Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM Segno nel mondo â‚Ź 1,70 - Contiene I.P.
Nov./Dic. 2017
nel mondo
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Sinodo 2018
La Chiesa in ascolto dei giovani
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anamente Semplici strumenti per pregare quotidi te dell’Azione cattolica nei giorni di Avvento e Natale: le propos
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Fatti di Gualtiero Sigismondi*
Natale uguale dono L’alta marea del “gloria in excelsis” Quando il Natale è ormai vicino, nelle strade sale l’alta marea dei veicoli diretti verso i centri commerciali, che si configurano come templi edificati sulle sabbie mobili del consumismo. C’è l’alta marea nei negozi, affollati di clienti alla ricerca di regali piuttosto che di doni; la differenza tra gli uni e gli altri sta nel fatto che mentre un dono è simile a un biglietto di andata, un regalo è paragonabile
a un biglietto di andata e ritorno, perché sottintende un contraccambio. Il regalo crea un debito in chi lo riceve e un credito in chi lo fa. I regali rendono debitori coloro che li accettano, mentre i doni impediscono a quanti li offrono di dichiararsi creditori. A Natale l’alta marea rompe gli argini di molte tavole, stracolme di “cibi succulenti e di vini raffinati”, che soddisfano tanto la gola quanto il colesterolo. C’è l’alta marea nei ristoranti, e persino nei menù, che non sanno più distinguere il primo piatto dal secondo, perché di primi e di secondi piatti ce ne sono sempre più di uno. A Natale c’è l’alta marea degli auguri, tutti accomunati dalla solita dicitura: “fervidi e cordiali”; talora saranno pure fraterni, ma sempre troppo convenzionali! L’alta marea natalizia invade persino le chiese, prese d’assalto, a mezzanotte, anche da quanti presentano il biglietto da visita della distrazione, piuttosto che il visto d’ingresso dell’attrazione. Chi varca la soglia di una chiesa solo a Natale, magari dopo una lunga latitanza, è simile alle onde del mare, che giungono a riva da chissà quali abissi. E tuttavia il Signore, che nulla disprezza di quanto ha creato, nutre la speranza di riposare nel cuore di ogni uomo, come in una mangiatoia. L’alta marea del “gloria in excelsis”, annunciata da un profondo silenzio, è quella della gioia, che ha diversi registri: la letizia, l’esultanza, il gaudio e il giubilo. La letizia è “gioia piena” che dilata il cuore; l’esultanza è “gioia condivisa” che prorompe all’esterno; il gaudio è “gioia profonda” che il silenzio traduce in giubilo. La gioia trabocca sia dal canto degli angeli, i quali contemplano il “cielo aperto” e invitano i pastori a recarsi senz’indugio fino a Betlemme (Lc 2,10-12), sia dallo sguardo dei Magi che, guidati da una stella, si mettono in cammino per adorare il Re dei Giudei (Mt 2,10). La gioia, amplificata dal silenzio, inonda il cuore di Maria e vela di stupore i suoi occhi (Lc 2,19). È lo stupore, intriso di meraviglia, di chi sa che «ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre, creatore della luce» (Gc 1,17).
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la copertina
sommario
Il prossimo Sinodo dei Vescovi è dedicato ai giovani. «Non dobbiamo pensare al Sinodo come ad una operazione di marketing per riportare figli all’ovile - racconta a Segno una pedagogista socia di Ac - perché gli under30 fiutano un’intenzione non autentica». Nel dossier del numero la carta d’identità di un’età bella, ricca e complessa
fatti e parole
sotto i riflettori
tempi moderni
tempi moderni
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di Sonia Rotatori
intervista con Alessandro Zaccuri di Alberto Galimberti
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di Francesco Caputo
di Marco Zabotti
Natale uguale dono. L’alta marea del “gloria in excelsis”
di Gualtiero Sigismondi
sotto i riflettori SINODO 2018
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«I giovani cercano Gesù con i cinque sensi»
intervista con Alessandra Augelli di Ada Serra
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Alla ricerca della sete di Dio
di Luisa Alfarano, Michele Tridente, don Tony Drazza
Un’oasi di amicizia e preghiera nella vita quotidiana
Primo annuncio anche per la scuola
Come non letto
Carlo Alberto Dalla Chiesa, «un papà con gli alamari»
intervista con Simona Dalla Chiesa di Silvio Mengotto
Il ristoro dell’anima nell’abbazia di Follina
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Lorefice: «Chiedo ai giovani di darci una scossa»
intervista con Corrado Lorefice di Chiara Ippolito
le altre notizie
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Dall’Italia e dal mondo
4 Hanno collaborato a questo numero: Luisa Alfarano, Maria Teresa Antognazza, n.11-12NOV/DIC2017 Francesco Caputo, Fabrizio De Toni, Monica Del Vecchio, Tony Drazza, Alessandra Gaetani, Alberto Galimberti, Barbara Garavaglia, Mensile Graziella Giardino, Diego Grando, Michele dell’Azione Cattolica Italiana Luppi, Fabiana Martini, Antonio Mastantuono, Direttore Matteo Truffelli Silvio Mengotto, Sonia Rotatori, Chiara Direttore Responsabile Giovanni Borsa Santomiero, Gualtiero Sigismondi, Ada Serra, In redazione Gianni Di Santo Michele Tridente, Monica Vallorani, Marco Zabotti e-mail Redazione Editore Fondazione Apostolicam Actuositatem gianni.borsa@gmail.com Via della Conciliazione, 1 - 00193 Roma g.disanto@azionecattolica.it Tel. 06.661321 (centr.) Direzione e Amministrazione Fax 06.6620207 Via Aurelia, 481 - 00165 Roma nel mondo
Grafica e impaginazione: Giuliano D’Orsi Foto: Olycom, SIR e Romano Siciliani Stampa GRAFICA VENETA Spa Via Malcanton, 2 - 35010 Trebaseleghe (PD) Reg. al Trib. di Roma n. 13146/1970 del 02/01/1970 Tiratura 00.000 copie Alle copie cartacee si aggiunge la pubblicazione del pdf nel sito dell’Azione cattolica e gli altri 85.000 lettori, giovani e adulti, soci o abbonati, che ricevono Segno in versione digitale. Chiuso in redazione il 6 Novembre 2017
Pubblicazione associata all’USPI (Unione Stampa Periodica Italiana) Abb.to annuale (10 num.) € 20 Per versamenti: ccp n.78136116 intestato a: Fondazione Apostolicam Actuositatem Riviste - Via Aurelia, 481 – 00165 Roma Fax 06.6620207 (causale “Abbonamento a Segno”) Banca: Credito Valtellinese IBAN: IT17I0521603229000000011967 cod. Bic Swift BPCVIT2S intestato a: Fondazione Apostolicam Actuositatem Via Aurelia, 481 - 00165 Roma E-mail: abbonamenti.riviste@azionecattolica.it
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sommario
cittadini e palazzo
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Non basta la legge elettorale, ci vuole il buon governo
intervista con Vincenzo Antonelli di Gianni Di Santo
economia e lavoro
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Nuove speranze tra borse in pelle e vecchie biciclette
di M.T. Antognazza
famiglia oggi
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Famiglie a chilometri zero. «Anche questa è missione»
di Barbara Garavaglia
senza confini
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Mi smo s vama Puoi contare su di noi
di Fabiana Martini
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Siria, il desiderio di ricostruire
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orizzonti di Ac
ieri e domani
Chiesa e carità
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E l’Ac è già nel nuovo anno
Tra storia e fede, nelle vie di Jesi
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Adesione: un filo di... e da tessere
di Monica Del Vecchio e Diego Grando
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Con il Fiac, l’Azione cattolica in quattro continenti
intervista con Rafael Corso di Chiara Santomiero
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Mlac, mano tesa ai giovani
Appartenere e sovvenire: nella Chiesa due facce della stessa medaglia
di M. G. Bambino
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Il principe e la tigre
i titoloni
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perché credere
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La madre che ci cammina accanto
di Fabrizio De Toni
Cresce la voglia di Dialoghi
la foto
le lettere
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1868-2018: e l’Ac guarda avanti
di Graziella Giardino e Monica Vallorano
di Michele Luppi
il primato della vita
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Discernimento, un dono dello spirito
di Antonio Mastantuono
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sotto i riflettori
Sinodo 2018
«I giovani cercano Gesù con i cinque sensi»
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«Non dobbiamo pensare al Sinodo come un’operazione di marketing per riportare i figli all’ovile», racconta a Segno la pedagogista della famiglia, esperta sui temi dell’educazione, che è anche socia di Ac. Gli under30 «fiutano un’intenzione non autentica. Credo che questo Sinodo sia espressione di una piena fiducia in un potenziale immenso di spiritualità, profondità e ardore, che troppo spesso nella Chiesa rimane soffocato». La “carta d’identità” di un’età bella, ricca e complessa 4
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di Ada Serra
Sopra: Alessandra Augelli
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ulcano, Luce e Ghirigoro. Non sono gli eredi di una di quelle coppie vip che si dilettano a dare ai figli nomi per forza alternativi. Sono invece tre sostantivi – e altrettanti ipotetici nomi – per i giovani del 2017. Rimandano, rispettivamente, a un vulcano dormiente, alla luce soffusa di chi non crede nelle proprie capacità e al ghirigoro che compie mentalmente chi si percepisce “sbagliato”, ma conserva dinamismo e creatività. A “battezzare” così i ragazzi del nostro tempo è Alessandra Augelli, docente di Pedagogia della famiglia nella sede di Piacenza dell’Università Cattolica, autrice di libri e saggi sull’educazione e molto attiva anche nella formazione sul campo. Si apre con lei, che oltre a essere esperta del mondo giovanile, è anche moglie, mamma e socia di Azione cattolica dall’età di sei anni, questo dossier che Segno dedica a giovani e fede, nella prospettiva di un anno che vedrà la Chiesa impegnata nella XV assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi su I giovani, la fede e il discernimento vocazionale, in programma a ottobre 2018. Una riflessione che prosegue nelle pagine seguenti con i responsabili nazionali per il settore Giovani di Ac, con due esperienze dal mondo giovanile associativo e l’intervista con un vescovo – mons. Lorefice di Palermo – che ci aiuta ad approfondire l’argomento. Prima di rispondere a qualche domanda, la professoressa Augelli, ci propone la “carta d’identità” del giovane di oggi. Cognome: ovvero, quali le sue appartenenze? Gruppi virtuali, in primis; poi – aggiunge Augelli – famiglia, sport, scuola. Data di nascita: quanti anni ha? Dai 15 ai 30. Luogo di nascita: giovani in Italia e nel mondo a I 11/122017
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intervista con Alessandra Augelli
confronto. I giovani nel mondo contemplano il rischio e lo affrontano di frequente. I giovani italiani sono più protetti e protettivi. Residenza: quali luoghi vive? Lo sport, i locali, la scuola, la casa. Abita whatsapp e facebook, dove le porte della propria intimità vengono aperte con facilità. Stato civile: che scelte compie? Compie scelte nel segno della reversibilità. Quelle più significative sono spesso legate a una casa per sé, non più con i genitori, e ai viaggi (di studio, lavoro, vacanza). Professione: quali aspirazioni ha e con quanto coraggio vive? Il giovane di oggi vuole incidere sulla scena del mondo. Il rischio è che i parametri del valore di sé siano legati più alle performance che al cammino verso mete importanti. Statura: cioè se alza lo sguardo cosa vede? Paesaggi mutevoli, uno scenario di sole e nuvole. Le nuvole possono essere viste come passeggere, in attesa che il vento le spazzi via, o con la forza di attraversarle, sicuri di trovare il sole oltre di esse. Capelli: quali sostegni lo fanno sentire al sicuro? Lo fa sentire protetto la certezza di essere amato, che spesso però confonde con la certezza di piacere. C’è una differenza cruciale: la certezza di piacere lascia in balia degli altri; la certezza di essere amati è l’intreccio tra lo sguardo degli altri e quello proprio su di sé e ha il sapore dell’incondizionato. Occhi: cosa dicono e chiedono? Sono spesso disorientati, ma anche curiosi e desiderosi di un appiglio. Gli occhi del giovane chiedono di essere incontrati e “fissati”, come è accaduto al giovane ricco con Gesù. Segni particolari: errante, con il desiderio di camminare, a volte senza mete certe. Firma: per cosa si spende? Per cosa “ci mette la firma”? Per il bene tangibile, per i cambiamenti
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possibili, per contesti che danno spazio a creatività e immaginazione. Professoressa Augelli, il mondo giovanile è un microcosmo. Cosa cambia nel passaggio dall’adolescenza all’età giovanile, fino ai giovani adulti? L’adolescente fa tante, troppe domande, convinto che tutte servano, che le risposte siano nel mondo e che l’altro debba darmele. Il giovane comprende che ci sono domande che aiutano a camminare e altre spesso inutili: le risposte posso anche cercarle da me. È il tempo del discernimento. Giovane adulto è chi si pone domande orientate e crede che le risposte siano costruite in sé, con l’aiuto degli altri e nell’interazione con il mondo. Dopo il discernimento, valuta le priorità. In un discorso del 2016, papa Francesco ha detto: «Oggi le cose statiche come le riunioni non vanno bene. I giovani trovano il Signore nell’azione. Poi, dopo l’azione si deve fare una riflessione. Ma la riflessione da sola non aiuta». Come e dove i giovani possono incontrare Cristo oggi?
Nella carne, nella pelle, nel corpo. Vogliono sperimentare Cristo attraverso i cinque sensi. Gesù ha fatto un’esperienza sensoriale nel mondo e noi abbiamo bisogno di riattivare i nostri sensi, spesso
Verso il Sinodo
Approfondimenti, convegni, iniziative. E a marzo incontro con il papa
I
giovani di Ac sono pienamente impegnati nel cammino preparatorio sul quale vogliamo investire le nostre energie più belle sia a livello nazionale che a livello locale: il Sinodo è infatti un’occasione importante per essere protagonisti da giovani nella vita della Chiesa, per essere accompagnati a vivere il discernimento e la fede nei luoghi che abitiamo quotidianamente e insieme alle persone che incontriamo. La presidenza nazionale ha dedicato diversi momenti di riflessione alle tematiche del documento preparatorio e il settore Giovani, insieme al Movimento studenti, ha dedicato i campi nazionale dell’estate scorsa al tema del discernimento e un ampio spazio del modulo per vicepresidenti e segretari del Msac al tema dell’esperienza di fede dei giovanissimi e dei giovani. Inoltre, articoli su Segno, Graffiti e il sito dell’associazione accompagnano periodicamente il cammino preparatorio, insieme alla partecipazione attiva a due grandi appuntamenti che la Chiesa universale e la Chiesa italiana hanno pensato nei prossimi mesi. Infatti, come annunciato da papa Francesco, la Segreteria generale del Sinodo ha pensato a una riunione pre-sinodale dei giovani di tutto il mondo che si terrà a Roma dal 19 al 24 marzo 2018 in preparazione alla XV Assemblea generale. Questo momento sarà un’ulteriore occasione per ascoltare i giovani arricchendo ulteriormente la fase di consultazione già avviata con la pubblicazione del questionario da compilare online (e ancora attivo) sul sito youth.synod2018.va. Nel cammino di preparazione, si innesta anche la proposta estiva del Servizio nazionale di pastorale giovanile della Cei per l’estate 2018: infatti, l’11 e il 12 agosto papa Francesco incontrerà a Roma i giovani italiani per pregare insieme in vista del Sinodo. Questo momento di incontro, preghiera e festa sarà preceduto da pellegrinaggi diocesani e regionali dal 3 al 9 agosto 2018. Per tutte le informazioni sul Sinodo: http://youth.synod2018.va.
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so nella Chiesa rimane soffocato. La “fioritura” dei giovani è la fioritura di tutta la Chiesa.
