Mario Luzi "Opus Florentinum"

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I CLASSICI Collana diretta da Carlo Carena 15

Dalla collezione di Classici Presse Ă Canard di Paolo Andrea Mettel



MARIO LUZI

OPUS FLORENTINUM Azione drammatica in due parti

Armando Dadò editore Locarno


Nel controfrontespizio: Santa Reparata col ramo di palma del martirio e la città di Firenze nelle mani. Miniatura (39,5 x 28 cm) di Messale Romano del sec. XV proveniente dal duomo di Santa Maria del Fiore. Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana. © 2002 Paolo Andrea Mettel e Armando Dadò editore, CH-6600 Locarno, via Orelli 29, www.editore.ch ISBN: 88-8281-097-6


Introduzione

Premettere parole a questo lavoro è assurdo: meglio che l'opus operi fino a generare la sua ragion d'essere. E infatti queste pagine sono nate per proliferazione interna, cellularmente. Eravamo alle soglie del settimo centenario della fondazione di Santa Maria del Fiore e nell’imminenza del Giubileo. Fui risucchiato da questa macchina spirituale e materiale sempre attiva un giorno che trasognato immaginai di ascoltare un dialogo tra due operai del cantiere sotto la cupola brunelleschiana in costruzione. Bastarono quel brio calibrato e quel battibecco assennato a ravvivare una storia intera nel grande corpo che l'aveva nutrita e n’era a sua volta stato nutrito: e soprattutto nell’anima che l’aveva abitata fino dalla sua nascita. D’altra parte una continuità non si può esprimere se non per frammenti, per episodi. È quello che ho cercato di fare cogliendo la varietà delle persone e dei tempi, delle situazioni. Ma quella che parla per tutti ed è stessa ab antiquo, aperta però a tutto il dopo, è la voce di Santa Maria del Fiore, la madre di tutte le chiese fiorentine, la sede eletta dell’anima e della coscienza della irrequieta città, nonché della confusa umanità che cerca la sua via. M. L.

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Opus florentinum

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PARTE PRIMA

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1 Camminata verso casa

MARCELLO Dove vai, Severino? Mi sembri così stracco. SEVERINO È l’ora che lo siamo tutti. La giornata è stata lunga. MARCELLO E ora ci resta il tempo giusto giusto per non fare proprio al buio il cammino del ritorno. SEVERINO Anche tu hai il fondo lontano dalla casa e questo è un sacrifizio. MARCELLO Dici bene, Severino, il lavoro è più gravoso, forse. Però a me piace camminare la mattina tra i poderi e gli orti per andare sul posto. SEVERINO Avevamo in famiglia un somarello quando ero giovane, e allora era un piacere cavalcarlo e venire giù lungo il Mugnone. La nostra è una bella piana.

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MARCELLO Lavorata molto bene a regola d’arte. Il piacere dipende anche da questo. SEVERINO M’accompagno a te per il cammino se questo non ti rincresce. MARCELLO Che dici, che sproposito? Siamo tutti del mestiere e della stessa condizione. SEVERINO E tutti legati a questa terra. Si ha un bel dire ma ci piace parecchio questa terra. Anche a te, vero? MARCELLO Per forza, ci sono nato e ci ho sempre lavorato con mio padre e i miei fratelli. SEVERINO E io che ho fatto? Ho fatto la medesima cosa dal principio alla fine che ormai non è lontana. MARCELLO Lascia stare. Non tocca a noi fare questo conto. Ma vedo che siamo suppergiù compagni di ventura. SEVERINO Io ho poca terra ma quella poca è mia. C’è da stare poco allegri, ma almeno non ho chi mi riguarda.

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MARCELLO È la mia ambizione, quella: forse ci arriverò ma quando? Per ora lavoro sotto padrone. SEVERINO Così hai meno pensieri... MARCELLO Via, tu ragioni così per volermi consolare. Poco fa dicevi... SEVERINO Sì, è vero, ho parlato tanto per parlare. Però non credere sia tutto rose e fiori avere un poderino e doverlo lavorare e anche amministrare. MARCELLO Io il mio padrone non lo vedo mai, ma c’è, eccome c’è anche se non è tignoso, è anzi un buon signore. SEVERINO Tu sei in età da poterlo fare quel sogno, beato te. Io? L’ho fatto e non l’ho fatto, non mi ricordo niente e ora non so proprio che mi dire: certo che indietro non vorrei tornare. MARCELLO È più che giusto, Severino, la strada buona per un uomo è quella, siamo uomini tutti e tutti si vorrebbe andare avanti e non restare servi, anche se il servizio qualche volta è onesto. SEVERINO Non per niente siamo cristiani. 13


MARCELLO Ecco hai detto giusta anche questa, Severino. Siamo tutti uguali di fronte a Domineddio, si vorrebbe essere un po’ meno differenti qui nel mondo tra gli agi e le miserie della terra. SEVERINO La ragione direbbe proprio quello. Ma tu lo sai il proverbio, non sei nato ieri: chi ha ha e chi non ha fa a meno. MARCELLO Però siamo cristiani. Il Vangelo dice un’altra cosa. SEVERINO Sì, il Vangelo dice un’altra cosa: lo predica il piovano tutte le domeniche, ma poi si vede come razzola. MARCELLO È vero, razzola male ma il Vangelo resta. SEVERINO Dici bene Marcello, anche io lo credo: il Vangelo resta anche se il piovano sbaglia e dovrà pagare il conto anche lui come tutti i peccatori. MARCELLO Hai tu sentito quella voce che corre per le nostre campagne? SEVERINO Quale voce? Se ne dicono tante qui per gioco e dabbenaggine.

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MARCELLO Principia a fare un po’ di confusione, questa, ti sarà arrivata all’orecchio. SEVERINO Parli della gran ripianata di terreni che starebbe per succedere? MARCELLO Di terreni e di padroni. SEVERINO Sì, ho sentito qualche chiacchiera, qualche mormorazione delle donne a veglia. Se c’è di vero qualche cosa, a me nessuno viene a dirmelo. MARCELLO A quanto si discorre ci sarebbe un gran cambiamento qui dintorno. SEVERINO Sì, ma a noi che c’interessa? Poco o niente, siamo qui nel piccolo. Non si fa gola a nessuno. Parlo per me, si intende. MARCELLO Del mio padrone non so proprio niente, se c’entra lui con gli altri signori di Firenze. Se è vero saranno loro a fare questo terremoto nelle terre del Mugnone e in quelle del Terzolle. SEVERINO Sono questioni tra famiglie dei potenti, noi ne siamo fuori, non c’entriamo niente.

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MARCELLO Bisogna vedere se è così. Da questi rimescolamenti vengono tante fortune ed accidenti, lo si è visto tante volte. SEVERINO Sono gli stracci perlopiù che volano. MARCELLO Non mi voglio fasciare il capo prima che mi tocchi. Però vorrei sapere se sono frottole o c’è sul serio qualche cosa che bolle in pentola. Non sono tranquillo come te, la mia condizione è differente. SEVERINO A me mi basterebbe capire com’è nata questa voce e che cosa rappresenta. MARCELLO Mio fratello Battista lavora in Calimala e stasera torna a trovare la nostra vecchia. Forse lui saprà dirmi di più. SEVERINO È bello che tu abbia con te la vecchia madre e tu la tenga in pregio. MARCELLO Rimane lei di tutta la famiglia che era parecchio numerosa: lei e mio fratello Battista, ma lui non è più con noi, lui lavora in città e ha fatto strada.

