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LA MONTAGNA RACCONTA ITINERARI STORICO-GEOLOGICI NELLE ALPI COZIE FRA IL COLLE DELLE FINESTRE E IL GRAN SERIN
Introduzione Le Alpi Cozie centro-settentrionali, e in particolare le alte vallate della Dora Riparia e del Chisone, ospitano un patrimonio di architettura militare e di storia che pochi altri luoghi della catena alpina occidentale possono mostrare al visitatore. Luoghi che in passato sono stati teatro di scontri sanguinari (la battaglia dell’Assietta del 1747 fra tutti), ma che oggi sono sempre più frequentemente visitati da escursionisti e da mountain bikers ansiosi di poter toccare con mano le tracce materiali lasciate dalla storia. Questi territori, tuttavia, sono in grado di mostrare all’osservatore un altro aspetto apparentemente lontano dalle vicende militari, ma che in realtà è ad esse strettamente legato: il paesaggio geologico. Proprio questo tratto della catena alpina occidentale è caratterizzato da un intreccio di elementi quali rocce, morfologie e processi naturali che hanno condizionato, di volta in volta favorendolo o impedendolo, lo svolgersi delle vicende militari. L’itinerario che qui viene proposto e illustrato si pone come obiettivo quello di abbinare questi due aspetti del paesaggio alpino, connubio assolutamente unico nel suo genere. Percorrendo i colli e le creste in cui si articola lo spartiacque tra la Valle di Susa e la Val Chisone non sfuggono i resti delle diverse opere militari realizzate negli ultimi secoli. Questo viaggio è oggi realizzabile percorrendo i resti dell’ottocentesca strada militare realizzata con lo scopo di collegare in quota il Colle delle Finestre all’altopiano dell’Assietta. Un capolavoro di ingegneria militare, se si pensa alle dimensioni dell’opera, alle quote lungo le quali si snoda la strada e alla severità dell’ambiente. In diversi tratti, inoltre, non di rado il tracciato ottecentesco intercetta una ancora più antica e ardita opera viaria (tratti della quale sono tuttora visibili o percorribili) rappresentata dalla mulattiera settecentesca, realizzata con un tracciato che, utilizzando la terminologia alpinistica, possiamo dire “direttissimo”. Esigenze diverse contrassegnarono infatti le diverse modalità costruttive delle due vie che percorrono la dorsale spartiacque. Più modesta nelle dimensioni, quelle settecentesca si contraddistingue per la scelta di raggiungere tutte le cime, mentre quella ottocentesca, tranne per la Cima Ciantiplagna, taglia a quote inferiori i versanti con modeste variazioni altimetriche.
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Lungo i due tracciati si snoda un impressionate corollario di testimonianze di un passato militare che è possibile riconoscere a ogni passo. Tra praterie alpine, campi di detrito, pareti rocciose ovunque è possibile osservare resti dei trinceramenti settecenteschi, opere di difesa ottocentesche, strutture utilizzate come ricoveri, stazioni ottiche, osservatori e camere da mina. Questo paesaggio militare si è innestato in un paesaggio naturale ricco di particolarità geologiche determinate dai quei processi che hanno portato alla formazione delle Alpi e alla loro recente evoluzione geomorfologica, elementi che rendono pertanto ancora più affascinante l’esplorazione di questo territorio.
L’itinerario in sintesi La strada militare che dal Colle delle Finestre raggiunge l’altopiano dell’Assietta passando poche decine di metri al di sotto della Cima Ciantiplagna è stata realizzata nel 1889. Larga tre metri si sviluppa su una lunghezza di circa 13.400 m. Dai 2.157 m s.l.m. posti appena sotto il Colle delle Finestre, il tracciato raggiunge il suo punto più alto sotto la vetta della Cima Ciantiplagna a 2.779 m per poi ridiscendere ai 2.551 m del Colle delle Vallette. Da qui prosegue in falsopiano sino ai baraccamenti del Gran Serin. Una leggera salita porta alla batteria del Gran Serin, poi la strada continua in discesa e raggiunge il Colle dell’Assietta a 2.472 m e di qui prosegue verso il Monte Gran Costa. A intervalli prestabiliti, lungo il tracciato, si trovano le pietre miliari che scandiscono le distanze. A volte, soprattutto nei pressi del Colle delle Finestre e nel tratto che sale verso la Punta del Mezzodì, sulle rocce poste accanto al tracciato si possono leggere le firme incise oltre un secolo fa dai militari: in prossimità del Colle della Vecchia, lungo il tracciato settecentesco, si segnala ad esempio la presenza della scritta “1886W”. Questo tracciato, realizzato a quote costantemente elevate e pertanto di difficile manutenzione (soprattutto nei periodi freddi), è stato sostituito nel 19361938 da una strada realizzata a quote sensibilmente meno elevate: con una lunghezza di circa 12.200 m e una larghezza di 4,50 m, essa si stacca dal Pian dell’Alpe e passando alla base dei versanti della Cima Ciantiplagna, della Cima delle Vallette, della Gran Pelà e del Gran Serin raggiunge in ultimo il Colle dell’Assietta (Fig. 1). Nelle pagine che seguono si intrecciano le indicazioni di tipo geologico con quelle storicomilitari. L’itinerario è stato diviso in varie parti ognuna accompagnata da una cartografia riportante le principali informazioni di carattere geologico-militare arricchita da una legenda. Le cartine, le immagini e il testo offrono al lettore le chiavi interpretative per leggere gli elementi che si incontrano sul terreno. L’invito è dunque quello di recarsi nei luoghi qui descritti e di lasciarsi conquistare dai paesaggi naturali e antropici che regalano a ogni passo nuovi ed emozionanti scenari.
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Fig. 1 - Visione d'insieme del tratto della dorsale spartiacque Susa-Chisone compreso tra il Monte Pintas e la Gran Pelà. È visibile il primo tratto della strada ex militare che dal Pian dell'Alpe conduce al Colle dell'Assietta.
La nascita della catena alpina Le Alpi sono una catena montuosa prodotta da una lunga e complessa storia geologica, avvenuta nel quadro generale della tettonica delle placche e delle modificazioni registrate dalla superficie terrestre. Protagonisti di tale storia sono stati due continenti, Europa e Africa, e un piccolo dominio oceanico interposto fra di essi, vissuto solo circa 100 milioni di anni (grossomodo tra 160 e 60 milioni di anni fa) ma i cui resti sono diffusamente presenti e riconoscibili nelle montagne alpine (Fig. 2). Nella Paleozoico superiore (all’incirca 300 milioni di anni fa) le terre emerse erano unite in un unico continente denominato Pangea. Tale continente subì una importante estensione crostale e nel tempo si frammentò progressivamente nei continenti dell’attuale configurazione del globo terrestre. In particolare, nella regione della Terra che “ospiterà” la formazione delle Alpi, intorno al Giurassico medio (circa 160 milioni di anni fa), si individuarono due blocchi continentali in progressivo allontanamento fra di loro (Figg. 3A e B): quello Europeo, situato ad NNO, e quello Africano (la cui terminazione settentrionale era rappresentata da Adria), posto a SSE. Questa condizione di stiramento e assottigliamento crostale determinò una importante fase di rifting, ossia di rottura della crosta terreste e formazione di crosta oceanica per fuoriuscita di materiale basaltico da una dorsale sommersa.
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Fig. 2 - Schema geologico semplificato delle Alpi Cozie centro-settentrionali. Il rettangolo rosso indica l'area nella quale si svolge l'itinerario
Fra i due i continenti in allontanamento si sviluppò così un dominio oceanico, detto oceano Ligure-Piemontese o Tetide Alpina, la cui genesi è connessa all’apertura dell’Atlantico centrale e al movimento relativo di Africa rispetto a Europa. La Fig. 3B illustra una sezione semplificata attraverso il dominio oceanico, compreso tra i due continenti. Il Brianzonese rappresenta un settore caratterizzato durante il Triassico
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inferiore e medio dallo sviluppo di importanti piattaforme carbonatiche (corpo roccioso calcareo di origine organica formato in mare basso e clima caldo). Durante il Cretaceo (all'incirca 100-90 milioni di anni fa), nel quadro di una generale riorganizzazione del contesto geodinamico, ebbe inizio una importante fase di convergenza tra i due continenti (Fig. 3C); l'oceano Ligure-Piemontese si trovò pertanto compresso tra di essi e cominciò progressivamente ad andare in subduzione (cioè ad immergersi) al di sotto del continente Africano fino a risultare definitivamente chiuso e scomparso nel Paleogene (intorno a 60-50 milioni di anni fa). Anche parte di Europa andò in subduzione. Come conseguenza, si verificò un evento di collisione continentale tra Europa e Africa, con formazione e progressivo sollevamento di una catena orogenetica caratterizzata dalla giustapposizione tettonica di unità (insiemi di rocce) oceaniche e continentali.
Fig. 3 - Evoluzione schematica delle Api Occidentali dal rifting giurassico all’orogenesi alpina. A) Apertura del Bacino oceanico Ligure-Piemontese nel Giurassico in relazione ai movimenti relativi tra Europa e Africa e all’apertura dell’Oceano Atlantico. B) Illustrazione semplificata della paleogeografia al Giurassico mediosuperiore con l’oceano Ligure-Piemontese sviluppato tra i due continenti Europa e Adria (propaggine settentrionale di Africa) in allontanamento tra di loro. È anche indicativamente riportato il livello del mare (lm). C) Durante il Cretaceo, in risposta alla convergenza fra i due blocchi continentali, ha inizio la progressiva subduzione del dominio Ligure-Piemontese, la cui completa chiusura porterà alla collisione continentale (semplificato da Beltrando et alii 2010).
Pertanto, rocce che originariamente costituivano l’oceano e i suoi margini continentali andarono prima in profondità, subendo così un aumento di pressione e di temperatura, e poi vennero esumate, ossia portate progressivamente verso l’alto in superficie dove ora affiorano: durante questa evoluzione le rocce furono variamente interessate da metamorfismo (processo di trasformazione mineralogica e strutturale allo stato solido) e da deformazione (risultando sia piegate in profondità sia dislocate e giustapposte tra di loro da vari tipi di faglie, ossia fratture con scorrimento relativo delle parti in contatto, a livelli più superficiali).
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L’originaria sequenza di rocce dell’oceano Ligure-Piemontese comprende un substrato di peridotiti più o meno trasformate in serpentiniti, gabbri e basalti e, verso l’alto, una successione di sedimenti di ambiente marino profondo. Questi sedimenti tipicamente consistono di livelli basali silicei (depositi ricchi di scheletri di Radiolari - protozoi caratteristici di alte profondità - la cui età Giurassico superiore vincola proprio l’età “minima” del dominio oceanico stesso) e calcarei, ai quali seguono alternanze di depositi pelagici variamente ricchi in componente carbonatica (quali ad esempio calcari marnosi, marne e argille) di generale età Cretacea e contenenti anche materiale detritico proveniente dal margine continentale o direttamente dal dominio oceanico stesso. Come detto sopra, queste rocce hanno subito profonde trasformazioni metamorfiche ed intense deformazioni che ne hanno modificato il loro aspetto originario. Le rocce delle Alpi Occidentali appartenenti originariamente al dominio oceanico (e poi trasformate dal metamorfismo) sono raggruppate nella cosiddetta Zona Piemontese o Zona dei Calcescisti con Pietre verdi (Fig. 2): essa è abbondantemente affiorante nelle Alpi Cozie (e in generale in tutte Alpi Occidentali) costituendo l’ossatura principale di molti rilievi montuosi. Nel dettaglio (come verrà illustrato durante gli itinerari proposti in questa guida), le rocce della Zona Piemontese sono suddivise in differenti unità (insiemi di rocce), considerando la loro storia metamorfico-deformativa, le loro differenze composizionali e/o la loro differente collocazione all’interno del bacino oceanico. Da un punto di vista generale, tali unità sono costituite da potenti volumi di rocce scistose (hanno cioè la proprietà di sfaldarsi in superfici parallele dette superfici di scistosità) rappresentate da prevalenti calcescisti (Fig. 4a), ossia rocce costituite da calcite, quarzo e mica (minerale lamellare che brilla alla luce) variamente alternati a micascisti (livelli più ricchi in mica). Nel loro insieme, queste rocce sono il prodotto metamorfico di fanghi più o meno calcarei depositati nel bacino oceanico. I calcescisti contengono anche porzioni di marmi (laddove la componente carbonatica primaria era particolarmente abbondante) e sono associati a filladi e scisti filladici (prodotto metamorfico di argille, Fig. 4b). Dato che nel loro insieme hanno spesso un aspetto “luccicante”, queste successioni ad abbondanti calcescisti nella letteratura francese sono state anche indicate come Schistes Lustrées. I livelli silicei basali, in conseguenza dei processi metamorfici, sono divenuti “quarziti radiolaritiche”, come quelle ben osservabili nei dintorni di Cesana (Monte Cruzore Champlas Seguin e lungo la strada per il Colle del Monginevro). Queste successioni di rocce scistose prevalentemente carbonatiche sono associate a masse e corpi di rocce più competenti con caratteristica colorazione tendente al verde, e pertanto dette Pietre Verdi: si tratta di serpentiniti, gabbri e basalti metamorfosati, testimonianze dirette dell’antico fondale oceanico. Il settore del Monviso e quello dello Chenaillet (quest’ultimo però sfuggito alle trasformazioni metamorfiche) sono esempi spettacolari di questo antico fondale oceanico. In particolare, gli originari basalti fuoriusciti dalla dorsale possono essere stati trasformati in prasiniti, rocce metamorfiche a gran fine costituite da albite (in genere biancastro e a forma di piccoli “occhietti”) e da una serie di minerali tendenti al verde quali epidoto, clorite e anfibolo.
