Il Punto Difficile parlare di sviluppo economico e territoriale nel mezzo d’una bufera finanziaria senza precedenti come quella degli ultimi giorni. È difficilissimo capire dove comincia l’economia reale (quella delle persone e del lavoro) sia materiale che immateriale e dove finisce quella finta, quella speculativa, sia finanziaria che immobiliare, di rendita di posizione, bolla di sapone. In questo quadro si muove anche l’economia dell’ambiente che in molti modi comincia a delinearsi, spesso già tutta immateriale ma pesante di investimenti culturali umani, di ricerca, di tecnologia: alleggerita invece proprio di investimenti materiali, di oggetti, di consumo di spazio, di energia., di rifiuti, pesanti ed inutili eredità d’un passato angoscioso. Il capitolo “difesa del suolo” appare come uno tra i più promettenti in questa trasformazione. Si badi, “economia dell’ambiente” non vuol dire sostenibile, ecocompatibile: che significa solo miglioramenti, adattamenti, razionalizzazioni che avvengono all’interno dell’economia tradizionale, quella che produce oggetti, plastica acciaio calcestruzzo, cave, discariche. Vuol dire invece produzione di informazione, consumo di informazione, scambio di informazione, fruizione del mondo senza movimenti di materia. Nella pratica, si va dal software alla ricerca sistemica, (applicata e non), dalla musica alla teoria cosmica, dall’archeologia alla sperimentazione didattica, dalla medicina alla ottimizzazione dei servizi. Da quasi un secolo ormai si è compreso che l’economia immateriale ha lo stesso peso di quella materiale, che produrre un software o la guida di un museo non pesa meno che produrre un profilato d’acciaio o un pomodoro, che un moltiplicatore economico accompagna gli investimenti di sviluppo, che nelle pubbliche amministrazioni i servizi della cui scarsa qualità soffrono i cittadini rientrano nelle tanto vituperate “spese correnti” mentre quelle in conto capitale (le devastanti “infrastrutture”) stanno nelle spese “in conto capitale”. Nelle difficoltà politiche di sempre e in quelle finanziarie di oggi l’economia vera (che è quella postindustriale) non ha subito particolari colpi, non si vede perché dovrebbe soffrirne. Con oltre l’80% di diplomati e il 25% di laureati (maggioranza donne) tra i giovani in Campania, la strada reale è segnata: l’economia rurale o edilizia o manifatturiera corrente serve solo a chi sfrutta gli immigrati. Affrontiamo la difesa del suolo del Sarno e dei Regi Lagni con una sinergia sperimentata di scelte territoriali e di efficacia di gestione, di bonifica e di fruizione. Di disinquinamento e di bellezza, artistica e naturale, questa ultima appieno riconquistata. Se ci fosse davvero (ma non è così) una scarsità di risorse economiche per gli interventi basterebbe ripensare le priorità con più coraggio e con più modernità di cultura (in senso antropologico). Ma le scarsità generali e locali sono finite, quelle che ancora si lamentano sono in realtà pure rendite. La popolazione del mondo ha imboccato la diminuzione (Italia in testa); i bisogni individuali reali (di spazio di terra, di cibo, di energia) sono in caduta libera. Pietro Giuliano Cannata
Quaderni AdB Collana di Studi, Documentazione e Ricerca Autorità di Bacino del Sarno - Regione Campania ANNO V
- n. 2/2008
AUTORITÀ DI BACINO DEL SARNO
Piazzetta Giustino Fortunato, 10 80138 Napoli tel. 081/4935001 - fax: 081/4935070 e-mail: bacsarno@tin.it sito internet: www.autoritabacinosarno.it
DIREZIONE DELLA COLLANA
Leonardo Pace COORDINAMENTO DI REDAZIONE
Ornella Piscopo
Il Quaderno contiene contributi di: Alberto Albano AdB Sarno - Regione Campania
Leonardo Pace Ministero Infrastrutture
Pietro Giuliano Cannata Autorità di bacino del Sarno
Antonino Paroli AdB Sarno - Regione Campania
Massimo Della Gatta AdB Sarno - Regione Campania
Ornella Piscopo AdB Sarno - Regione Campania
Pier Lorenzo Fantozzi Università di Siena
Ugo Ugati AdB Sarno - Regione Campania
Antonella Guerriero AdB Sarno - Regione Campania
Per info, proposte d’intervento, risposte e rettifiche: piscopo.ornella@autoritabacinosarno.it Proprietari e responsabili degli scritti sono esclusivamente gli autori.
Dal Sarno ai Regi Lagni: l’esperienza si allarga
Il Sarno ha finito per prendere significati pianificatorii più generali dopo il disastro del 98 ma soprattutto dopo le grandi e assai discusse opere di difesa del suolo compiute dalla Protezione Civile tra il 2000 e il 2005 che si sommavano ai grandi interventi dell’altro Commissariato (Depurazione) sul fronte delle fognature e dei depuratori. Dal 2005 le varie attività (con quella delle regimazioni idrauliche, dei due Piani del rischio e dell’apporto solido alle coste) si sono andate sincronizzando grazie alle molte risorse disponibili e alla disponibilità dei due commissariati nei confronti della Autorità di Bacino che andava assumendo il suo ruolo istituzionale di coordinamento e di iniziativa; e grazie infine all’ATO3 che (unico in Campania) aveva preso il pieno ritmo di funzionamento. Questo ruolo si è andato dispiegando negli ultimi due anni dimostrando a posteriori la razionalità dell’impianto pianificatorio globale “per bacini” e la facilità di reperire risorse adeguate quando questo impianto esiste. La Regione Campania (tra mille difficoltà ed esitazioni e contraddizioni e concessioni) ha di recente assunto come propria tale strategia: e il tentativo di recupero idraulico/ambientale e territoriale del Sarno ha fornito qualche spunto ad una approccio comune. È servito anche a dimostrare che purtroppo le etichette di criticità affibbiate al Sarno erano comuni a tutta la Campania centro/settentrionale, dal Sele al Volturno,ed erano criticità tutte estranee a considerazioni di sviluppo. Chi sostiene ancora che bisogna sopportare un po’ di inquinamento e di degrado e di consumo di spazio per non frenare lo sviluppo mente scioccamente. Il primo esempio di applicazione è venuto dai Regi Lagni, grazie a uno Studio di Prefattibilità che li interessa, il “corridoio ecologico” quale settore specifico del grande Piano di risanamento. Il “corridoio ecologico” è “figlio” di quello della fascia di pertinenza fluviale dell’Autorità
di Bacino del Sarno e del Parco del Sarno: fatte salve le differenze fisiche e le minori portate di magra, per il resto molti dei ragionamenti sulla situazione fisica e di quelle sulla struttura economica e socioeconomica delle due vallate sono scambiabili. Se il Sarno possiede attrattive artistiche e archeologiche uniche al mondo anche la fascia dell’ex comprensorio di bonifica tra Napoli e Caserta conserva a breve distanza dal suo corso schivi e discreti tesori di paesaggio e di memorie. La vasta piana impaludata d’acque stagnanti bonificata nel secolo XIX è rimasta inabitata per una fascia larga 5 o 6 km giusto a causa dell’insalubrità (malaria) lasciando il luogo a “maremme” (marismas) di canape o di bufale, d’avifauna: fino a che l’attività del Consorzio di Bonifica del BassoVolturno non l’ha convertito in comprensorio di agricoltura molto intensiva ad altissimo consumo d’acqua: mentre laghi d’asfalto e di cemento di interporti, mercati, centri commerciali tutti derogati e sovvenzionati riempivano rapidamente enormi spazi di pianura.. Per la sua fruizione in termini naruralistici i Regi Lagni hanno bisogno di una struttura idraulica parzialmente artificiale per ritrovare un corpo idrico sufficientemente grande: ma queste opere si giustificano economicamente anche come regimazione, e contribuiscono a creare una cesura urbanistica netta, che entrambi i Piani Territoriali (Caserta e Napoli) riconosono ed incoraggiano. La cooperazione col PTCP è stata fondamentale per il Sarno e per la sua fascia di pertinenza e ha dedicato una zonizzazione apposita alla pertinenza stessa. La stessa sinergia dovrebbe ricrearsi con le attività di repressione e di incentivo portate avanti dalla bonifica. C’è anche un terzo corso d’acqua minore cancellato dall’espansione e dal degrado, ed è il Sebeto: che merita anch’esso un posto nella battaglia (storica) dei fiumi. Qui, Il Commissariato Sottosuolo di Napoli e chi scrive portano avanti una proposta che dovrebbe passare alla competenza regionale.
PIETRO GIULIANO CANNATA
Di seguito, si riporta un estratto della Scheda “Studio di Fattibilità per la realizzazione del Grande Progetto del corridoio ecologico dei Regi Lagni” - allegata alla Delibera Regione Campania – Giunta Regionale – Seduta del 24/04/2008 - Deliberazione n. 700 - “Presa d’atto Accordo di Programma Quadro Studi di Fattibilità: determinazioni su modalità di attuazione, misure organizzative e adempimenti contabili” (pubbl. B.U.R.C. n. 22 del 3/06/2008).
STUDIO DI FATTIBILITÀ PER LA REALIZZAZIONE DEL GRANDE PROGETTO DEL CORRIDOIO ECOLOGICO DEI REGI LAGNI DESCRIZIONE
La canalizzazione delle acque meteoriche delle pianure costiere della Campania consentiva in passato di limitare le difficoltà ambientali costituite dalle paludi malariche ma nello stesso tempo di sfruttare la grande fertilità di quei terreni e le molteplici possibilità d’uso delle acque: per irrigazione, per trasporto fluviale di chiatte e di barche e per forza motrice. II reticolo idrografico naturale (quasi inesistente nella pianura per ovvie ragioni morfologiche come la bassissima pendenza di drenaggio) fu così sistematicamente ricanalizzato e mantenuto aperto via via che l’apporto solido dei versanti tendeva a interrarlo: fino alla recente crisi generale (temtonale, geomorfologica, d’inquinamento e idrografica) provocata dall’urbanizzazione dilagante. In particolare l’enorme aumento di acque reflue (passate da 30 a 400 litri/abxgiorno per tutti gli usi) e il raddoppio degli abitanti e delle acque pluviali per via dell’impermeabilizzazione totale, hanno cancellato ogni possibile fruizione umana d’un territorio una volta molto apprezzato per le sue caratteristiche paesistiche, artistiche e climatiche. La prossimità del Voltumo, devastato dagli scarichi e dalle escavazioni in alveo, ha di fatto reso impossibile una fruizione del litorale. I residui possibili elementi di qualità territoriale sono stati sommersi dalla pesante diffusione di discariche, dalla concentrazione di inquinamenti zootecnici e agricoli, dalla incompleta funzionalità delle fognature residenziali, dall’impermeabilizzazione de) terreno, dalle escavazioni in alveo dei fiumi. Il recente impulso finalmente dato dalla Regione alla rete fognaria, alla depurazione, (Marigliano-Nola, Acerra, Foce Regi Lagni) al controllo delle discariche ha creato con le sostanziali modifiche strutturali le premesse d’una rinascita anche socioculturale. Del resto la recente esperienza del piano di valorizzazione del Sarno risanato costituisce un’occasione troppo favorevole per non tentarne qui la ripetizione (mutatis mutandis) liberando cosi tutta la grande conurbazione da un’eredità di degrado famosa. I fiumi, dal Volturno al Sele, hanno finito per identificarsi con il degrado territoriale. Se la rinaturalizzazione dei corpi idrici (anche artificiali, ovviamente) può identificarsi con la rinascita socioculturale dell’economia avanzata (economia della cultura e della fruizione). Un intervento di rinaturalizzazione del corpo idrico dei Regi lagni e della sua fascia di pertinenza fluviale si dovrà confrontare – come è avvenuto per il Samo – con le enormi opere idrauliche (scatolari, rivestimenti in calcestruzzo, argini etc.) spesso inutili dal punto di vista idraulico e dannose per l’impedito scambio fiume/falda e per il mancato apporto solido alle spiagge erose e per la sistematica contaminazione tra acque nere e acque pluviali. In tate ottica la complementarietà tra il presente studio e quello promosso dall’Assessorato all’Ambiente per la valutazione, tra l’altro, degli afflussi agricoli e industriali dei bacini dei Regi Lagni, rappresenta la giusta attenzione per la definitiva valorizzazione e messa in sicurezza ambientale delle zone in oggetto di intervento.