Dal canto suo, che fascino può suscitare la Chiesa, con le sue istituzioni, su un giovane del XXI secolo? Possiede il fascino di una roccia bella e levigata. Non è una grotta o un rifugio sicuro dalla precarietà del mondo. Neppure una roccia statica e inamovibile. È piuttosto una roccia che si fa scalfire dalla vita, su cui posso salire per guardare lontano, vedere le cose da una prospettiva diversa. I giovani amano le grandi sfide, non vogliono mezze misure o giochi a ribasso.
assopiti negli spazi virtuali, asettici e privi di sensorialità, per incontrare Cristo negli altri. È faticoso e forse poco cristiano vivere una fede tutta cognitiva e di puro pensiero. Perché i giovani rappresentano una sfida tanto grande per la Chiesa da “meritare” un Sinodo? Non dobbiamo pensare al Sinodo e ai grandi eventi ecclesiali come un’operazione di marketing, per riportare i figli all’ovile. I giovani fiutano un’intenzione non autentica. Credo che questo Sinodo sia espressione di una piena fiducia in un potenziale immenso di spiritualità, profondità e ardore, che troppo spesI 11/122017
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Qual è il ruolo dell’associazionismo nel rapporto tra giovani e fede, nel discernimento sulle scelte di vita? L’associazione è luogo di relazioni vive e vitali, di intrecci e contaminazioni. È uno spazio di sperimentazione, in cui ognuno può trovare spazi, tempi e modi per “fiorire”, umanamente e cristianamente; un luogo in cui tutti si prendono cura di tutti, in modo diverso. Gesù stesso è “fiorito” anche grazie all’esperienza di un gruppo. Cervelli in fuga, mammoni, senza certezze e poco flessibili. Possiamo sfatare qualche luogo comune sui giovani? Conosco giovani per cui partire per un’esperienza lontano è stato prezioso. Ma anche altri che hanno scelto di smettere di vagabondare e si sono “fermati” in una scelta, accogliendo la stabilità. Ho incontrato pure giovani che approdano nelle nostre terre e devono sbarcare il lunario appena maggiorenni. Quest’estate, con l’Azione cattolica ambrosiana, abbiamo vissuto un campo itinerante che i giovani italiani hanno condiviso con tre giovani (minori non accompagnati) del Gambia e della Somalia. Ci sono tanti modi di essere giovani oggi e bisogna coltivare occasioni di incontro e dialogo. Partire significa lasciare, tagliare un legame, far morire una parte di sé. Per questo è difficile! Ogni giovane ha la sua partenza. E tanti nella vita, anche g grazie all’Ac, la comprendono e la affrontano. ■
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Alla ricerca della sete di Dio di Luisa Alfarano, Michele Tridente, don Tony Drazza*
L’
Ac continua il suo cammino verso il Sinodo, un cammino che è fatto di studio, riflessione, confronto ed esperienze. Un cammino che si pone l’obiettivo di rendere noi giovani protagonisti di questo importante momento di sinodalità che papa Francesco ha voluto fortemente invitando la Chiesa tutta a farsi attenta ascoltatrice delle vite, dei pensieri, degli aneliti di tutti i giovani, non solo di quelli che frequentano le nostre parrocchie. Da ciò nasce l’esigenza di fare del Sinodo un’occasione imperdibile per mettere al centro i giovani, la loro vita e l’esperienza di fede, il modo di maturare le scelte fondamentali e l’accompagnamento che la comunità cristiana è chiamata a offrire. Tante sono le occasioni a livello nazionale (ne trovate alcune nel box nelle pagine precedenti) e a livello locale, caratterizzate dalla volontà di mettersi in La fede, sostengono ascolto e di lavorare insieme i giovani di Ac nel percorso facendo esperienza concreta di avvicinamento al prossimo Sinodo, deve essere alimentata di sinodalità.
dal rapporto quotidiano con la Parola, verificata con l’accompagnamento spirituale e con la regola di vita, da un cammino di gruppo che aiuta a crescere nel dialogo e nel confronto, da esperienze di vita che permettono di mettersi in gioco. «Così si cresce» 8
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Prendere a cuore la vita, scoprire la vocazione... Come Ac sentiamo il desiderio di prenderci a cuore la vita e la crescita nella fede di ogni giovanissimo e giovane, provando ad aiutarli a scoprire la propria vocazione, in
un percorso in cui ciascuno prende «gradualmente coscienza del progetto di amore appassionato che Dio ha», che non è qualcosa di astratto, ma un progetto concreto che fa i conti con i desideri, le aspirazioni e i carismi, ma anche con i passi indietro, le sfide e le prove. Crescere nella fede è mettersi in cammino con coraggio, non perché siamo dei superman ma perché consapevoli che non siamo soli. Ma parlare di esperienza di fede per un giovane cosa significa? É solo provare a leggere dati statistici per capire la realtà in cui abitiamo? Forse anche questo … ma il salto di qualità sta nel chiedersi cosa suscita la domanda di Dio in un giovanissimo e in un giovane e da cosa questa domanda di Dio può essere alimentata. Essa infatti può sorgere in tanti modi: può essere coltivata nell’ambiente familiare, può nascere in un particolare momento della vita o dopo un incontro che stravolge, può nascere perché l’amico ti ha trascinato in una riunione del gruppo giovani in parrocchia (a cui magari non volevi andare). Ma poi questa domanda, questa sete di Dio come può essere sostenuta e incentivata? Perché la fede, non nasce all’improvviso né si alimenta da sola: la fede deve essere alimentata dal rapporto quotidiano con la Parola, verificata con l’accompagnamento spirituale e con la regola di vita, da un cammino di gruppo che ci aiuta a crescere nel dialogo e nel confronto, da esperienze di vita che permettono di mettersi in gioco.
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Il compito prioritario dell’Ac Accompagnare i giovani è da sempre uno dei compiti prioritari dell’Ac, un compito difficile che ci chiama a una rinnovata cura delle figure educative, testimoni creL’Ac è chiamata oggi, in dibili e maturi nella fede ma nello particolare per i giovani, stesso tempo capaci di mettersi a essere il grembo in cui in gioco, capaci di «valorizzare custodire ciò che veramente la creatività di ogni comunità per è essenziale per la vita dei costruire proposte capaci di ingiovani, ciò che è il cuore tercettare l’originalità di ciascuno e assecondarne lo sviluppo». L’Ac è chiamata oggi, in particolare per i giovani, a essere il grembo in cui custodire ciò che veramente è essenziale per la vita dei giovani, ciò che è il cuore. Farsi custodi dell’essenziale è, come dice il Progetto formativo, andare al cuore: «in un tempo di dispersione e di pluralità di proposte, scegliere I 11/122017
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l’essenziale implica un esercizio continuo di discernimento, di educazione all’abitare le profondità della vita e a non attaccarsi ad elementi marginali [...]». Farci custodi dell’essenziale significa infine farci custodi della concreta esistenza di ciascuno, perché crediamo che la vita nella sua concretezza è il luogo in cui si fa esperienza del senso profondo dell’incarnazione. Partire dalla vita è fondamentale perché non si annuncia il vangelo a prescindere da chi si ha davanti, per non cadere nella sterilità di dare risposte a domande che nessuno si fa, ma lasciandoci interpellare dalle domande vere delle persone senza la tentazione di dare risposte preconfezionate, incasellare tutto in rigidi modelli pastorali ormai sorpassati, fare programmi per esig genze che non esistono. ■ *vicepresidenti e assistente nazionali Ac per il settore Giovani
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Un’oasi di amicizia e preghiera nella vita quotidiana
di Sonia Rotatori
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enigallia. Nel cuore della città, c’è un appartamento donato dalla diocesi alla Pastorale giovanile. Cucina, salotto, 3 bagni, 3 camere... e una cappellina. E l’abside della cappellina è impreziosito da un mosaico che rappresenta l’incontro al pozzo tra Gesù e la Samaritana. È l’incontro di ogni giovane che passa lì, al Punto, e lì, al pozzo, lascia le sue ceneri per bere acqua di vita eterna. Il Punto giovane è una casa che ospita 10 giovani e un sacerdote per un mese. Qui si vive in comunione trascorrendo la propria giornata lavorativa o di studio, arricchita con momenti di preghiera (lodi, messa e compieta) e di condivisione. Al termine dell’esperienza, accresciuti dagli incontri ed illuminati dalla Parola di Dio, ognuno tornerà a casa con la propria regola spirituale e di vita. Il Punto giovane dunque, è un tempo dove trovare o riscoprire il rapporto con Dio, instaurare amicizie fraterne e farsi sorprendere dalla bellezza dell’accoglienza. La prima comunità del Punto, nasce 14 anni fa dall’intuizione di don Andrea Franceschini, allora responsabile di Pastorale giovanile. Il suo desiderio era quello di «far sperimentare ai giovani la bellezza della vita cristiana, che vuol dire anzitutto amicizia, eucarestia, parola di Dio, accoglienza, condivisione e il fascino e la sfida della vita comune». Da allora sono 72 le comunità che hanno Si chiama Punto giovani. abitato il Punto. È a Senigallia. Ospita 10 giovani Anche io sono passae un sacerdote per un mese. ta di lì. Ricordo bene, Qui si vive in comunione era il febbraio 2010. trascorrendo la propria giornata In un periodo di falavorativa o di studio, arricchita tica, di nostalgia e con momenti di preghiera di ricerca, il mese al e di condivisione. Al termine Punto ha significato dell’esperienza ognuno tornerà per me il passaggio a casa con la propria regola dal vecchio al nuovo. spirituale e di vita
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di Fr
Tutt’ora continuo a raccoglierne i frutti. Di quel mese, ho custodito con cura i segreti dell’arte di purificare il cuore, i gesti di accoglienza che i miei compagni di viaggio mi riservavano ogni giorno e l’amicizia sincera con il sacerdote che ci accompagnava. Di quel mese, conservo con gelosia il volto di Cristo che lì, al pozzo, quando ero disidratata e nessuno riusciva a darmi da bere, Lui mi ha donato acqua di vita eterna. In quel mese, mi sono innamorata della vita. Non “nonostante tutto” ma di quel “tutto” che Dio mi donava. Poi ho sposato uno dei promotori del Punto giovane. Ma a quel tempo ancora non lo sapevo...! Oggi invece, quando benediciamo la mensa condivisa con chi passa a casa, ci guardiamo, sorridiamo e riportiamo il nostro cuore lì, al Punto, dove abbiamo imparato che la casa è accogliente, se g accogliente è il cuore di chi la abita. ■
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Primo annuncio anche per la scuola di Francesco Caputo*
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a diversi anni come Movimento studenti di Azione cattolica (Msac), grazie agli studenti delle nostre diocesi, proviamo a parlare di “primo annuncio” nelle nostre classi e con i nostri compagni. Il “primo annuncio”, per noi studenti di Ac, non è avere la pretesa di insegnare qualcosa ai nostri compagni credenti e non, ma è un grande desiderio di riuscire a percorUn sussidio del Msac, Fine Grande rere un pezzo di strada insieme, in questo speCercasi, riporta indicazioni e ciale periodo della vita suggerimenti su come essere che ci mette di fronte a “missionari” tra i banchi di tante difficoltà, tante opscuola. Un percorso che aiuta portunità ma soprattutto a incontrare il Signore nella vita a tante domande. a partire dalla condivisione delle Le grandi domande di domande di senso senso che ci poniamo in con i compagni non credenti questa primavera della nostra vita riguardano moltissimi temi e alcuni di questi sembrano esser tanto più grandi di noi che ci è più comodo evitarli o far finta che non esistano.
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Esperienze/2
Lo stile di noi msacchini e giovani di Ac, però, non è mai quello di farci scivolare le cose addosso, bensì quello di interessarci, di prendere a cuore la nostra vita e tutto ciò che in questa abita: dalle nostre fragilità alle domande che ci poniamo, senza dimenticare persone e situazioni del nostro viver quotidiano. Proprio da questa voglia di metterci in gioco e di condividere con i nostri compagni non credenti le domande forti e di senso che ci sono poste dal mondo che viviamo, nasce una proposta di progetto per tutte le scuole italiane. Un progetto di primo annuncio richiede la strutturazione di un vero e proprio percorso che, partendo da momenti di dialogo e confronto con esperti e tra noi studenti, si può concretizzare in un’esperienza di servizio: tutto ciò ci aiuta a cambiare il nostro punto di vista e il nostro modo di vivere. In quest’ottica una piccola commissione di Segretari diocesani del Msac ha scritto Fine Grande Cercasi, un sussidio che riporta alcuni appunti su come fare primo annuncio nei nostri banchi di scuola, che si può trovare sul nostro sito internet (www.msac. azionecattolica.it). Il percorso di primo annuncio ci aiuta a incontrare il Signore nella nostra vita a partire dalla condivisione delle domande di senso con i nostri compagni non credenti. Ecco perché per vivere al meglio il progetto è fondamentale la presenza dei nostri compagni e amici, con cui condividiamo ogni giorno, seduti allo stesso banco e nella stessa aula, questi anni belli della g nostra vita. ■ *collaboratore centrale del Msac
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sotto i riflettori intervista con Corrado Lorefice
Lorefice: «Chiedo ai giovani di darci una scossa»
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arla ai giovani della sua città, citandoli già nel titolo scelto per la sua lettera pastorale e non lascia spazio a dubbi: l’attenzione per loro deve essere prioritaria. Monsignor Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo, ha diffuso il documento Scrivo a voi padri, scrivo a voi giovani nel giorno del 24º anniversario del martirio del beato padre Pino Puglisi. I giovani non sono solo nel titolo: attraversano tutto il testo e sono al centro di un intero capitolo. «Ha bisogno di loro la Chiesa, ne ha bisogno la nostra Palermo – dice mons. Lorefice a Segno –, ne hanno bisogno L’arcivescovo di Palermo ha scritto la nostra società e una lettera pastorale in cui le la nostra fede per nuove generazioni sono al centro essere autentica. dell’attenzione. «Sono artisti del Con loro dobbiamo domani. Hanno un’energia che sa condividere quei incidere nell’oggi, hanno creatività, sentimenti profondi strumenti e capacità. Hanno una di serenità e di pace capacità di verità e autenticità così che sperimentiamo forte da farci sentire a volte in noi quando sapa disagio. Un disagio dal quale piamo di stare a possono nascere una nuova società cuore a Dio». Guare una nuova Chiesa» dando al Sinodo e calando l’attenzione del papa e della Chiesa nella realtà diocesana e siciliana, il pastore della Chiesa palermitana indica a tutti la forma più alta di attenzione verso i giovani: il prendersi cura. di Chiara Ippolito
Nel cammino della Chiesa c’è il Sinodo del 2018 per riflettere della fede e della vocazione delle nuove generazioni. Ma sin dal primo giorno a Palermo lei ha guardato ai giovani, a loro ha rivolto il suo sguardo di pastore... Penso tanto ai giovani: si tratta di un tema capitale. Ma sbaglieremo ancora una volta se ritenessimo che tutto si risolva escogitando qualche nuova strategia per “portare in chiesa” i giovani. Come
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pastore sento vicini i nostri giovani, questa Chiesa sente le loro istanze, i loro desideri. Avverto anche l’inadeguatezza degli adulti a comunicare loro la bellezza del Vangelo. Per questo chiedo alle nuove generazioni di scuoterci, come ho scritto loro nella lettera pastorale, per cercare nella Chiesa non un luogo di regole, di codici etici, ma un ambiente di vita autentica, uno spazio della carità. Oggi, la Chiesa di Palermo cosa vede guardando ai suoi ragazzi? Sono artisti del domani. Così li vedo e così ho scritto di loro nella lettera pastorale. Hanno un’energia che sa incidere nell’oggi, hanno creatività, strumenti e capacità. Hanno un modo intenso di comprendere la vita e la storia, che passa dagli occhi, dal cuore e dalla mente. Hanno una capacità di verità e autenticità così forte da farci sentire a volte a disagio. Un disagio dal quale possono nascere una nuova società e una nuova Chiesa e un modo nuovo di essere uomini. Sarebbe miope una visione della gioventù odierna tesa a classificarla, e più ancora a dipingerla come un esercito di smidollati, di bamboccioni o come una schiera di poveri ragazzi perduti, magari annegati nei vizi. A volte sembrano fragili, altre distratti o addirittura indifferenti. Forse alcuni lo sono, ma nei loro atteggiamenti c’è una parte di noi, una responsabilità di noi adulti che non siamo stati capaci di essere propositivi e di dare a loro spazio. Nel cuore di ognuno, e dunque di ogni giovane donna e di ogni giovane uomo, c’è una domanda abissale di felicità, di pienezza. Come rispondere a questi desideri senza essere banali e, soprattutto, cercando di rimanere fedeli al Vangelo? La strada è quella del prendersi cura. Non è un concetto romantico, ma un atteggiamento affettuoso d’amore che fa il paio con l’esigenza forte della verità, con l’autenticità. Non sempre l’annuncio di Gesù è tenero. È più che altro franco ed è questo
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sotto i riflettori che lo fa entrare in un rapporto autentico, diretto, non finto, con le nostre domande. Non c’è una strategia, non può esserci: la Chiesa per sua natura deve ripensarsi a partire dalle cose essenziali e l’essenziale è solo il Vangelo. Non c’è altro! E questo deve esserci chiaro. Non si tratta di portare avanti studi, di trovare tecniche o strade nuove. L’uomo, giovane o meno che sia, ha bisogno di relazioni di vita. Queste, queste soltanto possono segnare l’esistenza stessa. La fede non è altro che una relazione con il Signore, è una proposta. Noi stiamo a cuore a Dio e questo è un dato di fatto, da sapere, di cui avere contezza e certezza, da annunciare, mostrare e vivere. L’amore toglie le paure e apre la strada alla vita in pienezza. Finché sostituiremo il Vangelo con chiacchiere, dati, numeri i giovani non ci seguiranno.
