AVSI
046519
www.ecostampa.it
046519
www.ecostampa.it
Quotidiano
AVSI
046519
www.ecostampa.it
Quotidiano
AVSI
046519
www.ecostampa.it
Quotidiano
AVSI
AVSI
046519
www.ecostampa.it
AVSI
046519
www.ecostampa.it
046519
www.ecostampa.it
Settimanale
AVSI
046519
www.ecostampa.it
Settimanale
AVSI
046519
www.ecostampa.it
Settimanale
AVSI
AVSI
046519
www.ecostampa.it
Ad Haiti non abbiamo tombe su cui piangere, ma una chiesa dove pregare In un paesaggio che porta ancora le ferite del terremoto di due anni fa, la gente trova il tempo di versare quelle lacrime che finora ha trattenuto. Ma con l'anniversario la ferita si riapre e il dolore riaffiora. Tutto, intorno, parla di distruzione ma anche di una redenzione inaspettata e gratuita. Lettera di un'operatrice Avsi da Port-au-Prince. Di Fiammetta Cappellini in Esteri 12 Gen 2012 Le nostre giornate cominciano presto, praticamente all’alba, con il caldo che nei quartieri si fa già sentire al sorgere del sole ed asciuga l’umidità notturna. Non avevo mai notato quanto umide fossero le notti haitiane fino al terremoto: due settimane a dormire sul cemento del parcheggio, senza materassi e senza coperte. Lo ricordiamo ancora. Già alle 6 e mezza siamo pronti ad affrontare il traffico micidiale della metropoli col suo panorama, che non ha mai smesso di evocare la catastrofe. Le strade di Port-au-Prince sono intasate e troppo piccole. Parte della carreggiata è ancora occupata dalle macerie: sono riusciti a rimuoverne poco più della metà. Le strade sono così strette che ogni manovra di un camion si trasforma in incubo per decine di auto. Le piazze occupate dai rifugi di fortuna dei terremotati. Ma la gran parte della circolazione haitiana è costituita dai pedoni. A causa dell’assenza totale di marciapiedi, la strada è invasa da scolari in uniforme, manovali di tutti i generi, donne dirette al mercato con tutto il loro piccolo commercio raccolto nella cesta sopra la testa. Arriviamo agli uffici di Martissant e Cite soleil in tempo per l’alzabandiera della scuola elementare con cui dividiamo lo spazio. L’inno nazionale è uno dei pochi momenti che riescono a zittire il caos continuo delle strade haitiane. Alle 8 in punto “la Nazione si alza in piedi per salutare la bandiera” e per pochi istanti il patriottismo interrompe il traffico. I nostri bambini sanno che si trovano davanti ad un evento molto serio, già a tre anni, al primo anno di asilo. Poi il via vai riprende. Apriamo l’ufficio, una piccola folla già radunata intorno, in attesa di tutto. Cominciano le attività: monitorare le presenze a scuola, andare a cercare i bambini assenti, a volte casa per casa, più spesso tenda per tenda. Già, perché di tende – a Port-au-Prince – ce ne sono ancora decine di migliaia. Oltre 500 mila persone non hanno ancora trovato un alloggio. La maggior parte dei bambini scolarizzati da Avsi sono vittime del terremoto ancora alloggiate in rifugi. Molti sono orfani di entrambi i genitori. Andarli a cercare è una priorità. Un bambino assente, in queste condizioni, spesso non ha accanto a sé un adulto responsabile. Così gli assistenti sociali partono, zaino in spalla, cappellino a visiera in testa, il logo Avsi bene in
vista. In questi quartieri, bastioni di violenza, il nostro logo è una protezione contro le bande armate e contro la delinquenza comune. Spesso una protezione anche contro il malcontento della gente, che per fortuna non si è mai riversato su di noi. Il nostro lavoro è stimato perché viene dalla base, nasce in seno alla comunità stessa. Mentre l’équipe “educazione” parte, l’équipe “nutrizione” è già al lavoro. Alle 9 hanno già pesato e visitato decine di bambini. La lotta alla malnutrizione è il fiore all’occhiello di Avsi ad Haiti. Il ministero della Salute è soddisfatto dei nostri risultati, e le mamme applaudono le infermiere ogni volta che l’ago della bilancia segna un successo. Le mamme guardano quelle bilance come se attendessero da loro un verdetto. Ma la tenacia dei nostri operatori e di queste mamme ha spesso la meglio su tutte le previsioni dei protocolli. Il grosso del lavoro dell’équipe comunque è spesso più umano e sociale che tecnico: ascoltano, consolano, condividono. La gente delle nostre comunità è stanca. Dalla tragedia ha imparato a risollevarsi, ha reagito con dignità e grandissima forza d’animo, con una fede che lascia sbigottiti. Ma anche la fede si nutre di segni, anche la speranza deve essere alimentata. E sulla lunga distanza non è facile. In concomitanza dell’anniversario del terremoto il dolore rinasce, la ferita aperta ricomincia a sanguinare. La gente vuole ricordare, vuole piangere i propri morti, gli stessi che non ha avuto