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Quando la pasta è cultura e solidarietà
from Pasta & Pastai 187
by Avenue media
La carbonara in orbita nello spazio
Il 6 aprile scorso, in occasione del CarbonaraDay, la giornata mondiale dedicata alla carbonara, Al.ta Cucina e Pasta Garofalo hanno scelto di festeggiare l’evento in modo insolito: hanno lanciato in orbita il piatto più famoso al mondo per raccontare a tutta la Terra, ma anche all’Universo, come si prepara una carbonara e che non esiste un’unica ricetta per prepararla. In questo viaggio un piatto di carbonara preparato con Pasta Garofalo riporta la bandiera del brand per simboleggiare l’arrivo nello spazio ed è accompagnato dall’app di Al.ta Cucina, con una “playlist” di carbonara di oltre 500 ricette, condivise direttamente dagli “chef” di una delle community di appassionati di cucina più grandi d’Italia (o chissà, dell’Universo…).
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Felicetti premia le nuove stelle della cucina
Il pastificio “più alto d’Europa” è ancora una volta a fianco di Identità Golose per promuovere la cucina d’autore, celebrando chi si è consacrato alla cultura del cibo di qualità. In occasione della presentazione dell’ultima edizione dell’omonima guida (Identità Golose 2022), che raccoglie il meglio della ristorazione in Italia e nel mondo, Felicetti ha consegnato il neonato premio Identità di Pasta riservato a un giovane chef under 40. Il riconoscimento è andato a Riccardo Forapani, classe 1985, del ristorante Cavallino di Maranello (Mo), per il suo “Scrigno di cacio e spezie”, una felice rilettura del timballo di pasta ferrarese. Dopo 13 anni di militanza nel team dell’Osteria Francescana di Massimo Bottura, dal 2020 Forapani è alla guida del Cavallino, storico ristorante di Casa Ferrari, new entry nella Guida di Identità Golose.
L’acqua della pasta non va buttata nel lavello
Perché non si dovrebbe buttare l’acqua della pasta nel lavello una volta scolata? Perché contiene un’elevata percentuale di amido estremamente prezioso rilasciato dai carboidrati. L’amido, infatti, è un addensante naturale, quindi un mestolo di acqua di cottura insieme a un po’ di olio da aggiungere al condimento prescelto renderà ancora più cremosa l’emulsione e più estatica l’esperienza culinaria. Ma allora che fare con il resto dell’acqua di cottura? Se gettarla nel lavello non è un’opzione, l’idea è di usare le vaschette per il ghiaccio, riempirle e poi metterle nel congelatore. All’occorrenza verranno utilizzati i cubetti di acqua amidacea per addensare zuppe, salse e sughi.
Barilla sospende gli investimenti e le campagne pubblicitarie in Russia. È lo stesso colosso di Parma ad annunciarlo. Lo scoppio del conflitto in Ucraina ha infatti comportato la messa in pausa di nuovi investimenti del Gruppo in Russia, mercato strategico in cui Barilla è presente con due stabilimenti produttivi (uno dei quali sarà ultimato nel 2023) e con la società Barilla Rus Llc, di cui il fondo sovrano russo Rdif Investment Management è socio di minoranza. Continuerà invece la produzione di pasta e referenze da forno.
di Lorenza Vianello Sustainability Consultant per Futuro Anteriore Academy
Credibilità e tradizione per innovare in modo sostenibile: le scelte di Girolomoni
Tutti condividiamo le stesse preoccupazioni per un futuro sempre più vicino, tutti abbiamo a cuore l’eredità che lasceremo alle generazioni future. Ognuno ha una propria storia: alcuni hanno un passato professionale che li ha portati a riflettere, altri una propensione personale che non hanno voluto tradire, altri, invece, nelle istanze del futuro sostenibile ci sono - letteralmente - nati. Uno di questi è certamente Giovanni Battista Girolomoni. La seconda generazione di questa famiglia, nata da Gino e Tullia Girolomoni, è l’asse portante di una cooperativa agricola che riunisce 30 soci e 70 dipendenti.
Quella di Girolomoni è una storia di perseveranza e di fedeltà. Fedeltà ai valori, alla terra, alle persone. La recente operazione di rebranding, che celebra i vostri 50 anni, sottolinea proprio questo aspetto. Qual è il rapporto tra le eredità culturali e le nuove sfide, tra l’essere cooperativa e l’essere famiglia?