Nella foto: mons. Corrado Lorefice
Cosa chiede la Chiesa di Palermo ai giovani? Di aiutarci ad essere una Chiesa che si sporca le mani, accogliendo il corpo crocifisso di Cristo nei poveri, degli ammalati, negli anziani soli, in chi arriva sulle nostre coste dall’Africa o dall’Oriente, nei I 11/122017
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piccoli, nelle persone diversamente abili, nei tanti loro coetanei dei quartieri periferici vittime dell’illegalità, dell’ingiustizia, dell’abbandono, dell’abuso di qualunque potere. Chiedo, io e con me la Chiesa tutta, di spronarci ad essere una Chiesa che vive la città, che ne senta gli odori, che ne percepisca i drammi, le attese, le speranze, che racconti lacrime di lutto e di gioia. I giovani hanno molto da dare e molto da dire. Cosa può offrire loro in cambio la Chiesa? Offriamo spazio e tempo, attenzione e ascolto, lasciandoli liberi di fare la loro strada, di costruire un futuro, per loro stessi e per tutti. E se si ritrovano davanti una società fondata sul potere dei grandi o una Chiesa chiusa in sé stessa che non vogliono liberare loro la strada, che la sgombrino loro stessi. L’arte del passato chiede rispetto, quella del futuro richiede fiducia. Questa Chiesa ricambierà mostrando ai giovani, semplicemente, nel suo stesso essere, la potenza del Vangelo. E poi, ho promesso ai giovani che saremmo stati loro compagni di g strada! ■
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«Signore facci liberi»
Vigevano: il 3 febbraio la beatificazione di Teresio Olivelli
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errà beatificato il prossimo 3 febbraio a Vigevano, nella terra che lo vide crescere come cristiano, Teresio Olivelli. Nato nel 1916 a Bellagio (Como), Olivelli rappresenta una delle più luminose figure della gioventù cattolica italiana d’inizio Novecento, e al contempo è paradigmatico di una generazione travolta dalla seconda guerra mondiale. Morto eroicamente nel campo di concentramento di Hersbruck, vicino a Norimberga, la Chiesa lo ha riconosciuto martire «in odium fidei» Fin da giovane studente, fu attivo nell’Azione cattolica, nella Fuci e nella San Vincenzo, impegnandosi in prima persona per portare i valori evangelici nei diversi ambienti sociali, specialmente del mondo universitario. Nel 1938 la laurea in giurisprudenza a Pavia, quindi il trasferimento all’Università di Torino come assistente della cattedra di Diritto amministrativo. Inizia così una stagione d’intenso impegno socio-culturale, cercando d’inserirsi criticamente all’interno del fascismo, con il proposito di influenzarne la dottrina e la prassi, mediante la forza delle proprie idee ispirate al cristianesimo. Nel 1942 parte volontario per la campagna di Russia come sottotenente. Sopravvissuto alla disfatta e ritornato a casa, dopo l’armistizio del 1943 aderisce alla Resistenza cattolica, le Fiamme Verdi. Nel marzo 1944 è fra i promotori del giornale clandestino Il Ribelle, e sui Quaderni del Ribelle esce la sua famosa preghiera «Signore facci liberi». Per questa sua militanza clandestina nell’aprile 1944 viene arrestato, torturato e deportato in Germania. Ma pure nei lager di Flossenburg e di Hersbruck dà prova di una carità eroica assistendo i compagni prigionieri. Ed è proprio mentre cerca di proteggere da un pestaggio un compagno di baracca che viene ucciso. È il 17 gennaio 1945.
Premio Bachelet
Riforma delle istituzioni democratiche e cittadinanza attiva
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n premio per tesi di laurea sullo sviluppo e la riforma delle istituzioni democratiche, la partecipazione e la cittadinanza attiva. Torna anche quest’anno il riconoscimento della Fondazione Istituto Vittorio Bachelet. Le tesi ammesse sono quelle discusse tra l’1 dicembre 2016 e il 30 novembre 2017. Le domande di partecipazione devono essere inviate entro il 9 dicembre 2017, seguendo i criteri previsti nel bando (disponibile on line all’indirizzo http://azionecattolica.it/bachelet/premio-2017). Il vincitore illustrerà la propria ricerca nell’ambito del XXXVIII Convegno Bachelet, il prossimo febbraio. Il Premio Bachelet persegue le finalità statutarie dell’Istituto, strumento che l’Ac si è data nel 1988 per mantenere viva l’eredità di pensiero e d’insegnamento di Vittorio Bachelet, che nella sua vita coltivò con amore la passione per i problemi sociali, giuridici e politici del nostro paese e del mondo. «È urgente – scriveva al riguardo Bachelet – formare generazioni nuove a un senso della società, non certo per avere “riserve” per le future formazioni ministeriali – per cui ci sono anche troppi aspiranti – ma per continuare piuttosto, con una diffusione nel corpo sociale, quel servizio che, almeno in parte, è già stato offerto per il vertice; per formare cioè una “classe dirigente” come si suole dire, intesa però non in senso solamente politico, ma come guida cristianamente ispirata dell’opinione, della stampa, dei costumi, dell’educazione non solo scolastica (ma anche ad esempio cinematografica), delle relazioni di lavoro, della vita professionale in genere».
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Il papa: nel 2019 un mese missionario straordinario
«Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura» Un mese missionario straordinario, nell’ottobre 2019, per «risvegliare maggiormente la consapevolezza della missio ad gentes» e «riprendere con nuovo slancio la trasformazione missionaria della vita e della pastorale». Lo ha indetto papa Francesco, facendo seguito all’annuncio fatto lo scorso giugno incontrando i partecipanti all’Assemblea generale delle Pontificie opere missionarie. Il papa chiede a tutti i fedeli di avere «veramente a cuore l’annuncio del Vangelo e la conversione delle loro comunità in realtà missionarie ed evangelizzatrici», affinché «si accresca l’amore per la missione», che «è una passione per Gesù ma, al tempo stesso, è una passione per il suo popolo», come affermava san Giovanni Paolo II. Il prossimo anno, ricorda il papa, «ricorrerà il centenario dalla promulgazione della Lettera apostolica Maximum illud, con la quale Benedetto XV desiderò dare nuovo slancio alla responsabilità missionaria di annunciare il Vangelo». All’indomani della Grande guerra papa Benedetto – che l’aveva definita «inutile strage» – «avvertì la necessità di riqualificare evangelicamente la missione nel mondo, perché fosse purificata da qualsiasi incrostazione coloniale e si tenesse lontana da quelle mire nazionalistiche ed espansionistiche che tanti disastri avevano causato». Diede così impulso alla missio ad gentes, adoperandosi per risvegliare quel dovere missionario che – scrive Francesco – «risponde al perenne invito di Gesù: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15). Aderire a questo comando del Signore non è un’opzione per la Chiesa: è suo “compito imprescindibile”, come ha ricordato il Concilio Vaticano II, in quanto la Chiesa “è per sua natura missionaria”».
Messaggio di Francesco alla Settimana sociale
Senza lavoro non c’è dignità. Ascoltare il grido degli scartati
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a dignità del lavoro è la condizione per creare lavoro buono: bisogna perciò difenderla e promuoverla». Così papa Francesco, in un videomessaggio, si è rivolto di partecipanti alla 48ma Settimana sociale dei cattolici italiani (Cagliari, 26-29 ottobre 2017), che ha avuto a tema Il lavoro che vogliamo: libero, creativo, partecipativo e solidale, riprendendo proprio la definizione del lavoro umano contenuta nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium. È una preoccupazione costante di Francesco la mancanza di lavoro, perché «senza lavoro non c’è dignità». Ma – ha ricordato – non tutti sono «lavori degni». Non lo sono quelli «che umiliano la dignità delle persone», «che nutrono le guerre con la costruzione di armi, che svendono il valore del corpo con il traffico della prostituzione e che sfruttano i minori. Offendono la dignità del lavoratore anche il lavoro in nero, quello gestito dal caporalato, i lavori che discriminano la donna e non includono chi porta una disabilità». E poi il lavoro precario, che non permette di fare progetti per il futuro. Bergoglio lo bolla come «immorale» perché – al pari del lavoro nero – «uccide la dignità, uccide la salute, uccide la famiglia, uccide la società». Senza dimenticare «i lavori pericolosi e malsani, che ogni anno causano in Italia centinaia di morti e d’invalidi». Il papa ricorda che la dignità è mortificata «quando il lavoratore è considerato una riga di costo del bilancio, quando il grido degli scartati resta ignorato». E lancia un monito alle pubbliche amministrazioni, che seguono questa logica «quando indicono appalti con il criterio del massimo ribasso senza tenere in conto la dignità del lavoro come pure la responsabilità ambientale e fiscale delle imprese. Credendo di ottenere risparmi ed efficienza, finiscono per tradire la loro stessa missione sociale al servizio della comunità». In sostanza, il papa indica un nuovo paradigma per il mondo del lavoro: quello in cui «la comunione deve vincere sulla competizione».
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tempi moderni intervista con Alessandro Zaccuri di Alberto Galimberti
Come non letto
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a letteratura può salvare il mondo? Una risposta soddisfacente non scombiccherata, autentica non retorica: che ci dica qualcosa di nuovo invece di ripetere pedissequamente quel poco che già sappiamo. Alessandro Zaccuri, giornalista di Avvenire, critico letterario e fine scrittore, per fornire un tentativo di risposta alla domanda delle domande, si è inventato un apprezzabile format. Serate culturali dal taglio solidale dove, in cambio di un sapere messo in circolo come dono e passione – la conversazione attorno alla trama e ai significati dischiusi da un classico da parte di Zaccuri –, i convenuti offrono beni materiali da destinare a donne e bambini che versano in condizioni di difficoltà, rispettando il criterio della prossimità per rendere evidente un bisogno altrimenti inavvertito.
Un inedito format culturale. Serate dal taglio solidale dove, in cambio della presentazione di un classico della letteratura mondiale, i convenuti offrono beni materiali da destinare a donne e bambini che versano in condizioni di difficoltà. Un giornalista e scrittore spiega a Segno come i libri possono cambiare il mondo 16
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Qualcosa della nostra umanità Come non letto – titolo scelto per il ciclo d’incontri – è diventato, of course, un libro edito da Ponte della Grazie, i cui diritti d’autore sono devoluti in beneficenza e corredato dal sottotitolo: dieci classici più uno che possono ancora cambiare il mondo. «O la letteratura – esordisce Zaccuri, incontrato da Segno – ci re-
stituisce qualcosa della nostra umanità, rendendoci capaci di intrattenere un rapporto più autentico con gli altri, oppure la letteratura è davvero, come si sostiene sempre più spesso, un passatempo condannato all’estinzione». La letteratura come salvacondotto della bellezza innescata dalle relazioni umane: ci piacerebbe lanciarci a capofitto dentro questa intuizione, ma prima vale la pena dedicare un cenno all’origine di un’avventura che coniuga, marcando un discreto successo, cultura e solidarietà, sapere e volontariato. «Le serate funzionano così. Prima c’è la consegna delle provviste, segue una breve spiegazione dell’iniziativa, e poi, un libro alla volta, inizia la conversazione che non si prolunga oltre i cinquanta minuti. La trama è solo accennata, ma ogni volta c’è una parola chiave che cerca di rendere evidente il tema portante del libro. Finora l’iniziativa è stata apprezzata. Vorrei continuasse altrove: che persone diverse, in città e situazioni diverse, rafforzassero quest’alleanza tra letteratura e solidarietà». Robinson Crusoe, Moby Dick, Dracula… Una parola chiave per ogni classico letto, investigato, amato: il sogno per Don Chisciotte, il mondo per Robinson Crusoe, la città per Oliver Twist, l’Italia per i Promessi Sposi, la vendetta per il Conte di Montecristo, il mistero per Moby Dick, la giustizia per I Miserabili, la storia per Guerra e Pace, la santità per l’Idiota, il male per Dracula, il destino per La vita istruzioni per l’uso. Per la maggior parte, sono classici risalenti all’‘800, il “secolo del romanzo”: luce a gas, treno
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tempi moderni e tipografia hanno allargato il pubblico dei lettori, permettendo la nascita di nuovi pubblici, come quello delle donne e dei bambini. Perché questi libri sono così importanti? – chiediamo a Zaccuri, quasi scusandoci per la banalità del quesito. «I classici sono capolavori che hanno sempre qualcosa – quella cosa Scrivere – e leggere – un romanzo – da dire. Non raccontano non è altro che decifrare la mappa una storia, sono la storia che l’invisibile disegna attorno a noi. che stanno raccontando. Riempire i vuoti tra un fatto e l’altro, Compiono una trasformariconoscere che c’è una forza che zione. Intervengono sulla guida le nostre vite e che permette realtà. Agiscono sull’espedi riassumerle in una storia rienza del lettore. Il valore e il coraggio, la fedeltà e l’onore sono virtù descritte nei libri attraverso la finzione e tuttavia sono reali, concrete. Così come sono reali e concreti la prigione e il viaggio, l’umiliazione e il trionfo, il peccato e la redenzione».
A sinistra: lo scrittore Alessandro Zaccuri
«Renzo invece di don Rodrigo» Ma allora perché, per esempio, troviamo così ostica la lettura dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, pur capace di egemonizzare la narrativa italiana? «Forse perché i Promessi Sposi sono un romanzo che affrontiamo fin troppo presto, a scuola, quando ancora non abbiamo la maturità necessaria per comprendere che questo libro I 11/122017
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rappresenta alla perfezione l’Italia umile e tenace, popolo prima che nazione. E forse, se non riusciamo a dare buona prova di noi come nazione, è perché essere popolo sarebbe il nostro destino. La dignità al posto dell’orgoglio, Renzo invece di don Rodrigo». Qual è la frase più riuscita di tutta la letteratura? «Difficile rispondere. In Oliver Twist ci sono scene meravigliosamente congegnate, come quella in cui l’ingenuo Oliver viene spedito dai compagni di orfanotrofio a presentare la scandalosa richiesta di un altro piatto di minestra: Please, sir, I want some more, Per piacere, signore, ne voglio ancora: forse questa è una delle frasi più belle e, insieme, più semplici di tutta la letteratura». Vorremmo discutere ancora a lungo con Zaccuri, ma lo spazio a disposizione sta per terminare. C’è tempo, però, per un’ultima, rivelatrice chiosa sul ruolo che la letteratura può vestire nella quotidianità. «Scrivere – e leggere – un romanzo non è altro che decifrare la mappa che l’invisibile disegna attorno a noi. Riempire i vuoti tra un fatto e l’altro, riconoscere che c’è una forza che guida le nostre vite e che permette di riassumerle in una storia. La letteratura non è il mondo, ma un modo di guardare il mondo. È una comunità che si costruisce lentamente, nei secoli, con una tenacia che ogni g lettore rafforza». ■
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Il ristoro dell’anima nell’abbazia di Follina di Marco Zabotti
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nche l’Azione cattolica diocesana di Vittorio Veneto figura nell’elenco dei donatori, soggetti pubblici, privati, imprenditoriali e associativi che hanno voluto offrire un apporto generoso all’impresa comune. E così, alle radici della sua missione di vita e di fede ispirate all’umanesimo cristiano, l’abbazia Santa Maria di Follina – diocesi di Vittorio Veneto, nel cuore dell’Alta Marca Trevigiana – rinnova la sua disponibilità all’accoglienza di pellegrini e visitatori alla ricerca di un contatto con le ragioni e i simboli del sacro. Lo ha fatto ufficialmente dal 1° novembre, festività di Ognissanti, aprendo al pubblico la Foresteria Santa Maria dopo che lo scorso 9 settembre si era svolta la bella e partecipata cerimonia in tre atti, presieduta dal vescovo vittoriese, mons. Corrado Pizziolo, per l’inaugurazione dei lavori di consolidamento statico della struttura di copertura dell’ala est e di realizzazione della nuova casa di accoglienza e di spiritualità.
Il 1° novembre ha aperto a visitatori e pellegrini la rinnovata Foresteria Santa Maria, tra i quali spicca nell’elenco dei promotori e donatori anche l’Azione cattolica di Vittorio Veneto. All’interno del progetto diocesano di turismo religioso, la Foresteria è riservata a gruppi, famiglie e persone alla ricerca di momenti di essenzialità e di spazi autentici di spiritualità, preghiera, cultura e formazione 18
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Lunga storia di arte e fede Da marzo 2016, per un anno e mezzo sono proseguiti i lavori, intensi e puntuali, con tante maestranze impegnate con competenza, cura e discrezione dentro gli antichi spazi, fra le pietre vive che raccontano una lunga e feconda storia di arte e di fede. All’interno del magnifico chiostro, datato 1268, la Foresteria già nel nome riassume la vocazione di sempre di un luogo speciale, interiore, davvero unico: l’incontro e l’ospitalità, la disponibilità a farsi prossimo al forestiero e al viandante, l’apertura del cuore, della mente e
di uno spazio fisico eloquente a quanti ricercano l’essenziale, il primato di Dio. Tutto avviene all’interno di un importante progetto di riqualificazione delle opportunità di ospitalità e turismo religioso del complesso abbaziale situato nel cuore di Follina (provincia di Treviso), monumento nazionale che vanta secoli di storia, un esempio di architettura cistercense ammirato da sempre per il fascino delle sue linee, forme e sculture, e per il silenzio raccolto che avvolge il chiostro e tutti gli ambienti di liturgia e di preghiera. Proprio la necessità di conservare e destinare al meglio per il futuro queste strutture di incomparabile pregio, ha suscitato la risposta sensibile e corale del territorio diocesano. Nuova veste e ambienti rinnovati Grazie alla sinergia tra la parrocchia follinese retta da ben 102 anni dai frati dell’Ordine dei Servi di Maria, diocesi di Vittorio Veneto e Istituto diocesano “Beato Toniolo. Le vie dei Santi”, al contribuito della Regione Veneto, all’apporto del comune di Follina e alle importanti donazioni locali, l’abbazia si presenta con una nuova veste e ambienti rinnovati. In particolare, all’interno del progetto diocesano di turismo religioso, la “Foresteria Santa Maria” è riservata a gruppi, famiglie e persone alla ricerca di momenti di essenzialità e di spazi autentici di spiritualità, preghiera, ricerca, cultura e formazione.
