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Georgia
Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati United Nations High Commissioner for Refugees
I dati contenuti nella tabella a fianco sono forniti dall’Alto Commissariato per i Rifugiati UNHCR. Sono dati ufficiali tratti dal rapporto Global Trends 2010 uscito nel giugno 2011 dai quali è possibile vedere i flussi dei rifugiati in entrata ed in uscita da ogni singolo paese. Per un approfondimento rimandiamo alla consultazione del rapporto stesso.
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RIFUGIATI ORIGINATI DALLA GEORGIA
RIFUGIATI 10.640
SFOLLATI PRESENTI NELLA GEORGIA
359.716
RIFUGIATI ACCOLTI NELLA GEORGIA
RIFUGIATI 639
Situazione attuale e ultimi sviluppi
La Guerra dei Film
Passa ormai dal grande schermo l’ultima frontiera della guerra mediatica che dall’agosto 2008 vede coinvolte Russia e Georgia. Dopo essersi confrontati sulla Rete e nei canali all-news, gli info-guerrieri che furoreggiano da entrambe le parti della barricata hanno deciso infatti di puntare sui film. Il primo è stato Olympus Inferno, una pellicola di produzione russa che racconta la guerra dei 5 giorni e che è stata trasmessa dal primo canale di Mosca in prima serata nella primavera del 2009. Com’era ovvio, in questo film sono i soldati georgiani a fare la parte dei cattivi, mentre gli ossetini del Sud (e i soldati russi) fanno la parte degli aggrediti, cioè dei buoni. Immediata è stata la risposta di Tblisi, affidata peraltro a una produzione hollywoodiana, con una star del cinema come Andy Garcia nei panni del Presidente Sakashvili. Il film si intitola “5 days of August” ed è uscito nelle sale e in Dvd nell’agosto 2011. Inutile aggiungere chi sono i buoni e chi i cattivi. Nelle guerre medianiche il copione è sempre lo stesso, anche se a parti invertite.
UNHCR /Y. Mechitov La tregua militare regge, tant’è che il territorio georgiano è l’unico in tutto il Caucaso che nel 2011 non ha fatto registrare fatti di sangue inerenti ai suoi conflitti congelati. Eppure, la guerra non è finita. E prosegue su altri fronti. È vero infatti che l’accordo in Sei Punti che il 12 agosto 2008 pose fine alla guerra-lampo di cinque giorni fra Russia e Georgia ha di fatto bloccato il conflitto nelle regioni contese dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud, ma è altrettanto vero che le due repubbliche secessioniste sono riuscite sotto diversi aspetti a consolidare la loro discussa “sovranità”, il che ne aumenta sempre di più il distacco da Tblisi. Nel settembre 2008, quando in tutta fretta dichiararono unilateralmente la loro indipendenza, Sukhumi e e Tskhinvali avevano dalla loro solo la Russia di Putin; oggi invece vantano qualche riconoscimento in più, anche se di poco peso - Venezuela, Nicaragua, Nuaru e Vanuatu – e soprattutto hanno una costituzione vera, istituzioni più consolidate e una prassi statuale che potrebbe diventare anche permanente, come insegna la vicenda del Kosovo. Vanno in questa direzione sia il divieto di utilizzo della moneta georgiana, il Lari, sancito dal governo dell’Ossezia del Sud il 17 febbraio scorso; sia l’emissione quest’anno di più di 17mila nuovi “passaporti” abkhazi da parte delle autorità di Sukhumi. Inoltre, la linea di demarcazione amministrativa fra queste due regioni e il resto del territorio georgiano si sta trasformando sempre di più in un vero e proprio “confine di stato”, con tutta una serie di conseguenze: si riducono infatti e vengono militarizzati i punti di attraversamento, al punto che in Ossezia è stato introdotto addirittura il reato di “attraversamento illegale”. Naturalmente, l’isolamento internazionale favorisce la dipendenza da Mosca, sia economica che politica, delle due repubbliche secessioniste. In Ossezia del Sud si parla ormai apertamente della riunificazione con i “fratelli” del Nord, all’interno della Federazione russa: ipotesi che il Cremlino non ha escluso, anche se i tempi non sarebbero brevi. In Abkhazia, invece,