Le immagini riportate sono riferite al paesaggio fluviale del Sarno e dei Regi Lagni. da sinistra: 1. Fiume Sarno: (Foto: Archivio fotografico AdB Sarno) 2. Regi Lagni (Foto da “Progetto Regi Lagni” - ENEA - Accordo di Programma ENEA - Ministero dell’Ambiente”, 2002 eseguito nel quadro dell’Accordo di Programma ENEA-MINAMB) 3. Fiume Sarno: (Foto: Archivio fotografico AdB Sarno)
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a possibilità di costruire una “cultura del territorio” passa necessariamente attraverso un progressivo processo di conoscenza e di informazione, di sensibilizzazione ambientale, di “riappropriazione” del proprio territorio1. Le trasformazioni avvenute nel corso degli anni nel territorio del Bacino del Sarno conducono a riflettere sulle implicazioni delle profonde modificazioni ambientali che ne hanno alterato l’assetto e le valenze originarie; basti pensare alla funzione storica del fiume, al ruolo cardine nell’antico paesaggio fluviale e rapportarlo allo stato attuale ed alle condizioni insediative del contesto di riferimento. Sembra quasi impossibile immaginare che, un tempo, acque “profonde e cristalline” caratterizzavano il paesaggio fluviale, pensare all’acqua come fonte di irrigazione ed elemento vitale per tutte quelle attività che ruotavano intorno al Sarno – dalla lavorazione della canapa, del cotone, del lino, all’industria molitoria, alla lavorazione della concia delle pelli, ai prodotti tessili, alla pasta; ed ancora immaginare il Sarno “navigabile”2. Ripercorrere la “memoria” storica del bacino del Sarno, consente di rintracciare le fasi evolutive e le dinamiche fisico-morfologiche di questo territorio, evidenziando le sue originarie specificità e valenze simboliche, i segni della stratificazione, il ruolo del fiume nella “costruzione” del paesaggio nel suo rapporto con l’ambiente circostante. Il viaggio nell’affascinante storia di questo territorio – tra scritti, iconografie, fondi archivistici, immagini d’epoca,
dialoghi sul Sarno per una “cultura” del territorio alcuni spunti di riflessione per un dialogo costruttivo ORNELLA PISCOPO
dsulSarno suggestioni di viaggio – ci riporta alla originaria identità territoriale e specificità dei luoghi e alle antiche valenze, richiama la bellezza e l’amenità di questi luoghi, così come celebrati e descritti fin dall’antichità. In questo senso la “lettura” di questo particolare ambito, fortemente segnato da problematiche ambientali e da una elevata vulnerabilità idrogeologica, rispetto alla sua antica configurazione, sollecita ampie considerazioni sulle strategie di intervento, sulle criticità e sul “danno ambientale”, sul ruolo della pianificazione nel suo rapporto con le istanze del territorio. Il confronto tra cartografie storiche, immagini, vedute aeree, pur nei limiti delle diverse scale di lettura, permette di capire lo sviluppo del territorio nei suoi aspetti, naturali ed antropici. L’osservazione delle ortofoto, qui riportate, rende la consistenza dell’azione di trasformazione ed esplicita i termini dei processi di trasformazione del territorio, quali espressione di un modello di sviluppo “Insostenibile” della crescita, richiamando, ancor più che più che in altre realtà territoriali, una profonda riflessione sul termine “trasformazione”, sul significato di ciò che si intende per “trasformazione e sviluppo del territorio” e sugli effetti di tali trasformazioni.
La veduta aerea rende la consistenza delle azioni di trasformazione (espansione incontrollata, indiscriminato uso/consumo di suolo, saturazione degli spazi liberi) operata su questo territorio. L’immagine dà il senso della “trasformazione” del paesaggio fluviale e della perdita di identità. L’espansione illimitata degli agglomerati urbani, l’incontrollato uso/consumo delle risorse segna profondamente il tessuto e le sue valenze originarie.
Il richiamo alle immagini, tra l’attuale assetto e le originarie valenze del fiume, tende a stimolare e rafforzare la “riflessione critica”.
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Nell’attuale scenario di riferimento3 gli indirizzi e le strategie di intervento pongono in primo piano la valenza strategica dell’area, anche in relazione alla possibilità di “ricostruzione” della continuità ecologica della fascia fluviale intesa come “corridoio” che integra funzioni di riqualificazione ambientale, funzioni di riduzione del rischio idraulico e di tipo fruitivopaesistico. Ed è in questa ottica che si inseriscono le strategie di intervento che questa Autorità di Bacino sta sviluppando nel quadro del “corridoio fluviale del fiume Sarno”, nell’ambito delle attività rivolte al riassetto ed al recupero ambientale delle fasce di pertinenza fluviale4, nella direzione dell’“uso del suolo come difesa”, anche nel quadro delle programmazione 2007-2013 - POR Campania - FESR. Questa ottica tende a recuperare il ruolo del “sistema fiume”, innescando processi di valorizzazione dell’area, a “ri-pensare” il rapporto “fiume/paesaggio/difesa del suolo”. A partire da queste considerazioni, con questa nuova sezione dialoghi sul Sarno si vuole avviare una “riflessione” critica su temi, questioni, problematiche del territorio di bacino, offrendo uno spazio “aperto” di dialogo e di confronto. Ritengo che inserire uno spazio di “riflessione critica” in un quaderno divulgativo possa contribuire ad “aprire” spazi, ambiti di discussione e di confronto sulle problematiche e questioni, favorire il dialogo ed il confronto anche rispetto a posizioni contrastanti. Ed inoltre che questo possa favorire scelte condivise nella direzione dell’attivazione di politiche e strategie di intervento. Tali momenti di confronto vanno incentivati e promossi in un percorso di consapevolezza del valore del proprio territorio da parte di tutti i soggetti del territorio – amministratori locali, abitanti, comuni, Provincia, Regione. L’idea parte dal presupposto della necessità di “ragionare insieme” nella consapevolezza che discutendo sui problemi, affrontando le questioni, le problematiche da più punti di vista, accostando e facendo interagire soggetti e discipline diverse fra loro, in un’ottica multidisciplinare, sia possibile generare nuove idee ed offrire un quadro di riferimento utile e signifi-
dsulSarno cativo per affrontare le questioni e le problematiche emergenti. In questo senso, l’Autorità di Bacino intende alimentare e rafforzare la riflessione e favorire la coscienza ambientale di questo territorio. L’apertura di spazi di divulgazione e di confronto sulle problematiche del bacino e la possibilità di aprire dialoghi costruttivi costituiscono momenti essenziali del processo decisionale che vanno incentivati e promossi in un percorso di consapevolezza del valore del proprio territorio, di “riappropriazione” del senso di appartenenza da parte di tutti i soggetti del territorio – amministratori locali, abitanti, attori interessati e delle istituzioni coinvolte. Chi scrive è fermamente convinta che l’apertura al dialogo, il momento del confronto su temi e questioni possa contribuire a stimolare e attivare una coscienza ambientale e una “apertura” verso approcci integrati, sostenibili al governo ed alla gestione del territorio. Ed anche che l’educazione alla tutela dell’ambiente solleciti l’accrescimento di una identità di appartenenza al proprio territorio e possa creare, a partire fin dall’infanzia, proprio in questo territorio così fortemente degradato ma ricco di potenzialità, i presupposti per una nuova coscienza ed un nuovo atteggiamento nei confronti del territorio e delle sue problematiche. Spesso, nella mia esperienza quotidiana, mi soffermo a riflettere sulle scelte progettuali, su quelle che sono gli interventi progettuali, a fare il punto sulla attuale situazione di questo territorio, sulle tendenze, sulle dinamiche/processi di trasformazione e mi accorgo, nel corso dell’iter istruttorio delle “pratiche” esaminate, che il momento della discussione e del confronto costituisce un momento essenziale, nella maggioranza dei casi molto proficuo ai fini della definizione delle scelte, di soluzioni condivise; mi accorgo che spesso “insieme” possono essere trovate soluzioni praticabili, possono essere definite soluzioni condivise, sostenibili, nell’ottica di una corretta gestione e uso delle risorse. In questo ritengo essenziale il ruolo “attivo” del tecnico, di indirizzo e di supporto. Su questi aspetti molteplici sono le considerazioni che potrebbero essere richiamate ed essere oggetto di discussione. Senza entrare nello specifico, ciò che emerge è la necessità di confronti su “tavoli” comuni nell’intento di configurare un “sistema di esigenze” (riconducibile alla necessità di difesa del suolo) in un “sistema di opportunità (Ercolini M., 2006), e di attivare quella visione di insieme, integrata e condivisa.