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tempi moderni Sopra: il chiostro dell’abbazia
Con i lavori eseguiti da Lorenzon Costruzioni, su progetto e direzione dell’architetto Fabio Nassuato, sono state realizzate nove camere dotate di servizi completi e accessibili, su una struttura complessiva di 450 metri quadrati che permette di ospitare una ventina di persone, con locali cucina e soggiorno destinati alle attività comuni. Il restauro dell’antico, con elementi moderni innovativi armonicamente inseriti nell’edificato storico, ha consentito la salvaguardia e valorizzazione degli spazi originari riservati un tempo alla vita persona-
le dei monaci. Il recupero degli intonaci originali e delle superfici affrescate ha messo in luce finiture del XV e XVI secolo. La gestione della nuova casa di accoglienza e spiritualità è stata affidata all’Istituto diocesano “Beato Toniolo. Le vie dei santi”, impegnato a promuovere dottrina sociale, cultura, spiritualità, arte e bellezza nel segno di Giuseppe Toniolo, favorendo anche programmi di accoglienza e turismo religioso. Per ulteriori informazioni: www.beatotoniolo.it; info@ g beatoniolo.it. ■
Concorso
Pace e cooperazione internazionale: il grande sogno di Toniolo
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ace e cooperazione internazionale: il grande sogno di Giuseppe Toniolo, l’impegno quotidiano di uomini e donne di buona volontà. È il tema generale del Premio Giuseppe Toniolo 2018, terza edizione del concorso che quest’anno coincide con due centenari: la morte di Giuseppe Toniolo, avvenuta il 7 ottobre 1918, ricorrenza per la quale sono già iniziate il 3 settembre scorso le celebrazioni che dureranno sino alla prima settimana di ottobre 2018, e la fine della “grande guerra” con la battaglia di Vittorio Veneto. «Non a caso, quindi, il tema prescelto – spiega una nota dei promotori, Istituto diocesano “Beato Toniolo. Le vie dei santi”, diocesi di Vittorio Veneto, Pastorale sociale e del lavoro, Azione cattolica e parrocchia di Pieve di Soligo – assume un significato speciale e un rilievo del tutto particolare». La pace era infatti «l’aspirazione profonda e più alta di Toniolo nel tempo sofferto che l’accompagna nell’anno precedente la sua morte». Il regolamento del Premio prevede le tre classiche sezioni: “Pensiero”, di rilievo nazionale, che riconosce i lavori di carattere scientifico, divulgativo e culturale, “Azione & testimoni”, di ambito regionale veneto, e “Giovani”, a carattere diocesano, dai 15 ai 25 anni, che singolarmente o in gruppo scolastico, parrocchiale o associativo partecipino con la produzione di un elaborato scritto o multimediale. La premiazione sarà domenica 7 ottobre, con l’annunciata presenza del cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei. Info: www.beatotoniolo.it; info@beatotoniolo.it. I 11/122017
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tempi moderni intervista con Simona Dalla Chiesa
Carlo Alberto Dalla Chiesa, «un papà con gli alamari»
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n contemporanea al libro di Simona Dalla Chiesa Carlo Alberto Dalla Chiesa. Un papà con gli alamari (edizioni San Paolo; firmato di Siilvio Mengotto assieme ai fratelli Rita e Nando), il giornalista Andrea Galli pubblica il volume Dalla Chiesa. Storia del Generale dei Carabinieri che sconfisse il terrorismo e morì a Palermo ucciso dalla mafia (Mondadori). «Entrambi i libri – dice Nando Dalla Chiesa – rappresentano un po’ lo spirito del tempo. Un recupero di un simbolo della nostra storia, che per molto tempo è stato tale per tanti italiani e poco per le istituzioni. Questo non può che farmi piacere. Una forma di giustizia maturata nel tempo». L’idea di scrivere un libro sulla figura del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa nasce dalla decisione della casa editrice San Paolo di presentare una collana (Uomini giusti) dedicata a quattro eroi moderni: «mio papà – dice Simona Dalla Chiesa – La Torre, Falcone e Borsellino, con l’intenzione di restituire l’aspetto più specificamente umano di queste persone per bene, che hanno fatto il «Ho pensato – confida la figlia proprio dovere sino in fondo, senza volere essere eroi. Simona in questa intervista a Quando me l’hanno propoSegno – fosse giusto restituire sto, ho avuto qualche esitaun’immagine completa di mio padre che, sotto la divisa, aveva zione: pensavo che fosse un aspetto troppo intimo e che, un mondo intenso di affetti a distanza di tanti anni, poe sentimenti». Con l’intento tesse suscitare poco interesdi «fare capire, anche ai più se, soprattutto nelle persone giovani, che cosa significa vivere con coerenza determinati che non avevano vissuto quel drammatico momento storivalori, nell’aspetto pubblico co. Poi ho pensato che fosse come in quello privato»
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giusto restituire un’immagine completa di mio padre ricordando che, sotto la divisa, aveva un mondo intenso di affetti e sentimenti. Un modo che facesse capire, anche ai più giovani, che cosa significa vivere con coerenza determinati valori nell’aspetto pubblico, come in quello privato». Nell’aprile 1982 Carlo Alberto Dalla Chiesa, in volo per Palermo, scrive una toccante lettera ai figli. «Vi voglio bene, tanto, e in questo momento vi chiedo di essermi vicini; così come nei mesi e negli anni che verranno. Vogliatevi soprattutto e sempre il bene di ora! Quanto vi ho scritto, l’ho fatto a 7-8000 metri di altezza, in cielo, mentre l’aereo mi portava veloce verso Palermo; dietro di me lasciavo, con gli alamari, la giornata di Pastrengo, ma ad alcune stazioni c’era un caro saluto con un braccio alzato o una lacrima che, in silenzio scendeva sul “volto”. Certamente, però, ero e sono stato più vicino – lassù – e più che mai alla cara dolce immagine di mamma! Vi abbraccio forte forte, il vostro papà». La lettera scritta in volo per Palermo non crede sia stato anche il suo testamento? Il generale sarebbe stato ucciso poco tempo dopo, il 3 settembre ’82. Quella lettera, per noi, ha davvero rappresentato il suo testamento morale, dove potevamo ritrovare tutti i valori che hanno ispirato la sua vita: l’amore, il rispetto, la solidarietà e la famiglia. E anche quando, nella stessa lettera, ci spiega di aver diviso fra noi fratelli le gioie di mamma senza seguire alcun criterio economico, ma solo sulla base dei ricordi che ogni oggetto poteva avere per ciascuno di noi, ha voluto sottolineare, ancora una volta, il prevalere degli aspetti affettivi su quelli economici. Una lezione importante in una società, come quella attuale, dove il “peso” dei soldi diventa l’elemento fondante della vita. Vostro padre nella lettera vi chiede di essergli vicino nel presente come nel futuro. Non lo trova straordinariamente profetico?
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Nell’altra pagina: Simona Dalla Chiesa. Qui il generale e la copertina del libro a lui dedicato
È vero, c’era questo invito a stargli vicino... Una cosa che ci ha colpito moltissimo, perché per tutta la vita era sempre stato lui la nostra roccia, come fosse una montagna protettiva. E invece, in quel momento, chiede a noi di fargli sentire il nostro appoggio e il nostro affetto. Ma non basta. In quella lettera, Carlo Alberto dalla Chiesa, con commozione, raccomangenerale dei Carabinieri, è stato un protagonista della lotta contro dava a noi tre fratelli di volerci sempre il bene di allora. Papà le Brigate Rosse. Da generale sapeva che tra noi c’era un ledi divisione, fu nominato nel 1978 Coordinatore delle Forze di game assolutamente particoPolizia e degli Agenti Informativi lare, molto intenso, che era la nostra forza. Ecco, quel bene per la lotta contro il terrorismo, lo abbiamo mantenuto in tutti con poteri speciali. Dal 1979 questi anni con le stesse caal 1981 comandò la Divisione ratteristiche di allora, con la Pastrengo a Milano; tra il 1981 stessa complicità, con la voe il 1982 fu vicecomandante glia di metterci a confronto, di generale dell’Arma. Nel 1982 discutere e anche litigare, per il governo lo nominò prefetto poi restare sempre uniti come di Palermo con l’intento di una barriera di fronte al monottenere contro Cosa nostra gli do. Mio padre sapeva tutto stessi brillanti risultati ottenuti questo. L’invito che ha voluto nella lotta al terrorismo. Fu lasciarci, di essere sempre ucciso a Palermo il 3 settembre così uniti tra noi, era probabil1982 pochi mesi dopo il suo mente dettato dalla consapeinsediamento in un attentato volezza che, dopo la perdita di mafioso dove perirono anche la mamma, avremmo potuto remoglie e l’agente di scorta. stare soli, anche senza di lui. I 11/122017
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Dalla lettera, come in tutto il libro, emerge un affetto profondissimo che suo padre nutriva verso i figli e la moglie Dora. Che ne pensa? La loro è una storia di amore vero. Un amore romantico e pieno di passione e condivisione, che ha saputo maturare negli anni senza perdere i suoi connotati iniziali. Un amore che non si è appiattito nella gestione della famiglia. Mamma è stata la sua forza, il suo sostegno anche nei momenti più difficili della carriera; è stata assolutamente fondamentale per lui come uomo e come ufficiale. La sua perdita è stata una tragedia per papà. Noi tutti temevamo che non potesse ritrovare la sua serenità, e proprio per questo siamo stati grati a Emanuela Setti Carraro, che dopo tanti anni di solitudine, era riuscita a restituirgli la capacità di sorridere. Recentemente mons. Mario Delpini, nuovo arcivescovo di Milano, ha parlato del credente Dalla Chiesa. Qual è il suo ricordo? Mio padre era un credente, ma assolutamente non un bigotto. In un’intervista rilasciata a Enzo Biagi confermò il suo affidarsi proprio alla fede anche nei momenti più difficili. Lo ricordo nella partecipazione domenicale alla messa in caserma che, per lui come per tutta la famiglia, era un momento imprescindibile. Lo ricordo come una persona capace di vivere, nella vita quotidiana, i valori della fede. Non si fermava alle apparenze della religione, ma sapeva cogliere la sostanza degli insegnamenti che g il cristianesimo ci trasmette. ■
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cittadini e palazzo intervista con Vincenzo Antonelli
Non basta la legge elettorale, ci vuole il buon governo
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on affidiamo funzioni salvifiche alla legge elettorale, qualunque essa sia. Il sistema elettorale di Gianni Di Santo non risolve la crisi dei partiti, anzi, delle volte potrebbe addirittura mascherarle. Per superare le crisi, sociali ed economiche, che travolgono i paesi europei, in particolare l’Italia, non è sufficiente una legge elettorale, ma sono necessari buoni uomini politici, capaci e onesti amministratori del bene comune». Per Vincenzo Antonelli, professore universitario di Diritto pubblico presso la Facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e vicedirettore del Centro di ricerca sulle amministrazioni pubbliche “Vittorio Bachelet” presso la Luiss Guido Carli di Roma, i prossimi eventi politici – mentre i referendum in Lombardia e Veneto e le elezioni regionali in Sicilia già sono avvenuti – ci diranno un qualcosa in più per disegnare il prossimo quadro politico nazionale. «I tecnicismi elettorali – prosegue il docente – non salvano un paese. Semmai possono aiutarlo a uscire dalle secche di una politica avvitata su se stessa. Abbiamo un esempio diretto: il famoso Porcellum, in parte dichiarato incostituzionale dalla Corte, ha garantito sì la stabilità del Parlamento per i cinque anni Una politica che sembra soffermarsi solo sui tecnicismi canonici di legislatura, però ha anche permesso tre goelettorali ha già perso in verni, Letta, Renzi e Gentiloni. partenza. «L’Italia che vuole Con maggioranze diverse». uscire dalla crisi – spiega un
esperto di Diritto pubblico – non ha bisogno solo di buone regole elettorali. Forse, e ancora di più, ha bisogno di una politica e di politici con la “P” maiuscola», come ha detto papa Francesco all’Ac, «capaci di progettare il futuro, di dare una prospettiva al paese e di perseguire realmente ed onestamente il bene comune» 22
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Dopo il voto in Veneto e Lombardia Sul versante referendario, intanto, è chiaro, continua Antonelli, «che con le consultazioni i governatori regionali di Veneto e Lombardia hanno solo chiesto un parere ai cittadini-elettori delle due Regioni, e cioè se
sono favorevoli o contrari a rivendicare allo Stato ulteriori forme e condizioni di autonomia regionale ai sensi dell’articolo 116, comma terzo, della Costituzione Repubblicana. L’esito dei referendum, dovrebbe portare – nelle intenzioni dei due Governatori regionali – ad attribuire alle rispettive Regioni condizioni particolari d’autonomia nelle materie di legislazione concorrente di cui all’articolo 117 della Costituzione (ma dopo una mediazione e un dialogo con lo Stato), e all’espansione della loro l’autonomia finanziaria. In pratica si tratta, per Lombardia e Veneto, di ampliare quegli spazi legislativi, dando luogo al cosiddetto regionalismo differenziato, in cui è possibile, sempre dopo una negoziazione Stato-Regioni, intervenire su materie come i giudici di pace, la scuola, la tutela ambientale e dei beni culturali, la tutela della salute, il commercio con l’estero, la tutela e la sicurezza del lavoro, la ricerca scientifica e tecnologica e il sostegno all’innovazione per i settori produttivi, e poi ancora l’alimentazione, l’ordinamento sportivo, la protezione civile... ». Insomma, c’è una legittimazione politica più o meno convincente (l’affluenza alle urne in Veneto e Lombardia è stata ben diverso) nel far valere alcune istanze territoriali nei confronti dello Stato. È il momento delle politiche nazionali «Mi sembra molto importante il voto scaturito dalle elezioni regionali in Sicilia – continua Antonelli –. Anche se queste elezioni sono legate a dinamiche territoriali, di solito però possono essere lette (andrebbero lette) in un’ottica anche nazionale. Il trend politico della Sicilia può essere il banco di prova delle prossime elezioni politiche nazionali. E dai risultati del 5 novembre è bene guardarsi». Anche perché le elezioni politiche nazionali sono a breve. «Il Rosatellum, il sistema elettorale in discussione in Parlamento appena approvato, è un sistema misto tra proporzionale e uninominale maggioritario che però non assicura la governabi-
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cittadini e palazzo In Italia, osserva Antonelli, «purtroppo avviene il contrario e la legge elettorale spesso viene considerata come oggetto di un dibattito politico che non accende passioni, come merce di scambio tra i partiti, e non come strumento che dovrebbe servire a garantire ai cittadini prima la partecipazione democratica e poi la rappresentanza parlamentare»
A lato: Vincenzo Antonelli
lità. Certo, si premia così la logica delle coalizioni, ma non è detto che le coalizioni durino. Anzi, in Italia succede il contrario. È vero che nelle intenzioni di chi lo ha proposto alla discussione e votazione, c’è il desiderio di combattere una delle anomalie del sistema-Italia, e cioè l’instabilità del governo e delle maggioranze in Parlamento. Però qui c’è un punto che per me è di fondamentale importanza: i sistemi elettorali dovrebbero consolidarsi nel tempo e non adeguarsi alle contingenze politiche, ai meri calcoli elettorali. Una legge elettoI 11/122017
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rale è buona se regge nel tempo». In Italia, osserva Antonelli, «purtroppo avviene il contrario e la legge elettorale spesso viene considerata come oggetto di un dibattito politico che non accende passioni, come merce di scambio tra i partiti, e non come strumento che dovrebbe servire a garantire ai cittadini prima la partecipazione democratica e poi la rappresentanza parlamentare». Una politica che sembra soffermarsi solo sui tecnicismi elettorali ha già perso in partenza. «L’Italia che vuole uscire dalla crisi – conclude Antonelli – non ha bisogno solo di buone regole elettorali. Forse, e ancora di più, ha bisogno di una politica e di politici con la “P” maiuscola capaci di progettare il futuro, di dare una prospettiva al paese e di perseguire realmente ed onestamente il bene g comune». ■
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economia e lavoro
Nuove speranze tra borse in pelle e vecchie biciclette di Maria Teresa Antognazza
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oro sono Michele, Andrea, Francesca e Gloria, tutti originari del Varesotto: hanno tra i 26 e i 27 anni e hanno alle spalle studi che vanno dalla specializzazione in recupero di archeologia industriale, alla gestione di impresa sociale e marketing digitale, dalla comunicazione alla mediazione linguistica. Giovani con la voglia di tenere insieme il sogno di una professione di qualità, socialmente significativa, e di fare qualcosa per costruire un mondo migliore, frutto di accoglienza, condivisione e integrazione. Si chiama Parallelo. Prodotti Qualcosa più di un sogno, da scappati di casa. Si trova però, visto che il 1° ottoa Castellanza, in provincia di bre scorso hanno tagliato Varese. Ogni mattina operano fianco a fianco dodici rifugiati e il nastro di un progetto di richiedenti asilo, dodici giovani impresa sociale artigianale, che ha trovato “casa” a docenti artigiani e designer, Castellanza (Varese) in un quattro soci di Officina Casona edificio confiscato alla mae altri collaboratori. Obiettivo? fia. Ad assegnare la casa Formazione e lavoro
