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Thailandia

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Fonti

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Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati United Nations High Commissioner for Refugees

I dati contenuti nella tabella a fianco sono forniti dall’Alto Commissariato per i Rifugiati UNHCR. Sono dati ufficiali tratti dal rapporto Global Trends 2010 uscito nel giugno 2011 dai quali è possibile vedere i flussi dei rifugiati in entrata ed in uscita da ogni singolo paese. Per un approfondimento rimandiamo alla consultazione del rapporto stesso.

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RIFUGIATI ORIGINATI DALLA THAILANDIA

RIFUGIATI 356

RIFUGIATI ACCOLTI NELLA THAILANDIA

RIFUGIATI 96.675

PRINCIPALI PAESI DA CUI ARRIVANO QUESTI RIFUGIATI

MYANMAR 95.718

Situazione attuale e ultimi sviluppi

Care case

A dispetto della crisi internazionale, il mercato immobiliare in Thailandia sta conoscendo un vero e proprio boom. Ad acquistare sono soprattutto gli stranieri – quindi, quasi sempre, seconde case – specialmente nelle zone più turistiche, come l’ isola di Phuket, con le zone di Patong Beach, Kamala, Karon, Kata, Il numero complessivo delle abitazioni in tutto il Paese è triplicato in meno di vent’anni. La crescita del valore degli immobili, in termini di aumento di prezzi di acquisto, è del 25% – 30% annuo. Tutto questo nonostante la legge sia abbastanza restrittiva, ad esempio, nell’acquisto dei terreni, che devono essere comunque per il 51% in mano a thailandesi. Resta comunque, quella immobiliare, una corsa davvero folle, alimentata soprattutto da russi, europei, australiani e indiani.

UNHCR/J. Redfern Non conosce pace la Thailandia, sotto la superficie serena del paradiso turistico. Il dato più importante dell’anno è comunque politico, con la nomina – in agosto – della prima donna a primo Ministro. Yingluck Shinawatra diventa capo dell’esecutivo grazie alla vittoria elettorale del Puea Thai, il partito che lei stessa guida. Un accordo con quattro altri partiti le consente di raggiungere la maggioranza di 299 seggi parlamentari su 500. A sorpresa, nella lista dei ministri non ci sono appartenenti alle Camicie Rosse, il movimento che per anni ha sostenuto anche con proteste in piazza il fratello di Yingluck, Thaksin Shinawatra, ex capo del Governo, deposto dai militari con un golpe nel 2006. Una scelta, questa, dettata dalla voglia di mediare con esercito e monarchia e ritrovare un equilibrio politico in Thailandia. Equilibrio reso necessario dagli eventi, anche militari, che hanno portato alle elezioni di luglio 2011 e a questa nomina. Nel febbraio 2011, infatti, è per breve tempo ripreso lo scontro militare con la Cambogia per il controllo delle rovine dell’antico tempio khmer di Preah Vihear, assegnate nel 1962 alla Cambogia dalla Corte Internazionale di Giustizia, ma da sempre rivendicate dalla Thailandia. Cinque i morti, con decine di feriti e 15mila sfollati dopo giorni di cannoneggiamenti e mitragliamenti. La partita si è chiusa con la richiesta della Corte Internazionale di ritirare le truppe e tornare alla normalità, ma in Thailandia l’azione è stata la scusa per far dimettere il giovane premier Abhisit Vejjajiva, che aveva perduto ormai l’appoggio dei “Gialli” – gli aristocratici che si contrap-

Generalità

Nome completo: Regno di Thailandia Bandiera

Lingue principali: Capitale:

Popolazione: Area: Religioni:

Moneta: Principali esportazioni: PIL pro capite: Thai Bangkok o Krung Thep in thai 64.200.000 514.000 Kmq Buddista (95%), musulmana (4.6%), cattolica (0.75%) Baht Thailandese Tapioca, riso, caucciù, ananas, stagno Us 8.368

pongono alle Camicie Rosse – e dell’Esercito. Voci ben informate sostengono che lo scontro con la Cambogia sia stato creato ad arte per indebolire Vejjajiva e costringerlo alle dimissioni, come è avvenuto. Nel frattempo, proseguono gli scontri con gli indipendentisti musulmani nelle province del Sud: Yala, Narathiwat e Pattani. Tra gennaio e febbraio una serie di attacchi dei separatisti ha provocato almeno una decina di morti fra militari e civili. Si aggiungono ai circa 4.400 morti causati dal conflitto a partire dal 2004.

