente da parte dell’accoppiata Lactobacillus bulgaricus/Streptococcus

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termophilus che in diverse proporzioni sono presenti in praticamente tutte le preparazioni casearie.

I fermenti nel formaggio Il lattosio che rappresenta la principale fonte di zuccheri nel latte, viene metabolizzato da questi fermenti che ne ricavano energia, acidi, enzimi e sostanze aromatiche. L’importanza degli acidi prodotti sta nel fatto che l’ambiente che si viene a creare risulta ostile allo sviluppo di altri batteri che porterebbero al rapido deterioramento del prodotto.

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In questo senso i fermenti possono essere visti nell’immediato come “conservanti” naturali di molti prodotti alimentari. La loro produzione di enzimi e di sostanze aromatiche, con il passare del tempo, la stagionatura e maturazione del prodotto, trasforma quella che era un semplice alimento in una completa gamma di prodotti di pregio. Nel latte i fermenti sono già presenti in modo naturale ma generalmente vengono aggiunti di nuovo all’inizio della trasformazione in formaggio anche quando si lavora latte crudo. Lavorando latte pastorizzato, che ha subito un annientamento della propria carica batterica, l’uso dei fermenti è indispensabile. Sebbene i microrganismi di interesse caseario siano moltissimi, quelli maggiormente usati possono venire catalogati in 2 grandi famiglie: i fermenti mesofili che hanno il loro optimum di sviluppo attorno ai 30 °C ed i fermenti termofili che lo hanno attorno ai 40 °C. Ci si può autoprodurre il fermento oppure si possono acquistare fermenti pronti per l’ uso diretto (fermento fresco, congelato o liofilizzato). Il fermento autoprodotto è rappresentativo del latte che si usa per la caseificazione e può essere lattoinnesto o sieroinnesto. Può caratterizzare una produzione locale evidenziando aspetti pregevoli direttamente collegati all’ambiente ed alla razza allevata.

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Il lattoinnesto è una coltura concentrata di fermenti ottenuta direttamente da latte con buona attitudine fermentativa, scaldato a 60 - 65 °C, raffreddato a 45 °C ed incubato a questa temperatura per 8/10 ore. E’

un buon innesto per le paste molli. Il sieroinnesto è ottenuto dall’ incubazione di siero ottenuto da una lavorazione ben riuscita, in gradiente di temperatura da 52 °C a 45 °C e mantenuto per 10 - 12 ore alla tem-

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peratura finale. E’ il fermento utilizzato per le paste dure.

I fermenti nelle altre produzioni L’argomento fermenti lattici non si esaurisce con i formaggi. I crauti, quelli veri, sono ottenuti facendo fermentare le verze in assenza di ossigeno. Gli insilati destinati all’alimentazione animale sono il risultato della fermentazione anaerobia condotta dai batteri lattici su erba e mais. I fermenti vengono utilizzati anche nella produzione degli insaccati o, per fare altri esempi, le foglie di tabacco prima dell’essiccamento e trinciatura vengono fatte fermentare, così come i semi di Theobroma cacao vengono fatti fermentare prima di diventare l’ingrediente caratterizzante del

cioccolato: il cacao. Anche alcune specie di pesce vengono fermentate prima del loro consumo. Generalmente la fermentazione di un prodotto comporta un miglioramento della sua conservabilità, delle sue caratteristiche organolettiche, della sua appetibilità e digeribilità. E’ molto interessante scoprire cosa sono in grado di fare questi piccoli invisibili microrganismi che partendo da materie prime molto semplici producono eccellenze alimentari. E’ anche un’ esperienza che ognuno di noi può provare a condurre a casa propria con piccolo impegno economico, un poco di attenzione e tempo, per vedere sotto i propri occhi le trasformazioni che subiscono le materie prime ed ottenere incredibili gratificanti bontà. Caseificio Norden s.a.s. www.norden.eu

Dr. Cesare Ribolzi Casaro

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Il contributo del mare nell’alimentazione umana di

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Lapo Nannucci

l settore della pesca, che in passato rappresentava pressoché l’unica fonte di approvvigionamento di prodotto ittico sul mercato, ha visto crescere, con il passare del tempo, delle produzioni provenienti da un canale che per certi versi possiamo definire parallelo, ovvero quello dell’acquacoltura. L’allevamento ittico ha radici storiche lontane, come testimonia un bassorilievo ritrovato nella tomba egizia di Aktihetep, risalente al 2500 a.C., dove è ritratto un uomo intento a raccogliere tilapie da uno stagno. Inoltre è noto che, tra il popolo dei Romani, vi era l’usanza di stabulare alcune specie ittiche in apposite vasche costruite nei pressi di alcune zone della costa laziale e toscana. Nel corso del tempo il settore dell’allevamento è passato da forme primordiali a tecniche di stabulazione sempre più sofisticate, fino ad arrivare all’acquacoltura intensiva, i cui primi segnali significativi di sviluppo possono essere collocati più o meno attorno agli anni ‘70. L’acquacoltura, come dimostrato anche dai dati ufficiali FAO, è un settore che a livello globale sta mostrando uno sviluppo costante; il totale delle produzioni, che nel 1990 raggiungeva 16.840.105 tonnellate, nel 2013 ha fatto riscontrare un quantitativo molto superiore attestabile a 97.201.872 tonnellate. Il notevole sviluppo del settore a livello globale è attribuibile soprattutto ai Paesi in via di sviluppo, dove esistono le condizioni adatte a portare avanti l’allevamento di molte specie di pesci e crostacei che a causa di una serie di fattori, tra cui il clima, la

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temperatura dell’acqua e la disponibilità di spazi, nel nostro continente non possono essere allevate con performance di crescita apprezzabili. Per quanto riguarda la situazione a livello europeo, sempre nello stes-

un incremento costante di produzione; a partire dall’anno 2010 invece è iniziata una fase di flessione. Nel 2012 infatti dati ufficiali mostrano un livello produttivo di 162.618 tonnellate e per l’anno successivo, il 2013 di 162.620 T, di cui circa la metà at-

