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Yemen

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Fonti

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Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati United Nations High Commissioner for Refugees

I dati contenuti nella tabella a fianco sono forniti dall’Alto Commissariato per i Rifugiati UNHCR. Sono dati ufficiali tratti dal rapporto Global Trends 2010 uscito nel giugno 2011 dai quali è possibile vedere i flussi dei rifugiati in entrata ed in uscita da ogni singolo paese. Per un approfondimento rimandiamo alla consultazione del rapporto stesso.

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RIFUGIATI ORIGINATI DALLO YEMEN

RIFUGIATI 2.076

SFOLLATI PRESENTI NELLO YEMEN

220.994

RIFUGIATI ACCOLTI NELLO YEMEN

RIFUGIATI 190.092

PRINCIPALI PAESI DA CUI ARRIVANO QUESTI RIFUGIATI

SOMALIA 179.845

Situazione attuale e ultimi sviluppi

Clan e Tribù

In Yemen persiste una struttura sociale di tipo feudale, fondata sulle caste. Ci sono sostanzialmente due ordini: quello superiore, cui appartengono i sayyid (i signori), che discendono dal profeta Maometto, i qadi (i giudici) e gli sceicchi, che sono a capo delle varie tribù; quello inferiore, composto invece dagli artigiani, dai servi e dagli akhadm, di pelle scura, che sono in pratica i discendenti degli antichi schiavi neri. Gran parte dei sayyid sono sciiti, e molti appartengono al clan degli Al Houti. La loro rivalità con il Governo centrale dipende dal fatto che gli Houti si ritengono gli unici legittimati a guidare il Paese e non riconoscono perciò l’autorità del Presidente Saleh, considerato di razza inferiore.

UNHCR/J. Björgvinsson Forse non è arrivato ancora al capolinea, il Presidente yemenita Ali Abdallah Saleh, ma ormai ci sono pochi dubbi sul fatto che la sua ora sia definitivamente suonata. È riuscito infatti a sopravvivere solo fisicamente, e per miracolo, all’attacco armato che il 3 giugno ha semidistrutto il suo palazzo presidenziale. Ma non è una caso se il suo rientro a Sana’a, dopo i tre mesi di convalescenza passati in Arabia Saudita, è stato salutato da una recrudescenza di violenza, che ha fatto un altro centinaio di morti, portando il bilancio delle dure proteste di piazza – che vanno avanti da gennaio – ad oltre 600/700 morti. In un discorso alla tv di stato, il 25 settembre, Saleh ha promesso nuove elezioni a breve, per avviare un processo di transizione dei poteri. Ma la piazza reclama, armi alla mano, le sue dimissioni immediate. Inoltre vuole processarlo per la repressione feroce che ha ordinato in questi ultimi sei mesi e per tutti gli altri crimini commessi nei suoi 33 anni di potere più o meno assoluto. E non saranno certo i battaglioni della Guardia Repubblicana, guidati da suo figlio Ahmed, a salvare Saleh da una contestazione che è ormai estesa a tutte le tribù e a tutto o il Paese e che gli ha fatto perdere in sei mesi anche l’appoggio dei suoi storici protettori, la Monarchia saudita e il Governo degli Stati Uniti. La fine politica di Saleh era già stata decretata in maggio, quando il Consiglio di Cooperazione del Golfo – che riunisce i maggiori Paesi della Regione – si era offerto di mediare nella crisi yemenita ed aveva elaborato un Piano di pace, accettando però la richiesta principale della piazza (e dei partiti di opposizione), vale a dire la dipartita anticipata del Presidente. Saleh si era invece arroccato sulle sue posizioni, ostinandosi nel voler essere il regista della transizione, e questo aveva impresso una improvvisa e violenta accelerazione alla contestazione delle piazza, trasformatasi ben presto in guerra civile aperta, anche all’interno dell’esercito, con la Guardia Repubblicana schierata dalla parte del Presidente ed altri reparti schierati con il generale dissidente Ali Mohsen al-Ahmar, passato nei ranghi degli oppositori ed appoggiato da numerose milizie tribali. A Saleh, insomma, non restano più alleati. An-

Generalità

Nome completo: Repubblica Unita dello Yemen Bandiera

Lingue principali: Capitale: Popolazione: Area: Religioni: Moneta: Principali esportazioni: PIL pro capite: Arabo San‘a’ 20.975.000 (2005) 527.970 Kmq Musulmana Riyal yemenita Petrolio, gas naturale, caffé e cotone Us 2.410

che perché gli Stati Uniti hanno espresso a viva voce la loro preoccupazione rispetto ad un’ulteriore destabilizzazione di quest’area per loro strategica, che già è minata da diversi conflitti e dove la presenza di al-Qaeda non è affatto trascurabile. È solo come baluardo contro gli integralisti islamici che il Dipartimento di Stato aveva “adottato” Saleh, nei decenni scorsi, chiudendo un occhio, anzi due, sulla corruzione e il nepotismo che hanno sempre contraddistinto il suo governo. Venuto meno anche questo velo, il re si è ritrovato nudo. Nudo e solo. Per la sua caduta è questione di settimane, al massimo di qualche mese.

