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Sud Sudan
Situazione attuale e ultimi sviluppi
Sanità, i dati peggiori al mondo
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Sette persone su 10 in Sud Sudan sono analfabete. È uno dei dati emblematici del Paese: decenni di schiavizzazione e una guerra ventennale hanno mantenuto la sua popolazione in una condizione di estrema povertà e ignoranza con cui ora il Governo dovrà fare i conti. Prima ancora delle strutture, si dovrà formare la classe docente, insufficiente per numero e per preparazione. Ma è sul versante medico-sanitario che il Sud Sudan ha gli indicatori peggiori. La percentuale di mortalità materna, ad esempio, è la più alta al mondo: secondo i dati Onu, una donna su sette rischia di morire a causa del parto o per complicazioni legate alla gravidanza. Quasi la metà dei bambini sotto i 5 anni (il 48%) è malnutrito. Solo uno su quattro è vaccinato contro il morbillo, e appena il 5% dei parti è seguito da staff sanitari specialistici. Al momento dell’indipendenza, il sistema sanitario sudsudanese poteva contare su 39 medici locali. Ospedali e centri di salute, per ora, si reggono su Ong e agenzie internazionali. Molte sono le questioni aperte col Governo di Khartoum, per il neonato Governo sudsudanese. Ad esempio, la definizione delle frontiere della regione dell’Abyei, che fa da cuscinetto fra i due Paesi, una fra le più ricche di petrolio e dunque contesa tra il Nord e il Sud. Il suo status amministrativo doveva essere determinato attraverso un referendum previsto lo scorso gennaio, contestualmente a quello sull’autodeterminazione del Sud, ma è stato rinviato per il disaccordo emerso in seno alla Commissione elettorale su chi avesse diritto di voto. Nel maggio 2011, poi, Abyei è stato teatro di duri scontri fra i due eserciti e il “cessate il fuoco” è stato stabilito il 21 giugno 2011, insieme a un accordo che prevede la sostituzione del Commissario della sua amministrazione municipale. Il nuovo amministratore dovrà essere scelto dall’Splm, ma con l’approvazione del National congress party del Presidente sudanese El Bashir. Resta molto delicata la questione delle risorse petrolifere. Con 500mila barili estratti ogni giorno, il Sudan è il terzo maggiore produttore di petrolio del continente dopo Nigeria e Angola. Circa l’85% delle riserve di greggio si trovano nel sottosuolo del Sud, ma l’oleodotto e le raffinerie sono gestiti dal Nord, che ha anche lo sbocco al mare (il Sud ha avviato un progetto per la realizzazione di un proprio oleodotto che dovrebbe arrivare all’oceano Indiano attraversando il Kenya). Tra le tante urgenze con cui nasce il Sud Sudan, quella sanitaria resta la primo posto: il Paese ha bisogno di 1.066 assistenti medici, e può contare oggi soltanto su 39 medici locali in tutto il Paese, dei quali 20 lavorano in cliniche private. La Comunità Internazionale ha riconosciuto l’urgenza di dedicare maggiori risorse al settore medico-sanitario poiché rappresenta un fattore fondamentale per la crescita economica e sociale del Paese. Ma non c’è solo questo, naturalmente. È quanto mai urgente per il Paese dotarsi di un piano di sviluppo, realizzare una serie di infrastrutture essenziali per far crescere la produzione e i commerci, riavviare l’intero sistema scolastico azzerato dal ventennio di guerra. E poi smilitarizzare il Paese (tutti
Generalità
Nome completo: Repubblica del Sudan del Sud Bandiera
Lingue principali:
Capitale: Popolazione: Area: Religioni: Moneta: Principali esportazioni: PIL pro capite: Inglese, arabo e lingue nilo-sahariane Giuba 8.260.490 619.745 Kmq Animista, cristiana Sterlina sud-sudanese n.d
n.d.
sono armati dai tempi del conflitto), creare una vera classe politica e dirigenziale che vada a sostituire gradualmente quella attuale, formata fondamentalmente dalla gerarchia militare dell’Splm. E, ancora, cominciare a tessere relazioni con i vicini africani, ma anche con i Paesi industrializzati (finora sono stati soprattutto gli statunitensi a sostenere la nascita del nuovo Stato, anche con forti iniezioni di finanziamenti, oltre che di protezione politica). Insomma, al di là del grande entusiasmo per l’ottenuta indipendenza, ora i leader sudsudanesi hanno l’immane compito di costruire un intero Paese.