Operazioni di raccolta in impianto di miticoltura so arco di tempo, osservando i dati ufficiali possiamo notare un marcato fenomeno di crescita, che però negli ultimi anni ha subito un forte rallentamento. La produzione europea infatti nel 1990 raggiungeva 1.611.918 tonnellate, nel 2012 2.883.671 tonnellate e nel 2013 faceva registrare un totale di 2.822.160 tonnellate. Sul territorio nazionale lo scenario delle produzioni mostra uno sviluppo meno marcato e nell’ultimo periodo, come nel caso della situazione europea, viene riscontrato un fenomeno di stasi. Il totale del prodotto ittico allevato in Italia nell’anno 1990 raggiungeva 153.744 tonnellate e nel periodo successivo si è verificato

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tribuibile alle specie di acqua salata. Le cause di questa situazione semi stazionaria sono dovute ad una molteplicità di fattori, tra i quali ad esempio la difficoltà di poter accedere alle risorse idriche ed agli spazi, per quanto riguarda gli allevamenti in vasche a terra e le problematiche legate all’acquisizione delle concessioni marittime per quanto concerne la maricoltura. L’acquacoltura, nel panorama delle tipologie di allevamento animale, appare il settore più giovane e probabilmente più innovativo, che nonostante l’elevato livello di complessità tecnico-scientifca legata alle gestione delle specie ittiche, possiede ele-

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vate potenzialità di sviluppo future. L’approvvigionamento di prodotto ittico, per quanto riguarda il nostro Paese, non appare sufficiente a coprire le richieste del mercato e di conseguenza, sul banco del pesce, troviamo importanti quantitativi di prodotto sia allevato che pescato, proveniente da Paesi Terzi e caratterizzato da prezzi molto competitivi. Considerando la situazione attuale, possiamo quindi facilmente desumere che un’importante incentivazione dello sviluppo dell’acquacoltura, rappresenterebbe la soluzione migliore per tamponare i problemi che le massicce importazioni di prodotto dall’estero stanno causando sul mercato di settore. La possibilità di riuscire ad implementare le produzioni nazionali, inoltre, consentirebbe di mettere il consumatore nella condizione di poter acquistare costantemente, magari anche a prezzi leggermente inferiori rispetto a quelli praticati attualmente, il prodotto nazionale, dotato di ottimi requisiti in termini di salubrità, sicurezza e qualità dal

dotto ittico allevato ed in particolar modo il prodotto europeo ed in particolar modo quello italiano, appaiono oggi molto più graditi dal consumatore rispetto al passato. Per quanto riguarda la produzione di specie marine, considerate quel-

Gabbia galleggiante a mare le a più elevato valore commerciale e normalmente più apprezzate sul mercato, eventuali prospettive di incremento della produzione appaiono raggiungibili solamente attraverso un ulteriore sviluppo dell’acquacoltura in mare aperto. Da un pò di tempo

Allevamento di molluschi in mare aperto punto di vista organolettico e nutrizionale. Infatti, grazie alle moderne tecniche di allevamento nonché agli enormi passi avanti fatti nell’ambito del settore della mangimistica, il pro-

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pò come accade sulla terraferma relativamente alle produzioni agricole e zootecniche classiche. Proprio sull’onda di questo tipo di consapevolezza, la Politica Comune della Pesca 2014-2020 e le strategie Europee di settore, sembra che

a questa parte prende sempre più forza il concetto di “coltivare il mare”, ovvero destinare spazi marittimi all’installazione di impianti per l’allevamento di pesce e di molluschi, un

abbiano incluso nella futura programmazione alcune indicazioni specifiche riguardanti lo sviluppo dell’acquacoltura sostenibile dal punto etico-ambientale, con particolare riferimento alla maricoltura. Il settore della maricoltura può essere sostanzialmente suddiviso in due grandi gruppi: l’allevamento di pesce e la mitilicoltura. Per quanto riguarda il pesce, sul territorio nazionale e più in generale nell’area mediterranea, le specie prevalentemente allevate con questo sistema sono la spigola (Dicentrarchus labrax), l’orata (Sparus aurata) e anche se in minor parte, l’ombrina boccadoro (Argyrosomus regius). Inoltre, alcuni impianti del bacino mediterraneo hanno destinato qualche struttura all’allevamento semi-sperimentale di piccoli quantitativi di altre specie considerate di elevato pregio commerciale, come la ricciola (Seriola dumerili), il sarago pizzuto (Puntazzo puntazzo) ed alcuni altri sparidi. Le strutture di allevamento sono le gabbie a mare, che possono essere di tre tipologie principali, ovvero galleggianti, sommergibili e sommerse,

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caratterizzate da materiali e tecnologie costruttive variabili in funzione del tipo di impianto.

pesce allevato a mare o proveniente da attività di pesca, bensì tendente al verdognolo, in particolar modo sul

Branzino - Dicentrarchus labrax (fonte www.aiam.info) Per quanto riguarda la produzione di molluschi bivalvi, la specie principalmente allevata è il mitilo nostrano (Mytilus galloprovincialis) e gli impianti generalmente si avvalgono del sistema longline, simile ad un filare, che prevede l’installazione di una fune rettilinea, il trave, ancorato al fondo tramite dei corpi morti e mantenuto ad una certa profondità rispetto alla superficie del mare, grazie ad una serie di galleggianti installati su di esso. Sul trave, ad una distanza variabile a seconda delle condizioni dell’area in questione, vengono installate le reste contenenti i molluschi. Ma come facciamo a riconoscere il prodotto ittico allevato sul mercato e soprattutto come facciamo a sapere da dove viene? Innanzitutto, per quanto riguarda le specie sopra descritte, in particolar modo spigola ed orata, è sempre bene tenere a mente che la maggior parte del prodotto che troviamo sul banco del pesce proviene da allevamento. Inoltre, soprattutto per quanto riguarda il pesce allevato in vasche a terra, un altro indizio facilmente riscontrabile risulta essere il colore, che talvolta non appare argenteo brillante come quello del