Generalità
Nome completo: Georgia Bandiera
Lingue principali: Capitale: Popolazione: Area: Religioni:
Moneta: Principali esportazioni:
PIL pro capite: Georgiano Tbilisi 4.989.000 69.510 Kmq Ortodossa georgiana (76%), musulmana (9.9%), ortodossa russa (3%), armena apostolica (4.9%), cattolica (2%), altre (3.2%) Lari georgiano Metalli ferrosi e non, alcuni prodotti agricoli, vino Us 3.586
le autorità sono costrette a barcamenarsi fra il desiderio di un’indipendenza reale e la necessità di attrarre capitali russi per risollevare le sorti della regione, prostrata dalla lunga guerra con Tblisi. Non fanno infine progressi i negoziati in corso a Ginevra sotto l’egida di Osce, Onu e Unione Europea: per il momento ci si limita ad affrontare problemi pratici, rimandando sine die la definizione di uno status internazionalmente riconosciuto per questi territori contesi.
Fra le 15 Repubbliche che componevano l’ex Unione Sovietica, la Georgia è quella che in termini di integrità territoriale e di stabilità politica interna ha pagato il prezzo più alto da quando l’Urss si è disintegrata, nel 1991. Ma è vero anche che è stato un georgiano, Iosif Vissarionovič Stalin, a creare buona parte dei problemi etnici che la nuova Repubblica della Georgia – indipendente dal 9 marzo 1991 – si è trovata a dover gestire, finora con scarsi successi. Fu Stalin, infatti, a permettere nel 1931 che la sua Georgia si annettesse il Principato di Abkhazia, la regione costiera situata a Nord, sul Mar Nero, che da secoli godeva di un’ampia autonomia all’interno dell’Impero ottomano, favorendo negli anni successivi da un lato l’immigrazione della popolazione georgiana e dall’altro l’uso della lingua georgiana al posto della lingua locale. E fu sempre Stalin ad acconsentire che l’Ossezia, altra Regione frontaliera fra Russia e Georgia, venisse divisa fra un Nord integrato nella Federazione Russa e un Sud annesso alla Georgia, senza tener conto degli inevitabili dissapori che questa divisone avrebbe creato, vista l‘omogeneità etnica e linguistica delle due Regioni. Non è dunque per caso se, già con i primi fermenti politici che porteranno alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, in entrambe le Regioni si manifestano fortissime tentazioni separatiste, a dispetto dell’esiguità dei territori in ballo: l’Abkhazia è infatti un fazzoletto di terra di appena 8mila chilometri quadrati, su cui vivono oggi poco più di 200mila abitanti; l’Ossezia del Sud è ancora più piccola, con meno di 70mila abitanti sparsi su 4mila chilometri quadrati. Sta di fatto che, subito dopo la dichiarazione d’indipendenza della Georgia, è proprio l’Abkhazia, il 23 luglio 1992, a dichiarare unilateralmente la sua indipendenza. In Ossezia, invece, il soviet supremo locale vota nel 1989 l’unificazione con l’Ossezia del Nord. Ma il giorno dopo il Parlamento georgiano revoca questa decisione e abolisce lo statuto di ampia autonomia che era stata fino ad allora accordato alla Regione. La prima guerra con l’Ossezia inizia proprio nel gennaio 1991, quando le forze armate georgiane entrano