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Fig. 4 - Esempi di rocce della Zona Piemontese: a) calcescisti carbonatici; b) micascisti filladici; c) basalti con tipica forma a cuscino (a pillows); d) serpentiniti. Notare il colore tendente a varie tonalità di verde delle rocce (c, d) appartenenti appunto al gruppo delle Pietre Verdi.
Con il termine “ofioliti” si indicano proprio le rocce del fondale oceanico coinvolte nei processi orogenetici e inglobate nella catena montuosa. La dorsale Susa-Chisone (Fig 2), lungo la quale si sviluppano gli itinerari proposti nella presente guida, è costituita da diverse unità oceaniche (Unità dei Calcescisti con Pietre Verdi, Unità di Cerogne-Ciantipalgna e Unità del Lago Nero), le cui originarie rocce hanno subito trasformazioni metamorfiche raggiungendo anche pressioni intorno agli 11-12 kbar e temperature di 400-500°C. Questa dorsale offre in vari punti panorami che permettono di identificare i principali caratteri geologici delle porzioni medio-alte della Valle di Susa e della Val Chisone. La Valle di Susa (Fig. 2) presenta la giustapposizione tettonica di differenti unità oceaniche e di margine continentale. Nel panorama verso l’alta valle (Fig. 5a), la cresta che dal Monte Seguret prosegue verso il Vallonetto è costituita da successioni di calcari e dolomie (indicate
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nella Fig. 2 come appartenenti al Brianzonese e Piemontese di margine continentale), ben riconoscibili per il loro colore chiaro, da nocciola giallastro, e la loro aspetto “carsico”: queste rocce testimoniano lo sviluppo di importanti piattaforme carbonatiche durante il Triassico e ora, in conseguenza della complessa storia geologica che ha portato alla formazione delle Alpi, si trovano in posizione geometrica superiore rispetto all’Unità continentale dell’Ambin.
Fig. 5 - Panorami della Valle di Susa ripresi dal Bric di Mezzodì (vedi anche itinerario n. 4).
L’Unità continentale dell’Ambin affiora nel tratto di fondovalle compreso tra Savoulx e Venaus all’imbocco della Val Cenischia (Fig. 5b), e prosegue verso Nord nell’omonimo gruppo montuoso fino alla Val d’Arc in Francia. Tale unità (la quale comprende in realtà due distinte sottounità dette di Clarea e di Ambin) è costituita nel suo insieme da svariati tipi di micascisti e gneiss, derivati da originarie successioni sedimentarie e corpi magmatici preTriassici, e da una serie di rocce di età triassico-cretacica che affiora solo localmente; in particolare, i livelli basali di questa ultima serie sono caratteristiche quarziti bianche (prodotto metamorfico di originari depositi litoranei), ben osservabili nelle pareti di fronte l’abitato di Oulx e nel settore della Rognosa di Etache.
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Le unità oceaniche sono costitute da successioni di prevalenti calcescisti (generalmente grigiastri e come detto sopra spesso “luccicanti”) con intercalazioni di ofioliti. Nei panorami della Fig. 5, affiorano al di sopra delle unità carbonatiche di margine continentale nel tratto superiore della Valle di Susa (Fig. 5a) e direttamente sull’Unità di margine continentale dell’Ambin nel settore della Val Cenischia (Fig. 5b). Il versante sinistro della Val Cenischia e l’imponente piramide del Rocciamelone sono costituiti da unità oceaniche separate da livelli di carniole (rocce carbonatiche di aspetto vacuolare, spesso contenenti gesso e piccoli clasti di altri rocce) ben identificabili per la loro colazione giallastra nella Fig. 5b. Nella parte media della valle immediatamente a Sud dell’abitato di Susa (Fig. 2) affiora l’Unità di margine continentale del Dora-Maira (che nel quadro delle Alpi occidentali si estende proprio tra la Valle delle Dora e la Val Maira), costituta anch’essa da vari tipi di micascisti e gneiss e da una potente successione di marmi e metadolomie. L’alta Val Chisone è impostata in unità oceaniche, rappresentate da potenti successioni di calcescisti e micascisti (Fig. 6). Questi si estendono dalla zona del Colle di Sestriere fino all’abitato di Mentoulles (a valle di Fenestrelle), lasciando poi spazio agli gneiss e micascisti dell’Unità del Dora Maira.
Fig. 6 - Panorami della Val Chisone ripresi dalla strada per il Colle delle Finestre (a, vedi itinerario n. 1) e dalla strada che conduce alla Cima Ciantiplagna (b, vedi itinerario n. 5).
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L'evoluzione recente del paesaggio alpino A partire dalla fine del Pleistocene inferiore (circa 800.00 anni dal presente) un rapido deterioramento climatico determinò il passaggio da condizioni di tipo caldo-umido a un periodo caratterizzato da forti contrasti climatici: a periodi interglaciali con clima umidotemperato simile a quello attuale si sono alternate fasi glaciali sensibilmente più fredde, con temperature estive ed invernali più basse di circa 8-10°C rispetto alle attuali. In funzione del progressivo accentuarsi dei picchi di oscillazione dei cicli climatici, alla morfogenesi legata all'acqua incanalata e alla gravità si è quindi aggiunta con sempre maggior frequenza l'azione esercitata dal modellamento glaciale. A questo intervallo temporale, protrattosi fino alle fasi terminali del Pleistocene superiore (circa 18.000 anni dal presente), sono infatti stati attribuiti i depositi glaciali diffusamente conservati nelle vallate delle Alpi Cozie e connessi ad almeno due distinte glaciazioni. L'esarazione glaciale ha avuto un duplice ruolo: ha rimodellato e risagomato l'originaria morfologia pre-glaciale dei versanti e al contempo ha determinato un significativo approfondimento dei solchi vallivi in funzione della natura, dell'erodibilità e della mobilità tettonica dei rilievi attraversati. Tracce della morfogenesi glaciale sono conservate all'interno di tutte le principali vallate alpine e lungo i maggiori bacini tributari, con spettacolari esempi proprio in Valle di Susa e in Val Chisone. Tra le forme di esarazione glaciale in roccia, particolarmente frequenti sono le superfici montonate, i dorsi di cetaceo e le conche di sovraescavazione che attualmente ospitano i numerosi laghetti presenti soprattutto nei settori di circo d'alta quota (es. Lago Grande e Lago Piccolo del Gran Serin). Nei tratti medi ed inferiori delle valli glacializzate, ove sono invece prevalsi i processi di accumulo del materiale eroso nei settori a monte, sono più o meno abbondantemente conservati i depositi glaciali di fondo e di ablazione, questi ultimi spesso accompagnati in superficie dalla presenza di massi erratici anche di dimensioni ciclopiche. Al margine delle lingue glaciali i depositi sono spesso organizzati a formare cordoni e cerchie moreniche, ciascuno dei quali corrisponde a distinti episodi di stazionamento più o meno prolungati dei ghiacciai. In base alla distribuzione dei depositi dell'ultima massima espansione glaciale verificatasi tra 30 e 19 mila anni dal presente, i ghiacciai che occupavano le testate dei bacini tributari confluivano e defluivano per lunghi tratti anche lungo i principali fondovalle, come ad esempio in Valle di Susa. Tuttavia, solo il ghiacciaio segusino raggiungeva lo sbocco in pianura dando luogo all'insieme di forme e depositi che costituiscono l'Anfiteatro Morenico di Rivoli-Avigliana (Fig. 7). Negli altri casi la fronte delle lingue glaciali si attestavano invece all'interno delle valli (es.: Val Chisone e Val Germanasca), raggiungendo spessori, quote e posizioni diverse a seconda dello sviluppo plano-altimetrico e dell'esposizione dei relativi bacini di alimentazione. Talvolta l’estensione limitata e l’altimetria relativamente bassa che caratterizza alcuni bacini ha consentito unicamente lo sviluppo di masse glaciali localizzate che non hanno mai raggiunto i fondovalle principali: nel corso dell'ultima glaciazione, ad esempio, la fronte del ghiacciaio della Valle del Chisonetto non oltrepassava il tratto di
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fondovalle attualmente occupato dall'abitato di Borgata, senza quindi confluire nel sottostante ghiacciaio proveniente dalla Val Troncea.
Fig. 7 - Schema dei deflussi nel corso dell'ultima glaciazione. GDR: Ghiacciaio della Dora Riparia. GTR: Ghiacciaio della Val Troncea. GCH: Ghiacciaio del Chisone. AMRA: Anfiteatro Morenico di Rivoli-Avigliana.
A partire dai 18.000 anni dal presente, con l'incremento delle temperature le masse glaciali subirono una rapida riduzione di volume attestandosi con le proprie fronti in posizioni sempre più prossime alle testate dei bacini; le fasi di ritiro sono testimoniate da morene cataglaciali conservate in più punti lungo gli assi vallivi, come nel caso del gruppo di archi morenici frontali conservati in prossimità dell'abitato di Cesana Torinese che testimoniano le varie fasi di stazionamento del Ghiacciaio del Ripa prima del suo definitivo arretramento nella Val Thuras e nella Valle Argentera. All'inizio dell'Olocene la maggior parte dei rilievi alpini si presentavano ormai privi di masse glaciali; solo nei settori altimetricamente più elevati e più
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protetti dei principali massicci rocciosi (Ambin-Vallonetto, Roc del Boucher) resistevano ghiacciai di circo di modesta estensione. Una rapida inversione di tendenza nell’andamento della deglaciazione si è verificata nel corso della Piccola Età Glaciale, verificatasi tra il 1350 e il 1850 d.C. per effetto di una repentina diminuzione delle temperature medie che ha determinato una sia pur limitata riavanzata (dell’ordine delle decine o delle centinaia di metri) delle fronti glaciali. Attualmente le uniche masse glaciali presenti nelle Alpi Cozie settentrionali sono rappresentate dal Ghiacciaio dell'Agnello (alla testata della Val Clarea). Contemporaneamente al progressivo ridimensionamento del ruolo svolto dal glacialismo, sono subentrate la morfogenesi gravitativa, diffusa lungo i versanti, e quella fluvio-torrentizia, concentrata sui fondovalle. Nel primo caso frane e collassi gravitativi profondi in roccia hanno coinvolto estesi settori di versante (talvolta con superfici dell'ordine delle decine di chilometri quadrati di estensione), obliterando o traslando verso valle le tracce connesse al modellamento glaciale pleistocenico. Spesso l’entità delle deformazioni gravitative è tale da aver profondamente modificato l’originario assetto plano-altimetrico dei versanti, creando morfologie del tutto particolari: lungo tutta la dorsale spartiacque Susa-Chisone, nel tratto compreso tra il Colle delle Finestre e il Monte Fraiteve, sono presenti fenomeni di sdoppiamento o triplicamento del profilo di cresta, trincee e depressioni chiuse di grande diametro che talvolta, come al Col Blegier, ospitano torbiere di elevato pregio naturalistico. L'attività fluvio-torrentizia ha invece completamente obliterato, seppellendola con i propri apporti detritici, l'impronta glaciale. L'importanza della dinamica torrentizia è evidenziata dall'ingente volume di depositi accumulatisi negli ultimi 20.000 anni e che costituiscono le grandi pianure di fondovalle e i numerosi conoidi torrentizi e di debris flow che si raccordano ai versanti. L'intensità di questi processi è testimoniata anche dall'elevata frequenza (talvolta a cadenza annuale) con cui le vallate alpine vengono colpite da eventi alluvionali di varia intensità ed estensione areale: fra gli eventi alluvionali storici che hanno avuto un maggiore impatto sul territorio delle Alpi Cozie si ricordano quelli verificatisi nel 1705, 1728, 1948, 1957, 1977 e nel 2000. In taluni casi, i processi gravitativi e quelli torrentizi mostrano di aver tra loro interagito: è il caso di alcuni collassi gravitativi evolutisi rapidamente che hanno in parte o del tutto sbarrato i fondovalle: ciò ha causato la formazione nei tratti a monte di specchi d'acqua naturali, ora estinti, il cui riempimento ha dato luogo ad estese pianure alluvionali intravallive: fra queste le pianure intravallive di Pourrieres e di Pragelato in alta Val Chisone e quella di Oulx-Salbertrand in Valle di Susa. In tempi storici la morfologia del territorio di queste vallate, ricca di vie di transito, è stata inevitabilmente valutata anche dal punto di vista militare. Punto di vista che è cambiato nel corso del tempo tenendo conto della tecnologia applicata alle armi da fuoco, dalle concezioni dell’arte fortificatoria e dai contesti politici. In tutta l’area, infatti, è possibile riscoprire diverse testimonianze della lunga gara intrapresa tra il cannone e la difesa, competizione fatta di innovazioni scientifiche che hanno portato da una parte il miglioramento della gittata e della capacità distruttiva delle bocche da fuoco, dall’altra una continua ricerca di nuove soluzioni architettoniche con l’utilizzo di materiali sempre più performanti. Non solo, potendo
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utilizzare anche per le difese delle armi sempre più potenti, i concetti relativi alla distribuzione e collocazione delle opere si sono via via anch’essi modificati. A ciò si aggiunge il dilatarsi dei tempi della campagna di guerra compiuta nel teatro alpino che se sino a buona parte dell’Ottocento si era concentrata nel periodo estivo, quando cioè i passi erano liberi dalla neve, e dunque transitabili dalle artiglierie, poco alla volta ha costretto i soldati dei diversi schieramenti a confrontarsi duramente anche d’inverno.