Finora, la coesione fra le diverse etnie del Sud è stata mantenuta dal nemico esterno: gli “arabi del Nord”, il “regime schiavista di Khartoum”, i “musulmani che vogliono imporre la loro religione e la loro legge”. Il cemento sociale e politico per decenni è stato l’anelito alla liberazione e al raggiungimento di uno Stato indipendente. Adesso, però, i nodi vengono al pettine. Il Paese è abitato da diverse etnie, ma quelle maggioritarie, i dinka seguiti dai nuer, hanno fino ad ora monopolizzato la leadership, ritenendosi l’anima storica dei movimenti di ribellione nonché artefici del percorso verso l’indipendenza. Gli altri gruppi etnici, tuttavia, cominciano a rivendicare la propria fetta di potere, in politica come pure nelle amministrazioni e nella gestio«Abbiamo lottato e creduto e oggi il nostro sogno di una patria libera diventa realtà». Ovunque, nella capitale Juba, in quella mattina tanto attesa campeggiava la scritta su enormi manifesti. Con la città addobbata a festa, piena di bandiere, striscioni, foto del Presidente Salva Kiir Mayardit e del padre della patria John Garang (morto in un incidente aereo nel 2005, poco dopo gli accordi di pace), il 9 luglio 2011 è stata proclamata la nascita della Repubblica del Sud Sudan, 54° Stato dell’Africa e 193° Paese membro delle Nazioni Unite. Intorno a mezzogiorno, alla presenza del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon e delle delegazioni estere, il Presidente del Parlamento James Wanni Igga ha dato voce alla proclamazione ufficiale: «Noi, rappresentanti democraticamente eletti, sulla base della volontà del popolo del Sud Sudan e del referendum sull’autodeterminazione, proclamiamo il Sud Sudan una nazione indipendente e sovrana». Un boato di applausi seguiti da danze e cori, urla e canti hanno risposto alle parole di Igga. Subito dopo la bandiera del nuovo Stato è stane dello Stato. Una fetta che la leadership attuale non sembra disposta a concedere. Già nei cinque anni intercorsi fra gli accordi di pace (2005) e la secessione, in molte aree del Sud Sudan ci sono stati scontri, aggressioni, vere e proprie battaglie di carattere etnico, talora con esiti drammatici in termini di vittime e di sfollati. L’ultimo sanguinoso episodio risale all’agosto 2011, ad indipendenza già proclamata, quando una serie di violenti combattimenti fra l’etnia Murle e l’etnia dei Lou Nuer ha provocato 600 vittime e un migliaio di feriti. Secondo gli osservatori è questa la prima vera sfida che il Sud Sudan deve vincere: trasformare un territorio in una nazione della quale tutti i
gruppi tribali si sentano parte. ta issata sul pennone montato al centro della spianata dedicata a John Garang. Infine, ha prestato giuramento come primo Presidente della nuova nazione Salva Kiir, e, come suo primo atto ufficiale, ha firmato la Costituzione transitoria sulla quale si reggerà il Paese per i prossimi quattro anni. «Finalmente liberi», era la frase che si sentiva di più. Ed era anche il titolo a piena pagina del “Southern Eye”, quotidiano di Juba. Formalmente, il 9 luglio 2011, il nuovo Stato ha visto la luce. Per la seconda volta, dopo l’Eritrea, attraverso un analogo percorso con il referendum per l’autodeterminazione col quale si staccò dall’Etiopia nel 1993, sono stati mutati gli inviolabili confini post-coloniali stabiliti in Africa. Una nuova nazione fortemente desiderata, ma tutta da costruire. La Repubblica del Sud Sudan – questo il nome scelto per il Paese – nasce “nudo”: poverissimo, indigente, senza strutture governative e amministrative, senza infrastrutture (in tutto il territorio ci sono sì e no 50 chilometri di strade asfaltate), senza medici e
Monsignor Cesare Mazzolari, una vita per il Sud Sudan
Missionario comboniano e poi vescovo della diocesi di Rumbek, monsignor Cesare Mazzolari era arrivato nel Sudan meridionale nel 1981. Non ha più lasciato il Paese. Per 30 anni ha condiviso con i sudsudanesi le conseguenze della guerra (compreso un breve sequestro di persona, subito nel 1994), diventando per tutti, cattolici e non, un punto di riferimento costante. Nella sua azione ha privilegiato i più poveri, offrendo aiuti, piani di sviluppo, assistenza sanitaria. E istruzione di base: convinto assertore dell’importanza della formazione, oggi le scuole della sua diocesi istruiscono 50mila giovani. Il 9 luglio 2011, dopo le feste per l’indipendenza, nella sede dei comboniani di Juba, aveva detto: «È un sogno che si avvera. Siamo agli inizi di una nuova storia. Ora il mondo intero dovrà impegnarsi a far sì che il domani di questa nuova nazione sia migliore del suo martoriato passato». Non ha fatto in tempo a vedere la realizzazione di quel sogno. È morto per un infarto il 16 luglio successivo.