in Ossezia per riprendere il controllo della situazione. Dopo un anno e mezzo di pesanti scontri – ed un referendum popolare con cui gli osseti scelgono l’indipendenza – una tregua viene firmata, il 26 giugno 1992, dal nuovo Presidente georgiano Eduard Shervadnadze e dal nuovo Presidente russo Boris Yeltsin. Si tratta di un accordo secondo cui la Russia riconosce l’intangibilità della frontiera internazionalmente definita. Con un secondo referendum popolare, nel novembre 2006, la popolazione dell’Ossezia del Sud, a stragrande maggioranza (92%) conferma però la sua volontà secessionista. In Abkhazia la prima guerra scoppia subito dopo la dichiarazione unilaterale d’indipendenza, nel luglio 1992. In agosto tremila soldati georgiani entrano nella Regione e dopo aspri combattimenti occupano Sukumi, la capitale. Centinaia di volontari, provenienti dalla Russia e dalle ex Repubbliche sovietiche – fra cui il famoso leader ceceno Shamil Basaiev – accorrono in aiuto delle milizie separatiste, finché la situazione sul terreno non viene rovesciata e si arriva ad una tregua, firmata il 27 luglio 1993. Una pace precaria regna nelle due Repubbliche secessioniste fino al 2004, quando la Rivoluzione delle Rose e l’ascesa al potere in Georgia del nuovo leader, Mickail Saakasvili, gettano nuova benzina sul fuoco del nazionalismo georgiano, rinfocolando la speranza di poter riprendere il controllo sulle due Regioni ribelli. A tale scopo, la Georgia procede ad un massiccio riarmo: le spese per armamenti dal 2004 in poi crescono a ritmi vertiginosi, fino a sfiorare il 10% del Pil, una vera e propria follia per un Paese povero, che dipende dalle importazioni dall’estero, in particolare dalla Russia. Nasce così la guerra-lampo lanciata dalla Georgia con esiti disastrosi nella notte fra il 7 e l’8 agosto 2008. La reazione russa è infatti immediata e sproporzionata – come stabilirà un rapporto del Parlamento Europeo – e in soli cinque giorni di combattimenti la guerra farà 850 morti e 100mila sfollati, quasi tutti georgiani. La tregua firmata il 12 agosto su iniziativa della Ue congela inoltre una situazione decisamente favorevole ai separatisti, tant’è che – forti dell’appoggio russo – sia l’Abkazia che l’Ossezia del Sud dichiarano unilateralmente la propria indipendenza, nel settembre 2008.
UNHCR / Y. Mechitov
Il problema vero è che l’entità statale georgiana risulta troppo debole di fronte alla molteplicità di interessi etnici e di spinte regionalistiche che dilaniano il suo territorio. A questo si aggiunge la pressione della Russia, che in nome
Il Caucaso
Fin dai tempi dell’Impero Zarista, il Caucaso rappresenta il tallone d’Achille dell’espansionismo russo. Ai tempi dell’Unione Sovietica poi, in particolare negli anni 1937-1938, per ordine di Stalin molte di queste popolazioni vennero deportate in massa in Siberia, e questo ha ulteriormente contribuito ad alimentare l’odio per i russi. Delle sette Repubbliche autonome che compongono il Caucaso settentrionale e fanno parte oggi della Federazione Russa ben quattro presentano gravi problemi di sicurezza interna, dovuti alla presenza di gruppi armati che si oppongono al potere centrale ed hanno legami diretti o indiretti con il terrorismo di matrice islamica: la Cecenia, il Daghestan, l’Inguscezia e l’Ossezia del Nord. Non è più tranquilla la situazione nel Caucaso meridionale, del Sud, dove – oltre ai conflitti interni alla Georgia – non va dimenticata l’annosa questione del NagornoKaraback, che vede contrapposti l’Armenia e l’Azerbaijan.