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SEVERINO Il padrone vi ha lasciato stare nella casa anche così... MARCELLO Ha messo una famiglia nuova nel podere, ma ha lasciato poche stanze per me e per mia madre. Io, vedi, m’arrangio a coltivargli un fondo fuori mano. SEVERINO Sei, Marcello, un gran bravo figliolo, ti meriti una buona fortuna. Spero che ce l’avrai. MARCELLO E anche tu, Severino, ne abbiamo bisogno specialmente noi coloni di questi tempi. SEVERINO Eh sì, le cose vanno meglio per i mercanti oggi a quello che si vede. MARCELLO Lo dico anche io e lo vedo coi miei occhi dalle larghezze di Battista. Non è un mercante lui, è un semplice operaio però questo è il suo tempo e non sta male. SEVERINO Mi piacerebbe proprio incontrarlo codesto tuo fratello. MARCELLO Fermati a casa mia, forse a quest’ora è di già arrivato. SEVERINO Sono troppo stracco, sarà un’altra volta.

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MARCELLO Guardalo, mi viene incontro per la viottola, neanche a farlo apposta. SEVERINO È lui? L’avevo visto già da questa parti, non sapevo però che fosse tuo fratello. Lo saluto volentieri. MARCELLO Sta per finire la nostra camminata. SEVERINO M’è sembrata più corta in compagnia. MARCELLO Battista, sei arrivato per tempo oppure questa sera ho fatto tardi giù al lavoro... Ti ricordi di Severino? Abbiamo fatto insieme un po’ di strada. BATTISTA Lo conoscono tutti Severino, anche io naturalmente, però non gli ho mai parlato. SEVERINO Sono contento di scambiare un saluto, poco fa ti si rammentava con Marcello. BATTISTA Allora personaggio tristo nominato e visto. MARCELLO Qui corrono voci poco chiare, io dicevo «Battista forse ne sa più di noi, lui è fatto cittadino».

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BATTISTA Di che voci vuoi parlare? Io sono un cardatore e basta. MARCELLO Si sente ragionare di poderi e fattorie che vengono disfatte e cambiano padrone, di famiglie di coloni che devono lasciare il loco dove stavano da secoli. BATTISTA Marcello, sono fuori della vita vostra di campagna, ma ci penso sempre, m’è rimasta nel sangue. Sì, qualcosa ho sentito, ma da quell’altra parte: la grande basilica, la più grande della terra... tutte le arti, tutte, le maggiori e le minori si sono accordate per costruirla, questo l’ho sentito: e il Consiglio e il Vescovo anche loro ambiscono alla nuova cattedrale... SEVERINO Ma la gente, i popolani, che dicono? Come prendono la cosa? BATTISTA Anche io sono stato preso, come tutti dalla grandezza del proponimento, non ve lo nascondo. Ho pensato troppo poco a come sarà stravolta la campagna, i terreni, le case e i casolari lì dintorno. MARCELLO È questo allora: non erano fanfaluche. SEVERINO No, c’era del vero in quelle dicerie. 19


Ci sarà da stare all’erta in tutta la contrada, e speriamo che basti. Però, però vi devo dire che il disegno della magna basilica raccontato da Battista mi va a genio. Lo so che nuoce a troppi poveri uomini e forse anche a noi. Ma vedi, Marcello, come siamo fatti... noi siamo del contado e poco si ha a che fare con le grandezze cittadine. Eppure che Firenze si metta a costruire un monumento grande per la sua devozione e per la sua ricchezza mi inorgoglisce assai. BATTISTA Santa Reparata è cara ai vecchi fiorentini, ma oggi il gran nome di Firenze vuole più grandezza e più solennità. Firenze è la prima e ci tiene che si veda. MARCELLO Anche per la pietà speriamo: e la povera gente come me non sia sacrificata. BATTISTA È tutto da vedere, Marcello, non ti tormentare. È alla Madonna che si vuole dedicare. SEVERINO Via, anche per oggi la giomata è terminata. Vi saluto, e si riprenderà il discorso più in là, ci rivedremo. MARCELLO Felice notte, Severino. BATTISTA Buonanotte, buonanotte. 20


2 Nel grande spiazzo

CAPOGRUPPO La radunata è qui, siamo arrivati. In questo spiazzo. Vedete vengono da ogni parte, da dentro Firenze e anche dal contado. Sarà una bella giornata di amicizia tra tutta la gente del nostro vescovado e di tutti i dintorni. ALTRO DEL GRUPPO Fanno uscire le monache da tutti i monasteri, guardate quante sono che arrivano sul prato. ALTRO E quelle che sbucano da Santa Elisabetta non sono le arti dietro ai loro capitani? CAPOGRUPPO Non sono ancora tutte, ma verranno anche le altre... vedrete non ne mancherà nessuna. ALTRO Dalla parte di Badia e del Proconsolo entra molto popolo con i padri francescani. Sono di Santa Croce, sicuramente, e dei dintorni. CAPOGRUPPO Siamo in tanti già, via via si riempie la spianata, non suonano a vuoto le campane. 21


Sono tante processioni che si incontrano qui tra San Giovanni e Santa Reparata. ALTRO E quelle compagnie chi sono? Quelli della buona morte, non mancano gli spedalieri, ci sono anche loro. ALTRO DEL GRUPPO La parte nera? C’è tutta con i caporioni, però non hanno insegne, non alzano vessilli. Oggi si vuole riposare l’inimicizia, oggi tutto in pace. ALTRO Di fatti si vedono mescolati al popolino parecchi notabili della parte bianca. ALTRO Là c’è scompiglio e movimento... Succede, vediamo, succede che arrivano gli otto di Badia, loro si fanno largo. ALTRO E quella moltitudine che scende da fuori le mura di San Piero vengono magari da Compiobbi, chissà, dal Bagno o dalla Badia a Ripoli. ALTRO Siamo in tanti, è vero, c’è tutta Firenze o ci sarà tra poco, però lo spiazzo è immenso. ALTRO Sarà tutto riempito dalla nuova basilica a Santa Maria. ALTRO Come sarà? 22


CAPOGRUPPO Come sarà lo sanno gli architettori, lo sa Arnolfo. La gente che verrà... ALTRO Eccoli là, la squadra dei muratori e dei mananti, e i capi della corporazione. ALTRO Queste campane così tutte insieme non avevano mai suonato a festa. ALTRO Ma ecco, s’apre il portone di Santa Reparata. Viene fuori il capitolo, ci sarà in processione anche il nostro Vescovo.

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3 Rito di fondazione

1) Nello scampanio escono da Santa Reparata, a porte spalancate, i canonici del capitolo in processione. Escono i piccoli coristi. Escono adulti di un’altra corale. Esce sotto il baldacchino il Vescovo con pochi altri canonici, il legato pontificio ed altri vescovi. 2) Inno biblico: un salmo ‘a laetare’ cantato dai coristi dei due cori. 3) Canti encomiastici mariani, litanie. 4) Orazione episcopale.