Per gli Usa lo Yemen e il Corno d’Africa restano cruciali nella lotta al terrorismo. E infatti il 1° ottobre 2011 un drone americano è riuscito a centrare l’auto su cui viaggiava il leader spirituale di al-Qaeda nella Penisola arabica (Aqap), l’imam Anwar Al Awlaki. Dieci giorni prima, il 22 settembre, due raid americani ad Al Mahfad, nel Sud, avevano ucciso 10 presunti qaedisti, tra cui il numero due della rete terroristica, Said al-Shehri. La paura degli Usa è infatti che la guerra civile, e il conseguente vuoto di potere a Sana’a, possano favorire la penetrazione di al-Qaeda in quest’area, convogliando magari da queste parti anche i gruppi che prima operavano in Somalia. Non a caso, fra il 2010 e il 2011 i droni statunitensi hanno compiuto almeno sei operazioni sul territorio yemenita, e tutti con esiti positivi. In realtà, sono più di dieci anni che al-Qaeda opera in Yemen, sia pure con alterne fortune. Il suo battesimo del fuoco è datato 2000, con lo spettacolare attacco alla portaerei americana Cole, che fece 17 morti fra i marines. Ma i primi nuclei jihadisti risalgono già ai primi anni ’90, con il rientro dei mujahidden che avevano combattuto in Afghanistan, al fianco di Osama bin Laden. Con essi il Presidente yemenita Ali Abd Allah Saleh ha mantenuto a lungo un rapporto strumentale, pronto cioè ad utilizzarne la potenza di fuoco e le capacità organizzative per risolvere i suoi problemi interni, salvo poi fare marcia indietro e dar loro la caccia quando l’alleato americano lo imponeva. È infatti provato che le milizie di al-Qaeda sono state utilizzate senza tanti problemi dal Governo yemenita già nella seconda metà degli anni ’90, per contrastare la secessione nelle province del Sud tentata dai ribelli del “Southern Mobility Movement”. Altrettanto disinvolto è però il voltafaccia del Presidente Saleh dopo l’attentato alle Twin Towers dell’11 settembre 2000, quando gli americani scoprono la consistenza della rete terroristica di bin Laden in terra yemenita. È solo a quel punto che la caccia ai militanti di al-Qaeda diventa anche a Sanaa una priorità nazionale, resa ancora più pressante dal numero cospicuo di kamikaze yemeniti che vanno ad immolarsi in Iraq dopo il 2003, per combattere gli americani. Il paradosso è che, con la stessa velocità con cui le carceri di Sanaa si sono riempite di militanti di al-Qaeda, altrettanto velocemente si

Il problema vero è che lo Yemen resta un’entità statale assai poco stabile, per non dire effimera. Anche se nel 2010 si è celebrato il ventennale dell’unificazione fra il Nord e il Sud del Paese, che sono rimasti separati dal 1967 al 1990, per via della Guerra Fredda. La riconciliazione nazionale, in effetti, è ancora lontana: Sanaa e Aden restano separate dai lutti e dagli strascichi della guerra civile, oltre che dalle discriminazioni economiche e sociali sono svuotate. Una fuga di massa si verifica ad esempio nel febbraio 2006, quando 23 miliziani di al-Qaeda, tutti di primo piano, riescono ad evadere. Ed è questo l’inizio di una nuova fase, che vede i jihadisti impiantarsi sempre più saldamente nelle province del Sud, con rapporti di contiguità se non di alleanza tattica con la guerriglia separatista, che continua a battersi per l’indipendenza. Allo stesso tempo, al-Qaeda nella penisola Arabica non smette di colpire, appena può, il nemico americano e i suoi più stretti alleati: nel 2008 ci sono stati due attacchi suicidi all’ambasciata Usa cui vanno aggiunti diversi attacchi contro obiettivi “occidentali”. Nell’autunno 2009, inoltre, l’Arabia Saudita ha denunciato l’infiltrazione di elementi legati ad al-Qaeda provenienti dal Nord dello Yemen, a conferma del fatto che la rete del terrore che fa capo ad Osama bin Laden ha nello Yemen il suo principale caposaldo, con una capacità di azione ad ampio raggio ed una rete di protezioni tribali che sarà difficile smantellare, nonostante l’impegno degli Stati Uniti, che nel corso del 2010 hanno bombardato a più riprese con i loro droni presunte basi di al-Qaeda in Yemen. L’ultima battaglia fra l’esercito yemenita e i miliziani di al-Qaeda è del 24 agosto 2010, nella città di Loder, nel Sud, ed ha fatto decine di morti da ambo le parti.