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dorso. La differenza di pigmentazione del pesce non risulta un fattore

vengono fissati una serie ulteriore di adempimenti relativamente alla tracciabilità delle produzioni ittiche, che hanno reso il comparto dei prodotti della pesca e dell’acquacoltura più controllabile rispetto al passato. In ogni caso, per avere una sicurezza su ciò che acquistiamo, a prescindere dalla fiducia che possiamo riporre nel commerciante, è sempre bene leggere attentamente l’etichetta, che con il passare del tempo è diventata sempre più ricca di informazioni importanti riguardo il percorso che il pesce ha fatto dal momento del prelievo in acqua, fino al banco di vendita. Infatti, anche in conseguenza dell’ultima normativa entrata in vigore a dicembre 2014, il Reg. (UE) n. 1169/2011 del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, nell’ambito dell’etichetta è possibile avere sott’occhio la storia del pesce e di conseguenza avere qualche garanzia in più riguardo la provenienza del prodotto, il luogo e la tipologia di pesca o di allevamento.

Orata - Sparus aurata (fonte www.aqua-plongee.com) pregiudicante la qualità dal punto di vista organolettico e nutrizionale. Per quanto riguarda le garanzie sulla provenienza del prodotto, in seguito all’entrata in vigore del Reg. (CE) n. 1224/2009 del Consiglio, riguardante l’istituzione di un regime di controllo comunitario per garantire il rispetto delle norme della politica comune della pesca e del relativo regolamento attuativo, il Reg. 404/2011,

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Bibliografia: FAO, 2015 Fishery and Aquaculture Department, Online query panels, Global Aquaculture Production

Dr. Agronomo Lapo Nannucci lapo.nannucci@ gmail.com

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Il mulo: un animale da valorizzare Caratteristiche generali ed attuali impieghi del più ecologico 4x4 di sempre di

Gemma Navarra

Il mulo (Equus mulus) è l’ibrido interspecifico tra cavalla e asino in cui si fondono l’energia e la potenza muscolare del cavallo con la rusticità e la sobrietà dell’asino. Questo anima-

nella produzione di legna da ardere e carbone, nel trasporto ed in guerra. Oggi, con l’avvento dei mezzi meccanici, il mondo rurale di cui il mulo è stato protagonista per centinaia di

nel 1952) e con esso si assiste alla scomparsa delle numerose razze autoctone, equine ed asinine, selezionate per la produzione mulattiera. Morfologicamente il mulo ha caratte-

Romana (a sinistra)

D-Max (a destra)

Razza

Mula di origine italiana CAITPR x Martina Franca

Cavallo Agricolo Italiano da Tiro Pesante Rapido

Altezza al garrese

162 cm

157 cm

Circonferenza dello stinco

24 cm

25,5 cm

Peso

507 kg

589 kg

Ambiente, foreste e natura

- CONFRONTO VISIVO -

Dal confronto di due soggetti, una mula ed un cavallo brachimorfi, con struttura e mole simili, si può notare come la mula abbia testa più grossa, orecchie più lunghe, groppa inclinata, piedi più piccoli e stretti, arti più asciutti (circonferenza dello stinco inferiore) e muscolatura meno sviluppata (peso inferiore). Tutti caratteri tipici ereditati dal padre asino. le, dalla potenza e resistenza straordinarie, ha rivestito un’importanza sociale, economica, culturale e storica fondamentale in Italia, accompagnando l’uomo nel lavoro agricolo,

Ambiente, foreste e natura

anni ha cambiato volto. Il numero di muli presenti sul nostro territorio è in forte calo (appena 6.266 individui attualmente iscritti all’anagrafe equina contro i 401.000 individui iscritti

ri intermedi tra asino e cavallo, con predominanza del primo per quanto riguarda la testa, il collo, la struttura degli arti e dei piedi; eredita invece dalla madre i caratteri relativi allo

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sviluppo scheletrico e quindi alla statura. Pur avendo stessa forza ed energia, il mulo, in confronto al cavallo, ha più resistenza al lavoro ed alle privazioni, ha minori esigenze di ricovero e governo, è meno soggetto alle malattie e può essere gestito più facilmente anche da persone poco esperte grazie alla sua indole docile. Di carattere sensibile e prudente, è generoso se trattato con rispetto; le proverbiali caparbietà e riluttanza derivano infatti dall’insofferenza alle costrizioni. Ha passo sicuro ed affidabile, anche su sentieri impervi e difficili. L’ibrido inverso tra cavallo stallone e asina è il bardotto, che tende invece ad ereditare i difetti di entrambe le specie. I muli e i bardotti sono sterili pur avendo gli organi sessuali normalmente sviluppati e manifestando l’istinto ad accoppiarsi. Molti pensano che per ottenere un buon mulo basti incrociare una qualsiasi cavalla con un asino e che vengano impiegate le cavalle fattrici meno belle o addirittura ta-

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rate, che sarebbero inadatte per la produzione di cavalli. Ovviamente come in quella di ogni altro animale, nella produzione del mulo entrano in gioco le stesse leggi biologiche e di ereditarietà, per cui la scelta dei riproduttori richiede la massima attenzione. L’asino stallone e la cavalla fattrice devono avere determinati requisiti di statura, di peso, di struttura scheletrica, di conformazione e di carattere. I criteri di scelta varieranno a seconda del tipo di mulo che si desidera ottenere. Esempi di tipologie di muli italiani sono gli imponenti pugliesi, derivati da incroci tra asini di Martina Franca e cavalle Murgesi; i più piccoli ed agili toscani, derivati dall’incrocio di asini Amiatini e cavalle Tolfetane; molto usate sono inoltre fattrici di Cavallo Agricolo Italiano da Tiro Pesante Rapido che, incrociate con asini locali, generano muli dalla struttura potente e robusta molto adatta alla soma.

