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Poste Italiane S.p.A - Sped. in abb. post. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art.1, comma 2, CNS/AC Roma Segno nel mondo â‚Ź 1,70

Aprile/Maggio 2011

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nel mondo

n.

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Assemblea nazionale Ac

Guardando avanti


5X1000 L’Ac si fa in 4 Ci fACciamo in 4 La Fondazione Apostolicam Actuositatem – Ave al fianco dell’Azione Cattolica Italiana

■ ne supporta con libri e riviste il progetto formativo ■ la sostiene concretamente nella realizzazione di alcuni progetti solidali

1 sui temi del lavoro e del volontariato, degli studenti fuorisede, delle famiglie in difficoltà

2 a Spello, per rendere Casa San Girolamo luogo vivo e attivo di formazione e spiritualità

3 nella Federazione Russa, per sostenere il centro per ragazzi di strada a San Pietroburgo

4 in Burundi, per contribuire alla realizzazione delle adozioni scolastiche

Firma il 5x1 000 nella dichiarazione dei redditi (CUD, 730, UNICO) a favore della FAA-AVE N on t i co st a nu l l a m a va l e un t e so r o:

n el r i q u a d r o r i s er v a t o a l s o s t e g n o d e l

vo l on t ar i a to

i n s e r i sc i i l c o d ic e 9 6 3 0 6 2 2 0 5 8 1

Se non sei obbligato a presentare la dichiarazione dei redditi, puoi comunque esprimere la tua scelta firmando il CUD e consegnandolo gratuitamente ad un CAF o all’Ufficio postale più vicino.


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Fatti

parole di Vito Piccinonna

Giovani e fede: nessuno può stare in panchina

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Suffragati da mille dati statistici, siamo ormai assuefatti a considerare i giovani come un “problema” sociale e anche ecclesiale. Non ci sono, se ci sono non si vedono, se si fanno vedere sono immaturi, se sono immaturi è perché non hanno modelli, se non ci sono modelli è perché abbiamo fallito tutti. Requiem! Nelle razionalissime e impeccabili analisi, però, manca spesso una domanda che probabilmente i giovani stessi ci invitano a porci: di cosa davvero hanno bisogno questi giovani per accogliere al meglio il dono della vita e della fede? E come smetterla di trattarli da eterni bamboccioni ridando loro il diritto-dovere di essere protagonisti nella vita della Chiesa e della società? La domanda è elusa molte volte e in diversi modi non già per cattiveria, ma perché combinando le risposte dei questionari sociologici non viene fuori una risposta nitida. Occorrerebbe allora passare a indagini “di qualità”, stare in strada, incontrarli per davvero, perdere tempo con loro, parlarci seriamente, ascoltarli ore e ore, non cedere alla tentazione del sermone due minuti dopo averli incrociati. E quando vivi la stessa strada ti imbatti in grandi sorprese. Sia chiaro: i problemi ci sono, e anche grossi e qui sarà compito della comunità (cristiana e civile, insieme) porre in essere segni, valori, significati, persone e strumenti per fare anche della crisi un tempo di crescita, per tutti. Certo, la precarietà, la difficoltà a trovare un senso, i disagi familiari e affettivi, la svendita della corporeità, la disaffezione civica, alcuni contesti poco edificanti. Ma ascoltando, camminando insieme, scopri più luce di quanto osavi immaginare. Giovani e adolescenti coraggiosi. Alcuni fragili ma

tenaci, che non mollano mai. Altri che hanno come una scintilla naturale, altri ancora che per spiccare il volo hanno dovuto faticare senza tregua, altri che hanno provato a ri-costruire la loro storia dopo fallimenti, altri che nella generosità hanno fatto della propria vita un dono d’amore alla Chiesa e al mondo. Molti in primissime file, altri capaci di stare utilmente nelle ultime file, lontano dai reporter. Nelle città, nella realtà, ti accorgi, semplicemente, che nessuno di loro è vuoto, nessuno di loro è irrimediabilmente perso, tutti hanno qualcosa di amabile su cui scommettere. Il soffio di Dio è in ciascuno, senza eccezioni, e continua a “fare l’uomo” come agli inizi della creazione. Il dramma non è come sono ma quanto sono soli. È la solitudine il tronco che sta sbarrando il sentiero a troppi. Nella Chiesa, nelle parrocchie, attraverso la sempre attuale proposta dell’Azione cattolica, tantissimi giovani e giovanissimi “normali” affrontano senza veli sugli occhi la loro vita e si lanciano gradualmente verso vette più alte, scegliendo anche la santità. Non sono eroi, non sono l’eccezione. Forse sono, incredibile a dirsi, la norma. Un’ordinarietà sconosciuta e talvolta calpestata dagli stereotipi. La loro presenza, è chiaro, non può appagare, ma piuttosto stimolare un’azione evangelizzatrice e missionaria sempre più appassionata e fondata sulla vita spirituale. Gli elementi immancabili saranno sempre dei bravi educatori, laici e sacerdoti generosi, comunità semplici ma capaci anche di destrutturare le classiche forme e tradizioni che le accompagnano, gruppi di coetanei in cui condividere assieme la fedeltà e la passione per Dio e per gli uomini. E, al centro, significative relazioni, fondate sulla roccia, che hanno il coraggio di mostrare il volto cordiale e solare di Dio e una proposta cristiana capace di essere motivo di pienezza. g A chi tocca? A nessuno è lecito stare in panchina. ■

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la copertina

sommario

Dal 6 all’8 maggio l’Azione cattolica italiana celebra la sua XIV Assemblea nazionale. Un momento di verifica democratica interna, ma anche un momento di confronto con la vita della Chiesa e del paese. Il presidente nazionale, Franco Miano, traccia le linee dei futuri impegni dell’associazione

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le altre notizie fatti e parole

sotto i riflettori

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26 Dall’Italia e dal mondo

economia e lavoro

tempi moderni

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Sara: vi racconto la mia Ac

Giovani e fede: nessuno può stare in panchina

di G. B.

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Difendiamo il Primo maggio

Una fede che ama la terra

Quella scuola ricca di vita

intervista con

di Mariangela Parisi

intervista con

Bruno Manghi

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Agostino Burberi

di Francesco Rossi

di Silvio Mengotto

Vivace, solidale e vigile intervista con

Il cuore del mondo batte qui da noi

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Franco Miano

di giadis

Stop a tutte le mafie

di Gianni Borsa

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di F. R.

di Vito Piccinonna

sotto i riflettori

e Gianni Di Santo

38 Un compleanno che guarda al futuro

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Sempre con le mani alzate

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di Simone Esposito

Sempre su, verso l’alto

Angelo Bagnasco

Benedetto, siamo con te!

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intervista con

di Fabio Zavattaro

Tita Piasentini

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Visti dagli altri

di Barbara Garavaglia

Dove siamo arrivati, dove vorremmo andare

Maria Voce

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e Franco Mosconi

Finalmente aria pulita

di Gianni Borsa

di Gianni Di Santo

di Marco Ratti

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Quei lavoratori nella vigna

Al centro l’educazione

di Domenico Sigalini

intervista con

nel mondo

Hanno collaborato a questo numero:

n.4/5 aprile/maggio2011 Paolo Acanfora, Mirella Arcamone, Valerio De

Mensile dell’Azione Cattolica Italiana Direttore Franco Miano Direttore Responsabile Giovanni Borsa g.borsa@azionecattolica.it In Redazione Gianni Di Santo g.disanto@azionecattolica.it e-mail Redazione segno@azionecattolica.it Tel. 06.661321 (centr.) Fax 06.6620207