Divinità fluviale personificazione del fiume Sarno. Affresco romano Pompei, Moregine particolare dal triclinio C parete nord dal complesso dei triclini in località Moregine Pompei L’immagine rappresenta il Sarno come un vecchio con la barba, seminudo, disteso su un fianco e circondato da piante fluviali (in genere canne e papiri), nell’atto di reggere un vaso da cui sgorga l’acqua (Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei)
In questa direzione si colloca il lavoro di indirizzo e di programmazione dell’AdB Sarno, le iniziative finalizzate a collaborazioni ed intese con gli enti del territorio (tra queste la recente intesa con l’Ente Parco Regionale del bacino Idrografico del fiume Sarno e il Consorzio di Bonifica) e la stessa iniziativa editoriale dei Quaderni AdB, nata con l’obiettivo di favorire la divulgazione delle informazioni a supporto dei soggetti del territorio e di indirizzare le scelte progettuali. I temi dialoghi sul Sarno si configura come uno “spazio aperto”, orientato agli strumenti, ai temi urbanistici e a quelli trasversali, finalizzato a costruire un contributo al governo del terri-
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dsulSarno torio – interrogarsi sulle teorie e sulle pratiche urbanistiche, oltre che affrontare specifiche tematiche. I temi che si intende porre all’attenzione sono quelle inerenti il governo del territorio di bacino e che trovano fondamento in una riflessione sul territorio nella sua complessità e nelle sue componenti e, sulle sue trasformazioni. Ed accanto a questi, temi “trasversali”. Tra i possibili temi oggetto di discussione: – l’uso del suolo/consumo di suolo; – i luoghi della trasformazione/luoghi di valore; – il paesaggio e le sue trasformazioni; – il territorio come “bene comune”; – il rapporto tra permanenze e trasformazioni. Il sito web dell’AdB Sarno è aperto, alla sezione dialoghi sul Sarno, per inviare note e riflessioni che saranno opportunamente esaminate e fatte confluire in “dialoghi del Sarno”.
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Fontana marmorea di p.zza G.B. Ferrajoli a S. Egidio del Monte Albino (SA), costituita da un unico blocco di marmo scavato (Foto: ing. S. Silvestri) Come evidenziato dalla dott.ssa Marisa de’ Spagnolis, ci troviamo di fronte ad un documento archeologico di grande valenza, sia per la decorazione scultorea presente sui tre lati, sia per la tipologia di fontana, che si distingue da tutte quelle finora portate alla luce nel territorio della Valle del Sarno, nella stessa Pompei ed Ercolano. Va notato che, sulla fontana di S. Egidio, il fiume è rappresentato in entrambe le versioni iconografiche, quella del dio giovane e quella del dio maturo, ma – fatto ancora più rilevante – è che le immagini della fontana si prestano ad una lettura simbolica, che va collegata alla posizione delle sorgenti e della foce del fiume, che sulla fontana, come nella realtà, si trovano rispettivamente ad est e ad ovest della valle.
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NOTE 1. Per i processi di “riappropriazione” del territorio ed in particolare di “riappropriazione fruitiva” del fiume, cfr, “Manifesto per l’Arno” dell’Associazione per l’Arno, S. Rossore, 2003, nel quale, si promuove un approccio partecipativo al governo del sistema fluviale da parte degli attori sociali, culturali, economici, istituzionali e degli abitanti, nella prospettiva della “restituzione del fiume al territorio, recuperando il suo ruolo storico di generatore di identità, fruizione, qualità paesistica, ricchezza”. 2. Numerosi i riferimenti storici al fiume Sarno, celebrato e menzionato fin dalla antichità, alla “navigabilità” ed alla funzione commerciale del fiume, che costituiva un importante via di comunicazione e di collegamento, oltre che per Pompei, il cui porto assumeva un ruolo di primaria importanza. 3. “Piano Territoriale Regionale” (PTR) - “Approvazione e disciplina del Piano Territoriale Regionale”, approvazione del 16/09/2008 - Consiglio Regionale della Campania., Preliminari della Provincia di Napoli e della Provincia di Salerno - PTCP della Provincia di Napoli, Programmazione Regionale 2007-2013 - POR Campania - FESR. 4. Al riguardo, l’attività dell’AdB Sarno riferita al “corridoio fluviale” del fiume Sarno e rivolta al riassetto e recupero ambientale delle fasce di pertinenza fluviale, nell’ambito dello Studio per la fase preliminare del “Piano Stralcio di riassetto e recupero ambientale delle fascia di pertinenza del fiume Sarno”, attualmente in corso.
RIFERIMENTI
BIBLIOGRAFICI
Associazione per l’Arno (2003) Manifesto per l’Arno, Documento aperto al contributo della società toscana, S. Rossore. (http://www.associazioneperlarno.it/doc/manifestoperl’arno.doc). Centonze, G. (2005) Stabiana. Castellammare di Stabia e dintorni nella storia, nella letteratura, nell’arte, Bardi Editore, Roma. Ciarallo A., (2006) Pompei e le acque. Il fiume e il mare, Electa, Napoli. de’ Spagnolis M., “Il Sarno e i suoi Dei”, in Studi di Storia e Geostoria Antica, Napoli, 2000. Ercolini, M. (2006) “Dalle esigenze alle opportunità. La difesa idraulica fluviale occasione per un progetto di “paesaggio terzo”, Firenze University Press. Guzzo, P.G. “Moregine. Suburbio portuale di Pompei”. Magnaghi A. (a cura di) (2005), La rappresentazione identitaria del territorio. Atlanti, codici, figure paradigmi per il progetto locale, Alinea, Firenze. Si ringrazia l’Ing. S. Silvestri per aver fornito i riferimenti storici relativi alla rappresentazione del dio Sarno - Fontana marmorea - S. Egidio del Monte Albino (SA),
La navigabilità del fiume Sarno Ipotesi di interscambio per la fruizione delle emergenze ambientali e storico-culturali della piana Nell’ambito del completamento del Progetto Preliminare di riqualificazione idraulico-ambientale del nuovo Delta del fiume Sarno, l’Autorità di Bacino del Sarno ha verificato la fattibilità di un percorso fluviale integrato con itinerari “terrestri”, configurando una proposta di navigabilità del fiume Sarno che consente la fruizione delle valenze ambientali e storico-culturali presenti.
STUDI, PIANI, PROGRAMMI
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a definitiva individuazione degli interventi di sistemazione idraulica del basso e medio corso del fiume Sarno ed i relativi approfondimenti progettuali maturati nell’ambito delle esperienze commissariali, hanno aperto nuovi ed interessanti scenari di riqualificazione per i territori della piana. In particolare, gli obiettivi di potenziamento della capacità di convogliamento del corso d’acqua programmati tra l’abitato di Scafati e la foce ed i conseguenti interventi di risagomatura delle sezioni e dei profili di fondo, lasciano intravedere, tra l’altro, la concreta possibilità di restituire navigabilità, seppur parziale, al fiume Sarno.
MASSIMO DELLA GATTA
Fig. 1 Paesaggio fluviale del Sarno (Foto AdB Sarno)
In quest’ottica, a completamento del Progetto preliminare di riqualificazione idraulicoambientale del nuovo delta del fiume Sarno, l’Autorità di Bacino ha verificato la fattibilità di un percorso fluviale, integrato con itinerari “terrestri”, che, compatibilmente con l’assetto idraulico individuato per il corso d’acqua, ripristinasse la connessione paesaggistica e storico-culturale tra il reticolo idrografico ed il territorio della piana, opportunamente rivisitata in funzione dei vigenti programmi di sviluppo comunali e sovracomunali.
APPRODI 1. Seconda foce approdo interno alla nuova foce del fiume Sarno e connessione ad un percorso pedonale/ciclabile da ricavare in fregio al sedime riqualificato del collettore ex C.C.C.
2. Rovigliano approdo allo scoglio e percorso escursionistico
3. Marina di Stabia
1.
Scalo ed interscambio diportistico
4. Foce Sarno (Stagnone) approdo interno alla foce del fiume Sarno e connessione ad un percorso naturalistico nell’area dello Stagnone. Capolinea della navigabilità lungo il corso d’acqua
5. Vecchio Bottaro approdo in sponda destra e connessione ad un percorso pedonale/ciclabile da ricavare in fregio alla restituzione del canale Bottaro fino agli omonimi mulini
2.
6. Ponte Persica (Darsena) approdo in sponda destra, in corrispondenza della darsena borbonica, e connessione ad un circuito pedonale/ciclabile da riconnettere al precedente
7. Polverificio approdo in sponda destra, in corrispondenza del polverificio borbonico, e connessione, attraverso via Vitiello, all’approdo del canale Bottaro (12)
8. Borgo Mulini Approdo in sponda destra e connessione, mediante un percorso pedonale/ciclabile attraverso il Borgo dei Mulini di Scafati, all’approdo di Via Zara (11)
7.
9. Villa Comunale approdo in sponda sinistra, in corrispondenza della Villa Comunale di Scafati, e connessione, mediante un percorso pedonale attraverso il centro storico, agli approdi della Traversa (10) e della ex Draga (14)
10. Traversa capolinea per la navigabilità del canale Bottaro ed interscambio con la navigabilità del Sarno
10.
11. Borgo Mulini 2° approdo in sponda sinistra del canale Bottaro e connessione, attraverso il Borgo dei Mulini, all’approdo sul fiume Sarno (8).
12. Polverificio 2° approdo in sponda sinistra del canale Bottaro e connessione, attraverso via Vitiello, all’approdo sul fiume Sarno (7)
13. ex ATI Carta capolinea della navigazione del Bottaro, in corrispondenza dell’area ex ATI Carta, e connessione ad un percorso pedonale/ciclabile, parzialmente in fregio al canale, per il raggiungimento del sito archeologico di Pompei
15.
14. Draga capolinea per la navigabilità del tratto superiore del fiume Sarno, in corrispondenza della storica Draga, con connessione al percorso attraverso il centro storico di Scafati (Borgo Vetrai)
15. Realvalle approdo in destra al fiume Sarno con connessione ad un breve percorso pedonale/ciclabile fino all’Abbazia della Realvalle
16. Longola
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capolinea della proposta di navigabilità in corrispondenza del sito archeologico di Longola - Poggiomarino
16.
La mappa degli approdi La mappa, allegata, individua le tappe del “percorso fluviale integrato”, nell’ambito della ipotesi preliminare di navigabilià del fiume Sarno. Il percorso, che ripristina le connessioni paesaggistico-storicoculturali tra il reticolo idrografico ed il territorio della piana, risale il fiume Sarno a partire dal litorale torrese-stabiese, toccando luoghi di rilevanza storico-culturale e paesaggistico-ambientale, le testimonianze della storia della Valle del Sarno – Polverificio Borbonico, Real Valle, sito archeologico di Longola (Poggiomarino) – accanto a siti ad elevata potenzialità turistico-ricreativa.
Fig. 2 Paesaggio fluviale del Sarno (Foto AdB Sarno)
La presenza, lungo la valle del fiume Sarno, di innumerevoli elementi di pregio e la prossimità di siti ad elevato potenziale turistico-ricreativo (porto di Marina di Stabia ed ex aree industriali dismesse) hanno suggerito, pertanto, un’ipotesi preliminare di “mobilità” che, partendo dal litorale torrese-stabiese, consentisse, attraverso una rete ragionata di approdi e di interscambi, di risalire il fiume Sarno, dalla foce fino al sito archeologico di Longola, riammagliando tutti i principali attrattori della piana; le opportunità offerte dall’adeguamento idraulico del canale Bottaro a seconda foce del corso principale, inoltre, hanno permesso di estendere la proposta di navigabilità anche a parte del suo attuale percorso, individuando un’interessante ipotesi di connessione pedonale all’area archeologica di Pompei. L’intento complessivo della proposta di fruizione è stato rivolto, non già, verso l’individuazione di percorsi alternativi agli esistenti itinerari turistici, bensì alla realizzazione di un circuito che costituisse, di per sé, elemento di pregio e di valorizzazione per la valle del fiume Sarno anche in prospettiva dell’entrata a regime del Parco Regionale. Nello specifico, la proposta di navigabilità, schematicamente riportata nell’allegata “mappa degli approdi”, individua due percorsi principali che si snodano lungo il basso ed il medio corso del fiume Sarno connettendo il centro storico di Scafati, rispettivamente, alla foce ed al sito archeologico di Longola.