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1. Il Colle delle Finestre: un valico di passaggio e di “rottura” geologica
Il Colle delle Finestre (2.178 m) (Punto 1a) costituisce un evidente elemento di discontinuità altimetrica lungo la dorsale Susa-Chisone (Fig. 8): la sua origine è dovuta alla presenza di una importante zona di faglia (Faglia del Colle del Finestre) ad andamento meridiano, la quale si estende dalla città di Susa, a Nord, fino al Colle dell’Albergian a Sud separando diverse unità oceaniche (Fig. 9). Osservando in particolare le rocce affioranti ad Ovest e ad Est del colle è possibile notare alcune differenze composizionali: la perfetta piramide triangolare della Francais Pelouxe (2.772 m) che domina sul lato Est il colle è infatti costituita dalla Unità oceanica dei Calcescisti con Pietre Verdi, rappresentati in questo settore da calcescisti di colore beige-
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giallastro particolarmente ricchi nella frazione carbonatica e di aspetto alquanto massiccio, contenenti intercalazioni di rocce verdi, quali serpentiniti e prasiniti. Rocce verdi sono bene individuabili ad esempio in vari punti lungo la strada asfaltata che dopo l’Alpe Pintas conduce al Colle delle Finestre (Fig. 9).
Fig. 8 - La perfetta geometria triangolare del versante occidentale della Francais Pelouxe sovrastante il profondo intaglio del Colle delle Finestre. La freccia indica la posizione del forte tardo-ottocentesco realizzato a presidio del colle. Sulla sinistra è visibile un tratto della strada ex militare che conduce alla Cima Ciantiplagna e quindi al Colle dell’Assietta.
Per contro, il rilievo del Monte Pintas (2.526 m), sul lato Ovest del colle, è costituito invece dalla Unità Cerogne-Ciantiplagna, rappresentata da calcescisti e micascisti carbonatici (rocce nelle quali la frazione micacea prevale decisamente su quella carbonatica) con minori intercalazioni di serpentiniti e metabasiti. Al Colle delle Finestre, gli affioramenti di rocce verdi dell’Unità dei Calcescisti con Pietre Verdi hanno forma allungata in quanto pizzicate lungo la zona di contatto tra le due unità precedentemente descritte (Fig. 9). Il movimento
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associato alla giustapposizione di queste distinte unità ha determinato l’intensa fratturazione di una zona di diverse decine di metri ai lati della superficie di contatto principale: condizione di debolezza, questa, che ha consentito ai processi di erosione esplicatisi per lungo tempo in superficie di intaccare e asportare con notevole efficacia le rocce maggiormente frantumate, mettendo così in evidenza dal punto di vista morfologico la presenza della faglia.
Fig. 9 - Schema geologico semplificato della zona del Colle delle Finestre (tratto da Baggio et alii, 2002).
Su una delle masse serpentinitiche, posta in leggero rilievo rispetto alla quota del valico, nell’ultimo decennio del XIX secolo venne realizzata l’opera fortificata posta a presidio del colle. Dal colle è possibile apprezzare la potenza delle unità di calcescisti oceanici (Unità dell’Albergian) affioranti in Val Chisone fino al Colle del Sestriere (vedi Fig. 6a). Proprio per la sua quota relativamente bassa e la morfologia dei rispettivi versanti settentrionale e meridionale, il Colle delle Finestre da sempre ha rappresentato un valico relativamente facile da superare, garantendo un rapido collegamento tra la Valle di Susa e l’alta Val Chisone. Nei secoli scorsi, la sua importanza strategica nel movimento delle truppe non era, di conseguenza, sfuggita agli strateghi militari, soprattutto in un territorio di frontiera come questo. Occorre infatti ricordare che l’alta Val Chisone, a partire da Meano, e l'alta Valle di Susa, a partire da Chiomonte, erano state per lungo tempo francesi. Le testate delle due valli vennero conquistate dal duca sabaudo Vittorio Amedeo II solo nella campagna del 1708 svoltasi nel corso della guerra di successione spagnola. Il passaggio di questi territori a casa Savoia venne quindi ratificato con il trattato di Utrecht del 1713.
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Precedentemente, ovvero alla fine del XVI secolo, assistiamo ad alcuni tentativi organizzati dai sabaudi per entrare nelle vallate. Una via di penetrazione era stata individuata proprio attraverso il Colle delle Finestre, presidiato per l’occorrenza da truppe francesi. Trascorso un secolo, diversi documenti lo descrivono come un luogo difeso da trinceramenti (lunghe mura in pietra dietro le quali i difensori si riparavano) e ridotte (piccole opere difensive). Con lo scoppio della guerra di successione spagnola le Alpi Occidentali tornano nuovamente ad essere teatro di scontri. Le strutture del Colle delle Finestre vengono di conseguenza interessate da nuovi lavori che ne rafforzano la capacità difensiva. Tuttavia, durante la campagna del 1708, nulla possono contro l’investimento da parte delle truppe sabaude avvenuto nei primi giorni d’agosto. Vittorio Amedeo II ordina immediatamente ulteriori lavori da compiersi presso il colle che, considerata la sua importanza strategica, viene continuamente presidiato, anche d’inverno. Quarant’anni più tardi, durante la guerra di successione austriaca, temendo un imminente attacco in questo settore, vengono intensificati i lavori di fortificazione sull’intera dorsale. Durante la celebre battaglia dell’Assietta del 19 luglio 1747 il Colle delle Finestre occupa una posizione di immediata retrovia e non viene dunque interessato direttamente dallo scontro.
Fig. 10 - a) La caserma difensiva del Colle delle Finestre come si presenta oggi sul versante segusino. b) La batteria ottocentesca osservata salendo lungo la cresta sud-orientale del Monte Pintas. Sulla spianata si notano chiaramente i pozzetti che ospitavano le due installazioni dei cannoni a scomparsa.
Trascorso il periodo napoleonico (1799-1814), con la formazione dello stato italiano si ripropone la questione della protezione della frontiera. Con l’accordo stipulato nel 1882 dal Regno d’Italia con gli imperi di Germania e Austria, nuovi cantieri militari sorgono nei settori alpini situati verso il confine francese. In particolare, al Colle delle Finestre, nel 1891 viene realizzato il fortino che occupa la parte centrale del valico (Fig. 10) (Punto 1b). Accostata e riparata dalla roccia viene edifica anche la caserma fortificata. Due ponti disposti ad angolo retto e sostenuti da un traliccio metallico rendevano possibile l’accesso: di questi quello più interno, levatoio, permetteva l’interruzione della comunicazione. Interiormente i locali erano
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strutturati per poter ospitare un presidio che poteva raggiungere i 130 uomini. Alle spalle di questa struttura, sul versante della Val Chisone, un collegamento sotterraneo conduceva alle due postazioni d’artiglieria ricavate in altrettanti pozzi. Qui erano collocati 2 cannoni da 57 mm con affusto a scomparsa modello Gruson (Fig. 11). Pochi anni dopo, durante la Prima Guerra Mondiale la batteria viene disarmata e l’armamento condotto sul fronte orientale rivolto verso l’Austria. Il Colle delle Finestre è oggi facilmente raggiungibile in auto o in bici da entrambi i versanti. Oltre ad alcuni resti delle opere precedenti, è possibile visitare dall’esterno il sito ospitante il fortino del 1891.
Fig. 11 - a) I resti del pozzo che ospitava l’installazione del cannone a scomparsa nella batteria tardoottocentesca al Colle delle Finestre. b) Fortino e batteria occasionale del Colle delle Finestre, pianta e sezioni, 1889-1892 (Archivio 1° Reparto Infrastrutture Torino).
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2. Il Colle di Fattière
Dal Colle delle Finestre si diparte la strada ottocentesca, interdetta al traffico motorizzato e che in quota raggiunge l’altopiano dell’Assietta, sovrapponendosi in alcuni punti alla mulattiera settecentesca il cui tracciato raggiunge il vicino Colle delle Fattière (Fig. 12a). Oltrepassati i primi due tornanti, la strada ottocentesca è costeggiata in vari punti da rocce appartenenti all’Unità Cerogne-Ciantiplagna e con scistosità principale immergente verso Ovest: si tratta di una alternanza di prevalenti calcescisti carbonatici e di micascisti grigiastri, i quali talvolta tendono a una colorazione bluastra per la presenza di glaucofane (minerale ricco in sodio appartenente al gruppo degli anfiboli e tipico di condizioni metamorfiche di alta pressione). Giunti nei pressi di una fontana (quota 2.305 m) (Punto 2a) è possibile effettuare una deviazione imboccando sulla destra la traccia della mulattiera settecentesca: questa risale il pendio erboso in direzione dei ripetitori collocati sulla cresta di calcescisti.
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Fig. 12 - a) Il Colle delle Finestre e, sullo sfondo, la cresta verso il Colle delle Fattière e il tracciato della strada ottocentesca. b) Lungo il tracciato stradale e nei pressi delle fortificazioni non di rado si possono scoprire le scritte incise in varie epoche sulla roccia dai soldati in servizio.
In alternativa, dal Colle delle Finestre è possibile percorrere la cresta erbosa che sale in direzione dei ripetitori seguendo i resti ancora ben visibili degli antichi trinceramenti che collegavano i due punti fortificati (Fig. 13, Punto 2b).
Fig. 13 - a) Resti dei trinceramenti realizzati lungo il tratto di cresta che unisce il Colle delle Finestre al Monte Pintas. b) Resti delle fortificazioni nei pressi del Colle delle Fattière.
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Giunti sulla vetta del Monte Pintas (Colle delle Fattière), si possono notare resti di muretti e diversi altri manufatti, fra i quali alcuni terrapieni e fossi che, disegnando sul terreno dei piccoli rilievi ad andamento spezzato e ricoperti dalla cotica erbosa, rivelano la presenza dei trinceramenti difensivi realizzati nel XVIII secolo (Punto 2c). Questi, oltre a collegarsi con i trinceramenti che risalgono dal Colle delle Finestre, proseguono in due direzioni: una segue verso OSO la cresta spartiacque Susa-Chisone, l’altra occupa la dorsale che scende verso la Valle di Susa. Sul terreno, oltre ad alcune piccole ridotte, si può scorgere l’andamento delle difese irrobustite da alcune tenaglie. I trinceramenti presentano degli angoli rivolti verso l’esterno, accorgimento che permetteva il controllo e la difesa ravvicinata della linea difensiva contigua. Le tenaglie, invece, normalmente realizzate al termine dei trinceramenti, erano rappresentate sempre da due tratti di trinceramento con l’angolo centrale rientrante all’interno rispetto ai laterali: elemento, questo, che permetteva una migliore difesa del fronte estremo del complesso trincerato maggiormente esposto all’attacco del nemico. In virtù della notevole posizione panoramica (Fig. 14) verso la fine dell’Ottocento, sui resti delle realizzazioni precedenti, viene realizzato un piccolo osservatorio.