La guerra interna alla Thailandia nasce dalle differenze e nella voglia di autonomia di una delle parti. I musulmani sono una minoranza relativamente piccola nel Paese, solo il 4,6% della popolazione, ma sono concentrati tutti nella stessa area e, soprattutto, hanno avuto una lunga storia di indipendenza dalla Thailandia. La situazione internazionale, con lo sconBilancio sempre pesante, in termini di vite umane, quello dello scontro in atto in Thailandia. Se da un lato sembra terminato il conflitto politico che contrapponeva i popolari delle Camicie Rosse agli aristocratici delle Camicie Gialle, contrapposizione che ha causato centinaia di morti solo nell’aprile – maggio del 2010, alte rimangono la tensione e il livello di scontro con i separatisti delle tre province meridionali a maggioranza musulmana: Yala, Narathiwat e Pattani, a poche centinaia di chilometri dalle più famose spiagge thailandesi, ai confini con la Malaysia. I morti, in ormai sette anni di conflitto, sono fra i 4.400 e i 4.600. L’apparato militare thailandese è sottoposto ad uno sforzo continuo, con costi spaventosi. Nel 2009 il generale a riposo Ekkachai Srivilas, direttore dell’Ufficio per la Pace e la Governance dell’Istituto Re Prajadhipok, aveva proposto un approccio diverso alla crisi, proprio per evitare le spese e gli sforzi che si pagano per dispiegare 60mila soldati nel Sud. Il Governo aveva respinto l’idea, e l’estate del 2009 era stata una continua offensiva per rastrellare tutti i villaggi della regione per fare terra bruciata intorno ai pejuang, i miliziani del Fronte Rivoluzionario Nazionale (Brn). Una scelta coerente con la decisione di attaccare i ribelli per distruggerli, senza cercare mediazioni. Quindi si combatte. Il picco dello scontro è stato nel 2007, ma non è mai cessato. Narathiwat, Yala e Pattani sono province abitate in magtro in atto fra mondo cosiddetto occidentale e terrorismo islamico, ha riacceso le speranze di indipendenza dei musulmani, portandole sotto la bandiera pan-islamica. Lo scontro politico interno, poi, ha reso più debole il Governo centrale e alimentato tensioni sociali, soprattutto

nella capitale. gioranza da musulmani di lingua malese. Corrispondono al territorio di un sultanato annesso all’inizio del secolo scorso all’allora regno del Siam, dopo un accordo con gli inglesi, veri padroni dell’area in quegli anni. C’è una storia differente, quindi, a giustificare le richieste di indipendenza. Le realtà, però, è che anche per gli osservatori stranieri si tratta di una guerriglia poco conosciuta. Il movimento ribelle si chiama “Combattenti per la liberazione di Pattani”, ma non ha né un simbolo né un leader riconosciuto. Totalmente ignoto anche l’obiettivo reale della guerra scatenata nel 2004: non è chiaro se vogliano solo una maggiore autonomia, l’indipendenza o una unione con la Malaysia. Resta il fatto che nella regione la stragrande maggioranza degli abitanti sono musulmani, di etnia e lingua malay. Da sempre i thailandesi li vivono come un pericolo. I pochi buddhisti della zona tendono a lavorare per conto del Governo e dal 2004 sono un facile obiettivo dei ribelli, che da sempre colpiscono soprattutto gli insegnanti, i “volti” del Governo di Bangkok, che rappresentano da soli l’11 percento delle vittime. Vanno a lavorare scortati dall’esercito e nemmeno questo ferma le imboscate. Una situazione che sembra diventata ingovernabile. L’esercito, protetto dallo stato di emergenza dichiarato nel 2005 dal Governo, ha scontri sporadici con i ribelli, ma tiene sotto pressione la popolazione della regione, che reagisce radicalizzando lo scontro, appoggiando

UNHCR/R. Arnold

Quadro generale

Neonati in vendita

Brutta storia davvero quella scoperta nella primavera del 2011 dalla polizia thailandese: una organizzazione criminale gestita da cinesi di Taiwan e birmani costringeva le immigrate vietnamite in Thailandia a partorire figli che, poi, venivano venduti. L’organizzazione lavorava via internet, ricevendo ordini per e-mail. L’operazione per smantellarla è scattata dopo la denuncia di alcune donne, che hanno scritto all’ambasciata vietnamita di Bangkok. Tredici le “mamme” messe al sicuro, in case protette o in ospedale. Il responsabile dell’inchiesta, il General Maggiore Manu Mekmok, ha spiegato come funzionava la struttura: “Nove di queste donne – ha spiegato – hanno ammesso di avere accettato volontariamente questo lavoro, perchè gli erano stati promessi 5mila dollari per ogni neonato. Quattro hanno affermato di essere state ingannate e violentate”.