tempo di piangere nel 2010, quando sopravvivere era più urgente. Allora lottavamo per non farci travolgere dal dolore, oggi difendiamo il nostro diritto di fermarci a ricordare, di lasciare che il dolore si esprima. Lasciamo il terreno verso la base logistica delle Nazioni Unite per una delle frequentissime riunioni di coordinamento. La zona dell’aeroporto non cessa di essere un caos di gente e di mezzi, un girone infernale. Lo stesso nei quartieri alti, dove hanno sede le organizzazioni internazionali. Percorrendo le arterie principali incrociamo le autobotti che portano l’acqua potabile ai campi dei terremotati. Sono sempre meno numerose: i fondi scarseggiano. Eppure la gente continua a bere acqua infetta e l’epidemia di colera ancora non è domata. Come faranno senz’acqua? Come faremo senza fondi per dargliela? Non lo so. Oggi la comunità internazionale emette bilanci: metri cubi di macerie spostate, beneficiari serviti, scuole ricostruite... Lo facciamo inevitabilmente anche noi, ma il bilancio della nostra gente è molto più umano e molto meno tecnico. Oggi, nel ricordo del 12 gennaio 2010, ci sentiamo più uniti, più forti, temprati dalla vita e dal dolore condiviso. La nostra Nazione è fragile economicamente e vulnerabile, ma lo spirito degli haitiani è forte, indomito. Il Governo ha indetto un giorno di memoria nazionale e di lutto. Ho detto che avremmo chiuso gli uffici, ho chiesto allo staff che cosa avrebbero fatto. «Andremo in chiesa. Non abbiamo nemmeno una tomba su cui piangere, quindi ci troviamo tutti lì a pregare per chi non c’è più, e a pregare per i nostri figli, che il Signore ci renda capaci di proteggerli e di dare loro un futuro». La giornata della memoria è ecumenica e interreligiosa come solo la fratellanza del dolore sa essere. E anche questo è per noi un grande insegnamento. Da straniera, ritengo un privilegio che i colleghi haitiani mi sentano parte della loro memoria del 12 gennaio. Mi fanno sentire che aver condiviso questa tragedia renda il legame con loro piu vero. Dei bambini si dice spesso che “il dolore li ha resi adulti”. Ecco, non posso immaginare un Paese più adulto di Haiti oggi.
Esteri
DIARIO HAITI/ Fiammetta: così il terremoto ci ha cambiato la vita Redazione giovedì 12 gennaio 2012 Ieri abbiamo partecipato alla cerimonia di commemorazione dei due anni del terremoto, organizzata da una Agenzia internazionale molto attiva in Haiti. Una cerimonia incentrata sulla ricostruzione e sul sostegno dato alla comunità locale, sui veri attori della ricostruzione e sui risultati raggiunti. All’uscita riflettevo sullo strano sentimento di freddezza che questa cerimonia mi aveva lasciato addosso. Se avessi dovuto dargli un nome, avrei detto che era la cerimonia dei risultati della ricostruzione, non la commemorazione del terremoto. Quasi arrivata al parcheggio ho incontrato una collega haitiana, che lavora proprio per questa Agenzia, e che anziché essere in sala aveva stranamente preferito restare fuori. Ho fatto i consueti auguri di Buon nuovo anno 2012, ma ho subito visto la tristezza velarle lo sguardo. Mi ha detto: “Sa, per me un eventuale nuovo anno non può cominciare che dopo il 12 gennaio. Prima c’e’ solo il ricordo, il dolore del ricordo. Della mia bambina morta sotto le macerie, della tomba che non ho potuto darle, lo strazio di non avere nemmeno un posto dove andare a piangere”. E così improvvisamente ho capito che cosa c’era di freddo nella cerimonia. Non era la “nostra” commemorazione. Noi che ad Haiti c’eravamo, noi che il cuore lo abbiamo in questo Paese, il 12 gennaio non pensiamo principalmente alla ricostruzione fatta o non fatta o parzialmente fatta. Pensiamo ai nostri morti. Agli amici (tanti, quanti!) che non ci sono più, alla sofferenza che abbiamo affrontato e che in qualche modo non ha mai smesso di accompagnarci. Sono passati due anni. 24 mesi. Pochi sono stati i giorni in cui siamo riusciti a non pensarci, a non pensare a quel momento in cui la terra ha tremato e in una manciata di secondi si è portata via la vita, le persone che amavamo, il mondo che conoscevamo. Niente è mai stato più come prima. Abbiamo imparato a convivere con la sofferenza, abbiamo imparato a guardare in faccia al dolore, abbiamo dovuto accettare che la miseria della vita da terremotati inghiottisse la nostra gente. Ma non abbiamo potuto dimenticare, non lo potremo mai. Domenica sono stata al cimitero, a pregare sulla tomba della famiglia di mio marito. Nello stesso caveau sono sepolte le due figlie di un amico, le due bimbe morte abbracciate sotto il tavolo della cucina mentre la mamma le guardava impotente dal giardino, senza poterle salvare. Il papà si era presentato a casa nostra con i piccoli corpi nel cassone del pick up, avvolti in un lenzuolo. “Non ho un posto dove seppellirle, non c’e’ più posto in nessun cimitero. Non voglio portarle alla fossa comune, sono le mie bambine. Aiutatemi vi prego”. Il viaggio in pick up con quel carico leggero, me lo ricordo ancora. Come ricordo gli occhi del papà. “Aiutatemi, vi prego”. Quante volte abbiamo sentito queste parole in questi 24 mesi? Tante, troppe. Qualcuno degli amici, i più anziani, ci chiede come i nostri ragazzi riescono
