Segno n.7 - 2017

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Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM Segno nel mondo € 1,70 - Contiene I.P.

AZIONE CATTOLICA: CAMPI ESTIVI E CONVEGNO PRESIDENZE

Luglio 2017

nel mondo

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g n.7

Ong

Solidarietà valore aggiunto

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GIANNI TONI

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Fatti

parole di Gianni Borsa

I poveri e noi: amare coi fatti non a parole Per seguire Gesù e dirsi cristiani occorre – è un imperativo – piegarsi dinanzi al povero, raccoglierne l’umanità ferita, tendergli la mano in segno di fratellanza; e, inoltre, è necessario operare, sul piano economico, politico, sociale e internazionale, per affrontare le cause stesse della miseria, che toglie dignità alla vita umana, che piega le speranze di milioni di ragazzi, donne e uomini del nostro tempo. L’evangelico «i poveri li avrete sempre» non è una condanna, ma un esame di coscienza quotidiano e, ugualmente, un richiamo a operare per superare le sofferenze che il povero, tutti i poveri devono subire ogni giorno. In ogni angolo del pianeta. Per queste e altre ragioni papa Francesco ha indetto per il 19 novembre la prima Giornata mondiale dei poveri, richiamando la comunità cristiana ad assumere lo stile di san Francesco, il “poverello d’Assisi”. Non amiamo a parole ma con i fatti: il pontefice trae il tema dalle parole di san Giovanni. E scrive nel Messaggio con cui indice la Giornata: «Queste parole dell’apostolo Giovanni esprimono un imperativo da cui nessun cristiano può prescindere. La serietà con cui il “discepolo amato” trasmette fino ai nostri giorni il comando di Gesù è resa ancora più accentuata per l’opposizione che rileva tra le parole vuote che spesso sono sulla nostra bocca e i fatti concreti con i quali siamo invece chiamati a misurarci». Bergoglio traccia una linea precisa:

«L’amore non ammette alibi: chi intende amare come Gesù ha amato, deve fare proprio il suo esempio; soprattutto quando si è chiamati ad amare i poveri». Non ci sono scuse, non ci si può nascondere dietro perbenismi secolarizzati o teologismi equivoci. Il cristiano deve stare dalla parte del povero, dei poveri. Come Gesù insegnava per le strade della Palestina, come la Chiesa riafferma da duemila anni. Ma affermare non basta. La mondanità va tenuta a debita distanza, amore per la ricchezza e carrierismi distolgono dalla carità, ossia dall’amore per l’umanità a partire da quella derelitta, sola, indigente, straniera, oppressa. Perché la povertà si esprime in tante maniere, che il pontefice elenca: dolore, emarginazione, sopruso, violenza, torture, prigionia e guerra, privazione della libertà e della dignità, ignoranza e analfabetismo, emergenza sanitaria e mancanza di lavoro, tratta e schiavitù, esilio e miseria, migrazione forzata. «La povertà ha il volto di donne, di uomini e di bambini sfruttati per vili interessi, calpestati dalle logiche perverse del potere e del denaro». Dunque «se desideriamo offrire il nostro contributo efficace per il cambiamento della storia, generando vero sviluppo, è necessario che ascoltiamo il grido dei poveri e ci impegniamo a sollevarli dalla loro condizione di emarginazione». Il Messaggio precisa: «Non pensiamo ai poveri solo come destinatari di una buona pratica di volontariato da fare una volta alla settimana, o tanto meno di gesti estemporanei di buona volontà per mettere in pace la coscienza. [...] Se vogliamo incontrare realmente Cristo, è necessario che ne tocchiamo il corpo in quello piagato dei poveri».

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la copertina

sommario

81mila volontari e 17mila occupati. Il mondo delle Ong è una realtà ben sviluppata in Italia. Il dossier di questo numero racconta il mondo della cooperazione internazionale, mettendo in risalto quanto esso offra la capacità di sensibilizzare ai temi legati allo sviluppo e alla proposta di chiavi di lettura non “allineate”. Praticando, nei fatti, tanta solidarietà

fatti e parole

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tempi moderni

tempi moderni

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I poveri e noi: amare coi fatti non a parole

di Gianni Borsa

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Ong, la solidarietà non fa affari

di Paola Springhetti

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La povertà fuori dai riflettori

intervista con Giulio Albanese di Gianni Di Santo

Un patrimonio etico da valorizzare

di Gianni Di Santo

Per una gustizia “giusta”. E credibile

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intervista con Lucia Castellano di Maria Teresa Antognazza

di giadis

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Il quartiere della speranza

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Gli uni per gli altri, in spirito di fratellanza

di Michele D’Avino

Una nuova vita è possibile

di Alberto Galimberti

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Proviamo a salvarci insieme?

di Maria Teresa Antognazza

Distruggere internet? Meglio tornare persone

intervista con Andrea Giuseppe Graziano di Marco Testi

le altre notizie

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Dall’Italia e dal mondo

4 nel mondo

n.7LUGLIO2017 Mensile dell’Azione Cattolica Italiana Direttore Matteo Truffelli Direttore Responsabile Giovanni Borsa In redazione Gianni Di Santo e-mail Redazione gianni.borsa@gmail.com g.disanto@azionecattolica.it Tel. 06.661321 (centr.) Fax 06.6620207

Grafica e impaginazione: Giuliano D’Orsi, Veronica Fusco Foto: Olycom, SIR e Romano Siciliani Michele D’Avino, Alessandra Gaetani, Stampa GRAFICA VENETA Spa Via Malcanton, 2 Alberto Galimberti, Barbara Garavaglia, 35010 Trebaseleghe (PD) Armando Miano, Silvio Mengotto, Paolo Mira, Reg. al Trib. di Roma n. 13146/1970 Michele Pace, Paola Springhetti, Marco Testi del 02/01/1970 Editore Fondazione Apostolicam Actuositatem Tiratura 61.000 copie Alle copie cartacee si aggiungono gli altri Via della Conciliazione, 1 - 00193 Roma 85.000 lettori, giovani e adulti, soci o Direzione e Amministrazione abbonati, che ricevono Segno in versione digitale. Chiuso in redazione il 15 Giugno 2017 Via Aurelia, 481 - 00165 Roma Hanno collaborato a questo numero:

Maria Teresa Antognazza, Emilio Centomo,

Pubblicazione associata all’USPI (Unione Stampa Periodica Italiana) Abb.to annuale (10 num.) € 20 Per versamenti: ccp n.78136116 intestato a: Fondazione Apostolicam Actuositatem Riviste - Via Aurelia, 481 – 00165 Roma Fax 06.6620207 (causale “Abbonamento a Segno”) Banca: Credito Valtellinese IBAN: IT17I0521603229000000011967 cod. Bic Swift BPCVIT2S intestato a: Fondazione Apostolicam Actuositatem Via Aurelia, 481 - 00165 Roma E-mail: abbonamenti.riviste@azionecattolica.it

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sommario

economia e lavoro

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Il lavoro al tempo dei robot

di Armando Miano

famiglia oggi

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Pregare in famiglia ascoltando la vita

intervista con Davide Caldirola di Barbara Garavaglia

18 quale Chiesa

orizzonti di Ac

sulle strade della fede

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Mission is possible: un festival per incontrarsi e raccontarsi

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intervista con Gerolamo Fazzini

senza confini

il primato della vita

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di Silvio Mengotto

di Michele Pace

Lascia la strada! Torna a essere libera

Arriva l’estate. Per l’Ac è tempo di “pedalare”

Un abbraccio che non ha età

di Alessandra Gaetani

Lo splendore della “perla dell’Ossola”

di Paolo Mira

i titoloni

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ieri e domani

Fra storia “minima” e grande Storia

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le lettere

Quando scrivere aiuta a riflettere

Paronetto, stratega della “nuova” Italia

intervista con Tiziano Torresi di Gianni Borsa

45 perché credere

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«Andremo in mezzo a loro»

di Emilio Centomo

la foto

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Amare con i fatti, non a parole

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Ong, la solidarietà di Paola Springhetti

Ottantunomila volontari e 17mila occupati. Il mondo della cooperazione internazionale è una realtà ben sviluppata in Italia. Ma al di là dei singoli progetti e di dove si svolgono, le Ong offrono la capacità di sensibilizzare ai temi legati allo sviluppo, la proposta di chiavi di lettura non “allineate”, la dimostrazione che, se ci si mobilita, magari non si risolvono del tutto i problemi, ma si possono salvare vite e smuovere acque. Anche quelle del Mediterraneo 4

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on godono di buona fama, oggi, le Ong, come del resto un po’ tutto quel complesso mondo del non profit, che invece è una vera ricchezza del nostro paese. Non solo perché difende cause importanti e offre servizi indispensabili, ma perché è per la nostra società un tessuto connettivo, fatto di valori che fondano la civiltà occidentale, di cui tanto andiamo orgogliosi: il rispetto per la dignità delle persone, la solidarietà, il senso di responsabilità nei confronti dei beni comuni, la ricerca di giustizia sociale e di modelli di sviluppo sostenibili e inclusivi.

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non fa affari Nelle foto: i migranti appena sbarcati sulle nostre coste si riparano sotto le coperte fornite dai volontari

Purtroppo, però, questi valori non sono poi così condivisi, e questo lascia il campo a pregiudizi e a visioni che confondono cause ed effetti. Il meccanismo è un po’ sempre lo stesso: se vedi un problema e accanto a esso un gruppo di persone, puoi pensare che quelle persone siano una soluzione o puoi pensare che siano la causa. Così è successo che una parte dell’opinione pubblica a un certo punto se l’è presa con le case famiglia (non sono nate per accogliere bambini di cui le famiglie non potevano prendersi cura, ma per “rubarli” e specularci sopra); poi se l’è presa con chi lavora per l’integrazione dei migranti (ma quale integraI 072017

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zione, vogliono che vengano in Italia per specularci sopra!) e ultimamente con le Ong (dicono di voler salvare le vite, in realtà sono in combutta con i trafficanti sempre per speculare...). Filo conduttore: non di solidarietà trattasi, ma appunto di fare affari. Sulle Ong, poi, è particolarmente facile lanciare accuse, perché non sono più quei gruppi di persone generose e idealiste che portavano il cibo ai bambini che morivano di fame e scavavano pozzi per chi non aveva acqua potabile. Sono diventate in molti casi realtà grandi, con bilanci di tutto rispetto, che utilizzano personale altamente qualificato per progetti che hanno obiettivi ambiziosi nel campo

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dello sviluppo umano, sociale, ma anche economico, nel tentativo non solo di alleviare la povertà, ma di affrontarne le cause. osa sono le ng La sigla Ong sta per Organizzazione non governativa: nel mondo con questa sigla si indicano tutte le organizzazioni che agiscono in modo indipendente dal governo e dal potere pubblico e che non hanno fini di lucro. Noi, in Italia, invece la usiamo in un’accezione più ristretta, perché distinguiamo tra Ong e altre realtà che pure sono indipendenti e non profit, come le associazioni di volontariato, le

fondazioni eccetera. Per noi sono Ong le organizzazioni – private e senza scopo di lucro – che lavorano nell’ambito della cooperazione internazionale e che sono riconosciute dal ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale: prima il ministero rilasciava una vera e propria idoneità, poi la legge 125 del 2014, che ha riformato il sistema della cooperazione, ha istituito un albo delle Organizzazioni della Società civile e altri soggetti senza finalità di lucro, allargando così la tipologia di quelle ammesse: oltre alle Ong tradizionali, possono iscriversi altri tipi di onlus, che abbiano come mission la solidarietà internazionale; le organizzazioni del

Per l’Italia solo lo 0,26 del Pil alla cooperazione

ng

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mila volontari e mila occupati nel nostro paese

Italia ha visto una crescita dell’Aps (Aiuto pubblico allo sviluppo): le risorse stanziate sono passate dallo 0,22% allo 0,26% del Pil (Prodotto interno lordo). Con due problemi, però: che l’obiettivo concordato con gli altri paesi europei era dello 0,7% del Pil di ogni Stato entro il 2020 – e sembra davvero difficile che noi lo raggiungiamo – e che il 34% di queste risorse è stato speso per l’accoglienza dei rifugiati dentro i nostri confini. Se si naviga un po’ tra i dati del portale Open Cooperazione – cui aderiscono 115 Ong italiane – si scopre che questa realtà è una fetta importante del non profit italiano. La somma delle entrate dei loro bilanci si avvicina ai 600 milioni di euro; sono 17 mila le persone che occupano in Italia e nel mondo (anche se si tratta per lo più di contratti a termine, partite Iva e così via); 81mila i volontari; 2.930 i progetti in oltre 100 paesi. E a queste cifre bisognerebbe aggiungere quelle della altre Ong, che non hanno inserito i loro dati in Open Cooperazione. Solo poco più della metà dei fondi con cui questi progetti sono finanziati sono pubblici (nazionali, europei e internazionali), tutti gli altri sono raccolti da privati: donatori individuali, chiese, fondazioni e anche aziende: a partire dagli anni novanta, le Ong hanno dovuto investire molto in fund raising e comunicazione.

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commercio equo e solidale, quelle per la finanza etica e il microcredito, quelle degli immigrati e imprese sociali, organizzazioni sindacali, associazioni di imprenditori. Nel 2016 erano 191 le organizzazioni iscritte all’albo. Naturalmente non sono gli unici soggetti che lavorano nell’ambito della cooperazione internazionale, anzi ce n’è una miriade: associazioni di volontariato, ordini missionari e gruppi a loro legati e così via. Semplicemente, queste sono quelle “riconosciute”. Un po’ di numeri Molte Ong sono nate negli anni Ottanta, da gruppi I 072017

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e associazioni impegnate nella solidarietà internazionale e nella pace: erano anni in cui i finanziamenti pubblici per la cooperazione internazionale erano ancora significativi, e le Ong potevano contarci per i loro progetti. Ora non è più così: i fondi messi a disposizione sono drasticamente calati a partire dagli anni Novanta, e non solo per l’Italia. Secondo l’Ocse i fondi destinati all’Aps (Aiuto pubblico allo sviluppo) dei paesi donatori nel 2016 sono calati del 10% rispetto al 2015. O meglio, sarebbero aumentati di quasi il 9%, ma una parte sempre più consistente di queste risorse viene speso nei paesi donatori stessi, per far fronte alle spese legate alla crisi migratoria. Il settore dove sono maggiormente impegnate le Ong italiane è quello dell’educazione e istruzione, seguito da capacity building e formazione, salute e sanità, sicurezza alimentare, agricoltura, sviluppo rurale e comunitario, aiuto umanitario ed emergenza; e poi diritti umani, advocacy, infanzia e adozioni, migrazioni, servizi e infrastrutture, microcredito e microfinanza, ambiente ed energia. Negli ultimi anni alcune Ong hanno cominciato a lavorare anche in Italia: Save The Children, ad esempio, per combattere la povertà dei bambini. Ma al di là dei singoli progetti e di dove si svolgono, ciò che realmente le Ong tutte offrono al nostro paese è la capacità di sensibilizzare ai temi legati allo sviluppo, la proposta di chiavi di lettura non “allineate”, la dimostrazione che, se ci si mobilita, forse non si possono risolvere del tutto i problemi, ma si possono salvare vite e smuovere acque. Ang che quelle del Mediterraneo. ■

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La povertà fuori dai riflettori

intervista con Giulio Albanese

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uando parliamo di cooperazione allo sviluppo e di Ong rischiamo spesso di di Gianni Di Santo cadere nel manicheismo, o tutti buoni o tutti cattivi. Io credo che il mondo della cooperazione sia parte integrante della nostra società e del modo in cui abbiamo imparato a vivere». Padre Giulio Albanese, direttore del mensile Popoli e Missione, intellettuale, giornalista e missionario da sempre, spiega a Segno perché, ancora oggi, il mondo della cooperazione internazionale sia un valore aggiunto. «Certamente chi opera in questo settore – continua padre Giulio – lo fa solamente perché è animato da ideali legati alla pace, allo sviluppo, alla giustizia, al rispetto del creato. Chi si impegna nell’ambito della cooperazione allo sviluppo, ad esempio, lavora sull’esclusione sociale e quando ci sono i grandi summit internazionali tra i potenti della Terra, come è successo a TaorQuello che interessa è solo mina recentemente, l’emergenza umanitaria. E per il questa voce critica è mondo delle Ong la sfida, prima rappresentata proprio ancora che essere sociale, è una sfida culturale. Per padre Albanese, da tutte quelle agenzie umanitarie che «spiegare bene le ragioni della sono molto attente cooperazione allo sviluppo non alla agende dei “gransignifica solo difendere le ragioni di” quando si parla di di un impegno anche cristiano, povertà». ma avvicinarci a comprendere Non è tutto oro ciò meglio le ragioni di un futuro che luccica, però. geopolitico che non può non «Dal punto di vista etiessere che insieme all’altro»

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co il mondo delle Ong continua a rappresentare un valore aggiunto, in particolare per il nostro paese. Ci possono essere punti di forza e altri di debolezza, ma stiamo attenti a non “buttare il bambino con l’acqua sporca”». Si riferisce alla recenti polemiche che hanno visto alcuni politici adombrare dubbi sulla liceità delle azioni di alcune Ong nel Mediterraneo a proposito dei salvataggi in mare e degli sbarchi dei migranti? «Sulla polemica mi sento di dire che se c’è qualcuno che ha sbagliato è bene che la magistratura vada fino in fondo, nell’interesse di tutto il mondo della cooperazione. Quello che personalmente trovo antipatico è che c’è stata una circolazione indicibile di veleni a dismisura sull’“aria fritta”, si è parlato di sospetti, non c’erano elementi probatori, non erano scattate indagini. In un momento in cui si “sparano” certe accuse così inquietanti non solo si reca un danno di immagine a tutto il movimento che ruota intorno alle Ong, ma poi c’è anche una flagrante violazione del diritto. Quello che trovo disgustoso è che chi vuol fare il moralizzatore senza che ci siano elementi probatori, spesso non è cosciente e consapevole di quello che possono essere gli effetti collaterali. Poi la comunicazione, un certo tipo di informazione, ci mette del suo e fa il resto. Con il risultato che negli ultimi mesi assistiamo a un calo nel fundraising rispetto alle normali aspettative di autofinanziamento che rendono possibili, oggi, la vita delle Ong». l pro lema dell’informazione con il Sud del mondo Sempre colpa dei giornali? «Che ci sia stato un difetto di comunicazione è innegabile. Ciò è dovuto al fatto che in Italia di quello che succede purtroppo nel Sud del mondo o nelle periferie più lontane non interessa molto. O viene interpretato in una prospettiva molto “casareccia”, basta vedere a come ci relazioniamo alle notizie provenienti dal Mare Nostrum.