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alla cooperativa sociale “Officina Casona”, titolare del progetto e fondata dai quattro amici, il comune della cittadina lombarda, che ha pubblicato un bando di concorso per restituire alla collettività il bene sottratto alla criminalità organizzata. Amicizia, formazione e lavoro. L’hanno chiamato Parallelo. Prodotti da scappati di casa ed è uno spazio di lavoro per under 30, italiani e stranieri, dove esperti maestri nelle arti artigianali del legno, della carta, della ceramica e della meccanica insegnano un mestiere e dove poi gli oggetti concretamente realizzati vengono venduti. «Quello che proviamo a realizzare – spiega Francesca Zaupa, responsabile formativa di Parallelo – è un luogo di formazione e lavoro, che sono le condizione alle quali secondo noi si possono creare vere opportunità per i giovani e integrazione con gli stranieri». Ogni mattina, da lunedì a venerdì, operano fianco a fianco dodici rifugiati e richiedenti asilo (11 provenienti dall’Africa e 1 pakistano) residenti nei territori dell’Alto Milanese e nel comune
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dell’Officina Casona
economia e lavoro
Nelle foto: i ragazzi
di Castellanza, dodici giovani docenti artigiani e designer, i quattro soci di Officina Casona e altri collaboratori, sempre giovani con situazioni lavorative precarie. Cinque i laboratori già attivi in ceramica, legatoria, sartoria, pelletteria, ciclomeccanica, per la trasformazione e il riuso di vecchie biciclette, e a breve partirà anche il laboratorio di falegnameria. Sei mesi è la durata del corso per ogni ciclo formativo. A questi si aggiunge un corso settimanale di italiano pratico per gli stranieri presenti, che coinvolge volontari e simpatizzanti della cooperativa. Non lezioni teoriche di lingua ma insegnamento a partire dal fare e dalla pratica del mestiere. Partner del progetto, oltre al comune di Castellanza, sono la Fondazione Somaschi onlus e Intrecci Società cooperativa sociale. E ogni sabato workshop per tutti. «Sotto la guida dei nostri artigiani, con cui condividiamo obiettivi e valori, i ragazzi aderenti al progetto frequentano i corsi di formazione al lavoro: realizzano borse, astucci e cuscini, ma anche oggetti in legno, rilegano libri e restaurano parti di vecchie biciclette per crearne di nuove – dice ancora Francesca Zaupa –. Tra l’altro, lavoriamo “in vetrina”, davanti a tutti e in totale trasparenza, perché gli spazi dove operiamo danno sulla strada e in precedenza erano uffici di una banca. I prodotti sono tanti e tutti caratterizzati dall’incontro tra culture, personalità e competenze. Una volta realizzati vengono venduti nello show room al piano inferiore. E mentre imparano il lavoro i ragazzi stessi sono chiamati a mettere le loro nuove competenze a disposizione degli altri, insegnando ciò che hanno imparato». Lo fanno ogni sabato quando i laboratori artigianali diventano workshop per tutti i cittadini, dove imparare le stesse abilità e costruire i propri oggetti, fianco a fianco con i lavoratori stranieri, questa volta nei panni di “maestri” delle arti. Ma perché questa condivisione diventi sempre più accoglienza delle diversità, accanto agli insegnamenti artigianali i cittadini che partecipano alle lezioni del sabato sono invitati a fermarsi a pranzo con gli stranieri-maestri delle arti, per conoscersi sempre meglio e imparare ad apprezzare le qualità g di ciascuno. ■ I 11/122017
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famiglia oggi di Barbara Garavaglia
Famiglie a chilometri zero «Anche questa è missione»
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issionari nel terzo millennio con figli al seguito? È possibile, sia partendo per un Paese lontano, sia rimanendo in Italia con il desiderio di comunicare nella quotidianità la bellezza del Vangelo. I casi sono ormai numerosi e se ne registrano dalla Sicilia al Veneto, dall’Abruzzo al Piemonte. Chiara e Riccardo Colombo sono una coppia di sposi lombardi, la cui esperienza di fede si è arricchita e consolidata grazie alla vicinanza dei padri della Consolata. Sposati nel 1999 sono partiti immediatamente per l’Equador, come laici missionari. Destinazione: un quarDopo un periodo in tiere povero e degradato della periferia Equador, Chiara e Riccardo Colombo si sono di Guadalquivir. Là dove la famiglia è disgregata e messa alla prova, è imporstabiliti, con i figli, in provincia di Treviso, con tante la presenza di una famiglia che vive la propria vocazione sino in fondo. una nuova esperienza Dopo due anni, il rientro a casa e l’asdi condivisione e sieparsi di molte domande. Non è stato accoglienza appoggiata dai padri della Consolata. facile trovare una risposta, per una famiglia con bambini piccoli. L’impegno è sempre lo stesso: «Testimoniare «Siamo così arrivati in una casa in provincia di Treviso – racconta Chiara Coil vangelo»
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lombo –, in collina, di proprietà dei missionari della Consolata. Attualmente abitiamo con un’altra famiglia, due padri e un seminarista. Facciamo cassa comune e abbiamo altre famiglie che sostengono la nostra presenza». L’esperienza si chiama Casa Milaico (http://www.milaico.it). La missione è sempre la stessa, anche se con modalità e in un ambiente diverso rispetto a una periferia: testimoniare il Vangelo. La casa si apre a giovani e ad adulti per percorsi di animazione e di formazione missionaria. Come coinvolgere i propri figli in scelte tanto importanti? Per i nostri tre figli, che hanno rispettivamente 14, 13 e 9 anni, è normale vivere così, in mezzo a molta gente, ai gruppi che si alternano nei fine settimana. Generalmente a loro piace prendere parte alle attività che proponiamo, che sono rivolte ai giovani. Si sentono coinvolti. Ha senso oggi parlare, come famiglia, di missione? Ha senso ed è positivo che famiglie giovani si mettano a disposizione della Chiesa. Nel Duemila, quando partimmo, mio marito si licenziò e, quando tornammo, trovò nuovamente lavoro. Oggi è più difficile domandare questo passo a una coppia, perché le circostanze sono cambiate. Occorre avere fiducia nella Provvidenza... Forse si possono domandare esperienze più brevi. Comunque l’incontro con culture diverse è bello, importante, aiuta a cambiare stile di vita. Penso al senso dell’accoglienza degli altri popoli: quando la provi sulla tua pelle, non puoi che viverlo a tua volta. Quello che hai guadagnato andando in missione, lo spendi qui. Forse il futuro potrebbe essere quello delle famiglie a chilometri zero, che si sta sperimentano in Lombardia, cioè mettersi come famiglia a disposizione di una parrocchia, in maniera ampia, non nei tempi ritagliati da tutto il resto. Vivere in una
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A a m g t
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famiglia oggi Nelle foto: la casa
comunità aiuta nella coerenza e aiuta anche nella concretezza del quotidiano, perché non sei solo. La Chiesa, infatti, è comunità.
dei padri della Consolata e, qui sopra, la famiglia di Chiara e Riccardo Colombo
Quindi anche in Italia si può essere missionari? È bellissimo fare esperienze all’estero, perché gli orizzonti si allargano. Devi comunque avere una
comunità che ti spinga e che ti sostenga, come è per noi la Consolata. Quando rientri in Italia, hai una diversa visione del mondo, del lavoro, che pensi non come a qualcosa di totalizzante, ma a uno strumento per vivere. Noi, vivendo in questa comunità, cerchiamo di annunciare il Vangelo con g la nostra vita. ■
L’AC è per te, sostienila! AC è cammino di fede e di testimonianza condiviso. AC è impegno a servizio del Bene Comune. AC è accoglienza, cura e promozione dell’esistenza di ogni persona, in tutte le età della vita. AC è formazione e missione, alla scuola di Gesù per l’evangelizzazione, sulle strade del mondo. AC è “Chiesa in uscita”, nelle grandi città e nei piccoli paesi, nelle scuole e nel mondo del lavoro, nelle parrocchie e nei quartieri. Con tutti e per tutti. Anche tu puoi sostenere le attività dell’Azione Cattolica Italiana,
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L’Ac in Bosnia Erzegovina
Mi smo s vama puoi contare su di noi
di Fabiana Martini
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a convivenza è la chiave del futuro del mondo»: ce lo ha ripetuto con forza e appassionata determinazione mons. Pero Sudar, vescovo ausiliario di Sarajevo e promotore delle “Scuole cattoliche per l’Europa”, una realtà unica nel suo genere che l’Azione cattolica ha contribuito a far crescere e sostenere sin dalla sua fondazione, nel 1994, a guerra ancora in corso, e che oggi contano quasi 5mila allievi (4683 gli iscritti Le Scuole cattoliche per l’Europa – una realtà unica nel suo genere che nell’anno scolastico 2016/2017) distril’Azione cattolica ha contribuito a buiti in 7 centri e 14 far crescere e sostenere sin dalla scuole sotto la guida sua fondazione, nel 1994, a guerra di più di 500 docenti. in corso – ancora oggi contano In tre di questi centri quasi 5mila allievi. In tre di questi centri, ossia Sarajevo, Tuzla e Stup, – a Sarajevo, Tuzla e Stup – siamo tornati una delegazione è tornata dal 13 dal 13 al 16 ottobre al 16 ottobre con un gruppo di ex con un gruppo di ex responsabili dell’Acr a vent’anni responsabili dell’Acr a dall’incontro nazionale Insieme c’è più festa. La convivenza tra i popoli vent’anni dall’incontro è l’arma vera della pace. Il racconto nazionale Insieme c’è più festa, momento di chi c’era
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che sancì in modo gioioso e solenne l’amicizia della nostra associazione con la Bosnia Erzegovina, a cui avevamo cantato (e non era solo una canzonetta, ma un’autentica promessa!) «mi smo s vama siamo con voi/puoi contare su di noi». I partecipanti al viaggio di ottobre erano: Stefania Sbriscia, Giuseppe Notarstefano, Vito Pongolini, Moris Baldi, Massimiliano De Foglio, Antonella Proia, Anna Gobbetti e la sottoscritta. Ancora una volta abbiamo visto con i nostri occhi e toccato con le nostre mani come identità e alterità possono convivere e arricchirsi reciprocamente nonostante i tentativi di negare e annientare le differenze che sono alla radice di tutte le guerre, non ultima quella fratricida che ha insanguinato la ex Yugoslavia e umiliato Sarajevo alla fine del secolo scorso provocando dopo un assedio di 1425 giorni la morte di 13952 persone tra cui 1500 bambini. Un’enclave di speranza Quei bambini per i quali era stata presentata la candidatura al Premio Nobel per la Pace, dopo aver raccolto in tutta Italia 134 mila cartoline di adesione. Quei bambini che aveva in mente mons. Sudar quando sotto le bombe progettava quest’enclave
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ra di religione, perché nonostante sia una scuola cattolica a ognuno viene garantita la sua confessione (musulmana, ortodossa, protestante), mentre quanti si dichiarano non religiosi fanno un’ora di etica; tutti si ritrovano nell’ora di storia delle religioni.
Nelle foto: i bambini della scuola “Sv. Josip” di Sarajevo (nella pagina accanto); i partecipanti al viaggio, i bambini nel cortile della scuola durante la ricreazione; il vescovo ausiliario di Sarajevo, Pedro Sudar (qui sopra), in una classe della scuola
di speranza. Quei bambini che prima di essere croati, serbi o bosgnacchi, prima di essere cattolici, ortodossi o musulmani, sono persone, e come tali rappresentano un valore supremo. Quando li vedi giocare a calcio nel campo davanti alla scuola non noti differenza alcuna: tutti amano correre dietro al pallone e vogliono fare goal, anche se qualcuno tifa per il Sarajevo e qualcuno per lo Zeljeznikar (ma non mancano i sostenitori del Real Madrid!); tutti amano il burek e sognano di fare le vacanze al mare. La differenza la cogli quando arriva l’oI 11/122017
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Rispettarsi nelle differenze Perché la convivenza vera è quella che non omologa, ma si fonda sulla reciproca disponibilità ad accettarsi e a rispettarsi nelle proprie differenze. Che poi è quello che avveniva a Sarajevo, luogo esemplare di incontro di popoli, prima della guerra: un modello passato che è e speriamo diventi sempre più un’anticipazione del futuro, non solo in Bosnia. Le condizioni attuali non sono delle migliori e non è un caso che l’Ecri, l’organismo antirazzismo del Consiglio d’Europa, nel terzo rapporto sul paese balcanico reso noto a fine febbraio solleciti nuovamente la Bosnia a mettere fine «con urgenza alla segregazione etnica in vigore nelle scuole del paese», uno degli elementi che dimostra «la continua mancanza di volontà politica per la costruzione di una società inclusiva». Questa volontà d’incontro, di apertura, di accoglienza dell’altro la Chiesa cattolica la sta portando avanti da più di vent’anni e lo dimostrano gli iscritti alle ottime “Scuole per l’Europa”, frequentate finora da 13226 studenti, di cui il 70% sono cattolici, il 10% musulmani, tra il 5 e il 7% ortodossi e il resto protestanti o non religiosi. Un segno di coraggio e di speranza che per avere un futuro deve poter contare su persone che scelgano di restare in Bosnia e di costruire un futuro nel loro paese: per questo motivo la Fondazione Pro sapientia et clementia (www.katolickeskole-bih.com) assegna delle borse di studio a giovani che fanno l’Università in Bosnia ed Erzegovina, dando la priorità a orfani di uno o entrambi i genitori, a ragazzi e ragazze provenienti da famiglie numerose o vittime di discriminazioni, a figli di disoccupati o in difficili condizioni economiche. Un’occasione che ci viene offerta per ripetere ancora una volta: «Mi smo s vama siamo con voi/puoi g contare su di noi!». ■
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Siria, il desiderio di ricostruire
di Michele Luppi
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a nostra è una vocazione monastica, cioè contemplativa, ed è questo che desideriamo continuare a vivere perché crediamo ce ne sia davvero bisogno, forse ancora di più nel mezzo di questo “caos”. La viviamo L’impegno, in una terra lacerata in semplicità continuando a dalla guerra, di cinque religiose, piantare pomodori, a pregaappartenenti alla congregazione re il Signore, a invocare la delle monache cistercensi. «Per pace, a mettere davanti a Lui le ingiustizie, le violenze, circa due anni e mezzo, fino ma anche i desideri di crealla Pasqua del 2014, tutte le scita, di bene». notti sentivamo i colpi passare sopra la nostra casa o sul nostro Fa un certo effetto sentir pronunciare queste parole terreno. Abbiamo temuto in molte occasioni di dover lasciare dalla voce ferma e dolce il nostro monastero, ma nessuno di una suora italiana che da dodici anni vive in Siria, ci ha mai chiesto di partire. prima ad Aleppo e da quasi E questa per noi – raccontano sette anni in un piccolo vila Segno – è stata una grande laggio cristiano verso il congrazia perché ci ha permesso fine con il Libano. Un’area di restare con la nostra gente»
mista dove alcuni insediamenti cristiani, convivono con una maggioranza musulmana alawita, cioè sciita, ma dove c’è anche una presenza di villaggi sunniti. Ed è proprio qui, in una località di cui non vuole rivelare il nome preciso per ragioni di sicurezza, che la guerra ha sorpreso suor Marta Luisa Fagnani e le sue cinque consorelle, quattro italiane e una siriana, appartenenti alla congregazione delle monache cistercensi. Fortunatamente per le suore il villaggio in cui vivono, rimasto sempre sotto il controllo del governo, è stato risparmiato dai combattimenti più duri di una guerra che, ormai da oltre sei anni, ha cambiato il volto dell’interno paese. I segni della guerra «Per circa due anni e mezzo, fino alla Pasqua del 2014 – racconta la religiosa – tutte le notti sentivamo i colpi passare sopra la nostra casa o sul nostro terreno. È stata una situazione di tensione difficile e logorante soprattutto quando i miliziani, appartenenti a diversi gruppi di opposizione e molti provenienti dall’estero, arrivarono a sparare fin dentro il nostro giardino. Fortunatamente non c’è mai stato, da nessuna delle parti in causa, un attacco diretto contro i cristiani del villaggio o contro la nostra presenza, ci trovavamo semplicemente nel mezzo. Abbiamo però temuto in molte occasioni di dover lasciare il nostro monastero, ma nessuno – nemmeno la nostra comunità in Italia – ci ha mai chiesto di partire. E questa per noi è stata una grande grazia perché ci ha permesso di restare con la nostra gente». Negli ultimi tre anni, mentre la guerra dilagava devastando altre regioni della Siria, il villaggio delle suore è stato risparmiato dai bombardamenti, ma non dalle pesanti conseguenze del conflitto. L’importanza delle suore «Se è vero che da tempo non si combatte più – continua suor Marta -, la situazione è comunque