Luca, Simone Esposito, Antonella Gaetani, Barbara Garavaglia, Fabiana Martini, Armando Matteo, Silvio Mengotto, Paolo Mira, Alessandro Nizegorodcew, Mariangela Parisi, Vito Piccinonna, Dino Pirri, Marco Ratti, Francesco Rossi, Domenico Sigalini, Paola Springhetti, Dario E. Viganò, Fabio Zavattaro Editrice Fondazione Apostolicam Actuositatem Via della Conciliazione, 1 - 00193 Roma Direzione e Amministrazione Via Aurelia, 481 - 00165 Roma

intervista con

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di Fabiana Martini

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cittadini e palazzo

Grafica e impaginazione: Giuliano D’Orsi, Veronica Fusco Stampa Mediagraf S.p.a. Viale della Navigazione Interna, 89 - 35027 Noventa Padovana - PD Reg. al Trib. di Roma n. 13146/1970 del 02/01/1970 Per le immagini si è fatto ricorso alle agenzie Olycom, SIR e Romano Siciliani Chiuso in redazione il 22 marzo 2011 Pubblicazione associata all’USPI (Unione Stampa Periodica Italiana)

Abb.to annuale (10 num.) € 20 Per versamenti: ccp n.78136116 intestato a: Fondazione Apostolicam Actuositatem Riviste - Via Aurelia, 481 – 00165 Roma Fax 06.6620207 (causale “Abbonamento a Segno”) Banca: Credito Artigiano - sede di Roma IBAN: IT88R0351203200000000011967 cod. Bic Swift Arti itM2 intestato a: Fondazione Apostolicam Actuositatem Via Aurelia, 481 - 00165 Roma Tiratura 152.300 copie


famiglia oggi

40 Nati per leggere intervista con Bruno Tognolini di Barbara Garavaglia

quale Chiesa

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4

La Cracovia di Wojtyla di Alessandro Nizegorodcew

44 Pasqua: la rivoluzione del possibile

i titoloni

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spazio aperto

Un film che sgomita

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di Armando Matteo

di Dario E. Viganò

Le lettere

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giorno per giorno

In compagnia di ogni educatore

Recensioni

di Mirella Arcamone

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di Antonella Gaetani

sulle strade della fede

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Il grande convento di Bosco Marengo di Paolo Mira

In memoria dei luoghi comuni di Paola Springhetti

5X1000: l’Ac si fa in quattro

chiesa e carità

60 Giovani e 8X1000: osiamo di più

senza confini

di Maria Grazia Bambino

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perché credere

Un impegno in più contro le mine

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intervista con

Accettare la sfida

Giuseppe Schiavello

di Dino Pirri

di Valerio De Luca

la foto faccia a faccia

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Popoli in bilico

Olimpiadi a Roma nel 2020? Si può fare intervista con Mario Pescante di Simone Esposito

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sotto i riflettori

Vivace, solidale e vigile È l’Azione cattolica che ha negli occhi e nel cuore il presidente nazionale, che incontra Segno alla vigilia della XIV assemblea. Un momento di verifica per pensare insieme e rilanciare l’impegno associativo nella Chiesa e nella costruzione della città. «In questi tre anni – racconta – ho visto un’Ac generosa e attiva. Pronta ad affrontare le sfide del futuro». Una chiacchierata a tutto campo su emergenza educativa, formazione sociale e politica, etica pubblica. «La famiglia? Dev’essere seguita, custodita e accompagnata». Una sottolineatura particolare alla dimensione internazionale dell’Ac

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sotto i riflettori intervista con Franco Miano di Gianni Borsa e Gianni Di Santo

Sopra: il presidente nazionale di Ac, Franco Miano. A sinistra: l’Azione cattolica incontra il Papa a Roma in piazza San Pietro il 30 ottobre 2010

l centro nazionale dell’Azione cattolica a Roma ormai non c’è più nessuno. È una piovosa serata di marzo e anche la portineria ha chiuso bottega. Il presidente nazionale arriva in tutta fretta con la borsa piena di giornali e libri: «Tornerò a casa, a Pomigliano, tra qualche giorno – ci dice –. È così da un bel po’ di tempo: giro le diocesi, partecipo a convegni, ho le mie lezioni universitarie. Credo che fino all’assemblea sarà sempre così. Sono davvero stanco… ma proprio contento». Il professor Franco Miano prende posto dietro la scrivania, sfoglia attentamente la posta, poi chiede ai due giornalisti di Segno: «Come vanno le cose?». Quindi si comincia. L’Ac, la Chiesa, il paese, l’associazione, il mondo...

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Vi v e re l a f e de , a m a re l a vi ta: è i l titolo dell ’assemblea del 6-8 maggio. L’Ac si confronta costantemente c on l a C h i es a e l a c o m u nità civile. Ma l’assemblea tri en nale r ap pr esen ta u na opportunità particolare per fare il punto. Quali sono le p a r o l e - c h i a ve p e r l ’ o r m a i prossimo appuntamento? Le parole “importanti” dell’assemblea sono almeno di due tipi. Le prime riguardano il percorso che dal Concilio vaticano II in poi l’associazione ha vissuto: sono tutti quei termini che hanno a che vedere con la responsabilità personale, la corresponsabilità gerarchia-laici, il senso vivo della democrazia. Sono le parole, e gli impegni concreti, di un’associazione che vorrebbe ogni socio impegnato direttamente, da protagonista; ciascuno portando il proprio originale contributo. In fondo è un modo per tradurre la responsabilità dei laici nella Chiesa e nel mondo così come ci chiede il Concilio stesso. Mi chiedo: cos’è la vita democratica dell’associazione se non

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un modo per rispondere all’insegnamento conciliare, alla spinta che esso ha dato al ruolo laicale nella Chiesa? Poi ci sono alcune parole che oggi hanno bisogno di un’accentuazione, sono elementi-cardine dell’Ac, parole di sempre ma da rilanciare: ad esempio il binomio fede-vita, perché qui si racchiude la ricerca più profonda del cristiano, il suo senso di coerenza, la sua capacità di vivere una fede che sappia amare la vita e amarla in tutte le sue dimensioni. Il tempo di oggi domanda a tutti noi una testimonianza più incisiva, coerente, più capace di andare all’essenziale, ai contenuti della fede. E ovviamente non posso dimenticare la parola “educazione”. A p roposito di ed ucazione: s o no s t a t i da po c o p ubb licati gli Orientamenti pastor a li de l l a Ch i e s a it al i a na dove al centro è proprio l’ed uc a z i o ne , c o n qu a l c he sottolineatura fondamentale dedicata all’Ac… La Chiesa italiana ha appena affidato alle comunità cristiane gli Orientamenti pastorali per il decennio fino al 2020. Un compito e una missione – quella dell’educazione – che l’associazione ha nel proprio dna. C’è un passaggio al numero 43 degli Orientamenti che interessa proprio l’Ac. La Chiesa italiana ci chiede, forti della nostra esperienza nel campo educativo, di continuare a sviluppare un legame con la Chiesa locale. Un legame importante non solo dal punto di vista ecclesiale ma, proprio perché fatto di storie e volti, ancora valido nella capacità di tessere relazioni tra società e persone in un dato territorio. Un secondo riferimento ribadisce che l’Ac è scuola di formazione cristiana. Vorrei sottolineare che l’Ac, nello spirito conciliare, è scuola di formazione di tutto l’uomo. Il terzo riferimento, infine, è alla santità laicale. Nel