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Attualmente in Italia i muli vengono impiegati come animali da soma (specialmente nell’esbosco di legna da ardere) o come animali da compagnia. Quello di esbosco a soma tradizionale è un metodo meno produttivo rispetto ad altri più moderni (trattori con gabbie, risine e teleferiche) ma presenta dei vantaggi che, in alcuni casi, lo rendono ancora il metodo più razionale. L’esbosco a soma con i muli attualmente è utilizzato per la legna da ardere e simili assortimenti lunghi 1-1,5 m, su terreni non accessibili a mezzi meccanici a causa della pendenza o dell’accidentalità. È adatto per tagli di debole intensità come le conversioni dei cedui ad alto fusto, mentre nei tagli di forte intensità non può competere economicamente con l’esbosco meccanizzato. Il maggiore inconveniente legato a questo tipo di sistema è quello legato ai costi ed al tempo necessario per la gestione degli animali durante tutti i giorni dell’anno. Questo aspetto è poco compatibile con lo stile di vita attuale e poche persone sono ancora disponibili a lavorare con i muli. L’impiego di mezzi di lavoro più moderni, come

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risine e trattori con gabbie, rende il lavoro in bosco più fluido, più produttivo e più economico. Comunque, oltre agli anziani meno disponibili ai cambiamenti, anche per alcuni gio-

vani la passione per questo metodo di lavoro, spesso trasmessa da tradizioni familiari, può prevalere sui disagi e, in alcuni casi, gli animali vengono ancora mantenuti ed affiancati a mezzi meccanici. Il vantaggio principale nell’impiego dei muli è

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la facile organizzazione del cantiere operativo non essendo necessario predisporre piste di esbosco. Infatti i nostri boschi sono provvisti di una fitta rete di stradelli, facilmente recu-

perabili, derivati dall’utilizzo di questo metodo di esbosco da centinaia se non migliaia di anni. Inoltre è un metodo a un basso impatto ambientale che danneggia minimamente suolo e soprassuolo e non emette sostanze inquinan-

ti. Questo lo rende interessante in situazioni in cui la sostenibilità ambientale è un valore importante, come in parchi e riserve naturali. Possiamo considerare in via di sperimentazione l’impiego dei muli negli sport equestri. Grazie alle loro caratteristiche peculiari di resistenza ed adattabilità, sembrano ottenere buoni risultati nel trekking equestre, nell’endurance e nel trekking someggiato. I muli rimangono però animali poco conosciuti, dall’indole ombrosa ed una fisicità particolare. Il loro ruolo nell’equitazione e nell’ecoturismo rimane quindi limitato alle esperienze condotte da pochi amatori e curiosi. Nelle fotografie muli e cavalli di Valentino Cheli attualmente impegnati nell’esbosco di legna da ardere in Mugello (FI).

Dr. ssa Gemma Navarra nvrgmm@virgilio.it

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Tutela della proprietà e possesso nel codice civile Analisi e dettagli della normativa che tutela la proprietà privata in Italia di

Michele Piccioni e Marina Rapaccioni

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l concetto di proprietà nel corso del tempo ha subito una vera e propria evoluzione storica. Al riguardo si possono individuare diverse concezioni: - la concezione nel diritto romano e germanico; - la concezione illuminista e liberale;

- elasticità, - autonomia ed indipendenza, - esclusività, - perpetuità, - imprescrittibilità. Il c.c. si occupa di definire anche il possesso; l’art. 1140 com. 1 lo definisce come: il potere sulla cosa che

- la concezione nel codice civile Italiano del 1942 attualmente vigente; - la concezione della proprietà nella Carta Costituzionale Italiana del 1948 vigente. Il diritto di proprietà definito dall’art. 833 del c.c. riconosce al proprietario il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico. Dalla definizione si delineano i seguenti caratteri: - pienezza,

si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale. Sia il proprietario e sia il soggetto che esercita il possesso, nell’esercizio del proprio diritto, possono subire un pregiudizio a causa del comportamento di un terzo e subire una lesione di tipo giuridico e in alcuni casi anche di tipo economico. A tal fine la legge prevede una serie di azioni che possono essere divise in due categorie: - azioni a difesa della proprietà disciplinate dagli art. 948–951 c.c.;

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- azioni a difesa del possesso disciplinate dagli art. 1168-1170 c.c..

Azioni difesa proprietà Azione rivendicazione art. 948 del C. C: Il proprietario può rivendicare la cosa a chiunque la possiede o detiene e può proseguire l’esercizio dell’azione anche se costui, dopo la domanda, ha cessato, per fatto proprio, di possedere o detenere la cosa. In tal caso il convenuto è obbligato a recuperarla per l’attore a proprie spese, o, in mancanza, a corrispondergliene il valore, oltre a risarcirgli il danno. Il proprietario, se consegue dal nuovo possessore o detentore la restituzione della cosa, è tenuto a restituire al precedente possessore o detentore la somma ricevuta in luogo di essa. L’azione di rivendicazione non si prescrive, salvi gli effetti dell’acquisto della proprietà da parte di altri per usucapione. Azione negatoria art. 949 del C.C: Il proprietario può agire per far dichiarare l’inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio. Se sussistono turbative o molestie, il proprietario può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la condanna al risarcimento del danno. Azione regolamento confini art. 950 del C.C: Quando il confine tra due fondi è incerto, ciascuno dei proprietari può chiedere che sia stabilito giudizialmente. Ogni mezzo di prova è ammesso. In mancanza di altri elementi, il giudice si attiene al confine delineato dalle mappe catastali. Azione apposizione termini art. 951 del C.C:

Ambiente, foreste e natura


Se i termini tra fondi contigui mancano o sono diventati irriconoscibili ciascuno dei proprietari ha diritto di chiedere che essi siano apposti o ristabiliti a spese comuni.