a essere ancora in piedi, dopo tutto questo. Come è stato possibile continuare. Noi non lo sappiamo con certezza, come è successo. Ma c’era quella domanda: “Aiutateci”. Quella domanda a cui non si può non rispondere. Umanamente, non si può ignorarla. Abbiamo risposto come potevamo, come sapevamo, con le risorse che erano giorno per giorno disponibili, risorse emotive, professionali, materiali. Non lenostre risorse, ma le risorse che la grande solidarietà di tante persone ha reso disponibili. La solidarietà si è trasformata in tende, in scuole, in centri educativi; si è trasformata nei primi sorrisi, nella speranza. Per 24 mesi la solidarietà è stata per questa gente un segno tangibile della vicinanza e dell’accompagnamento della Comunità internazionale. Dal dolore e dallo strazio sono nate prima la solidarietà e poi la fratellanza. Quando i tuoi morti riposano con quelli del tuo vicino, ti senti necessariamente più fratello. Questa umanità ritrovata e ricostruita, seppur ancora fragile e ferita, questa è la vera ricostruzione di Haiti oggi. E di questa siamo orgogliosi di aver fatto parte, nel nostro piccolo. (Fiammetta Cappellini)
© Riproduzione riservata.
Utente e-GdP: mariacqua - Data e ora della consultazione: 12 gennaio 2012 11:11 12009
www.gdp.ch
.
.
.
catholica@gdp.ch cultura@gdp.ch economia@gdp.ch esteri@gdp.ch interni@gdp.ch ticino@gdp.ch sport@gdp.ch
.
.
9 771660 966203
PULIZIA DI UFFICI, BANCHE, STABILI APPARTAMENTI, SGOMBERO APPARTAMENTI, CANTINE, SOLAI IL NOSTRO PERSONALE È ASSICURATO E DI ASSOLUTA FIDUCIA
TEL. 091 922 07 08 VIA MANZONI 6 - LUGANO
taccuino italiano
FISCALITÀ, TRA PARADISI E INFERNI di ROBI RONZA
Lo scambio di battute riguardo alla Svizzera tra il nuovo premier italiano Mario Monti e Fabio Fazio, conduttore di “Che tempo che fa”, in onda domenica scorsa su Rai tre, merita di venire considerato attentamente anche al di là del suo contenuto immediato. È stato infatti un ulteriore riflesso di pregiudizi a danno della Confederazione che a mio avviso a queste latitudini sarebbe meglio non prendere sottogamba. E ciò nel comune interesse del positivo sviluppo delle relazioni italo-elvetiche. Ricordo di aver giustamente sentito dire una volta da Pascal Couchepin, come ho recentemente ricordato ai lettori della mia rubrica sul quotidiano via internet “labussolaquotidiana.it”, che i paradisi fiscali non ci sarebbero se non ci fossero gli inferni fiscali: e l’Italia è uno di questi. Nell’ondata di moralismo, troppo spesso a senso unico, che sta passando sull’Italia in queste settimane, si fa un gran dire del dovere che i cittadini hanno di pagare le imposte, il che è ovviamente giusto. Ci si dimentica però di aggiungere che per parte loro le istituzioni hanno il corrispondente dovere di non depredare i cittadini, come purtroppo invece accade in Italia, dove l’Iva è al 22 per cento e il prelievo fiscale effettivo si sta ormai avvicinando al 50 per cento della produzione interna lorda. Tenendo poi conto dei costi indotti dalla farraginosità delle norme e della bassa qualità dell’amministrazione statale, un centro di ricerche molto ascoltato con sede a Mestre (Venezia) calcola che attualmente in Italia ogni anno si lavora da gennaio fino al 19 giugno per lo Stato, e solo dal 20 giugno in avanti per il proprio reddito. Quello della rilevante evasione fiscale, che peraltro si concentra specialmente in alcuni settori economici e in alcune parti del Paese, è certamente un problema per l’Italia. Al di là infatti di tutte le attenuanti che si possono invocare, nella misura in cui è diffuso un comportamento illegale percepito da molti come giustificato è un’infezione che logora la convivenza civile. Quindi va combattuto. Quello dell’equità fiscale, di cui invece quasi nessuno parla, è un problema altrettanto urgente. E fra l’altro i due problemi in questione hanno tra loro un nesso evidente. Al di sopra infatti di una certa soglia di pressione fiscale l’evasione diventa irrefrenabile se non al prezzo dello sviluppo di una rete di controlli così fitta e così pesante da costituire un ulteriore ostacolo alla ripresa dell’economia privata. (...)