VESCOVO Fratelli e figli miei carissimi, mi è dato dalla divina provvidenza assolvere questo gioioso incarico con voi, in mezzo a voi, così come con voi anche se in altra diocesi – ma unica è la famiglia nostra di fedeli – ho condiviso molte gravi pene nelle calamità, nelle sciagure che afflissero Firenze. In mezzo a voi, con voi anche ho vissuto la letizia della fede, il dono ricco, caldo di un calore incomparabile della cristiana comunanza. Ma oggi tocca a me un privilegio che non merito se non per elezione misteriosa del cielo e per l’amore vostro. Oggi noi antichi e maturati dai secoli di infamie e devozioni 25


ritorniamo giovani, agli albori, oggi si exulta, si danza dunque, si salta. Tocca a me ricevere quasi nella giumella delle mani, l’anima della città nostra e innalzarla come figurato calice in offerta a Nostro Signore. Tale infatti sarà questo edificio votato a Maria, Vergine Madre di Dio. Ecco, poniamo insieme la sua prima pietra. II legato pontificio, assistito dalla corporazione degli architetti e dei muratori, compie il gesto rituale della posa della prima pietra. La città festeggia, segni di esultazione.

Diamo inizio all’opera che altri compirà, quando non sappiamo. Questo non rileva, questo non ha importanza. Affidiamo al tempo ed al lavoro umano il desiderio di eterno che è nel nostro cuore. Questo importa, questo unicamente. In questo siamo uniti, tutti uomini e donne di Firenze. Fratelli, neppure le più solide e le più solenni costruzioni dell’uomo sono durevoli, questa nemmeno lo sarà, lo spirito però che oggi lievita dentro di noi, quello non perirà, quello sarà eterno. Crescerà certo in altezza questo tempio, sovrasterà le care antiche chiese della nostra cinta ma a farlo grande sarà la nostra fede e non la sua misura, la pietà tenace e forte della gente fiorentina, 26


lo eleverà al cielo, non già il pregio e le grandezze di famiglie e di consorterie che la mercatura ha reso grandi e talora insuperbite. Oh, questo pungolo si farà sentire, sarà certo benefico. Ma il meglio è l’arte ed essa ispirata dal cielo farà il più. Com’è bello edificare! Noi da oggi tutti quanti fabbrichiamo con le mani e con la preghiera una casa grande a Maria, in quella sarà il laboratorio delle anime nostre e l’opificio preparato per la prova delle generazioni nuove che dopo questa si succederanno. Allietiamoci, esultiamo. Seminare, edificare è la più grande offerta dell’uomo all’uomo, del tempo al suo domani e insieme la più umile testimonianza del divino che in lui uomo cova ed è. Edificare! Questo noi facciamo oggi nel nome di Maria. Invochiamo la sua benedizione su questa opera nascente che a Lei fervidamente dedica il popolo di Firenze, protegga nel lavoro maestri, artefici e operai vegli sopra di noi sempre, interceda per la nostra città presso l’Altissimo. Amen. Cantiamo il «Salve Regina». I due cori tntonano la preghiera. La moltitudine accompagna.

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4 In loco

Tra Santa Reparata e la basilica nascente. Vengono sul luogo gli allievi della scuola dei domenicani, vengono cittadini di Firenze a vedere, a curiosare. Si mescolano discorsi e considerazioni.

DONNA Volevo prendere messa qui nella mia chiesa non so se potrò farlo, è troppo difficile passare. FANTESCA Di qui infatti non si passa, le assi che hanno posto non stanno ferme, ballano. Madonna, c’è pericolo, torniamo indietro, proviamo dall’altra parte. ALTRA DONNA Non è meglio di là, badate. È tutto un cantiere... DONNA La mia povera Santa Reparata... ALTRA DONNA Sì, l’hanno messa in fasce... DONNA In fasce funerarie... Così dicono tante oneste genti. 29


ALTRA DONNA Che dite mai, madonna. Sarà più grande e molto più formosa. DONNA Sarà, ma vedo un gran cafarnao nel luogo delle mie preghiere e devozioni. ALTRA DONNA I nostri figli lo vedranno in ordine, ma intanto le preghiere arrivano al cielo tutte quante, lo credo fermamente. Cittadini, gruppetto a passeggio.

PRIMO Badate a queste travi sono appoggiate a caso qui sulla parete che hanno a demolire e sono in bilico. SECONDO Cominciano a vedersi tutte intorno le mura di Arnolfo, guardate che grandezza. TERZO È ampio il giro del disegno segnato sul terreno, si segue a malapena tra gli ammassi di terra e di pietrame ma si vede e si distingue. SECONDO Arnolfo ha già principiato, lo vedete, a innalzare la facciata.

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PRIMO A ridosso di Santa Reparata, non vi pare? Così sembra assai umiliata. Sopravviene un gruppetto di studenti con il loro maestro domenicano.

PRIMO STUDENTE Attenti, qui si scivola PADRE DOMENICANO Basta, fermiamoci qui, da questo punto è ottima l’osservazione. SECONDO STUDENTE Del già fatto o di quel che si ha in animo di fare? PADRE DOMENICANO Dell’uno e dell’altro, proprio cosi. Si para davanti ai nostri occhi il vecchio a paragone con il nuovo. È difficile farli stare assieme con equanime giudizio, l’affezione per le antiche care pietre della nostra cattedrale alle quali ci legano la vita e i ricordi della vita, la nostra e quella dei maggiori: e la nuova magnificenza che si annunzia e si profila dai chiari fondamenti. SECONDO STUDENTE Padre, erano poveri i nostri avi per sentirsi satisfatti da cotanta modestia?

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PADRE DOMENICANO Firenze non aveva il nome e la potenza che nel mondo oggi rifulgono. Ma la fede ha avuto lo stesso i suoi splendori tra quelle mura sobrie. ALTRO STUDENTE Credo sia mutata l’epoca e che siano cambiati i desideri i pensieri e le ambizioni della gente... PADRE DOMENICANO Bravo, la nuova architettura dà ardimento come vedi al grande ingegno di messer Arnolfo ma sono i fiorentini che lo aspettano da lui il loro magno tempio... e che eccella in ogni comparazione. PRIMO STUDENTE Padre, sarebbe ciò possibile senza una forte fede? PADRE DOMENICANO Siete eccellenti discepoli, sono fiero di stare qui con voi, tu mi hai tolto di bocca le parole. È la fede che muove questa impresa, non è la vanagloria, essa non basterebbe. Tutta la città vuole elevarsi al cielo. TERZO STUDENTE Padre, succedono però molto riprovevoli occorrenze, assassini e ruberie.

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PADRE DOMENICANO È vero quel che dici ma anche nel peccato si affida la città al suo credo ultraterreno... Sentono nel malfare bestemmiata la santità e ne soffrono i fiorentini magari con un ghigno. ALTRO STUDENTE È bello, padre, vedere da vicino il vecchio e il nuovo stile a paragone anche se c’è babilonia tutto intorno. PADRE DOMENICANO A voi che ve ne pare del modo della nuova muratura? ALTRO STUDENTE A me l’antica non dispiace, mi era famigliare, non potevo figurarmene una differente, ma questa robustezza dei pilastri per l’altezza delle volte già mi meraviglia. Arrivano altri.

PRIMO Eccola in erba la gran fabbrica come il Consiglio dei cento l’ha approvata. SECONDO La veggiamo tutta la cintura com’è lata.