Azioni difesa possesso Azione reintegrazione art. 1168 del C.C: Chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l’anno dal sofferto spoglio, chiedere contro l’autore di esso la reintegrazione del possesso medesimo. L’azione concessa altresì a che la detenzione della cosa, tranne il caso che l’abbia per ragioni di servizio o di ospitalità. Se lo spoglio è clandestino, il termine per chiedere la reintegrazione decorre dal giorno della scoperta dello spoglio. La reintegrazione è ordinata dal giudice sulla semplice notorietà del fatto, senza dilazione. Azione manutenzione art. 1170 del C.C: Chi è stato molestato nel possesso di un immobile, di un diritto reale sopra un immobile può, entro l’anno dalla turbativa chiedere la manutenzione del possesso medesimo. L’azione è data se il possesso dura da oltre un anno, continuo e non interrotto e non è stato acquistato violentemente o clandestinamente.

Qualora il possesso sia stato acquistato in modo violento o clandestino, l’azione può nondimeno esercitarsi, decorso un anno dal giorno in cui la violenza o la clandestinità è cessata. Anche colui che ha subito uno spoglio non violento o clandestino può chiedere di essere rimesso nel possesso, se ricorrono le condizioni indicate dal comma precedente. Azione denunzia nuova opera art. 1171 del C.C: Il proprietario, il titolare di altro diritto reale di godimento o il possessore, il quale ha ragione di temere che da una nuova opera, da altri intrapresa sul proprio come sull’altrui fondo, sia per derivare danno alla cosa che forma l’oggetto del suo diritto o del suo possesso, può denunziare all’autorità giudiziaria la nuova opera, purché questa non sia terminata e non sia

trascorso un anno dal suo inizio. L’autorità giudiziaria può vietare la continuazione dell’opera, ovvero permetterla, ordinando le opportune cautele: nel primo caso per il risarcimento del danno prodotto dalla sospensione dell’opera, qualora le opposizioni al suo proseguimento risultino infondate nella decisione del merito; nel secondo caso, per la demolizione demolizione o riduzione dell’opera e per il risarcimento del danno, che possa soffrirne il denunziante, se questi ottiene sentenza favorevole, nonostante la permessa continuazione. Azione denunzia danno temuto art. 1172 del C.C: Il proprietario, il titolare di altro diritto reale di godimento o il possessore, il quale ha ragione di temere che da qualsiasi edificio, albero o altra cosa sovrasti pericolo di un danno grave e prossimo alla cosa che forma l’oggetto del suo diritto o del suo possesso, può denunziare il fatto all’autorità giudiziaria e ottenere, secondo le circostanze, che si provveda per ovviare al pericolo. L’autorità giudiziaria, qualora ne sia il caso, dispone idonea garanzia per i danni eventuali.

Marina Rapaccioni Perito agrario esperta in agricoltura biologica

Dr. Michele Piccioni Insegnante ed esperto in materie giuridiche

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L’Istituto Agrario di Firenze Un’azienda agricola di circa 16 ha (la cui storia affonda le sue radici nel lontano 1500) e molti laboratori (chimica, trasformazione prodotti, fisica, informatica, scienze, meristematica e micropropagazione)

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Speciale Istituti Agrari d’Italia

diacenti agli Istituti si estendono circa 16 ettari di azienda agraria. Presso l’Ufficio Vendite si possono acquistare i prodotti frutto delle esercitazioni svolte dagli studenti: piante da appartamento, da giardino e da frutto, frutta e verdura fresca, vino, vin santo, olio extravergine di oliva e uova freschissime. Tutto ciò a pochi minuti dal centro storico di Firenze.

La scuola, il lavoro, i percorsi post diploma Con la scuola collaborano circa 150

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aziende in convenzione per attività di stage; con 16 aziende, oltre che Università di Agraria, CNR, CRAIE, Confindustria, CIA, ARA, Collegi dei Periti Agrari e Agrotecnici, Camera di Commercio, sono attivi protocolli di intesa per attività didattiche, uso di laboratori aziendali, orientamento e ricerca. Al termine degli studi gli alunni possono proseguire verso il lavoro, anche con accesso facilitato agli Ordini Professionali e Università. Da questo anno i diplomati possono accedere ad un corso biennale di Istituto

Tecnico Superiore EAT “Eccellenza Agroalimentare Toscana” organizzato anche dall’Istituto. Grazie ad una plurità di indirizzi gli alunni possono transitare con maggiore facilità nei primi anni tra tecnico e professionale o verso il corso serale. Oltre alle attività di aziende dell’Istituto, tutti gli alunni a partire dalla 2° IPSAA e 3° ITAGR seguono percorsi di alternanza scuola lavoro di almeno 400 ore. Quasi tutte le quarte attivano progetti di imprenditoria giovanile costituendo aziende simulate ma con capacità produttiva reale.

Foto di G. Ponziani

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Istituto Tecnico (ITAGR) L’indirizzo “Agraria, Agroalimentare e Agroindustria” integra competenze nel campo dell’organizzazione e della gestione delle attività produttive, trasformative ed organizzative del settore; particolare attenzione viene data alla qualità dei prodotti, al rispetto dell’ambiente ed agli aspetti relativi alla gestione del territorio, con specifico riguardo agli equilibri ambientali, idrogeologici e paesaggistici. A partire dal terzo anno presenta le tre articolazioni: - “Produzioni e Trasformazioni”, per l’approfondimento delle problematiche collegate all’organizzazioni delle produzioni animali e vegetali, alle trasformazioni ed alla commercializzazione dei relativi prodotti, all’utilizzazione delle biotecnologie; - “Gestione dell’Ambiente e del Territorio”, che approfondisce le problematiche della conservazione e tutela del patrimonio ambientale e le tematiche collegate alle operazioni di estimo e al genio rurale; - “Viticoltura e Enologia“, che approfondisce le problematiche collegate all’organizzazione specifica delle produzioni vitivinicole, alle trasformazioni e commercializzazione dei relativi prodotti, all’utilizzazione delle biotecnologie. Tale indirizzo prevede un sesto anno facoltativo post-diploma articolato su 32 ore settimanali esclusivamente di materie tecniche, che rilascia il titolo di ENOTECNICO.