GIORNALE delPOPOLO Quotidiano della Svizzera italiana
GIOVEDÌ 12 GENNAIO 2012 - G.A. 6900 LUGANO - ANNO LXXXVII - NR. 9 / CHF 2.–
HAITI DUE ANNI DOPO
Parla Fiammetta Cappellini
Direzione, Amministrazione e Redazione principale Via San Gottardo 50, c. p. 627, 6903 Lugano tel. 091 922 38 00 - fax 091 922 38 05 e-mail: redazione@gdp.ch Redazione Lugano Via San Gottardo 50, 6903 Lugano tel. 091 922 38 00 fax 091 922 38 05 / lugano@gdp.ch Redazione Mendrisio Via Lavizzari 21, 6850 Mendrisio tel. 091 646 41 29 fax 091 646 78 79 / e-mail: mendrisio@gdp.ch Redazione Bellinzona Tre Valli e Grigioni Italiano Piazza Governo 3, 6500 Bellinzona tel. 091 825 53 55 fax 091 825 53 56 / e-mail: bellinzona@gdp.ch Redazione Locarno Via Orelli 29, 6600 Locarno tel. 091 759 73 20 fax 091 759 73 21 / e-mail: locarno@gdp.ch Redazione Berna tel. 031 311 68 81 / e-mail: berna@gdp.ch Redazione Sport tel. 091 922 38 34 - fax 091 922 38 05 e-mail: sport@gdp.ch Abbonamenti tel. 091 922 38 01 fax 091 922 38 19 e-mail: abbonamenti@gdp.ch
Numero verde 0800 55 35 70
bonefferie
Sull’isola devastata tra dolore e speranza Un milione di sfollati, il colera, la povertà. Cosa accade ad Haiti a due anni dal sisma? L’abbiamo chiesto a chi non se n’è andato. Fiammetta Cappellini, di AVSI-AVAID, racconta di come è possibile ricostruire oggi. «Dal dolore più grande, nasce la carità. Ma abbiamo ancora bisogno di voi...».
BELLINZONA
SANITÀ
Tra ospedali e assicuratori
Il Governo stabilisce tariffe provvisorie Con due decreti esecutivi il Consiglio di Stato introdurrà le tariffe provvisorie LAMal in attesa che le parti trovino un accordo su quelle definitive. E questo per garantire la protezione tariffale agli assicurati e la liquidità necessaria ai nosocomi ticinesi.
Vezia
La “passionaccia” del sindaco Ongaro «Mi ricandido con entusiasmo E la pensione aiuta...» > ROBBIANI A PAGINA 4
Lugano
Residenza Gemmo, luogo rassicurante A 15 mesi dall’apertura, bilancio positivo per il reparto Alzheimer > M. BOTTI A PAGINA 5
> A PAGINA 3
Governo
Tifosi violenti: verso un giro di vite Il CdS ha approvato il nuovo concordato con qualche modifica > A PAGINA 3
Dopo Filippo Gianoni, anche l’altra rappresentante PPD nell’Esecutivo della capitale rinuncia alla ricandidatura. > A PAGINA 11
LOCARNO
Elezioni comunali
Pedrazzini non si candida L’ex consigliere di Stato non correrà per il Municipio: «Prendo una pausa dalla politica attiva. Avanti i giovani». > A PAGINA 9
85anni
GdP- La tua casa
i vinc e i t ona Abb
Mendrisio
Zona blu e vignetta al Viale alle Cantine Consenso di proprietari, residenti e commercianti alle misure del Municipio
Municipio
Flavia Marone si chiama fuori
> SIMI A PAGINA 15
> A PAGINA 7 > SEGUE A PAGINA 14
+
SVIZZERA & MONDO+
> A PAGINA 8
85 mila franchi Una casa di premi
WIDMER-SCHLUMPF
le bordate di Constantin al GdP
«Perché ho difeso Hildebrand» Inizio di presidenza complesso per Widmer-Schlumpf che il primo gennaio ha dovuto riprendere dalle mani di Calmy-Rey il caso-Hildebrand. La grigionese ha ripercorso ieri, davanti alla stampa, le principali mosse sue e del Consiglio federale in questa vicenda. Ha difeso, in sostanza, il fatto di aver fino all’ultimo difeso l’ex presidente della BNS. Anche venerdì scorso durante la trasmissione Arena, benché poco prima il presidente del Consiglio della banca Raggenbass le avesse sottoposto una mail che modificava la posizione di Hildebrand. > FAZIOLI A PAGINA 13
Il presidente del Sion, Christian Constantin: «L’ASF ha calato le braghe di fronte a un ricatto. I mezzi della FIFA sono stati odiosi. Ma io non mollo: Blatter ha trovato pane per i suoi denti». > ANTONINI A PAGINA 17
Utente e-GdP: mariacqua - Data e ora della consultazione: 12 gennaio 2012 11:12 GIORNALEdelPOPOLO GIOVEDÌ 12 GENNAIO 2012
+
HAITI A DUE ANNI DAL TERREMOTO
INTERNAZIONALE 15
Parla Fiammetta Cappellini (AVSI-AVAID)
«Dal dolore nasce la carità: per questo siamo rimasti» Due anni fa, il devastante sisma che uccise quasi 300mila persone. Fiammetta Cappellini, dell’ong italo-svizzera AVSI-AVAID ci tenne informati per settimane con le sue toccanti cronache da Portau-Prince. Oggi ci racconta cos’è cambiato.