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sotto i ri ettori Quello che personalmente trovo antipatico è che c’è stata una circolazione indicibile di veleni a dismisura sull’“aria fritta”, si è parlato di sospetti, non c’erano elementi probatori, non erano scattate indagini. In un momento in cui si “sparano” certe accuse così inquietanti non solo si reca un danno di immagine a tutto il movimento che ruota intorno alle Ong, ma poi c’è anche una flagrante violazione del diritto A lato: padre Giulio Albanese. Sopra, papa Francesco riceve in dono uno dei giubotti di salvataggio lanciati in mare per salvare i migranti da una morte quasi certa

Pensiamo alla cronaca degli sbarchi: si parla di un’umanità dolente che chiede accoglienza e integrazione ma rarissimamente chi fa informazione spiega all’opinione pubblica quello che realmente succede in quelle terre geograficamente distanti da noi. L’enfasi è messa sempre sulle situazioni emergenziali di accoglienza e integrazione. Ciò colpisce l’immaginario collettivo. Ci si dimentica del resto, di tutto ciò che ruota intorno agli sbarchi, come nel nostro caso. Questo genera in alcuni settori dell’opinione pubblica una sorta di pregiudizio, anche perché laddove vi è ignoranza i giudizi temerari sono quelli che vanno per la maggiore». «Molto del volontariato internazionale e della cooperazione alla sviluppo e anche del mondo missionario, purtroppo, nell’areopago dell’informazione I 072017

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“nostrana-main stream” non fanno notizia – conclude padre Giulio –. Quando si parla di mondo della cooperazione allo sviluppo ci sono due filoni: c’è il filone emergenziale, interpretato da grandi Ong come Medici senza frontiere oppure Intersos, Ong in prima linea nel soccorso di coloro che sbarcano sulle nostre coste. L’altro filone comprende invece coloro che lavorano sullo sviluppo ecosostenibile del pianeta e sull’equa redistribuzione del reddito, temi sui quali l’Europa e il consesso delle Nazioni dovrebbero investire molto di più. Insomma, lo sviluppo buca meno lo schermo. La questione migratoria che ci tocca da vicino ormai da troppi anni non aiuta a vedere le ragioni dell’altro, semmai aggiunge preoccupazione, sociale ed economica, alla nazione accogliente. La sfida, prima ancora che essere sociale, è una sfida culturale. Spiegare bene le ragioni della cooperazione allo sviluppo non significa solo difendere le ragioni di un impegno anche cristiano, ma avvicinarci a comprendere meglio le ragioni di un futuro geopolitico che non può non essere che insieme g all’altro». ■

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Un patrimonio etico da valorizzare

di Gianni Di Santo

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olto rumore. Senza nemmeno tanta preoccupazione per gli organismi della Focsiv. Semmai stupore perché uno si chiede come mai la magistratura, o almeno alcuni magistrati, come mai la politica, o almeno alcuni politici, come mai alcuni giornali, hanno dato così rilevanza a un’accusa del genere? Perché generalizzare, perché attaccare il mondo delle Ong in generale e non, come sarebbe giusto, fare nomi e cognomi di chi abbia agito eventualmente non conforme alla legge? Perché destabilizzare l’opinione pubblica rispetto alla cittadinanza attiva organizzata che ha sulle spalle 50-60 anni di impegno nel nostro paese riguardo la solidarietà internazionale e la cooperazione tra i popoli?». GianLa cooperazione internazionale franco Cattai, presidente oggi è vista come qualità della Focsiv, non ci sta. e cura delle relazioni. È quello Non gli va proprio giù l’atche pensa la Focsiv. Per il suo tacco e la polemica scapresidente, «la presenza delle Ong è una ricchezza da premiare tenata lo scorso aprile dal Movimento5Stelle sulle perché sia messa a disposizione Ong che nel Mediterraneo della società civile, del mondo si occupano di soccorrere universitario, dell’imprenditoria i migranti. e degli artigiani che vogliano «Ci sono state delle presandare a investire in un paese. sioni forti – continua il Non capire questo significa presidente della Fedenon capire un pezzo di futuro razione degli Organismi che è già davanti a noi»

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cristiani servizio internazionale volontario –: un senatore su un tweet ha scritto: “le Ong danneggiano anche te, quindi smetti”. Ma allora tutta la politica è marcia, i giornalisti dicono bugie, i magistrati non applicano la giustizia? Questo comportamento non è etico, e allora perché qualcuno lo ha voluto cavalcare? È gravissimo. Non sono preoccupato per le nostre organizzazioni perché i nostri volontari hanno radici sui territori, provengono dalle comunità locali, chi ha viaggiato nel Sud del mondo e ha lavorato nelle Ong sa chi siamo e si fida del nostro modello di solidarietà non governativa. Sì, non sono preoccupato ma stupito di un messaggio disorientante». La gente forse non sa nemmeno come funziona la legge e vuole saperne di più su questi volontari che si occupano di cooperazione trai popoli. «Abbiamo dei fondi pubblici per le Ong, certo – risponde Cattai a Segno –. Solo per avere un parametro: nel 2016 è stato dato al mondo non governativo italiano un importo pari alla bomba lanciata da Trump in Afghanistan. Il valore della bomba alla stessa stregua del valore della cooperazione pubblica delle Ong italiane. Una bomba contro tutto l’impegno del nostro sistema. Quando pensiamo a Focsiv meno del 10% dei nostri contributi arriva dal ministero per gli Affari esteri, poi ovviamente dai fondi europei o da altri partner grazie alla nostra presenza diretta nei paesi impoveriti». L’impegno della Focsiv Focsiv oggi raggruppa 78 organizzazioni che operano in oltre 80 paesi del mondo. Dalla sua nascita, nel 1972, ha impiegato oltre 20.000 volontari internazionali che hanno messo a disposizione delle popolazioni più povere il proprio contributo umano e professionale. Un impegno concreto e di lungo periodo in progetti di sviluppo nei settori socio-sanitario, agricolo-alimentare, educativo-formativo, di tutela dell’infanzia e dell’adolescenza, di difesa

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sotto i ri ettori A sinistra: il presidente della Focsiv, Gianfranco Cattai. Sopra, le navi degli scafisti che trasportano i migranti ammassate in un porto del Mediterraneo

dei diritti umani e della parità di genere, di rafforzamento istituzionale. Parallelamente la Federazione promuove in Italia campagne di sensibilizzazione e di educazione allo sviluppo e compie un intenso lavoro di lobbying istituzionale per promuovere la giustizia sociale per tutti gli uomini e le donne del pianeta. Poi, nel 2014, una legge tanto attesa. «Certo. Con l’ultima legge di cooperazione, la 125 del 2014, c’è un’apertura ala cooperazione internazionale interessante e significativa. Si tratta di un approccio nuovo del sistema Italia alla cooperazione. Oltre che emettere fondi pubblici si cura la coerenza delle nostre politiche agricole, commerciali, economiche nei confronti di paesi terzi». La cooperazione «come qualità delle relazioni, perché, per fare un esempio, come possiamo lottare contro le migrazioni se dall’altra parte si permette alle multinazionali di creare nuovi schiavi in Africa magari buttando fuori gli agricoltori? Con quale risultato? Semplice, costringendo le popolazioni più povere a emigrare verso le loro città o addirittura fuori dal loro stesso paese». rassi da mettere in comune e valori da condividere Cattai prosegue: «Ci sono diversi passaggi interessanti nella legge. Ad esempio l’articolo 26 parla I 072017

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del contributo dei vari soggetti della società civile, non più Ong, si parla anche di Onlus, volontariato, associazioni della diaspora... è significativo perché occuparsi di relazioni internazionali non è confinato a qualche soggetto ma deve implicare tutto il nostro sistema-paese. Però poi dai pronunciamenti dobbiamo arrivare alla prassi, ai comportamenti. Questo è l’aspetto più delicato. La prassi, le esperienze delle singole associazioni di volontariato, vanno messe in comune, in circolo. Ognuno è portatore di solidarietà attiva. Il momento in cui sperimenteremo ciò sarà il momento in cui tutto il mondo della cooperazione internazionale farà un bel passo in avanti». Le Ong sono ancora una riserva etica da conservare? «Da valorizzare, direi. La Francia, rispetto alle Ong, investe su di loro in modo che il mondo della cooperazione possa essere volano di formazione e di traino a tutta la società civile. Oggi – aggiunge Cattai – il futuro del pianeta ci pone davanti a delle sfide alle quali dobbiamo prepararci con un forte senso di innovazione. La presenza delle Ong è un patrimonio da valorizzare e da premiare perché sia messo a disposizione della società civile, del mondo universitario, dell’imprenditoria e degli artigiani che vogliano andare a investire in un paese. Non capire questo significa non capire un pezzo di futug ro che è già davanti a noi». ■

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Il quartiere della speranza

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i chiama Casa Speranza. Si trova a Torino Nord, nel quartiere Barriera di Milano. È un nuovo centro di accoglienza per migranti richiedenti asilo nato dalla collaborazione tra Cisv, comunità parrocchiale e la nota azienda di bricolage Leroy Merlin. Un’ospitalità ricambiata con il lavoro. Le persone accolte nel centro d’accoglienza realizzeranno iniziative solidali a beneficio di tutto il quartiere. «C’è la Provvidenza! Lo diceva Manzoni e noi l’abbiamo toccato con mano: Casa Speranza è nata grazie al lavoro di tanti volontari, grazie agli spazi resi disponibili dalla parrocchia Maria Ss. Speranza Nostra, grazie ai maA Torino Nord, una comunità teriali per ristrutturare donati da Leroy Merlin e agli arredi che ci parrocchiale, un’azienda hanno regalato le Suore Immacofamosa e una Ong latine di Alessandria». Armando si sono messe insieme per fare “solidarietà attiva”, Casetta, volontario del Cisv di Torino, racconta entusiasta della promuovendo ospitalità cordata solidale che due mesi fa a migranti richiedenti ha permesso di inaugurare nel asilo in cambio di lavoro. Un’esperienza significativa quartiere Barriera di Milano il nuodi come si possano costruire vo centro di accoglienza destinato ai migranti richiedenti asilo. percorsi di integrazione I primi quindici migranti inviati condivisi e arricchenti per la stessa comunità locale dalla Prefettura hanno subito usu-

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fruito dei locali offerti dalla parrocchia dove operano il parroco don Valeriano Paitoni e il vice parroco Nicholas Muthoka, entrambi missionari della Consolata. «La comunità parrocchiale – spiega a Segno Stefania Garini del Cisv nazionale – sarà protagonista insieme alla nostra organizzazione nel preparare a incontri di sensibilizzazione sul tema migrazione, dedicati a giovani e adulti, e si avvieranno progetti di volontariato insieme ai migranti a beneficio di altri abitanti del quartiere. Un ruolo importante per la nascita di Casa Speranza è stato svolto da Leroy Merlin che, nell’ambito dell’iniziativa “Cantieri Fai da Noi” per contrastare la povertà abitativa e creare valore sociale, ha reso possibile la messa a norma dell’impianto elettrico, l’imbiancatura e la ristrutturazione degli spazi: 5 camere da letto, 4 bagni, una cucina, un refettorio e una sala comune con televisione e biblioteca». mpegno che viene da lontano Cisv (Comunità impegno servizio volontariato) è un’associazione comunitaria da cinquanta anni impegnata nella lotta contro la povertà e per i diritti umani. Realizza interventi nei settori infanzia, agricoltura e allevamento, politiche di genere, microfinanza, risorse naturali in 12 paesi di Africa e America Latina (Benin, Burkina Faso, Mali, Se-

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sotto i ri ettori negal, Guinea, Niger, Burundi, Brasile, Colombia, Guatemala, Haiti e Venezuela). In Italia svolge attività di educazione per docenti e studenti, offre proposte di volontariato giovanile, accoglie profughi e rifugiati politici. «Realizziamo – continua La comunità cristiana di Stefania Garini – proquesta periferia di Torino si è getti di cooperazione ininterrogata e ha accettato la sfida ternazionale per favorire dell’integrazione, e Leroy Merlin l’autosviluppo delle coè al nostro fianco per costruire munità locali, in appogopportunità di vita dignitosa, a gio alle organizzazioni partire dal diritto all’abitare contadine e alla società civile, per promuovere i diritti umani e rimuovere le cause della povertà e dell’ingiusta distribuzione della ricchezza. Proponiamo anche esperienze di cittadinanza attiva giovanile come il servizio civile in Italia e all’estero e la partecipazione a scambi internazionali». Attraverso la community Ong 2.0 «proponiamo percorsi di formazione online e informazione sull’uso avanzato del web e delle nuove tecnologie nella cooperazione internazionale insieme ad altre Ong della Focsiv. Con la stessa aggregazione di Ong, gestiamo due siti: Volontari per lo sviluppo, che fa informazione sui Nelle foto: paesi del Sud del mondo, sul volontariato e sulil cortile esterno la cooperazione internazionale, e ong2zero, dove di Casa Speranza e web, nuove tecnologie e cooperazione si inconuna stanza adibita trano. Inoltre promuoviamo e realizziamo percorsi all’ospitalità in via di di vita comunitaria in fraternità, in cui famiglie e sistemazione I 072017

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singoli condividono la casa e i beni su una base di principi condivisi». igranti nostri fratelli «I migranti sono nostri fratelli e sorelle che cercano una vita migliore lontano dalla povertà, dalla fame, dallo sfruttamento e dall’ingiusta distribuzione delle risorse del pianeta, ci ricorda papa Francesco – spiega Piera Gioda, volontaria di Cisv –. La comunità cristiana di questa periferia di Torino si è interrogata e ha accettato la sfida dell’integrazione, e Leroy Merlin è al nostro fianco per costruire opportunità di vita dignitosa, a partire dal diritto all’abitare. Ma oltre al diritto alla casa, dovremo costruire insieme un processo di affrancamento dalla schiavitù che ha portato qui molte ragazze». La ristrutturazione rientra nel progetto “Cantieri Fai da Noi” di Leroy Merlin che sostiene lavori di miglioramento abitativo a favore di enti no-profit o di privati in difficoltà, generando valore sociale nelle comunità locali. Usufruendo della “borsa cantiere” messa a disposizione dall’azienda, che comprende i materiali necessari ai lavori e un aiuto finanziario, i beneficiari si attiveranno poi in un cantiere “tandem”, fornendo la loro disponibilità in una logica di reciprocità. In questo modo si genera valore sociale per la comunità locale in un’ottica di “chain sharing”: una vera e propria catena di attivazione, grazie al coinvolgimento di partner efficaci e radig cati sul territorio. ■ giadis

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Gli uni per gli altri in spirito di fratellanza di Michele D’Avino*