Fig. 14 - a) Dal Colle delle Fattière e dal Monte Pintas si può ammirare uno splendido paesaggio: sullo sfondo, a sinistra, si può osservare il Colle del Moncenisio con il suo bacino artificiale; a destra spicca invece la piramide del Rocciamelone. b) Gli attuali “custodi” dei trinceramenti: non è raro incontrare camosci o cervi.
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3. Il Colle della Vecchia: sulle tracce degli antichi ghiacciai e della “vecchia”
Ritornati sulla strada ottocentesca, all’altezza della prima curva a destra (Punto 3a) è possibile osservare una massa di pietre verdi intercalata a prevalenti micascisti carbonatici, costantemente immergenti verso Ovest. Proseguendo ulteriormente, poco dopo aver superato un primo scosceso vallone, in un punto in cui la strada compie una curva verso destra appoggiandosi a una ripida dorsale, sul muro di sostegno esterno si può notare una scala in pietra che consente la discesa verso un piccolo colletto roccioso sottostante (Fig. 15, Punto 3b). Qui si trovano le due camere di mina scavate al di sotto del piano stradale: in caso di bisogno potevano essere riempite di esplosivo e fatte brillare con lo scopo di ottenere
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un’interruzione stradale in un punto particolarmente esposto. Considerata la particolare conformazione del luogo, si consiglia la piccola deviazione solo agli escursionisti esperti.
Fig. 15 - a) Le camere di mina collocate in un punto strategico della strada ottocentesca prima di giungere al Colle della Vecchia. b) Interno di una camera di mina che, in caso di bisogno, veniva riempita di esplosivo e fatta esplodere interrompendo così la via di comunicazione in un punto particolarmente impervio.
Continuando nel percorso, si possono osservare negli affioramenti lungo strada calcescisti e micascisti variamente piegati, e traguardando le creste tagliate dalla strada si vede come queste rocce siano interessate da sistemi di fratture circa sub-parallele al versante principale (Fig. 16). Dopo aver superato con repentine e ardite curve alcuni bastioni rocciosi, l’ex strada militare giunge al Colle delle Vecchia (Fig. 17a, Punto 3c). Non si tratta di un vero e proprio valico montano come il toponimo lascerebbe intendere, quanto piuttosto del punto più depresso del ciglio della scarpata che separa l’imponente Vallon Barbier dal ripido versante che domina il Pian dell’Alpe. Un elemento del tutto caratteristico è la presenza di un grosso blocco di calcescisto aguzzo bizzarramente modellato dall’erosione noto come il “dente della Vecchia” e posizionato a 2.497 m proprio nel bel mezzo del colle, apparentemente in precario equilibrio sul sottostante Pian dell’Alpe. La sua presenza non è del tutto casuale e trova una logica spiegazione osservando con attenzione il passaggio circostante. Il Vallon Barbier (Fig. 17c, Punto 3d) rappresenta infatti un bell’esempio di anfiteatro montano che nel corso dell’ultima glaciazione, conclusasi circa 18.000 anni dal presente, era occupato da una imponente massa di ghiaccio che si innestava alla base della Cima Ciantiplagna. Il ghiaccio, accumulatosi in una originaria depressione del versante e venutosi gradualmente a ispessirsi, iniziò un lento movimento verso valle durante il quale esercitava la propria azione erosiva a
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spese del substrato roccioso, costituito unicamente da calcescisti non sufficientemente resistenti per potersi opporre con efficacia all’esarazione glaciale.
Fig. 16 - a) Successione di calcescisti e micascisti piegati. b) traccia di sistemi di fratture ad andamento subparallelo al versante principale.
Ne sono testimoni non solo la morfologia d’insieme del vallone, ma anche le numerose superfici levigate che è possibile osservare un po’ ovunque (Fig. 17c). Giunto in corrispondenza del Colle della Vecchia il ghiacciaio aumentava improvvisamente la propria velocità formando, molto presumibilmente, una imponente bianca seraccata che si gettava, con un salto di circa 600 m, sul sottostante Pian dell’Alpe. Progressivamente esauritasi la fase di acme glaciale e accresciutesi le temperature, per effetto dei processi di fusione di anno in anno sempre più intensi il ghiacciaio subì una rapida contrazione: parallelamente il ghiacciaio abbandonava alla propria fronte il materiale roccioso da esso stesso inglobato nel breve tratto a monte, costituito da clasti e blocchi anche di grandi dimensioni: fra questi ultimi anche il “dente della Vecchia”. La particolare collocazione del “dente” ha stimolato nel tempo la nascita di alcune credenze popolari. Citiamo qui una leggenda raccolta e pubblicata dal ricercatore pinerolese Diego Priolo, della quale sono protagonisti due giovani pastori che, come ogni sera, erano intenti a radunare il loro gregge per ricondurlo in basso. Ad un tratto si accorsero della mancanza di un capretto. Malgrado l’ora tarda, oramai annunciatrice dell’imminente arrivo del buio, partirono alla ricerca del giovane animale. Perlustrarono tutto il versante compreso tra il Monte Pintas e la Cima Ciantiplagna senza tuttavia trovarne traccia. Infreddoliti e stanchi raggiunsero il colle. Una nebbia bianca e impenetrabile li avvolse e in mezzo ad essa videro la Vecchia: si trattava di una anziana signora che con il suo nero mantello stava coprendo il capretto.
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Fig. 17 - a) Il versante meridionale del Colle della Vecchia con la caratteristica morfologia a “U” tipica dei solchi glaciali. La linea tratteggiata indica il profilo della lingua glaciale che dal Vallon Barbier si gettava nel sottostante Pian dell’Alpe. b) Il particolare profilo del “dente della Vecchia”, situato in corrispondenza dell’omonimo colle, silenzioso guardiano posto all’imbocco del Vallon Barbier. Sullo sfondo è visibile la cresta spartiacque che separa la Valle Germanasca dalla Val Chisone: da sinistra a destra si riconoscono il Becco dell’Aquila, il Truc Cialabrie e il Bric Rosso. c) Il brullo, arido e selvaggio paesaggio del Vallon Barbier, profondo solco roccioso modellato dall’erosione glaciale.
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I due pastorelli diventarono sempre più preoccupati in quanto sapevano dai racconti degli anziani che la Vecchia si impossessava delle pecore e delle capre che si allontanavano dai greggi. Nel frattempo, a valle, gli abitanti si accorsero del ritorno del gregge, ma non trovarono ad accompagnarlo i loro giovani conduttori. Radunatisi, partirono alla ricerca dei due giovani. Dopo lunghe e infruttuose ricerche, all’alba raggiunsero finalmente il colle: qui i due pastorelli dormivano protetti dal mantello nero della Vecchia con accanto il capretto. Della misteriosa donna non si seppe più nulla, rimase solo un grosso masso sul colle, il “dente della Vecchia”, che da allora la ricorda. Ancora di recente alcuni abitanti della Val Chisone raccontavano che durante le loro escursioni, scendendo dalla Cima Ciantiplagna e passando al Colle della Vecchia, avevano mantenuto l’usanza di baciare, in segno di rispetto, la base del dente.
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4. La stazione eliografica della Punta del Mezzodì: le comunicazioni si moltiplicano
Dal Colle della Vecchia la strada militare si inoltra nel selvaggio Vallon Barbier, costituito quasi esclusivamente da calcescisti grigi particolarmente carbonatici, attraversati da lunghe e profonde fratture che consentono all’acqua meteorica di penetrare rapidamente nella roccia: in questa regione mancano del tutto le sorgenti e i deflussi superficiali sono pressoché inesistenti, elementi che conferiscono un aspetto particolarmente inospitale a quel paesaggio. Talvolta è possibile osservare sugli affioramenti la complessa storia deformativa subita dalle rocce, testimoniata da pieghe messe in luce dall’alterazione superficiale (Fig. 18) Una volta che seguendola si raggiunge la cresta spartiacque, si ha una bella visione panoramica della Valle di Susa (cfr. Fig. 6b): in particolare si erge subito di fronte a noi la
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imponente massa di calcescisti che costituisce la piramide il Rocciamelone. Guardando verso Est si nota invece la cresta del Monte Pintas, il cui versante settentrionale è tappezzato da abbondante detrito di calcescisto.
Fig. 18 - a) affioramenti di calcescisti carbonatici verso la testata del Vallon Barbier: i processi di alterazione superficiale hanno messo in risalto le complesse strutture a pieghe. b) abbondante detrito lungo il versante settentrionale della cresta del Monte Pintas.
Dopo una serie di stretti tornanti si giunge ad un piccolo fabbricato in muratura diroccato situato a poche decine di metri dalla Punta del Mezzodì (2.643 m) (Fig. 19, Punto 4a). Da quest’ultimo rilievo è possibile scorgere una visione completa della Valle di Susa (cfr. Fig. 5). L’edificio, situato nel cuore del sistema difensivo Moncenisio-Exilles-Fenestrelle, ospitava una stazione eliografica in attività tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Uno dei tanti problemi con cui si erano dovuti confrontare i progettisti di fortificazioni era infatti rappresentato dalle comunicazioni. Queste, importanti in tempo di pace, diventavano essenziali in caso di guerra. Nella Val Chisone i soldati avevano predisposto dei segnali in punti strategici, costruiti in legno, che in caso di avvistamento di truppe nemiche venivano accesi. Nel forte di Fenestrelle, inoltre, erano stati preparati dei cannoni che, in caso di necessità, avvertivano dell’imminente pericolo con lo sparo di una salva. Questa soluzione veniva applicata anche in caso di diserzioni nei presidi. Con la costruzione di numerose opere difensive sull’intero arco della frontiera italo-francese, alla fine dell’Ottocento il problema delle comunicazioni era stato risolto con la costruzione delle cosiddette stazioni ottiche: erano costituite da modesti edifici, a volte integrati da un piccolo locale atto a ospitare gli addetti, che attraverso l’utilizzo di specifiche apparecchiature in grado di generare segnali luminosi potevano ricevere e ritrasmettere messaggi. Una di queste strutture era situata proprio nei pressi della Punta del Mezzodì. Questa stazione era in comunicazione visiva con il forte delle Valli di Fenestrelle, con Susa, con la batteria Pampalù e il Moncenisio, con la vicina stazione del Gran Serin situata nei pressi del Lago Grande e con Bussoleno, da cui si manteneva in collegamento con la Sacra di San Michele e da qui a Torino. Non era l’unica struttura presente in zona in quanto, oltre alla già citata stazione del Lago Grande del Gran Serin (che era in
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comunicazione con quelle del Gran Costa, Punta del Mezzodì, batteria Pampalù e Serre la Garde), ne troviamo un’altra al Gran Costa (in comunicazione con quella del Gran Serin e con una seconda stazione posta sulla comunicazione tra il forte Tre Denti e il forte delle Valli a Fenestrelle), una al Colle delle Finestre (in comunicazione con la batteria Pampalù) e infine una al forte Serre Marie (in comunicazione con il forte San Carlo di Fenestrelle). Si segnala inoltre la presenza in fondovalle di locali adibiti a colombaia per ospitare i piccioni viaggiatori.
Fig. 19 - a) I ruderi della stazione ottica della Punta di Mezzodì. b) Sezione e pianta della stazione ottica del Gran Serin (Archivio 1° Reparto Infrastrutture Torino).
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5. La Cima Ciantiplagna: uno sguardo sulle valli
Lasciata alla spalle la stazione ottica, la strada militare si inerpica dolcemente lungo la cresta spartiacque intersecando più volte l’antica strada settecentesca di cui è tuttora possibile riconoscerne il tracciato. La strada giunge quindi nei pressi di un caratteristico edificio ottocentesco originariamente adibito a ricovero (2.664 m) (Figg. 20 e 21, Punto 5a). Superati alcuni tornanti, a circa 2.735 m di quota è possibile imboccare sulla destra l’ultimo tratto dell’antico tracciato settecentesco che attraverso declivi prativi conduce alla vetta della Cima Ciantiplagna (2.849 m) (Fig. 21, Punto 5b). Se invece si prosegue lungo strada ottocentesca, si può raggiungere la cima percorrendo più avanti la sua cresta occidentale. In questo caso, si attraversano una serie di dolci creste nel versante meridionale della Cima Ciantiplagna costeggiando affioramenti di calcescisti e marmi dell’Unità Cerogne-Ciantiplagna (Fig. 22, Punto 5c): queste rocce, costantemente
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immergenti verso Ovest, sono deformate da pieghe anche molto strette, messe ben in risalto dalla loro diversa composizione. E proprio negli affioramenti lungo strada in corrispondenza dell’ultimo tornante sulla destra, da dove si ha anche un bello scorcio del forte di Fenestrelle, si possono vedere volumi rocciosi con livelli centimetri ricchi in quarzo intensamente piegati (Fig. 21).