l’impegno di AVSI-AVAID
«Un grazie al GdP»
intervista di MARIA ACQUA SIMI Il colera che non dà tregua, le difficoltà della ricostruzione, la povertà di sempre: questa è Haiti due anni dopo il devastante terremoto del 12 gennaio 2010, che fece oltre 270mila morti e 2 milioni di sfollati. Ce lo racconta Fiammetta Cappellini (nella foto), responsabile dell’ong italo-svizzera AVSI/AVAID ad Haiti: per la sua opera i lettori del GdP sostennero un’importante raccolta fondi. Oggi spiega di come prosegue la vita laggiù. Per fare un piccolo bilancio, dopo il terremoto del 2010, in 20 mesi ha coordinato uno staff di circa 30 espatriati che si sono ruotati e 150 staff locali, in condizioni difficili e spesso estreme, portando a termine l’avvio di 16 strutture riabilitate o costruite: 9 scuole, un centro educativo, 5 centri nutrizionali, laboratori artigianali tra cui un ristorante comunitario. A due anni di distanza dal terremoto, cos’è cambiato? Due anni sono tanti e sono pochi. Tanti da passare con il pesante fardello del ricordo delle persone che non sono più tra noi, della sofferenza che abbiamo dovuto affrontare e del carico di lavoro ancora enorme che resta sulle spalle di ciascuno. Sono pochi di fronte all’enorme sfida di costruire un Paese ex novo, di accompagnare una comunità a ricostituirsi e ricomincia-
re da zero. Certo la frenesia della prima emergenza è calata. Ma per gli haitiani e per chi ha la sua vita qui, la tragedia del 12 gennaio è indelebile: il dolore dei morti che non abbiamo potuto seppellire, delle troppe persone care perse in un solo momento, la sofferenza dell’orrore che abbiamo dovuto affrontare, ci hanno segnato nel profondo. Eppure da questa tragedia è nato non solo dolore, ma anche solidarietà, carità e un senso della vita più profondo, una religiosità vera, meno di facciata. Per questo siamo rimasti. I riflettori dei media, inevitabilmente, dopo qualche tempo si abbassano. Com’è la vita quotidiana ora? Per molta parte della comunità internazionale è un anniversario solo di bilanci. Per la gente invece è l’anniversario della memoria: la vita quotidiana è ancora durissima. Troppi non hanno una casa, nemmeno un rifugio; troppi mancano dei servizi di base minimi e necessari. C’è ancora molto bisogno di aiuto, di risorse materiali e umane, risorse competenti e formate, con esperienza. La giornata tipo di un haitiano comincia presto ed è fatta di duro lavoro, di fatica, di insoddisfazione per ciò che non riesce a dare ai propri figli e alla propria famiglia. Questa gente ha bisogno di aiuto, non di polemiche.
Qui sopra e a sinistra, Fiammetta Cappellini, responsabile di AVSI-AVAID ad Haiti. Qual è il progetto di ricostruzione più bello a cui state lavorando? Impossibile scegliere! Costruire una scuola è stato far sorridere 200 bambini, costruire un centro nutrizionale è stato riportare alla vita neonati per cui più nessuno avrebbe speso un centesimo, costruire gli ateliers artigianali è stato ridare dignità ai capofamiglia... Per noi il progetto più bello è accompagnare questa gente nella fatica e nelle conquiste di ogni giorno. L’emergenza colera è ancora alta? L’emergenza colera è ancora grave. Il secondo picco è in discesa ed ora bisognerà vedere se dovremo affrontare un nuovo picco epidemico. Purtroppo, dopo oltre 6mila morti, la cosa migliore che possiamo sperare è che la malattia diventi endemica. Il che non è certo una bella prospettiva. Di cosa c’è bisogno? Ad Haiti oggi abbiamo bisogno di fon-
RICOSTRUIRE HAITI
di. I settori che necessitano in modo prioritario sono l’educazione e la formazione di figure professionali e la ricostruzione del capitale produttivo, cioè rimettere in piedi piccole imprese, rilanciare la produttività del Paese. Per AVSI-AVAID il settore educativo è prioritario... Formare insegnanti, costruire scuole con la solidarietà internazionale di tanta gente comune è stupendo: sono un posto dove si compie ogni giorno il miracolo della vita che vince sulla sofferenza e sul dolore. Certo, le scuole haitiane mancano un po’ di tutto: i bambini scrivono dove capita, alcune classi si siedono in terra sulla cerata, spesso manca qualche muro da finire... L’unica cosa di cui abbondano le scuole haitiane sono i bambini!!! Ma sappiamo che prima o poi qualcuno ci aiuterà a finirle. Confidiamo nella solidarietà, la cosa migliore che sia nata da questa tragedia.
