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Vittime di guerra/2 Enzo Nucci

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Vittime della guerra/2

Enzo Nucci

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I Frame di questo articolo sono tratti dal reportage “Uomini che odiano le donne” andato in onda nel Tg3 del 23 agosto 2010.

Uomini che odiano le donne La pace viene dalla disobbedienza

Rebecca Lolosoli è una sorridente signora di 48 anni. Ovunque vada (dal Palazzo di Vetro dell’Onu di New York per una conferenza, alle manifestazioni di protesta nelle strade del Kenya dove è nata, o nel quartiere napoletano ad alto tasso camorristico di Scampia per un incontro con gli abitanti) non rinuncia ad indossare abiti coloratissimi e bigiotteria fabbricati dalle donne della comunità da lei fondata. La sua è una storia straordinaria, dai molti primati. Quella di una donna che ha sfidato (e vinto) le ancestrali leggi di un Paese che nei fatti ancora riconosce agli uomini il diritto assoluto di vita e di morte sulle proprie mogli. Rebecca appartiene all’etnia samburu, un gruppo di origine nilotica che abita il Kenya centrosettentrionale, proprio in una delle aree più frequentate dai turisti per indimenticabili safari con elefanti, leoni, giraffe. Come tutte le altre ragazze del suo popolo, a 11 anni subì l’infibulazione, un devastante rituale che si tramanda di madre in figlia per la “salvaguardia del buon nome di famiglia perché una donna non deve provare piacere con il proprio uomo”. A 18 anni fu comprata dal futuro marito per 18 mucche. “Noi siamo un valore per le nostre famiglie perché facciamo dote” spiega Rebecca che però all’epoca si riteneva fortunata per avere incontrato l’uomo che amava. L’illusione durò poco. ”Per i maschi samburu una donna va picchiata anche se non ha colpe perché è utile per la sua buona educazione matrimoniale. Se un marito evita il ricorso alla violenza, saranno amici e parenti ad offrirsi per compiere la scellerata missione ed è quello che accadde. Fui ricoverata in ospedale per le percosse. Io credevo che mio marito mi avrebbe difesa ed invece... Così mi ribellai”. Rebecca chiese il divorzio al consiglio degli anziani del villaggio che lo negò. Lo avrebbe ottenuto solo nel 2010 dallo Stato, prima donna kenyana a vedersi riconosciuto questo beneficio. La tradizione samburu sancisce infatti il diritto di proprietà dei mariti su mogli e figli. Insomma solo l’uomo (a cui è concessa la poligamia) può ripudiare la consorte che non sarà neanche riammessa nella famiglia di origine a meno che non venga restituita la dote, evento molto raro. “Qui c’è più rispetto per gli animali della savana che per gli esseri umani, un rispetto dettato non dall’attenzione per la natura ma dal turismo che alimenta un sistema economico dal quale tutti aspirano a trarre benefici” aggiunge la colorata signora. Proprio sotto gli ignari occhi dei turisti si consuma dunque una tragedia che travolge i soggetti più deboli, ovvero donne e bambini. Così nel 1990 Rebecca Lolosoli fondò la comunità femminile di Umoja che in lingua swahili significa “unità”. Da allora ospita donne che hanno subito abusi, in fuga da matrimoni forzati, vedove ed i loro figli. La Regione Samburu (400 chilometri a Nord di Nairobi) ospita una guarnigione di cinquemila soldati britannici (secondo accordi tra i due Paesi risalenti