Fig. 20 - a) Un tratto della strada ottocentesca che risale le pendici orientali della Cima Ciantiplagna, la cui sommità si staglia sullo sfondo. Al centro dell’immagine è visibile il ricovero. b) Particolare sulla cresta compresa tra il Colle delle Vallette e il Vallon Barbier. In blu è evidenziato il tracciato della strada ottocentesca; con i segmenti neri sono evidenziati i trinceramenti settecenteschi (XIX secolo. Piano Topografico delle alture sulla sinistra del Chisone comprese tra il forte di Fenestrelle e la Testa dell’Assietta. Archivio 1° Reparto Infrastrutture Torino).
Fig. 21 - a) Uno dei ricoveri ottocenteschi collocati lungo la strada ex militare Colle delle Finestre - Colle dell’Assietta. Quello qui raffigurato si trova 500 m a Nord-Est dalla vetta della Cima Ciantiplagna. b) La croce situata sulla vetta della Cima Ciantiplagna.
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La Cima Ciantiplagna costituisce il punto più elevato della dorsale Susa-Chisone nel tratto compreso tra il Colle delle Finestre e il Colle del Sestriere e da esso è possibile spaziare a 360° sull’intero settore delle Alpi Cozie centro-settentrionali e verso il massiccio francese del Pelvoux (Fig. 23). Impostata prevalentemente su calcescisti, le pendici meridionali della Cima Ciantiplagna presentano affioramenti sparsi di rocce verdi (serpentiniti e metabasiti).
Fig. 22 - a) esempi di pieghe osservabili nelle rocce attraversate lungo il versante meridionale della Cima Ciantiplagna (1, livello marmoreo; 2, porzioni di calce-micascisti. b) livelli centimetrici ricchi in quarzo.
Ponendo in particolare l’attenzione al panorama verso Ovest (Fig. 23), si osserva lo sviluppo occidentale della dorsale Susa-Chisone costituita da calcescisti e micascisti più o meno carbonatici, spesso fortemente sfaldabili e con colorazione che varia dal beige al grigiastro. Queste rocce sono ascrivibili a distinte unità oceaniche: in dettaglio, il tratto iniziale della cresta osservabile dalla Cima Ciantiplagna è costituto dall’Unità CerogneCiantiplagna, già attraversata negli itinerari precedenti e affiorante fino ai rilievi della Cima delle Vallette e del Gran Cerogne. Poi, il tratto successivo della cresta fino al Monte Fraiteve è costituita dall’Unità del Lago Nero (geometricamente sovrastante l’Unità CerogneCiantiplagna) e caratterizzata presso il Colle dell’Assietta dalla presenza di peculiari filladi nerastre intercalate a calcescisti e micascisti (Fioraso et alii, 2013). Il versante destro dell’alta Val Chisone è dominato dai calcescisti e marmi grigio-nocciola dell’Unità dell’Albergian, rocce con un buon grado di competenza e resistenza, condizioni che hanno favorito la formazione di pronunciati rilievi come il massiccio montuoso dell’Albergian. Nella parte centrale del panorama, emerge il Monte Chaberton, con la sua caratteristica forma di piramide troncata. Tale monte è costituto prevalentemente da potenti successioni di dolomie di età Triassica (Unità dello Chaberton) la cui colorazione grigio chiaro le rende ben distinguibili dai sottostanti ed adiacenti calcescisti delle unità oceaniche (Puys-Venaus e Lago Nero in particolare).
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Fig. 23 - Panorama verso Occidente delle Alpi Cozie centro-settentrionali osservabile dalla Cima Ciantiplagna. Al centro dell’immagine, sullo sfondo, sono visibili le cime e i ghiacciai del Massiccio del Pelvoux. In verde sono indicate le diverse unità oceaniche. In marrone chiaro le unità carbonatiche di margine continentale.
Sullo sfondo, sono ben visibili le cime e i ghiacciai del massiccio cristallino del Pelvoux. Volgendo l’attenzione all’alta Valle di Susa, dal Monte Seguret alla Cima del Vallonetto si possono riconoscere le rocce dolomitiche (Unità del Vallonetto), di colorazione chiara, al di sopra di micascisti e gneiss dell’Unità di crosta continentale dell’Ambin. Le rocce chiare che affiorano sulla Punta Sommelier sono prevalentemente dei micascisti quarzosi. Le relazioni militari settecentesche descrivono le creste comprese tra il Colle del Sestriere e questa cima come facilmente percorribili a piedi. Nel tratto successivo, a partire dalla Cima Ciantiplagna e proseguendo verso Est, i rilievi diventano scoscesi e poco praticabili. Per questa ragione dall’altopiano dell’Assietta sino al pendio che dal Colle delle Vallette risale verso questa cima troviamo numerosi resti di antiche ridotte e lunghi trinceramenti e nei documenti d’archivio diversi riferimenti e notizie. Le opere di difesa riprendono nel successivo e breve tratto compreso tra il Colle delle Fattière e il sottostante Colle delle Finestre. Se si volge lo sguardo verso l’alta Val Chisone, si possono chiaramente distinguere le fortificazioni costruite a Fenestrelle. I francesi avevano fortificato il luogo con la costruzione del forte Mutin avvenuta a partire dal 1694. Visitato nel 1700 dal Vauban, il forte venne assediato nel 1708 dai Savoia. Successivamente, dopo alcuni lavori realizzati con l’intento di rinforzare le difese, gli ingegneri sabaudi preferirono erigere delle nuove fortificazioni sul lato opposto secondo il principio di serrare l’accesso all’intera valle. Nacque così, dal 1727-1728, la piazzaforte di Fenestrelle che dal Monte Pinaia ridiscende il versante sinistro orografico sino al fondovalle, in una impressionante sequenza ininterrotta di forti, batterie e ridotte. Più in alto, a protezione dei colli laterali, si trovano importanti resti di trinceramenti settecenteschi al Colle dell’Orsiera (versante sinistro) e al Colle dell’Albergian (versante destro). Anche i valloni dell’Albergian e del Moremout sono stati interessati dalla costruzione di alcuni
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ricoveri alla fine dell’Ottocento. Persino alla Rocca del Laux, sopra il villaggio omonimo, sono tuttora conservate alcune strutture difensive tardo-ottocentesche. Anche la dorsale dell’Assietta che si sviluppa in direzione Ovest fu per un lungo tratto ripetutamente oggetto di attività fortificatorie con opere del Settecento, Ottocento e Novecento. Proseguendo oltre con lo sguardo, la realizzazione più appariscente e più ardita, che ancora oggi affascina l’escursionista, è senza ombra di dubbio il Monte Chaberton con i resti delle sue otto torri. La vicina Valle di Susa con i passi del Moncenisio, del Monginevro e con il traforo internazionale del Frejus presenta anch’essa numerosissime strutture difensive di epoche diverse. Sul fondovalle il forte di Exilles ha una lunga storia caratterizzata da numerosi assedi e ricostruzioni, ultima delle quali avvenuta nel periodo post-napoleonico. Non si può dimenticare il forte Bramafam di Bardonecchia, il forte della Brunetta a Susa e i diversi castelli disseminati lungo il fondovalle valsusino. Insomma, in qualsiasi direzione lo sguardo si posi, le valli di Susa e del Chisone offrono testimonianze di un passato ricco di storia, non solo militare, che ha indelebilmente caratterizzato il territorio.
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6. Il Colle e la Cima delle Vallette: soldati fermi, paesaggio in movimento
Dalla Cima Ciantiplagna, l’itinerario prosegue con la graduale discesa verso il sottostante Colle delle Vallette. In corrispondenza del primo tornante della strada che interseca il profilo di cresta, un piccolo sbancamento prodotto dall’estrazione di blocchi per la realizzazione del tracciato stradale consente di osservare gli intensi ripiegamenti cui sono stati sottoposti alcuni livelli di marmi grigi presenti all’interno della successione di calcescisti (Fig. 24, Punto 6a). Poco oltre è possibile osservare un evidente e netto intaglio, profondo una quindicina di metri, che attraversa obliquamente il profilo di cresta (Fig. 25, Punto 6b) e che si estende verso Ovest per alcune centinaia di metri assumendo una morfologia a depressione allungata, orientata parallelamente allo spartiacque. Un’osservazione accurata del paesaggio circostante
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svela come queste morfologie siano piuttosto diffuse lungo tutta la dorsale Susa-Chisone, sebbene con caratteristiche ed estensione alquanto diverse da punto a punto. Non si tratta, come si potrebbe immaginare, di trinceramenti artificiali o di opere realizzate a scopo difensivo, bensì rappresentano l’espressione morfologica di immensi collassi di versante e di grandi frane che sin dal termine dell’ultima glaciazione hanno coinvolto molti versanti della catena alpina. Il progressivo approfondimento dei solchi vallivi da parte dei ghiacciai ha infatti incrementato il dislivello che separa il fondovalle dalle creste spartiacque; con l’aumentare dell’acclività i versanti, non più in grado di autosorreggersi, hanno iniziato un lento, ma inesorabile processo di deformazione che nei settori sommitali dei rilievi si manifesta generalmente con lo sviluppo di estese superfici di rottura che a loro volta determinano lo sdoppiamento o il triplicamento del profilo di cresta (Fig. 26).
Fig. 24 - Intensi ripiegamenti di alcuni livelli di marmi, presenti all’interno della successione di calcescisti, visibili lungo la strada ex militare nel tratto che dalla Cima Ciantiplagna conduce al Colle delle Vallette.
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Fig. 25 - Il profondo intaglio che attraversa la cresta occidentale della Cima Ciantiplagna, chiara dimostrazione della mobilità geologica del paesaggio alpino. Le frecce evidenziano la traccia di un antico trinceramento che tagliava trasversalmente il versante occidentale della Cima Ciantiplagna sfruttando la sinuosità naturale del pendio.
Le manifestazioni legate al collasso dei versanti posso assumere evidenze morfologiche alquanto diverse: sdoppiamenti di cresta talvolta imponenti per lunghezza (in taluni casi superiori al chilometro) e ampiezza (decine o centinaia di metri), fratture beanti più o meno estese e depressioni chiuse. Queste ultime, somiglianti sotto molti aspetti alle doline di origine carsica, nel passato sono state erroneamente interpretate come il prodotto della dissoluzione delle rocce carbonatiche o dei gessi. Proprio approssimandosi al Colle delle Vallette è possibile osservare una imponente depressione di 200 m di diametro e 20 m di profondità (Fig. 27, Punto 6c). Da essa si dipartono alcune vallecole allineate parallelamente al profilo di cresta che raggiungono da un lato, verso Est, la vetta della Cima Ciantiplagna, dall'altro, verso Ovest, la Cima delle Vallette: esse rappresentano l’emersione di altrettante superfici di scivolamento indotte dal collasso del versante sul lato della Valle di Susa. Se i collassi di versante e le frane possono essere considerati fenomeni in grado di modificare macroscopicamente l’aspetto dei rilievi montuosi, altri fenomeni apparentemente meno invasivi riescono invece a ritoccare nei dettagli il paesaggio alpino.
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Fig. 26 - Modello evolutivo di sviluppo degli sdoppiamenti e triplicamenti di cresta osservabili lungo la dorsale che separa la Valle di Susa dalla Val Chisone. In giallo è indicato il materasso di depositi fluviali che colma il fondovalle.
Fra questi rientrano i fenomeni periglaciali, termine con il quale viene indicato quell’insieme di processi localizzati alle quote più elevate ove le basse temperature sono in grado di consentire la formazione nel suolo di ghiaccio perenne o stagionale. Una delle più tipiche espressioni dell’ambiente periglaciale è rappresentato dai lobi di geliflusso, causati dal
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lento movimento verso valle delle porzioni di suolo periodicamente coinvolte dai cicli stagionali di gelo-disgelo, movimento della coltre che talvolta avviene al di sopra di porzioni di terreno permanentemente gelate (permafrost).
Fig. 27 - La profonda (20 m) e ampia (200 m) depressione chiusa situata in corrispondenza del Colle delle Vallette. Interpretata in passato come dolina di origine carsica, la sua genesi è invece legata al generalizzato stato di collasso dei versanti. A breve distanza dal ciglio della depressione è visibile il ricovero ottocentesco.