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Il primo percorso, di circa sei chilometri, individua, come punti terminali, gli approdi dello Stagnone e della Villa Comunale di Scafati, proponendo una serie di “scali” intermedi in corrispondenza di punti strategici per la mobilità e la fruizione turistica dell’area; in quest’ottica, sono stati individuati percorsi pedonali e ciclabili che, partendo dai punti di approdo,
Fig. 3 Paesaggio fluviale del Sarno (Foto AdB Sarno)
consentissero di raccordare le emergenze storico-culturali e valorizzare gli elementi di archeologia fluviale (mulini, paleoalvei, canali di bonifica); suggestivo l’itinerario che, sfruttando le opportunità di riqualificazione derivanti dall’adeguamento del canale Bottaro a seconda foce del fiume Sarno, permetterebbe di connettere il centro storico di Scafati all’area archeologica di Pompei; in questo caso, la parziale navigabilità del canale, possibile fino al sito dell’ex ATI Carta, richiederebbe l’interscambio con un percorso “terrestre” al quale, tuttavia, ben si presta l’attuale stato dei luoghi. La navigabilità del corso inferiore del fiume Sarno è stata pensata per imbarcazioni di piccole dimensioni (basso pescaggio) ed in prospettiva dell’adeguamento idraulico del corso d’acqua; la riprofilatura delle attuali sezioni, infatti, verrebbe concretamente a migliorare le possibilità di fruizione, tanto in termini di facilità di approdo, quanto di incremento dei franchi di sicurezza rispetto alle esistenti opere di attraversamento; a tal riguardo, il ponte ferroviario sulla foce costituirebbe il principale ostacolo all’ipotesi di mobilità. Quanto all’accessibilità dal litorale torrese- stabiese, resta inteso che il terminale fissato in corrispondenza dell’area dello Stagnone dovrà costituire un idoneo approdo per l’interscambio tra i natanti in arrivo dalle vicine strutture portuali (Marina di Stabia e approdi torresi) e le imbarcazioni leggere per la risalita del fiume Sarno. La seconda parte del percorso è stata pensata, invece, per la navigabilità della parte di maggior pregio del fiume Sarno; quella che, per una lunghezza di circa sette chilometri, dal sito storico della “draga” (appena fuori dall’abitato di Scafati) perviene all’area archeologica di Longola, tra sponde naturali, attraversando la campagna scafatese; per tale tratto è stato previsto un unico approdo intermedio, in corrispondenza dell’abbazia della Realvalle; anche in questo caso, l’adeguamento idraulico del corso d’acqua, risagomando le sezioni utili al deflusso, è risultato determinante per il miglioramento delle condizioni di navigabilità; a tal proposito, il ponte di S. Marzano costituirebbe il principale ostacolo all’ipotesi di mobilità. Le possibilità di riunire i due percorsi illustrati in un unico grande sistema di navigazione leggera per la connessione del mare alla piana, anche includendo la via d’acqua del “nuovo” canale Bottaro, restano, chiaramente, subordinate alla rimozione della traversa di Scafati ed alla relativa riconfigurazione dei profili di fondo alveo.
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Fig. 4 Paesaggio fluviale del Sarno (Foto AdB Sarno) Per le immagini qui riportate: Foto di sfondo: il fiume Sarno in prossimità dell’Abbazia di Real Valle (Foto: prof. Angelo Pesce) Per le foto riferite ad alcuni “approdi”: 1. Vista Vesuvio dalla seconda foce (Foto AdB Sarno) 2. Scoglio di Rovigliano (Foto AdB Sarno) 7. Polverificio Borbonico (prima del restauro) (Foto: prof. Angelo Pesce)
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10. Fiume Sarno a monte della traversa 15. Abbazia della Real Valle (Scafati - S. Pietro) Facciata dell’ala dei Conversi (lato occidentale del complesso abbaziale) (Foto: prof. A. Pesce) 16. Longola - Poggiomarino (Foto: Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei)
I fenomeni di instabilità del versante di Grotta delle Felci - Isola di Capri L’approccio metodologico per l’analisi geologica-geomorfologica Nell’ambito delle attività dell’Autorità di Bacino del Sarno, lo studio geologico-geomrfologico-geomeccanico del versante di Grotta delle Felci - Isola di Capri - è finalizzato alla valutazione del rischio geologico connesso all’instabilità della falesia in oggetto ed alla definizione delle caratteristiche fisico-meccaniche dell’ammasso roccioso.
Ortofoto dell’ambito territoriale (O.R.CA., 2004 Regione Campania)
STUDI, PIANI, PROGRAMMI
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e valli, le montagne e le pianure sono abitualmente considerate come forme che non cambiano nel tempo. In realtà la superficie del nostro pianeta si trasforma di continuo, ma in modo troppo lento perché noi possiamo accorgecene. Solo in alcuni casi, come quello delle frane, gli eventi subiscono una brusca accelerazione ed in pochi attimi la natura svolge un lavoro che altrimenti richiederebbe migliaia se non milioni di anni. Le frane possono,infatti, essere definite come “movimenti di materiale solido che, in virtù della loro condizione di persistente instabilità, vengono trascinate istantaneamente verso il basso per effetto della sola forza di gravità”. La condizione di instabilità sopracitata può essere determinata per evoluzione del processo di costante modificazione del suolo che prende il nome di modellamento dei versanti: esso è regolato dalla variabile combinazione dei vari processi di degradazione e denudazione che provocano, nel lungo periodo, un abbassamento dei rilievi (erosione) ed un colmamento delle aree depresse (accumulo).
PIER LORENZO FANTOZZI ANTONELLA GUERRIERO
Fig. 1 Grotta delle Felci (Foto AdB Sarno)
Fig. 2 Tratto di falesia retrostante il condominio “Casa Mia” (Foto AdB Sarno)
Anche l’azione dell’uomo e le continue modifiche del territorio hanno, da un lato, incrementato la possibilità di accadimento di tali fenomeni e, dall’altro, aumentato la presenza di beni e di persone nelle zone dove tali eventi erano possibili e si sono poi manifestati, a volte con effetti catastrofici. L’Autorità di Bacino del Sarno, nell’ambito delle sue attività istituzionali, si è proposta di approfondire e analizzare la stabilità dell’ammasso roccioso in località Grotta delle Felci a monte della Provinciale Marina Piccola, situato nel comune di Anacapri, ed al confine con il Comune di Capri. Nel dicembre 2007 la parete in esame è stata interessata da un fenomeno di distacco di un blocco del peso presumibile di circa 80-100 kg, interessando le abitazioni a valle della stessa. L’entità del fenomeno ha messo in luce l’urgenza di procedere all’esecuzione di approfonditi studi per verificare le probabilità di innesco di nuovi fenomeni di instabilità, per la salvaguardia della pubblica e privata incolumità.
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Al fine di valutare la gravità del rischio geologico connesso all’instabilità della falesia in oggetto ed ottenere i desiderati effetti di riduzione dello stesso mediante azioni di difesa e di controllo è stato eseguito uno studio geologico e geomorfologico dell’area in esame ed uno studio geomeccanico finalizzato alla definizione delle caratteristiche fisico-meccaniche dell’ammasso roccioso. In considerazione delle condizioni di estrema criticità dell’area in esame, della sua estensione e delle difficoltà di accesso, si è ritenuto opportuno integrare il rilievo strutturale-geomeccanico con un rilievo aereofotogrammetrico della scarpata verticale e con un dettagliato rilievo topo-cartografico eseguito tramite laser scanner e stazione totale.
L’isola di Capri è situata nel Golfo di Napoli, tra la penisola sorrentina, Capo Miseno e le isole di Procida e Ischia. Quest’isola si estende per non più di 10 km quadrati ed è divisa in due centri: Capri ed Anacapri. Secondo la tradizione, l’isola di Capri fu abitata fin dal paleolitico; passarono di qui sia i Fenici che i Greci, ma i primi veri estimatori dell’isola sono stati i Romani. Si narra che Cesare Augusto, dopo averla visitata la prima volta nel 29 a.C., fu talmente attratto dalle sue bellezze che l’acquistò in cambio della vicina isola di Ischia, più ricca e più vasta. Il suo successore, Tiberio, vi trascorse gli ultimi dieci anni di vita dal 27 al 37 d.C. costruendovi secondo la tradizione dodici ville dedicate ad altrettante divinità dell’Olimpo, una per ogni divinità, la più imponente delle quali, “Villa Jovis” o “Palazzo di Tiberio”, divenne la sua residenza abituale e dalla quale governò l’impero romano. A partire dalla seconda metà del ‘700, l’isola di Capri fu prescelta come soggiorno dai Borboni, come meta di viaggio e per la caccia alle quaglie.