Quadro generale
John Garang (Bor, 23 giugno 1945 – New Site, 30 luglio 2005)
Nella capitale, Juba, gli è stato dedicato un mausoleo, all’interno del quale è stato sepolto. Oggi è considerato da tutti, in Sud Sudan, il padre della patria. John Garang è stato la guida indiscussa dell’Splm, l’Esercito di Liberazione Popolare del Sud Sudan, in tutto il periodo della guerra, dal 1983 al 2005. Di etnia dinka, nato in una famiglia povera nei pressi di Bor (regione dell’Alto Nilo, oggi Stato di Jonglei), aveva studiato Economia ed Economia agricola dell’Africa orientale. Entrato poi nell’esercito sudanese, nel 1983 era stato mandato a sedare una rivolta proprio nella sua Regione d’origine. Anziché attaccare i ribelli si unì a loro e in breve tempo divenne il capo carismatico della ribellione contro Khartoum. Garang tuttavia non era mai stato un assertore della secessione, ma il suo progetto politico era quello di arrivare a un Sudan federale nel quale il Sud avesse una forte autonomia. Fu lui a gestire la lunga trattativa che portò agli Accordi del 2005. Firmò la pace, ma non ne vide i frutti: il 30 luglio 2005 l’elicottero su cui viaggiava precipitò.
Land grabbing alla sudanese Tra il 2007 e il 2010, in Sud Sudan, 2,6 milioni di ettari di terreni sono stati affittati da società e Governi stranieri o da singoli uomini d’affari. È uno dei Paesi dove il cosiddetto fenomeno del “land grabbing” (traducibile come “accaparramento della terra”) è negli ultimi anni più vistoso. Si tratta del 9% delle terre coltivabili del Sud Sudan (mentre le terre ad uso agricolo della popolazione locale non supera l’1%). È una porzione di territorio che equivale all’intero Rwanda.
personale sanitario. Senza una vera classe politica e dirigente. Sul neonato Sud Sudan pesano ancora le ferite profonde inferte da decenni di guerra civile. Quella più lunga e sanguinosa, scoppiata nel 1983, ha causato la morte di circa due milioni di persone, quattro milioni di sfollati, la distruzione quasi totale di scuole, strade, ponti, ospedali, e l’esodo all’estero della maggior parte della classe intellettuale. Le conseguenze del conflitto continuano a riflettersi negli indicatori della salute, tra i peggiori del pianeta: ad esempio, la percentuale di mortalità materna è la più alta al mondo. La più che ventennale guerra civile che ha portato poi agli accordi di pace del 2005 e all’indipendenza è stata solo l’ultimo dei conflitti che hanno coinvolto i sudsudanesi: in realtà si può parlare di quasi mezzo secolo di guerre, inframmezzate da brevi periodi di pace, spesso risultato di colpi di Stato e dittature militari. L’ultimo conflitto si è originato dalla ribellione del Sud (cristiano-animista e abitato da etnie africane) all’imposizione della sharia da parte del Nord arabo e islamico. Il Sud ha rifiutato la politica dei partiti islamisti del Nord e le sue imposizioni. Ma quella ribellione affondava le radici in un più antico desiderio di libertà e di emancipazione dalla condizione di schiavizzazione che il Nord aveva imposto fin dall’indipendenza del Paese, e anche prima, sotto il dominio britannico. Non solo. All’origine della nascita dei movimenti armati di liberazione c’era anche il problema della distribuzione iniqua delle ricchezze nazionali. Nel gennaio 2005 la guerra civile si è conclusa con la firma dell’accordo di pace (denominato Cpa, Comprehensive Peace Agreement) che ha incorporato i combattenti dell’Spla (Esercito di Liberazione del Popolo Sudanese) e il suo braccio politico, l’Splm, all’interno di un governo di unità nazionale. Sulla base dell’accordo è stato programmato il referendum per l’autodeterminazione del Sud Sudan, che si è tenuto dal 9 al 15 gennaio 2011. I risultati ufficiali hanno confermato che il 98,83% dei circa quattro milioni di votanti al referendum si è espresso a favore dell’indipendenza dal Nord. Lo stesso giorno, nel corso di una cerimonia ufficiale insieme a Salva Kiir, Presidente dell’allora Regione semiautonoma del Sud Sudan, il Presidente sudanese Omar Hassan El Bashir, accettando pubblicamente il risultato del voto, aveva dato formalmente il via libera alla formazione del nuovo Stato, nato poi il 9 luglio.