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Giovani e social media. Il futuro della pace è qui Paolo Affatato

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UNHCR/M.Maguire

Paolo Affatato Giovani e social media Il futuro della pace è qui

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È il continente dei giovani, pronti a diventare protagonisti assoluti dello sviluppo, dell’economia e della cultura; pronti a cambiare i regimi, a rivendicare diritti e libertà, a lanciare la sfida delle nuove tecnologie per conquistarsi spazi di futuro: l’Asia è il continente dell’oggi ma anche, tanto più, del domani. L’oggi si chiama Cina e India, colossi demografici, politici ed economici, potenze sempre più forti sulla scena internazionale. Il domani è assicurato dalla popolazione di adolescenti e di giovani più estesa al mondo: oltre 940milioni fra i 10 e i 24 anni (fonte: Banca Mondiale 2007). Una “legione” che, nell’ultimo quinquennio, ha mostrato vitalità e forza di mobilitazione non comuni, capaci di incidere a fondo nelle società. Una premessa: l’Asia non è solo il continente più vasto, con il 60% della popolazione mondiale (oltre 4miliardi di persone), ma è anche la macroarea con le più evidenti disparità, segnata da un pluralismo che investe ogni livello, da quello geografico a quello economico. Si va da “mini-nazioni” di circa 300mila abitanti (come Brunei e Maldive) fino a colossi che superano il miliardo di persone (Cina e India). Vi si trovano alcune fra le nazioni più povere del mondo (Nepal, Bangladesh, Birmania, Corea del Nord) accanto a Paesi ricchi ed evoluti. Ma su un aspetto, quello demografico, i trend sembrano concordare, nel segnare un’inarrestabile crescita che ha toccato, in special modo, la popolazione adolescenziale e giovanile, compresa nella fascia fra i 10 e i 24 anni. Va detto che l’Asia ha vissuto, negli ultimi trent’anni, radicali trasformazioni sociali, economiche, demografiche e culturali che hanno avuto un’influenza decisiva sulle nuove generazioni, cresciute in un’epoca-post coloniale e immerse, fin dal primo istante di vita, nell’era della globalizzazione. Che siano in Paesi in via di sviluppo, come Vietnam o Timor Est, dove la popolazione giovanile tocca il 60% del totale; in Paesi avanzati come Giappone e Corea del Sud; in Paesi islamici come Pakistan e Indonesia o in nazioni dalle grandi disuguaglianze, come Cina e India: sta di fatto che i giovani asiatici intendono mordere il futuro e determinarlo a prescindere dalla volontà dei loro governanti, appartenenti, in larga maggioranza dei casi, alle vecchie generazioni. I mezzi per aggredire il domani sono, fondamentalmente, l’istruzione e le nuove tecnologie. E se l’accesso all’istruzione – pur sancito come diritto in larga parte delle nazioni asiatiche – resta ancora un miraggio, mutilato dai pesanti condizionamenti imposti dalla povertà, i “social media” hanno invece mostrato straordinaria efficacia come strumenti per condizionare la vita politica, economica, culturale di un Paese. Sono, cioè, i mezzi con cui i giovani tornano a essere “significativi”, riescono ad influire sulle élites dominanti, trovano finalmente spazi per esprimere idee e rivendicare valori come legalità e trasparenza. Per determinare, dunque, gli orientamenti e le sorti delle rispettive nazioni. I movimenti giovanili in Asia hanno avuto uno sviluppo sorprendente e, negli ultimi anni, hanno mostrato un fermento che ha dato risultati impensabili, anche in stati con regimi repressivi e brutali. In Asia meridionale la popolazione giovanile ha avuto il potere di “cambiare l’agenda di governo”: in Pakistan riportando a galla l’urgenza della legalità e dei diritti umani, per contrastare i movimenti islamici estremisti; in India segnalando la grande battaglia contro la corruzione, che ha trovato un leader carismatico nell’ultrasettantenne Anna Hazare, ma che ha fatto breccia soprattutto fra gli under 25. Poco più a Nord, nel piccolo Nepal, i giovani hanno accelerato la svolta democratica che ha segnato la fine del regno induista e la nascita

della democrazia sulle vette dell’Himalaya. Spostandosi nel Sudest, in Birmania – dove la giunta militare non esita a usare il pugno di ferro – studenti e giovani hanno animato il coraggioso movimento della società civile che, a settembre 2011, ha indotto il Governo a fermare i lavori della diga di Myitsone, mega-progetto sul fiume Irrawaddy che aveva fomentato la nuova guerra contro le minoranze etniche kachin. Al di là del confine, in Thailandia, la colorata stagione di protesta – fra “giubbe rosse” e “camicie gialle” – che ha caratterizzato la scena politica negli ultimi anni è una stagione dai tratti e dai leader essenzialmente giovanili. Nella piccola Cambogia, il tam tam dei “social media” sta radunando le forze sane del Paese per opporsi al progetto di una legge draconiana che vuole penalizzare associazioni e Ong, voci libere e indipendenti. In Malaysia, stato improntato a una legislazione islamica piuttosto rigorosa, è nato dalle menti di giovani avvocati, poco più che ventenni, il movimento “Bersih 2.0” (che significa “pulizia”), vero, nuovo elemento, fautore della trasparenza, destinato a scompaginare i rigidi schemi della politica nazionale. Così come la piccola Singapore – ancora governata in modo autoritario – nelle ultime elezioni presidenziali ha scoperto che i giovani, tramite i social network, possono e vogliono partecipare sempre più alla vita politica. Indonesia e Filippine non sono da meno: nello stato islamico più popoloso al mondo l’Associazione degli Studenti Musulmani ha imboccato con decisione la strada del dialogo e della convivenza con le componenti non islamiche della società: una scelta di peso che garantisce il futuro del pluralismo. E nelle cattolicissime Filippine – dove già la seconda “rivoluzione non violenta” del 2001 correva tramite gli Sms – i social media sono ormai un elemento tipico del tessuto connettivo della società. Nel quadrante dell’Asia orientale la situazione non cambia. Nel 2010 il Governo cinese ha oscurato oltre 1,3milioni di siti web, aperti da giovani desiderosi di libertà e allergici alla censura; ma ogni giorno ne nascono di nuovi,

mentre i leader dei movimenti giovanili sono i più temuti da Pechino. In Paesi come Corea del Sud e Giappone, dove la tecnologia informa la vita individuale e collettiva, il binomio “giovani e social media” è un fattore che incide profondamente sul costume, sulla società, sulla cultura e gli attori politici ne hanno preso atto ormai da un pezzo. Forti nel numero, aperti nelle idee, pieni di entusiasmo e di speranze, nonché di una sana “voglia di protagonismo”: sono loro, i giovani asiatici, gli autentici agenti di cambiamento che si affacciano sulla scena mondiale e non intendono tornare nell’ombra. Sono loro, dunque, che nei prossimi decenni, potranno avere voce in capitolo e dire una parola – nel 99% dei casi una parola di pace – sui piccoli e grandi conflitti che ancora percorrono in lungo e in largo il continente asiatico.

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