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sotto i riflettori

triennio passato abbiamo approfondito nei nostri cammini formativi il concetto della chiamata a essere santi insieme; ed essere santi con lo stile e negli ambienti in cui vive e opera il laico: la famiglia, il lavoro, la società, la cultura. Il fatto che poi vengano richiamate figure di santità vicine all’Ac significa che la Chiesa riconosce un valore particolare al nostro stile e al nostro impegno. Ciò non può che farci piacere. Se penso a quanti educatori, animatori, soci di ogni età sono impegnati nelle pastorali parrocchiali e diocesane e in opere di carità posso dire a voce alta che siamo pieni di bei volti e belle storie in cui l’elemento teologico si è integrato con l’elemento del vissuto. Un patrimonio da far cogliere in tutto il suo valore. Edu c azi on e, f ed e e am or e: i t e rmi ni s o no s t at i accostati e intrecciati tra loro dall’Ac, sia nel camm i n o d i p r e p a r a z i on e c h e i n q u es t a f as e as s em bleare. Esatto. L’educazione in Ac significa, come dicevo, coniugare fede e vita. Ovvero impegno educativo a tutto campo. Vorrei rimarcare il compito e la vocazione dell’educare nella linea del bene comune. La scelta educativa non è una scelta di retroguardia, non è un confinarsi all’interno, bensì una scelta per servire la vita delle donne e degli uomini del nostro tempo, la vita della comunità locale e della città. E poi c’è l’amore. Voglio richiamare all’attenzione quanto il Santo Padre ci ha detto durante l’incontro a piazza San Pietro del 30 ottobre scorso quando, rispondendo alle domande dei ragazzi, ha invitato a pensare l’amore non come una dimensione edulcorata della vita ma una forte passione che ci coinvolge tutti, che impegna in una relazione positiva, generosa, serena verso l’altro, gli altri. E che ci permette, seguendo l’insegnamento di Gesù, di guardare il prossimo a viso aperto. L’amore ha un carattere rivoluzionario e c’è uno stretto collegamento tra responsabilità, educazione e amore. In questi tre anni di servizio come presidente nazionale, come ha trovato l’Ac? Le realtà territoriali, dalle parrocchie alle diocesi, danno segnali di vivacità? Sono stati tre anni molto belli. Ho trovato una famiglia associativa vivace, attiva, impegnata, certa-

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La scelta educativa non è una scelta di retroguardia, non è un confinarsi all’interno, bensì una scelta per servire la vita delle donne e degli uomini del nostro tempo, la vita della comunità locale e della città

mente con caratteristiche differenti a seconda delle diversità territoriali: perché è chiaro che la configurazione culturale, tradizionale, economica e sociale ha la sua incidenza sulla realtà dell’Ac. Ad esempio l’Ac delle grandi città si trova ad affrontare realtà e sfide diverse rispetto a quelle dei piccoli centri. E lo stesso si può dire delle situazioni regionali, dal nord al sud del paese. Penso che sempre di più l’Ac si stia caratterizzando come famiglia che, in senso unitario e con caratteristiche nuove, si mette al servizio della propria Chiesa e del proprio territorio. L’Ac sa cambiare, tenendo ben salde le radici nella propria storia, sa adeguarsi alle necessità dei luoghi e dei tempi in cui è chiamata a portare il messaggio del vangelo. Talvolta con risultati positivi, incoraggianti, qualche altra volta con maggiori fatiche. Ma sempre con un grande e generoso slancio da parte dei soci e di un’area vasta di amici e simpatizzanti che scopriamo vicina e attenta all’associazione. Quali temi e impegni prioritari intravede per il prossimo cammino dell’Ac? Il prossimo cammino che abbiamo di fronte chiede un’Ac popolare, capace di incontrare la vita della gente nel territorio e di sostenere il cammino di ricerca di Dio e di vita buona. Una scelta semplice ed essenziale: è una strada che già percorriamo, va rafforzata e resa più significativa. Accanto a ciò, credo debba essere rafforzato il senso della cura dell’interiorità, che non è un guardare a se stessi ma il tentativo di vivere in profondità la propria vita per poi porsi al servizio del bene comune. La cura della spiritualità, dell’interiorità e del silenzio, acquista maggior rilievo e carattere di urgenza oggi, soprattutto se pensiamo al nostro tempo, troppo esteriore, basato sull’immagine, sull’avere e sull’apparire prima che sull’essere. L’altro grande impegno è la formazione sociale e politica per tutti, per tutte le età e per tutte le condizioni.


sotto i riflettori G i à, l a f or m a z i o n e p ol i t i c a . S i r i l ev a d a t e m p o u n “vuoto etico” in Italia, sia nel campo delle relazioni tra le persone sia nel progettare un futuro possibile per il paese. Lei pen sa ch e dai l aici cristiani impeg nati n e l l a c u l t u r a, n e l s o c i al e , n el l a p o l i t i c a, p o s s an o emergere risposte nuove ed efficaci al problema? È la formazione del cittadino che sempre di più ci deve stare a cuore. Le provocazioni che la realtà ci propone sono sempre più chiare: noi dobbiamo rispondere con uno sforzo di formazione che sappia guardare lontano e che sia alla portata di tutti. E solo da una formazione diffusa potranno nascere nuove vocazioni all’impegno sociale e politico da accompagnare alle tante vocazioni culturali e civili già esistenti, che vanno valorizzate e sostenute. Questo mondo è splendido ma complesso allo stesso tempo; la vita moderna, la scienza e la tecnologia, le grandi trasformazioni demografiche (dalle

migrazioni all’invecchiamento della popolazione nei paesi ricchi), gli avvenimenti internazionali, richiedono sensibilità, capacità di lettura e discernimento, apertura al dialogo, spinta alla responsabilità. Fare formazione vuol dire intercettare queste novità, mettere dei punti fermi sul piano dei valori e dell’etica, indicare la strada dell’assunzione diretta di impegni. I credenti non possono restare nelle retrovie. Il vangelo va portato per le strade del mondo. L’Azione cattolica ci ha sempre creduto e continua a farlo: i laici cristiani devono contribuire a costruire la città degli uomini. È questa la loro specifica chiamata. A chi chiede, anche tra i soci, che l’Ac levi la voce di fr o n te a l l e s ce l te p o l i t i c h e c h e i l Pa r l a m e n t o c i mette davanti, lei cosa risponde? Rispondo che dalla formazione si possono costruire

Nella foto: gli ultimi sette presidenti nazionali di Ac. Da sinistra: Giuseppe Gervasio, Raffaele Cananzi, Mario Agnes, Franco Miano, Paola Bignardi, Alberto Monticone e Luigi Alici

Un migliaio di delegati per discutere e votare

UN’OCCASIONE DI DEMOCRAZIA DA SEMPRE NEL CUORE DELL’AC ppuntamento al 6 maggio, dunque. Un programma intenso per una tre giorni di lavoro che vedrà i delegati di Ac confrontarsi su idee e programmi per il futuro. Al saluto di Franco Miano, si alterneranno quelli del card. Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio consiglio per i laici e di mons. Mariano Crociata, segretario generale della Cei, per poi passare direttamente alla relazione del presidente di Ac. Il giorno dopo, celebrazione eucaristica di mattina presto presieduta da mons. Domenico Sigalini, assistente ecclesiastico generale di Ac, e poi tutta la giornata dedicata ai lavori di gruppo e al dibattito sulla relazione del presidente. La sera votazioni per il rinnovo del Consiglio nazionale e... un po’ di pausa. Domenica 8 maggio celebrazione eucaristica presieduta dal card. Bagnasco, presidente della Cei, e replica del presidente nazionale. Infine, votazione del Documento assembleare e proclamazione degli eletti.

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sotto i riflettori

esperienze. Formazione non è tutto, però se vissuta bene è la strada maestra su cui poi una pluralità di esperienze acquista significato. L’Ac può disseminarle sull’intero territorio nazionale: seminari di formazione politica, laboratori della partecipazione, confronto con persone impegnate in politica, scuole di formazione sociale e politica. Qui dobbiamo essere protagonisti. Tanto più queste esperienze saranno vissute, quanto più il nostro paese crescerà. E poi vorrei aggiungere una parola. La ascoltiamo... Periodicamente l’Ac, attraverso la Presidenza nazionale, interviene pubblicamente, nel tentativo di contribuire a una lettura della realtà nazionale e prende posizione su alcuni fatti politici. Lo abbiamo fatto varie volte negli ultimi mesi, con un messaggio reso noto a settembre, al termine del convegno presidenti diocesani di Ancona, e poi ancora prima di Natale e infine a febbraio, con un documento intitolato Misura, decoro, rispetto. Modelli per le nuove generazioni (si veda il riquadro in queste pagine – ndr). Interventi di questo tipo provengono non di rado anche dalle Ac parrocchiali e diocesane su temi più direttamente locali, a riprova di un radicamento sul territorio che è tipico della nostra associazione. Certo, l’Azione cattolica non insegue le polemiche o la battaglia gridata, ma cerca, con uno stile costruttivo e propositivo, di rendersi presente