AVSI-AVAID in Haiti, presente dal 1999, è intervenuta subito dopo la catastrofe con un importante programma d’emergenza a favore di 40mila persone in partnership con le Nazioni Unite fornendo beni di prima necessità e servizi educativi, nutrizionali e sanitari. Ad oggi la sua équipe, diretta da Fiammetta Cappellini, ha già portato a termine l’avvio di 16 strutture: 9 scuole, 5 centri nutrizionali, un centro educativo, laboratori artigianali con un ristorante comunitario e ateliers. Sta riattivando due acquedotti e costruendo 10 pozzi d’acqua potabile. Lo scorso ottobre si è aperto l’anno accademico all’Institut Mapou, la nuova scuola costruita da AVSI e AVAID a Place Fierté, nel quartiere di Cité Soleil. Il complesso è costituito da due strutture, in cui sono stati iscritti 608 bambini. In una ci sono due scuole sostenute da AVSIAVAID, l’altra è occupata dal modulo scolastico SAD (sostegno a distanza), che accoglie in totale 197 bambini, dei quali 119 sono bambini sostenuti a distanza (40 di loro sono sostenuti da padrini/madrine ticinesi attraverso AVAID). «Un edificio è stato pagato con fondi raccolti anche attraverso la campagna promossa dal GdP che ha raccolto donazioni per oltre 200mila franchi. Per questo vi ringraziamo ancora di cuore. Oggi l’impegno di AVSIAVAID ad Haiti prosegue attraverso il sostegno a distanza», ci dice Valerio Selle, responsabile di AVSI-AVAID in Ticino.
continuiamo ad aiutare! PER MAGGIORI INFORMAZIONI E PER DONAZIONI: WWW.AVAID.CH
Il messaggio profetico di Giovanni Paolo II nel 1983
Lo sguardo lungo di Wojtyla: «Occorre tornare a sperare» di MARIA TERESA GATTI (AVSI-AVAID) Giovanni Paolo II ci aveva visto lungo, quella primavera del 1983 ad Haiti. «È proprio necessario che le cose cambino… Il vostro (Haiti) è un bel Paese, ricco di risorse umane. E si può parlare di un sentimento religioso innato e generoso, della vitalità e del carattere popolare della Chiesa. Occorre che i “poveri” di tutti i tipi riprendano a sperare. C’è infatti certo un profondo bisogno di giustizia, di una migliore distribuzione dei beni, di una organizzazione più equa della società, con una maggiore partecipazione, una concezione più disinteressata del servizio da parte di tutti coloro che hanno delle responsabilità; c’è il desiderio legittimo, per i mass media e la politica, di una libera espressione che rispetti le opinioni degli altri e il bene comune; c’è bisogno di un più libero e facile accesso ai beni e ai servizi che non possono restare appannaggio di qualcuno: per esempio la possibilità di mangiare a sufficienza e di essere curati, l’abitazione, la scolarizzazione, la vittoria sull’analfabetismo, un lavoro onesto e dignitoso, la sicurezza sociale, il rispetto delle responsabilità familiari e dei diritti fondamentali dell’uomo. In breve, tutto ciò che fa sì che l’uomo e la donna, i bambini e gli anziani conducano una vita veramente umana.
«Una vita degna» Non si tratta di sognare ricchezze o società dei consumi, ma si tratta, per tutti, di un livello di vita degna della persona umana, dei figli e delle figlie di Dio. E tutto questo non è impossibile se tutte le forze vive del Paese si uniscono in un medesimo sforzo, contando anche sulla solidarietà internazionale che è sempre auspicabile». Sembrano scritte oggi, a due anni di distanza dal de-
vastante terremoto che ha ucciso 230mila persone e messo per strada altre 600mila, all’inizio del mandato di un Presidente eletto e di un Governo nuovo, e invece sono parole pronunciate dal Beato Giovanni Paolo II a Port-au-Prince il 9 marzo 1983, alla chiusura del Congresso Eucaristico che aveva come tema “Bisogna che qui qualche cosa cambi”. Da allora, sicuramente qualcosa è cambiato, molto più in questi ultimi due anni che non in quelli precedenti. Una capitale da ricostruire, insieme a maggiore libertà, a maggiore consapevolezza, a una forte (forse troppo) presenza della comunità internazionale. Sulle ceneri di una catastrofe senza precedenti, si leggono oggi imponenti programmi per il futuro. Tra le grandi sfide che si è trovato di fronte dopo l’elezione e la lunga gestazione del Governo, il presidente Michel Martelly ne ha scelte due, decisamente prioritarie: l’educazione e il lavoro.
