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Kashmir
Come leggere le Mappe
Nella Mappa Onu, qui sopra, troverete solamente indicato lo Jammu and Kashmir poichè si tratta dell’antico nome dell’intera area contesa da India, Pakistan e Cina. La Mappa, qui a destra, indica invece la spartizione di fatto dei territori da parte dei suddetti Stati, con diversa denominazione, mai riconosciuta a livello internazionale.
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Situazione attuale Nell’ultimo scorcio del 2011 il Kashmir sembra e ultimi sviluppi profondamente mutato, per la prima volta da quando nel 1989 è cominciata una insurrezione separatista in questo territorio conteso tra India e Pakistan. Un segnale è che il trend della I “figli del conflitto” violenza è in calo, dopo vent’anni di rivolta armata diventata una “guerra a bassa intensità” Li hanno chiamati i «figli del con- combattuta da milizie infiltrate dal territorio flitto». Sono loro che hanno dato pakistano. A tutto agosto 2011 il South Asia una svolta inaspettata alla realtà Terrorism Portal registra 146 morti (di cui 32 del conflitto in Kashmir. Sono poco civili) in episodi di attacchi armati e/o attentati. più che ventenni, a volte adole- In tutto il 2010 ne aveva registrati 375 (di cui scenti. Sono cresciuti negli anni 36 civili), ma ancora nel 2006 i morti supera‘90, nel momento peggiore del vano il migliaio. Il drastico calo nella militanza conflitto nella valle del Kashmir, armata è confermato dai comandi militari. Il 23 quando il movimento separatista maggio 2011 il comandante delle forze indiane di massa era stato ormai spiazzato in Kashmir diceva a un quotidiano locale che dalle milizie «jihadi» manovrate la scorsa primavera “non ci sono stati episodai servizi. Hanno conosciuto solo di di infiltrazione”. In giugno la stampa locale guerra, repressione, esecuzioni riferiva che presto forze indiane e pakistane extragiudiziarie, raid notturni. Non cominceranno pattugliamenti comuni lungo la hanno mai visto le loro città senza Linea di Controllo (il confine di fatto che taglia i sacchi di sabbia dei paramilitari, il Kashmir). Il 31 agosto uno scontro di frontiera i posti di blocco, le umilianti per- è costato la vita a tre soldati pakistani, con una quisizioni. Finché si sono rivoltati: scia di accuse reciproche: ma è stato il primo in modo spontaneo, all’uscita dalle incidente dell’anno, in passato erano routine. scuole, lanciando pietre contro Un secondo segnale è l’appello di un influente le forze di sicurezza – che hanno leader separatista, Syed Ali Shah Geelani, alla risposto come se avessero di fron- lotta pacifica. Geelani è l’82enne capo della te dei terroristi: 112 ragazzi sono Jamiat Islami del Jammu e Kashmir, un partito stati uccisi. L’intifada di Srinagar religioso che nell’89, con il suo braccio armato ha spiazzato le autorità indiane Hizb-ul Mojaheddin, è stato tra i protagonisti ma anche i leader nazionalisti dell’insurrezione anti-indiana; nel 2003, quando kashmiri, dai più moderati ai più il Governo di New Delhi ha avviato colloqui con oltranzisti: tutti scavalcati da quei la dirigenza nazionalista kashmira, Geelani guigiovani che non vedono futuro, e dava il fronte che rifiutava il dialogo. Ora però non aspettano nulla da un dialogo lancia segnali distensivi: “La nostra lotta (...) che si trascina da troppi anni. sarà pacifica”, ha dichiarato il 22 aprile 2011. L’evento che ha trasformato la scena in Kashmir è stato, nell’estate 2010 tutto interGeneralità no. Protagonisti sono stati dei raNome completo: Jammu e Kashmir gazzi, giovanissimi e disarmati, che Bandiera hanno cominciato ad affrontare le forze di sicurezza lanciando sassi. Queste hanno reagito in modo brutale. L’11 giugno un ragazzo di 17 anni è rimasto ucciso. Non ci sono state scuse né inchieste. Sono seLingue principali: Hindi, Inglese guite altre dimostrazioni, altri morti Capitale: Jammu e Srinagar e quindi altre proteste. Le proteste (rispettivamente capitali dichiaravano un solo obiettivo: invernale ed estiva dello Jammu e Kashmere) l’abrogazione delle «leggi nere», i poteri speciali delle Forze armate Popolazione: 11.729.000 autorizzate a fermare, perquisire, Area: 101.387 Kmq arrestare e anche sparare individui Religioni: Musulmana ma nella sospetti. All’inizio di luglio il capo regione Jammu prevale del Governo di Jammu e Kashmir la hindu e in quella del – Omar Abdullah che aveva susciLadakh quella buddhista tato tante speranze, quando è stato Moneta: Rupia eletto nel 2009 – ha chiesto rinforzi Principali n.d. a New Delhi, e l’esercito indiano esportazioni: è tornato a dispiegarsi in Kashmir PIL pro capite: n.d. per la prima volta da parecchi anni.