Non a caso i fenomeni di geliflusso sono solitamente ospitati sui versanti settentrionali e quindi meno esposti all’insolazione (Fig. 28, Punto 6d). I lobi hanno un’ampiezza compresa tra pochi metri e alcune decine di metri, uno spessore generalmente non elevato (1-2 m) e una fronte acclive e talvolta subverticale. Queste fenomenologie si concentrano preferibilmente nelle aree di affioramento dei calcescisti, rocce la cui spiccata predisposizione all’alterazione superficiale dà luogo a coltri particolarmente sensibili ai fenomeni criogenici. I movimenti osservabili sulla fronte dei lobi di geliflusso si sviluppano nel periodo di disgelo estivo, con velocità valutabili in alcuni millimetri o più raramente centimetri all’anno. L’attività recente
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di questi fenomeni è dimostrata dal fatto che in alcuni punti le fronti dei lobi hanno in parte coperto i trinceramenti militari settecenteschi e le opere viarie ottocentesche. Un centinaio di metri a Sud del ricovero del Colle delle Vallette (Fig. 29, Punto 6e) è possibile osservare un fenomeno del tutto particolare legato ai processi di geliflussione: un blocco arante (Fig. 28, Punto 6f). A differenza del lobo di geliflusso, il blocco presente sulla superficie ha letteralmente spremuto il terreno, processo che avviene soprattutto nei periodi caratterizzati da una maggiore saturazione in acqua prodotta dalla fusione del ghiaccio interstiziale. Così facendo il blocco lascia dietro di sé un profondo avvallamento nel terreno che simula nella forma i solchi di aratura nei terreni agrari.
Fig. 28 - A sinistra: in alto lobo di geliflusso localizzato sul versante settentrionale del Colle delle Vallette; in basso sezione schematica. A destra: in alto blocco arante situato sul versante meridionale del Colle delle Vallette, un centinaio di metri a SSO dell’edificio ottocentesco adibito a ricovero; in basso sezione schematica.
Dal ricovero ottocentesco situato al Colle delle Vallette è possibile risalire direttamente la cresta Nord-Est dell’omonima cima lungo la quale si alternano tratti prativi a roccette facilmente aggirabili, giungendo in pochi minuti alla vetta (2.743 m). La sommità del rilievo appare anche in questo caso sdoppiata per effetto del collasso del versante settentrionale della Cima delle Vallette, con un movimento che ha ribassato la vetta di almeno una quindicina di metri verso la Valle di Susa (Fig. 30).
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Fig. 29 - a) Il ricovero ottocentesco collocato sul Colle delle Vallette. b) Particolare del tratto compreso tra il Colle e la Cima delle Vallette. In blu è indicata la strada settecentesca, con i segmenti neri sono indicati i trinceramenti settecenteschi (XIX secolo. Piano Topografico delle alture sulla sinistra del Chisone comprese tra il forte di Fenestrelle e la testa dell’Assietta. Archivio 1° Reparto Infrastrutture Torino).
Tra la vetta, contrassegnata dalla presenza di una croce infissa in un cumulo di pietre, e l’anticima meridionale è infatti visibile un avvallamento che corrisponde all'emersione del piano di movimento della frana e che è stato sfruttato per ospitare alcuni trinceramenti di epoca settecentesca (Fig. 31a, Punto 6g). Il movimento del versante, per quanto estremamente lento e di antica data, non è del tutto esaurito e talvolta può manifestarsi superficialmente con improvvise lacerazioni del terreno: recentemente a pochi passi dalla sommità della Cima delle Vallette si è generato uno sprofondamento di alcuni metri di diametro e due metri di profondità causato dall’allentamento del substrato roccioso (Fig. 31b, Punto 6h). Dal punto di vista militare questo tratto di cresta presenta altrettanti aspetti interessanti. Il duca sabaudo Vittorio Amedeo II, durante la campagna militare del 1708 in cui le sue armate erano nuovamente contrapposte a quelle francesi, una volta conquistato il forte di Exilles dedica le sue attenzioni al vicino forte Mutin di Fenestrelle. Fissa il campo principale a Balboutet e nelle prime settimane di agosto le truppe provenienti da Meano, attraverso il Colle delle Finestre, lo raggiungono. Il 13 agosto, al fine di garantirsi il fianco mentre l’armata principale è ancora in spostamento, 150 soldati vengono mandati a presidiare il Colle delle Vallette, rafforzati da un secondo contingente. La scelta si rileva azzeccata in quanto due giorni più tardi vengono avvistate sulle alture poste davanti al colle 20 compagnie di granatieri francesi intente ad avanzare. Altri 3 battaglioni sabaudi, in aggiunta a quelli posti sotto il comando del Braun, vengono fatti confluire sull’importante valico. Il maresciallo De Villars, comandante in capo delle truppe francesi, vistosi preceduto dal nemico, che tra l’altro si era rinforzato occupando una posizione dominante, non arrischia i suoi soldati e rinuncia allo scontro. Il forte Mutin cadrà ben presto in mano sabauda.
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Fig. 30 - Imponenti sdoppiamenti di cresta (linee tratteggiate) che hanno coinvolto la Cima delle Vallette, traslandone la vetta complessivamente di alcune decine di metri verso la Valle di Susa (a sinistra). In secondo piano spunta la vetta della Cima Ciantiplagna; sullo sfondo è visibile il Massiccio dell’Orsiera.
Fig. 31 - a) Resti dei trinceramenti settecenteschi. b) Imponente sprofondamento verificatosi alcuni anni or sono nei pressi della sommità della Cima delle Vallette, fenomeno che testimonia l’elevata instabilità di questi terreni.
Passano quasi quarant’anni e il 19 luglio del 1747 i trinceramenti delle Vallette, frattanto riveduti e rinforzati (Fig. 32), fungono da immediate retrovie rispetto all’importante caposaldo dell’Assietta. A ulteriore testimonianza dell’interesse rappresentato dalle creste fra le due valli, ritroviamo questi luoghi nuovamente citati durante le operazioni belliche di fine
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Settecento condotte dai sabaudi da un lato e dalle forze francesi dall’altro. La guerra, tuttavia, troverà una soluzione su un tratto di frontiera vicina. Napoleone, infatti, riuscirà a vincere la resistenza sabauda attraverso le Alpi Marittime. Oggi si possono ancora individuare sul terreno ampi tratti degli antichi trinceramenti settecenteschi, nonostante siano stati in parte smantellati in seguito agli accordi di pace e in parte distrutti dagli agenti fisici d’alta quota che hanno intensamente operato dopo il loro abbandono.
Fig. 32 - a) Trinceramenti settecenteschi sulla Cima delle Vallette. b) Cumuli di blocchi di roccia un tempo preparati per essere rovesciati lungo i sottostanti canali contro gli eventuali assalitori (Punto 6i).
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7. La Gran Pelà: tra mulattiere settecentesche e trinceramenti naturali
Ridiscesi dalla Cima delle Vallette e riguadagnata la strada militare si giunge in breve tempo al colle (2.562 m) che domina il Lago Piccolo del Gran Serin (Punto 7a); questo lago è ospitato in una depressione scavata ad opera di un antico ghiacciaio nel substrato roccioso costituito da predominanti calcescisti ocra, molto carbonatici e generalmente immergenti verso ovest. Proprio sul colle è possibile osservare una scarpata in roccia che corrisponde all’emersione di una delle numerose superfici di scivolamento gravitative che coinvolgono lo spartiacque Susa-Chisone (Fig. 33, Punto 7b). Osservando la sua superficie è possibile notare alcune piccole cavità legate alla lenta e inesorabile dissoluzione esercitata dall’acqua meteorica sulla frazione carbonatica presente all’interno dei calcescisti. Numerosi gli esempi
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dell’opera di dissoluzione svolta dagli agenti atmosferici riscontrabili negli affioramenti rocciosi: in taluni casi il fenomeno ha dato origine a rocce intaccate dai processi di degradazione superficiale e dal caratteristico aspetto cariato o vacuolare (Fig. 33, Punto 7c). Una volta arricchitasi nella frazione carbonatica e permeata nelle fratture della roccia, l’acqua è stata in grado di riprecipitare in forma cristallina i minerali che essa stessa ha portato in soluzione, creando talvolta spettacolari concrezioni di calcite e di aragonite che è possibile osservare nelle fratture beanti e sulle superfici rocciose: entrambi costituiti da carbonato di calcio (CaCO3), questi minerali sono caratterizzati da un diverso abito cristallino (Fig. 7b).
Fig. 33 - a) Scarpata in roccia situata in corrispondenza del colle che separa la Cima delle Vallette (sullo sfondo) dalla Gran Pelà e causata dallo scivolamento del versante verso la Valle di Susa (a sinistra). b) Caratteristici fenomeni di dissoluzione superficiale a spese dei calcescisti carbonatici alla base della Cima delle Vallette.
Fig. 34 - La dissoluzione del carbonato di calcio presente nei calcescisti ad opera dell’acqua di percolazione lungo le fratture può dare origine allo sviluppo di spettacolari cristallizzazioni. a) Cristalli di dimensioni centimetriche all’interno di una frattura beante sul versante meridionale della Cima Ciantiplagna. b) Concrezioni aragonitiche coralloidi sul versante meridionale della Gran Pelà.
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Fig. 35 - a) Veduta sulla Gran Pelà dalla Cima delle Vallette: evidenziata dalla neve si scorge il tratto a zig-zag della vecchia mulattiera settecentesca. b) Un tratto ancora ben riconoscibile della mulattiera settecentesca che percorreva la dorsale nei pressi della stazione ottica della Punta di Mezzodì.
Dal colle, seguendo le tracce della mulattiera settecentesca che con una serie di rapidi tornanti risale il versante orientale (Fig. 35), è possibile raggiungere la sommità della Gran Pelà (2.705 m) (Fig. 36), un rilievo non certo appariscente ma dal quale è tuttavia possibile dominare con lo sguardo l’intero Vallone di Morti e l’antistante batteria del Gran Serin. Sebbene appaia da qualsiasi punto di osservazione piuttosto massiccia, anche la Gran Pelà mostra, come molti altri rilievi montuosi circostanti, la propria fragilità geologica: essa è infatti tagliata trasversalmente da numerose e profonde fratture che hanno dislocato verso la Valle di Susa buona parte del suo edificio (Fig. 37).
Fig. 36 - a) La vetta della Gran Pelà e pochi metri più in basso i ruderi di un ricovero settecentesco. b) Il brullo aspetto della sommità della Gran Pelà è il risultato dei processi di degradazione d’alta quota sviluppati a spese dei calcescisti.
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Fig. 37 - a) Anche la Gran Pelà (qui ripresa dalla Cima delle Vallette) sta gradualmente ma inesorabilmente scivolando verso la Valle di Susa. b) Profonda trincea naturale sviluppata alla sommità della Gran Pelà che testimonia la fragilità delle rocce che caratterizzano buona parte dello spartiacque Susa-Chisone.
Percorrendo la piatta sommità del monte si rimane certamente colpiti dall’aspetto vagamente lunare del paesaggio, frutto dei processi crioclastici (ovvero del periodico alternarsi dei cicli di gelo e disgelo) che hanno inesorabilmente portato alla completa disgregazione dei calcescisti. È possibile inoltre imbattersi in profonde fratture e lacerazioni della superficie che denotato anche in questo caso la scarsa resistenza delle rocce che costituiscono questo territorio montano (Fig. 37, Punto 7d).
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8. La caserma difensiva del Gran Serin: nuovi piani di difesa
Dalla Gran Pelà, seguendo le tracce di un sentiero che percorre la cresta Nord-Occidentale, si scende verso i sottostanti baraccamenti del Gran Serin (2.545 m). Lo sguardo è sicuramente attratto dal pittoresco scorcio che offre il Lago Grande (Fig. 38, Punto 8a), piccolo specchio d’acqua ospitato in una conca erbosa anticamente modellata da un ghiacciaio la cui fronte si spingeva sul versante della Valle di Susa fin nei pressi dell’abitato del Frais. Anche in questo caso è possibile notare la fragilità dei rilievi modellati nei calcescisti (ancora ascrivibili all’Unità Cerogne-Ciantiplagna), tanto da consentire alla gravità di creare la profonda frattura che in maniera piuttosto evidente ha traslato di alcuni metri verso Nord buona parte del versante su cui alla fine del XIX secolo venne realizzata la stazione ottica (Punto 8b). Nei
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pressi di quest’ultima sono facilmente individuabili i resti dei trinceramenti settecenteschi e numerose piazzole scavate per il posizionamento degli attendamenti militari.
Fig. 38 - Il Lago Grande, di probabile origine glaciale, dominato dai ruderi dell’ex stazione ottica. È ben visibile l’imponente frattura che disloca la parte settentrionale del rilievo prativo. Le diverse tonalità assunte dalla cotica erbosa evidenziano i tracciati degli antichi trinceramenti settecenteschi e le piazzole che ospitavano gli attendamenti militari.