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iviamo oggi un’epoca di forti contraddizioni ma anche di grandi possibilità. Il mondo “villaggio globale” è in crisi. Quelle distanze che sembrano così piccole quando si parte per un safari in Kenia, si accende la tv per assistere all’apertura dei mercati alla borsa di New York o si va a cena al ristorante indiano, diventano improvvisamente incolmabili sul piano dei diritti e della giustizia sociale. Eppure quel codice di civiltà che garantisce a ogni essere umano la propria dignità, la Dichiarazione universale dei diritti umani, L’Azione cattolica sostiene risale ormai al 1948, ben attivamente e ha dato voce in più occasioni all’impegno per prima dell’avvento di Facela salvaguardia dei diritti umani book o delle agenzie di volo low cost. e la promozione della dignità Ogni giorno i diritti umadella persona che le Ong ni vengono violati in ogni conducono in ogni angolo parte del mondo. E ciò avdel mondo. Si tratta di una viene molto spesso anche sensibilità che ogni socio di da parte degli organi degli Ac condivide e sente propria. Stati più democratici. Il ruoUn’attenzione costante da parte della Presidenza nazionale è rivolta lo svolto dalle Organizzazioni non governative è su a Lampedusa, tradotta in gesti questo fronte insostituibile. concreti di vicinanza e supporto. Prive dai condizionamenti È necessario ripartire da qui politici ed economici propri degli organismi governativi e intergovernativi, esse fungono da pungolo a tutti gli attori statali ed economici per il rispetto dei diritti umani, accertando e denunciando tempestivamente ogni violazione. Al contempo le Ong riescono a sensibilizzare l’opinione pubblica e, attraverso di essa, a fare pressione sugli Stati affinché intervengano in maniera seria a tutela dei diritti. Si pensi ad esempio alla diffusione dei rapporti di Human right watch o di Amensty international che hanno gettato luce su situazioni di grave criticità in contesti spesso ignorati dai media. Infine le Ong sono impegnate direttamente in attività di carat-

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tere umanitario, in contesti di guerra o di estrema povertà, sostituendo o integrando l’azione delle Organizzazioni internazionali e degli Stati. L’ zione cattolica sostiene le ng L’Azione cattolica sostiene attivamente e ha dato voce in più occasioni all’impegno per la salvaguardia dei diritti umani e la promozione della dignità della persona che le Ong conducono in ogni angolo del mondo. Si tratta di un impegno che ogni socio di Ac condivide e sente proprio. Un impegno che trova fondamento non solo in un principio di natura morale ma che si connota anche di una precisa valenza civica. Il desiderio di pace e l’impegno per il bene di tutti, infatti, trovano corrispondenza in un preciso “diritto-dovere di uno sviluppo integrale, sociale, comunitario” che ispira l’intera Dottrina sociale della Chiesa e il magistero pontificio. Quello della solidarietà è un imperativo etico troppo spesso disatteso. Eppure basterebbe interrogare la nostra coscienza di esseri umani, prima ancora che di credenti in Cristo, per riconoscere ogni essere umano come il proprio “prossimo”, componente di diritto dell’unica famiglia umana, titolari dei medesimi diritti e doveri. È ancora valido l’appello rivolto da papa Giovanni XXIII, nella Pacem in Terris, a tutti gli uomini di buona volontà. A ciascuno è affidato il compito di far progredire la causa della giustizia e del rispetto della dignità umana, le ragioni della convivenza democratica e della pace tra i popoli e le nazioni. Si tratta di «ricomporre [...] i rapporti della convivenza tra i singoli esseri umani, fra i cittadini e le rispettive comunità politiche, fra le stesse comunità politiche, fra individui, famiglie, corpi intermedi e comunità politiche da una parte e dall’altra della comunità mondiale». In una società sempre più pronta a emarginare l’altro, il diverso, è necessario riscoprire ciò che ci tiene insieme, ciò che ci rende fratelli. Si tratta, in buona sostanza, di recuperare la categoria – al

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sotto i ri ettori contempo etica e civile – della cittadinanza mondiale, superando il concetto tradizionale di cittadinanza quale tratto distintivo puramente artificiale. Ogni volta che la dignità di un essere umano viene calpestata e negata è l’umanità intera a risultarne ferita e lacerata. È per questo che la dignità della persona umana è alla base dei Global goals individuati dalle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile entro i prossimi 15 anni, a partire dall’eliminazione della povertà e della fame di intere popolazioni fino alla salvaguardia degli ecosistemi e alla promozione della pace. Si tratta di uno sforzo congiunto che governi, società e attori economici possono mettere in campo, con ricadute di portata globale, i cui effetti hanno una portata universale in termini di prosperità, equità e giustizia.

Un volontario della Focsiv-Lvia insieme alla popolazione locale (foto Stefano Dal Pozzolo)

Lampedusa con i migranti Il sostegno ideale e materiale che l’Azione cattolica ha garantito e continua a garantire all’opera svolta dalle Ong per la promozione della dignità della persona umana, pur conoscendo molte forme e diverse esperienze nelle realtà locali, può forse trovare un riscontro immediato nell’attenzione e nella cura I 072017

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profusa dall’associazione per le sfide poste dalle migrazioni in questi ultimi anni. Oggi vivere in Italia da straniero è e resta difficile per la maggior parte degli immigrati. Di fronte alle condizioni di precarietà e di emarginazione in cui troppo spesso gli immigrati sono stati relegati, l’Ac si è impegnata in prima linea per incontrare i bisogni degli stranieri sui territori e dare risposte concrete alla loro domanda di umanità, rendendo testimonianza della tradizione dell’umanesimo cristiano di cui è intrisa la nostra Penisola. Come a Lampedusa, divenuta simbolo di un paese solidale e accogliente che, attraverso il volto umano della sua comunità, è stata capace di straordinari gesti di solidarietà e condivisione. Un’attenzione costante da parte della Presidenza nazionale di Ac, tradotta in gesti concreti di vicinanza e supporto. Proprio da Lampedusa si può e si deve ripartire, forti di una lezione di umanità da re-imparare ogni giorno, rispettosi di quell’unico dovere che la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo pone all’articolo 1 a fronte della lista dei diritti: Agire gli g uni gli altri in uno spirito di fratellanza. ■ *direttore dell’Istituto di diritto internazionale della pace Giuseppe Toniolo

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Riviste associative

Dialoghi: dossier “Di fronte al male” e tante rubriche

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na «analisi sulle dimensioni del male, allargando questa volta l’orizzonte, in modo particolare, all’aspetto teologico e antropologico della questione, mai dimenticando, peraltro, di inserire questa tematica generale nella prospettiva che ci offre il mondo che viviamo oggi e che ha alcune delle sue radici nella modernità»: così Roberto Gatti nell’introduzione a Di fronte al male, il “dossier” proposto dal numero 2-2017 di Dialoghi, il trimestrale culturale promosso dall’Azione cattolica. Un’occasione per riflettere sull’essenziale nesso tra desiderio umano di felicità, dinamica dei bisogni, insidia spesso distruttiva del male attraverso i contributi di Andrea Aguti, Luigi Alfieri, Alberto Cozzi, Gerardo Cunico, Pina De Simone, Francesco Ghia, Giovanni Grandi. La rivista si apre con l’editoriale di Matteo Truffelli dedicato all’avvio delle celebrazioni del 150esimo dell’Azione cattolica, lo straordinario incontro con papa Francesco lo scorso 30 aprile e i lavori della XVI Assemblea nazionale Ac. Segue il “primo piano”: sugli obiettivi del viaggio di Francesco in Egitto di Enzo Romeo e con un ritratto del nuovo “re di Francia”, Emmanuel Macron, di Piero Pisarra. Nella sezione “eventi e idee” troviamo i contributi di Giuseppe Notarstefano, sui temi dell’ormai prossima 48ª Settimana sociale dei cattolici in Italia, e Gianni Borsa, con una rilettura delle celebrazioni del sessantesimo anniversario della firma dei Trattati Ue. Seguono le recensioni de “il libro e i libri” con articoli di Andrea Dessardo, Saretta Marotta, Luciano Pace e Paolo Rametta su scritti di Giuseppe Ruggieri, Gabriele Gabrielli, Raffaele Maiolini e Guido Crainz. Chiude, per la rubrica il “profilo”, il testo di Andrea Michieli dedicato alla figura straordinariamente complessa e densa di Giuseppe Dossetti.

Unicef: dati allarmanti

Rapporto Sperduti. Storie di minorenni arrivati soli in Italia

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n bambino su 70 vive fuori dal paese nel quale è nato. Sono emigranti fin da piccoli e circa 300.000 viaggiano soli. Lo ricorda il rapporto Sperduti. Storie di minorenni arrivati soli in Italia, curato da Unicef e Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Cnr. L’Italia è particolarmente interessata da questa realtà, ospitando 400.000 minorenni stranieri senza famiglia. E i numeri si sono moltiplicati negli ultimi tempi: nel 2015 sono stati identificati 12.360 minorenni non accompagnati, mentre nel 2016 si sono avute 25.846 identificazioni e il trend del 2017 si annuncia non da meno, con 6.000 bambini già sbarcati. Non sono solo profughi: nel mese di ottobre 2016 i minorenni stranieri non accompagnati che hanno presentato una domanda d’asilo in Italia sono stati 4.168, ovvero il 48,3 per cento dei minorenni (accompagnati e non). Ma l’incremento del numero dei bambini soli fa aumentare pure le scomparse. Secondo il rapporto erano infatti 1.754 nel 2012 i minori di cui si sono perse le tracce; 6.508 a fine novembre 2016, dato quintuplicato negli ultimi quattro anni. «Il rischio – spiega Paolo Rozera, direttore generale Unicef Italia – è che chi fugge dai centri cada nelle reti dello sfruttamento lavorativo, nella prostituzione minorile o nel giro della microcriminalità». Proprio per la tutela dei tanti minori soli il Parlamento ha approvato nei mesi scorsi una nuova legge loro dedicata. L’impegno è farla funzionare e agire a livello europeo per dar vita a un sistema che garantisca diritti e tutele effettive a quanti, ancora piccoli, sono costretti a fuggire lontano dalla loro terra e dai loro affetti.

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Presidente Cei

L’Ac al card. Gualtiero Bassetti: collaborazione, affetto e preghiera

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l card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, è il nuovo presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei). Lo ha scelto papa Francesco nella terna designata dai vescovi a maggio. 75 anni, originario di Popolano, frazione del comune di Marradi (Firenze), nel territorio della diocesi di Faenza-Modigliana, Bassetti riceve la formazione presbiterale nell’arcidiocesi di Firenze, nel cui clero entra a far parte con l’ordinazione. Nel 1994 viene eletto da Giovanni Paolo II vescovo di Massa Marittima-Piombino; trasferito nel 1998 alla diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, nel 2009 papa Benedetto XVI lo nomina arcivescovo di Perugia-Città della Pieve. Il 12 gennaio 2014 papa Francesco ne annuncia la nomina a cardinale. «Non ho programmi preconfezionati da offrire – ha esordito il neo-presidente, che succede al card. Angelo Bagnasco – perché nella mia vita sono sempre stato abbastanza improvvisatore. Intendo lavorare insieme con tutti i vescovi, grato per la fiducia che mi hanno assicurato. Il Papa ci ha raccomandato di condividere tempo, ascolto, creatività e consolazione. È quello che cercheremo di fare insieme. “Vivete la collegialità”, ci ha detto, “camminate insieme”: è questa la cifra che ci permette di interpretare la realtà con gli occhi e il cuore di Dio». Ricevuta la notizia, l’Ac ha salutato con gioia la nomina, assicurandogli collaborazione, affetto e preghiera. Confermando al tempo stesso «il desiderio di partecipare con passione e corresponsabilità alla missione della Chiesa italiana in un tempo che, seppure segnato da paure e diseguaglianze, è ricco di bene e di opportunità, di mani e cuori operosi, di sincere disponibilità alla costruzione del bene comune». Un ricordo dall’Ac pure per il card. Bagnasco, dal quale – riporta l’associazione in una nota – «abbiamo sempre ricevuto attenzione e ascolto, avvertendo una speciale paternità e una forte consapevolezza del ruolo dei laici credenti nella Chiesa e nella società».

Caritas italiana

I 40 anni dell’obiezione di coscienza e del servizio civile nazionale

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le altre notizie

uasi 100mila giovani obiettori di coscienza e oltre 10mila ragazzi e ragazze del servizio civile nazionale. Sono i numeri della Caritas italiana in quarant’anni di “obiezione”. In realtà, l’obiezione di coscienza venne riconosciuta dalla legge 772/1972 – per motivi morali, religiosi e filosofici – ai giovani che dovevano prestare il servizio militare. Tuttavia solo nel 1977 videro la luce le norme attuative, e nello stesso anno, il 10 giugno, la Caritas firmò la convenzione con il ministero della Difesa per la gestione dei suoi primi due obiettori. «Quella scelta – ricorda Diego Cipriani, responsabile dell’Ufficio servizio civile di Caritas italiana, a Redattore sociale – fu un’occasione straordinaria per la Chiesa per incontrare i giovani. Quella dell’obiezione di coscienza al servizio militare era un’istanza che veniva anche dai movimenti giovanili ecclesiali (Azione cattolica, Agesci, Comunione e liberazione...), di cui Caritas italiana si fece interprete su mandato della Chiesa». Fu proprio al convegno ecclesiale del 1976 che mons. Giuseppe Pasini (per 24 anni impegnato nella Caritas italiana, che diresse dal 1986 al 1996) chiese di partecipanti «di fare propria la proposta di farsi carico della promozione del servizio civile sostitutivo di quello militare nella comunità italiana, come scelta esemplare e preferenziale dei cristiani, e di allargare la proposta di servizio civile anche alle donne». Un lungo applauso segnò l’inizio del cammino. Nel quarantennale i numeri continuano a crescere: all’ultimo bando per volontari in servizio civile erano 1.379 i posti messi a disposizione, in Italia e all’estero, dalla Caritas.

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tempi moderni

Per una giustizia “giusta” E credibile intervista con Lucia Castellano

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arlare di “giustizia” non è semplice, soprattutto se, come spesso oggi accade, «assistiamo a una serie di ingiustizie di Maria Teresa consumate, o meglio, alla percezioAntognazza ne da parte del cittadino comune di vivere in un mondo ingiusto». In bocca a Lucia Castellano queste parole meritano certamente grande attenzione. Avvocato napoletano, la Castellano per dieci anni ha diretto il carcere di Bollate (Milano), facendone un modello di rieducazione e reinserimento sociale e, dopo una significativa parentesi politica come consigliere comunale a Milano e consigliere regionale della Lombardia, oggi è Dirigente generale dell’amministrazione penitenziaria. «Giustizia è decisamente una parola controversa: non La testimonianza – che offre indica un valore assoluto ma una diversa visuale – nello stesso tempo risulta imdi un ex direttrice di carcere, prescindibile, e cambia con i oggi Dirigente generale tempi. Che cosa possiamo dell’amministrazione dire oggi che sia “giusto” o penitenziaria. «Penso “ingiusto”? Una questione a una giustizia che aiuti a prendere in mano la propria che io risolvo con il rispetto imprescindibile dei diritti storia». Occorre offrire «tutti umani di ciascuno. Uno Stato gli strumenti per rientrare sociale che si occupi dell’unella società con dignità guaglianza dei propri cittadini e responsabilità, quella nei diritti e nelle responsabiresponsabilità che è mancata lità e che rimuova gli ostacoli nel commettere il reato» alla piena realizzazione dei diritti, si avvicina a quella che oggi possiamo chiamare la giustizia». Parla di un obiettivo alto la Castellano, cioè l’impegno a perseguire una “giustizia giusta”, non formale. Se ne parla nel libro Giustizia, che Lucia Castellano ha pubblicato per l’editrice In dialogo,

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nella collana Parole per capire ascoltare capirsi. «Ho lavorato per vent’anni all’interno degli istituti di pena e credo che non esista luogo dove è più stridente il contrasto tra la giustizia formale e quella sostanziale. Ricordo la mia prima esperienza da direttore, dopo tre anni alla vicedirezione del carcere di Marassi, a Genova; fui destinata a Eboli, piccolo centro del Cilento, in un istituto penitenziario con soli trenta giovani detenuti: il mio primo, reale tentativo di organizzare un luogo in cui si esercitasse la giustizia. I visi di quei giovani raccontavano miseria, deprivazione, esclusione sociale. Come la maggior parte delle “facce da galera” in Italia. Chi abbia l’ambizione di rendere il carcere un luogo giusto deve fare i conti con questa iniquità preliminare, che porta gli operatori, molto spesso, a dover costruire “in toto” intere esistenze, a offrire opportunità di reinserimento a chi non ha mai visto un banco di scuola, un posto di lavoro, non ha mai letto un libro. Far coincidere il rispetto formale delle regole con la giustizia sostanziale è stato lo scopo del mio impegno professionale per vent’anni». Come, dunque, parlare di una “giustizia giusta” in relazione all’esecuzione penale? Occorre fare appello alla responsabilità piuttosto che alla colpa: la colpa vittimizza e abbatte sotto la scura dell’istituzione il colpevole rendendolo una vittima, quando vittima non è. Dunque penso a una giustizia che aiuti a prendere in mano la propria storia, che è certamente difficile perché la persona ha commesso un reato, ma non è solo il suo reato. Allora una giustizia giusta è quella che offra tutti gli strumenti per rientrare nella società con dignità e responsabilità, quella responsabilità che è mancata nel commettere il reato. Altrimenti non saremmo una giustizia credibile. Lei, negli anni del suo impegno diretto alla direzione del carcere, ha cercato di mettere in atto una vera e propria “rivoluzione” dietro le sbarre. Di che si tratta?