Generalità
Nome completo: Azad Kashmir Bandiera
Lingue principali:
Capitale: Popolazione: Area: Religioni:
Moneta: Principali esportazioni: PIL pro capite: Kashmiri, Urdu, Hindko, Mirpuri, Pahari, Gojri Muzaffarabad 3.965.999 13.297 Kmq Buddista, musulmana, induista, sikh Rupia n.d.
n.d.
Quell’estate sono morti 112 giovani manifestanti (non compaiono tra le vittime del conflitto: non rientrano nella categoria di vittime di scontro armato). Il Governo di Jammu e Kashmir si è ostinato ad accusare “forze esterne”, allusione al Pakistan, di manovrare i ragazzi per impedire la normalizzazione in Kashmir. Solo a distanza di un anno il chief minister Abdullah ha compiuto un gesto distensivo: il 29 agosto 2011 ha annunciato l’amnistia per quanti sono stati arrestati durante la “rivolta delle pietre”. Ne beneficeranno circa 1.200 persone. Se i segnali di cambiamento porteranno la pace, è presto per dire.
Per India e Pakistan il Kashmir è una contesa territoriale (vedi “il background storico”): e sebbene da entrambe le parti ci siano stati tentativi coraggiosi di formulare ipotesi di compromesso (ad esempio riconoscere la “Linea di controllo”, attuale confine di fatto, come una frontiera internazionale aperta), questi sono per ora rimasti vani. La pace in Kashmir dipende da un lato dalle alterne relazioni bilaterali tra India e Pakistan, dall’altro dalla capacità dell’India di trovare un assetto democratico e consensuale con le forze sociali e politiche del Kashmir. Sul piano delle relazioni bilaterali, è un momento di impasse. Dieci anni fa i due Paesi sembravano a un passo dalla guerra: dopo l’attacco di un commando suicida al parlamento di New Delhi, nel dicembre 2001, l’India ha schierato il suo esercito lungo la frontiera con il Pakistan, che ha fatto altrettanto, e per un lungo anno le due potenze nucleari del subcontinente sono rimaste in massima allerta. Poi la tensione si è allentata, soprattutto sotto la pressione degli Stati Uniti, preoccupati dell’escalation tra due suoi alleati in un Regione così delicata. Nel 2003 il Governo indiano ha proclamato sconfitta la guerriglia jihadi e offerto il dialogo alla dirigenza nazionalista del Kashmir. Tra il 2005 e il novembre 2008 tra India e Pakistan è cominciato il ciclo di dialogo finora più promettente dal 1947: come misura di «fiducia reciproca» era perfino ripreso il servizio di autobus tra il Kashmir indiano e la parte occupata dal Pakistan, per la prima volta da decenni. Nel dicembre 2008 gli attacchi terroristici a Mumbai hanno riportato il gelo. Poi c’è stato l’attacco all’ambasciata indiana a Kabul, nel febbraio 2010; attribuito ai Taleban, sono emerse prove del coinvolgimento del Isi, il servizio di intelligence militare pakistano: a riprova che la competizione tra India e Pakistan si gioca anche in Afghanistan. I contatti tra New Delhi e Islamabad sono ripresi solo nell’agosto 2011 con un incontro tra ministri degli Esteri, e senza entusiasmo. Sul piano interno, il dialogo avviato nel 2003 ha fatto emergere tutte le divisioni
Il conflitto del Kashmir è una delle crisi regionali più prolungate del subcontinente indiano. È un conflitto allo stesso tempo interno (all’India) e tra stati (India e Pakistan): e questa duplice natura fa della verdeggiante vallata del Kashmir, circondata da ghiacciai himalayani là dove si toccano India, Pakistan e Cina, una polveriera con implicazioni regionali che riverberano fino all’Afghanistan. Il conflitto interno è esploso alla fine degli anni ‘80, quando un movimento di protesta nello stato indiano di Jammu e Kashmir è sfociato in una ribellione armata che ha raggiunto nei momenti peggiori l’intensità di una guerra civile. Questa però è alimentata dalla contesa territoriale tra le