La difficile ricostruzione Nel recente forum organizzato dalla Banca Interamericana di Sviluppo sugli investimenti in Haiti, si è parlato di grandi opere, di insediamenti di gruppi industriali, di turismo e infrastrutture. Per generare posti di lavoro, obiettivo 500mila. Contemporaneamente, si persegue il programma di scolarizzazione dei bambini, con la leadership della Banca Mondiale e di altre organizzazioni. Certamente uno sforzo da appoggiare senza indugio, anche se la comunità internazionale non si è astenuta da critiche a volte molto pesanti sui ritardi della ricostruzione. Viste “dal basso”, queste prospettive stile “piano Marshall” paiono molto lontane. La vita quotidiana dell’80% della popolazione è ancora finalizzata ai servizi di base: casa, acqua, cibo, sopravvivenza famigliare. In un mondo globale che ci ha in
più occasioni rivelato come la prospettiva di chi governa è molto lontana da quella delle persone, che il “sistema” si sta sempre più divaricando da chi lo genera, che le risorse del popolo sono messe in stand by in attesa che “grandi interventi” creino le condizioni perché queste possano esprimersi, è auspicabile che il "nuovo inizio" di Haiti riprenda dalle sue risorse umane, riparta dalla dignità della persona.
Ripartire dall’umano L’esperienza di AVSI/AVAID di oltre 10 anni di vita, lavoro e legami in Haiti mostra che quella di Giovanni Paolo II è ancora la visione più realistica. Un Paese ricco di risorse umane, che hanno bisogno di tornare a sperare per ripartire. Una visione che parte dalla persona e non da un piano. L’educazione è certamente una condizione essenziale, per questo sono fondamentali la scolarizzazione e luoghi di ricreazione in cui bambini e giovani possano scoprire il valore di sé, degli altri e del mondo. Il lavoro è altrettanto essenziale, per questo occorre che gli investimenti partano dalle risorse presenti e non si tenti di fare del Paese una isola di manodopera. Una visone che parte dalle forze vive della società, dalle persone. Non da programmi a immagine e somiglianza della società dei consumi. Occorre la pazienza di far crescere soggettività consapevoli della propria identità e del proprio compito nel mondo, capaci, per questo, di trasformarlo e renderlo più umano. Il lavoro del Presidente Martelly e del Governo di Haiti è quindi particolarmente delicato e può essere un esempio per tutti: dare unità alle forze vive del Paese e al sostegno della solidarietà internazionale, verso l’obiettivo di una vita degna della persona umana. (IL SUSSIDIARIO.NET)
Viaggio ad Haiti, a due anni dal terremoto Sull'isola devastata tra dolore e speranza di Maria Acqua Simi Il colera che non dà tregua, le difficoltà della ricostruzione, la povertà di sempre: questa è Haiti due anni dopo il devastante terremoto del 12 gennaio 2010, che fece oltre 270mila morti e 2 milioni di sfollati. Ce lo racconta Fiammetta Cappellini, responsabile dell’ong italo-svizzera AVSI/AVAID ad Haiti: per la sua opera i lettori del GdP sostennero un’importante raccolta fondi. Oggi spiega di come prosegue la vita laggiù. Per fare un piccolo bilancio, dopo il terremoto del 2010, in 20 mesi ha coordinato uno staff di circa 30 espatriati che si sono ruotati e 150 staff locali, in condizioni difficili e spesso estreme, portando a termine l’avvio di 16 strutture riabilitate o costruite: 9 scuole, un centro educativo, 5 centri nutrizionali, laboratori artigianali tra cui un ristorante comunitario. A due anni di distanza dal terremoto, cos’è cambiato? Due anni sono tanti e sono pochi. Tanti da passare con il pesante fardello del ricordo delle persone che non sono più tra noi, della sofferenza che abbiamo dovuto affrontare e del carico di lavoro ancora enorme che resta sulle spalle di ciascuno. Sono pochi di fronte all’enorme sfida di costruire un Paese ex novo, di accompagnare una comunità a ricostituirsi e ricominciare da zero. Certo la frenesia della prima emergenza è calata. Ma per gli haitiani e per chi ha la sua vita qui, la tragedia del 12 gennaio è indelebile: il dolore dei morti che non abbiamo potuto seppellire, delle troppe persone care perse in un solo momento, la sofferenza dell’orrore che abbiamo dovuto affrontare, ci hanno segnato nel profondo. Eppure da questa tragedia è nato non solo dolore, ma anche solidarietà, carità e un senso della vita più profondo, una religiosità vera, meno di facciata. Per questo siamo rimasti. I riflettori dei media, inevitabilmente, dopo qualche tempo si abbassano. Com’è la vita quotidiana ora? Per molta parte della comunità internazionale è un anniversario solo di bilanci. Per la gente invece è l’anniversario della memoria: la vita quotidiana è ancora durissima. Troppi non hanno una casa, nemmeno un rifugio; troppi mancano dei servizi di base minimi e necessari. C’è ancora molto bisogno di aiuto, di risorse materiali e umane, risorse competenti e formate, con esperienza. La giornata tipo di un haitiano comincia presto ed è fatta di duro lavoro, di fatica, di insoddisfazione per ciò che non riesce a dare ai propri figli e alla propria famiglia. Questa gente ha bisogno di aiuto, non di polemiche. Qual è il progetto di ricostruzione più bello a cui state lavorando? Impossibile scegliere! Costruire una scuola è stato far sorridere 200 bambini, costruire un centro nutrizionale è stato riportare alla vita neonati per cui più nessuno avrebbe speso un centesimo, costruire gli ateliers artigianali è stato ridare dignità ai capofamiglia... Per noi il progetto più bello è accompagnare questa gente nella fatica e nelle conquiste di ogni giorno. L’emergenza colera è ancora alta? L’emergenza colera è ancora grave. Il secondo picco è in discesa ed ora bisognerà vedere se dovremo affrontare un nuovo picco epidemico. Purtroppo, dopo oltre 6mila morti, la cosa migliore che possiamo sperare è che la malattia diventi endemica. Il che non è certo una bella prospettiva. Di cosa c’è bisogno?