Gli affioramenti di calcescisti, affioranti lungo strada immediatamente a Est dei baraccamenti (in primo piano in basso a sinistra nella Fig. 38), presentano intercalazioni di corpi di metabasiti verde-bluastro e di quarziti tendenti a un verde pallido. Percorrendo il breve tratto di strada che dai baraccamenti del Gran Serin conduce alle sponde del lago è possibile osservare la velocità con la quale i processi di modellamento superficiale sono in grado, in ambiente alpino, di modificare il paesaggio. Dalle pendici meridionali della Gran Pelà, in buona parte coperte di detrito, si dipartono infatti alcuni imponenti lobi di geliflusso completamente inerbiti e tra loro parzialmente sovrapposti (Fig. 39a, Punto 8c): nel loro lento movimento verso valle essi hanno coinvolto, modificandone e piegandone vistosamente il tracciato per lunghi tratti, l’ex strada militare. In altri tratti è invece possibile osservare come le coltri di suolo in movimento stiano per sopravanzare i muretti a secco che delimitano il piano stradale (Fig. 39b). Lasciatosi alle spalle il Lago Grande e riguadagnato il colle ci si affaccia sulla testata del Vallone dei Morti. Il colle è costituito da un’ampia spianata delimitata a Nord e a Sud da due imponenti strutture militari (Fig. 40).
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Fig. 39 - a) Imponenti lobi di geliflusso, tra loro parzialmente sovrapposti, che hanno coinvolto alcuni tratti della strada ex militare che dai baraccamenti del Gran Serin conduce all’Alpe d’Arguel e quindi all’abitato del Frais. b) Lobi di geliflusso che hanno sormontato e in parte distrutto il muro a secco situato lungo la strada ex militare sul versante settentrionale della Gran Pelà.
Fig. 40 - I baraccamenti del Gran Serin e, in secondo piano, la stazione ottica del Lago Grande.
Quella edificata sul lato rivolto verso la Valle di Susa è stata realizzata tra il 1884 e il 1888: si tratta di una caserma difensiva nota con il nome di baraccamenti del Gran Serin (Figg. 41, 42 e 43). Un profondo fossato circonda su due lati la costruzione e per entrare all’interno occorreva percorrere un ponte retrattile sorretto da un pilastro centrale. Il lungo cortile centrale separava i due blocchi delle costruzioni: a Sud i baraccamenti degli ufficiali, il corpo di guardia, gli uffici, il magazzino viveri, le cucine, una cisterna (Fig. 43, Punto 8d);
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sul versante che si affacciava sul lago erano presenti i locali per la truppa, i magazzini e le scuderie (Fig. 42, Punto 8e); addossato alla roccia, verso Ovest, si trovava infine anche il forno. Sull’altro lato del colle si trovavano le scuderie, realizzate nel 1902 e atte a ospitare gli animali da carico e ulteriori magazzini.
Fig. 41 - a) La caserma difensiva del Gran Serin così come si presenta oggi. b) Particolare architettonico del muro di scarpa su cui si trovano gli edifici della caserma difensiva del Gran Serin.
Le opere realizzate nel Settecento e quelle realizzate nei periodi successivi divergono tra loro per le diverse concezioni che ne stanno alla base. Per tutto il XVIII secolo e buona parte del XIX secolo in montagna si combatteva prevalentemente d’estate, ovvero nel periodo compreso tra lo scioglimento delle nevi sui colli transitabili dalle artiglierie e il ritorno della prima neve autunnale: quindi da maggio-giugno sino a settembre-ottobre, con variazioni annuali dovuti all’andamento climatico del tempo. Inoltre, la frontiera alpina rappresentava la parte più importante del Regno di Sardegna. Con la formazione del Regno d’Italia, il confine delle Alpi Occidentali diventa solo più una porzione dell’intera frontiera (terrestre e marittima) del neonato stato. Se nel periodo precedente le Alpi erano interpretate come una barriera impenetrabile, ora nuovi studi strategici e tattici individuano le montagne come una zona in cui rallentare un’eventuale penetrazione di truppe nemiche, quel tanto sufficiente a dare il tempo al grosso dell’esercito di mobilitare e di affrontare il nemico allo sbocco delle vallate. A fine Ottocento questo concetto cambia nuovamente. Con l’evoluzione dell’artiglieria e dell’attrezzatura militare in genere, in montagna si deve combattere non solo più d’estate, ma tutto l’anno. Ecco dunque la creazione del corpo degli Alpini (1872), presenti costantemente nelle vallate e profondi conoscitori del come muoversi in ambiente montano. Se prima i trinceramenti erano prevalentemente difesi da armi individuali, ora la possibilità di portare cannoni sempre più potenti ad alte quote consente di poter raggiungere obiettivi ben più lontani. Per ottenere questo risultato occorre costruire prima le strade, poi le batterie e le fortificazioni. Prendono in tal modo avvio le realizzazioni al Colle delle Finestre, al Gran Serin e sull’altopiano dell’Assietta.
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Fig. 42 - a) Particolare della caserma difensiva. Sullo sfondo svetta la piramide del Rocciamelone. b) Scorcio del Lago Grande ripreso da un’apertura della caserma difensiva del Gran Serin.
Fig. 43 - A sinistra: pianta del piano terreno della caserma difensiva del Gran Serin nel 1898 (Archivio 1° Reparto Infrastrutture Torino). A destra: pianta del piano superiore della caserma difensiva del Gran Serin nel 1898 (Archivio 1° Reparto Infrastrutture Torino).
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Una significativa testimonianza di questo utilizzo del territorio delle Alpi Cozie è rappresentata dall’opera autonoma ad azione lontana dello Chaberton. Tuttavia, dopo la Prima Guerra Mondiale a causa dei continui progressi dell’artiglieria diventa necessaria una nuova revisione della strategia difensiva, fondata sulla realizzazione di diverse installazioni militari con l’utilizzo massiccio di cemento armato e acciaio. Nasce in tal modo il Vallo Alpino, costituito da un fronte pressoché ininterrotto di installazioni autonome, alcune delle quali tuttora integre. Alcune realizzazioni del tipo opera 7.000 sono visibili ai margini dell’altopiano dell’Assietta, sul Monte Genevris.
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9. La batteria del Gran Serin: dove tuona il cannone
Lasciati alle spalle i baraccamenti, si prosegue lungo la strada che si affaccia sulla testata del Vallone dei Morti, profondo solco vallivo dominato dalla massiccia mole della Gran Pelà e scolpito da un piccolo apparato glaciale (Fig. 44, Punto 9a) che anticamente si riversava in quello ben più esteso proveniente dall’altopiano dell’Assietta. Giunti nello spiazzo interno della batteria del Gran Serin, sulla destra si stacca una strada sterrata che con una serie di stretti tornanti conduce rapidamente allo spalto del forte (2.629 m) (Fig. 45, Punto 9b). Il panorama che di qui è possibile ammirare spazia sull’interno settore dell’Assietta, teatro dell’epica battaglia che nel 1747 vide contrapposte le truppe sabaude di Carlo Emanuele III a quelle francesi capeggiate dal cavaliere di Belle-Isle.
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Fig. 44 - a) Affioramenti lungo strada di tipici calcescisti ocra dell’Unità Cerogne-Ciantiplagna; b) Il vallone dei Morti.
Fig. 45 - Panoramica sulla batteria del Gran Serin coronata dalle cime del Delfinato.
Si tratta di un esteso altopiano di circa 4 km2 racchiuso entro una linea immaginaria che unisce i rilievi del Gran Serin, della Testa dell’Assietta (2.566 m), della Testa di Mottas (2.545 m), del Monte Gran Costa (2.609 m) e infine del Gran Cerogne (2.383 m). L'altopiano, in buona parte coperto da pascoli e piccole torbiere, presenta sovente affioramenti di rocce più scure e lucenti: si tratta delle filladi tipiche dell’Unità oceanica Lago Nero (Fig. 46), la quale geometricamente si trova al di sopra dell’Unità Cerogna-Ciantiplagna. Nel suo insieme,
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questo altopiano è contraddistinto da morfologie piuttosto addolcite dovute alla prolungata opera di modellamento delle masse di ghiaccio che nel corso dell’ultima glaciazione occupavano interamente questo vasto settore spartiacque. Proprio la facile accessibilità dai contigui fondovalli e la conformazione di questo tratto dello spartiacque ha da sempre attirato l’attenzione degli strateghi militari che vedevano in quest’area, sia in chiave offensiva che difensiva, un nodo nevralgico per le operazioni militari nello scacchiere alpino.
Fig. 46 - Panoramica dell’altopiano dell’Assietta dalla strada che discende lungo il versante occidentale del Gran Serin. Il substrato roccioso è costituto dalla giustapposizione di due unità oceaniche a prevalenti calcescisti. L’Unità Cerogne-Ciantiplagna, in posizione geometrica inferiore, è costituita da calcescisti carbonatici ocra e marmi con isolate masse di pietre verdi (ad esempio nei pressi dei baraccamenti del Gran Serin). L’unità del Lago Nero è invece caratterizzata in questo settore dalla presenza di importante porzioni di filladi e micascisti filladici intercalati ai calcemicascisti.
Le opere militari del passato sono entrate oramai a far parte del paesaggio alpino di queste vallate caratterizzandolo non poco. Un’esemplificazione di questa tipicità è costituito dalla batteria del Gran Serin. L’installazione militare, realizzata tra il 1884 e il 1887 sul sito che ospitava i trinceramenti e le ridotte settecentesche del Serano, occupava tutta la cima omonima (Fig. 47). La parte bassa intercettava la strada di collegamento verso i vicini baraccamenti del Gran Serin da un lato e verso l’Assietta e il Monte Gran Costa dall’altro. I due accessi erano un tempo chiusi e sorvegliati da alcune feritoie laterali in conci di pietra rivestiti in mattoni. Il fronte rivolto verso il Vallone dei Morti era dotato di terrapieno e da un parapetto. Sui fianchi due imponenti muraglioni risalivano verso la cima. Il fronte principale, rivolto verso l’Assietta e il Monte Gran Costa, era protetto da un fossato a sua volta difeso da una caponiera. Sul muro di controscarpa un camminamento coperto poteva ospitare i fucilieri per la difesa ravvicinata. Dietro il fossato, sulla cima, erano state ricavate quattro postazioni dotate ciascuna di due pezzi d’artiglieria. L’alloggiamento dei cannoni era a cielo aperto con un parapetto continuo a protezione degli artiglieri (cannoniera in barbetta) e protetto lateralmente da parareni con ricavati all’interno degli spazi a uso riservetta (Fig. 48).
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Fig. 47 - a) Particolare del settore del Gran Serin. In blu la strada settecentesca; i segmenti neri indicano i trinceramenti settecenteschi. XIX secolo (Piano Topografico delle alture sulla sinistra del Chisone comprese tra il forte di Fenestrelle e la testa dell’Assietta. Archivio 1° Reparto Infrastrutture Torino). b) 1884-87 Batteria del Gran Serin, pianta e sezione (Archivio 1° Reparto Infrastrutture Torino).
La dotazione era costituita da cannoni da 12 G.R.C. Ret. (calibro 120 mm, Ghisa, Rigati, Cerchiati, Retrocarica). Questa era completata con 6 mortai da 15 A.R.Ret. (calibro 150 mm, Acciaio, Rigati, Retrocarica) posti sul piazzale Sud-Sudovest appena sotto la linea di tiro dei cannoni. All’interno, un cunicolo sotterraneo permetteva l’accesso alla polveriera dotata di intercapedine. Il piazzale interno era costeggiato da un lungo edificio atto ad ospitare il presidio (215 soldati) e i magazzini (Fig. 49).
Fig. 48 - Postazioni d’artiglieria a cielo aperto del Gran Serin riprese in due situazioni meteorologiche diverse.
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Usciti dalla batteria, guardando in direzione dei vicini baraccamenti, si può notare un sentiero in piano che si incunea tra due piccole creste. Presumibilmente, potrebbe trattarsi, seguendo alcuni resoconti di escursionisti ottocenteschi, del percorso seguito da una piccola decauville installata per il trasporto di materiale dalle vicine cave di estrazione necessario per la costruzione dell’opera. I giornali dell’epoca, inoltre, riportano l’annuncio dell’apertura di una piccola locanda ad uso dei militari, degli escursionisti e dei viandanti: Vittorio Stella, il gestore, informa infatti, sulle pagine de La Lanterna del 2 agosto 1890, la sua numerosa clientela che «anche quest’anno, e col quindici luglio, aprirà sul colle dell’Assietta (Grand Serin) il solito esercizio, dove gli alpinisti, touristi e tutti quelli che desiderano godersi la bellezza del luogo, l’aria pura e saluberrima, visitare i grandiosi lavori di fortificazione, ecc. ecc. troveranno squisiti cibi e scelti vini a modico prezzo».