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tempi moderni Terzo punto del mio impegno: il portone del carcere deve essere metaforicamente percepito dai propri abitanti come semiaperto, i reclusi devono potersi riappropriare con le proprie mani della libertà, saperla costruire, attraverso la gradualità delle misure alternative alla detenzione, perché sia definitiva e responsabile

Io parlo di “carcere dei diritti” nel senso di carcere che rispetti tutti i diritti umani, compatibili con la mancanza di libertà: il carcere è la mancanza di libertà e non è altro. Non è anche quella afflittività aggiuntiva che noi regaliamo a piene mani ai nostri ospiti, non prescritta in alcuna sentenza di condanna ma che risponde invece fedelmente al desiderio di vendetta e di esclusione dal contesto civile che permea di sé la società civile.

A lato: Lucia Castellano

Dunque, quale strada percorrere per realizzare una “giustizia giusta” e dei diritti in carcere? Per cercare di rendere il carcere un luogo in cui si esercita la giustizia ho lavorato su tre piani: in primo luogo, lasciando agli ospiti la più ampia libertà I 072017

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di autodeterminazione possibile, nell’organizzazione della propria giornata. In seconda battuta, cercando una contaminazione costante tra il carcere e la città esterna, che devono essere in relazione tra loro, come vasi comunicanti. Terzo punto del mio impegno: il portone del carcere deve essere metaforicamente percepito dai propri abitanti come semiaperto, i reclusi devono potersi riappropriare con le proprie mani della libertà, saperla costruire, attraverso la gradualità delle misure alternative alla detenzione, perché sia definitiva e responsabile. L’essere identificati con il proprio reato, esclusi e deprivati è un percorso che fa sentire vittime (quando non lo si è), mentre la responsabilità verso le proprie azioni rende liberi. Per questi motivi credo che in nessun luogo come nel carcere la giustizia formale, il rispetto delle regole, dovrebbero coincidere con la giustizia sostanziale. L’obiettivo di ogni buon amministratore penitenziario dovrebbe essere quello di rendere il carcere un luogo vero, g credibile, che produca libertà. ■

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tempi moderni

Distruggere internet? Meglio tornare persone

intervista con Andrea Giuseppe Graziano

di Marco Testi

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oglio distruggere il sito (Helicon, 2017, 128 pagine, postfazione di Tonino Cantelmi) è il titolo dell’ultima fatica dello scrittore Andrea Giuseppe Graziano, un racconto lungo e sette brevi incentrati sui vizi capitali visti oggi. Graziano riesce a penetrare nel profondo dei personaggi e individuare i limiti di una società esposta alla decimazione arbitraria dei posti di lavoro, alla sindrome di Narciso e alla conta dei like. Nello stesso tempo però emerge fortissima la speranza del recupero di una dimensione più a misura d’uomo anche attraverso una spiritualità più vera e capace di fronteggiare i tempi. Incontriamo l’autore.

«Naturalmente io sono persuaso che il web e l’uso della rete siano uno strumento prezioso di informazione e comunicazione, mentre il personaggio vive una realtà diversa». Attraverso un racconto lungo e altri sette brevi incentrati sui vizi capitali, uno scrittore e poeta si estranea dai like, per tuffarsi di nuovo sui ritmi della vita di ogni giorno. Fino a incontrare Dio 20

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Perché un titolo sulla distruzione del sito? Per quale motivo un personaggio dovrebbe distruggere ciò che oggi è pane quotidiano e anzi fonte di lavoro? Naturalmente io sono persuaso che il web e l’uso della rete siano uno strumento prezioso di informazione e comunicazione, mentre il personaggio vive una realtà diversa. Il racconto lungo reca come titolo l’espressione del protagonista, imprigionato in un sito di scrittura creativa; al colmo del parossismo Giorgio confessa al suo psichiatra il desiderio di voler distruggere il sito e abbandonare i riconoscimenti, le visualizzazioni e i commenti a cui era legato. Comincia a percepire cioè che il flusso di like e quelle parole che vorrebbero imitare l’esistenza non lo fanno più star bene, più giungono giudizi positivi più si sente estraneo. Allora uscirà alla ricerca di esperienze e proverà a guardare il mondo, Roma, l’ambiente del lavoro, gli atteggiamenti dei dirigenti dell’ufficio e dei colleghi, persino il traffico e le apparizioni al semaforo di piazza del Popolo, in modo nuovo, ironico e vibrante. Una vita nuova, di dantesca memoria, come possibilità di rinascita? Si aprono nuove strade: da una parte l’accettazione eroica della malattia e della morte, dall’altra una vita lunga piena di insidie da parte dei “nemici”. In entrambi i casi Giorgio dovrebbe dare risposta, nella concretezza del corpo e dell’anima, l’anima di cui oggi non si parla, e che sembrerebbe non esistere più nell’era post-moderna, e che invece diviene la vera protagonista, giacché è l’unica a poter veramente “rispondere” e a definire le scelte. Ecco allora che si apre il gran finale “E dopo”, in cui il protagonista s’invola al terzo stadio della narrazione, quello metafisico, dell’incontro con l’Essere. Qui Dio si lascia immaginare e addirittura interrogare da Giorgio, che, attenzione, non parte da un punto di vista strettamente confessionale e religioso, ma da quello di un uomo all’estremo della sua

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tempi moderni condizione, proteso a un incontro cruciale, una modalità che lettori, credenti e non, potranno entrambi accogliere. La letteratura può riscoprire valori più profondi e religiosi dopo la grande crisi del Novecento? Per due secoli è sembrato che la fede non avesse futuro... Credo che proprio oggi, alla fine del processo di secolarizzazione, la letteratura posAndrea Giuseppe Graziano, nato sa in diversi modi conferire a Roma il 30 settembre del 1966, un’elaborazione nuova della ha pubblicato l’opera di poesia deriva d’occidente e anche Dei silenziosi bui (Ed. Aletti) nel porgere la bellezza, l’altezza 2003. Due anni dopo la seconda e la profondità della Parola opera poetica Stanze critiche (Ed. di Resurrezione, in relazione Aletti), vincitrice del Premio alle domande ultime, alla vita selezione poesia edita, oltre che di relazione, alla dimensione compresa nella rosa dei finalisti spirituale che permane asdel quarto Premio internazionale setata di verità, alla necessità letterario Anguillara Sabazia Città di riconoscere i sentimenti, le d’Arte 2005, e finalista del Premio idee, di interpretare il reale. nazionale di poesia “Alessandro Contini Bonacossi”. Insegna in un Che cosa significa essere istituto superiore del Lazio. I 072017

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scrittore oggi, e per di più scrittore credente? Essere personalmente credente – vorrei specificare – non è mai stato un accampamento statuario, granitico, è invece piuttosto simile alla condizione filosofica di chi cercando il Bene, assume il rischio intrinseco di poterlo perdere per poterlo cercare di nuovo, in un corteggiamento che avviene nella storia, simile all’approccio dell’Amato del Cantico dei Cantici, il quale a volte si nasconde, per farsi desiderare. E sì, fare un cammino di fede può in parte avermi aiutato a cercare direzione, senso, significato anche alle vicende narrate. I sette vizi capitali da lei narrati nei racconti suonano estranei a un oggi in cui si è abituati a una letteratura del tutto laicizzata. Credo che nei vizi capitali del sottotitolo possano essere riconosciuti – in tanti rivoli di accadimenti intorno a ciascuno di noi – le origini degli atti e dei pensieri originati dalle pulsioni cardinali, così diffuse e contrapposte a quelle virtù cardinali platoniche, divenute poi cristiane. Quindi sì, valgono ancora i vizi capitali, la società non li nomina più come tali, alcuni di questi oggi vengono scambiati g per virtù, ma sono ancora riconoscibili. ■

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tempi moderni di Alberto Galimberti

Una nuova vita è possibile

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i intitola La vita per gli altri il libro di Enrico Fagetti, quasi una lettera aperta, custodita a lungo nelle zone più recondite del cuore, rivolta al figlio Paolo, che da 12 anni non c’è più. La vita per gli altri può sembrare un buon proposito, un’attitudine, una vocazione cui intonare la propria quotidianità. A volte – e questa è una di quelle – diventa una frase che tiene la porta socchiusa a moltissimo, forse tutto ciò che spinge, nobilita, ferisce, esalta, umilia l’umanità, ogni mattina, quando la luce, posandosi sulle cose, apre il sipario sul mondo, generando non un’aspettativa scontata, bensì un miracolo rinnovato senza sosta. La vita, la morte, la sofferenza, la speranza. E ancora. Lo smarrimento, la solitudine, la nostalgia. La fede, il dubbio, la ricerca, la rabbia, la consolazione. Le lacrime e il sorriso. La vita per gli altri è la didascalia più azzeccata per dire l’esistenza di Paolo Sopravvivere al proprio figlio: Fagetti, trentenne è il dolore più profondo che può grafico comasco, lacerare l’amore di un padre e una impegnato nel somadre. Trasformare parte di quella ciale e in oratorio; disperazione in un’opportunità per deceduto, tragiaiutare il prossimo è la sfida che due camente, in un genitori, con l’aiuto di molti, hanno portato avanti con coraggio. «Abbiamo incidente stradale, deciso di far rivivere lo spirito solidale salendo, con la sua di nostro figlio Paolo in una Fondazione moto, per la Valtellina (Sondrio). «La impegnata ad assistere i bambini che vita scorreva per si trovano in situazioni di difficoltà» la nostra famiglia come un fiume tranquillo – ricorda Enrico Fagetti –. Paolo era il fiume, io e Liviana eravamo gli argini, grati a Dio per averci concesso tanto». Poi,

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un lampo che terremota quel fluire di vita leggero, entusiasta, grato. Era il 16 agosto 2004. Una telefonata di un amico raggiunge Enrico e Liviana, la corsa in macchina da Olgiate Comasco (Como) a Sondalo, il cuore in gola, le preghiere smozzicate che si rincorrono in testa, il tempo come sospeso, le parole terrificanti sillabate dai medici: «Ci dispiace, Paolo non ce l’ha fatta». Il cuore di una madre in mille pezzi. Il corpo e l’anima di un padre annichiliti. È questione di istanti tremendi: il destino rovescia la regola più naturale per cui sono i figli a seppellire i genitori, non il contrario. Una condizione che non si può capire, spiegare, accettare: figurarsi, vivere. Sopravvivere al proprio figlio… «La perdita di un figlio lascia una ferita che non si rimargina, un’impronta fossile. Un genitore non dovrebbe sopravvivere al figlio, il ramo spezzato lascia in vita un tronco vuoto, senza foglie né fiori, inutile», confida Enrico Fagetti, soppesando le parole, quasi assicurandosi che ognuna sia al proprio posto, esito di un lavorìo interiore durato anni e non ancora concluso. Tutto perde valore, nonostante l’affetto di moltissimi amici, a partire da chi con Paolo condivideva lavoro, progetti di volontariato, vacanze, attività sportive. Vacilla anche la fede. Con il volgersi dei mesi, che poi diventano anni, la disperazione più atroce lascia posto a un dolore composto, che si può persino lenire partendo dalla sua condivisione. «La tragedia – afferma il padre di Paolo, mentre gli si inumidisco gli occhi – ci ha messi in contatto con altri genitori rimasti “orfani” degli loro figli. Ognuno vive questo dolore devastante in maniera diversa. Io e Liviana abbiamo imparato a vedere con occhi nuovi un futuro incerto, trasformandosi in un cammino di vita nuova. Anche se, non lo nascondo, in certi momenti quel dolore crudele e tagliente ritorna». Sopravvivere al proprio figlio: è il dolore più profondo che può lacerare l’amore di un padre e una

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tempi moderni madre. Trasformare parte di quella disperazione in un’opportunità per aiutare il prossimo è la sfida improba che Enrico e Liviana, con l’aiuto di molti, hanno portato avanti con coraggio, vincendola. «Abbiamo deciso – continua Enrico – di far rivivere lo spirito solidale di Paolo in una Fondazione impegnata ad assistere i bambini che si trovano a vivere situazioni di difficoltà».

A lato: Paolo Fagetti. Sopra, piccoli ospiti della Fondazione (foto www.fondazionepaolofagetti.org)

Una struttura all’avanguardia Insieme al gruppo di amici d’adolescenza di Paolo, i due genitori hanno prolungato l’impegno sociale del figlio, prima dando vita alla Fondazione Paolo Fagetti Onlus, 7 aprile 2006, poi inaugurando il 5 aprile 2011, la Casa di Paolo e Piera (un’amica di Paolo, deceduta un anno dopo di lui), una struttura all’avanguardia sul territorio dell’Olgiatese, diventando presto un saldo punto di riferimento per la disabilità minorile. «Eravamo tutti sconvolti, ma subito è uscita l’idea di non stare con le mani in mano. Dovevano fare qualcosa per cercare di dare senso a qualcosa che non aveva senso. Qualcosa per ricordare Paolo e per aiutare Enrico e Liviana a reagire», raccontano Alessandro Iavarone e Simone Mangano, due amici di Paolo e membri del direttivo della Fondazione. I 072017

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In questi anni la Fondazione Paolo Fagetti Onlus è diventata una realtà affermata e conosciuta sul territorio lariano. Di più. Nel gennaio 2016, ha stretto un’importante collaborazione con il Consorzio dei Servizi sociali dell’Olgiatese, che gestisce, con i propri operatori e il loro know how, il Centro diurno per minori Casa di Paolo e Piera, frequentato ogni giorno da 20 bambini con disabilità psichiche e relazionali; la maggior parte di loro hanno un disturbo dello spettro autistico: «I ragazzi hanno imparato presto a conoscere questo luogo come una casa. Le famiglie, abituate a strutture con una caratterizzazione più sanitaria, hanno immediatamente apprezzato questo ambiente. I genitori portano i loro dubbi alle educatrici, condividendo con loro le strategie educative o di gestione delle situazioni più critiche», spiega Francesca Telve, psicologa e coordinatrice del servizio. «Due volte al mese proponiamo “i sabati di respiro”: per i genitori è l’occasione di ritagliare un po’ di tempo per sé, riposarsi, fare una passeggiata, dedicarsi agli altri figli, avendo la tranquillità di sapere i propri figli in buone mani; per i ragazzi invece è una giornata ricreativa, dove giocano liberamente senza le aspettative della g riabilitazione». ■

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tempi moderni

Proviamo a salvarci insieme? di Maria Teresa Antognazza

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utti i coinvolti nella vicenda ne usciranno profondamente trasformati. Se la vita dei soccorritori in mare fosse come terra per il naufrago, sarebbe in realtà terra rivoltata, arata in profondità. I superstiti del 3 ottobre 2013 hanno arato i soccorritori. Con la violenza dell’essere inermi. Debilitati, reduci da una disfatta, corpi vivi nascosti tra morti, hanno ribaltato il tavolo nel gioco della vita». Ci sono esperienze che stravolgono l’esistenza e la segnano in modo indelebile, generando un nuovo, più adeguato sguardo sulla realtà che ci circonda. Così è stato certamente per don Mimmo Zambito, che per tre anni è stato parroco a Lampedusa. Testimone diretto della tragedia del popolo dei migranti che quotidianamente solca il Mediterraneo tentando l’approdo in Don Mimmo Zambito, per tre anni una terra ricca di proparroco di Lampedusa, racconta in messe, il sacerdote agriun libro la sua esperienza accanto gentino ha raccontato i pensieri scaturiti dal pur ai migranti: «Chi è stato “arato” breve ministero sull’isola e come “fecondato” dal morente salvato nel mare a Lampedusa, ora nel libro di In dialogo intitolato Accoglienza. vive con una marcia in più, pur portando addosso la morte». Ogni Salvati e salvatori escono trasformati da questi profugo, ricorda il sacerdote, «è portatore di un progetto di vita» eventi, dice don Mimmo,

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con un linguaggio molto evocativo: «Chi è stato “arato” e come “fecondato” dal morente salvato nel mare a Lampedusa, ora vive con una marcia in più, pur portando addosso la morte. Quella degli annegati, sì, ma anche quella dei superstiti: l’uomo col modo di pensare del mondo vecchio non c’è più. I superstiti hanno “battezzato” i salvatori a vita nuova. Chi conosce questi uomini e donne salvatori, dice che “portano le piaghe di Cristo risorto”. Essi vivono il dolore per ciò che non hanno potuto fare per le vittime del naufragio. Le loro parole, le loro lacrime, le loro vite stravolte dalla vita e dalla morte, supplicano ascolto dall’uditorio che spesso fa fatica, calcola percentuali, misura il mondo a pianerottoli». Avvertire la spina nel cuore È molto preciso nella sua analisi don Zambito, che evoca le parole di papa Francesco per descrivere il distacco con il quale guarda questi eventi chi si sente “lontano” dall’isola siciliana: «È questo il vero peccato, avversione a Dio e oppressione dell’uomo, di coloro che si autoassolvono: “chi è stato? Tutti. Tutti e nessuno». Per questo, di fronte a questo incessante viaggio della speranza che porta tanti uomini e donne sulle nostre coste è necessario «avvertire la spina nel cuore e muoversi subito, im-