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ALTRO L’insù ha da essere più maraviglioso, con tutte le sue cupole. ALTRO Chiesa mia, come sarai? Grande sì ma anche bella? ALTRO Ti vedranno i bisnipoti noi ti immaginiamo e basta. Intanto andiamo a messa e al vespro a Santa Reparata come sempre. ALTRO Santa Maria come sarai? Non ti so antivedere, ma anche così ti voglio bene. VOCI IN CORO Sì, ti vogliamo bene nostra chiesa nascitura, così ti consacriamo con la nostra sottomissione.

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PARTE SECONDA

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1 Parlata operaia

PRIMO OPERAIO L’Estate è piena, il meriggio leva di cervello. Non bastano neppure questi ponti e queste travature a rimuovere l’afa e l’oppressione. Sarà meglio dopo, quando la cupola sarà tutta voltata fino all’ovo e chiusa sopra di noi. Allora ci sarà anche fresco in ogni parte della basilica, si spera. Intanto di questa stagione siamo richiesti di accrescere il lavoro, di allungare la giornata. Quando gli altri per tutta Firenze sonnecchiano nella lunga siesta dei giorni di canicola, noi siamo più che mai all’opera. Le fiasche vanno e vengono tra le mani dei garzoni e dei maestri e presto sono asciutte. Le ore sono lunghe. Ser Filippo non conosce pausa, sparisce e ricompare di continuo. Gli frullano per il capo mille idee ma una, fissa, le sovrasta tutte: questa cupola. Se va avanti, se regge per geometria, se il calcolo era giusto. Sì, lui a suo dire n’è sempre stato certo, era spavaldo con gli altri uomini dell’arte; ma, guardalo, è tranquillo fino a un certo punto. Domanda i capimastri, i tagliapietre, i legnaioli, se stimano possibile per la loro parte dargli conferma che l’impresa è giusta e ragionevole. E, lo sai bene anche tu, chi è preso dalla sua mania e chi scuote la testa ma continua con parecchia incredulità il suo lavoro nel cantiere.

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SECONDO OPERAIO Tu con chi stai, io con chi mi metto? Non so proprio rispondere neppure per me stesso. PRIMO OPERAIO No, non è facile... però io sono parte di questa fabbrica che cresce; e questo mi basta. Non soltanto mi basta ma anche mi convince. La città edifica lei stessa la sua chiesa, si alza verso il cielo e usa la nostra fatica e la nostra arte per farlo. Mi ha preso e trascinato nel febbrile formicaio della sua officina. SECONDO OPERAIO Tu parli come uno che si sente al centro di un’impresa che rimarrà nei secoli. È bello ascoltare parole come queste. Forse un soldato di Cesare o Alessandro era ugualmente inorgoglito. No, che dico? qui c’è l’anima civica, la devozione comune di tutti i cittadini che pervade il tuo fervore di artefice e operaio... E io? Ci penso poco o nulla alla questione, mi faccio poche domande, la commessa di ogni giorno è la mia regola. Così tiriamo avanti noi artigiani nel nostro mestiere. Il disegno di Ser Filippo, a dirti il vero, mi pare alquanto cervellotico, che importa? Io devo solo fare onore alla perizia mia e della mia bottega. PRIMO OPERAIO Va’ là che anche tu lo senti questo raro privilegio di operare dentro un’opera che viene da lontano e va molto lontano, più grande di noi e della nostra generazione. SECONDO OPERAIO E ha necessità in ogni caso del nostro piccolo impegno quotidiano. Io guardo a quello, non dico mi soverchia ma mi occupa tutto quanto il giorno.

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PRIMO OPERAIO E anche ti soddisfa... SECONDO OPERAIO Sì e no. Come ciascuno, penso. Come te, son certo. PRIMO OPERAIO Ma forse la fierezza di un’opera in cui credi, a cui anche collabori e con allegria contribuisci, modifica le cose, fa apparire più lieve il tuo lavoro. Son convinto che anche tu sotto sotto condividi questo incantesimo di tutta una città che prodiga ricchezza e fede vera in questo monumento e mette a prova il talento dei suoi artisti... Brunelleschi è oggi il più discusso perché ardisce cose che mai furono tentate... SECONDO OPERAIO Sì, sì, ma intanto fa’ attenzione al verricello che ti solleva sulla testa l’asse appesa a quella fune. È abbastanza robusta quella corda? È un po’ logora, non mi rassicura. Ci pensano poco ai lavoranti e al loro benestare... Ser Filippo quando scende sulla terra è coscienzioso più dei suoi aiutanti – dobbiamo riconoscerlo... ma eccolo laggiù, è rientrato dalla porta laterale, ha con sé due forestieri che sembrano dell’arte... è già scomparso dietro la turata ai piedi del tamburo. Dorme poco Ser Filippo. Non lascia i suoi pensieri neppure sotto il solleone che stordisce... non so giudicare il suo progetto, se è un’idea nuova o una cantonata, ma lui mi piace, mi piace per davvero perché è come noi, studia e lavora in mezzo a noi. E certo suda come faccio io... Dov’è la nostra fiasca? Non è già sgocciolata, spero... PRIMO OPERAIO Ce n’è ancora di questo vinello, e c’è ancora la brocca con l’acqua del gran pozzo, vedi che abbondanza Gli porge il recipiente.

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SECONDO OPERAIO Per cui sono anche io del grande esercito insieme a Ser Filippo ed a voi tutti. Ci tiene uniti il gran daffare, l’onore dell’arte, il bisogno. PRIMO OPERAIO E nient’altro? SECONDO OPERAIO Non so dirtelo. Forse la Vergine sostiene il nostro sforzo, come dice la mia figliola monaca e lo pensa fra tanti altri pensieri assai profani tutta la città. PRIMO OPERAIO Bene, hai parlato saggio e giusto... passa anche a me la fiasca.

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2 Preludio battesimale

Come un prato di margherite vede San Giovanni intorno a sé San Zanobi, San Lorenzo, Santa Liberata successivamente fiorite, vede presso di sé sul prato, levarsi quella gran mole, vede il cantiere, le travi, i marmi. – Arnolfo, non elevare tanto in alto le tue navate, la fede sale al cielo, da sola, con le sue ali. – Sì, ma questa basilica ha uno slancio eccezionale, risponde al tuo valore. Sarà posto sulla sua fronte il fiore pontificale...

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3 Tra Santa Reparata e Santa Maria del Fiore

ANGELI CORISTI E SANTA REPARATA Ave nostra gloriosa cattedrale. Hai il nome di Maria, Salve Regina madre di misericordia... SANTA REPARATA sola ...e per me anche figlia. Il tuo primo vagito era ancora la mia antica squilla si levava dalle mura del mio recinto, povero però ricco e copioso di vita e di pietà cristiana. Come posso entrare io nella festa che si prepara? ANGELI CORISTI Tu sei Santa Reparata, la tua voce non ci è ignota ha una risonanza strana, arriva a noi fioca e remota, è vero, ma è un dono questo tuo risveglio alla presenza nostrana. SANTA REPARATA Ebbi anche io la mia voce non si è spenta del tutto soverchiata dalla tua 43


più giovane e potente. Risuona sulla tua la mia, si espande in lei fiduciosamente, appena rimane come un filamento mio nella tua vocalità materna, o figlia, e forse tu la riconosci e ne sei lieta. ANGELI CORISTI Sì, una traccia, un segno minimo di dialetto nell’unisono cristiano che si leva di qui alla gloria di Maria – e noi l’amiamo. SANTA REPARATA Oh non lo rivendico, sappiate semplicemente mi allieta avertelo lasciato. Del resto oltre la voce mi fu chiesta la vita per una vita maggiore e io la diedi con gioia perché fosse più prossima e crescesse poi in vigore la città ultraterrena. ANGELI CORISTI Conosciamo, ma poco, quella storia ormai lontana. Ci commuove ascoltarla ma poi tutto si unifica e si appiana nell’ultratempo cristiano.