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senza confini Nonostante le difficoltà, passata la tempesta dei combattimenti, le suore si sono rimboccate le maniche e hanno iniziato ad accogliere persone che provenivano dai villaggi vicini. Purtroppo la costruzione del loro monastero è stata interrotta dalla guerra, ma con l’aiuto di alcuni operai del villaggio la foresteria è stata adattata a piccolo monastero, ricavando anche alcuni spazi per gli ospiti
Nella foto a sinistra: il monastero dove vivono le suore cistercensi. Sopra in una foto di gruppo
molto difficile per le conseguenze della guerra e, ancor di più, per i danni provocati dalle sanzioni internazionali ancora in vigore. Queste sono nate per indebolire il regime di Damasco, ma invece di condizionare la vita politica stanno avendo pensati ricadute sulla quotidianità di un popolo già provato dalla guerra». Oggi in Siria «non possono entrare le medicine, mancano le materie prime, i beni di consumo, e fa male vedere che queste sanzioni vengano rinnovate da Stati Uniti ed Europa senza discussione. La conseguenza di questo è un aumento spaventoso (più del dieci per cento) dei prezzi. C’è una spinta, un desiderio di ricostruire: ad esempio alcuni rifugiati di Aleppo (la zona economicamente più produttiva della Siria) hanno riaperto delle piccole fabbriche nelle nostre zone, ma lavorare è difficile: la corrente è presente non più di due o tre ore al giorno, il gasolio costa 10-12 volte quanto costava I 11/122017
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prima della guerra. Come si può ricostruire un paese in queste condizioni?». Maniche rimboccate Nonostante le difficoltà, passata la tempesta dei combattimenti, le suore si sono rimboccate le maniche e hanno iniziato ad accogliere persone che provenivano dai villaggi vicini. Purtroppo la costruzione del loro monastero è stata interrotta dalla guerra, ma con l’aiuto di alcuni operai del villaggio la foresteria è stata adattata a piccolo monastero, ricavando anche alcuni spazi per gli ospiti. «Abbiamo costruito alcune stanzette – continua la suora – e possiamo così accogliere parecchie persone che sono alla ricerca di un luogo di pace per ritrovare se stesse. Da un anno o due, la gente comincia a venire da noi, a pregare con noi. Nel nostro giardino coltiviamo frutta, verdura, ma soprattutto coltiviamo la speranza, in un modo molto concreto, cioè lavorando e dando lavoro, continuando a impegnarci nel presente e a progettare il futuro. Non sappiamo come si evolveranno gli equilibri, ma crediamo che la vita è comunque più forte. La speranza cristiana ci insegna questo, anche nella fatig ca e nel dolore. Il Cristo ha già vinto la morte». ■
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A VITA
RIMAT
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il primato della vita
- IL P
di Antonio Mastantuono
Gli strumenti della vita spirituale/8
Discernimento, un dono dello spirito
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iscernere, sia a livello personale che a livello comunitario, non è un’azione che s’improvvisa; chiede, invece, disponibilità interiore, capacità di intelletto e desiderio di cambiamento. Il diffuso ricorso oggi al “discernimento comunitario” sembra mettere in ombra l’originaria forma: il “discernimento spirituale”. I Padri della Chiesa lo ritenevano il dono Se non si è innamorati di Cristo, ogni altro amore – fosse necessario per conoscere la volontà di Dio; Antonio, il per la Chiesa, per un ragazzo o una ragazza, per un’impresa, padre dei monaci affermava: «La via più adatta per essere per i poveri, per gli ammalati, condotti a Dio è il discerniper gli emarginati – rimane mento, chiamato nel vangelo inefficace e sterile o, almeno, occhio e lampada del corpo non può essere vissuto come (cf. Mt 6,22-23)... Esso inpienamente appagante per fatti discerne tutti i pensieri l’uomo che desidera unirsi al dell’uomo e i suoi atti, esaSignore attraverso l’esercizio mina e vede nella luce ciò della propria libertà vivificata dall’azione dello Spirito Santo. che noi dobbiamo compiere» (Cassiano, Conferenze II,2). E La rubrica sul “primato della i padri del deserto proclamavita” si affida questa volta al vano che «il discernimento è vice assistente generale di Ac la madre e la custode di tutte le virtù» (Ibid. II,4). Scoprire la volontà di Dio. Oggi, a tutti i livelli della vita, si pongono problemi di sintesi; c’è necessità di integrare sempre più nella vita spirituale la dimensione della storia e dell’esperienza concreta; si vuol vivere sempre più la propria storia come storia di salvezza; si vuole – giustamente – non separare la teoria dalla prassi e si vuole, pertanto, vivere la propria vita spirituale con la coscienza che questa non sta in speculazioni quanto piuttosto nella decisione della libertà che in ogni circostanza concreta, esistenziale, sceglie e compie la volontà di Dio. Di qui la necessità di arrivare a scoprire questa volontà di Dio nel concreto, di ricercarla e di avere, pertanto, un qualcosa – quello che appunto noi chiamiamo discernimento – che mi aiuti in questo
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lavoro di ricerca e che ci consenta, in tal modo, di operare in ogni circostanza quello che conviene fare, quello cioè che ci realizza concretamente in rapporto a Dio e al significato ultimo della nostra esistenza. Può essere inteso come esperienza limitata nel tempo e discontinua, come “tempo forte” e, in quanto tale, come esperienza puntuale di ricerca della volontà di Dio caratterizzata dalle note di straordinarietà, di intensità e di concentrazione e segnata da una coscienza esplicita del processo spirituale che si sta portando avanti. Ma potrebbe essere anche inteso e vissuto come stile di vita, come un habitus inconscio, come atteggiamento di fondo, come una spiritualità vissuta quotidianamente, come esperienza spirituale continua e spontanea di ricerca della volontà di Dio nella propria vita e nella propria missione, quasi come un modo di stare continuamente alla presenza di Dio nell’esercizio delle proprie azioni. Itinerario spirituale in tre verbi. Il discernimento spirituale è innanzitutto un dono dello Spirito che opera in noi e agisce attraverso le nostre qualità intellettuali, che vanno riconosciute con docilità e messe in atto. L’itinerario che conduce alla decisione può essere descritto attraverso tre verbi: sentire, giudicare, scegliere; a essi corrispondono tre fondamentali facoltà dell’uomo: memoria, intelletto e volontà. a) Sentire: il momento della memoria In questa prima tappa si tratta di accorgersi di quello che avviene fuori di noi, attorno a noi e in noi. Si tratta di raccogliere la propria esperienza storica nella sua globalità e di portare tutti i dati al proprio presente: per questo è detto pure il momento della memoria. b) Giudicare: il momento dell’intelletto Per procedere e raggiungere il suo scopo, il discernimento ha bisogno intrinseco di indicazioni che segnalano la direzione giusta per dove passa l’azione dello Spirito; ha bisogno di metri di paragone,
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il primato della vita Questa scelta concreta ed esistenziale, quella del che cosa fare qui e oggi?, deve essere vista come un’incarnazione, direi come un sacramento, del come e del chi, cioè del come condurre la propria esistenza e della persona su cui giocare la propria vita
di chiavi che permettano di valutare sia il cammino che si sta percorrendo sia le disposizioni dell’operatore, e, insieme, di aprire il senso dei fatti per coglierli come “parola di Dio”. Criterio fondamentalmente è la persona di Gesù, Parola vivente del Padre; il discernimento spirituale avviene necessariamente all’interno di una relazione personale con Lui e nella sequela di Lui: non possiamo ipotizzare nella nostra esistenza lo Spirito Santo senza Cristo e al di fuori di Cristo. In questa luce diventano allora importanti soprattutto i criteri della Parola contenuta nella sacra Scrittura, dell’eucarestia e della Chiesa. c) Scegliere: il momento della libertà, della decisione, della volontà È la tappa finale: è il momento nel quale la Parola di Dio viene interiorizzata dall’uomo e fatta propria, senza edulcorarla o impoverirla, ed è il momento della divinizzazione della libertà dell’uomo, che sceglie quello che a Dio è più gradito con un atto I 11/122017
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a un tempo pienamente libero e soprannaturale. Una “questione di stile”. Questa scelta concreta ed esistenziale, quella del che cosa fare qui e oggi?, deve essere vista come un’incarnazione, direi come un sacramento, del come e del chi, cioè del come condurre la propria esistenza e della persona su cui giocare la propria vita. A volte non si capisce il che cosa si deve fare perché non si è scelto con decisione il come. La spiritualità sta dalla parte dell’avverbio piuttosto che dalla parte del verbo o del sostantivo: non importa tanto quello che si fa, quanto piuttosto come si fa. La spiritualità è una questione di stile! Analogamente, è impossibile un vero “come” evangelico senza la scelta fondamentale del chi, della persona, se non partendo dalla persona di Cristo. Pertanto, se non si è innamorati di Cristo, ogni altro amore – fosse per la Chiesa, per un ragazzo o una ragazza, per un’impresa, per i poveri, per gli ammalati, per gli emarginati, ecc. – rimane inefficace e sterile o, almeno, non può essere vissuto come pienamente appagante per l’uomo che desidera di unirsi sempre più al Signore attraverso l’esercizio della propria libertà vivificata dall’azione dello Spigg rito Santo. ■ ■
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E l’Ac è già nel nuovo anno
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n fine 2017 e un inizio 2018 ricco di eventi per l’Azione cattolica. Come sempre, del resto! A metà novembre si è svolto a Roma il Convegno dell’Istituto Giuseppe Toniolo sul tema L’Africa tra migrazioni, interessi esterni e nuovi scenari di cooperazione. Si è focalizzata l’attenzione sulle principali questioni che attraversano il grande continente africano, spesso ignorate dai media e relegate alla letteratura specialistica, e in particolare le migrazioni interne e le condizioni in cui esse avvengono, gli interessi di multinazionali e di paesi terzi su risorse e mercati dell’Africa, i nuovi scenari di cooperazione e le possibilità di coinvolgimento della comunità ecclesiale e della società occidentale in generale, in una prospettiva di sviluppo sostenibile e governance globale. Tra i relatori il card. Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui (Repubblica Centrafricana), Vincenzo Buonomo della Pontificia Università Lateranense e Giulio Albanese, della Fondazione Missio. Clicca l’iniziativa. Una possibilità concreta per condividere le tante iniziative delle Ac diocesane che saranno proposte (e quelle già sorte o in cantiere) in quest’ultimo scorcio d’anno e nel prossimo, per tenere vivo un cammino e una storia che è di tutti gli associati di Azione Tanti appuntamenti cattolica passa per il web. Per questo il e incontri nazionali Centro nazionale mette a disposizione per questo 2108 una e-mail, 150@azionecattolica.it, dove che fa memoria dei le associazioni diocesane possono inviare 150 anni di storia notizie, foto, dépliant riguardo le iniziative dell’associazione. locali nate in occasione del 150° della Occhio alle date! nostra Ac. Tutti gli eventi saranno pubblicati sul sito appositamente dedicato, 150.azionecattolica.it, e saranno visualizzati in una mappa dell’Italia associativa. Il nuovo anno si apre con il Convegno nazionale per Assistenti di Ac, dal titolo Gli assistenti di Ac: figure esemplari di accompagnamento spirituale, a Casa Leonori (Santa Maria degli Angeli – Assisi) dal pomeriggio di lunedì 29 gennaio al pranzo di giovedì 1 febbraio 2018. Il Convegno, al quale sono invitati gli assistenti, regionali, diocesani e parrocchiali di
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Ac (ma anche sacerdoti interessati) sarà l’occasione per riflettere sulla partecipazione dei presbiteri all’interno dell’Azione cattolica, in una stagione di Chiesa straordinariamente intensa e piena di stimoli. Per info segreteria.vescovo@azionecattolica.it . Segnaliamo infine, altri due eventi. Il XXXVIII Convegno Vittorio Bachelet che si svolgerà il 9-10 febbraio prossimi a Roma e si inserirà nel cammino del 150° e sarà l’occasione per approfondire il rapporto tra Ac e impegno per il paese, avendo come stimolo le parole di papa Francesco consegnate proprio all’Ac lo scorso aprile. Sempre all’interno delle celebrazioni per il 150° anniversario dell’Ac, a Milano il 16 marzo si terrà un convegno sulla storia dell’educazione, in collaborazione con Università Cattolica di Milano, Isacem-Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico in Italia Paolo VI e Azione cattolica italiana. Gennaio, inoltre, è il tradizionale mese della pace “a cura” dell’Acr. Sul sito dell’Acr i lettori potranno informarsi sulle varie iniziative in corso (http://acr. g azionecattolica.it). ■
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Adesione: un filo di... e da tessere
di Monica Del Vecchio e Diego Grando*
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nosciuta il movimento del grande telaio della Chieonaci di diventare tessitori sasa è sempre per rendere più originale il disegno, pienti e pazienti di incontri». mai per imitare Penelope. Pensando all’adesione è bello Coltiviamo oggi insieme la Speranza che oltre ogni tornare alle parole di questa strettoia della vita il Signore ci aspetta, come dopo preghiera del responsabile/educatore spesso conla croce e la Pasqua, all’alba di un giorno nuovo, divisa in Azione cattolica. sul lago di Galilea, dove Lui prepara il fuoco di braL’adesione chiede agli “artigiani della vita” d’impace, con il pane e il pesce, invita a mangiare fraterrare l’arte sapiente e paziente del tessitore. namente insieme, ci verifica sull’amore («mi ami In un tempo di file da archiviare in mille cartelle, il tu?») e ci rinnova l’invito a riprendere il cammino, tempo dell’adesione chiede a ciacome a Pietro: «Seguimi!» (Gv 21). scun socio la disponibilità a essere È il momento di rinnovare Cari amici dell’Ac, che le tante tessere che riceve“filo”, a essere parte nello straordil’adesione all’Azione remo siano davvero e sempre più frutto di tessiture nario telaio della Chiesa. Ciascuno cattolica. Una scelta pazienti e sapienti, di relazioni ricche di cura, di con il suo colore e con il suo calore importante, personale e g incontri significativi, di alleanze nuove. ■ è chiamato a un intreccio a volte comunitaria. Con l’auspicio *responsabili nazionali dell’Area che le tessere siano davvero misto e per questo più pregiato... della promozione associativa L’Azione cattolica dentro alle nostre e sempre più frutto di tessiture pazienti e sapienti, comunità parrocchiali e nelle nostre diocesi è di relazioni ricche di cura, ancor oggi questo indi incontri significativi, treccio che nel servire di alleanze nuove le persone e la comunità cristiana si fa rete e tessuto per la 18 vita delle persone. I 20 N Il tempo dell’adesione è la rinnovata diSIO sponibilità a essere insieme tessitori e fili che si lasciano lavorare per quell’opera, molto più di uno straordinario arazzo, che è il regno di Dio nell’oggi della storia. Nel festeggiare i 150 anni dell’Azione cattolica da “operai di un sogno”, riconosciamo con gratitudine la testimonianza di tanti tessitori sapienti e pazienti che ci hanno preceduto sul telaio e che oggi chiedono a ciascuno di sciogliere i nodi per diventare parte in questo “Futuro Presente” dell’opera del grande Tessitore. E una storia, un ordito lungo 150 anni, c’invita a coltivare la Speranza, ché se www.azionecattolica.it www.facebook.com/azionecattolicaita @AC1868 la trama ci sembra in certi giorni sco-
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Con il Fiac, l’Azione cattolica in 4 continenti intervista con Rafael Corso
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Argentina ha passato il testimone... all’Argentina! Un avvicendamento nel segno della continuità è quello di Chiara Santomiero avvenuto all’interno del Forum internazionale di Azione cattolica che ha scelto il nuovo coordinatore dopo il rinnovo delle cariche associative nell’assemblea dello scorso aprile a Roma. È Rafael Corso, un ingegnere informatico di 55 anni, sposato e con 2 figli, presidente dell’Azione cattolica argentina come già il suo Cambio di guardia all’interno predecessore, Emilio Inzaurdel Forum internazionale di raga che è stato coordinatore Azione cattolica. Rafael Corso del Fiac dal 2010 al 2017. è il nuovo coordinatore. «Tra
gli obiettivi che ci proponiamo – racconta a Segno – c’è anche la preparazione degli appuntamenti del Sinodo sui giovani del 2018 e di quello sull’Amazzonia del 2019, oltre alla Giornata mondiale gioventù che si svolgerà a Panama sempre nel 2019»
Qual è la prima impressione di questo incarico internazionale? Un vescovo mio amico mi ha detto un giorno – spiega Corso – che nella Chiesa “cargos son cargas”, cioè le cariche sono pesi, responsabilità. Sono consapevole di come possa essere impegnativo un ruolo di coordinamento tra le Ac di tanti paesi del mondo, ognuna con le sue peculiarità e il suo cammino, ma lavorerò in squadra con gli altri membri del Segretariato e mi conforta poter contare sulla vicinanza di Emilio Inzaurraga, che è un amico di lunga data e ha promesso di continuare a dare il suo appoggio.