Quadro generale
Mikhail Saakashvili (Tbilisi, 21 dicembre 1967)
Per lui è iniziato ormai il conto alla rovescia, visto che alle elezioni Presidenziali del 2013 non potrà più ricandidarsi, essendo già al secondo mandato. Ma i partiti di opposizione, che lo osteggiano ferocemente da anni, appaiono oggi più che mai divisi e ancora alla ricerca di un candidato che possa eguagliarne l’energia, la verve e il carisma. Va detto in effetti che, nei suoi 8 anni di presidenza, Mikhail Sakashvili ha marcato profondamente la vita politica della Georgia, nel bene e nel male, guidando per di più il Paese in alcuni passaggi storici delicatissimi: dalla Rivoluzione delle Rose del 2003, che lo vide fra i protagonisti in piazza, alla guerra lampo contro la Russia, nell’agosto 2008, che lo vide invece sul banco degli imputati, con l’accusa di scatenata e, soprattutto, di averla malamente persa. Il suo dunque è un bilancio controverso. È vero infatti che con Saakashvili la giovane democrazia georgiana ha fatto dei passi avanti – soprattutto se si tiene conto di quanto succede nel resto del Caucaso – ma è vero anche che in tema di diritti umani e civili l’attuale Presidente georgiano si è attirato spesso delle critiche, anche degli organismi internazionali, per l’uso troppo spregiudicato del proprio potere.
250mila sfollati in cerca di un futuro Sono quasi 250mila – su una popolazione di appena 5milioni – gli sfollati in Georgia dopo i conflitti degli anni ‘90 e la guerra del 2008. Molti di loro non hanno alcuna possibilità di rientrare nelle proprie abitazioni – perché sono state distrutte oppure si trovano in zone interessate dalla pulizia etnica – e solo pochi sono riusciti a trovare un lavoro, costretti perciò ad un accesso limitato per quanto riguarda l’assistenza sanitaria e la previdenza sociale. Non a caso, in occasione del terzo anniversario della guerra russo-georgiana, Amnesty International ha pubblicato un rapporto in cui si accusa esplicitamente il Governo di Tblisi di non fare abbastanza per alleviare la sorte di questa fetta non trascurabile di popolazione. Amnesty denuncia in particolare gli sgomberi forzati avviati nella capitale della Georgia nel luglio 2011, oltre ai mille già effettuati solo nell’ ultimo anno. “Le persone sradicate da una guerra – ha scritto Amnesty – hanno bisogno di ambienti stabili per ricostruirsi una vita”.
della difesa delle minoranze a lei legate, per storia e per lingua, continua a ritenere la Georgia parte integrante della sua tradizionale zona d’influenza. Mosca d’altronde non ha mai digerito la cosiddetta Rivoluzione delle Rose che nel novembre 2003 ha portato al potere a Tblisi l’attuale Presidente, Mikhail Saakashvili, considerato troppo filo-americano rispetto al suo predecessore, Eduard Shervardnaze. E da allora ha ingaggiato con le autorità georgiane una complicatissima partita a scacchi, di cui la guerra-lampo dell’agosto 2008 è solo una delle tante mosse, la più audace. Nel gennaio 2006, ad esempio, Mosca chiude senza preavviso i rubinetti del gas siberiano che rifornisce Tblisi; e nell’aprile dello stesso anno blocca le importazioni di vino georgiano. Le autorità di Tblisi replicano intensificando il dialogo con Bruxelles, per un ingresso ufficiale della Georgia nella Nato. Russia e Georgia si danno inoltre battaglia nella cosiddetta Guerra dei Gasdotti: Tblisi aderisce infatti e viene coinvolta nel tracciato del gasdotto Nabucco, che porterà in Europa gas e petrolio del Mar Caspio senza passare dal territorio russo; mentre Mosca vara in risposta due progetti di gasdotti alternativi, Northstream e Southstream, che escludono dal loro tracciato l’uno l’Ucraina e l’altro la Georgia. Per molti versi, vista la disparità delle forze in campo, sembra di assistere al confronto fra Davide e Golia. Non è casuale se in vista delle prossime scadenze elettorali – le parlamentari nel 2012 e le presidenziali nel 2013 – diverse forze di opposizione hanno deciso di riavvicinarsi a Mosca, auspicando che si instauri un dialogo, che ponga fine all’insostenibile contenzioso attuale.