C’è un rapporto particolare tra la nostra famiglia e la cooperativa: vista la nostra storia non potrebbe essere altrimenti. La forma sociale della cooperativa e la struttura di un’impresa familiare, nel nostro caso, si sovrappongono. Gli stakeholder apprezzano che il ruolo di presidente sia ricoperto da un Girolomoni, a garanzia di una fedeltà alla visione, ma come in ogni cooperativa le decisioni sono prese attraverso una votazione, cosa che non avviene nelle aziende familiari. In tal senso, determinante è stata la scelta del nostro fondatore, mio
A fianco: l’area produttiva della Cooperativa Girolomoni. Sopra: Giovanni Battista Girolomoni
padre Gino Girolomoni, che ha optato fin da subito per la forma cooperativa, ritenendola quella che meglio rispetta il valore della solidarietà quotidiana, alla base della civiltà contadina, dove tra vicini e famiglie ci si aiutava sempre. Non posso dire che ci sia mai stato un vero e proprio “passaggio generazionale”, né di aver “preso in mano l’azienda”. È un equilibrio particolare, che però funziona, perché si basa su un fattore chiave: quello della solidarietà. In Girolomoni ci si aiuta. Ognuno ha il proprio ruolo e lo porta avanti: ci sono dirigenti capaci, che gestiscono da anni le attività, amici - la famiglia allargata, come la chiamo io - che si assicurano che la parte culturale e gli aspetti valoriali del nostro agire non vengano traditi.
Com’è stato crescere con un padre come Gino Girolomoni?
Prima di tutto voglio ricordare anche mia mamma Tullia, al fianco di mio padre ogni giorno per costruire insieme a lui tutto questo. Da bambini non capivamo la portata del pensiero dei nostri genitori, anzi, soffrivamo, si fa per dire, per la crema di carrube con cui facevamo merenda al posto della più ambita crema di nocciole. Per essere credibile Ma rivedendo il tutto con oc- al biologico chi adulti, ricordo il negozio serve di alimenti biologici che mia un movimento mamma ha gestito a Urbino dal 1978, il primo del Centro culturale Italia e il nostro secondo dopo quello aperto a Milano. Ricordo la coerenza con cui siamo cresciuti, senza assolutismi ma immersi nell’idea di fare bene per fare del bene. Biologico, in sé, non significa nulla senza la coerenza, l’attenzione alla salute e alle persone che quel biologico lo producono. Noi non abbiamo “imparato” queste cose, ci siamo cresciuti insieme. I miei genitori ci credevano, molto e ci hanno sempre insegnato un atteggiamento
coerente, senza mai forzarci perché, forse, avrebbe creato l’effetto opposto. Questo li ha resi, ai nostri occhi e a quelli di chi li ha conosciuti, estremamente credibili.
Ad aprile 2021 le Marche hanno iniziato un percorso che si propone di creare un unico distretto del biologico, il più grande d’Italia e d’Europa. Si tratta di un accordo tra Regione, Camera di commercio e Associazioni agricole. Cosa significa questo passo per la vostra azienda?
Alla Girolomoni pensiamo da sempre che l’agricoltura biologica, per essere credibile, non si possa promuovere solo con la mera certificazione e le operazioni di marketing. È necessario creare un vero e proprio movimento culturale che dia valore a quello che facciamo. Il primo passo è coinvolgere la base, quindi gli agricoltori, come soggetto che dal basso spinga verso questo modello; poi serve un approccio di filiera: dal seme al piatto. Il terzo passo è vedere il biologico in un’ottica di comunità. La creazione del primo distretto biologico regionale d’Europa va proprio in questa direzione; servirà a promuovere le Marche come la regione che non solo è stata pioniera nell’agricoltura biologica, ma che per prima ha capito il valore aggiunto di far parte di una comunità dove il biologico è una scelta sia aziendale sia culturale,
Il fondatore della cooperativa, Gino Girolomoni
abbracciando così le sfide che l’Europa ci pone con il Green New Deal. Non basta, infatti, porsi l’obiettivo di convertire a biologico il 25% dei terreni entro il 2030, perché se questo passaggio non è adeguatamente accompagnato da una crescita altrettanto importante del mercato, l’offerta rischia di crescere molto più velocemente della domanda, creando un danno enorme agli agricoltori. Al contrario, bisogna fare molto di più in tema di promozione, che non può essere lasciata ai singoli: in questo senso ci devono aiutare le istituzioni e ci aiuterà il distretto bio regionale. È inoltre molto importante coinvolgere le persone, chi acquista, chi porta il cibo in tavola, altrimenti rischiamo di avere molta offerta e poca domanda, indubbiamente il pericolo maggiore di questa forte spinta europea, che abbiamo accolto positivamente ma che va gestita. Anche in questo caso può intervenire il marketing ma, di base, serve un cambio culturale. Occorre operare a livello nazionale creando percorsi che partano dalle scuole e dall’educazione alimentare. Penso al diverso atteggiamento nei confronti del biologico presente in altri Paesi europei in cui si consuma molto più bio e dove, prima di tutto, il bio rappresenta un approccio culturale. L’intento della nostra fattoria didattica è proprio quello di far capire le origini, il pensiero che c’è dietro la coltivazione del biologico. Per noi è fondamentale che le aziende si aprano alle persone, perché questo genera quella credibilità di cui parlavamo prima. Con lo stesso obiettivo è nato anche il nostro progetto editoriale: per noi la pasta non è mai stata il fine, ma un mezzo per comunicare, per trasmettere una cultura fatta di rispetto, solidarietà, attenzione alle persone, perché il biologico che non è equo non va lontano.