di cui il Sud tuttora soffre. Il risultato è che il vento della secessione continua a soffiare, contrastato da una feroce repressione del Governo centrale, che ovviamente finisce per esasperare la situazione. In questo quadro già problematico si inserisce la presenza di al-Qaeda: il suo leader yemenita, Nasir Al Wuhayshi, ha più volte negli anni recenti manifestato il suo appoggio alle istanze secessioniste portate avanti dal Southern Mo-

UNHCR/L. Chedrawi

Quadro generale

Ali Abdallah Saleh (al-Ahmar, 21 marzo 1946)

È rimasto abbarbicato al potere nonostante il 13 giugno abbiano attaccato a colpi di mortaio la moschea in cui pregava, all’interno del palazzo presidenziale, facendo 11 morti e 124 feriti. E non l’hanno convinto a mollare nemmeno i suoi amici sauditi, che l’hanno accolto a Riad per farsi curare dalle gravi ferite riportate in quell’attacco e avrebbero preferito che lì restasse, in esilio. D’altra parte, il curriculum di Ali Abdallah Saleh parla da solo: è al potere da 33 anni, prima come Presidente dello Yemen del Nord (dal 1978 al 1990), poi come Presidente dello Yemen unificato (dal 1990 fino ad oggi). E il suo Governo è stato un concentrato dei vizi comuni a tutti i raìs arabi: corruzione, nepotismo e disprezzo per i diritti civili. Quando parte la contestazione, il 27 gennaio 2011, sulla scorta delle rivolte in Tunisia ed Egitto, Saleh decide di reprimerla senza mezze misure, nonostante i venerdì di preghiera si trasformino a Sana’a in Venerdì della Collera e nonostante la piazza dell’unità venga ribattezzata, a furor di popolo, in Piazza del Cambiamento. La repressione tocca l’apice il 18 marzo, con i cecchini che sparano sulla folla, facendo 52 morti e centinaia di feriti. Quella stessa sera viene proclamato lo Stato d’Emergenza. E per Saleh è l’inizio della fine.

UNHCR/B. Bannon

al-Qaeda in Yemen Secondo tutte le fonti, il leader riconosciuto di al-Qaeda nella Penisola Arabica (Aqap) è l’ex luogotenente di Osama bin Laden in Afghanistan Nasir Abdel Karim Al Wuhayshi. Arrestato dagli iraniani dopo la sua fuga da Kandahar nel 2001, Al Wuhayshi è rimasto per diversi anni nelle prigioni yemenite, da cui è riuscito ad evadere assieme ad altri 22 miliziani di al-Qaeda nel febbraio 2006. Il leader spirituale di Aqap era invece l’imam di origini americane Anwar Al Awlaki. Nato nel New Mexico, dove suo padre insegnava all’università, Al Awlaki era diventato uno dei predicatori islamici più radicali degli Stati Uniti. Dopo l’attacco alle Torri Gemelle, e proprio in virtù delle sue frequentazioni con almeno due degli attentatori, era stato costretto a lasciare gli Stati Uniti per Londra e poi per lo Yemen. Un drone americano ha centrato l’auto su cui viaggiava, il 1° ottobre 2011, assieme ad un altro cittadino Usa, l’ideologo Samir Khan, direttore della rivista Inspire, considerato il megafono di al-Qaeda in inglese. Questo assassinio mirato ha scatenato non poche polemiche, perché entrambi “i targhet” erano cittadini americani.

bilty Movement; e non va poi dimenticato che l’attuale leader del Smm, Tareq al-Fadhlii, è stato uno dei luogotenenti di bin Laden in Afghanistan. Quanto basta, insomma, per rendere il Sud dello Yemen una polveriera pronta ad esplodere, anche se per ora i dirigenti del Smm lavorano per arrivare ad una “insurrezione civile”, ma disdegnano – almeno a parole – la lotta armata. Un secondo “fronte” è aperto nel Nord, al confine con l’Arabia Saudita, con la minoranza sciita che fa capo al clan degli Al Houti. Si tratta di sciiti della setta zaidita, che non riconoscono alcuna legittimità al Governo centrale del Presidente Saleh, contro il quale sono in guerra aperta dal 2004. Il loro leader, il predicatore Hussein al Houti è stato ucciso in un raid aereo del dicembre 2009. Secondo l’Onu, il conflitto ha già fatto decine di migliaia di vittime e provocato un flusso di almeno 50mila rifugiati, costretti ad abbandonare le loro case. Le autorità di Sanaa accusano l’Iran di fomentare la rivolta, per spingere al potere la minoranza sciita, che in Yemen rappresenta il 40-45% della popolazione. Certo è che le province del Nord – in particolare quella di Saada – sono off limits per l’esercito di Sanaa e sono saldamente in mano ai ribelli: una secessione di fatto, che ha provocato nel dicembre 2009 l’intervento armato dell’Arabia Saudita, che lamenta l’insicurezza di questa frontiera, troppo permeabile dai miliziani di alQaeda.

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