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tempi moderni A sinistra: don Mimmo Zambito. Sopra, la copertina del libro

mediatamente, anche a rischio di sbagliare. Non accorrere è comunque errare. Non accogliere è errore che degrada a orrore. Orrore su errore. Tutti disorientati, globalizzati, sì, ma nell’indifferenza». Come declinare, gli chiediamo, questo tema dell’accoglienza, divenuto così velocemente terreno di scontro nel nostro paese? «L’esperienza di Lampedusa mi suggerisce una chiave di lettura che fa riferimento al bisogno di vita, alla ricerca di futuro che queste persone hanno, proprio come noi. Al di là della decisione di affrontare il mare su un barcone, dei vestiti che indossano, dell’odore che hanno, ciascuno di loro è portatore di un progetto di vita. È dunque una condizione particolare quella di Lampedusa che offre una interpretazione “pro-life”, pro vita, e ci impegna a debellare tutte le situazioni di orrore, violenza, di sopraffazione, di oppressione che ci sono nel mondo, anche vicino a noi, anche dentro di noi, fino ad arrivare alla profondità della vita di ciascuno». I 072017

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La sfida che ci pone papa Francesco Dunque, «il significato reale del termine accoglienza è “vita”. Comporta uno scuotimento vitale, sconvolgente. Un’oscillazione fra l’esaltazione erotica e agapica dell’amore o la degenerazione omicida e distruttiva della morte di chi è differente. Accoglienza e vita, in opposizione a morte e respingimento, è pratica radicale, articolata, che richiede coinvolgimento educativo, presa in carico, ascolto, accompagnamento». Soprattutto, la vera questione dell’accoglienza non si gioca a Lampedusa ma a Milano, «non alla periferia del mondo ma nel centro, se intendiamo la grande città come centro nevralgico dello sviluppo e della civiltà. Alla periferia il discorso si definisce con immediatezza ed essenzialità: Lampedusa accoglie perché non si può spostare, non può respingere chi si avvicina e, nello stesso tempo, non può privarsi dell’accoglienza dell’altro, perché sarebbe come se mancasse il respiro. Al centro, però, quelle stesse sfide diventano culturali e pongono in modo ineludibile la grande questione esistenziale: come sventare la morte che tutti accoglie ed estendere la vita? Rigettare l’appello che l’altro con la sua corporeità mi impone di considerare, non nega forse la possibilità che la mia esistenza con la sua accolga una vita più vera e si dilati? Come ci sfida g papa Francesco: proviamo a salvarci insieme?». ■

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economia e lavoro di Armando Miano*

Il lavoro al tempo dei robot

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ra i motivi di preoccupazione per le trasformazioni in atto nel mondo del lavoro figura spesso la crescente automatizzazione dei processi produttivi, resa possibile dalle innovazioni tecnologiche degli ultimi decenni. Il timore principale è che le macchine sostituiscano progressivamente la forza lavoro umana, creando un’ulteriore fonte di disoccupazione. In molti si sono espressi su questo tema, a partire da Bill Gates, fondatore di Microsoft, che qualche mese fa ha destato clamore dichiarando che sarebbe giusto tassare le imprese che utilizzano robot nella produzione, in sostituzione del lavoro umano. Anche il Parlamento europeo si è occupato di questi temi, discutendo una proposta Il rapporto tra innovazione di tassazione dei robot nel e lavoro è un tema complesso febbraio 2017. che presenta sfide ma anche Per capire quanto quemolte opportunità. Sebbene ste preoccupazioni siano il numero di compiti in cui una macchina può sostituirsi all’uomo fondate può essere utile analizzare l’effetto che sia destinato ad aumentare per l’automazione ha avul’introduzione di tecnologie sempre più avanzate, l’esperienza to sul mercato del lavoro storica insegna che qualità umane nel secolo passato. Da questa analisi emergono come la sensibilità, l’intuizione alcuni elementi importane la capacità di adattarsi ti. Un primo dato è che le alle situazioni difficilmente innovazioni tecnologiche diventeranno superflue. dell’ultimo secolo hanno Da parte dei governi l’impegno ad aiutare chi è rimasto indietro permesso di ridurre sensibilmente il fabbisogno e a investire sull’educazione umano nei processi qualificata dei giovani produttivi. Ad esempio, la modernizzazione delle tecniche agricole ha portato a una drastica riduzione dei lavoratori impiegati nell’agricoltura: negli Stati Uniti, si è passati dal 41% della forza lavoro nel 1900 al solo 2% nel 2000. Una tendenza simile si è registrata per altri processi produttivi, sia materiali che immateriali: si pensi alla rivoluzione informatica con cui computer e software hanno parzialmente sostituito il lavoro umano nella gestione della contabilità e dei servizi di vendita.

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Automazione complemento del lavoro umano Tuttavia, questi dati devono essere inquadrati in un contesto più ampio. Nonostante sia generalmente etichettata come sostituto del lavoro umano, l’automazione ne è anche un complemento: la maggior parte dei processi ha bisogno sia della potenza della macchina che dell’intuizione, creatività e sensibilità dell’uomo. Un caso emblematico in questo senso è quello dell’introduzione dei bancomat nelle filiali delle banche. Negli Stati Uniti i primi bancomat sono stati installati negli anni ’70 e il loro numero è cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni, passando da 100.000 nel 1995 a 400.000 nel 2010. Allo stesso tempo, il numero di operatori bancari è aumentato, passando da 500.000 nel 1980 a 550.000 nel 2010. Questo dato è rivelatorio: invece di sostituire completamente gli impiegati bancari, i bancomat li hanno sollevati da compiti standardizzati (dare denaro e incassare assegni) e hanno permesso loro di specializzarsi nei servizi di relazione con il cliente, per i quali una macchina non può sostituirsi alle competenze umane. Storicamente la tecnologia ha portato anche alla creazione di nuove figure lavorative, che svolgono compiti più complessi utilizzando i nuovi strumenti a disposizione. Ad esempio, con lo sviluppo di nuovi mezzi grafici è nato il lavoro di grafico digitale, oppure con l’invenzione della radiologia è stato introdotto il lavoro di tecnico radiologo. Il ruolo fondamentale della politica A livello aggregato quindi l’automazione non porta necessariamente a una riduzione del numero totale di posti di lavoro disponibili. Tuttavia, essa può avere un impatto importante sulla composizione della forza lavoro. Negli ultimi trent’anni, nei paesi Ocse, mentre l’impiego nei settori di lavoro manuale (lavorazione del cibo, cura della persona ecc.) e intellettuale (amministrazione, professionisti, personale tecnico) è aumentato, i posti di lavoro nei settori manifatturiero, impiegatizio e commerciale sono diminuiti sensibilmente. Infatti, i lavoratori che svolgevano operazioni di routine, come l’assemblaggio ripe-

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economia e lavoro A livello aggregato quindi l’automazione non porta necessariamente a una riduzione del numero totale di posti di lavoro disponibili. Tuttavia, essa può avere un impatto importante sulla composizione della forza lavoro

titivo di un prodotto nella catena di montaggio o la gestione manuale di informazioni (vendite, contatti, personale), seguivano procedure standard che potevano essere completamente codificate da software informatici e, quindi, automatizzate. Questo li ha resi più esposti rispetto agli altri gruppi di lavoratori. La mutata composizione della forza lavoro può in parte spiegare l’aumento delle disuguaglianze sociali registrato in maniera particolare negli ultimi anni: sono diminuiti gli impieghi nei settori dove tradizionalmente i lavoratori percepivano un salario medio, a favore dell’aumento dell’impiego in settori con salari più bassi o più alti. In conclusione, il rapporto tra tecnologia e lavoro è un tema complesso che presenta sfide ma anche I 072017

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molte opportunità. Sebbene il numero di compiti in cui una macchina può sostituirsi all’uomo sia destinato ad aumentare per l’introduzione di tecnologie sempre più avanzate, l’esperienza storica ci insegna che qualità umane come la sensibilità, l’intuizione e la capacità di adattarsi alle situazioni difficilmente diventeranno superflue. Ciò che è essenziale per non essere tagliati fuori da un mondo del lavoro che si trasforma è avere una formazione completa e all’avanguardia. Da parte dei governi ci deve essere quindi un impegno duplice: da un lato aiutare chi è rimasto indietro a causa dell’automazione ad acquisire competenze che permettano di trovare un nuovo lavoro, dall’altro investire sull’educazione qualificata dei giovani. A questo proposito, è allarmante che in Italia solo il 26% dei giovani abbia ottenuto un titolo di studio superiore: siamo al penultimo posto nell’Unione g europea. ■ *Harvard University, Stati Uniti

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famiglia oggi

Pregare in famiglia ascoltando la vita

intervista con Davide Caldirola

di Barbara Garavaglia

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a vita va ascoltata, con i suoi ritmi, con le circostanze che la modificano ora dopo ora. Ne fanno esperienza le famiglie, alle prese con incombenze, lavoro, momenti di svago, ma anche con lutti e con difficoltà. Per alcuni sposi il programma di preghiera stilato all’inizio della vita insieme, è chiuso in un cassetto: il tempo per pregare si riduce, la stanchezza si fa sentire. Se la liturgia delle ore, la Lectio divina e altre pratiche sono un ricordo, significa che siamo di fronte a un “fallimento”? Imprescindibile è partire dalla situazione in cui si vive, mettendo al centro la propria fede con semplicità. Piccoli gesti vanno a scandire il ritmo quotidiano di una famiglia, dando un senso a quanto accade. Questo è il suggerimento fornito da don Davide Caldirola, sacerdote ambrosiano, autore di numerosi testi di meditazioni bibliche. «Ai fidanzati – racconta il sacerdote, classe 1963 – suggerisco due cose. In primo luogo trovare dei riti di coppia. Ognuno ha la propria storia di fede che esprime nella preghiera personale. Poi c’è la partecipazione alla fede di popolo, ad esempio con la

Ritagliarsi un momento per lodare il Signore durante la giornata sta diventando sempre più difficile. «Ai fidanzati – racconta un sacerdote – suggerisco due cose. In primo luogo trovare dei riti di coppia. Ognuno ha la propria storia di fede che esprime nella preghiera personale. Poi c’è la partecipazione alla fede di popolo. Trovare quindi un momento settimanale, oppure quotidiano, una piccola cosa, che sia però ripetuta. Può essere una benedizione, l’accensione di un cero davanti a un’icona. Un rito, a cui abituarsi, che serva a “cucire” la propria giornata» 28

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messa. La coppia deve trovare quindi un momento settimanale, oppure quotidiano, una piccola cosa, che sia però ripetuta. Può essere una benedizione, l’accensione di un cero davanti a un’icona... Un rito, a cui abituarsi, che serva a “cucire” la propria giornata. Un secondo suggerimento: scegliere un luogo. Non la chiesa del quartiere in cui si vive, ma un luogo di elezione in cui andare anzitutto a leggere le letture per prepararsi al matrimonio e in cui ritornare nei momenti importanti della vita familiare: in occasione di una nascita, oppure di un lutto... Coloro che frequentano le parrocchie, hanno inoltre altri aiuti». E quando la vita si presenta colma di impegni? Con la famiglia bisogna lasciarsi istruire dai bambini. Si parte dal segno di croce tracciato sulla fronte

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famiglia oggi dei piccoli, per poi rimettersi in gioco con la vita di fede del bambino. Pensiamo a quando i più piccoli entrano Con la famiglia bisogna in chiesa e vedono muoversi lasciarsi istruire dai bambini. le fiammelle delle candele. Si parte dal segno di croce Trascinano la mamma davanti tracciato sulla fronte all’altare per accenderle e la dei piccoli, per poi rimettersi mamma compie un gesto che, in gioco con la vita forse, non compiva da anni. di fede del bambino La vita viene prima, va ascoltata. Se la vogliamo preordinare, ci spiazza.

A lato: don Davide Caldirola

Quale importanza assume la preghiera di coppia? Rispondo con quanto mi ha raccontato una famiglia. Il loro impegno è di recitare il Padre nostro insieme, alla sera. Questo è un collante enorme, perché per recitare la preghiera in verità, ciascuno I 072017

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deve abbassare le armi. La preghiera conta tantissimo! Il primo a cui chiedere aiuto è Dio, e Dio è il primo da lodare. Ritiri, gruppi familiari. Qual è la via giusta? Ci siamo interrogati come sacerdoti anche riguardo all’esperienza dei gruppi familiari. Più spesso di quanto si pensa, quando una coppia va in crisi la prima cosa che fa, è smettere di partecipare al gruppo familiare. Perché? Avremmo bisogno di più semplicità. Esistono cammini meravigliosi che, forse, vanno a cozzare contro la realtà delle famiglie di oggi. Tenere ferme le proposte, certamente, con maggior semplicità. Dobbiamo domandarci che tipo di famiglie incontriamo. C’è una realtà che ci dice che, probabilmente, non abbiamo tenuto conto del livello di g disgregazione che abbiamo dinanzi. ■

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senza confini

Lascia la strada! Torna a essere libera di Silvio Mengotto

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el nuovo libro Il coraggio della libertà. Una donna uscita dall’inferno della tratta, (Paoline, 2017) Blessing Okoedion, giovane donna nigeriana, racconta come sia riuscita a spezzare le catene nell’inferno della tratta ritrovando se stessa, la sua vita, la fede, la dignità e la libertà Il libro nasce dall’incontro di storie diverse, scritto da Blessing Okoedion con Anna Pozzi, giornalista e scrittrice che, da diversi anni si occupa del fenomeno della tratta di persone.

La catena dell’inganno Papa Francesco continua a ripetere che «la tratta è un crimine contro l’umanità». «Una cosa che mi ha sempre turbato – dice Anna Pozzi – e interrogato anni fa era la presenza di donne nigeriane nelle strade, nelle periferie, spesso nei posti più bui e pericolosi». In Italia è una presenza consolidata da 30 anni. Impressiona sapere che nel 2014 in Italia sono sbarcate Un libro, una storia sulla tratta di 1.400 giovani donpersone, la speranza per il futuro. ne nigeriane per Perché i dati sono impressionanti: arrivare a 11.000 nel 2014 in Italia sono sbarcate nel 2016. Obiettivo 1.400 giovani donne nigeriane per arrivare a 11.000 nel 2016. Obiettivo della tratta: lo sfruttamento e la prodella criminalità: lo sfruttamento stituzione. Il dato e la prostituzione. La protagonista denuncia l’aumenspiega a Segno: «La mia parola e le to della domanda, mie azioni possono diventare uno strumento per liberare gli altri. Perché cioè dei “clienti”, nel nostro paese. mai più nessuno pensi di non avere Si stima che le prealtra alternativa che essere schiavo»

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stazioni sessuali in un mese oscillano da nove a dieci milioni. «Il traffico di esseri umani – precisa Anna Pozzi – in Europa è un business illegale più redditizio del traffico di droga». L’altra catena dell’inganno sono i riti voodoo e ju ju svolti in Nigeria sulle ragazze prima di partire. Si tratta di riti iniziatici ad alto tasso ricattatorio. «Una catena – precisa Anna Pozzi – psicologica fortissima che ti controlla». La maggior parte delle donne nigeriane proviene da Benin City, capitale e crocevia di questo traffico gestito dalla camorra nigeriana. In Italia i due punti di riferimento, gestiti dalla camorra locale, sono Castel Volturno e Torino. La Nigeria è sorprendente e sconvolgente proprio per i fortissimi contrasti: l’eccesso di bene e male, di lusso esagerato e miseria profonda. La Nigeria è la prima economia dell’Africa dove il 75% della popolazione vive nella miseria: è il volano che convince le ragazze, le famiglie, a credere che l’unica aspirazione sia quella di partire per l’Europa, presentata come il paradiso di facili guadagni. «Se mandi a casa i soldi – ci spiega Blessing Okoedion – nessuno fa più domande. I soldi sono la verità». Nelle mani dei trafficanti Anche Blessing si è trovata impigliata da una rete criminale ben organizzata sin dalla sua partenza. Lupi travestiti da pecore. Di famiglia povera ma dignitosa, laureata in informatica, cristiana non cattolica in una chiesa pentecostale. A 27 anni, già adulta, in modo subdolo viene ingannata e parte per la Spagna dove c’è la promessa di un lavoro informatico. Dalla Spagna, sempre con

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senza confini A lato: suor Rita Giaretta. Sopra, Blessing Okoedion e la copertina del libro

l’inganno, viene trasferita a Napoli poi nel Casertano. Quando chiede ragione del lavoro promesso a Faith, la madam che gestisce le ragazze cadute nella trappola, le dice: «Ora ci devi pagare 65mila euro». «Ero completamente stordita – confessa Blessing Okoedion –, incredula, impaurita, disorientata. Madam Faith mi introduceva al mio nuovo “lavoro” e alla mia nuova vita in Europa. Una vita in strada. In quel momento ho saputo che ero finita nelle mani dei trafficanti. Come era potuto accadere? Ancora oggi non sono in grado di rispondere». Le madam, donne nigeriane anziane, gestiscono nei luoghi di destinazione piccoli gruppi di ragazze. Dopo quattro giorni infernali sulla strada Blessing supera la paura e alla polizia di Caserta denuncia le violenze subite. Grazie alla sensibilità di un poliziotto, Blessing conosce suor Rita Giaretta di Caserta che, come suor Eugenia Bonetti, da molti anni è al fianco delle donne vittime della tratta. «Sono state loro – dice Rita Giaretta –, sulla strada, ad aprirci gli occhi, il cuore, la mente nel comprendere le schiavitù di oggi. “Qui si muore, I 072017