Il Perito Agrario nel mondo del lavoro: - Dirige ed amministra aziende agrarie e strutture trasformatrici del settore agro-alimentare - Assiste aziende agrarie ed organismi associativi nell’aspetto tecnico-economico della produzione, conservazione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti agro-alimentari - Opera stime, progettazioni aziendali, divisione di fondi rustici e rilievi di superfici agrarie - Opera tipi di aggiornamento relativi al catasto - Interviene nella progettazione e nell’esecuzione dei piani d’assetto del territorio per la tutela ambientale - Stima e valuta la consistenza dei danni alle colture - Concorre a posti di insegnate tecnico pratico nelle scuole superiori di secondo grado, per le discipline nelle quali è richiesto il titolo di perito agrario - Concorre presso il Corpo Forestale dello Stato - Può accedere all’esame di Stato per la professione di Perito Agrario

Istituto Professionale (IPSAA) L’Istituto offre in regime di sussidiarietà con la Regione, corsi per la qualifica professionale a carattere integrativo e complementare (leFP). Percorso di qualifica in regime sussidiario integrativo Gli studenti iscritti ai percorsi quinquennali finalizzati all’acquisizione dei Diplomi di Istruzione Professionale possono conseguire, al termine del terzo anno e previo superamento di un apposito esame, una qualifica professionale di “Addetto agli interventi tecnici ed agronomici sulle coltivazioni e alla gestione di impianti, macchine ed attrezzature”. Percorso di qualifica in regime sussidiario complementare Gli studenti seguendo un percorso formativo di 1056 ore annue, diversamente distribuite sulle discipline a vantaggio di attività laboratoriali delle discipline tecnico-professionali, possono conseguire al termine e del terzo anno e previo superamento di un apposito esame, un titolo di qualifica professionale di “Addetto alle operazioni relative alla selvicoltura, alla salvaguardia dell’ambiente e alla gestione di impianti, macchine ed attrezzature“. Gli studenti che lo volessero, oltre a poter proseguire nei percorsi professionalizzanti, possono rientrare in quarta nel percorso di istruzione, seguendo corsi aggiuntivi durante il terzo anno su alcune discipline di base. Le qualifiche di competenza regionale sono riconosciute a livello nazionale e comunitario. Al termine dei primi due anni, inoltre, viene rilasciato, su richiesta dello studente, il certificato delle competenze. Per gli studenti interessati, nel caso di disponibilità di aziende, la scuola organizza percorsi di apprendistato.

Sbocchi professionali - Conduce in proprio un’azienda agricola o zootecnica - Opera nelle aziende e nelle industrie agricole della produzione, della trasformazione, del commercio e dei servizi - Opera nell’ambito dell’assistenza tecnica - Partecipa ai concorsi pubblici - Può accedere all’esame di stato per la professione di Agrotecnico

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Intervista al Dirigente Scolastico dell’Istituto Dott. Ugo Virdia Qual’è, secondo lei, l’importanza dell’istruzione e della formazione agraria per i giovani che vogliono lavorare nel settore? Da ormai oltre 100 anni l’Istituto forma operatori, tecnici, dirigenti, professionisti e amministratori, figure fondamentali per sostenere le produzioni in agricoltura della Toscana e, in particolare, della provincia di Firenze e limitrofe. Per i giovani che vogliono intraprendere questo tipo di percorso lavorativo credo sia molto importante poter contare su una formazione tecnica come quella che offre il nostro Istituto. Qual’è e quanto è importante il collegamento della scuola con il mondo del lavoro e con il tessuto produttivo dell’area fiorentina? In questi ultimi anni l’evoluzione dei

Foto di G. Ponziani

sistemi di lavorazione, l’estendersi delle competenze richieste agli operatori in agricoltura, gli intrecci interdisciplinari con una molteplicità di ambiti tecnologici e culturali han-

no richiesto all’Istituto l’attivazione si terziari di tecnico superiore (post di laboratori sempre più articolati ma diploma) e percorsi di apprendistato. soprattutto l’attivazione L’intervista al Dirigente Scolastico Dott. Virdia di partnership con aziende, istituti di ricerca, Università di Agraria (adiacente all’Istituto) e professionisti che nel territorio rispondono con responsabilità alla domanda di innovazioFoto di M. Fabbri ne dell’Istituto. Queste partnership consen- Oltre che, nel pomeriggio, corsi che tono inoltre agli alunni di svolgere permettono il conseguimento di cerstage, disporre di testimonianze di tificazioni in uso nel lavoro e nella professionisti, seguire carriera formativa. processi di lavoro in Questi i percorsi tecnico professiogruppi di classi, agli nali possibili: insegnanti di costruire - formazione professionale a caratuna rete di relazioni tere complementare, interprofessionali che - formazione professionale a caratconsente loro di adat- tere integrativo, tare i programmi scola- - istruzione professionale, stici alle nuove esigen- - istruzione tecnica (che prevede tre ze produttive. indirizzi, quali “Produzioni e TrasforCi può descrivere mazioni”, “Gestione Ambiente e Terl’offerta formativa ritorio” e “Viticoltura ed Enologia”). dell’Istituto Tecnico Questi percorsi sono offerti a ragazAgrario Statale di Fi- zi di 14 anni, giovani oltre i 16 anni, renze per i giovani adulti in corsi serali ed adulti in destudenti? tenzione carceraria. L’istituto offre tutta la Un vantaggio strategico contro la gamma che il sistema dispersione scolastica e per un più di istruzione consente nel settore: efficace orientamento è dato dalla percorsi di istruzione professionali, presenza nello stesso Istituto di tutti di formazione professionale a carat- questi percorsi tra i quali è possibitere complementare o integrativo, le transitare con passerelle, anche percorsi di istruzione tecnica, percor- dopo l’iniziale iscrizione.