Yingluck Shinawatra (San Kamphaeng, 21 giugno 1967)

Laureata in scienze politiche, donna d’affari, Yingluck Shinawatra è la prima donna in Thailandia ad assumere la carica di primo Ministro. È per altro sorella di Thaksin, il primo Ministro in esilio volontario a Dubai, dopo il colpo di stato che lo ha destituito nel 2006 ed è erede di una famiglia di grandi tradizioni politiche. Lei, alla carica di primo Ministro è arrivata vincendo le elezioni del luglio 2011, alla testa del partito Pheu Thai, che ha conquistato 265 dei 500 seggi parlamentari. Una vittoria forse inattesa, per una donna che non si era mai dedicata alla politica fino alla campagna elettorale del 2011. Amministratore Delegato di Advanced Info Service (Ais), il più grande operatore di telefonia mobile del Paese, è anche AD della società SC Asset Company, l’azienda immobiliare di famiglia. In molti dietro la vittoria di Yingluck intravedono l’ombra del fratello Thaksin. Lei ammette di avere imparato tanto da lui, ma pare intenzionata a lavorare autonomamente per ridare tranquillità al Paese dopo anni di tensione, trovando un equilibrio nel rapporto con la Monarchia e con l’esercito: la scelta di non nominare fra i suoi ministri membri delle Camicie Rosse che l’hanno sostenuta in piazza pare un segnale chiaro in questa direzione.

UNHCR/K. McKinsey

Gli elefanti per aiutare i disabili È un esperimento, ma pare funzioni. In Thailandia si tenta una terapia per chi soffre di autismo con gli elefanti. Cosa non nuova, questa dell’uso degli animali, ma mai si era tentato con mammiferi così grandi. Nua Un e Prathida sono due femmine d’elefante che da qualche tempo stanno aiutando alcuni bambini autistici nella provincia del Lampang, nel Nord del Paese asiatico. A suggerire l’utilizzo degli elefanti è stato Nuntanee Satiansukpong, capo del dipartimento di terapia occupazionale presso la Chaing Mai University. Per Nuntanee, l’elefante è in grado di coinvolgere maggiormente tutti i sensi, sia per le caratteristiche stesse dell’animale, sia per la sua capacità di interazione con gli uomini. Soddisfatto il responsabile del progetto, Wittaya Khem-nguad, che sostiene sia possibile vedere miglioramenti già dopo poche settimane di terapia. Prudente la valutazione di Rebecca Johnson, direttrice del Centro di Ricerca per l’Interazione tra Uomo e Animale presso l’Università del Missouri: servono maggiori studi, dice.

apertamente la ribellione e condividendo il risentimento verso Bangkok. Ad alimentare questo sentimento sono le ingiustizie create dallo stato di emergenza. In caso di violenza, esercito e autorità statali vengono assolte, non è mai chiaro chi sia il responsabile. Anche le organizzazioni internazionali hanno denunciato le violenze, i soprusi. Un rapporto di Human Rights Watch ha spiegato come per effetto delle leggi speciali thailandesi, che prevedono la carcerazione preventiva senza mandato per 37 giorni, e di un regolamento del generale Viroj - comandante dell’area - che vieta visite dei familiari per i primi tre giorni di detenzione, migliaia di musulmani, maschi, di tutte le età siano stati arrestati e torturati dall’esercito. Secondo l’organizzazione, che ha sentito le testimonianze di molti medici e avvocati di ex detenuti, vengono torturati soprattutto nei primi giorni di detenzione nelle basi locali dell’esercito. Poi, sono trasferiti alla prigione militare di Ingkhayuthboriharn, nella provincia di Pattani. I sistemi di tortura adottati sono: pestaggi con bastoni e spranghe, elettroshock, strangolamento, affogamento, soffocamento con buste di plastica, nudità forzata, esposizione a temperature estreme. È crisi dura, quindi. Per molti esperti, il movimento ribelle ha chiare origini locali. Per gli analisti internazionali, i rivoltosi – nel frattempo raccolti sono la sigla Fronte Rivoluzionario Nazionale (Brn) – sono da collegare alla rete di al-Qaeda. È di questo parere la Cia statunitense, che da sempre collabora con l’esercito nel quadro della lotta al terrorismo internazionale. A rafforzare questa opinione è arrivato, nel giugno 2009, un rapporto dell’International Crisis Group, che ha denunciato l’uso della retorica della jihad mondiale nelle scuole delle tre province, al fine di reclutare nuovi combattenti.

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