alla proclamazione dell’indipendenza) con il compito ufficiale di addestrare le truppe del Kenya. Appartengono in gran parte alla Brigata dei Gurkha nepalesi, famosi per essere spietati combattenti. Nella zona le violenze sessuali sono purtroppo all’ordine del giorno. Tra il 1970 ed il 2003 sono stati 1.600 i casi accertati di stupro ma la maggioranza delle vittime ha preferito non denunciare: infatti per i mariti e la comunità è un disonore da cancellare soltanto con l’allontanamento delle sventurate e dei loro figli. Anche perché partorire un bambino di sangue misto è considerata una maledizione per la famiglia. Inutili le tante manifestazioni di protesta così come le azioni legali promosse contro i militari inglesi che non hanno mai avuto seguito nei tribunali del Kenya. Queste donne trovano asilo soltanto nella comunità di Umoja. “Una donna sola diventa una preda: nessuno ti rispetta o ti aiuta. Noi donne samburu non godiamo di nessun diritto. Addirittura non possiamo nemmeno mangiare prima che l’uomo abbia finito. Sono le donne a svegliarsi alle 3 del mattino per badare al gregge, a tagliare la legna nei boschi per cucinare. Gli uomini, essendo poligami, passano da una famiglia all’altra e non portano neanche da mangiare. Le famiglie costringono le ragazzine a matrimoni impossibili con uomini anziani. Se una sposa-bambina si rifiuta di avere rapporti con il marito, questi la trascina con la forza nel centro del villaggio, la spoglia davanti a tutti e la violenta sotto gli occhi dei familiari per dimostrare che il matrimonio è stato consumato” spiega con amarezza Rebecca. “Prima di Umoja, alle donne cacciate dai villaggi non restava che prostituirsi o distillare e vendere clandestinamente alcol, finendo continuamente in prigione e subendo gli abusi della polizia. Anche badare ai figli era impossibile. In questa zona circolano animali feroci e molti bambini sono stati mangiati vivi dalle iene mentre dormivano a terra, fuori dalle capanne per combattere il caldo”. Rebecca rievoca l’inizio di questa avventura. “Umoja l’abbiamo fondata in 15, oggi ci sono 60 analoghe comunità sparse sul territorio. Abbiamo dovuto vincere innanzitutto la resistenza delle altre donne che vedevano la vita collettiva come un cattivo esempio per la moralità. Per sostenerci all’inizio avviammo un piccolo commercio di produzione e vendita ai turisti di bracciali, collane e orecchini di perline. Ognuna di noi si tassò per l’equivalente di 3 euro, poi andavamo in giro in cerca di clienti ma gli uomini ci picchiavano e distruggevano i nostri manufatti. Inutile rivolgersi alla polizia che chiedeva soldi per proteggerci. Così capimmo che era necessario restare unite e decidemmo di vivere tutte insieme costruendo il nostro villaggio. I turisti incuriositi cominciarono a visitare le nostre capanne, le vendite aumentarono e la prima comunità arrivò ad ospitare 48 donne. Gli uomini minacciavano di ucciderci e rivendicavano la terra su cui era sorto il villaggio. Noi rispondemmo: ammazzateci pure così il massacro entrerà nella storia. Decidemmo di comprare la terra che allora costava l’equivalente di 2mila euro. Ci riuscimmo grazie alla comprensione di un funzionario pubblico che ci consentì di pagare poco per volta”. Queste donne hanno uno spiccato senso per gli affari. La loro bigiotteria dal 2009 fa parte della collezione di moda della stilista Diane Von Furstenberg ma il successo non le distoglie dal radicamento commerciale sul territorio con la vendita di scope di saggina e pelli di capra nei mercati e la gestione di piccole rivendite di farina, latte e generi di prima necessità. Sono donne maltrattate dalla vita. Nessuna ha potuto liberamente scegliere l’uomo da amare ed anche oggi che ne avrebbero la possibilità preferiscono evitarlo. Troppo dolore e troppe credenze da cancellare. Una ospite di Umoja racconta della sua fuga nella savana con le gemelline appena partorite perché nella cultura samburu avere come primogenite due bambine è considerata una maledizione che porterà il padre alla morte. L’unica soluzione è dunque uccidere le neonate. Queste donne coraggiose si sono prese la loro rivincita assumendo 4 uomini per lavori tradizionalmente femminili. Tutti i bambini vanno a scuola “perché l’educazione è alla base dei buoni comportamenti” spiega un’altra ospite, costretta a fuggire con i suoi 3 piccoli dopo la morte del consorte per la rapacità dei parenti che le rubarono il gregge lasciandola sul lastrico. Oggi Rebecca Lolosoli (che vive in semi clandestinità per le minacce di morte del marito) sogna il grande salto: presentarsi alle elezioni locali del 2012. Anche in questo caso sarebbe la prima candidata donna. Ed allora viva Rebecca for President!

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