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SANTA REPARATA Lì, ho versato la mia nella storia comune della pietà cittadina. Ero piccola, ma piena del calore e della fede che la gente vi portava ininterrottamente. Ero grande, avevo la misura delle piccola città, la occupavo, quella misura, tutta, spiritualmente. ANGELI CORISTI Spesso ci tramandano i fasti gli annali della chiesa e noi ne gioiamo ma sorvolano sulle ombre. SANTA REPARATA Ora ti sono figlia io tua prima genitrice, ti venero affettuosamente nel nome sovrano che ci unifica tutti nella carne e nelle anime, nel succedersi lento delle epoche, così solo c’è dato di vivere l’eternità. ANGELI CORISTI Sì, Santa Reparata, tu sei stata, e ora sei in noi non puoi essere cancellata. SANTA REPARATA Un campo ha le sue stagioni e matura le sue messi. Così noi umili chiese abbiamo fatto questo 45


con le generazioni degli uomini sacrileghi o pietosi perdendo, non lo nego, molta parte del raccolto, mandando a male molte sementi. ANGELI CORISTI Lo sappiamo, dovremmo saperlo meglio, per dove è passato il Verbo per arrivare a noi. Tu sei uno di quei luoghi e stanze di quei santi passaggi. SANTA REPARATA Noi tutte in tutti i tempi e luoghi abbiamo mangiato e dato da mangiare cristianesimo prodigando il suo frumento – lo sanno i santi titolari che ne furono testimoni e martiri, lo sanno i vivi ed i defunti – che qui ebbero ed hanno pane e lievito. Io Santa Reparata a te Madre di Grazia ho portato questo obolo te l’ho rimesso per tempo prima dovessi scendere nelle profondità del tuo fondamento e desidero tu lo glorifichi insieme a tutti i doni e pegni delle nostre consorelle. ANGELI CORISTI Il legato, il pegno di santità e devozione che le rechi dalla piccola città di un tempo è grande, e noi ne siamo consci 46


sì e no, dovremmo certo, metterlo a miglior frutto. SANTA REPARATA Rappresenta un lungo tempo di pace e turbamento di penuria e d’agio... ANGELI CORISTI Oh sì, un poco lo sappiamo. Troppo poco. Non siamo fatti per ricordare noi ministri di Maria. Maria ti ascolta nella sua grande basilica. SANTA REPARATA È bello rivangare il tempo per noi chiese che tempo non abbiamo – e a Firenze è più sapido e più forte, così mi è caro a ricordarlo nella sua faticosa parsimonia, talora nei suoi stenti, il popolo che fu mio crescendo. ANGELI CORISTI Oh quel popolo siamo noi, la memoria non ti seduca, è giusta ma non ti inganni. SANTA REPARATA Era ricca – e talvolta parve esigua – la messe nei nostri piccoli granai. Il passaggio terreno delle anime era segnato nelle lapidi da nomi che nessuno più oggi nomina e altri erano appena detti e scomparivano 47


nell’oblio. Ma tutti attestano attestano la continuità del mondo creato, che duri e che sia fatta la volontà del suo Creatore. ANGELI CORISTI In noi è difettiva la memoria, su lei vince l’attesa e il desiderio eppure ci commuove il tuo tesoro che ora apri a noi tutti. SANTA REPARATA Quanta morte in quelle arche! ma quanto sovente quelle arche si mutano in madie e cassapanche dove lievita il pane cristiano, pane angelico e pane di penitenza. ANGELI CORISTI Non si interrompa la tua opera, la tua opera vogliamo ferva dentro la nostra. SANTA REPARATA È il frutto che ricevesti, tu figlia-madre nella tua grande barchessa, non deposito in custodia per i secoli dei secoli ma sostanza e fuoco per la forgia dove cuoce la presenza dello spirito. Lo Spirito Santo spira su di noi oltre le nostre deficienze, di quando in quando. ANGELI CORISTI Sono giunte a noi le cadute e i trionfi però la memoria non li registra. 48


SANTA REPARATA Quando prese la gente a ritenere anguste le mie mura, fui avvilita e triste però fiera che volesse la città tanto da sé a onore e gloria del cielo e di se stessa. ANGELI CORISTI E SANTA REPARATA Passano e si trasformano le cose del mondo. SANTA REPARATA Le epoche, madre, sono molte ma uno è il tempo e quasi privo di temporalità, affine all’eterno che si dice sia il suo contrario, lo si dice stoltamente. Viviamo, noi cristiani, tra le branche di questa tenaglia, come tutti i nostri simili se non che con più tremore. ANGELI CORISTI Siamo nella continuità dell’uomo. Cristo l’ha suscitata dalla sua antica inerzia, l’ha segnata con il rosso del suo sangue. Tuttavia non l’ha interrotta, l’ha affidata a ciascuno di noi e a tutto il corpo mistico e carnale della sua universa chiesa. SANTA REPARATA Ero stata sufficiente a custodirla nell’umile apogeo di quella romita epoca. 49


Poi Firenze rivestì la fede con la sua potenza. ANGELI CORISTI Fu splendido connubio propiziato dall’anima comune e da molti grandi ingegni. SANTA REPARATA Finché ho rimesso a te che intanto mi crescevi al fianco questa testimonianza. E ora conviviamo siamo una sola vita al servizio della vita nell’unità di Colui che l’ha redenta, soffriamo in te onte e profanazioni, esultiamo in te a ogni spirituale festa. ANGELI CORISTI Oh sì, e noi ci confortiamo nella universale compresenza.

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4 Nel silenzio dei canonici

La città che le gira tutta intorno, i suoi traffici, i suoi affari, le sue cupidigie e tentazioni di potenza e di godurie, i suoi opifici, i suoi mestieri – ho paura che la città terrena soverchi l’altra nella nostra mente, la offuschi, la cancelli dalla cima dei nostri poveri pensieri – così meditano talora i canonici su se medesimi specchiandosi nei loro simili durante le pause silenziose del solenne capitolo. Ma «uomini di poca fede» qualcuno di loro li riscuote da quell’avvilimento. Risale su dal fondo di carità – e non poco li rimorde – la suscitazione insonne del Cristo, e allora si ravvedono e riprendono in opere o preghiere quel tempo di smarrimento. «No, la città non è blasfema, 51


le sue operazioni di vita e di prosperità non sono empie. L’empietà è perfidia d’intenti. Essa non manca, è vero, ma non è la regola». ANGELI CORISTI Vi ascoltiamo, padri, vi ascoltiamo tutti quanti nelle vostre obiurgazioni, suppliche, penitenze. Più rara la gratitudine. CANONICO C’è nella nostra liturgia il canto luminoso, il giubilo ‘a laetare’ ma non è intonato spesso, raramente a pieno cuore. ANGELI CORISTI Vi ascoltiamo tra la folla e nell’ora solitaria dell’esame, vi ascoltiamo in voi, vi ascoltiamo dall’alto, vi ascoltiamo sempre. Quelle speranze e invocazioni d’aiuto, quelle desistenze della fede, quelle dubitazioni lo sappiamo, tessono la tela della vita e le ragioni della comunità fraterna che sempre si rinnova.