Foto di G. Ponziani

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Intervista al Responsabile Istruzione Tecnica Superiore Prof. Vieri Baldocci Cos’è l’ ITS e qual’è l’importanza di esso? Gli Istituti Tecnici Superiori (ITS) sono Fondazioni di partecipazione costituite da Imprese, Istituti Tecnici e Professionali, Enti di Formazione Professionale accreditati, Università, Centri di ricerca e Enti locali. Gli ITS sono stati introdotti nell’ordinamento nazionale dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 25 gennaio 2008 in attuazione della legge finanziaria 2007. Si configurano come Scuole Speciali di Tecnologia che realizzano percorsi biennali post-diploma per formare tecnici superiori in grado di inserirsi nei settori strategici del sistema economico e produttivo regionale, portando nelle imprese competenze altamente specialistiche e capacità d’innovazione. Le fondazioni sono soggetti dotati di autonomia statutaria, didattica, di ricerca, organizzativa, amministrativa e finanziaria, in cui i soggetti fondatori si pongono l’obiettivo di assicurare alti standard organizzativi e condizioni di elevata occupabilità per i giovani. Costituiscono il segmento di formazione terziaria (5° livello del quadro delle qualifiche europee-EQF) non universitaria e consentono l’acquisizione di crediti riconosciuti dalle Università (CFU) in base alla legislazione vigente in materia; sono riconosciuti come tirocinio al fine di sostenere l’esame per l’abilitazione alla professione di perito agrario e di agrotecnico. Le imprese socie della Fondazione garantiscono un contatto diretto con il mondo del lavoro ed hanno un ruolo centrale ed attivo, contribuendo alla definizione e realizzazione dei programmi didattici, fornendo personale specializzato per le docenze dei moduli tecnici, accogliendo i giovani diplomati in stage durante le due annualità e ospitandoli in visite aziendali. I docenti e gli esperti dovranno essere individuati in percentuale significativa tra i soci della Fondazione, in particolare all’interno delle imprese del settore. In particolare l’ITS “Agroalimentare” toscano dovrà essere in grado di dare una risposta di sistema tra domanda e offerta di lavoro alta-

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mente qualificato, essendo in grado di recepire i fabbisogni formativi e di innovazione espressi dal tessuto imprenditoriale locale, anche in relazione all’opportunità di creazione di nuove attività di impresa, intercettando le necessità di specializzazio-

La figura professionale opera per organizzare e gestire il controllo qualitativo dei processi e dei prodotti della filiera con lo scopo di valorizzare e promuovere i prodotti del ”Made in Italy”. Predispone il piano di marketing e di comunicazione sul prodotto/

Flavio Rabitti e Luca Poli con il Prof. Baldocci (al centro)

Foto di M. Fabbri

ni che l’ambito settoriale dell’agroalimentare esprime nei diversi territori della regione. Potrebbe illustrare il corso ITS? L’ITS EAT propone due corsi biennali della durata di 2.000 ore di cui 1.200 in aula e 800 di stage in azienda (in Italia e all’estero). Il primo - Tecnico Superiore Responsabile delle produzioni e delle trasformazioni Agrarie, Agro-alimentari ed Agro-industriali si svolgerà a Grosseto. Questa figura professionale è un Tecnico Superiore esperto in programmazione e gestione dei processi produttivi e biotecnologici degli alimenti nonché nella risoluzione di problematiche connesse sia all’affidabilità e alla qualità dei prodotti alimentari, sia agli aspetti tecnico-normativi. Esegue studi di progettazione e fattibilità, promuovendo l’innovazione di prodotto e di processo. Lavora prevalentemente nell’industria agroalimentare o presso organizzazioni, consorzi, enti di ricerca pubblici e privati del settore. Il secondo - Tecnico Superiore per il controllo, la valorizzazione ed il marketing delle produzioni agrarie, agroalimentari e agroindustriali si svolgerà a Firenze.

servizio studiandone il posizionamento in uno specifico segmento di mercato attraverso l’analisi di settore, il benchmark, la ricerca delle tendenze e delle potenzialità offerte dai nuovi media digitali. Predispone e gestisce azioni di vendita dei prodotti monitorando la soddisfazione della clientela, nonché sovrintende alle pratiche doganali e alla redazione della documentazione d’accompagnamento merci. Ciascun corso si rivolge a 20 diplomati di scuola media superiore, di età compresa tra i 18 e i 30 anni. L’accesso ai corsi è subordinato al superamento di una prove di selezione. Al termine del percorso, previo superamento dell’esame finale, sarà rilasciato il Diploma di Tecnico Superiore con validità sul territorio nazionale e comunitario. Maggiori informazioni sul sito: www.fondazione-eat.it Dr. Flavio Rabitti Direttore Editoriale Rivista TerrAmica

Dott. Luca Poli

Laureato in Scienze Forestali luca9008@ hotmail.it

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Chi siamo

Associazione di Agraria.org

L’Associazione di Agaria.org è stata costituita nel 2013 da un gruppo di giovani laureati in Agraria, Scienze Forestali e Veterinaria. In pochi mesi grazie all’impegno di tanti soci sparsi per l’Italia, siamo riusciti a essere presenti in tutto il Paese. Lo scopo dell’Associazione è quello di diffondere le conoscenze riguardanti pratiche agricole ed agro-alimentari sia a scopo amatoriale che professionale, supportare gli agricoltori ed i nuovi imprenditori nella promozione della loro attività attraverso la vendita diretta, favorire l’inserimento dei neo-diplomati e laureati nel settore agricolo e la crescita delle aziende associate.