Nell’altra pagina: Rafael Corso
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Cosa unisce le varie espressioni di Azione cattolica nel mondo? Il carattere distintivo dell’Azione cattolica è di essere al servizio della pastorale ordinaria di ogni diocesi o Chiesa particolare operando nelle parrocchie e
in tutti gli ambienti della vita sociale e quotidiana. Ma il nostro maggior impegno è aiutare le persone a sentirsi ognuno come un dono di Dio, creato per amore, non una casualità. Ed è una buona notizia che vogliamo portare non solo a quelli che sono nella famiglia di Ac, ma a tutti, dovunque. Solo sentendosi amate le persone sapranno dare il meglio di sé in famiglia, così come al lavoro e nella comunità e riusciremo a costruire un mondo più giusto e più in pace. Su quali piste operative si muoverà il Fiac nei prossimi anni? Il programma di lavoro messo a punto dal Segretariato si svilupperà soprattutto attraverso incontri a livello continentale. Tra gli obiettivi c’è anche la preparazione degli appuntamenti del Sinodo sui giovani del 2018 e di quello sull’Amazzonia del 2019, oltre alla Giornata mondiale gioventù che si svolgerà a Panama sempre nel 2019. Il cammino di questi anni ha portato a una crescita del Fiac che oggi è composto da 34 paesi membri e 37 paesi osservatori di 4 continenti. È necessario rafforzare il lavoro continentale attraverso l’azione di équipes che lavorino a livello locale in raccordo con il Segretariato. L’intento è promuovere le realtà di Azione cattolica esistenti accogliendo anche le sollecitazioni di quanti vogliono conoscerla. Papa Francesco, nel discorso al Congresso sull’Ac dello scorso aprile, ha insistito, tra le altre cose, sul servizio alla formazione del laicato diocesano. E noi vogliamo accogliere questo invito in collaborazione con gli episcopati continentali e regionali. Ci sono già degli appuntamenti di questo tipo in calendario? In Albania, il 25 novembre, è stato programmato un seminario insieme con l’Ac italiana che accompagna da vari anni alcune realtà diocesane in vista della costituzione di un’ Ac albanese. A Betlemme,
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orizzonti di Ac inoltre, dal 1° al 3 dicembre si svolge un seminario di formazione per responsabili parrocchiali di Palestina, Israele e Giordania. È più facile o più difficile oggi vivere da laici cristiani? Non è né più facile né più difficile, è impegnativo come sempre. Siamo figli del nostro tempo e siamo chiamati a dare, con libertà, il nostro “sì”.
Nessuno può dare la risposta al posto di un altro. E siamo chiamati a costruire il Regno che è verità, giustizia, amore, pace, misericordia cioè le parole della liturgia della prossima festa di Cristo Re: avevo fame e mi avete dato da mangiare, ero forestiero e mi avete ospitato, carcerato, nudo, malato... Questo è vivere la gioia del Vangelo e anche la gioia di camminare insieme nell’Azione gg cattolica. ■ ■
Una storia nata nel 1987
Laici missionari nella Chiesa e nel mondo Il Forum internazionale di Azione cattolica (Fiac), di cui l’Ac italiana è membro fondatore e sostenitore, è nato nel 1987 durante il Sinodo dei vescovi Vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo. L’obiettivo è quello di favorire la conoscenza tra le associazioni nazionali di Azione cattolica e promuovere iniziative per approfondire i problemi che toccano la vita e la missione della Chiesa a livello universale, continentale o regionale. Oggi è composto da 34 paesi membri e 37 paesi osservatori di 4 continenti. È coordinato da un Segretariato formato da 5 membri che per il quadriennio 2017-2021 sono: Argentina, Burundi, Italia, Senegal, Spagna. Oltre al coordinatore Rafael Angel Corso, ne sono segretaria Maria Grazia Tibaldi e amministratore Giovanni Rotondo, mentre il servizio di Promozione Ac è affidato a Chiara Finocchietti. All’interno del Segretariato sono stati costituiti dei coordinamenti per età: Giovani, affidato all’Italia; Adulti di cui è responsabile la Spagna e Ragazzi affidato all’Argentina. I 11/122017
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Mlac, mano tesa ai giovani di Graziella Giardino e Monica Vallorani*
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ncidere nella realtà locale. La diffusione della cultura della progettazione ha permesso di poter lavorare “per progetti” in diversi ambiti anche nel sociale. Lavorare per progetti è una modalità che ben si adatta a piccole o grandi realtà, a gruppi ben strutturati o al contrario chi inizia, permette di sviluppare reti tra diversi partner. Cosa fa di un progetto un buon progetto? Un’attenta e scrupolosa analisi del contesto, la giusta pianificazione dei tempi, delle risorse e se avrà conseguito i risultati desiderati. Per raggiungere questi obiettivi l’Azione cattolica, attraverso il Mlac, promuove la realizzazione di progetti ispirati ai principi della Dottrina sociale della Chiesa. Appuntamento a Roma il 27-28 Progetti capaci di cogennaio 2018 presso la Domus struire relazioni tra le Marie con la XII Giornata della persone e gli attori Progettazione sociale promossa sociali del territorio, di dal Movimento lavoratori di Azione cattolica (Mlac). Due giorni stimolare il legame tra promozione umana e di formazione sui temi della testimonianza cristiana Progettazione sociale e l’occasione negli ambienti di vita. per conoscere, e premiare, i Per attuare questo improgetti che hanno partecipato pegno il Mlac ha mesal Concorso di idee per il lavoro e so in campo, dal 2007, la pastorale intitolato Seminatori un concorso. Un’intuidi idee (mlac.azionecattolica.it), zione per tendere una promosso dal Mlac in partenariato mano ai giovani, e non con Caritas Italiana e l’Ufficio solo, che intendevano nazionale per i problemi sociali e cimentarsi in iniziatidel lavoro della Cei
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ve pro-sociali capaci di creare legami solidali sui territori, attraverso progetti che poi erano gestiti e realizzati dai giovani stessi. Seminatori di idee. La scelta della progettualità per il Mlac risiede nel suo essere movimento intergenerazionale che, con i giovani e gli adulti, si pone come obiettivo quello di promuovere una pastorale di evangelizzazione per le persone che lavorano. Il Mlac non si fa compagno di strada solo degli aderenti Ac, ma di ogni persona che nel lavoro è chiamata a riconoscere la propria dignità, testimoniando l’incontro con Gesù Cristo nel lavoro. Un impegno concreto che il Mlac porta avanti attraverso il bando del Concorso delle idee, quest’anno chiamato Seminatori di idee, per stimolare progetti dai gruppi e dai territori, e anche attraverso uno specifico momento di formazione, che sono le Giornate formative di fine gennaio. Un esempio di progetto che viene sostenuto è il laboratorio RiamMagliamo la speranza, nato grazie al bando di idee “Lavoro e pastorale” del 2016. Un laboratorio sartoriale che ha permesso a più di quindici donne vittime di tratta e svantaggiate, residenti nella Comunità di Maglie (Lecce), di apprendere le g basi del ricamo e della sartoria. ■ *équipe di Progettazione sociale
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Storia dell’Azione cattolica nella diocesi di Jesi
ha conseguito la no. Sposato, con uoli di responsaell’Azione cattosi e poi sindaco monsignor Coe è collaboratore
Testimoni di amore e di fede
fatti, confortati e storico-sciene narrativo, nel ti collaboratori. rdinarie dell’Adi momenti e hanno influenLe citazioni di preghiere e le ressione di un anni consacrati
ieri e domani
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Vittorio Massaccesi
orre i 150 anni aderni, focalizesidente, Masdelle associa-
Tra storia e fede, nelle vie di Jesi l volume Testimoni di amore e di fede racconta l’Azione cattolica nella diocesi di Jesi con i nomi e le storie di tanti uomini e donne. La narrazione scorre tra le pagine dei verbali, delle lettere e dei documenti d’archivio con riferimenti anche alle pagine di Voce della Vallesina che dal 1953, dal Un nuovo libro edito suo primo numero, ha accolto i dall’Ave fa memoria pensieri e le notizie dell’associadell’Azione cattolica zione in un sostegno reciproco che di Jesi. Le pagine si è mantenuto nei decenni. ricostruiscono il filo Edito da Ave, il libro porta la firdei ricordi raccontando ma di Vittorio Massaccesi che la vita di tante persone dal 1945 al ‘59 ha ricoperto reche non hanno avuto sponsabilità diocesane, regionali paura di impegnarsi, e nazionali nell’Azione cattolica anche in situazioni italiana e ha avuto modo di incomplesse in cui lo spazio contrare tanti giovani in tutta Italia per la Chiesa era ridotto ed era forte la conflittualità che, oramai grandi, lo ricordano con affetto e con simpatia per la sociale e politica sua capacità di entusiasmare e coinvolgere. «Sono 150 anni che esiste l’Azione cattolica e a Jesi è arrivata poco dopo la sua costituzione – scrive il vescovo Gerardo Rocconi nell’introduzione –. Leggendo il libro, con stupore ho visto come l’Ac è stata presente in diocesi, quale vivacità ha avuto e in che maniera è stata via di servizio, di carità, di formazione, di evangelizzazione». Le pagine riferiscono di tante persone che non hanno avuto paura di impegnarsi, anche in situazioni complesse in cui lo spazio per la Chiesa era ridotto ed era forte la conflittualità sociale e politica. La storia dell’Azione cattolica è intrec-
ciata con la storia d’Italia e del mondo ed è per questo che l’autore ha scelto di dedicare capitoli alla Chiesa di Ungheria e all’11 settembre 2001. L’associazione è stata sempre inserita nelle vicende italiane, esprimendo uomini e donne che hanno ricoperto ruoli di responsabilità come lo stesso autore, che è stato sindaco della città di Jesi. «Spero che la pubblicazione possa incoraggiare gli aderenti di oggi a essere coraggiosi e profetici nella Chiesa e nella società – si augura il presidente Luca Gramaccioni – e possa suscitare il desiderio di un’appartenenza, essenziale per la sopravvivenza di associazioni come l’Ac». L’autore ha lavorato per oltre un anno alla selezione dei documenti che hanno integrato e ridefinito i ricordi e le esperienze personali. «Il libro è la narrazione di un percorso che vuol fissare nel tempo protagonisti e iniziative incontrati lungo la strada della nostro comune impegno – scrive l’autore in premessa –. Ho creduto opportuno richiamare la presenza di tanti militanti che si sono tramandati il testimone con cui Mario Fani e Giovanni Acquaderni hanno iniziato il loro apostolato che ancora può aiutare tanti a percorrere l’affascinante e impegnag tivo cammino». ■
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testi di: CIN D LUIGI AL i: d i n io z illustra NI A Z R O F SILVIA
Il principe e la tigre
Il principe percorreva su e giù gesticolando le stanze del proprio meraviglioso palazzo. Era davvero arrabbiato: – Questa volta dichiarerò la guerra! – gridava. – Tesoro, pensaci bene! – disse la principessa guardandolo negli occhi – Una guerra è una guerra! – Vostra altezza, pensateci bene! – disse il ciambellano abbassando lo sguardo – Una guerra è... – ... è una guerra! E allora? – gridò il principe alzando le braccia. – E allora ci saranno morti, feriti, case abbattute... – sussurrò il ciambellano senza alzare lo sguardo. – Famiglie distrutte, bambini che
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piangono, papà che partiranno per non tornare più... – sussurrò la principessa accarezzandogli il viso. – Oh, insomma! – scattò nervoso il principe – Mi devo sfogare: vado a caccia della tigre, ne ho abbastanza! – prese l’arco, le frecce, salì sul cavallo ed entrò galoppando nella foresta. Il rimbombo degli zoccoli del cavallo sembrava un annuncio di battaglia; la tigre nella sua tana alzò il muso, annusò in silenzio e tese le orecchie: – Tesoro, rimani qui con il nostro cucciolo – disse a mamma tigre – io intanto lo attirerò lontano da questa tana in modo che almeno voi siate in salvo! – Stai attento! – lo supplicò mamma tigre. – Torna presto, papà! – disse il cucciolo in lacrime. La tigre uscì dalla tana e corse verso il principe. All’improvviso balzò davanti al cavallo, che nitrì di paura alzandosi sulle zampe posteriori, e dopo essersi così fatta vedere si lanciò nel folto della foresta in direzione opposta a quella della tana. Il principe spronò il cavallo all’inseguimento: – Galoppa,
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che ce l’abbiamo in pugno! – gridava – La ucciderò e avrò un nuovo trofeo! – Il piano funziona! – pensò la tigre – E ora che ho messo in salvo i miei cari, devo correre veloce per sfuggire alle frecce del principe! – ma ben presto si trovò di fronte un precipizio che le bloccò la strada, senza alcuna via di fuga. Il principe arrivò in fretta e vide lo sguardo spaventato della tigre. Sorrise fiero del proprio potere, tese l’arco per scagliare la freccia, ma proprio in quell’istante un lieve soffio di vento gli accarezzò il viso. Il principe si bloccò. Sentiva finalmente il proprio cuore
scaldarsi, ritornarono fiducia e speranza, osservò la fierezza di quel meraviglioso animale che con coraggio affrontava il proprio destino. Il principe abbassò l’arco, voltò il cavallo e ritornò al suo meraviglioso palazzo. – Ho rinunciato a uccidere la tigre – disse allora alla principessa – perché per la prima volta ho compreso la sua bellezza. E poi i suoi occhi impauriti mi hanno fatto pensare agli occhi di un uomo che sta per essere ucciso. Così ho deciso: quella stupida guerra non si farà! – Stava per uccidermi – disse allora papà a mamma tigre, appena rientrato nella tana – quando improvvisamente ha rinunciato... lui non l’ha visto, perché è un umano, ma quel soffio di vento che ha accarezzato lieve il suo viso era in realtà il battito d’ali di un angelo arrivato in nostro soccorso per fargli cambiare idea! La principessa baciò il principe, mamma tigre e il suo cucciolo leccarono il muso di papà tigre, e proprio in quell’istante tutti si sentirono accarezzati da un nuovo lieve soffio di vento.
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Cresce la voglia di Dialoghi
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Pina De Simone è stata nominata direttore della ome segno di attenzione al tema dei rivista dall’inizio del 2017, dopo i sette anni di Piergrandi mutamenti sociali e antropologici giorgio Grassi, già docente di Filosofia e Sociologia che stiamo attraversando, l’Ave ha apall’Università di Urbino. pena pubblicato il decimo “Quaderni di Per De Simone, «il Premio che ci rende davvero orDialoghi”. Fede e laicità nel passaggio d’epoca, gogliosi, ci sprona ad andare avanti in un percorso questo il titolo del quaderno a cura di Piergiorgio cominciato diciassette anni fa con la direzione di Grassi, con postfazione a firma di Ilvo Diamanti. Luigi Alici prima, di Luciano Caimi, di Piergiorgio Il volume raccoglie gli editoriali scritti da GrasGrassi, e che ora continua, si per la rivista culturale attraverso l’impegno apdell’Ac negli anni che vanno La rivista, un libro, un passionato e competente dal 2009 al 2016 e alcuni premio. Anche grazie alle del Comitato di direzione, articoli più ampi, apparsi in sue pubblicazioni l’Azione nella costante ricerca intempi diversi, a partire dal cattolica italiana riflette tellettuale e nella tessitura secondo numero della ri- e discute a voce alta nel di dialoghi, appunto, che ci vista. Una sorta di guida al difficile passaggio d’epoca rendano capaci di fare culdibattito politico e sociale tura da credenti. È la sfida del nostro tempo, spaziando bella e avvincente che l’Ac ha dalle riforme costituzionali scelto di vivere, anche attraalla presenza dei cattolici verso questa nostra rivista, di in politica, dalla cittadinanuna cultura popolare alta, di za alla costruzione europea, una fede che si lascia interdalle questioni legate all’erogare dalla storia e dalla vita ditoria fino al “processo al comune e che per questo diCrocifisso”. Per Diamanti si venta fermento, spazio aperto tratta di «un manuale per di confronto e di ricerca per orientare la comprensione tutti». delle vicende e delle queNella motivazione del Premio stioni che agitano (e ci agia Dialoghi c’è tutto questo. Vi tano) in questa fase». si legge fra l’altro: «Per sosteUna pubblicazione preceduta nere e alimentare la sua attivida un premio. La Giuria deltà formativa l’Azione cattolica la XXXIV edizione del Premio italiana si è sempre giovata di Capri-S. Michele, presieduta giornali e riviste... Proprio all’inizio del duemila, pur dal professor Lorenzo Ornaghi, ha assegnato il continuando in modo sempre nuovo questa sua Premio Capri-S. Michele-Riviste proprio a Dialoghi, tradizione, l’Azione cattolica ha fondato la rivista trimestrale di attualità, fede e cultura promosso trimestrale Dialoghi, dedicata all’approfondimento dall’Azione cattolica italiana in collaborazione con culturale. In maniera chiara, riflessiva, rigorosa, l’Istituto “Vittorio Bachelet” e l’Istituto “Paolo VI” ed essa intende essere in dialogo con l’intera società edito dall’Ave. contemporanea che è sempre più secolarizzata, riIl Premio è stato consegnato al direttore della riviproponendo anche la visione di vita cristianamente sta, Pina De Simone, docente di Etica e di Filosoispirata che ha per secoli alimentato e sostenuto la fia della religione alla Facoltà teologica dell’Italia g cultura italiana». ■ meridionale, lo scorso 30 settembre ad Anacapri.