nel dibattito su tutti i temi della vita italiana. Ricordo, in particolare, il bell’incontro del novembre scorso con gli amministratori nazionali e locali soci di Ac: è stata, a detta di molti, un’esperienza da consolidare e continuare. Del resto l’impegno verso il bene comune è stato a n co r a u n a v o l t a i n c o r a g g i a to d a l l a Se t t i m a n a soci ale di Reggio Cal abri a, che l’Ac ha preparato con estrema cura, coi nvolgendo il l ivel lo locale e regionale dell’associazione. Sì, è vero, Reggio Calabria ci ha lasciato tanta voglia di fare. La riforma elettorale, la moralità pubblica, la valorizzazione della scuola, dell’università e della ricerca, la cittadinanza agli immigrati, i giovani. Ci sono infiniti ambiti di impegno che vogliamo e dobbiamo percorrere. Ad esempio, si parla tanto di giovani: da noi, in Ac, i giovani sono al centro della cura formativa ma al contempo hanno responsabilità proprie. Sono abituati a prendere decisioni e ad assumersi responsabilità. Il contributo del cattolicesimo impegnato in politica è da guardare, prima che ai numeri e ai voti, alla qualità del suo essere propositivo e migliorativo rispetto ai profondi disagi del vivere d’oggi. Sp esso i n Itali a si parl a, e tal volta si str aparla, d i famiglia. Essa si può ancora considerare il nucleo fondamentale della società? Quali sono le maggiori

Un documento della Presidenza Ac

VITA PUBBLICA, ETICA, MODELLI PER LE NUOVE GENERAZIONI isura, decoro, rispetto. Modelli per le nuove generazioni, è il titolo del documento reso noto dalla Presidenza nazionale di Ac in occasione dell’ultimo Convegno Bachelet (11-12 febbraio 2011) sullo scadere della vita pubblica e dell’immagine delle istituzioni in relazione a comportamenti di alcuni politici, per niente consoni al grado di responsabilità e alla visibilità assunta. Il testo richiama anzitutto un recente intervento del cardinale Angelo Bagnasco, presidente Cei, che ha evidenziato il disastro antropologico che si compie a danno dei giovani e di quanti sono nell’età in cui si fanno le scelte definitive per il futuro della propria esistenza. C’è una rappresentazione fasulla dell’esistenza – afferma la Presidenza Ac –, c’è un tentativo di mettere in primo piano il successo basato, come dice Bagnasco, sul «guadagno facile, l’ostentazione e il mercimonio di sé. Il rischio, prosegue il testo di Ac, è che tali vicende, «che trovano ampio spazio nei media, facciano emergere la desiderabilità di stili di vita per i quali “il potere può tutto”». Secondo la Presidenza nazionale dell’associazione, «non è educativa l’immagine della donna emersa in numerosi racconti giudiziari e mediatici. Ne è stata ripetutamente e insistentemente violata l’intangibile dignità, libertà, uguaglianza. Non è educativa, allo stesso tempo e con la stessa intensità, l’immagine dell’uomo incapace di riconoscere nel corpo della donna, e nel proprio, un dono straordinario, certamente non finalizzato ad appagare un desiderio egoistico di possesso. È, invece, educativo, a nostro avviso, ridire con forza […] la bellezza vera di ogni età e di ogni soggettività, il senso profondo dell’essere uomo e dell’essere donna». Ancora: «Non è educativa l’idea che i giovani e gli adolescenti, per realizzarsi, debbano mettere da parte i propri talenti, seguendo tristi scorciatoie. […] È educativo e importante, valorizzare e dare sempre più spazio ai giovani talenti dello studio, della ricerca, dei mestieri e delle professioni, ai giovani del volontariato e del servizio gratuito agli altri» (il documento integrale è disponibile nel sito www.azionecattolica.it).

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sotto i riflettori Nella foto: la VII Assemblea (1989); il terzo da destra è l’allora vicepresidente dei giovani Franco Miano

difficoltà che incontra al giorno d’oggi? Come intraprendere azioni educative e politiche sociali ed economiche favorevoli alla famiglia? La famiglia, le famiglie, stanno da sempre a cuore all’Ac, perché in famiglia si incontrano le persone, si vivono e alimentano relazioni profonde, perché si sperimenta l’amore, perché ci si spende con generosità e vi si costruisce il futuro dei singoli e della collettività. Penso che la famiglia vada non solo seguita, ma anche custodita e accompagnata. Accompagnare i giovani sposi, i fidanzati, accompagnarli sia dal punto di vista affettivo e psicologico che dal punto di vista socio-economico. Penso al rapporto genitori-figli e quanto l’associazione sia di aiuto in questo con l’Acr e i nostri gruppi giovanissimi. E poi ho in mente la vita delle persone anziane e quanto l’incontro tra generazioni sia oggi la chiave di volta per immaginare un futuro diverso e migliore. Una famiglia piccola comunità che si apre alla famiglia dell’intera umanità. In questo senso penso a quanto sono importanti i sacerdoti assistenti, i nostri “accompagnatori”, che ci aiutano costantemente a indirizzare la nostra attenzione ai grandi temi dell’educazione, della vita e della famiglia. Infine vorrei anche ricordare che ci sono tante persone che non hanno famiglia, oppure che vivono una condizione di disagio familiare, che sono sole. Vale per gli adulti e anche per tantissimi bambini, adolescenti e giovani. L’Ac può essere la “loro” famiglia. È una vera urgenza e noi non possiamo rimanere con le mani in mano. L’impegno dell’Area famiglia e vita dell’Ac è notevole, ma ogni socio si deve sentire

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chiamato a un’attenzione straordinaria, delicata e generosa verso queste situazioni. L’assemblea di maggio porrà al centro dell’attenzione anche la di mensione internazional e dell’Ac. Dalla parrocchia al mondo, potremmo dire? È vero. Insisto molto sulla dimensione internazionale dell’associazione. Sappiamo quanto il Fiac faccia in questa direzione. E non è un caso che a presiedere la nostra XIV assemblea sarà Emilio Inzaurraga, argentino, coordinatore del Forum internazionale di Azione cattolica. Dalla parrocchia al mondo: solo così la nostra storia di fede diventa esperienza planetaria a servizio di tutti, dell’Altro che è “oltre” noi, degli altri cui ci sentiamo legati fraternamente. Del resto gli avvenimenti mondiali bussano ogni giorno, grazie ai mass media, alle nostre porte, alla nostra coscienza. La fede e l’impegno a evangelizzare non possono che essere vissuti in una dimensione di massima apertura al mondo, di condivisione con i poveri del pianeta, con chi ha perso il lavoro per colpa della crisi oppure vive in situazioni di guerra, con chi lotta per la libertà e la democrazia, con chi testimonia il vangelo in paesi in cui non è rispettata la libertà religiosa. Vorremmo farle tante altre domande, ma le lasciamo qualcosa da dire anche in assemblea! Scherzi a parte: ci regal i tre agg etti vi p er l’Ac che si vuole costruire nel prossimo triennio... È una bella responsabilità. Diciamo che ci vorremmo impegnare per un’associazione vivace, solidale e g vigile. Che guarda al futuro con un sorriso in più. ■