due potenze nucleari del subcontinente indiano: India e Pakistan hanno combattuto per nella leadership kashmira. La All Party Hurriyat Conference («Conferenza della libertà»), cartello delle forze nazionaliste del Kashmir formato nel 1993, era già allora discorde su questioni strategiche fondamentali: dall’obiettivo (indipendenza, annessione al Pakistan?) alle forme di lotta (pacifica? armata?). Gli indipendentisti rivendicano il referendum per l’autodeterminazione, raccomandato da una risoluzione dell’Onu nel 1948. Ma per alcuni “autodeterminazione” significa scegliere tra India e Pakistan, per altri include una terza opzione, l’indipendenza – esclusa però sia a New Delhi sia a Islamabad. Intanto, la militarizzazione del territorio resta. Il numero di soldati dispiegati nella Valle è solo leggermente calato, il Kashmir continua a sentirsi sotto occupazione. E la “rivolta delle pietre” nel 2010 ha riportato il conflitto alla sua origine: un movimento popolare per maggiori libertà politiche e per i diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione indiana a ogni cittadino.
UNHCR/T. Irwin
il Kashmir due guerre dichiarate (nel 1948-49 e nel 1965) e una non dichiarata (nell’estate del 1999), accompagnata da una lunga «proxy war», guerra “di prossimità” per interposti guerriglieri infiltrati dal Pakistan, accusa l’India - Islamabad ha sempre respinto l’accusa, dichiarando di dare ai fratelli del Kashmir solo “sostegno morale e politico”. Il conflitto del Kashmir è uno dei problemi irrisolti della Spartizione del 1947, quando dalla vecchia India britannica sono nate due nazioni separate, il Pakistan musulmano e l’India multireligiosa e secolare benché a maggioranza indù. Il principato di Jammu e Kashmir (che includeva i territori di Jammu, Kashmir e Ladakh) fantasticò di restare indipendente ma infine optò per l’India, con un atto formale che ne fece uno stato dell’Unione in-
Il profilo
L’odierno stato di Jammu & Kashmir (come già l’antico principato dallo stesso nome) include tre territori distinti. La valle del Kashmir a maggioranza musulmana è l’oggetto di contesa tra India e Pakistan, ma lo stato include anche il Jammu, a maggioranza hindu, e il Ladakh a maggioranza buddhista. Oggi l’intero stato fa poco più di 10milioni di abitanti, di cui 5,4milioni nel Kashmir (il 54% della popolazione), 4,4milioni nel Jammu e poco meno di 250mila nel Ladakh. Il territorio sotto controllo pakistano, chiamato Azad (“libero”) Kashmir, ha all’incirca 400mila abitanti.
Quadro generale
Parveena Ahangar
Una notte di agosto, nel 1990, la polizia ha bussato a casa di Parveena Ahangar, nel popolare quartiere di Dobhi Mohallah a Srinagar. «Cercavano militants», ribelli armati, «e hanno preso mio figlio per interrogarlo». Aveva 16 anni. Da quella notte la signora Ahangar ha seguito ogni possibile traccia per ritrovare il suo ragazzo: comandi di polizia, tribunali, ospedali, comandi dell’esercito, uffici governativi. Invano. Suo figlio era scomparso. Ma era solo uno dei tanti: le organizzazioni per i diritti umani parlano di 5, forse 6mila scomparsi, prelevati di solito dalla polizia, talvolta dai ribelli. Così nel 1995, con altre trecento persone come lei, Parveena Ahangar ha formato l’Associazione dei genitori delle persone scomparse, che ora presiede. Hanno un solo obiettivo, dice: rintracciare figli o mariti scomparsi. In primo luogo, costringere il governo ad ammetterne l’esistenza. «Devono dire dove sono i nostri figli». L’Associazione ha raccolto testimonianze di padri, madri, «mezze vedove» - così sono chiamate le donne il cui marito è scomparso, forse morto, ma chissà. Aiuta a contattare avvocati ed esperti di diritti umani, a scrivere petizioni, organizzare dimostrazioni.