Il consumatore deve essere accompagnato in un percorso di valori
Quando parla di necessità di allargare il mercato, a che punto vede la coscienza collettiva in merito a questi temi? Pensa che le persone non scelgano il biologico per questioni economiche o perché ancora non hanno capito il valore di un certo tipo di coltivazione e di alimentazione? La presenza del biologico nella Gdo potrebbe aiutare l’accessibilità?
Il consumatore non deve fare “scelte eroiche”. Al tempo stesso molte persone hanno capito che si può modificare il proprio stile alimentare senza stravolgere le proprie finanze, anzi. In qualche modo è un ritorno alla tradizione, alla semplicità dei legumi, dei cereali integrali, di quel modo di concepire l’alimentazione che fa bene alle persone, ai coltivatori e alla terra. L’importante è non lasciare il consumatore solo nelle sue scelte, ma accompagnarlo in un percorso di valori. La Gdo può sicuramente rappresentare una vetrina per il bio e garantire una maggiore accessibilità, ma manca di quella parte di trasmissione del valore, della cultura, di cui il biologico ancora ha bisogno. Per questo noi preferiamo essere presenti solo nei negozi dove la vendita è assistita.
Il magazzino della Cooperativa Girolomoni realizzato in bioedilizia
Si parla sempre più spesso di filiere sostenibili, di catene del valore, appunto, che si spezzano se a monte o a valle di un’impresa non ci sono obiettivi condivisi. Girolomoni è molto impegnato in questo senso; quali sono le difficoltà o le sfide più importanti nel portare avanti questo pensiero nel vostro settore?
Per noi si è rivelato vincente l’approccio che, come agricoltori, ci ha contraddistinto sin dall’inizio: non abbiamo voluto essere semplicemente produttori di materie prime, bensì di cibo per le persone, come è sempre stato prima dell’affermarsi in senso univoco del modello agroindustriale. È per questo che fin dall’avvio della cooperativa, tramite strumenti artigianali, ci siamo dedicati anche alla trasformazione dei prodotti e alla vendita diretta, non senza difficoltà di natura economica; da un lato, per diventare produttori di cibo, in particolare di pasta, sono necessari ingenti investimenti e, dall’altro, sono indispensabili le competenze perché, così come non ci si improvvisa agricoltori, non è affatto semplice diventare mugnai e pastai. Per fortuna, lungo il nostro percorso abbiamo incontrato persone straordinarie, che con passione portano avanti questi mestieri.
La sostenibilità, come affermate sul vostro sito, è amore per la terra e per le persone, promozione di comportamenti sostenibili, interazione con tutti gli stakeholder, ma anche innovazione, avanguardia. Come si coniugano questi aspetti nel vostro modo di fare impresa?
Per noi la base di tutto è il rispetto di alcuni valori fondanti della civiltà contadina: abbiamo già parlato di solidarietà, aggiungerei l’importanza della parola data e, pensando all’ambiente, di evitare gli sprechi, la produzione di rifiuti e non avvelenare assolutamente nulla. Il progresso non sempre ha portato con sé questi valori. Noi, invece, abbiamo sempre cercato di tradurli in ottica moderna. La nostra scelta verso il biologico si accompagna all’utilizzo di energie rinnovabili, alla bioedilizia e, non ultimo, all’attenzione nel mantenere corta la nostra filiera. Le scelte in termini di sostenibilità sono state fatte un passo alla volta, in maniera molto concreta, senza stilare un codice di buone pratiche, ma cercando, giorno dopo giorno, di mettere in atto scelte coerenti. Gesti semplici, come promuovere, all’interno della nostra azienda, l’utilizzo di borracce o di tazze personali per il caffè. E gesti più grandi, come sostituire, nel 2021, in concomitanza con i 50 anni di attività, il