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sotto i riflettori

Benedetto, siamo con te! di Domenico Sigalini

giusto ogni tanto fare qualche piccola fotografia che ti permette di leggere che cosa sta capitando in associazione. La vita si svolge sempre nella sua continuità, mai uguale perché la fantasia del Signore, la nostra decisione di impegno, e talvolta anche i guai sono sempre all’ordine del giorno. Così si è sviluppato questo grande triennio che vogliamo collocare tra due date belle che lo hanno caratterizzato: 4 maggio 2008 – 30 ottobre 2010. Sembrano due anni, ma in realtà sono tre, perché al 4 maggio non si è arrivati il giorno prima, ma con tutta una preparazione precedente che è datata almeno dall’autunno dell’anno 2007 quando si cominciarono a fare le assemblee elettive parrocchiali del triennio precedente e il 30 ottobre 2010 non è finito il giorno dopo alla basilica di San Paolo, ma è continuato almeno fino a Natale se non oltre. Sono due date che possono racchiudere il volto dell’Ac di questi anni: dalla proposta esplicita solenne della santità vissuta nella quotidianità degli anni successivi alla offerta gioiosa L’assistente e travolgente della forza educativa che ecclesiastico generale da sempre ravviva le associazioni con i di Ac fa il punto ragazzi e gli adolescenti. del cammino Un cammino di fedeltà alla Chiesa unidell’associazione in questi ultimi tre anni, versale e al Papa, e di corresponsabilità racchiudendolo in due con le Chiese diocesane, con i vescovi e con i presbiteri. L’incontro del 4 maggio date fondamentali: 2008 è stato il punto di arrivo di una 4 maggio 2008 e 30 ottobre 2010. Momenti celebrazione ricca e capillare dei 140 anni di vita dell’Azione cattolica e il indimenticabili per punto di partenza di un triennio dedicaun futuro che già to, come suggerito dal Papa, alla sanoggi è tra noi tità, fatta di formazione alla vita interiore e di risposta generosa alla missione evangelizzatrice. Entro questa tensione si è sviluppata una ricerca diocesi per diocesi di figure di laici e di assistenti santi, iniziata nel triennio precedente con l’approvazione della fondazione “Azione cattolica, scuola di santità - Pio XI ”. Abbiamo avuto la gioia di venerare

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come beato un assistente, don Francesco Bonifacio di Trieste, e siamo pronti a celebrare la beatificazione già annunciata ufficialmente dal papa del Toniolo. Avremmo desiderato tanto poter annoverare tra i beati anche Armida Barelli e la Nennolina, ma forse non ce lo meritiamo ancora pur prevedendo oggi un cammino forse più spedito. Questo è quanto vorremmo avere davanti alla nostra vita di fede, che nel quotidiano è fatta di scavo nelle vite delle nostre associazioni e soprattutto di quotidiana formazione alla santità a tutti i livelli associativi. Il Santo Padre non ha mai mancato di farci avere la sua Parola di incoraggiamento e la sua cura in tutti gli incontri fatti personalmente con il presidente e l’assistente, con i ragazzi dell’Acr a ogni Natale, con gli assistenti nel convegno nazionale del 2008. Ci troviamo tutti gli anni in piazza all’Immacolata e il Papa non manca mai di dirci la sua gioia nell’accompagnarci. Siamo stati contenti di dimostrargli il nostro attaccamento, la nostra stima e la assoluta solidarietà assieme a tutte le associazioni della Consulta dell’apostolato dei laici nel maggio 2010 in momenti di bufera mediatica pretestuosa nei suoi confronti. Volevamo solo dire che noi eravamo e siamo con lui, che lo ringraziamo della sua forte e sicura guida e che l’Azione cattolica, con tutte le altre associazioni, lo segue senza tentennamenti. Questa gioia di stare col Papa si è tradotta in una cordiale corresponsabilità con tutti i pastori delle nostre Chiese diocesane. Il fulcro del lavoro straordinario, perché le nostre associazioni hanno contatti ordinari e quotidiani con i propri vescovi, è stata la Settimana sociale dei cattolici italiani tenuta lo scorso ottobre a Reggio Calabria. L’abbiamo preparata con 16 incontri pubblici, uno per ogni regione ecclesiastica, su temi di impatto sociale alla luce della dottrina sociale della Chiesa, seguendo l’agenda della settimana sociale. Ne è nata una risposta ancora più concreta alle sollecitazione sia del papa che dei vescovi per una generazione nuova di


sotto i riflettori La pagina più interessante che ora l’Azione cattolica, nella sua diffusione capillare, sta scrivendo è quella della corresponsabilità con i vescovi nel diffondere e attuare gli Orientamenti pastorali per gli anni 2010-2020, Educare alla vita buona del vangelo

Nella foto: mons. Sigalini, con il presidente nazionale, ricevuti da Benedetto XVI

persone impegnate in politica a tutti i livelli. A detta di tutti gli amministratori di Azione cattolica, che sono impegnati nelle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, presenti all’incontro che li ha visti per la prima volta riuniti a Roma, è cambiato il vento dell’interesse per l’impegno politico. È uscito allo scoperto il sommerso e si è iniziata una attenzione nuova formativa nei confronti di chi per vocazione e per elezione ha assunto questi incarichi: scelta religiosa matura, non di nicchia, né di fuga, partecipazione alla vita associativa per sostenere il percorso personale di fede, collaborazione ecclesiale nella ricerca e nel discernimento,

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decisione per il bene comune, ispirazione costante alla dottrina della Chiesa, senza collateralismi e senza preclusioni. La pagina più interessante che ora l’Azione cattolica nella sua diffusione capillare sta scrivendo è quella della corresponsabilità con i vescovi nel diffondere e attuare gli Orientamenti pastorali per gli anni 2010-2020 Educare alla vita buona del vangelo. La prima grande risposta è stata all’indomani della pubblicazione del testo la grande giornata dei ragazzi e degli adolescenti accompagnati da tanti educatori e genitori con il papa a Roma, in piazza San Pietro e nelle piazze della città. È un segno inequivocabile. L’Ac si impegna a educare da sempre e oggi lo fa ancora con più decisione e qualificazione, una educazione per la crescita integrale della persona, «secondo la grandezza della vocazione dell’uomo e la presenza in lui di un germe g divino». ■

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Dove siamo arrivati, dove vorremmo andare di Gianni Borsa

possibile stilare un bilancio di un intenso triennio di lavoro associativo? In quali direzioni si sono mossi i settori e le articolazioni dell’Ac? Quale l’impegno della Presidenza nazionale? Quali le possibili strade per il triennio che inizierà con l’assemblea del 6-8 maggio? Segno lo ha chiesto ai responsabili di Acr, Giovani, Adulti, Movimento studenti e Movimento lavoratori.

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Acr: lo slancio per potenziare la proposta formativa «L’Azione cattolica dei ragazzi, apprezzata per l’efficacia e l’organicità dei suoi itinerari formativi, in questo triennio ha investito le proprie energie e competenze per arricchire la propria proposta formativa». Il responsabile nazionale Acr, Mirko Campoli, ci guida in questo percorso: «Oltre agli strumenti già in uso (le tre “guide di arco” per l’itinerario di gruppo dei ragazzi; “l’agenda dell’educatore” per la formazione e il servizio di chi è chiamato ad accompagnarli; il “formato famiglia” rivolto ai genitori degli acierrini; i due itinerari spirituali di avvento-natale e quaresima-pasqua per il cammino personale dei bambini e dei ragazzi) sono nati nuovi strumenti che hanno ulteriormente qualificato la proposta dell’Acr: la guida di arco e gli itinerari di spiritualità per la fascia dei piccolissimi; la lectio Acr, Giovani, Adulti, Msac divina, il ritiro spirituale e gli esercizi quaresimali legati all’iniziativa e Mlac: a colloquio annuale; la proposta di campo con i vice presidenti estivo; le schede di approfondie i responsabili nazionali mento per i genitori e l’ultimissiper verificare il cammino ma definizione della “regola spiricompiuto nel triennio tuale” per i bambini ed i ragazzi, che si conclude e per in uscita proprio nei giorni della individuare le sfide che prossima assemblea nazionale». attendono l’associazione