Infatti, alcuni limiti del rilievo geomeccanico tradizionale consistono spesso nella difficoltà di accesso alla parete rocciosa e nella limitata estensione della superficie rocciosa su cui vengono effettivamente eseguite le misure; un altro problema frequente, soprattutto avendo a che fare con rocce deboli, è costituito dalla pericolosità oggettiva del sito. In ammassi rocciosi di buona e discreta qualità, invece, l’uso della tecnica alpinistica può essere ostacolata da alcune variabili, come l’accessibilità alla sommità della parete, la pendenza della stessa e l’eventuale necessità di un disgaggio preventivo. Operando in parete altri limiti operativi sono dovuti all’impossibilità, con i rilievi eseguiti lungo le verticali di calata, di rilevare effettivamente l’intera superficie di interesse, di conoscere l’esatta posizione in cui si stanno svolgendo le misure, la forzata aderenza fisica con la parete che, spesso, è di ostacolo alla comprensione dello schema distributivo delle famiglie di discontinuità che interessano l’ammasso. Il rilievo aerofotogrammetrico, integrato con il rilievo topo-cartografico eseguito con la tecnica della scansione laser, ha permesso, pertanto, di ottenere un rilievo topografico di estremo dettaglio utilizzato per la costruzione di un DTM che può essere considerato una vera e propria “digitalizzazione del terreno”. ASPETTI GEOLOGICI E TETTONICI Capri è uno dei brandelli della piattaforma campano-lucana che si estende dai Monti Lepini nel Lazio, fino al Massiccio del Parco del Pollino in Calabria; a differenza delle vicine Ischia e Procida, è di origine Carsica. Tra il Langhiano ed il Pliocene superiore la regione fu interessata da una serie di fasi tetto-genetiche, poi da una fase distensiva e Capri si trovò collegata alla Penisola Sorrentina da una sottile striscia di terra. Il collegamento ha permesso ai grandi mammiferi pleistocenici di arrivare sull’isola. Ha seguito una fase in cui Capri era sommersa, verificabile dai numerosi fori di litodomi presenti ad Anacapri. A partire dal Pliocene superiore, circa 2 milioni di anni fa, tutta l’area circostante Capri tende fondamentalmente a sollevarsi. Nel Pleistocene si verificano fenomeni tettonici che disarticolano l’area in blocchi. Durante tale fase l’area tende a trovare un suo equilibrio. Questo porta alcune zone a sollevarsi, mentre altre si abbassano. I blocchi scorrono tra di loro lungo superfici dette faglie con differenze, rigetti, dell’ordine di decine e centinaia di metri. A partire da circa 135.000 anni fa, Capri assume un aspetto generale simile a quello odierno e mantiene una sostanziale stabilità geologica. Le rocce che costituiscono l’isola risalgono al giurassico ed al Cretaceo, da 190 a 65 milioni di anni fa e le zone più antiche sono: Cala Ventroso, la Grotta delle Felci e la Migliera. Attualmente Capri è separata dalla penisola Sorrentina dallo stretto di Bocca Piccola; presenta una struttura morfologica complessa con cime di media altezza (Monte Solaro 589 mt a ovest e monte Tiberio 334 mt a est) e vasti altipiani interni, tra cui il principale è quello detto di “Anacapri”. La costa è frastagliata con numerose grotte e cale che si alternano a ripide scogliere. Le grotte, di cui la più famosa è la Grotta Azzurra, nascoste sotto le scogliere, furono utilizzate in epoca romana come ninfei delle sontuose ville che vennero costruite qui durante l’Impero. LA METODOLOGIA DI STUDIO Obiettivo dello studio è stato quello di elaborare un modello tridimensionale del fronte roccioso in grado di riprodurre le principali caratteristiche geometriche e strutturali, avendo riguardo sia alla morfologia superficiale, che alla presenza di famiglie di piani di discontinuità capaci di separare blocchi potenzialmente instabili.
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Fig. 3 Carta Geologica dell’isola di Capri (Progetto CARG)
La messa a punto del modello geometrico, quanto più fedele possibile alla condizione reale in situ, fornisce la base sulla quale impostare modelli numerici di calcolo della stabilità, in funzione dei parametri meccanici dell’ammasso di rocce esaminate, i quali, a loro volta, permettono una stima precisa del numero dei blocchi e, conseguentemente, dei volumi coinvolti nei potenziali fenomeni di innesco. Il lavoro è stato suddiviso nelle seguenti fasi: • Fase 1 - Implementazione quadro conoscitivo dei dati geologici La prima fase è stata di carattere conoscitivo con l’acquisizione ed omogeneizzazione dei dati per l’inquadramento morfodinamico generale del territorio, sulla base di precedenti studi e ricerche integrati da controlli diretti. A tal fine sono state svolte analisi di dettaglio della successione stratigrafica e dell’assetto strutturale del gruppo del Monte Solaro che domina la parte settentrionale della parete. • Fase 2 - Rilievo geo-strutturale e geo-meccanico dell’area in esame Nella seconda fase si è proceduto all’esecuzione del rilievo geo-strutturale dell’area in esame. Infatti, anche se il termine roccia, al contrario di terreno sciolto, è sinonimo, almeno nel linguaggio corrente, di stabilità e resistenza, in realtà, quando si considera la roccia nelle dimensioni di grande massa si ha spesso a che fare con un mezzo discontinuo, suddiviso in volumi rocciosi elementari, con caratteristiche di resistenza che, globalmente, sono notevolmente ridotte per la presenza di giunti e discontinuità di diverso tipo. Il rilievo geomeccanico costituisce il punto di partenza per ogni studio relativo ad un ammasso roccioso. È un insieme ordinato di misure ed osservazioni di caratteristiche litologiche, geometriche e tecniche dell’ammasso roccioso che è indispensabile conoscere in qualsiasi problema applicativo in quanto da esso derivano la classificazione dell’ammasso roccioso e la definizione di alcune caratteristiche geomeccaniche. In particolare il rilievo geostrutturale è rivolto alla raccolta di dati per la descrizione quantitativa delle discontinuità presenti nella massa rocciosa al fine di riconoscere la possibilità cinematica di una mobilizzazione di volumi rocciosi e valutarne le possibili dimensioni. Ciò si ottiene verificando se la geometria delle strutture geologiche (insieme delle discontinuità), unitamente alla geometria della superficie esterna, dia origine a volumi rocciosi che abbiano la possibilità cinematica di un movimento. Il rilevamento geologico è stato supportato da una notevole mole di dati strutturali consistenti per lo più nella misura di numerose superfici di frattura e di faglia lungo le quali sono state anche rilevate cataclasiti ed indicatori cinematici.
Fig. 4 Esempio a piccola scala di “diedri o blocchi liberi” nei “Calcari Bioclastici” (Foto AdB Sarno)
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Fig. 5 Panoramica della parete del Monte Solaro con visibilità in alto di torrioni, cuspidi e “gendarmi” (Foto AdB Sarno)
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• Fase 3 - Rilevamento tramite laser scanner e rilievo fotogrammetrico Nella terza fase il rilevo strutturale dell’ammasso roccioso è stato integrato con l’impiego del rilevamento “laser scanning terrestre” e “rilievo fotogrammetrico” i quali hanno il vantaggio di “documentare” con continuità la morfologia di estese pareti difficilmente accessibili o in condizioni di stabilità giudicate critiche. La tecnica del laser scanner consente, infatti, di misurare rapidamente e con sufficiente precisione tutte le maggiori caratteristiche geometriche di un ammasso roccioso come la giacitura delle discontinuità, la spaziatura, l’intercetta, la forma delle discontinuità ed il volume roccioso unitario. Con la scansione laser, inoltre, possono ottenersi anche informazioni sul grado di alterazione delle pareti di discontinuità, parametro correlabile con i processi di decadimento delle caratteristiche meccaniche della roccia e conseguentemente con i meccanismi di innesco del fenomeno di frana. I laser a scansione (o laser scanner) sono dispositivi ottico-meccanici capaci di emettere un impulso elettromagnetico (il laser) e di ricevere il segnale riflesso, misurando l’intervallo di tempo trascorso e quindi la distanza tra lo strumento ed il punto rilevato. Il raggio laser viene deflesso mediante un meccanismo di specchi rotanti ed oscillanti che con il variare dell’angolo azimutale e zenitale, illumina il terreno in punti contigui. Questo sistema opera misurando anche migliaia di punti al secondo formando delle “nuvole di punti”. Per ogni misurazione (dotata di coordinate x,y,z), il sistema fornisce l’intensità del segnale di ritorno descrivendo la superficie dell’oggetto scansionato. La nuvola di punti prodotta dalla scansione laser costituisce direttamente il modello digitale tridimensionale dell’oggetto scandito. Il rilievo tramite laser scanner è stato eseguito previo posizionamento di alcuni capisaldi in metallo e ottici. La maglia dei capisaldi è stata inquadrata geograficamente tramite posizionamento GPS e successivamente rilevata tramite stazione totale laser, mediante la quale sono state rilevate le posizioni geometriche di alcune principali evidenze geomorfologiche della falesia quali evidenti intersezioni di fratture e bordi di volumi. Il rilievo fotogrammetrico, invece, trova fondamento nella volontà di ricostruire in modo rigoroso la corrispondenza geometrica tra immagine e oggetto al momento dell’acquisizione. La fotogrammetria rappresenta ormai uno strumento di acquisizione di dati metrici e tematici tra i più affidabili e più immediati; essa costituisce una procedura di rilevamento, prospezione e documentazione di rara efficacia delle realtà territoriali, ambientali, urbane ed architettoniche. La fotogrammetria è una tecnica di rilievo le cui origini sono antiche almeno quanto l’invenzione della fotografia e la cui teoria è stata sviluppata perfino prima della stessa invenzione della fotografia, come pura geometria proiettiva. La fotogrammetria, sebbene nasca per il rilievo delle architetture, si sviluppa principalmente per il rilevamento del territorio, ed è stata, fino alla fine del secolo scorso, applicata in gran parte come fotogrammetria aerea.
È bene sottolineare che la tecnica fotogrammetrica non deve né può sostituirsi interamente ai rilievi diretti, ma può offrire solo un supporto geometricamente obbiettivo, imprescindibile ai fini dell’esecuzione del rilievo finale. La sostanziale differenza fra il rilievo topografico e quello fotogrammetrico può essere individuato in due fatti: il primo è che il rilievo topografico è una descrizione puntuale della realtà, mentre quello fotogrammetrico ne è una descrizione continua; il secondo è che la posizione del teodolite, per la natura della sua funzione, ha una posizione prestabilita, mentre la camera fotografica generalmente no. Per le specifiche applicazioni che ne vengono fatte, la metodologia prende il nome di fotogrammetria aerea (aereofotogrammetria), quando l’acquisizione avviene da piattaforma spaziale aerea, in questo caso la camera si trova a bordo di aeromobili e l’oggetto inquadrato è il territorio; fotogrammetria terrestre, se le prese vengono effettuate con camere posizionate a terra e gli oggetti rilevati sono architetture o parti di queste. Il rilievo aerofotogrammetrico è stato eseguito attraverso l’acquisizione di immagini digitali in coppia stereoscopica con l’impiego di strumentazione fotogrammetrica integrata da DGPS e sollevata da elicottero. Le immagini sono state acquisite in coppie contemporanee e successive, scattate lungo strisciate verticali mantenendo una distanza media di 30-50 mt dalla superficie della falesia, con una sovrapposizione verticale media di almeno il 75% al fine di garantire una ottima visione stereoscopica. La copertura totale in senso longitudinale della falesia è stata ottenuta attraverso l’acquisizione di più strisciate contigue una all’altra. Conclusioni Lo studio geomorfologico dell’area ha permesso di evidenziare, alla base della parete in oggetto, la presenza di forme riconducibili a passati episodi di franamento che hanno costituito, assieme ai fenomeni di degradazione ordinari, la potente falda detritica basale. L’attività di crollo e degradazione della parete è un processo naturale ed attivo verificatasi sicuramente durante tutto il quaternario tramite la successione di più cicli morfogenetici nel corso dei quali si è registrata un’evoluzione per parallel retreat della scarpata stessa. Gli effetti della tettonica per faglie trascorrenti e la probabile formazione di lineamenti di fratturazione ad orientazione appenninica hanno portato ad un assetto tipico dell’interferenza tra superfici di discontinuità, determinando una situazione di elevata criticità della parete, riconducibile, prevalentemente, all’individuazione di molti volumi di roccia potenzialmente instabili. Attraverso il rilievo di circa 260 principali discontinuità strutturali e di un altrettanto vasto numero di elementi secondari è stata compiuta una caratterizzazione degli ammassi rocciosi calcarei alla base della parete orientale del Monte Solaro, in località Grotta delle Felci. Sulla base delle classificazioni geomeccaniche di letteratura (Beniawski, 1976; Romana, 1985), sono emerse caratteristiche generali di qualità da mediocre fino a scadente con una situazione di stabilità parziale e una modalità prevalente di rottura lungo piani e cunei. In particolare, le maggiori problematiche possono essere riferite prevalentemente ai fenomeni di crollo in roccia generati attraverso diversi meccanismi: per semplice caduta di blocchi, per collasso di versante, per ribaltamenti di forme denominate “gendarmi” o “cuspidi” e per scorrimenti.