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i titoloni
segue da pag. 1
Bernardo di Chiaravalle, alludendo alla Passione di Cristo, compimento del progetto dell’Incarnazione, parla di dono senza prezzo, di grazia senza merito, di amore senza misura: «donum sine pretio, gratia sine merito, charitas sine modo». Il Verbo fatto carne, «che porta salvezza a tutti gli uomini» (Tt 2,11), è un’epifania della bontà di Dio, che la lex orandi traduce in questo modo: «O meraviglioso scambio! Il Creatore del genere umano ha preso un’anima e un corpo ed è nato da una Vergine; fatto uomo senza opera d’uomo, ci dona la sua divinità». L’ora della “pienezza del tempo” (Gal 4,4) coincide con la nascita del Salvatore; facendosi carne Egli rivela che il tempo non solo è capace di contenere l’eternità, ma è anche l’unità di misura dell’amore. Come una delle dichiarazioni più impietose della durezza di cuore è questa: “non ho tempo”, così una delle manifestazioni più eloquenti della latitudo cordis è donarsi in totale gratuità, in pura perdita, senza calcoli. Nulla è più trasgressivo del dono di sé, nulla più disinteressato! Che cosa resta della libertà nostra e di quella degli altri se scatta il registro mercantile
La Domus Unitatis sorge in un incantevole parco, in una zona di notevole prestigio storico, paesaggistico e di particolare interesse enogastronomico. Dista pochi km. da Roma alla quale è ben collegata. Dispone di 21 camere con servizi privati, sala riunioni, cappella, parcheggio interno per auto e pullman.
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di dare-avere? La gratuità di un dono, anche piccolo, come l’obolo della vedova (Mc 12,41-44), apre spazi imprevisti, genera gioia, anzi, la moltiplica. Le più grandi realtà della vita, l’amore, l’amicizia, la bontà, il perdono, non si possono pagare, sono gratis, non poggiano sulla “giustizia commutativa” del do ut des. La gratuità, «che dissemina e alimenta la solidarietà e la responsabilità per la giustizia e il bene comune», non è un complemento ma un requisito necessario della giustizia: «senza la gratuità non si riesce a realizzare nemmeno la giustizia» (Caritas in veritate, 38). L’amore risplende in tutta la sua bellezza solo quando esprime il valore della fedeltà, che non è un sentimento, ma un investimento di tempo! Quando l’amore divino comincia ad abitare il cuore umano ne permette l’espansione, fino a raggiungere la misura alta della gratuità, che consiste nel gusto di fare il bene «non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia» (2Cor 9,7). Per donare occorre aprire il cuore, oltre che le mani, come hanno fatto i Magi a Betlemme; essi, dopo essersi prostrati a terra per adorare «il Bambino con Maria sua madre» (Mt 2,11), aprono i loro scrigni e offrono i loro doni. Aprig re: voce del verbo offrire, infinito del verbo donare! ■ * vescovo di Foligno e assistente ecclesiastico generale dell’Azione cattolica italiana
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spazio aperto
■ In Ac la gioia della fede
■ Un libro “ricaricante”
Caro Segno, sento forte la voglia di dire grazie. Sto vivendo mesi di intensa attività nel mio gruppo Ac. Relazioni, amicizie, incontri. Tanta voglia di “fare” e di crescere insieme. Per me è una scoperta continua, visto che da poco mi sono avvicinato all’associazione su suggerimento del mio parroco. [...] Scopro in Ac una voglia di stare nella Chiesa che dà coraggio alla mia fede e supero la timidezza di dirmi cristiano. Anche solo per questo vorrei esprimere il g mio grazie. ■ Alessandro, 26 anni, impiegato
Spettabile direttore di Segno, mentre faccio i complimenti alla rivista, mi permetto di segnalare l’ultimo libro scritto da un prete della nostra diocesi, ora fidei donum in Perù: don Roberto Seregni. Si tratta di Ri-sorgere e altri “ri” del vangelo (editrice Ancora). Lo sto rileggendo e meditando per la seconda volta e lo trovo illuminante e “ricaricante”. Sono letture che ci aiutano ad approfondire la parola e ad amare g sempre di più Gesù. ■
Libro su teologia e laicato
Il cristiano testimone, la riflessione di Vergottini «L’opera di Marco Vergottini che abbiamo tra le mani si presenta con la veste di una quaestio disputata su uno dei temi che ha maggiormente marcato l’ecclesiologia del Vaticano II ed è stato ripreso più volte nella teologia seguente. Il laico, infatti, è stato il convitato di pietra per un profondo ripensamento della dottrina del concilio sulla Chiesa, nonostante sia noto che le discussioni più accanite siano avvenute sul rapporto tra primato ed episcopato. Nel post-concilio, il leitmotiv è stato “accelerare l’ora dei laici”, uno slogan tanto retoricamente proclamato, quanto praticamente poco esplorato». Il vescovo di Novara e vicepresidente della Cei, mons. Franco Giulio Brambilla, firma la prefazione del volume Il cristiano testimone. Congedo dalla teologia del laicato (edizioni Edb), del teologo milanese Vergottini. Secondo il quale mons. Brambilla «coglie puntualmente il cuore della proposta. Il mio intento è proprio di mettere a fuoco la figura del fedele laico, categoria su cui l’Azione cattolica durante i suoi 150 anni di storia ha dedicato con passione la sua riflessione teologica e il suo apostolato. Basti pensare al contributo di Giuseppe Lazzati, Vittorio Bachelet, Alberto Monticone, Paola Bignardi per fare solo alcuni nomi». Vergottini spiega: «La mia sollecitazione, un po’ provocatoria, è che forse i molti studi sul laicato hanno privilegiato il IV capitolo della Lumen gentium dedicato ai fedeli laici e il decreto sull’apostolato dei laici (Apostolicam actuositatem), mettendo un po’ la sordina sul capitolo II della Lumen gentium, in cui è messa a fuoco la realtà della Chiesa come popolo di Dio. In questo senso, ho cercato di mostrare come la nozione di cristiano risulti più radicale e pregnante rispetto a quella di laico».
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Fausta Arrigoni, Mandello del Lario (Como)
■ Suor Maria Felice e l’Ac Caro Segno, un’altra testimone della misericordia del padre è suor Maria Felice del Preziosissimo sangue, al secolo Vincenza Sfregola, nata a Barletta nel 1905 e tornata alla casa del padre nel 1966. [...] Cresciuta in Azione cattolica, ha svolto il suo ministero tra i più poveri a Roma e poi – scelta la clausura – in monastero a Lovere (Bergamo). Ha irradiato gioia, si è generosamente donata all’umanità imitando Cristo. La ricordiamo in occasione del g 150° dell’Azione cattolica italiana. ■ Padre Ruggiero Strignano, Parabita (Lecce)
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Segno poco puntuale
Caro direttore, la rivista arriva a casa con una periodicità tutt’altro che puntuale. Eppure aspetto il nostro Segno come strumento di formazione all’interno del gruppo parrocchiale. Nel quale, fra l’altro, i più giovani si interrogano sulla “leggibilità” della g versione digitale. [...] ■ Marta, Alessandria Una risposta si deve a Marta, così pure a Francesco, ad Aurora, a Felicita, che ci scrivono con le stessa motivazioni e perplessità. In effetti i problemi evidenziati sono reali e posso solo dire che sono noti alla Presidenza e al Consiglio nazionale di Ac che ci stanno seriamente riflettendo. A noi tutti, soci e amici di Ac, è chiesta pazienza, nella consapevolezza che la condivisione del cammino e della missione associativa possono attraversare anche momenti non facili. Ma noi continuiamo a fare il tifo per la nostra Azione cattolica e ad operarvi con energia e passione. [g.b.]
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di Mar
di Maria Grazia Bambino
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ulle pagine di Segno è stata spesso usata la parola “sovvenire” per parlare del sostegno economico alla Chiesa. Eppure prima ancora di legarla a questo significato essa dovrebbe rientrare a pieno titolo nel vocabolario della spiritualità e in quello della pastorale. Tanto da associarla al “sostegno economico alla Chiesa” più come una conseguenza che come un “obbligo” di coscienza per ogni cattolico nei limiti delle possibilità personali. Infatti se cerchiamo il significato di “sovvenire” in un qualunque dizionario troveremo tra i vari significati i termini “aiutare”, “soccorrere”, “venire in aiuto di qualcuno”. Legato alla Chiesa è un termine che richiama dunque la volontà di portare «gli uni i pesi degli altri» (Gal 6,2). Viene in mente il buon samaritano che soccorre e carica sulla sua cavalcatura l’uomo mezzo morto Il sostegno economico, nella trovato sulla via tra Gerusalemme e Gerico. È il gesto di chi “sostiene” sua modalità propositiva, provando compassione, di chi sofsimbolica e libera, rende fre della sofferenza degli altri, di chi più bello il volto della offre prossimità senza ricorrere alle comunità cristiana
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Chiesa e carità
Appartenere e sovvenire: nella Chiesa due facce della stessa medaglia
parole, ma curvandosi in silenzio e con amore sulle ferite dell’altro. È un termine che richiama anche la figura del Buon Pastore dove esplicitamente vien ricordato che a essere caricata sulle spalle è proprio la pecora che si era perduta, quasi a vincere il suo grande smarrimento con un amore ancora più grande. Quindi “sovvenire” è un termine legato innanzitutto all’amore, all’appartenere, al sostenere chi è nel bisogno, è una parola nella quale si intrecciano diverse dimensioni: cristologica, antropologica, ecclesiologica. “Appartenere” e “sovvenire”, quando si parla di Chiesa, sono due facce della stessa medaglia. Sosteniamo i bisognosi con le risorse economiche e anche chi dedica la propria vita all’annuncio attraverso gesti che possono essere eclatanti ma anche piccoli e durevoli. Tutto questo vale anche nei confronti dei nostri sacerdoti che dobbiamo sostenere economicamente perché appartiamo allo stesso corpo che è la Chiesa. A loro sono dedicate le offerte donate all’Istituto centrale sostentamento clero, che vengono ridistribuite in modo perequativo a tutti i 35.000 sacerdoti diocesani, assicurando uguaglianza e libertà a chi vive di Vangelo. Da qui e solo dopo questo impegnativo percorso inaugurato da Cristo stesso, prende luce e acquista pieno significato l’impegno di sostenere economicamente la Chiesa, che nella sua modalità propositiva, simbolica e libera rende più bello il volto di una comunità, davvero preoccupata di dare più che di ricevere, di una Chiesa che anche quando stende la mano per chiedere lo fa solo per poter continuare a ripetere, come il suo Maestro, «questo è il mio g corpo dato per voi». ■
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perché credere
Maria in Evangelii gaudium/8
La madre che ci cammina accanto di Fabrizio De Toni
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hiusura classica, mariana, ma non scontata quella di papa Francesco nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium. Maria entra a pieno titolo nell’azione riformatrice e nella conversione missionaria della Chiesa tanto da essere definita Madre dell’evangelizzazione. Cinque brevi numeri dai quali emergono delle coordinate utili per la spiritualità laicale. Nel testo si lega insieme, con un procedere libero e pieno di calore senza schematismi razionali, la dimensione materna e quella credente di Maria. Evitando così di perdere da «Sant’Agostino argomentava in una parte una presenza di accompagnamento e di conmodo “scandaloso” che Maria solazione tipici della madre, è più grande come discepola e dall’altra di scadere in deche come madre. Proprio vozionalismi sdolcinati e per perché obbediente discepola nulla evangelici. Rifacendosi dell’ascolto libero alla passione di Giovanni, e operativo, ella diviene tutta tessuta di rimandi simfeconda, generativa, madre bolici, viene richiamato che della Parola». Si conclude, nell’«Ecco tua Madre!» (cfr con l’ottavo articolo, a cura del nuovo assistente nazionale Gv 19,26-27) Gesù stesso affida al discepolo amato, del settore Adulti di Ac, ovvero alla Chiesa amata la la riflessione della rubrica sua stessa madre. Contravannuale sul “credere oggi” venendo a un refrain della predicazione mariana, Eg non parla in prima battuta di «Maria che ci conduce a Gesù» o di «Madre che ci porta al Figlio», verità peraltro cristallina, ma in termini più suggestivi di «Cristo che ci conduce a Maria». Ce l’affida, ce la consegna allargando il cuore materno di Maria. Modello ecclesiale per l’evangelizzazione Quindi Evangelii gaudium la presenta come vera madre, di quelle che camminano accanto. «Missionaria che si avvicina a noi... combatte con noi ed effonde incessantemente la vicinanza dell’amore di Dio». Poi prosegue valorizzando la pietà popolare
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mariana, come luogo di consolazione e di sano recupero delle energie per un cammino di fedeltà al vangelo. Direi che la parte più densa e consistente è dedicata a Maria come donna di fede, come discepola del Figlio. Mi piace richiamare la pagina provocatoria dei sinottici (vedi ad es. Lc 8,19-21) dove Maria in visita con il suo clan si sente rispondere da Gesù, in termini apparentemente irriguardosi: «Mia madre e i miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica». Sant’Agostino argomentava in modo “scandaloso” che Maria è certamente più grande come discepola che come madre. Proprio perché obbediente (da ob audire), discepola dell’ascolto libero e operativo, ella diviene feconda, generativa, madre della Parola. Sotto questo profilo va considerata come «modello ecclesiale per l’evangelizzazione». Ovvero discepola esemplare ed attraente. Per rinforzare la sua idealità evangelica, Eg fa appello a un celebre assioma dei padri della Chiesa, il quale parafrasando risuona così: ciò che si intende di Maria può essere inteso della Chiesa, e viceversa ciò che si intende della Chiesa può essere inteso di Maria. Qui riporto in fila una galleria di espressioni di Eg con un briciolo di libertà, i cui rimandi biblici sono facilmente intuibili. «Maria si è lasciata condurre dallo Spirito attraverso un itinerario di fede... Conserva le cose meditandole nel suo cuore... Lodava Dio... È donna orante e lavoratrice a Nazareth... Non le sono mancate fasi di aridità, di nascondimento e di fatica vivendo nell’intimità con il mistero... È colei che parte dal suo villaggio per aiutare gli altri». Discepola umanissima, colma di tenerezza, non esentata da incertezze e prove. Madre eppure sorella. Discernimento lucido che porta al Magnificat Mi permetto, soffermandomi su un paio di questi passaggi, di sottolineare la sua serietà nel discer-
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perché credere
Roma, Chiesa Domine Quo Vadis. S. Maria “ad Transitum”, Scuola di Giotto
nimento. Vocazionale anzitutto. È da togliersi dalla testa che giovane ragazza sia arrivata al suo “sì” in modo automatico e superficiale. Ha indagato, si è interrogata e ha interrogato il Signore, lottando con Colui che la chiamava, cercando di decifrare il progetto che le veniva proposto. Nella scena della natività la sorprendiamo meditativa. Si sforza di andare in profondità, di scrutare il senso di ciò che accadeva per coglierne la verità e la bellezza. Non un’oca giuliva in balia degli eventi, un’adolescente ammalata di protagonismo e circuita da Dio. PiutI 11/122017
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tosto, intelligente, da intus-legere, desiderosa di scavare e di andare in profondità. E infine creatura grata, sulla cui bocca è fiorito il Magnificat, il canto della gratitudine condiviso con la Chiesa primitiva. In lei non ci sono narcisismi e stati emotivi da fanatica. Il suo discernimento è lucido e perciò prova gioia, legge le tracce evidenti dell’amore di Dio, gusta la tenerezza dell’Altissimo, nasce in lei come una sorpresa la gioia e non può fare a meno di liberare l’entusiasmo cantando e lodando. Non è raro che nei nostri circuiti associativi ed ecclesiali per timore di essere eccessivi, e figli di alcuni vecchi principi della serie “chi si loda si imbroda” o di un mal inteso «quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato dite: “Siamo servi inutili”» (Lc 17,10) si finisca con l’essere freddi e ingrati, mortificando la gioia che domanda di uscire allo scoperto, perdendo una grossa occasione per contagiare e per evangelizzare. Maria è come un’operatrice pastorale o una/un laica/o che «prende l’iniziativa, non dorme; si coinvolge e coinvolge con libertà; accompagna in modo amorevole e generoso l’impresa missionaria della chiesa; fruttifica; festeggia» (cfr. il titolo del n. 24 di Eg). Orientamenti suggestivi per il cammino formativo credente, di quanti vogliono dentro agli ambienti relazionali, professionali, domestici e sociali raccontare e praticare il Vangelo, sentendosi incoragg giati dalla Madre. ■
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la foto
1868-2018: e l’Ac guarda avanti
PROSEGUONO LE INIZIATIVE PER I 150 ANNI DELL’ASSOCIAZIONE, INIZIATE CON L’INCONTRO CON PAPA FRANCESCO LO SCORSO APRILE IN PIAZZA SAN PIETRO (NELLA FOTO GIOVENTÙ FEMMINILE DI AC IN PIAZZA SAN PIETRO NEL 1938)
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