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Inoltre, sempre in ordine alla proposta formativa, «si è riusciti a riordinare e rinnovare la stampa associativa dei più piccoli». Mirko prosegue: «Un altro filone di impegno ci ha portati a intensificare le occasioni di approfondimento tematico su alcuni aspetti del mondo dei ragazzi e dell’educazione umana e cristiana. Oltre al convegno nazionale degli educatori Acr, centrato sul tema della figura dell’educatore, si sono attivati sul territorio nazionale alcuni seminari di studio che hanno visto una notevole partecipazione di responsabili, assistenti ed educatori su tematiche quali la sfida educativa tra libertà e ricerca di autonomia, il rapporto tra la liturgia e i ragazzi, il mondo dei preadolescenti. Inoltre va rimarcata il lavoro di riflessione di alcune commissioni nazionali sul tema del protagonismo dei ragazzi e sulla cura dell’animazione in Ac». E per il triennio che si apre? «In Ac, lo sappiamo bene, le sfide che ogni triennio l’associazione decide di darsi vengono determinate e si definiscono sulla base della discussione del Documento finale approvato durante l’Assemblea nazionale – chiarisce Campoli –. E provando a leggere la bozza di documento, già predisposta dall’attuale consiglio, le sfide indicate sono molte e significative. Tuttavia quella che mi pare debba occupare un posto di rilievo credo sia quella che spinge l’associazione a impegnare tutte le proprie energie nella cura e nella qualificazione della formazione specifica dei nostri educatori. È necessario declinare l’intuizione associativa secondo cui il servizio dell’educatore è e resta anzitutto un atto di amore, superando il rischio di ridurre l’opera educativa solo all’attuazione di strategie pedagogiche o alle sole tecniche di animazione. Il cammino che si apre davanti a noi, anche alla luce degli Orientamenti pastorali della Cei, ci richiede dunque di affrontare alcuni nodi relativi alla


sotto i riflettori In alto: alcuni componenti della Presidenza di Ac al lavoro. Da sinistra: Maria Graziano, Paolo Trionfini, mons. Ugo Ughi, mons. Domenico Sigalini, Franco Miano, Gigi Borgiani, Mirko Campoli e Chiara Finocchietti

formazione degli educatori: come coniugare la formazione personale e quella specifica al servizio educativo? Quali contenuti e quali caratteristiche individuare perché la formazione degli educatori non sia lasciata “al caso”? Come approdare all’individuazione di scelte e buone prassi formative che, pur garantendo le giuste mediazioni locali, giungano alla definizione di una formazione degli educatori condivisa e spendibile su tutto il livello nazionale?». C’è poi una seconda direzione di impegno che è rivolta alla fascia dei preadolescenti. «Credo sia compito dell’Acr continuare a qualificare il proprio impegno verso questa età così particolare, in cui si “gioca” il momento decisivo della scelta di fede». “Compromettersi” nella storia Le valutazioni del settore Adulti «Il settore Adulti, nel corso del triennio, ha decisamente puntato l’attenzione sulla proposta formativa ordinaria, nella convinzione che l’educazione del mondo adulto rappresenti una delle questioni più serie, per dirla in una battuta, che investe il tessuto della Chiesa italiana». Maria Graziano e Paolo Trionfini sono i due vice presidenti nazionali per il settore. «In questa prospettiva, si è curato particolarmente il sussidio del cammino annuale, per renderlo pienamente disponibile agli adulti di ogni età e condizione di vita. L’ampiezza generazionale e la ricchezza diversificata dei percorsi personali hanno indotto a

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riservare un supplemento di cura alle fasce più esposte del settore – gli adulti-giovani e gli adultissimi – attraverso la preparazione di due sussidi metodologici, che possano sostenere il cammino di formazione. In questa linea, si è incentrata anche la cura degli animatori dei gruppi, elemento irrinunciabile della “catena” virtuosa attraverso la quale si dipana la vita associativa». Si è, inoltre, cercato – attraverso specifici moduli per responsabili – di «far maturare ulteriormente la consapevolezza dell’esigenza di ritrovare un “ambiente caldo” come il gruppo, nel quale il percorso formativo restituisca l’intreccio fecondo tra fede e vita, integrando le diverse dimensioni (sociali, culturali, antropologiche) che toccano il vissuto del mondo adulto. Per renderlo sempre più aperto alla tensione evangelizzatrice, si sono spinti gli adulti di Azione cattolica a compromettersi nella storia, maturando un’ancora più dedita disponibilità al servizio ecclesiale e civile, come educatori delle nuove generazioni, collaboratori della pastorale ordinaria, animatori della carità, amministratori pubblici». Quali indicazioni o spunti avete in mente per il cammino del prossimo trionnio? «Per il futuro occorre adoperarsi ancora perché agli adulti si lascino gli spazi e i tempi per curare le proprie persone con un’intensa vita di fede, attraverso l’esperienza dell’autoformazione e dei gruppi di appartenenza, che poi si declina in un’amabile e significativa presenza nella vita quotidiana, in un apporto al territorio con spirito di servizio, di reale competenza e di sana indignazione; l’obiettivo è vivere da “laici nella Chiesa e cristiani nel mondo” invece che da “cristiani

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nella Chiesa e laici nel mondo”». Maria e Paolo proseguono: «Per liberarci dall’essere “chierici” in parrocchia e dal giudicare i fatti del nostro tempo lasciandoci “rimorchiare”, la sfida è dedicare meno tempo alle grandi organizzazioni, più tempo a confrontarsi con la Parola e a fare discernimento nei consigli di Ac, negli organismi di partecipazione della comunità cristiana. Il nostro settore – aggiungono – oggi si sente chiamato a investire energie nel formare persone libere, sempre più capaci di capire l’oggi e di scegliere nell’oggi, senza rimpianti di mitiche età dell’oro. Davanti a noi ci sono adulti capaci di favorire un’appartenenza gioiosa alla Chiesa, nell’accompagnare altri adulti, ragazzi e giovani, che non sono sequestrati con l’attivismo, né sono fregiati di titoli per guardare il mondo dall’alto in basso. La sfida è che l’Ac li formi a non avere la testa tra le nuvole, ma a guardare le cose della terra con lo sguardo d’amore di lassù». Per i Giovani spiritualità, cura degli affetti e bene comune Vita spirituale e cura degli affetti sono invece i due punti caratterizzanti del triennio che si chiude secondo Chiara Finocchietti e Marco Iasevoli, vice presidente per il settore Giovani. Dicono a Segno: «Riproponendo la Regola di vita dei giovani e giovanissimi di Ac, si è voluto indicare con chiarezza che la vita spirituale non coincide, come spesso si ritiene, con una vita di preghiere. Vita spirituale, per un giovane e un giovanissimo di Ac, è lo sforzo di lasciar illuminare dallo Spirito ogni frammento della propria esistenza: vita interiore, vita sociale, dubbi, gioie, affetti, relazioni, servizio... Tutte queste dimensioni non sono separate l’una dall’altra: in ciascuna di esse, e nella loro unità, si testimonia la vita buona del Vangelo». E a proposito della cura degli affetti e del bene comune puntualizzano. «Tra le tante domande dei giovani e dei giovanissimi, si è scelto di approfondirne due in particolare, quelle relative alla vita affettiva e al bene

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comune. Quanto alla prima, l’Ac intende fare ai giovani e ai giovanissimi una proposta chiara, fondata sulla bellezza e centralità delle relazioni, sulla meraviglia del proprio corpo, sulla necessità di pensare a un proprio compiuto progetto di vita. Con un linguaggio nuovo e diverso, con uno stile meno bigotto e ipocrita rispetto alle difficoltà che i giovani incontrano nel vivere la propria corporeità e sessualità». Quanto alla seconda, l’Ac «intende caratterizzare ancora con più decisione la propria proposta formativa: la formazione sociale, culturale e politica non è un di più, ma è il cuore della formazione in un’associazione che si dice laica e aperta al mondo. Nello specifico, si tratta di favorire, insieme al nascere di vocazioni educative, anche la nascita di vocazioni al servizio del bene di tutti». Quali gli spunti per il futuro? «Recuperare – sostengono Chiara e Marco – nella vita dell’associazione, con tempi e modalità diverse, l’ampia fascia d’età tra i 25 e i 40 anni, in una forte collaborazione con il settore Adulti, per offrire loro un accompagnamento delicato in una fase complessa della vita, e per recuperare un grande bagaglio di esperienze associative ed educative. La qualità della formazione, e in particolare la qualità della formazione degli educatori di giovani e giovanissimi. Educatori testimoni di vita e di fede, ben inseriti nella vita associativa ed ecclesiale, con un intenso tratto umano coniugato a un’intensa vita interiore». Movimento studenti: imparare dalla storia e dai testimoni Questo triennio per il Msac «è stato innanzitutto un appuntamento con la storia: la sua e quella del paese, intrecciate nelle storie personali degli studenti che fra tante generazioni lo hanno attraversato, passandosi il testimone della partecipazione studentesca di mano in mano». Saretta Marotta sta concludendo la guida del Msac per il triennio 20082011. Chiarisce a Segno. «Questi tre anni sono stati l’occasione innanzitutto per riallacciare i legami con ciascuno di loro, specie gli ex responsabili nazionali, con i quali abbiamo condiviso idee e progetti e dell’analisi dei quali ci siamo giovati per ripensare