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aiutaci” ripeteva una donna nigeriana. Sono donne, hanno un nome, una loro dignità e va promossa. Liberando loro, liberiamo noi stessi». «Tante ragioni per vivere» Grazie a un cammino condiviso con suor Rita Giaretta oggi Blessing ha riacquistato autostima diventando, nel Casalese, una formidabile mediatrice culturale. «Quando si perde la fiducia – riprende Blessing – è difficile ritrovarla. Suor Rita è riuscita a liberarmi da quella sensazione di diffidenza e di chiusura. Oggi ho tante ragioni per vivere perché mi ha mostrato quelle ragioni e aggiunto valori alla mia vita. La ringrazio per questa vita nuova piena di gioia e speranza. Dio è con me. God bless you! Una donna cristiana mi ha fatto del male. Una donna cristiana mi ha ridato la vita». Questa vita nuova si concretizza con il sogno di ritornare in Nigeria per aiutare le donne, i bambini, il suo popolo a liberarsi da questo crimine contro l’umanità. «Non posso – conclude Blessing – chiudere la mia bocca. La mia parola e le mie azioni possono diventare uno strumento per liberare gli altri. Non è solo un’opportunità per me, ma per la mia generazione, per le donne della Nigeria, per i nostri figli. E anche per l’Italia e per il mondo, perché mai più nessuno pensi di non avere altra alg ternativa che di essere schiavo». ■

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quale Chiesa intervista con Gerolamo Fazzini

Mission is possible: un festival per incontrarsi e raccontarsi

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bbiamo pensato alla formula del festival perché permette di sperimentare linguaggi diversi, e in parte anche nuovi, grazie ai quali provare a intercettare il maggior numero di persone, in special modo i giovani». Gerolamo Fazzini, giornalista e scrittore, è il direttore artistico del Festival della missione, la cui prima edizione è in programma a Brescia dal 13 al 15 ottobre prossimi. Il tema è: Mission is possible. Lo abbiamo intervistato per saperne di più. Perché un Festival e non un convegno? Perché il contesto in cui ci racconteremo, come mondo missionario, dev’essere laico, per evitare di parlarci addosso. Non si farà quindi l’ennesimo convegno dove, a porte chiuse, si parla in ecclesialese, ma si andrà in piazza. Per questo motivo nei giorni del Festival sarà proposto un ampio ventaglio di eventi: testimonianze missionarie, mostre fotografiche, concerti, incontri con l’autore, tavole rotonde, spettacoli, momenti di preghiera, iniziative ad hoc per bambini, famiglie e scuole…

spiego. In primo luogo vigileremo sia sull’entità dei costi finali che sul tipo di contributi (e di donatori) a sostegno dell’iniziativa. Sappiamo bene che con la stessa quantità di denaro che occorre per un festival (diverse decine di migliaia di euro) nei Paesi del Sud del mondo si possono realizzare iniziative solidali persino più importanti, a livello sanitario, educativo o altro; proprio per questo ci è chiesto un supplemento di lungimiranza. Stiamo attivando una serie di sinergie con diversi partner che, in misura diversa, hanno contribuito anche economicamente, o si apprestano a farlo, per la buona riuscita dell’impresa.

Non c’è il rischio di scimmiottare quanto avviene altrove, visto che l’Italia è già piena di festival? Il rischio c’è ma ne siamo consapevoli: stiamo cercando in vari modi di “fare la differenza”. Mi

In secondo luogo? Daremo al festival il colore di una “festa”: una parte degli ospiti che verranno da fuori Brescia (missionari, delegati dei centri missionari diocesani) saranno ospiti di famiglie e oratori, perché il festival non sia una semplice kermesse, ma il più possibile un’esperienza che lascia il segno. In terzo luogo, vorremmo che, alla fine dei tre giorni, rimanesse un “segno” concreto, al di là della girandola di parole, musica, incontri... Da ultimo, ma non è la cosa meno importante, durante tutti i giorni del Festival (e questo non accade altrove) in una chiesa del centro cittadino ci sarà l’adorazione eucaristica permanente: un segno forte, per richiamarci al vero Protagonista della missione.

Il mondo missionario italiano si dà appuntamento a Brescia dal 13 al 15 ottobre. Il direttore artistico Gerolamo Fazzini spiega che si intende vivere «questa opportunità come una palestra di comunione, dove le differenze vengono esaltate in quanto ricchezza da condividere a beneficio di tutti». Bandito il linguaggio “ecclesialese”. Nel programma testimonianze, mostre, concerti, incontri con l’autore, tavole rotonde, momenti di preghiera

Uno degli obiettivi dichiarati del Festival è proporre il mondo missionario come realtà corale, sinfonica e unita. Una sfida non facile... Sì, vogliamo provare a fare un festival insieme, vivendo questa opportunità come una palestra di comunione, dove le differenze vengono esaltate in quanto ricchezza da condividere a beneficio di tutti. Da molti istituti missionari sono arrivati segnali di apertura, collaborazione e disponibilità. Se

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quale Chiesa l’evento-festival e la sua comunicazione saranno frutto di un lavoro di squadra dove ogni carisma è valorizzato – e stiamo lavorando perché sia così – potrà diventare una testimonianza significativa e già “missionaria” in sé. Quali risultati vi attendete dal Festival? Nessuno, promotori compresi, è così ingenuo da immaginare che un Festival di tre giorni possa essere una bacchetta magica in grado di risolvere questioni annose e crisi di lunga data. Diciamo che, per usare parole di papa Francesco, più che occupare spazi, con questa iniziativa vorremmo innescare processi. A lato, Gerolami Fazzini

La macchina organizzativa è in moto da tempo. Che sensazioni avete raccolto? I 072017

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Quando – nell’estate 2014, a Pesaro – per la prima volta ho presentato alla Cimi (Conferenza istituti missionari italiani) l’idea del Festival della missione, maturata insieme ad alcuni amici, non potevo immaginare che quella palla di neve sarebbe diventata una valanga. A distanza di oltre due anni, devo dire che la sensazione è di un notevole dinamismo: all’interno del mondo missionario, il progetto Festival pare abbia risvegliato un po’ di entusiasmo sopito e messo in circolo energie nuove. Quanto al programma che notizie ci sono? Il programma del Festival è a buon punto: per ogni informazione si può fare riferimento al sito www. festivaldellamissione.it. E circa le modalità di partecipazione? Per i missionari e le missionarie, i delegati dei Centri missionari diocesani e gli altri membri di realtà missionarie che vengono da fuori e intendono soggiornare a Brescia dal 12 al 15 ottobre, verrà predisposto un pacchetto che prevede l’alloggio e il vitto a prezzi contenuti. Anche su questi aspetti a breve partiremo con una comunicazione dettag gliata. ■

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A VITA

RIMAT

E O D LL

il primato della vita

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Gli strumenti della vita spirituale/5

Quando scrivere aiuta a riflettere

di Michele Pace

«P

er arrivare fino al tesoro devi seguire i segnali. Dio ha scritto nel mondo il cammino che ciascun uomo deve percorrere. Dovrai soltanto legger quello che ha scritto per te» (Paulo Coelho, L’Alchimista). Queste parole di Paulo Coelho descrivono la vita dell’uomo come una caccia al tesoro, la cui meta, però, è raggiungibile solo seguendo i segnali che Dio ha scritto nel mondo. All’uomo il compito di leggerli e saperli interpretare, al fine di camminare nella direzione giusta. A dirsi, sembra un’operazione estremamente semplice, in realtà si tratta di qualcosa di estremamente complesso, tenendo conto dei diversi fattori che potrebbero rappresentare delle difficoltà di non poco conto. Essi vanno dalla frenesia con cui si susseguono i diversi momenti della giornata, alla difficoltà, sempre più riUn taccuino per non lasciare cadere nel nulla levante, di potersi isolare e ritagliarsi spazi di silenzio necessari per ritornare i momenti in cui Dio su sé stessi e sugli avvenimenti della chiama, per confidare propria vita. Senza contare i nostri stati e affidare d’animo che, spesso, filtrano la percea ciascuno la missione zione delle cose. Passando, infine, alla pensata dall’eternità. Un taccuino per non far quantità di attenzione che quotidianamente riversiamo sui social e, in genecadere quella voce “si tenue e si discreta” che rale, sulle nuove tecnologie. attraversa la nostra vita Ecco allora che lo strumento del taccuino risulta essere di grande aiuto per quotidiana. Una “chat muoversi tra queste difficoltà e svolgeprivata” con Gesù, con re quel lavoro prezioso di discernimennoi stessi, con la vita to che permette a ciascuno di compieche scorre e sa dirci sempre qualcosa di bello re le scelte giuste per la propria vita. È quello che testimoniano le parole di Teresa e Luigia, rispettivamente di quarantuno e trent’anni, che stanno sperimentando l’efficacia di questo strumento nella loro vita quotidiana. Scrive la prima: «Il taccuino è uno strumento efficace. Nella frenesia delle nostre giornate, ci aiuta infatti a recuperare la dimensione del silenzio. Un silenzio inteso come ascolto delle proprie emozioni, dei

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propri pensieri; come spazio dove rivedere i segni del passaggio di Dio e dell’uomo nella propria vita. Al silenzio, poi, è facile associare il deserto. Il deserto è il luogo preciso e il tempo preciso per arrivare a tu per tu con il Signore». La stessa Teresa, poi, cercando di descrivere il proprio lavoro sulla sua vita a partire da questo strumento, ammette: «Questo strumento mi aiuta a fissare i pensieri, perché non si confondano nel caos di immagini e di sensazioni assorbite mentre parlo, osservo, percepisco odori, ascolto; mentre, cioè, i miei sensi lavorano e inconsciamente li assecondo. Fermarli su un foglio con una matita è un modo molto semplice per non perderli. Esso richiede costanza, per una vera e propria autobiografia laicale. Attraverso il taccuino segno i passi significativi verso la maturità cristiana, le piccole grandi cose che Dio costantemente opera nella mia vita. Inoltre mi dà l’opportunità, rileggendo gli appunti, di rivisitare le mie esperienze di sofferenza, di liberazione, di difficoltà, di gioia: sono le vittorie avute in Gesù, che mi incoraggiano sempre a proseguire la mia corsa verso la meta». Il taccuino? La chat privata con il Signore Alle parole di Teresa, fanno eco quelle di Luigia, una ragazza che si divide tra casa, lavoro, famiglia, parrocchia e amici. Tra tutte queste cose cerca di non perdere il filo rosso della sua vita, proprio attraverso l’uso del taccuino. Essa, parlando di questa esperienza di scrittura, riconosce senza esitazione: «Il taccuino è per me uno strumento utile per poter sostare nel silenzio della mia camera a fine giornata. È un’occasione proficua in quanto, il dover annotare un avvenimento vissuto durante la routine quotidiana, mi aiuta a vivere intensamente ogni singolo momento, ogni singolo incontro, ogni singola emozione. Mi aiuta a cogliere, con particolare attenzione, tutto ciò che può essere importante e significativo da ricordare nel tempo. Riflettere e scrivere sulla propria vita. Due azioni che, combinate, rendono il momento

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il primato della vita unico, proprio come se dovessi fermarmi per scrivere un messaggio da inviare ad una persona molto cara. Il taccuino è per me la mia “chat privata con Gesù”. Il valore attribuito al “taccuino spirituale” lo colgo anche nel dopo, quando riaprendolo e sfogliandolo, mi permette Due esperienze diverse dell’unico di rivivere i momenti strumento. Una diversità data tristi, gioiosi ed emoanzitutto dai tempi di scrittura: zioni ancora vive». nel primo caso, infatti, la scrittura del taccuino è molto più vicina al Fatti, memoria e succedersi degli eventi; nel secondo passaggio di Gesù evidentemente spostato verso la Due esperienze diverfine della giornata, quando la calma se dell’unico strumenserale permette di ritagliarsi un to. Una diversità data momento di solitudine interiore anzitutto dai tempi di scrittura: nel primo caso, infatti, la scrittura del taccuino è molto più vicina al succedersi degli eventi; nel secondo evidentemente spostato verso la fine della giornata, quando la calma serale permette di ritagliarsi un momento di solitudine interiore. Un altro aspetto interessante che si può cogliere da queste esperienze è il valore che ciascuna di loro dà alla scrittura. Sebbene, per entrambe si tratti di un modo conI 072017

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creto per conservare nella memoria fatti importanti e vedere in essi il passaggio di Dio; per la prima questa operazione diviene traccia di un percorso da seguire, per la seconda diventa utile per una preghiera sempre più ancorata alla vita. Accanto a queste due esperienze mi piace richiamarne un’altra altrettanto interessante. Si tratta della testimonianza di fratel Carlo Carretto nell’introduzione al testo Lettere dal deserto. «La chiamata di Dio è cosa misteriosa, perché avviene nel buio della fede. In più essa ha una voce sì tenue e sì discreta, che impegna tutto il silenzio interiore per essere captata. Eppure nulla è così decisivo e sconvolgente per un uomo sulla terra, nulla più sicuro e più forte. Tale chiamata è continua: Dio chiama sempre! Ma ci sono dei momenti caratteristici di questo appello divino, momenti che noi segniamo sul nostro taccuino e che non dimentichiamo più» (Carlo Carretto, Lettera dal deserto). Un taccuino per non lasciare cadere nel nulla i momenti in cui Dio chiama, per confidare e affidare a ciascuno la missione pensata dall’eternità. Un taccuino per non far cadere quella voce “si tenue e si discreta” che attraversa la nostra vita gg quotidiana. ■ ■

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Arriva l’estate Per l’Ac è tempo di “pedalare”

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opo la conferma di Matteo Truffelli a presidente nazionale dell’Azione cattolica italiana per il triennio 20172020 e la costituzione della nuova Presidenza nazionale (ne parleremo sul prossimo numero di Segno), l’associazione in tutta Italia si dedica completamente a vivere con intensità l’impegno dei campi nazionali, diocesani e parrocchiali. A livello nazionale, il settore Giovani invita al primo (doppio) appuntamento nazionale del nuovo triennio, dal titolo RicalI campi nazionali sono da sempre cola il percorso. Sarà un’occasione preziosa da il fulcro dell’impegno “estivo” vivere in prima persona, dell’associazione. A livello come vicepresidenti e asparrocchiale, diocesano e nazionale ce ne sono per tutti i sistenti, e da proporre agli gusti. E mentre Casa San Girolamo altri consiglieri e membri d’equipe giovani, un’ea Spello continua a essere il sperienza di formazione, polmone spirituale per chi ha conoscenza, spiritualità e voglia di stare un po’ in silenzio vita associativa. con se stesso, a settembre l’Ac I giovani si soffermeranno vivrà un momento importante in particolare sul tema del con il Convegno dei presidenti discernimento, anche per e assistenti unitari diocesani

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prepararsi meglio al prossimo Sinodo dei Vescovi (ottobre 2018). Il campo sarà la prima occasione per prendere sul serio l’impegno a essere parte attiva di questo percorso di avvicinamento e preparazione. Quest’anno i campi nazionali, come sempre in contemporanea con quelli del Msac, saranno due: il primo si terrà ad Anagni (Fr) dal 28 al 31 luglio; il secondo a Fognano (Ra) dal 4 al 7 agosto. Il campo nazionale è da sempre un momento atteso e importantissimo della vita del settore: i giovani di Ac vogliono rispondere in modo più forte all’invito di papa Francesco a essere protagonisti per scrivere insieme “l’agenda” del nuovo triennio, per fare un cammino di crescita nella fede e in umanità con tutti i giovani, a servizio della Chiesa e del paese. Anche per l’Acr l’estate 2017 vuole essere un tempo “eccezionale”. Anzitutto per i tantissimi acierrini che vivranno l’esperienza del campo estivo dedicato quest’anno alla conoscenza dell’enciclica Laudato Si’ di papa Francesco. Ma anche per gli educatori e i responsabili che sceglieranno di investire un po’ del loro tempo in un’intensa esperienza formativa. Doppio appuntamento: dal 29 luglio al 2 agosto per

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A sinistra: i ragazzi dell’Acr in un campo estivo. Sopra: Casa San Girolamo a Spello

to da tutta l’associazione sull’Evangelii gaudium: il compito affidato è sostenere la declinazione vera e autentica dell’Eg nelle chiese locali e diocesane e mettersi al servizio del cambiamento di prospettiva utile a rendere vivi i principi del documento, interrogandosi anche sul ruolo dei piccoli e degli educatori. Durante il campo si rileggeranno alcuni elementi fondamentali della proposta formativa (ambientazione, domanda di vita, categoria) per coglierne il senso alla luce dell’Eg e del cammino della Chiesa. Lavori in corso anche per gli Adulti di Ac, che hanno appena terminato il loro Convegno nazionale del 23-25 giugno a Roma. Con un’attenzione speciale verso l’arte. Perché proprio l’arte è uno strumento I 072017