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CANONICO Comunità, sì questa è la sostanza umana della chiesa che noi siamo e formiamo. Tuttavia non sarebbe niente lo sappiamo tutti quanti se il filo nutritivo del sangue di Cristo si spezzasse. ANGELI CORISTI Questo accade innumerevoli volte e innumerevoli volte si smentisce lungo le epoche e dentro le anime dei singoli. Di questo sono fatte la fede e l’obbedienza, di questo vive la fedeltà e voi tutti lo mostrate. CANONICO Lo sappiamo sì e no come ogni altra cosa umana. Ma la vostra attenzione è piena d’indulgenza e questo ci conforta, o messaggeri di Maria. ANGELI CORISTI Intanto la fabbrica va avanti e cresce la santità dei santi nella sventura dei tempi che funestano la città.

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Comprende Maria ed intercede. Oh Firenze la sua alta protezione risponda alla tua ascesi e alla sua attiva dedizione.

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5 Tra due monache

SUOR GIOVANNA Tu, suor Elisabetta non puoi ricordare. Erano andati tutti via, in quei giorni. Santa Maria del Fiore era deserta. Migrati in gran numero a San Marco i suoi fedeli, e gli altri più pavidi e insicuri chiusi in casa. Il Priore di San Marco Fra Girolamo là pronunziava le sue prediche, era San Marco la cattedra della nostra cristianità ed era ardente, e anche l’uditorio era infuocato. SUOR ELISABETTA Suor Giovanna, tu conosci la mia storia. A quei tempi ero novizia, tuttavia giungevano fin dentro il monastero i turbamenti della città divisa e noi li avvertivamo. Avevo cercato la pace e la preghiera e intorno a noi ce n’era dell’una e dell’altra molto poca e molto dura e tesa.

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SUOR GIOVANNA Io ero tra le sorelle anziane, cercavamo di proteggervi, voi giovani e perfino giovinette, si teneva a custodirvi nella vostra tranquillità. Così voleva la madre superiora, specialmente Suor Caterina, così volevamo tutte quante. SUOR ELISABETTA Tuttavia tra noi, anche se inesperte del mondo e preservate, correva una inquietudine passavano segnali di gravi agitazioni, venivano dall’oscurità dell’anima, venivano dalla città. Suor Caterina medesima tradiva la sua passione. SUOR GIOVANNA Sì, Caterina sopportava male il Breve, i divieti della Curia a Fra Girolamo e la sua santa obbedienza le era causa di dolore. La privazione delle prediche e degli insegnamenti morali e dottrinali del gran padre la soffriva come iniquità. E questo contro ogni sua voglia traspariva nel suo fare e nel suo dire di quei giorni. SUOR ELISABETTA E poi doveva la madre badessa anche ricevere con garbo i propositi faziosi dei nostri familiari. E lei sapeva farlo.

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SUOR GIOVANNA In Santa Maria del Fiore tornò tuttavia Girolamo a predicare da quel pulpito a tutta la città che di nuovo la gremiva. Sfidò la Curia, il Breve, la scomunica. SUOR ELISABETTA Non ne sapevamo niente noi novizie nel nostro isolamento. Eppure, Suor Giovanna, come ricordo quei giorni! come ricordo le paure incomprensibili delle consorelle. Il mondo subdolamente entrava dentro il luogo della nostra pacifica elezione. SUOR GIOVANNA Non bastavano le nostre premure a preservarvi, è vero, e anche noi eravamo scosse nell’intimo del cuore dai contrasti tra l’obbedienza e l’ispirazione. Travagliarono anche il nostro ordine quei segreti dibattimenti. Fu terribile quel tempo, e non voglio rievocarlo. SUOR ELISABETTA Grava troppo su di te la tragedia dell’epilogo. Tu lo vedesti da vicino il procedere di quella processione – ce l’hai raccontato molte volte – e incontrasti per un attimo gli occhi di Fra Girolamo. Ci penso spesso a quel tuo racconto. Deve essere stato splendido e tremendo, tenebroso e luminoso 57


quel culmine del dramma. Vedo quei padri ritti sopra la ringhiera del palazzo e il popolo in attesa... SUOR GIOVANNA Sorella, non vorrei sentire da te queste parole. Per me fu solo angoscia indicibile – e questo è rimasto. SUOR ELISABETTA Sono stata imprudente, perdonami. C’è su questo tra noi un apparente disaccordo. SUOR GIOVANNA Forse solo apparente, come dici, ma non oso ritornarvi. Ecco siamo qui nel grande abbraccio della nostra madre chiesa, unica e universale. Tutti i nostri dissidi e le nostre differenze si cancellano qui, si dissolvono i dubbi e le incertezze della nostra solitudine. SUOR ELISABETTA Oh sì, sorella, qui si intende davvero che cosa significa il corpo mistico della chiesa di Gesù Cristo. SUOR GIOVANNA Ecco suona la campanella del Vespero. Si avviano.

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6 Parlata di mercanti

ANGELO CORISTA Oggi è la devozione speciale dei mercanti. Si radunano in buon numero nel migliore abbigliamento, si orientano a fatica spaesati nello spazio ancora ingombro di macchine, di arnesi, di strumenti, convengono verso l’abside ed il coro che per loro sono pronti. Saluti reciproci, rumorosi convenevoli. Ecco, Ser Geri Bonaccorti subito prende la parola in attesa della messa. BONACCORTI C’è qui, tengo a presentarvelo, un riverito ospite venuto da Nimega, cioè dalle Fiandre. È un ben conosciuto maestro di ceramica, alla testa di quell’arte, venuto tra noi per i suoi traffici. Ma non gli dispiace visitarci. Vogliamo fargli festa e onore mentre osserva le parti e il tutto della nostra cattedrale. Il nome suo è Federico Meyer. VOCI Benvenuto Mastro Meyer. Benvenuto tra noi. Benarrivato in Firenze, tra le nostre vecchie mura. 59


MEYER Vi ringrazio, miei confratelli, di questa bella accoglienza, ci tenevo a questo incontro con voi della città. Lettere ed accomandite tra noi non ne mancavano già prima, ma volevo vederla questa città famosa, e ora sono qui, proprio nel suo cuore. RISTORI Ebbene, Messer Federigo, che vi pare? Zitti, taccia questo brusio. MEYER Mi prendete, amici, per la gola. Siamo qui in questo incomparabile edificio, tra queste alte ed armoniose volte. Non credo d’aver visto il simile in alcuna altra parte. E siamo ancora lontani dal compimento. RISALITI Malauguratamente è come dite voi. L’opera è grande e di gran pregio, non lo nego, però è dawero un lavoro interminabile. E noi continuiamo a provvedere con le nostre borse... BONACCORTI Eh via, Ser Risaliti, non vorrete dar prova d’avarizia a un forestiero che viene qui a lodare il miracolo... RISALITI Sì, Bonaccorti caro, miracolo incompiuto però. E le nostre offerte corrono ugualmente. Intanto i maestri e i ministri della fabbrica mi pare si gingillino... 60


RISTORI Non siate così duro nel giudizio, Risaliti, non vi fa onore star sempre lì a tastare il vostro borsello. RISALITI Con tutta la sua ammirazione io credo che Ser Federigo mi capisca... BONACCORTI Eh, capirvi non è difficile. Ma voi di che vi lamentate? La città è cresciuta, la casa del Signore si è inalzata, sono cresciuti anche i vostri affari. Allora, Risaliti, che cosa non vi va? RISALITI Come al solito voi, Bonaccorti, vi prendete gioco di me, ma tanti altri uomini dabbene, lo sapete, la pensano come la penso io. BONACCORTI Sì, ma poi siamo felici tutti quanti che l’opera continui anche con i suoi troppo lunghi indugi e siamo orgogliosi che si inalzi più di ogni altra al mondo. RISTORI Non è solo questione di fiorini, c’è anche altro, c’è vera pietà e devozione...