sotto i riflettori le prospettive d’impegno del Msac del futuro». Dall’incontro con questi “testimoni”, dei quali sono raccolti i messaggi sul sito del movimento www.movi100.azionecattolica.it, «è nata l’idea della Scuola nazionale di giornalismo studentesco, uno dei frutti più belli di questo triennio, sicuramente l’idea più innovativa. Non si è trattato solo di tre giorni di approfondimento con esperti e professionisti del settore per imparare un mestiere, ma della scommessa di rilanciare la tradizione dei giornalini studenteschi, che è stata l’anima del movimento per molti anni in passato. Su questo campo il movimento nazionale dovrà ancora lavorare molto, per accompagnare ogni circolo in quest’avventura». La fotografia più viva di questo triennio è stata, per Saretta, la Scuola di formazione per studenti che ha riunito 1.600 ragazzi a Rimini. «Non è stato solo un evento, una festa, uno strumento pubblicitario di massa o una grande emozione. È stato un esperimento concreto e reale, curato in ogni dettaglio, di primo annuncio. Ragazzi che non hanno mai conosciuto l’Azione cattolica, che si sono allontanati dalla parrocchia o che magari semplicemente non avevano mai considerato la possibilità di vivere la scuola come un tempo attivo che interpella la loro responsabilità e il loro protagonismo, hanno potuto fare esperienza di una proposta diversa, che parla alla quotidianità della loro vita. Soprattutto, hanno ricevuto uno “stile”: dai relatori, come Giovanni Maria Flick, Beatrice Draghetti, Giorgia Meloni, e anche dai coetanei che hanno visto intorno a loro e con loro agitarsi, intervenire e testimoniare una passione. È questo stile, questa testimonianza di giovanissimi impegnati, appassionati, che lavorano con impegno e gioia per le loro scuole, il vero cuore della vita del nostro movimento». Guardare oltre l’Ac: l’impegno del Movimento lavoratori Per il Mlac risponde il segretario nazionale uscente, C r i s ti a n o N er v e g n a. «Mi sembra che il Movimento

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lavoratori in questo triennio abbia colto la sfida di aprire ancora di più la propria attività a contributi esterni, provenienti da singoli o da gruppi e associazioni non necessariamente legati all’Azione cattolica, traendo da queste sinergie grande beneficio e arricchimento. Si pensi ai tavoli interassociativi per la festa di San Giuseppe o il progetto dei “pacchi per l’Abruzzo” per il terremoto che ha colpito l’Aquila, così come l’iniziativa “Svista”, sugli stili di vita, aperta alle piazze delle città e ai gruppi ecclesiali presenti nel territorio». Questa visione «ha fatto crescere molto gli iscritti e la simpatia verso il movimento, così come il numero delle diocesi che hanno costituito o stanno costruendo il Mlac». Altro passaggio rilevante è stato, secondo Cristiano, quello dei progetti attivati con la “progettazione sociale” del Movimento, «che ha visto più di 80 iniziative innovative, di pastorale del lavoro, pervenire alla segreteria nazionale, che le ha seguite e, ove possibile, finanziate e osservate con un entusiasmo indescrivibile e la convinzione che oggi più che mai si debba parlare di lavoro con e per i giovani. In questo senso la collaborazione con il progetto Policoro della Cei ha segnato nel triennio un punto di svolta non soltanto per il movimento, ma per tutta l’Ac». E se volessimo indicare gli orizzonti per il futuro? «Io credo che le sfide dell’Azione cattolica sono più che mai interne – risponde Nervegna –. Riguardano la capacità di dotarsi di strutture e di un’organizzazione veramente missionaria. Credo sia una questione di mentalità (capita ancora troppo spesso di sentir usare il termine “associativo” per distinguere più che per includere) e, appunto, d’organizzazione interna. Per essere vicini alle persone e offrire loro una formazione che raggiunga i gangli della vita è necessario crescere in queste due dimensioni. È, per altro, uno sforzo urgente per tutta la Chiesa; l’Ac ritengo sia l’associazione che, per caratteristiche e sensibilità, dovrebbe interpretare prima e meglio di altri questa sfida. Alla luce di quest’esigenza, il Mlac deve, a mio parere, spostare ancora di più l’attenzione sugli ambienti di vita, facendone g il centro di qualsiasi attività». ■

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L’esperienza/1

Quei lavoratori nella vigna l regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. È così che si comincia in Ac: siamo lì, nella piazza della vita e abbiamo desiderio di lavorare con i più piccoli, per la parrocchia; abbiamo desiderio di stare con gli altri e fare qualcosa di bello e buono insieme; qualcuno ci chiede una mano e noi diciamo sì». Ci sono infinite modalità per spiegare le motivazioni e la gioia che spingono a stare nell’Ac, a mettersi in gioco, a occuparsi, anche tramite essa, dei fratelli, della parrocchia e della Chiesa universale. Chi ar a Ben ci oli n i (ritratta nella foto), presidente diocesana per sei anni a Padova, ne ha scelto uno originale. In chiusura del suo mandato, durante l’assemblea della diocesi del 27 febbraio, si è spiegata così... «Tra noi c’è chi è arrivato all’alba, sono i nostri adultissimi, i più esperti, quelli che hanno faticato di più, che ne hanno viste di tutti i colori: la guerra, la fame, la ricostruzione del nostro paese. La loro fede è forte e radicata, la loro passione per la Chiesa e l’Ac dura da tanti anni e continuano a mostrarcelo. Poi, a metà mattina, sono arrivati gli adulti impegnati a costruire una famiglia, a manteNel suo intervento nere un lavoro in questi tempi difficili, a essere cristiani coerenti in ogni luogo della all’assemblea vita come ci ha insegnato il Concilio. Se sono diocesana di ancora qui è perché grazie alla formazione di Padova, la presidente uscente tanti anni sono radicati nell’impegno nonostante le occupazioni quotidiane, il tempo Chiara Benciolini che vola, le fatiche della vita familiare e di ha trovato una modalità originale coppia». «A mezzogiorno ecco arrivare i giovani, pieni per indicare il di desideri, di pensieri e preoccupazioni per il perché della futuro. Ci stanno a lavorare, ma non a perdere vocazione tempo e nella corsa della loro vita chiedono associativa

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proposte leggere e forti di formazione e spiritualità e chiedono di essere riconosciuti e valorizzati come giovani. Alle tre in piazza ci sono i giovanissimi: chi darebbe lavoro agli adolescenti? Sembrano sfaticati, incostanti, inaffidabili. Eppure in Ac c’è chi dà credito anche a loro, perché sono freschi e hanno energie da vendere, sanno appassionarsi per le cose belle, hanno sogni grandi. E finalmente alle cinque arrivano i ragazzi e, incredibile, anche per loro c’è spazio nella vigna: pochi sembrano credere che i bambini e i ragazzi possano essere protagonisti della loro vita e offrire un contributo alla vita comune, possano comprendere le questioni importanti, ma l’Acr c’è per questo, per dare loro la parola». Chiara Benciolini riflette a voce alta: «Eccoci tutti qui nella vigna del Signore: stando insieme abbiamo imparato a conoscerci, a valorizzare le ricchezze degli altri, a fare spazio a chi viene dopo, ad ascoltare chi è qui da tanto. Nessuno dice agli altri cosa fare, ma tutti insieme si riflette, si progetta e si lavora, occupandosi tutti di tutti. Noi la chiamiamo unitarietà ed è uno dei doni più belli che l’Ac ci fa e che io personalmente ho sperimentato nella quotidianità di questi sei anni. [...] Il bello è che, stando nella vigna, scopriamo che non siamo stati noi a decidere di andare a lavorare, ma c’è Qualcuno che ci ha cercati e chiamati, non per un piccolo servizio, ma per dare significato a tutta la nostra vita. Così, a un certo punto, smettiamo di fare l’Ac e diventiamo gente di Ac: quando comprendiamo, grazie ai percorsi di formazione, ai momenti di spiritualità, alle esperienze vicariali e diocesane, all’amicizia con qualche responsabile o assistente, che l’Ac è una vocazione, sì, proprio una chiamata». Chiara lancia un messaggio riassuntivo. «Conosciamo l’Ac, costruiamo l’Ac, amiamo l’Ac perché è il nostro modo di amare fedelmente il Signore, di stare con gioia e responsabilità nella Chiesa e di g abitare il mondo con passione». ■