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i membri delle equipes diocesane Acr a Gazzada Schianno (Va); dal 4 all’8 agosto per i responsabili, gli incaricati, gli assistenti diocesani e regionali Acr ad Alberi, frazione di Meta (Na). Nel primo campo, Protagonisti per vocazione, l’Acr riscoprirà gli aspetti fondamentali della proposta formativa e ne approfondirà le scelte di fondo. Il campo aiuterà a riflettere da un lato sulla gradualità che, mettendo al centro i bambini e i ragazzi, ne intercetta le domande e i bisogni e, dall’altro lato, sulla globalità, ovvero sulla capacità di iniziare alla vita cristiana considerandone le tre dimensioni fondamentali: la catechesi, la liturgia e la carità. La proposta del secondo campo, Chiamati a comunicare vita, amplia il percorso di riflessione avvia-

che si utilizza nei percorsi nella parte dedicata ai riflessi della cultura presentando delle opportunità formative eccezionali ma, a volte, non pienamente valorizzate dai gruppi. Propongono una tre giorni da vivere a Casa San Girolamo a Spello, dal 4 al 6 agosto, per fare esperienza di come l’arte “fa parlare” la vita e contribuisce a dare forma alla nostra vita spirituale. I destinatari sono i membri di equipe diocesane del settore Adulti ma anche chi volesse vivere questa esperienza tra arte e spiritualità. E, a proposito di Spello, non si può non ricordare quanto Casa San Girolamo continui a essere, soprattutto d’estate, quel polmone spirituale che tanto fa bene a coloro che la frequentano. Tra i tanti appuntamenti, segnaliamo il seminario di Spello dal 21 al 23 luglio del Centro studi di Ac. Il Centro studi intende offrire, anche quest’estate, un’esperienza formativa originale a soci, responsabili associativi, persone interessate a vivere un tempo di ricerca culturale e spirituale, per approfondire alcuni snodi della cosiddetta “questione antropologica” alla luce dell’ecologia umana integrale. Il tema è: Tutto è in relazione (Ls, 70). Per una rilettura dei rapporti interpersonali. Da segnalare l’importante Summer School (1821 luglio) organizzato a Roma da Ac, Focsiv, Caritas Italiana, Istituto di diritto internazionale della pace Giuseppe Toniolo e Missio. Il tema: Insieme per ridare speranza e futuro al progetto europeo. Campo seminaristi. Scegliere: Da soli o insieme? È una bella proposta per seminaristi organizzato dall’Ac che si celebrerà a Napoli presso il seminario arcivescovile dal 28 al 31 agosto. Si tratta di quattro giorni di approfondimento, di confronto e di studio sull’identità dell’associazione e sulla sua collocazione nella pastorale diocesana. La diretta esperienza dell’Ac da parte dei seminaristi è un investimento per la pastorale e un aiuto per il discernimento. Dopo i campi estivi, infine, ci sarà il tanto atteso Convegno dei presidenti e assistenti unitari diocesani, a Bologna dall’8 al 10 settembre. Con le presidenze diocesane rinnovate e all’inizio del nuovo triennio associativo, un’ottima possibilità anche per conoscersi e tessere relag zioni fraterne. ■

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orizzonti d Ac

Un abbraccio che non ha età

di Alessandra Gaetani

L’

unione tra Acr e Adultissimi non conosce confini geografici, e tantomeno nella varietà delle iniziative. A Dorgali (Nuoro), da circa 20 anni, l’Acr dà voce al messaggio della Conferenza episcopale italiana per la Giornata della vita, la prima domenica di febbraio. L’iniziativa prevede che gruppi di acierrini, insieme ai loro educatori, si rechino a far visita ai nati da Natale a quella data e agli anziani che nell’anno compiranno i 90 anni. Portano una candela benedetta per la CandeloDalla Sardegna all’Abruzzo, ra e un piccolo dono.

si moltiplicano le iniziative dell’Azione cattolica rivolte al dialogo tra le generazioni: ragazzi che si prendono cura, anche per un semplice sorriso o momento di festa, degli anziani. Le memorie si incontrano: i “nonni” rievocano i tempi passati, mentre i giovani raccontano i cambiamenti di oggi 38

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Le famiglie apprezzano «L’iniziativa nacque con l’intento di vivere la Giornata della vita apprezzandone il valore dal nascere all’età avanzata. Tanti bambini visitati sono diventati acierrini», spiega Giovanna Fancello, delegata regionale di Ac. «Occorre collaborare con l’anagrafe comunale: siamo 8.000 abitanti. Questo prevede l’aiuto anche degli adulti e dei giovani di Ac. A questo punto c’è un primo

contatto con le famiglie per verificare la possibilità della visita. Poi, durante la messa, viene spiegato il tema della Giornata della vita e nell’offertorio sono presentati anche i doni che verranno portati nelle famiglie». Come reagiscono i destinatari? «Ogni famiglia, senza distinzioni, gradisce e apprezza. Tutti parlano della vita parrocchiale e tanti genitori anche dell’esperienza che hanno avuto in Acr». È cambiata nel tempo? «Nei primi anni venivano visitati gli ultra novantenni. Poi la scelta venne modificata perché nella mattinata era impossibile visitare tutti». Cosa le accomuna? «Sono sempre una bella occasione di incontro con bambini, ragazzi, giovani e adulti che con entusiasmo testimoniano quanto sia bella la vita». L’assistente regionale di Ac, don Michele Casula, aggiunge: «Avevo organizzato con gli educatori anche a Orgosolo un’esperienza simile, sempre in questa Giornata: i ragazzi dell’acr visitano i nati nell’anno precedente. È stata una gioia vedere che anche a Dorgali si vive questa esperienza come attenzione al valore più grande: quello della vita. La pace nasce proprio dall’amore e dal rispetto della vita in tutte le sue fasi». Come prepara e accompagna i ragazzi di acr e gli anziani in questo

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ieri e domani

L’Azione cattolica di Dorgali celebra la Giornata della vita nella chiesa di Santa Caterina. Sopra, anziani e giovani insieme, con la signora Maddalena di 107 anni e la piccola Giulia di appena 15 giorni

cammino? «Durante il percorso formativo del mese della pace i ragazzi vengono aiutati a riflettere sul tema della vita, valorizzando la celebrazione liturgica domenicale inserita nel cammino di fede dei ragazzi». Quali riflessioni e quali frutti ne derivano? «È un’attività semplice e significativa che aiuta i ragazzi a fermarsi, a contemplare la vita, a mettersi in relazione con altre famiglie, a incontrare e ascoltare la saggezza degli anziani». Dalla Sardegna all’Abruzzo Ci spostiamo a Celano, in Abruzzo. Anche qui Acr e Adultissimi sono fianco a fianco. Come spiega a I 072017

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Segno Sara Contestabile, referente di questa iniziativa. «L’Ac ci ha invitati a vivere il territorio e così, dopo aver esaminato tutte le realtà presenti, abbiamo deciso di colorare le domeniche degli anziani nella casa di cura di Celano, circa 40-50 persone». Come avete formato i giovani e come reagiscono gli anziani? «I ragazzi, circa 40, vengono preparati durante il percorso domenicale, a seconda dell’età e del servizio che andranno a praticare. Gli anziani reagiscono sempre bene, ci accolgono con il sorriso, pronti a battere le mani durante i canti e felici di stare in nostra compagnia». Cosa organizzate? «Andiamo nella casa di cura a Natale e a Pasqua. Ogni anno i ragazzi sfoderano idee sempre innovative e toccanti, preparano un piccolo dono, magari tenendo a mente i gusti e le esigenze che, la volta precedente, gli anziani hanno confessato di avere». Come animate la messa? «Con canti e preghiere: chi suona uno strumento prepara e impara l’arrangiamento, chi vuol cantare cura il coro, chi vuole leggere scrive la propria preghiera dei fedeli». In cosa consiste il momento della condivisione? Sara Contestabile chiarisce: «La giornata con i nonni, come ai ragazzi piace chiamare gli anziani, inizia verso le dieci. Salutiamo facendo loro festa e consegniamo i doni. Poi si vive insieme la messa. Infine si passa al servizio vero e proprio: i ragazzi aiutano gli operatori ad accompagnare gli anziani a pranzo, alcuni sono in carrozzina. Proprio in questo momento si instaura la relazione tra loro: gli anziani condividono con i ragazzi i loro pensieri, i tempi passati, mentre i giovani raccontano i cambiamenti di oggi. Spesso, quando non intralciamo la quotidianità della struttura, ci fermiamo a pranzo anche noi, per poi salutarci, promettendoci di vederci presto». Un evento gioioso e forte dunque? «Le emozioni sono davvero impossibili da spiegare con semplici parole. Posso dire che ogni anno, appena finita la giornata, uscendo dalla casa, c’è sempre qualche ragazzo che si emoziona e piange per le sensazioni che questo vissuto gli ha donato. La domanda che ricorre più spesso è “quando torg niamo di nuovo?”». ■

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Paronetto, stratega della “nuova” Italia intervista con Tiziano Torresi di Gianni Borsa

L’

Azione cattolica, nel corso del suo secolo e mezzo di storia, ha contribuito grandemente a “costruire” l’Italia in senso culturale e civile oltre che religioso. Numerosissimi sono gli uomini e le donne che, cresciuti nell’associazione, hanno poi portato idee, progetti, concretizzazioni decisivi nei più svariati campi della vita pubblica. Tra questi occorre certamente inserire Sergio Paronetto, la cui biografia, scritta da Tiziano Torresi, è stata di recente pubblicata da Il Mulino. Torresi è dottore di ricerca in Storia contemporanea e borsista presso l’Istituto italiano per gli Studi storici di Napoli. È autore di articoli e volumi sulla storia del movimento cattolico, sulla formazione della classe dirigente democristiana e sull’intervento pubblico in Italia tra le due guerre. Il libro a partire dal quale lo intervistiamo si intitola Sergio Paronetto. Intellettuale cattolico e stratega dello sviluppo.

Sergio Paronetto, personaggio sconosciuto ai più, è – come emerge dal suo libro – una figura di elevatissimo spessore umano, professionale e cristiano. Quali i tratti essenziali della sua biografia? Anche negli studi specialistici Sergio Paronetto era sinora rimasto nell’ombra. Invece, grazie alla consultazione Cresciuto in Azione cattolica, di una vasta documentazione un percorso formativo inedita, ho provato a mettere spirituale nella Fuci e ne in luce il ruolo di autentico nel Movimento Laureati, protagonista della storia civile, l’economista di Morbegno economica ed ecclesiale dell’Iebbe un ruolo di primo piano talia. Nato a Morbegno nel nell’individuare percorsi 1911 e morto a Roma a soli di ricostruzione morale e materiale del Paese che usciva 34 anni, il 20 marzo 1945, a pochi giorni dalla Liberazione, dal regime fascista e dalla egli fu economista, dirigente guerra mondiale

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nazionale dell’Azione cattolica, stretto collaboratore di Giovanni Battista Montini e Alcide De Gasperi. Uomo di punta dell’Iri (Istituto per la ricostruzione industriale), durante la guerra animò a Roma un cenacolo culturale che raccolse tutti i personaggi più importanti della Resistenza, dell’economia e della politica. Le sue scelte e il suo pensiero hanno contribuito in modo significativo al passaggio della società italiana dal regime alla democrazia. Paronetto era cresciuto nell’Ac. Quale il legame con l’associazione e il tratto caratteristico che, appreso in Azione cattolica, resterà nel profilo del giovane economista? Il percorso esemplare di Paronetto nella Fuci e nel Movimento dei Laureati aiuta a comprendere il processo di formazione della futura classe dirigente dentro l’Azione cattolica. Una formazione basata sul primato dell’amicizia, su una religiosità profonda, sull’apertura alla modernità e sulla maturazione della coscienza. Egli criticò duramente la tendenza dell’Ac a divenire movimento di massa,

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ieri e domani

A lato: Tiziano Torresi. Sopra, una celebre prima pagina con i primi risultati del Referendum sulla

a privilegiare l’organizzazione, la forma, il numero. Grazie alle tante iniziative culturali ed editoriali che mise in cantiere, invitò i presbiteri e i laici dell’Ac a coltivare una spiritualità asciutta ed esigente, mai avvezza a pie devozioni, ma radicata nella Parola di Dio, in costante e ricercato equilibrio tra la vocazione all’ascesi e il richiamo dell’azione. Li spronò a rinnovare radicalmente la dottrina sociale e la teologia – si deve anche a lui la realizzazione delle Settimane di cultura religiosa di Camaldoli – a ripensare il rapporto tra clero e laicato, ad aprire la Chiesa alle nuove realtà del capitalismo e della modernità. Per questo l’Osservatore romano l’avrebbe ricordato come «uno dei più intelligenti apostoli del laicato intellettuale».

forma istituzionale dello Stato del 2 giugno 1946

Accanto al nome di Paronetto si possono inserire personaggi del calibro di Giovanni Battista I 072017

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Montini, Alcide De Gasperi, Pasquale Saraceno, Ezio Vanoni... Incontri e frequentazioni di peso nella pur breve vita dell’economista di origine valtellinese? La vita di Paronetto fu un caleidoscopio di incontri, di amicizie, di collaborazioni. Dal suo diario, dal suo epistolario e dai suoi scritti, oltre al fascino della sua personalità di intellettuale, è stato possibile ricomporre la fitta rete di contatti che egli riuscì a tessere nel mondo della politica e dell’economia. Già prima dell’entrata in guerra dell’Italia, agli inizi del 1940 – cioè per primi in tutto il panorama cattolico – gli intellettuali della Fuci e dei Laureati si cominciarono a radunare in casa Paronetto, in via Reno a Roma, insieme a De Gasperi, ai tecnici dell’economia e altri ex popolari per ragionare sul futuro dell’Italia. Di lì passò tutta o quasi tutta la futura classe dirigente dell’Italia e si preparò la rinascita democratica, in una lenta ma feconda gestazione di idee e di progetti. Paronetto insegnò economia a molti di loro ed ebbe un’influenza puntuale nell’elaborazione del programma della Democrazia cristiana. Paronetto, studioso e protagonista di un tratto della storia italiana. Quale il suo contributo al Codice di Camaldoli? Egli fu il principale ispiratore ed estensore del testo. Tutta la vicenda è finalmente messa in nuova luce dalla documentazione personale di Paronetto sia nel metodo di lavoro adottato per la stesura sia per la sua ispirazione e i suoi obiettivi, dentro un progetto ambizioso di incontro tra la cultura cattolica e la modernità del capitalismo maturato già alla fine degli anni Trenta. Un progetto basato sulla necessità di modernizzare tutti i settori produttivi, attraverso l’intervento dello Stato, di promuovere la giustizia sociale ma anche garantire l’iniziativa privata. Un progetto che si sarebbe sviluppato nel secondo dopoguerra e che Paronetto g non riuscì a vedere realizzato. ■

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Lo splendore della “perla dell’Ossola” di Paolo Mira

Nelle foto: interni ed esterni della chiesa di San Gaudenzio di Baceno

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stata definita la “perla dell’Ossola” ed è, certamente, un titolo che calza a pennello. Stiamo parlando della chiesa di San Gaudenzio di Baceno nel cuore della Valle Antigorio, un vero scrigno, o meglio, come sottolinea il giovane e dinamico parroco, don Davide Gheza, «un prezioso monumento, compendio di fede, storia e arte», che vale la pena conoscere e che ogni anno, soprattutto nella stagione estiva, richiama un grande numero di visitatori – turisti e fedeli – anche dall’estero. Approfittando di qualche escursione naturalistica, immersi nel verde incontaminato e camminando sui sentieri della Valle Anzasca dominata dal massiccio del Monte Rosa, dell’Alpe Veglia, dell’Alpe Devero e dell’Alta Val Formazza, che regalano a ogni passaggio scenari differenti e mozzafiato, sempre accompagnati da pace e tranquillità, necessarie per staccare anche brevemente dal ritmo

La Chiesa di San Gaudenzio di Baceno è un vero e proprio scrigno. Vale la pena farvi tappa per scovare i dettagli nascosti e tutte le curiosità di cui la parrocchiale è ricca. Dopo aver ammirato lo svettante campanile terminato nel 1523 e la possente facciata in pietra, varcata la soglia ci troviamo immersi in un edificio dai colori caldi, dove il tempo sembra essersi fermato

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frenetico quotidiano, non si può davvero rinunciare a una tappa a Baceno (alto Piemonte, a nord di Domodossola). L’origine di questo complesso dedicato a San Gaudenzio, patrono e primo vescovo della diocesi di Novara, si perde nella notte dei tempi, quando un primo nucleo cristiano, attorno al IX-X secolo, diede vita a una piccola cappella devozionale. A tramandarci la prima documentazione scritta relativa a questa antica chiesa ossolana è il venerabile Carlo Bascapè, già segretario di san Carlo Borromeo e più tardi – dal 1593 al 1615 – grande vescovo riformatore della diocesi di Novara, che ricorda una donazione avvenuta tra il 1032 e il 1039, durante l’episcopato del vescovo Gualberto, il quale cedeva la chiesa di Baceno di sua proprietà ai canonici di Santa Maria di Novara; passaggio di proprietà confermato anche da Innocenzo II con un diploma pontificio emanato a Piacenza il 25 giugno 1133. Si trattava, allora, di un edificio di modeste dimensioni, orientato a est, del quale rimangono alcune vestigia inglobate negli ampliamenti del complesso avvenuti già partire dall’inizio del XII secolo. Nel 1326 – come ha ben documentato lo storico Giuliano T. Pesavento – annessa alla chiesa, veniva eretta dal chierico Signebaldo de Baceno una cappella dedicata della Madonna. Ma, ulteriore occasione per nuovi ingrandimenti, con il parziale utilizzo dell’antica cappella come presbiterio e fornendo al nuovo edificio un orientamento nord-sud, sarebbe giunta nel 1486, con il matrimonio del valvassore imperiale di Antigorio e Formazza, Bernardino de Baceno – o meglio, Bernardino de Rodis di Baceno, esponente di un’importante famiglia che aveva ricevuto l’investitura dei propri feudi ossolani dall’imperatore Ottone di Brunswick – con la nobildonna Ludovica Trivulzio, figlia di Antonio Trivulzio, rappresentante del duca di Milano in Ossola. Proprio a questo periodo risalirebbe la costruzione delle navate laterali e, qualche decennio più tardi, gli importanti cicli pittorici, che ancora oggi ornano l’interno della chiesa, che bene si sposano con le integrazioni barocche rispondenti alle disposizioni liturgiche del Concilio di Trento.