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RISALITI Ser Jacopo, non sono un satanasso, lo sapete, però sono un mercante, i conti li vorrei sempre in regola. BONACCORTI Risaliti, voi sapete farli i conti e tutti vi rispettano per questo, però un po’ di scialo dovreste anche concederlo a voi e a tutti i vostri consortiti. RISALITI E dài, volete proprio coglionarmi, voi. RISTORI Non badate, ser Federico, a questi lazzi che ci scambiamo tra di noi. In verità siamo contenti che Firenze accresca sempre più i suoi ornamenti e lo faccia per i nostri meriti e per altri. Questa fabbrica ci piace, checché dica il Risaliti, che duri, anzi vorremmo fosse eterna. RISALITI Lasciamoci succhiare tutto il sangue, allora la vedremo con gli occhi dell’eternità. BONACCORTI Bravo il Risaliti! Ha di riserva anche il fine motto. MEYER Signori fiorentini, è stato piacevole l’incontro con voi, schietto, senza cerimonie. Di questo vi ringrazio. Entra la Messa.

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7 Fiore della fede

È la mia voce ora che ascoltate, sono Santa Maria del Fiore. Mi volle la città fervente alta sopra di sé, sopra qualsiasi altra delle sue grandi basiliche e le sue umili parrocchie e Santa Reparata che custodisco in me. Grande mi concepirono i mercanti e il popolo minuto. Ebbero di me una visione grande Arnolfo, Giotto, Ser Filippo, assistettero alla mia nascita, essi, propiziarono la mia crescita, un popolo di artefici si adoperò per me nei secoli, l’Opificio è ancora aperto; non sarò mai compiuta. Si tenevano fra le mie mura nascenti i dialoghi che avete ora ascoltato, non erano neanch’essi profani, crescevo su me medesima, mi alzavo sopra la città per opera della pietà comune e di spicciola pazienza. Chi sono gli operai, gli artefici e gli artisti che mi hanno messa al mondo ed al suo onore? Ne avete uditi alcuni, altri innumerevoli hanno parlato e taciuto, un popolo mi ha spinto 63


con la sua fatica e la sua fede talora anche blasfema così in alto. Ma non voglio tacere l’abbandono nel quale fui spesso lasciata in talune delle mie lunghe epoche. Ricordo anche lo spregio in cui mi hanno tenuto mischiandomi a profani avvenimenti, talora criminali e anche l’insulto del rispetto esteriore delle parate. O mia città che ho sollevato al cielo e talora m’ha invece trascinato in basso! Uomini, persone: generazioni ne ho vedute molte succedersi o variare da quelle originarie e via via dalle seguenti. Nondimeno l’anima di Firenze si risveglia e si riconosce in me, riprende fierezza dalla mia presenza. Sono quelli i momenti più profondi. Eccomi, rimbombo del mio silenzio, tumultuano in esso le voci e le parole che vi furono levate, si affacciano, convengono qui i santi che hanno abitato queste mura o pregato a questi altari, e coloro che li hanno eretti o dedicati. Da qui ha inizio ancora una volta nei secoli l’anno giubilare. Si presenta il millennio alle mie porte a prendere sostanza di futuro e ad apportarne alla nostra incertezza e indecisione. Io chiesa madre di tutte le altre li guardo entrare e uscire dalle mie porte i figli dei figli di coloro che mi fecero visite e preghiere, padri di altri che saranno nei secoli, lo spero, i miei fedeli: vorrei che gli ultimi fossero dell’anima i più esperti, 64


i più degni del cielo. O che officina è questa delle anime. Lo fu per molti secoli. Che resti aperta e operosa per i prossimi. Chi si introduce nel mio ventre esce lavorato dal sapere cristiano e dalla preghiera di molte, e molte generazioni: si ricoverano qui gli sperduti, si ritemprano in questa penombra. Ma anche si raccolgono i relitti, si raggiustano i rottami, si fabbricano ali per il volo in questa officina. Hanno qui trovato asilo e lavorato la parola che oggi vi offro i santi di Firenze. Ma quanto è necessario che sia sempre infuocato questo laboratorio della anime e io giustificata dalla mia attiva opera! Vorrei, figli miei presenti nella città e nel tempo e voi figli defunti nelle epoche recenti e in quelle più remote formassimo tutti insieme un corpo unico che si offra all’avvenire il quale si approssima sotto specie misteriosa di millennio e già sta per entrarmi dalla porta. Viene con volto imperscrutabile ad avere il mio battesimo e insieme il mio forte viatico per il suo dubbio cammino. Viene anche a portare nuove angosce ed ansie, nuova preghiera, nuove beatitudini al mio antico magistero. E forse ne rinnova in me la ragione prima e l’anima. Vorrei essere pronta con la vostra forza, figli di oggi e di ogni epoca, 65


figli miei di sempre, a questo umile ed astrale appuntamento. Vorrei essere forte di tutti i miei slanci e di tutti i miei peccati di tutte le mie miserevoli omissioni e delle mie tribolate penitenze per accogliere con fede e con speranza questo advena, questo sopravvenuto tempo. Viene forse duro ed impietoso a chiedere ragione del grande patrimonio che abbiamo dissipato, viene forse smarrito a mendicare un po’ di quella povera sostanza. Vorrei fossimo uniti tutti insieme, figli miei, per essere una roccia su cui possa posare il piede chi arriva e prendere slancio per il volo. Perché questo ci è chiesto, figli miei, di crescere nel tempo: questo ci giustifica. Abbiamo noi, chiesa cristiana, nei secoli, negli sconvolgimenti custodito il Verbo, trasmesso integro il Vangelo, ma non siamo qui soltanto per commemorare bensì per attuare. Attuare sempre più preziosamente il Verbo. Esso è fin dal principio ma nella storia e nella mente umana durante intere epoche si eclissa, si illumina in altre, di se stesso rifulge per una luce che ancora non conoscevamo. Sia il millennio un allarme temporale all’intemporalità che noi viviamo da poveri, umilmente, giorno per giorno, sia esso un incremento 66


senza fine del Verbo e del suo senso. Figli miei, voglio essere il luogo per la crescita degli uomini, tutti, di ogni provenienza e origine. Ci sono tuttavia molti pericoli ed insidie disseminate da inintelligenza e da ottusa incomprensione. Voglio dal fondo della mia sapienza avvertire i nuovi figli: se ne guardino non interrompano il cammino che è nostro da secoli. Sono qui nel nome di Maria, fiore delle chiese di Firenze ferma nella sua storia e nel suo amore che anche il disamore non disdice. Mi scopro talune volte nuda e deserta in mezzo alla città. Su me sono la luna o il sole: tutto l’altro del mondo non si vede, ma è in me, in me vive, in me cuoce. Ho rischiarato i tempi umani e le passioni loro. Oggi dalla loro oscurità vogliono gli uomini dirmi grazie, ed ecco mi incendiano con i loro fari. Così apparirò dunque più visibile ai sopraggiunti, più vista: sarò cercata, sarò protesa all’accoglienza io stessa, accogliente come devo. O vieni tempo, alcuni ti temono, non io perché di rischi e di pericoli è intessuta la mia vicenda temporale 67