Fig. 49 - a) Fuga d’archi dei locali di servizio costruiti nella batteria del Gran Serin. b) L’ingresso sotterraneo alla polveriera del Gran Serin. In alto si nota la finestra per l’illuminazione.
Un’altra testimonianza racconta le difficoltà e i rischi dei militari. Il 30 ottobre 1897 lo stesso giornale riporta una drammatica notizia: i distaccamenti militari presenti al Gran Serin e al Colle delle Finestre rimangono bloccati da circa un metro e mezzo di neve fresca. Dal
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resoconto di cronaca si può seguire la vicenda: venerdì 22 ottobre viene ordinato ai reparti schierati in quota la discesa a valle, ma essendo in atto una forte tormenta, il distaccamento più alto preferisce attendere il giorno seguente per eseguire l’ordine. Sabato mattina, verso le 8,15 il drappello composto da 14 soldati, 4 carabinieri e l’operaio d’artiglieria Jourdan incomincia la discesa nella neve che in alcuni punti viene misurata in circa due metri: «La discesa, benché lenta, compivasi con enormi sforzi, guidata dall’operaio Jourdan, vera guida alpina, e tutto procedeva soddisfacentemente quando, giunto il drappello al punto di congiunzione delle strade del Gran Serin e dell’Assietta, venne improvvisamente investito da una massa nevosa, precipitante dall’alto della dorsale del Gran Serin, la quale divise in due il drappello travolgendo quattro soldati, due dei quali poterono da soli liberarsi e gli altri due vennero salvati da entro quella massa di neve dal pronto aiuto ai medesimi prestato dall’operaio Jourdan, dall’appuntato Molinari e dal carabiniere Gouthier. Rimasero però sepolti nella neve i fucili e gli zaini dei soldati ed il bagaglio del Jourdan. Indescrivibile è la costernazione che invase il drappello intero in tanto frangente. Allora solo si comprese quanto pericoloso fosse il proseguire, nella tema che si distaccassero altre valanghe. Ma fortunatamente ciò non successe, ed il drappello, con ogni precauzione, poté continuare la sua discesa fino sotto alla località di Chareugne, dove incontrò, verso le ore 16,30 circa, il rinforzo mandatogli da questo Comando di presidio in loro aiuto, cosicché senza altri incidenti, poté rientrare in questo forte [Fenestrelle] verso le ore 18 circa. È notevole il fatto che il drappello impiegò tre ore e mezza a discendere un tratto che richiedeva appena mezz’ora».
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10. La cresta di Punta Chalvet: le testimonianze di un’antica catastrofe
Lasciata la batteria del Gran Serin si prosegue lungo la strada militare transitando per il Colle dell’Assietta (2.472 m). Si imbocca quindi in discesa la strada che nel primo tratto costeggia la base del versante occidentale del Gran Serin transitando nei pressi dell’Alpe Assietta. La strada prosegue alla base dei ripidi bastioni rocciosi che contraddistinguono, nell’ordine, i versanti meridionali del Gran Serin, della Gran Pelà e della Cima delle Vallette (Fig. 50). Attraversato il Rio della Mola la strada affronta quindi una repentina curva verso Nord (2.140 m), situata proprio sotto la Punta Chalvet, dalla quale è possibile ammirare un maestoso scorcio verso la conca di Fenestrelle e tutta l’area del Lago del Laux. Pochi metri sotto il piano stradale è possibile notare alcuni accumuli di materiale detritico e piccoli scavi
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superficiali: essi rappresentano le uniche tracce di sporadiche attività estrattive (un’altra delle quali era situata alcune centinaia di metri a NE in località Piano dei Cerena) svolte negli anni ’60 del secolo scorso nel settore della Punta Chalvet: l’oggetto dello sfruttamento era rappresentato da modeste bancate di talcoscisti e cloritoscisti che accompagnano la presenza di alcune scaglie di serpentiniti contenute all’interno della monotona successione di calcescisti (Punto 10a).
Fig. 50 - a) I vertiginosi tornanti ai piedi del Vallone dei Morti. b) Esemplificazione di una pietra segnaletica posta sulla strada.
Volgendo lo sguardo a sinistra si apre un impressionante catino naturale costituito da un alto muraglione roccioso e fasciato alla base da un esteso campo di detrito e blocchi talvolta di dimensioni ciclopiche. È quanto rimane di una immensa frana che in epoca post-glaciale si staccò dal versante meridionale della Cima Ciantiplagna, segnandone indelebilmente la morfologia (Fig. 51, Punto 10b). Si tratta di una delle più grandi catastrofi geologiche che hanno coinvolto le Alpi Occidentali: improvvisamente 157 milioni di metri cubi di roccia si staccarono formando una valanga di detrito e blocchi che iniziò una folle corsa verso il fondovalle, ad una velocità del tutto paragonabile a quelle delle più comuni valanghe di neve. Poco meno di un minuto dopo il distacco, l’immensa ondata di roccia andò a schiantarsi contro la base della Rocca del Laux, sul versante destro della Val Chisone, e dopo essere rimbalzato nuovamente sul versante sinistro terminò la sua furiosa corsa arrestandosi poche centinaia di metri a monte dell’area attualmente occupata dall’abitato di Fenestrelle (Fig. 52). L’imponente volume di materiale accumulatosi sul fondovalle (il cui spessore raggiunse i 150 m di profondità) sbarrò completamente il Torrente Chisone dando luogo alla nascita di un esteso invaso lacustre nel tratto attualmente compreso tra gli abitati di Pourrieres e Soucheres
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Basses. Nel corso dei millenni i sedimenti trasportati dal Chisone riempirono gradualmente il lago creando l’estesa pianura alluvionale che tuttora segna il tratto di valle a monte del bacino artificiale di Pourrieres.
Fig. 51 - Il versante meridionale della Cima Ciantiplagna ripreso dall’abitato del Laux. La neve evidenzia chiaramente la nicchia di distacco della colossale valanga di roccia che in epoca post-glaciale cambiò in pochi minuti la fisionomia della valle.
Volgendo lo sguardo verso Fenestrelle, è possibile osservare alla sinistra del Chisone il ben noto forte sabaudo iniziato nel 1727-1728, mentre sull’opposto versante è possibile intravvedere il semisconosciuto “fort de Fenestrelles” o forte Mutin, costruito dai francesi nel 1694 su disegni dell’ingegnere Guy Creuzet de Richerand. Edificato sul versante destro orografico di fronte all’abitato di Fenestrelle, si presentava in forma pentagonale. Dotato di cinque bastioni, la cinta difensiva principale era ulteriormente protetta da un bonetto rivolto verso il vallone dell’Albergian e da 4 mezzelune poste davanti ad altrettante cortine. Un profondo fossato circondava l’opera raccordandosi con il ripido versante rivolto verso il Piemonte. Il muro di controscarpa era coronato da un cammino coperto e da piazze d’armi che controllavano il sottostante spalto che degradava verso l’alveo del Chisone. All’interno si trovavano i magazzini, la polveriera, gli alloggi degli ufficiali e della truppa, una chiesa. Il celebre Vauban lo visitò nel 1700 esprimendo un severo giudizio: dominato dalle alture
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circostanti, era stato realizzato seguendo le regole geometriche senza adattarsi al terreno. L’illustre ingegnere propose dunque diversi interventi correttivi che tuttavia non vennero realizzati.
Fig. 52 - Panoramica dell’alta Val Chisone ripresa dal forte di Serre Marie. È visibile il tratto della valle coinvolto dal transito della valanga di roccia staccatasi dal versante meridionale della Cima Ciantiplagna.
Nell’agosto del 1708 il forte venne assediato dalle truppe sabaude che poco alla volta conquistarono tutte le ridotte esterne (Aiguilles, Castel Arnaud, Bergonniere, Catinat, Albergian e Laux) sino a ottenere la resa della guarnigione il 31 agosto. Dopo alcuni anni trascorsi a migliorarne le difese (nuove ridotte Aiduchi, Andourn e Tre Denti), si decise di erigere una nuova fortificazione sul versante opposto della valle, quella maestosa gradinata titanica che chiunque transiti per la Val Chisone non può non ammirare. Il destino del forte Mutin si compì nel 1836 quando venne sostituito dalla ridotta Carlo Alberto e quindi smantellato. Il più famoso forte sabaudo, anche se oramai declassato a causa dell’evoluzione delle artiglierie, continuò la sua vita sino alla Seconda Guerra Mondiale. Le fortificazioni di Fenestrelle, a partire dagli anni ’90 del XX secolo, sono state interessate da un percorso di valorizzazione turistica.
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11. Pian dell’Alpe: il luogo del riposo tra morene e massi erratici
Proseguendo in leggera discesa lungo la strada militare si giunge infine al Pian dell’Alpe (Fig. 53), ultima tappa dell’itinerario e bucolica balconata prativa che si affaccia sull’alta Val Chisone. Storicamente un luogo di riposo non solo per chi da sempre ha affrontato i valichi alpini, ma anche per i ghiacciai che provenendo dal Colle della Vecchia, dal versante meridionale del Monte Pintas e dai rilievi della Français Pelouxe e del Monte Pelvo qui convergevano radialmente, si adagiavano perdendo velocità e avevano così modo di plasmare dolcemente questa porzione di territorio. Le tracce lasciate dai ghiacciai consistono in labili morene (Punto 11a) oramai ampiamente rimodellate dalle attività agricole che, nonostante la quota, hanno storicamente trovato ospitalità in questo pascolo sospeso tra le nuvole.
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Localmente è possibile osservare anche qualche isolato masso erratico, omologo del “dente della Vecchia”, che interrompe la regolarità dei pascoli (Punto 11b).
Fig. 53 - Il Pian dell’Alpe, altopiano modellato dai ghiacciai provenienti dal Colle della Vecchia, dal versante meridionale del Monte Pintas e dai rilievi della Français Pelouxe e del Monte Pelvo, visibili sullo sfondo. A sinistra il Colle delle Finestre.
La particolare facilità con cui si può valicare il Colle delle Finestre ha fatto sì che questo passo fosse preso in seria considerazione anche dagli ingegneri e ufficiali militari non solo come luogo da presidiare e controllare, ma anche come via da utilizzare per scendere repentinamente nelle odierne valli di Susa e del Chisone. Terreno di scontro in diverse occasioni, non è sfuggita la particolare morfologia dei pianori d’alta quota: disposti sul versante rivolto verso il Chisone rappresentavano i luoghi ideali dove far accampare importanti contingenti. Il Catinat non si lasciò sfuggire l’opportunità quando alla fine del XVII secolo utilizzò i campi posti sopra Fenestrelle per accamparvisi, potendo di lì non solo controllare il vicino colle, ma all’occorrenza decidere di scendere con l’esercito in una vallata
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o nell’altra. Cosa che gli venne particolarmente comoda nel 1693 quando, giunti i rinforzi, decise di transitare lungo la Valle di Susa e dare battaglia nei pressi di Orbassano (battaglia della Marsaglia) sconfiggendo il duca sabaudo Vittorio Amedeo II e costringendolo a togliere l’assedio a Pinerolo. Da quel momento in poi il luogo che aveva ospitato il campo del condottiero francese prese il nome di Pracatinat. Cosa non diversa accadeva nel 1707 quando diversi reparti francesi erano attestati nei pressi del Pian dell’Alpe pronti a soccorrere Susa arresasi ai sabaudi. In quell’occasione, tuttavia, valutate le forze militari in gioco, il comandante francese decideva di non abbandonare il campo. L’anno successivo i pianori collocati attorno all’abitato di Balboutet ospitavano nuovamente un esercito, stavolta sabaudo. Grazie a questa scelta, ogni via per portare soccorsi al forte Mutin di Fenestrelle si rivelarono inutili. Rimase infatti agevole alle truppe sabaude e alleate controllare il fondovalle appoggiandosi sulle ali al Colle delle Vallette e al Colle dell’Albergian. La particolare posizione verrà in seguito ancora utilizzata dai sabaudi, come ad esempio il 13 luglio 1744 quando nei campi di Balboutet si accamperanno 6 battaglioni comandati dal barone Leutrum.
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ENTI REALIZZATORI:
Associazione culturale “La Valaddo” Ente di gestione delle aree protette delle Alpi Cozie CNR - Istituto di Geoscienze e Georisorse - Unità operativa di Torino Associazione culturale “Vivere le Alpi”
AUTORI:
Bruno Usseglio (Ente di gestione delle aree protette delle Alpi Cozie)
Gianfranco Fioraso e Pietro Mosca (CNR - Istituto di Geoscienze e Georisorse)
PINEROLO 2016