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sulle strade della fede

Da allora senza grandi trasformazioni la parrocchiale di San Gaudenzio è arrivata fino a noi. È impresa decisamente ardua riuscire a scegliere su quale aspetto artistico porre la nostra attenzione; ci soffermeremo, allora, su quei beni che maggiormente colpiscono turisti e pellegrini alla loro prima visita, lasciando ai più curiosi la soddisfazione di andare a scovare i dettagli nascosti e tutte le curiosità di cui la chiesa di San Gaudenzio è ricca. Dopo aver ammirato lo svettante campanile terminato nel 1523 e la possente facciata in pietra, varcata la soglia, attraverso il ricco portale scolpito, vigilata da secoli da una possente immagine di san Cristoforo alta nove metri, ci troviamo immersi in un edificio dai colori caldi, dove il tempo sembra essersi fermato. Preziosissime sono le porzioni di vetrate istoriate, miracolosamente sopravvissute: una Trinità del 1562 di ambito svizzero, come pure le Sante Lucia, Apollonia e Maria Maddalena del 1547. Il presbiterio è dominato dal grande altare maggiore barocco in legno scolpito, dietro il quale trova posto il coro ligneo, opera dello scultore Giacomo Fantino del 1780, dominato a sua volta da un polittico ligneo di scuola tedesca del 1526. Non va poi dimenticata la grande Crocifissione affrescata da Antonio Zanetti detto il Bugnate nel 1542, come pure Adamo ed Eva nell’Eden risalente al XVI secolo, e ancora la quattrocentesca Madonna con Bambino nella capg pella del Santo Rosario... e molto altro ancora. ■

Come arrivare a San Gaudenzo

L

a chiesa di San Gaudenzio – riconosciuta Monumento nazionale – sorge nel Comune di Baceno, nella Provincia del Verbano-Cusio-Ossola. È raggiungibile con l’autostrada A26 Genova Voltri-Gravellona Toce, quindi con la Statale 33 in direzione di Domodossola fino all’uscita Baceno-Formazza. La chiesa è aperta e visitabile tutti i giorni dalle ore 9 alle ore 18, esclusi i momenti delle celebrazioni liturgiche. Per informazioni e visite contattare il parroco don Davide Gheza al numero 0324.62045 o scrivere all’indirizzo email: info@chiesa-baceno.it. Altre notizie in http://www.chiesa-baceno.it.

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titoloni

Fra storia “minima” e grande Storia

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ra vi racconterò una storia. Una storia vecchia, di quelle che potevano capitare in un paese da poco uscito da una guerra. Una storia strana, tanto che nella sua completezza non la conoscono nemmeno tutti quelli che vi hanno preso parte». Pierluigi Vito, giornalista di Tv2000, da sempre impegnato in Azione cattolica, approda alla narrativa con un bel romanzo dai profondi tratti storici e con spunti che possono sollecitare una riflessione attualizzante. Quelli che stanno nelle tenebre (il titolo è tratto dalla Bibbia), Edizioni Robin, racconta una storia “minima”, collocata temporalmente negli anni ’50 del secolo scorso e geograficamente sull’Appennino parmense; ma in realtà fatti e personaggi locali si incrociano con la “grande Storia” di quegli anni, nell’Italia della ricostruzione e nel mondo della “guerra fredda”. La vicenda. Gennaio 1956, in un paesino dell’Appennino emiliano scende dal treno il nuovo maresciallo dei Carabinieri. «È un forestiero ombroso, taciturno, che – si legge nella presentazione dell’editore – si porta addosso il peso degli anni di guerra e di un amore infelice. Ligio al dovere, riuscirà a farsi apprezzare dalla comunità locale». In particolare dal parroco: forestiero anche lui, Il giornalista Pierluigi un prete «decisamente sui generis, attivisVito è autore di Quelli simo nel sostenere la causa della giustizia sociale alla luce del Vangelo e mal sopche stanno nelle portato sia dai notabili democristiani che tenebre, romanzo dai capi comunisti». La figura del prete è che sa accostare ispirata – come dichiara lo stesso Vito in e miscelare con una nota al termine del romanzo – dalla sapienza la vita biografia don Primo Mazzolari (Cremona, di ogni giorno in un borgo appenninico 1890-1959). e le vicende nazionali Comunque sacerdote e carabiniere «stringeranno un rapporto carico di tensioni ed ed europee. empatia affrontando le piccole e grandi Un libro per conoscere e riflettere traversie che segneranno la vita del paese,

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nell’intrecciarsi delle vicende personali dei suoi abitanti» con quelle della Storia con la maiuscola: l’affondamento dell’Andrea Doria, la tragedia dei minatori di Marcinelle, la rivolta dell’Ungheria e la repressione sovietica. A far deflagrare il corso degli eventi nel piccolo paesino sarà un assassinio dai risvolti oscuri e impenetrabili. «L’indagine del maresciallo rivelerà una verità sconcertante, per cui il protagonista sarà chiamato a prendere decisioni che chiameranno in causa la sua coscienza più ancora della fedeltà alla divisa». Quel prete... «La letteratura, si sa, è fatta di storie che rincorrono altre storie: le cercano, le incrociano, le vampirizzano. Il romanzo – dichiara l’autore nelle ultime pagine – che avete appena finito di leggere non poteva fare eccezione: si sono impastate vicende reali e immaginarie, si sono incontrati personaggi esistiti e altri inventati. Il tutto è stato fatto con l’intenzione di non nuocere ad alcuno, ma tanti coinvolgere in questa sarabanda della fantasia. Di fantasia, in realtà, per creare il mio buon curato ne ho usata fino a un certo punto. Non so se sia mai esistito in qualche parte di mondo un don Moraldo Interlenghi (e con una vita tanto complicata...), ma un prete di quello stampo sì che è esistito! È a don Primo Mazzolari che deve la gran parte dei suoi atteggiamenti e delle sue parole il mio don Moraldo, a quello straordinario protagonista di oltre mezzo secolo di cristianesimo italiano: fervente apostolo di una dimensione sociale del cattolicesimo, dalla parte dei poveri e degli scartati; anima inquieta e quindi profetica, “tromba dello Spirito Santo in terra mantovana”, g come ebbe a definirlo san Giovanni XXIII». ■

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■ L’Ac? Bellezza e passione

Azione cattolica: una storia ricca di sorrisi, di bellezza e di passione. Sì, perché come la intende papa Francesco, l’Azione cattolica non è altro che passione, la passione di un ideale, di un sogno che ha trovato fondamento nel cuore dei due giovani fondatori e di tutti i giovani che poi hanno preso a farne parte. In occasione dei 150 anni dell’associazione papa Francesco ha ribadito la necessità di un’Ac del futuro che guardi avanti sul sentiero di luce per realizzare il progetto di un sogno, il sogno di bellezza e amore pensato

segue da pagina 1

Siamo tutti chiamati, pertanto, «a tendere la mano ai poveri, a incontrarli, guardarli negli occhi, abbracciarli, per far sentire loro il calore dell’amore che spezza il cerchio della solitudine. La loro mano tesa verso di noi è anche un invito ad uscire dalle nostre certezze e comodità, e a riconoscere il valore che la povertà in se stessa costituisce». Come dire: ciascuno di noi, la nostra società, ha bisogno dei poveri, mentre la povertà è un richiamo, un duro monito all’essenziale della vita. Nel Messaggio il papa specifica un desiderio: che le comunità cristiane nella settimana precedente la Giornata mondiale, che quest’anno sarà il 19 novembre, «si impegnino a creare tanti momenti di incontro e di amicizia, di solidarietà

e di aiuto concreto. Potranno poi invitare i poveri e i volontari a partecipare insieme all’Eucaristia di questa domenica». «Se nel nostro quartiere vivono dei poveri che cercano protezione e aiuto, avviciniamoci a loro: sarà un momento propizio per incontrare il Dio che cerchiamo. Secondo l’insegnamento delle Scritture, accogliamoli come ospiti privilegiati alla nostra mensa; potranno essere dei maestri che ci aiutano a vivere la fede in maniera più coerente». Da oggi a novembre c’è tempo per rileggere il Messaggio del papa e tentare di dargli concretezza nelle nostre comunità cristiane, nelle nostre associazioni di Azione cattolica, nelle nostre città.

La Domus Unitatis sorge in un incantevole parco, in una zona di notevole prestigio storico, paesaggistico e di particolare interesse enogastronomico. Dista pochi km. da Roma alla quale è ben collegata. Dispone di 21 camere con servizi privati, sala riunioni, cappella, parcheggio interno per auto e pullman.

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da Dio per ogni uomo [...]. La bella storia di Ac non è una frase effimera, sterile, bensì una verità che si fa umanità e realtà concreta nelle mani che si intrecciano, nelle braccia che stringono, nei sorrisi che rigenerano l’anima... Giovani di Azione cattolica e di tutto il mondo ricordate sempre che siete pensati sin dall’eternità per adempiere al più bel sogno di Dio e che anche in mezzo alle difficoltà siete creati per essere la più bella poesia dell’anima con la vostra storia fatta anche di errori e contraddizioni ma che proprio per questo è la vostra bella storia. Alessandra De Luca, parrocchia San Guglielmo e Pellegrino, Foggia

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perché credere

Evangelizzatori con spirito/5

«Andremo in mezzo a loro» di Emilio Centomo

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icordo ancora molto bene quella sera di gennaio. Nella nebbia avevo sbagliato strada più volte, prima di arrivare al luogo della riunione. Volevamo provare a ricostituire un’associazione di Azione cattolica, assente da tempo in quella zona popolosa della diocesi. Mi trovai di fronte un gruppetto di otto o dieci persone, per lo più anziani. E cominciarono a ricordare i “bei tempi passati”, a sfogare la loro delusione per i giovani di oggi e a dire che l’Azione cattolica non interessava più a nessuno, “tantomeno ai preti”. Mi trattenni a stento. Con queste premesse non si poteva fare assolutamente nulla. Passarono alcuni mesi. Ci guardammo attorno, provammo a dar fiducia a gente nuova. Dopo un incontro con alcune coppie, come un regalo inaspettato, qualcuno si sentì chiamato. Grazie Luca, hai seguito l’ispirazione dello Viviamo un tempo in cui Spirito. Sei stato uno splendisiamo chiamati a seguire la do presidente! voce dello Spirito. Non soffia

dentro alle stanze chiuse o alle chiese sbarrate. Il Cristo non sta nella cittadella assediata, ma sta dentro la vita della gente... Usciamo quindi all’aria aperta, rinunciamo a tutti i ripari e le difese, ascoltiamo i racconti della gente. Prosegue, con il quinto articolo, a cura dell’assistente nazionale del settore Adulti di Ac, la riflessione della rubrica annuale sul “credere oggi”

Il Signore guida la nostra storia C’è oggi una profonda carenza di vita spirituale. Fuori e dentro la chiesa. Sembrano tanti coloro che si appiattiscono sulle regole e si fanno giudici degli altri. Difensori del “si è sempre fatto così”, buttano pessimismo da tutti i pori. Ci sono poi coloro che si sfiniscono in un insensato attivismo; insieme a quelli che si lamentano in continuazione, senza mai saper vedere il bene che è intorno a loro. Tutti questi mancano non solo di speranza, ma soprattutto di fede nel Signore che conduce la nostra storia e la nostra vita. Dice papa Francesco: «comprendo coloro che pre-

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feriscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione. Ma credo sinceramente che Gesù vuole una Chiesa attenta al bene che lo Spirito sparge in mezzo alla fragilità» (Al 308). Se il Signore è risorto, egli vive in mezzo a noi. E lo Spirito ci apre gli occhi perché lo possiamo scorgere presente nella nostra concreta esperienza umana. Lui ci precede e opera nella realtà per volgerla al bene. Certo, la nostra esperienza è spesso faticosa. Spesso il compito che ci siamo presi non ci dà le soddisfazioni che ci aspettavamo. Con tutti i nostri sforzi ci sembra di non aver ottenuto alcun risultato. E il mondo è sempre lo stesso: pieno di violenza, orrori e malvagità. Decifrare i segni del suo passaggio Allora, perché impegnarsi, faticare e lottare se niente sembra cambiare? Ma la nostra religione non è una dottrina morale per cambiare il mondo. Anche a cambiare noi stessi mi pare che fatichiamo! La nostra è la fede nel Risorto! Ci giochiamo la vita nell’idea che lui è vivo:

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pianse amaramente» (Lc 22,61-62). Gesù sa vedere dentro di noi e scorge il bene oltre le nostre fragilità e i nostri tradimenti. Possiamo comprendere questo sguardo. Abbiamo conosciuto anche noi qualche persona spirituale che ci ha guardato con quegli occhi pieni di amore. Qualcuno ha risollevato anche noi, colmandoci di fiducia, poiché ha saputo vedere il bene dentro di noi.

«Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Allora la nostra è l’avventura quotidiana della sua ricerca, per riconoscerlo presente nella nostra vita, per decifrare i segni del suo passaggio: «da ogni parte tornano ad Che lo Spirito Santo scenda apparire i germogli abbondante su di noi, spalanchi le della risurrezione» (Eg porte dei tanti nostri cenacoli dove 276). Con questi occhi stiamo rinchiusi anche noi “per ci accorgiamo che il paura dei giudei” (Gv 20,19). E ci bene non muore mai. spinga, ci cacci in mezzo al popolo. Sempre rinasce anche Solo là potremo sapere la dolce dalle esperienze più presenza dello Spirito che soffia drammatiche. potente nella vita dei più poveri Occorre imparare ad avere lo sguardo di Gesù. Ricordate gli occhi di Gesù? Certo non li abbiamo mai visti, ma li possiamo immaginare, se pensiamo al giovane ricco: «Lo fissò e lo amò». Oppure a Pietro: «Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: “Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte”. E, uscito, I 072017

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Quella sarà la nostra strada Ora, l’Azione cattolica vive un tempo in cui è chiamata a seguire la voce dello Spirito che la conduce a una conversione missionaria. Lo Spirito non soffia dentro alle stanze chiuse o alle chiese sbarrate. Che siano i catenacci a chiudere o che siano le tristezze delle rigidità dottrinali fa poca differenza. Il Cristo non sta nella cittadella assediata, ma sta dentro la vita della gente. Tra le sofferenze dell’esperienza umana concreta. Usciamo all’aria aperta, rinunciamo a tutti i ripari e le difese, ascoltiamo i racconti della gente. Che lo Spirito Santo scenda abbondante su di noi, spalanchi le porte dei tanti nostri cenacoli dove stiamo rinchiusi anche noi “per paura dei giudei” (Gv 20,19). E ci spinga, ci cacci in mezzo al popolo. Solo là potremo sapere la dolce presenza dello Spirito che soffia potente nella vita dei più poveri. E camminiamo con il popolo e qualche volta dietro al popolo che ha delle intuizioni speciali e può seguire le strade di Dio meglio dei suoi pastori. Ci mancherà la terra sotto i piedi. Perderemo sicurezze e punti di riferimento. Allora potremo pregare: «Tu sei mio padre, mio Dio e roccia della mia salvezza» (Sal 88,27). E la libertà dello Spirito sarà la nostra strada. Un giovane prete nella Lione dell’800, dopo aver meditato il mistero dell’incarnazione nel Natale del 1856, decise: «andrò in mezzo a loro». E spese la vita tra i ragazzi poveri della periferia della città. Si chiamava Antonio Chevrier, ora beato. Faremo g come lui: «Andremo in mezzo a loro». ■

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Amare con i fatti, non a parole

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