Fig. 6 Grande porzione di ammasso roccioso parzialmente distaccato in tipologia mista tra “scorrimento” e “collasso di versante” (Foto AdB Sarno)
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Quadro di unione delle coppie stereoscopiche di immagini utilizzate per la costruzione dell’ortofotomosaico e per l’interpretazione geo-strutturale.
Fig. 7 Ortofoto mosaico di un tratto della falesia oggetto di studio (Fonte: Centro di Geotecnologie UniversitĂ di Siena)
Poiché i fenomeni esaminati sono caratterizzati da una rapida velocità, essi rappresentano, nell’ambito delle frane, un sicuro rischio per la salvaguardia delle vite umane. Lo studio sull’incipienza di crollo e sul moto di caduta presenta ampi margini di incertezza perché si tratta di analizzare un fenomeno complesso ed articolato in più fasi fra loro interconnesse come il distacco, la caduta libera, l’impatto, l’eventuale frantumazione in frammenti multipli ed i rimbalzi successivi. La protezione del territorio da frane di crollo riguarda generalmente la stabilizzazione dei versanti con interventi di tipo attivo, o in alternativa, la difesa con opere di tipo passivo. Nelle condizioni sopra delineate, tra le tipologie di intervento da adottare per ridurre il rischio a persone e a cose dovuto alla caduta massi, si rende opportuno la messa in atto di una rete di monitoraggio computerizzato dei movimenti e cedimenti su più punti critici della parete individuati dagli studi sopra descritti. Contestualmente all’attività di monitoraggio, si deve procedere alla valutazione di una serie di interventi che, su aree selezionate in dettaglio, prevedano, ove sia possibile, la pulizia ed il disgaggio dei blocchi di dimensione minore. Ulteriori possibili interventi da valutare sono generalmente riconducibili alla realizzazione di pannelli di funi 3x3 m componibili per zone particolarmente pericolose, l’installazione di rete paramassi, la solidarizzazione di diedri e porzioni di ammasso agli orizzonti stabili, da effettuare tramite barre, chiodi e con l’ausilio di imbracature mediante cavi d’acciaio, la sigillatura di fratture e creazione di dreni per evitare sovrapressioni e le sottomurazioni e riempimenti dei vuoti con materiali reperiti in loco. In ogni caso qualsiasi tipologia di intervento non potrà prescindere da una messa in atto di una politica di monitoraggio della parete ed anche delle stesse opere di messa in sicurezza le quali dovranno avvenire nel totale rispetto del contesto ambientale e paesaggistico dell’area.
L’Autorità di Bacino del Sarno si è avvalsa, nell’ambito dello Studio, delle attività di rilevamento geologico-strutturale-geomeccanico e fotogrammetrico del Centro di Geotecnologie - Università degli Studi di Siena.
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Si ringraziano per la collaborazione: prof. E. Aiello, dott. F. Bonciani, prof. l. Carmignani, dott. M. Francioni, dott. S. Mancini, dott. P. Paolini, prof. R. Salvini del Centro di Geotecnologie - Università di Siena.
FOCUS IL VINCOLO E IL RISCHIO IDROGEOLOGICO Leonardo Pace
Non abbiamo qui la pretesa di trattare il pur suggestivo tema del rapporto causa-effetto fra il regime limitativo e prescrittivo imposto dal vincolo idrogeologico ed il relativo rischio (mitigazione), piuttosto tenteremo un breve excursus sull’evoluzione normativa e storica dei contenuti del vincolo e dei suoi fini, rispetto al moderno concetto di rischio ed avanzeremo alcune considerazioni sulle necessità di razionalizzazione ed attualizzazione del “vincolo idrogeologico” – come ancor oggi definito e gestito – i cui contenuti (significati) andrebbero estesi e le competenze modificate, alla luce dapprima della 183/89 e, poi, del Testo Unico sull’ambiente del 2006 (D.lvo n. 152). È il Regio Decreto n. 523 del 1904 che per primo subordina ad autorizzazione amministrativa qualunque trasformazione delle sponde degli alvei di fiumi, rii, canali e scolatoi pubblici, introducendo il principio della tutela della fasce ripuarie.
Evento maggio ‘98 (Foto: Commissariato di Governo per l’Emergenza Idrogeologica in Campania)
Arrigo Serpieri (Bologna, 1877 Firenze, 1960) è stato il padre della riforma agraria del 1933 (Testo Unico sulla bonifica integrale, n. 215 del 13/2/1933) e, prima ancora, l’ispiratore della Legge sul vincolo idrogeologico del 1923. Entrambe le leggi sono ricordate con il suo nome. La bonifica integrale, in effetti, si colloca all’intersezione fra la politica agraria (delle strutture e infrastrutture) e la politica territoriale: attraverso l’idea di bonifica integrale – poi distorta, nella pratica applicativa, per interessi economici (n.d.r) – si può individuare una via serpieriana alle politiche di sviluppo locale (F.Musotti). Prima ancora, quando Arrigo Serpieri iniziò la sua opera di studioso, si può dire che l’economia agraria, come organico corpo di dottrine, non era ancora nata: fino ad allora, le nozioni riguardanti l’economia aziendale facevano parte dei trattati di coltivazione. Serpieri ebbe l’intuizione e la capacità di applicare felicemente i principi della scienza economica ai problemi agricoli. Le sue opere e l’insegnamento universitario contribuirono a svecchiare e a dare organico indirizzo e contenuto alle discipline economico-agrarie (E.Ruffini).
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Occorre attendere quasi vent’anni per ritrovare nel R.D. n. 3267 del 30 dicembre 1923 (Legge Serpieri), disposizioni limitative dei diritti di proprietà privata a fini di prevenzione di danni derivanti da rischio idrogeologico. In verità il R.D. n. 3267/23 sottopone a vincolo i terreni di qualsiasi natura e destinazione che, per effetto di forme di utilizzazione contrastanti con le norme di cui agli artt. 7, 8 e 9 del Decreto stesso possono, con danno pubblico, perdere la protezione vegetale e vedere alterate le condizioni di equilibrio geologico e idraulico. I citati artt. 7, 8, 9 del Decreto trattano dell’obbligo di autorizzazione e delle modalità prescrittive, con espresso riferimento alla trasformazione colturale ed al governo dei pascoli dei terreni. Successivi articoli del R.D. toccano più esplicitamente il tema del ruolo del soprassuolo a protezione delle cose e delle persone: “I boschi, che per la loro speciale ubicazione, difendono terreni o fabbricati dalla caduta di valanghe, dal rotolamento di sassi, dal sorrenamento e dalla furia dei venti, e quelli ritenuti utili per le condizioni igieniche locali, possono su richiesta delle Province, dei Comuni o di altri enti e privati interessati, essere sottoposti a limitazioni nella loro utilizzazione. Per disposizione della competente Amministrazione dello Stato possono essere sottoposti ad analoghe limitazioni i boschi, dei quali sia ritenuta necessaria la conservazione anche per ragioni di difesa militare)”. È, quindi, proprio il R.D. di cui parliamo ad introdurre il sostanziale principio dell’uso del suolo come difesa, persino militare! Significativo è, poi, l’art. 2 laddove prevede che l’individuazione dei terreni sottoposti a vincolo “sarà fatta per zone nel perimetro dei singoli bacini fluviali”, fissando il principio, poi dimenticato ed infine ripreso dalla L. 183/89, del bacino quale unità fisiografica di riferimento. Come osserva Alessandra Valentinelli1 alla legge di vincolo idrogeologico del ’23 non fece seguito nessun impegno applicativo concreto… logiche di tipo economico avrebbero prevalso… il vincolo sarebbe rimasto uno strumento passivo di tutela, senza trasformarsi, proprio in quanto destinazione permanente, in incentivo alla salvaguardia delle risorse. Dopo altri venti anni il Codice Civile approvato con R.D. del 16/3/1942, riprende, al titolo II, capo II, sezione IV il principio già espresso dal Regio Decreto del 1923: i terreni di qualsiasi natura e destinazione possono essere sottoposti a vincolo idrogeologico, omissis, al fine di evitare che possano, con danno pubblico, subire denudazioni, perdere la stabilità o turbare il regime delle acque. Inoltre il Codice Civile, al comma 2 dello stesso art. 866, stabilisce che l’utilizzazione dei terreni e la eventuale loro trasformazione, la qualità delle colture, il governo dei boschi e dei pascoli, sono assoggettati, per effetto del vincolo, alle limitazioni stabilite dalle Leggi in materia. Il vincolo idrogeologico è, quindi, ancora quello del R.D.3267 del 1923, connesso strettamente alla salvaguardia dei terreni con riferimento soprattutto alla utilizzazione a fini agricoli e silvopastorali del soprassuolo: l’impianto normativo denuncia, infatti, la peculiare attenzione alla tutela dell’habitat per l’agricoltura (“evitare che con danno pubblico possano subire denudazioni, etc”) in un’Italia contadina (“colture, boschi, pascoli, sono assoggettati alle limitazioni, omissis”), il cui territorio non è stato ancora aggredito dall’urbanizzazione incontrollata, che avrebbe poi direttamente esposto al rischio idraulico e da frana interi centri abitati di nuova edificazione. Finalmente, nel 1989, con la fondamentale Legge 183 il legislatore interpreta le limitazioni e prescrizioni sull’uso del suolo – in effetti i vincoli – quale strumento attivo ed organico di difesa e
protezione, estendendone l’accezione prevalente, da fini di tutela ambientale, alla diretta salvaguardia dei beni e delle persone (concetti di vulnerabilità, rischio, tutela dell’incolumità pubblica e privata): la 183, infatti, nel fissare gli obiettivi dei Piani di Bacino e le attività delle Autorità di Bacino, stabilisce la possibilità di emanare prescrizioni con contenuti notevolmente allargati rispetto a quelli previsti nella legislazione risalente. Il successivo ed in parte inattuato Decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152 (Testo Unico ambientale, Parte Terza, Capo II), conferma questa impostazione di governo dei bacini (sia pur su scala di distretto) laddove definisce valore, finalità e contenuti dei Piani di Bacino. Entrambe le leggi – la 183/89 prima e il 152/06 poi – attribuiscono alla Pubblica Amministrazione le attività di programmazione, di pianificazione e di attuazione degli interventi destinati ad assicurare la difesa del suolo, il risanamento delle acque, la fruizione e la gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale, la tutela degli aspetti ambientali ad essi connessi. Già la 183/89 (art. 3) e successivamente, all’art. 56, il D.lgs. 152/2006, demandano alla P.A. il compito di provvedere al riordino del vincolo idrogeologico. E deve, evidentemente, trattarsi di riordino tematico e di competenze. Sul punto, infatti, non si può dissentire dal prof. Urbani quando afferma che è ora di rivedere il contenuto del vincolo idrogeologico per aggiornarlo alle nuove esigenze di tutela, riunificando le tipologie in un’unica categoria con contenuti differenziati, anche considerando che nel rapporto tra diritto e scienza quest’ultima ha elaborato tecniche di tutela del rischio che non erano disponibili negli anni nei quali la disciplina idrogeologica è stata posta dal legislatore nazionale.