nell’eternità di Dio. Non è proprio dell’uomo vivere in unità l’eterno; e neppure della chiesa, se non forse in taluni dei suoi asceti. Leggere e ahimè vivere i tempi, non misconoscerli o negarli è ancora parte del ministero mio sopra la terra. Che questo sia fatto degnamente in reciproca profferta di magistero e perenne apprendistato. Vengano a me per imparare gli uomini, vengano per insegnare e accrescere la dottrina mia, vengano, venite. Per questo spalanchiamo la porta che fu sempre aperta. O secolo che vieni sii un secolo nostro nell’ordine della cristiana previsione di fede e di certezza. Per tutti i secoli dei secoli per omnia saecula saeculorum: ma siilo veramente, siilo frescamente con ogni umiltà di desiderio, di pena, di grazia e di speranza; e, prego, non crederti definitivo; l’omega sconosciuto e certo splenda nel suo mistero sopra di noi come sempre. O veni saeculum, veni millennium, jubila. Noi ti apriamo i cuori, ti apriamo le porte, veni. Quella che si dispone al rito festoso del ricominciamento, figli, è una chiesa penitenziale. Molti hanno operato in me e in nome mio, non onesta ma anzi perfida e maliziosa gente. In molti hanno abusato del mio limpido sigillo, e io chiesa materna mi affliggo di tutte le magagne. Perdono, chiediamo a mani giunte. 68


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NOTIZIA STORICA

Santa Maria del Fiore, il duomo di Firenze, sorse su un’antica chiesa dedicata a santa Reparata, risalente al IV secolo e demolita nel 1296 per far posto al nuovo edificio. Architetto fu Arnolfo di Cambio (nato a Colle Val d’Elsa intorno al 1240), e i lavori per la sua costruzione, in forme gotiche, si protrassero fin verso il 1310, anno della sua morte, per poi proseguire in più ampie dimensioni dal 1357 sotto la direzione di Francesco Talenti. Nel 1420 fu ultimata nelle navate e nelle volte, sino alle tribune dell’ottagono terminale. Sulle quali Filippo Brunelleschi (fiorentino, nato nel 1377) eresse a partire dal 1421, lavorando anch’egli da operaio fra gli operai, la gigantesca cupola, senza usare le tradizionali armature in legno, ma con due sezioni parallele, interna ed esterna. Il lavoro ardito e strabiliante terminò nel 1436. NOTIZIA SULL’AUTORE

Mario Luzi, nato a Firenze nel 1914, ha svolto l’insegnamento di Letteratura francese nell’Università fiorentina e di Letterature comparate all’Università di Urbino. Fu tra gli animatori di riviste storiche fra le due guerre, quali «Frontespizio», «Letteratura» e «Campo di Marte». Partecipò all’ermetismo con le raccolte poetiche La barca (1935) e Avvento notturno (1940), e ricchissima fu la sua produzione poetica e saggistica in cui sono forte l’ispirazione cristiana sostenuta dalla grande tradizione francese, e le problematiche esistenziali e storiche. Al centro di questa stagione creativa si pongono le tre raccolte Primizie del deserto (1952), Onore del vero (1957) e Dal fondo delle campagne (1965); mentre la solitudine, il disorientamento, la debolezza dell’uomo nella realtà sempre più tragica e difficile ispirano in séguito, da Nel magma (1964) e Su fondamenti invisibili (1971), e fino ai Frammenti del ’90 e al Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini (1994) una poesia più scarna, con frequente uso del dialogo e ricorso a forme drammatiche. Queste si ritrovano in scritti per il teatro quali Ipazia (1972) e Rosales (1984), mentre ancora per il teatro Luzi ha tradotto Shakespeare e Racine. Per grandi quadri procede infine la lauda drammatica La Passione. Via Crucis al Colosseo (edizione Tallone, Alpignano 1999). L’intera sua Opera poetica è stata pubblicata nei Meridiani Mondadori (1998).

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Indice

Introduzione di Mario Luzi

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PARTE PRIMA Camminata verso casa Nel grande spiazzo Rito di fondazione In loco

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PARTE SECONDA Parlata operaia Preludio battesimale Tra Santa Reparata e Santa Maria del Fiore Nel silenzio dei canonici Tra due monache Parlata di mercanti Fiore della fede

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Finito di stampare presso la Tipografia Offset Stazione SA Locarno il 16 marzo 2002 giorno di S. Eriberto

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Collana «I CLASSICI»

1.

LUCIO ANNEO SENECA Dialoghi morali Prefazione di Alberto Grilli Traduzione di Gavino Manca

2.

VOLTAIRE Trattato sulla tolleranza Introduzione di Biancamaria Fontana Traduzione di Annapaola Mettel

3.

ERASMO DA ROTTERDAM Lamento della pace Prefazione e traduzione di Carlo Carena col testo latino

4.

IL LIBRO DI GIOBBE Prefazione di Mario Luzi Traduzione e postfazione di Gianfranco Ravasi

5.

GAIO VALERIO CATULLO Carmi Introduzione di Giorgio Orelli Traduzione e postfazione di Carlo Saggio

6.

AMBROGIO Inni, con la Vita di Ambrogio di Paolino da Milano Premessa del cardinale Carlo Maria Martini Traduzione di Luca Canali e una nota di Luciano Migliavacca col testo latino

7.

MARCO TULLIO CICERONE Per un poeta. L’orazione pro Archia Introduzione e traduzione di Gavino Manca col testo latino

8.

IOSIA SIMLER Commentario delle Alpi A cura di Carlo Carena Introduzione di Marica Milanesi

9.

I latini per i moderni Un’antologia di Luca Canali con la collaborazione di Maria Pellegrini

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10. ALESSANDRO MANZONI Storia della Colonna Infame Prefazione di Giancarlo Vigorelli con un saggio di Salvatore Veca 11. PUBLIO PAPINIO STAZIO Selve A cura di Luca Canali Collaborazione e note di Maria Pellegrini col testo latino 12. GABRIEL BONNOT DE MABLY Dialoghi di Focione A cura di Gavino Manca Prefazione di Salvatore Veca Traduzione di Aldo Maffey 13. I Vangeli Introduzioni di Giovanni Giudici, Sergio Givone, Giuseppe Pontiggia, Mario Luzi Traduzioni dal greco di Dario Del Corno, Maurizio Bettini, Fernando Bandini, Carlo Carena 14. CARDINALE MAZZARINO Breviario dei politici Prefazione di Sergio Romano Traduzione di Annapaola Mettel 15. MARIO LUZI Opus Florentinum Azione drammatica in due parti 16. IPPOCRATE Aforismi - Il giuramento Traduzione e saggi di Alberto Angeli e Carlo Carena (in preparazione) 17. MARCO TULLIO CICERONE L’amicizia Introduzione e traduzione di Carlo Saggio (in preparazione)

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