Ad Haiti oggi abbiamo bisogno di fondi. I settori che necessitano in modo prioritario sono l’educazione e la formazione di figure professionali e la ricostruzione del capitale produttivo, cioè rimettere in piedi piccole imprese, rilanciare la produttività del Paese. Per AVSI-AVAID il settore educativo è prioritario... Formare insegnanti, costruire scuole con la solidarietà internazionale di tanta gente comune è stupendo: sono un posto dove si compie ogni giorno il miracolo della vita che vince sulla sofferenza e sul dolore. Certo, le scuole haitiane mancano un po’ di tutto: i bambini scrivono dove capita, alcune classi si siedono in terra sulla cerata, spesso manca qualche muro da finire... L’unica cosa di cui abbondano le scuole haitiane sono i bambini!!! Ma sappiamo che prima o poi qualcuno ci aiuterà a finirle. Confidiamo nella solidarietà, la cosa migliore che sia nata da questa tragedia. 12.01.2012
HAITI/4. Con le Tende un nuovo centro educativo 11 gennaio 2012
L'azione di Avsi nell'isola continua nel segno dell'educazione Il 13 gennaio del 2010, il giorno successivo al devastante sisma che aveva colpito Haiti, quella di Fiammetta Cappellini di Avsi era l’unica voce che comunicava con l’Italia dall’isola devastata. Avsi in Haiti, presente dal 1999, è intervenuta immediatamente dopo la catastrofe con un importante programma d’emergenza a favore di 40mila persone in partnership con le Nazioni Unite fornendo beni di prima necessità e servizi educativi, nutrizionali e sanitari. Ad oggi la sua équipe, diretta da Fiammetta Cappellini (presente sull’isola come responsabile della Fondazione Avsi dal 2001), ha già portato a termine l’avvio di 16 strutture: 9 scuole, 5 centri nutrizionali, un centro educativo, laboratori artigianali con un ristorante comunitario e ateliers di moda, ferro battuto e perlage. Inoltre, Avsi sta coordinato interventi educativi, protezione dell’infanzia, scolarizzazione, nutrizione, agricoltura, acqua e ambiente; sta lavorando per il miglioramento delle abitazioni, all'avviamento dei sostegni a distanza e dello sviluppo rurale al sud dove, con le autorità locali, sta riattivando due acquedotti e costruendo 10 pozzi d’acqua potabile. Sempre al sud, nel solco dell’Expo, si stanno formando tecnici agricoli anche a livello universitario, creando orti comunitari con le associazioni locali dei contadini, introducendo processi di trasformazione e di filiera per la manioca e altre produzioni locali, includendo la gestione del suolo per la riforestazione. La nuova grande sfida di Fiammetta con Avsi in Haiti è quella di costruire, con la campagna delle Tende, un secondo e nuovo centro educativo a Port-au-Prince, nel quartiere di Martissant formato da baracche che dal mare si arrampicano alle colline e che, dopo Cité Soleil, è la seconda zona di riferimento di Avsi nella capitale. Qui Avsi, ristrutturando un edificio con un ampio terreno, praticamente l’unica zona verde dell’area, vuole creare un nuovo punto di riferimento per i giovani. Un luogo accogliente, sicuro e bello, nel quale realizzare attività di dopo-scuola, laboratori di artigianato, formazione per insegnanti e genitori. Attività dedicate soprattutto per i già 400 bambini aiutati attraverso il Sostegno a distanza di Avsi. «L’idea è far vedere che una vita può essere diversa», afferma Alberto Piatti, Segretario Generale della Fondazione Avsi «quando ci riesci questi ragazzi mettono nel bene la straordinaria energia che prima mettevano nel distruggere e distruggersi».
046519
www.ecostampa.it
Quotidiano
AVSI