Evento maggio ‘98 (Foto: Commissariato di Governo per l’Emergenza Idrogeologica in Campania)
E le competenze? Si pensi che nel nostro Paese la tutela del vincolo è oggi attribuita agli Enti più disparati: Regioni, Province, Comuni, Comunità Montane, Corpo Forestale dello Stato! Sarebbe auspicabile che le Regioni (la materia risulta trasferita da oltre trent’anni ai sensi dell’art. 82, L. 616/77) aprissero finalmente un tavolo a cui chiamare tutti gli Enti oggi delegati su scala locale alla tutela ed all’imposizione del vincolo idrogeologico, al fine di pervenire, per ciascun bacino, ad un definitivo censimento dei vincoli esistenti sul territorio, ad una loro distinzione tipologica e gerarchica, alla eliminazione di superfetazioni normative e prescrittive, ad una classificazione di facile accesso ed all’univoca attribuzione delle competenze di gestione del vincolo stesso ad un soggetto designato, adeguatamente attrezzato per know how e competenze, che potrebbe oggi ancora indicarsi nell’Autorità di Bacino Regionale, nell’aspettativa di una revisione della disciplina di settore che possa confermare il ruolo degli organi di bacino territoriali, con definitiva commutazione in legge dell’attuale regime di prorogatio.
NOTE 1. Cannata P.G., “Governo dei Bacini Idrografici”, Etaslibri, 1994.
Evento maggio ‘98 (Foto: Commissariato di Governo per l’Emergenza Idrogeologica in Campania)
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FOCUS METODOLOGIA DI REALIZZAZIONE DEL DTM PER LA MODELLAZIONE IDRAULICA BIDIMENSIONALE. Studio idraulico del Bacino idrografico della Solofrana Alberto Albano - Antonino Paroli
La metodologia per la realizzazione del D.T.M. si inserisce nell’ambito della modellazione idraulica bidimensionale dei fenomeni di esondazione di un tratto del torrente Solofrana compreso tra la vasca Pandola e la localià S. Angelo (comune Mercato S.Severino)1 ed è parte delle attività di aggiornamento del PSAI dell’AdB Sarno. Per tale attività ed in considerazione del modello matematico utilizzato dal programma di simulazione idraulica FLO-2D, si è realizzato un DTM della zona interessata con caratteristiche geometriche compatibili con l’applicazione citata. In particolare la base di riferimento è costituita da una maglia di ml. 5x5 e nella cella singola è prevista la presenza di tre punti-quota che indivi-
duano la Z massima, la minima e la media delle due precedenti. Il materiale cartografico ed informatizzato dell’Autorità, selezionato e predisposto in funzione dello specifico utilizzo, ha offerto la possibilità di scegliere fra diverse opzioni possibili: • DTM passo 5m. tratto dal progetto ORCA 2004; • DTM passo 10m. tratto dalle ortofoto CGR 1998; • DTM passo 5m. tratto dalle curve di livello e dai p.q. della cartografia a base del SIT AdB-Sarno, realizzata con la elaborazione delle cartografie recepite dai singoli comuni e dagli Enti territoriali che ricadono nella competenza della stessa AdB; • DTM passo 40 m. tratto dalla CTR-CTP 1:5000 levata 1998; • DTM passo 25 m. tratto dalla cartografia regionale IGM 1:25000 levata 1990; • DTM costituito dalla nuvola di punti rilevata con metodologia Laser-scanning AUSELDA (AUSELDA Group di Roma su commissione dell’AdB Sarno realizzato nell’ambito del rilievo dell’asta fluviale del Sarno e dei suoi affluenti, per una fascia a scavalco di ml. 500). La valutazione del materiale disponibile ha portato all’individuazione come migliore base di elaborazione del DTM AUSELDA. Per interpretare compiutamente le esigenze dell’operatore e per la migliore sinergia operativa con l’applicazione utilizzata per le simulazioni idrauliche da effettuare, si è proceduto in stretto contatto ad analizzare tutti i dettagli utili al raggiungimento del risultato ottimale. Le metodologie utilizzate per la realizzazione dello specifico DTM e per la soluzione delle problematiche incontrate sono di seguito sinteticamente qui riportate. La metodologia realizzativa di tale lavoro, basata su tecnologia di rilievo Laser-scanning, ha prodotto una base di punti quota costituita da una nuvola fittissima, ciò in considerazione anche della bassa quota di volo (compresa fra 250 ml. per il volo basso e 500 ml. per il volo alto) che consente di generare punti suddivisi in quattro gerarchie in funzione delle battute di rilievo e dei piani intercettati dal laser. Si è scelto inizialmente di utilizzare solo la categoria di punti “ground” prelevati dal rilievo AUSELDA. Tale classe è quella che rappresenta il suolo; questa scelta ha richiesto la verifica della perfetta collimazione cartografica con la base CTR 1998. Entrambi i prodotti sono restituiti nel DATUM Gauss-Boaga ItaliaZona 2 EST. Dopo l’estrazione dai files ASCI dei punti AUSELDA, la loro sovrapposizione con la CTR 1:5000 ha evidenziato un lieve sfasamento, peraltro fisiologico in considerazione anche della profonda diversità della tipologia di rilievo e restituzione. Tale sfasamento provocava la sovrapposizione di molti p.q. con aree impegnate da impronte di fabbricati ed, inoltre, in molte zone si osservava che il rilevatore laser del sistema scanning era stato ingannato dalle superfici riflettenti delle serre. Per eliminare tale inconveniente si è proceduto, con l’utilizzo di apposite routines dell’applicazione gis MAP-INFO utilizzata dall’AdB, ad eliminare tali punti, ottenendo quindi una base depurata. La realizzazione del piano quotato come sopra descritta ha rappresentato la fase propedeutica allo sviluppo di quello specificamente richiesto e di cui si ricordano le caratteristiche: maglia quadrata di ml. 5x5 con all’interno della cella base n.3 p.q. rappresentanti la Z massima, la Z minima e la Z media arrotondata al valore superiore. Tali peculiarità hanno reso necessario lo svi-
Ortofoto area Solofrana (Ortofoto O.R.CA. - Regione Campania, 2004)
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luppo di una apposita applicazione in basic-visual basic, linguaggio di programmazione del programma GIS MAP-INFO, per consentire la disanima dei punti all’interno della cella-base, l’individuazione di quelli con il valore Z maggiore e minore, lo scarto degli eccedenti ed il calcolo del punto con Z media. Il grid a base di elaborazione era già stato generato automaticamente con gli applicativi presenti nel programma GIS. L’intero procedimento ha consentito di rispondere alle specifiche necessità di calcolazione richieste dall’algoritmo dell’applicazione FLO-2D, utilizzata per le simulazioni idrauliche necessarie allo studio, offrendo un preciso supporto alle elaborazioni stesse.
NOTE 1. “Aggiornamento delle fasce fluviali e delle aree a rischio idraulico individuate dal P.S.A.I. alla luce degli interventi di mitigazione realizzati e/o programmati per l’asta fluviale del torrente Solofrana e dell’alveo comune nocerino” - A.P.Q. - Difesa Suolo - Regione Campania.
Vista di nuvole di punti tratta da Rilievo laser-scanning - AUSELDA Roma, 2003
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FOCUS IL PROGETTO DELLE INDAGINI GEOGNOSTICHE FINALIZZATE ALLA PROGETTAZIONE DELLE OPERE IDRAULICHE Ugo Ugati
La progettazione delle grandi opere idrauliche necessita, il più delle volte, di una campagna di indagini geognostiche complesse; al geologo va assegnato il compito di approntare il cosiddetto “progetto delle indagini geognostiche”. Il contenuto del “Progetto delle Indagini Geognostiche” può essere assimilato all’elenco elaborati previsto dal D.P.R. 554/99 per un progetto esecutivo di un’opera pubblica, opportunamente adeguato all’esigenza in questione.
In linea di massima, può essere composto dai seguenti documenti: • • • • • • • • • •
RELAZIONE TECNICO-ILLUSTRATIVA COMPUTO METRICO COMPUTO METRICO ESTIMATIVO ANALISI NUOVI PREZZI QUADRO ECONOMICO GENERALE CARTOGRAFIA CON UBICAZIONE INDAGINI GEOGNOSTICHE CRONOPROGRAMMA CAPITOLATO SPECIALE D’APPALTO SCHEMA DI CONTRATTO PIANO DI SICUREZZA E COORDINAMENTO IN FASE DI PROGETTAZIONE
Di seguito, sono illustrati i contenuti essenziali degli elaborati su elencati. • La relazione tecnico-illustrativa descrive in dettaglio i criteri utilizzati per l’ubicazione e la tipologia delle indagini, in riferimento alla normativa vigente ed alla complessità dell’opera da progettare, nonché indica la provenienza di dati bibliografici che entreranno a far parte dello studio geologico-tecnico complessivo. • Il computo metrico ed il computo metrico estimativo costituiscono i documenti contabili delle lavorazioni a farsi; in particolare, il computo metrico è l’insieme dei conteggi necessari per determinare le quantità di tutte le categorie dei lavori necessari per realizzare le indagini; applicando alle quantità i corrispondenti prezzi unitari, si ottiene la stima dei lavori necessari per realizzarle. • Se all’interno dei computi si è reso necessario inserire nuovi prezzi, va previsto un ulteriore elaborato contenente l’analisi nuovi prezzi, questa documentazione, con i dovuti calcoli di manodopera necessaria – noli macchinari, ore lavorative per unità di misura e quant’altro – stabilisce il costo unitario del nuovo prezzo con indicazione di massima della voce di capitolato. • Il quadro economico generale può essere suddiviso in due somme principali (A e B) - lavori e somme a disposizione, come da dettaglio previsto dalla normativa vigente: A) lavori a misura, a corpo, in economia a1) lavori a2) oneri della sicurezza B) somme a disposizione della stazione appaltante b1) allacciamenti ai pubblici servizi b2) imprevisti b3) acquisizione aree o immobili b4) spese tecniche relative alla direzione lavori (comprensive di contabilità, assistenza giornaliera, regolare esecuzione) per le indagini geognostiche b5) spese tecniche relative al coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione b6) spese per pubblicità, ove previste in virtù degli importi b7) I.V.A ed eventuali altre imposte
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• La cartografia con l’ubicazione delle indagini geognostiche, redatta in opportuna scala grafica, indicherà i punti ove saranno eseguite le indagini geognostiche con l’indicazione della tipologia di area su cui sarà eseguita l’attività (pubblica, privata, ecc.); all’interno di aree densamente urbanizzate potrebbe essere utile predisporre stralci cartografici di maggior dettaglio (ad es. in scala 1:1.000).