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Corso di degustazione olio extra vergine di oliva

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Cosa facciamo Abbiamo promosso una serie di incontri per imparare a coltivare orti sul terrazzo e realizzare composizioni floreali, oltre che organizzato delle escursioni alla ricerca di erbe spontanee commestibili e funghi; inoltre non sono mancati percorsi di avvicinamento al vino con la quarta edizione del corso di degustazione “De-Gusta vino” e all’olio con un corso sull’assaggio di olio extra vergine di oliva. E ancora… incontri per fare la birra in casa, giornate di pescaturismo e di approccio consapevole al pesce che arriva sulle nostre tavole; giornate di sensibilizzazione

“De-Gusta Vino” - Incontri di degustazione vino

Spazio Associazione di Agraria.org


Alcuni incontri a tema organizzati dall’Associazione per gli iscritti strale sul tema “Innovazione in campo forestale” svolta nel 2014, con premio in denaro di 500€. Il premio è stato consegnato dal Vicepresidente dell’Associazione nel luglio 2015 alla presenza del presidente dei corsi di Laurea in Scienze Forestali della Scuola di Agraria di Firenze. Progetto Arboreti: in accordo all’ente gestore Corpo Forestale dello Stato-UTB di Vallombrosa e l’Università degli Studi di Firenze, l’Associazione ha garantito per la stagione estiva 2015 il servizio volontario di visite guidate agli splendidi Arboreti sperimentali di Vallombrosa (FI). Più di 30 ragazzi soci dell’Associazione si sono alternati durante l’estate accompagnando in questa straordinaria esperienza più di duemila persone. Un risultato importante anche per la stagione turistica della zona. Incontri del Forum di Agraria.org: in questa primavera sono stati organizzati due pranzi con gli amici del Forumdiagraria. org, uno in Piemonte ed uno in Emilia-RoConsegna del Premio di Laurea del Centenario del valore di 500€ magna. Si ringraziano tutti i soci e gli amici fine settimana all’insegna della cultura e del divertimento intervenuti che hanno contribuito alla buona riuscita degli insieme agli amici del Forumdiagraria.org che è culmina- incontri. to con un convengo presso la sala del capitolo dell’Abbazia dei Frati Vallombrosani che ha visto la partecipazioDiventa uno di noi ne dei massimi esperti dell’Associazione. Il tema scelto quest’anno riprendeva il filo conduttore che ha caratte- Entra a far parte anche tu di questa grande comunità rizzato l’Esposizione universale di Milano Expo 2015, di appassionati del mondo agricolo e ricevi i prossimi ossia qual è il ruolo dell’agricoltura nella nutrizione del numeri di TerrAmica comodamente e gratuitamente a pianeta. L’Associazione ringrazia tutti i partecipanti e in casa tua. particolar modo i relatori del convegno e vi dà appunta- Altri vantaggi per i soci: ● partecipazione ad eventi ed incontri in tutto il territorio mento al prossimo settembre! Partecipazione a fiere e manifestazioni: abbiamo par- nazionale organizzati dall’Associazione tecipato allestendo spazi ed organizzando workshop, se- ● possibilità di partecipazione a fiere nazionali sull’agriminari e dimostrazioni pratiche a: Flora Firenze - Mostra coltura ed ambiente a condizioni agevolate spettacolo di piante e fiori made in Italy, Toscanello d’oro ● visibilità per i giovani tecnici che si affacciano nel mon2015 Pontassieve (FI), Festa del Vino e dei Sapori anti- do del lavoro ● promozione delle aziende agricole guidate da giovani chi 2015 Tavarnelle V.P (FI). Premio di Laurea del Centenario: in occasione dei 100 imprenditori (progetto “Smart Farm”) anni di studi forestali a Firenze, l’Associazione in collaIscriviti online a soli 10€ l’anno su: borazione con l’Università degli Studi di Firenze, ha prowww.associazione.agraria.org mosso un premio per la migliore tesi di Laurea Magirivolte agli agricoltori sul tema della difesa delle colture dagli ungulati. Eventi e convegni: nel settembre 2015 a Vallombrosa (FI) si è svolta la seconda edizione di “Foresta in Festa”, il raduno nazionale dell’Associazione di Agraria.org; un

Spazio Associazione di Agraria.org

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Come fare per RICEVERE TERRAMICA direttamente a casa tua Per ricevere “TerrAmica - Rivista Associazione di Agraria.org” è sufficiente essere soci. Per associarsi bastano 10€ l’anno! Ecco i pochi e semplici passaggi per iscriversi: 1. Accedi al sito www.associazione.agraria.org 2. Clicca in alto a destra su “Iscriviti all’Associazione” 3. Compila il modulo con i tuoi dati e scegli il metodo di pagamento desiderato 4. Decidi se pagare con Paypal, Bonifico bancario o Bollettino postale ed attendi il buon esito della registrazione 5. Versa la quota associativa e... ricevi a casa TerrAmica!

Per qualsiasi problema o informazione scrivi a associazione@agraria.org o telefona al numero +39 388 5867540

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Come associarsi



Agraria.org a g r i c o l t u r a

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p o r t a t a

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c l i c k

Sei un allevatore? Iscriviti gratuitamente nel catalogo allevamenti: http://allevamenti.agraria.org/ Sei un libero professionista del settore agrario o forestale? Iscriviti gratuitamente nel catalogo professionisti: http://professioni.agraria.org/ Hai un’azienda agricola e vendi direttamente i tuoi prodotti? Iscrivila gratuitamente nel catalogo per la Filiera Corta: http://aziende.agraria.org/


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