diana in un quadro di ampia autonomia. La decisione presa dal locale maharaja Hari Singh (indù) con l’accordo dei notabili nazionalisti guidati da Sheikh Abdullah (musulmano) fu sgradita ai dirigenti pakistani, che rivendicavano il Kashmir, a popolazione in maggioranza musulmana. La disputa è sfociata nel 1948 nella prima guerra tra India e Pakistan. La linea di cessate-il-fuoco negoziata con la mediazione delle Nazioni unite nel 1949 è da allora il confine di fatto: a Ovest il settore sotto controllo pakistano (circa un terzo del territorio, capitale Muzaffarabad) a Est la parte sotto sovranità indiana (circa il 60% del territorio originale, capitali Srinagar e Jammu). Una piccola parte di ghiacciai all’estremo Nord (10%) è occupato dalla Cina dal 1962. Le risoluzioni delle Nazioni Unite del 1948 e ‘49 chiesero al Pakistan di ritirare le proprie forze dal territorio occupato e sollecitavano un referendum perché i kashmiri potessero decidere del proprio futuro. Il Pakistan non si ritirò, resta in quello che chiama Azad (“libero”) Kashmir; l’India se ne fece una scusa per non indire mai il plebiscito. Il periodo post indipendenza ha visto un crescente attrito tra le classi dirigenti kashmire e il Governo centrale dell’Unione indiana, che ha via via eroso il regime di autonomia del Jammu e Kashmir. La disaffezione è esplosa nel 1989 in una protesta civile ha coinvolto un ampio schieramento sociale e politico, dall’Università ai sindacati ai partiti nazionalisti. Alla fine di quell’anno risalgono le prime azioni armate contro obiettivi governativi a Srinagar: l’insurrezione
UNHCR/B.Baloch
era cominciata. La risposta dello stato centrale indiano è stata dura, e l’escalation inesorabile. Il primo gruppo armato, Jammu e Kashmir Liberation Front (Jklf), è stato presto sbaragliato: erano giovani con idee di lotta di popolo, il loro leader Yasin Malik fu presto arrestato e nel ‘94 il Jklf ha rinunciato alla lotta armata. Ma ormai altri protagonisti avevano preso il sopravvento: il Hizb-ul Mojaheddin, braccio armato del partito conservatore (e filopakistano) Jamiat Islami, a sua volta scavalcato da altre sigle (Jaish-e Mohammad, Lashkar-e-Taiba). Erano i primi anni ‘90 e in Kashmir confluivano armi e combattenti provenienti dall’Afghanistan formati alla jihad, la “guerra santa” (nella sua accezione politico-militare), e sostenuti dal Isi, il servizio di intelligence militare pakistano. La lotta di “liberazione nazionale” era così diventata la guerra di una comunità religiosa. E con i combattenti «stranieri» è arrivato un islam di stampo taleban estraneo alla tradizione sufi del Kashmir. È arrivato anche il terrore: attentati contro civili, bombe nei mercati, rappresaglie. Gli hindù del Kashmir, i pandit, sono stati costretti a fuggire. Il Governo centrale ha mandato l’esercito e corpi paramilitari a contrastare i ribelli, la valle è stata militarizzata. È stata una guerra largamente manovrata da servizi segreti, ma è la popolazione del Kashmir che ha pagato il prezzo più alto: tra 50 e 80mila persone sono morte dal 1989 al 2010, in gran parte civili. Senza contare migliaia di desaparecidos e una scia di ingiustizie e violazioni dei diritti umani: la guerra ha travolto le forze sociali, sindacati, forze politiche, gruppi per i diritti umani. E questo è il problema di oggi.