• Il cronoprogramma dei lavori, stabilisce i tempi complessivi di esecuzione del servizio, ovvero deve tener conto delle attività di campagna ed in laboratorio, tenendo conto della tempistica prevista dalle norme UNI che s’intendono seguire per l’espletamento delle singole voci di costo. • Il capitolato speciale d’appalto, per questioni di leggibilità, è diviso in due parti, l’una contenente la descrizione delle lavorazioni e l’altra la specificazione delle prescrizioni tecniche; esso illustra in dettaglio: a) nella prima parte tutti gli elementi necessari per una compiuta definizione tecnica ed economica dell’oggetto dell’appalto, anche ad integrazione degli aspetti non pienamente deducibili dagli elaborati grafici del progetto esecutivo; b) nella seconda parte le modalità di esecuzione e le norme di misurazione di ogni lavorazione, i requisiti di accettazione dei risultati e delle elaborazioni che ne conseguono, le specifiche di prestazione. • Lo schema di contratto contiene, per quanto non disciplinato dal capitolato generale d’appalto, le clausole dirette a regolare il rapporto tra stazione appaltante e impresa, in relazione alle caratteristiche dell’intervento con particolare riferimento a: a. termini di esecuzione e penali; b. programma di esecuzione dei lavori; c. sospensioni o riprese dei lavori; d. oneri a carico dell’appaltatore; e. contabilizzazione dei lavori a misura e/o a corpo; f. liquidazione dei corrispettivi; g. controlli; h. specifiche modalità e termini di collaudo; i. modalità di soluzione delle controversie. • Il piano di sicurezza e coordinamento in fase di progettazione deve essere considerato documento obbligatorio e complementare al “Progetto delle Indagini geognostiche”, il piano deve essere redatto secondo le recenti normative (D.Lgs. 81/08) e contemplare sia le attività in situ che quelle in laboratorio, prevedendo, in ogni caso, che l’impresa aggiudicataria, prima dell’inizio dei lavori, consegni al direttore dei lavori ed al R.U.P. il Piano Operativo di Sicurezza, ove necessario con le opportune modifiche che possono derivare dall’organizzazione di cantiere dell’impresa aggiudicataria dell’appalto. Resta inteso che, la corretta esecuzione delle indagini geognostiche è funzione dell’attività di direzione lavori da svolgere, ai sensi dell’art.130 del D.Lgs. n. 163/06.
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segnalibro news, seminari, convegni, link in questo numero
Pompei and the Roman Villa Art and Culture around the Bay of Naples National Gallery of Art - Washington 19 ottobre, 2008 - 22 marzo, 2009 in collaborazione con il Los Angeles County Museum of Art, Regione Campania, Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania, Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei. Per visitare le pagine dedicate alla mostra, si veda il sito del National Gallery di Washington, dal quale è possibile, inoltre, scaricare la brochure della mostra ed altra documentazione. Da segnalare il catalogo della mostra. http://www.nga.gov/exhibitions/pompeiiinfo.shtm
Ercolano. Tre secoli di scoperte Napoli, Museo Archeologico Nazionale 16 ottobre 2008 - 13 aprile 2009
Parchi fluviali e bacini idrografici: esperienze Europee Lerici - Villa Marigola ottobre 2008
per altre informazioni, consultare il sito www.parcomagra.it
La Sezione Segnalibro è curata da Ornella Piscopo
segnaliamo alcuni eventi di rilievo nel quadro della valorizzazione complessiva del bacino del Sarno – in linea con la strategia integrata che questa AdB sta portando avanti rispetto al “sistema complessivo delle risorse” – ad evidenziare l’identità e la peculiarità storico-archologiche di questo territorio. Pompei, Ercolano, Oplontis, dichiarati dall’Unesco Patrimonio dell'Umanità, elementi centrali del territorio di bacino, testimonianze della vita e della società del patrimonio identitario storico-culturale, sono al centro di un crescente interesse a livello nazionale ed internazionale. Le mostre segnalate – “Pompei and the Roman Villa” allestita alla National Gallery of Art di Washington visitabile fino al 22 marzo 2009 e “Ercolano: tre secoli di scoperte”, al Museo Archeologico Nazionale di Napoli su Ercolano, dedicata alle statuaria che in quasi tre secoli di scoperte sono state restituite dall’antica Ercolano – costituiscono eventi di spicco nel panorama culturale, indicativi di una sempre maggiore attenzione alle valenze storico-culturali di questo territorio. Accanto a queste, il convegno “Parchi fluviali e bacini idrografici: esperienze Europee”, tenutosi a Lerici - Villa Marigola, tenutosi nell’ottobre 2008, promosso dal Parco di MontemarcelloMagra in collaborazione con l’Autorità di Bacino del fiume Magra e Federparchi, volto a sviluppare un confronto tra Parchi Fluviali e Autorità di Bacino nella direzione della interazione e complementarietà di piani e azioni sinergiche.
Autorità di Bacino del Sarno La sede Autorità di Bacino del Sarno P.zzetta G. Fortunato, 10 80138 Napoli tel. +39 81 4935001- fax +39 81 4935070 e-mail: bacsarno@tin.it sito internet: www.autoritabacinosarno.it
La missione L’attività dell’Autorità di Bacino del Sarno, istituita con L.R. 8/94, ha avuto inizio nei primi mesi del 1998. L’Autorità opera in conformità degli obiettivi della L.183/89 al fine di perseguire il governo del territorio di bacino, indirizzando, coordinando e controllando le attività conoscitive, di pianificazione, di programmazione e di attuazione, aventi per finalità: – la conservazione e difesa del suolo da tutti i fattori negativi naturali ed antropici; – il mantenimento e la restituzione ai corpi idrici delle caratteristiche qualitative richieste per gli usi programmatici; – la tutela delle risorse idriche e a loro razionale utilizzazione; – la tutela degli ecosistemi, con particolare riferimento alle zone di interesse naturale, forestale e paesaggistico, ai fini della valorizzazione e qualificazione ambientale.
Il territorio Il territorio di competenza dell’Autorità di Bacino del Sarno, con estensione pari a 715,42 kmq, include complessivamente 59 comuni (8 della provincia di Avellino, 32 della provincia di Napoli e 19 della provincia di Salerno). Sono compresi, inoltre, parte di territori appartenenti a 6 Comunità Montane (Monti Lattari-Penisola Sorrentina, Zona dell’Irno, Serinese-Solofrana, Penisola Amalfitana, Vallo di Lauro e Baianese, Montedonico-Tribucco), al Parco Nazionale del Vesuvio ed ai Parchi Regionali dei: Monti Picentini, dei Monti Lattari e del Fiume Sarno. L’area, caratterizzata da una particolare vulnerabilità idrogeologica ed una diffusa antropizzazione, include zone di valenza storico-artistico e paesaggistico-ambientale. POPOLAZIONE RESIDENTE
1.154.495 abitanti (ISTAT, 2001)
SUPERFICIE DI BACINO
715,42 kmq
COMUNI
n. 60
PROVINCE INTERESSATE
Provincia di Avellino Provincia di Napoli Provincia di Salerno
I comuni Prov. COMUNI
Agerola* Anacapri Angri Boscoreale Boscotrecase Bracigliano Calvanico Capri Casola di Napoli Castel S. Giorgio Castellammare di Stabia Cava de’ Tirreni* Contrada* Corbara Ercolano Fisciano* Forino Gragnano Lauro* Lettere Massa Lubrense* Mercato S. Severino Meta Monteforte Irpino* Montoro Inferiore Montoro Superiore Nocera Inferiore Nocera Superiore Ottaviano* Pagani
NA NA SA NA NA SA SA NA NA SA NA SA AV SA NA SA AV NA AV NA NA SA NA AV AV AV SA SA NA SA
Sup. Terr. (kmq) 19,62 6,39 13,75 11,2 7,18 14,04 14,82 3,97 2,57 13,63 17,71 36,46 10,31 6,6 19,64 31,52 20,49 14,29 14,29 12,3 19,71 30,21 2,19 26,7 19,49 20,44 20,85 14,71 19,85 12,77
Popolazione residente (n. ab) 7350 5844 29398 27381 10638 5227 1355 7058 3657 12635 66413 52418 2796 2455 54699 12267 5087 28991 3654 5606 12873 20232 7696 8674 9508 7737 47932 22641 22549 32272
Prov.
Sup. Terr. (kmq)
NA NA NA NA NA NA AV SA SA NA NA SA NA NA NA NA SA SA SA SA SA SA AV NA NA NA NA NA NA NA
20,78 7,33 12,47 13,28 12,41 4,52 23,65 8,07 5,22 4,09 7,87 6,27 6,97 4,1 14,09 4,2 5,15 9,03 39,95 19,76 13,09 8,5 21,93 9,93 7,58 23,51 7,33 30,66 6,45 29,3
COMUNI
Palma Campania* Piano di Sorrento* Pimonte Poggiomarino Pompei Portici Quindici* Ravello* Roccapiemonte S. Agnello* S. Antonio Abate S. Egidio del Monte Albino S. Gennaro Vesuviano* S. Giorgio a Cremano S. Giuseppe Vesuviano S. Maria La Carità S. Marzano sul Sarno S. Valentino Torio Sarno Scafati Scala* Siano Solofra Sorrento* Striano Terzigno Torre Annunziata Torre del Greco Trecase Vico Equense*
Popolazione residente (n. ab) 14485 12808 5888 19653 25751 58905 3030 2506 9081 8421 18203 8199 10100 52807 23152 10860 9433 9258 31012 45253 1498 10037 11814 15659 7507 15831 48720 90255 9179 20048
Fonte: “Censimento Generale della Popolazione”, ISTAT 2001. * Comuni ricadenti parzialmente all’interno del territorio di competenza dell’Autorità di Bacino del Sarno. I dati relativi alla superficie territoriale e alla popolazione si riferiscono all’intero territorio comunale (ISTAT).
Organi dell’Autorità di Bacino
COMITATO ISTITUZIONALE
COMITATO TECNICO
SEGRETARIO GENERALE
SEGRETERIA TECNICO-OPERATIVA
40
PRESIDENTE Assessore all’Ambiente (delegato dal Presidente della Giunta Regionale in attuazione della L. 183/89)
COMPONENTI: ■ Regione Campania Assessore all’Agricoltura e Attività Produttive ■
Regione Campania Assessorato all’Urbanistica
■
Regione Campania Assessore ai Lavori Pubblici
■
Provincia di Napoli Assessore all’Ambiente
■
Provincia di Avellino Assessore all’Ambiente
■
Provincia di Salerno Assessore all’Ambiente
■
Autorità di Bacino del Sarno Segretario Generale