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L’esperienza/2

Sara: vi racconto la mia Ac n’esperienza forte, iniziata ai tempi dell’Acr, che prosegue oggi, da giovanissima, nell’associazione diocesana di Campobasso-Bojano. S a r a T u l l o racconta a Segno la “sua” Azione cattolica. «La mia esperienza in Ac è iniziata all’età di 6 anni e posso dire che per me significa innanzitutto fare una scelta, la scelta di mettersi in gioco, di essere protagonisti della propria vita, di assumersi responsabilità e impegni. Ma soprattutto vuol dire aver voglia di comprendere e amare Cristo, per comprendere e amare la vita, dialogando con lui». «Naturalmente tutto questo non lo pensavo già all’età di 6 anni, ma ricordo con quale gioia e vitalità non vedessi l’ora di partecipare all’incontro settimanale di Acr, del quale più di ogni altra cosa amavo il momento iniziale: quando ci disponevamo in cerchio e, prendendoci per mano, recitavamo il Padre nostro. Ricordo che mi sentivo Una giovanissima sempre molto emozionata, forse perché di Campobassoavvertivo la forte presenza dello Spirito. Era in Bojano, cresciuta quel momento che formavamo una famiglia, nell’Acr, ha grande e unita. È stato anche questo che mi partecipato ha spinta a continuare questa fantastica all’assemblea diocesana dedicata esperienza, nonostante le difficoltà, nonostante gli impegni... non potevo mancare alla al tema riunione di Ac. Ormai dal divertimento si era dell’educazione passati al confronto, all’affrontare temi tipici di un adolescente: grazie ai miei educatori ho scoperto Cristo, la sua vera essenza, il suo amore per me, la mia necessità di comunione con i fratelli, il bisogno di una guida di Ac, il bisogno di un padre spirituale». Il 30 gennaio Sara ha partecipato all’assemblea diocesana e spiega: «Tema dell’incontro era l’urgenza educativa; una sfida per le famiglie, gli educatori, i consacrati. Durante il dibattito è emerso come, oggi, questa urgenza non abbia forse come

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soggetto principale le nuove generazioni, quanto invece gli adulti, manchevoli di convinzioni, di valori etici e morali, di verità su cui basare la propria vita e ogni propria azione. Proprio a causa di questa mancanza, mancanza di senso di responsabilità, i giovani sono oggi fragili e poco interessati (o poco coinvolti) a coltivare esperienze forti e di senso di cui si sentano partecipi e delle quali avvertono sempre più forte la necessità, scoprendo giorno dopo giorno un vuoto nelle proprie vite. Ciò che poi ancor più li disorienta è lo scollamento che si verifica tra le diverse agenzie educative (famiglia, scuola, società, mass media, politica); tra esse non sempre si trova unità d’intenti, ma soprattutto non sempre si trova coerenza». Ciascuno deve dunque sentire la “responsabilità educativa”, aggiunge Sara Tullo, convinta che tutti si debbano sentire educatori responsabili di fronte ai più piccoli, alle persone che si hanno accanto. «A questo proposito – osserva – è bello osservare come gli adulti di Ac continuino il loro cammino, mettendosi in discussione e avendo come riferimento Cristo, il vangelo, il magistero della Chiesa. Quindi è nell’associazione che si cresce, ci si forma con amore, libertà e disciplina, motivando continuamente il sentirsi attivi e al servizio dell’educag [g.b.] zione e del bene comune». ■

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L’esperienza/3

Una fede che ama la terra di Mariangela Parisi

uomo abita l’ambiente, lo amministra rendendolo territorio, ne determina la storia, visibile nel paesaggio. Tutela dell’ambiente, lavoro per il bene comune e tutela del patrimonio storico artistico ovvero del paesaggio sono dunque di vitale importanza, priorità il cui perseguimento il nostro paese non può non ribadire, soprattutto in occasione dei 150 anni dell’Unità. Il paesaggio, in particolare, è il fattore evidente dell’indivisibilità dell’Italia, innegabile al punto che la sua tutela – e quella del patrimonio storico-artistico – è inserita tra i principi fondamentali della nostra Costituzione, precisamente nell’art. 9.: proposto dal democristiano Aldo Moro e del comunista Concetto Marchesi, l’articolo venne ritenuto importante baluardo contro ogni forma di “scellerata e scriteriata” ipotesi federalista. Oggi l’articolo 9 ancora resiste, ma nella martoriata Campania sembra dimenticato da tempo: l’uso della logica della discarica come soluzione per lo “smaltimento” dei rifiuti sta infatti incidendo sul paesaggio della regione, mettendo a risLa tutela del chio parte della storia d’Italia. territorio in Richiamando all’unità e alla responsabilità, Campania fra l’Azione cattolica della diocesi di Nola, ha disperazione e speranza. L’Azione organizzato, in collaborazione con l’Ufficio diocesano per la salvaguardia del creato, alla cattolica di Nola Caritas diocesana, a Comunione e liberapre al confronto azione, alla Comunità missionaria di Villareper un modello gia, alla Fuci, al Meic, al Mieiac, al Movimento di sviluppo più etico e sostenibile dei focolari, all’Ordine francescano secolare italiano, all’Ordine secolare dei servi di Maria e a Rinnovamento nello Spirito Santo, il convegno Una fede che ama la Terra: la tutela del territorio fra disperazione e speranza, svoltosi a Scafati (Salerno) lo scorso 3 febbraio. Un momento per riflettere – attraverso la visione di filmati relativi ad alcune zone degradate del territo-

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rio diocesano, ma la cui bellezza ancora sembra resistere al degrado, e il contributo del prof. Luigi Fusco Girard, ordinario di Economia ed estimo ambientale all’Università Federico II, relativo alla possibilità e la necessità di coniugare sviluppo economico e utilizzo sostenibile delle risorse naturali – ma anche per essere educati da “buone pratiche” già in atto sul territorio e portate avanti da quanti hanno scelto di restare in Campania e difenderla: la spesa a km 0 e i gruppi di acquisto solidale, per coniugare minor spesa e minor impatto ambientale; la “Rete fagotto”, per recuperare oggetti regalandoli; il compostaggio domestico, per trasformare in concime il rifiuto organico; il Banco alimentare, per distribuire cibo altrimenti destinato alla discarica; la diffusione di sacchetti per la spesa, riutilizzabili. Esperienze di pochi ma di grande speranza, importanti per contribuire a un cambiamento culturale forte che spinga all’assunzione di uno stile di vita fondato sull’essenziale: esperienze che nascono dall’amore per il proprio territorio, dall’amore per g l’Italia intera. ■


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L’esperienza/4

Il cuore del mondo batte qui da noi a XIV assemblea nazionale dell’Ac avrà una forte connotazione internazionale. La stessa assemblea, infatti, sarà presieduta da Emilio Inzaurraga, presidente dell’Ac argentina e coordinatore del segretariato del Fiac. Non è un caso che ciò avvenga. Semmai è la constatazione di un intenso lavoro che l’Ac italiana, attraverso il Fiac, ha fatto negli ultimi anni nel promuovere l’Azione cattolica nel mondo. Lo stesso presidente nazionale, Franco Miano, è convinto che solo da un approccio globale all’impegno dei laici che tenga conto di geografie e terre, di provenienze e diversità, potremmo arrivare a una “buona notizia” davvero per tutti i popoli della terra. Il segretariato del Fiac sarà presente con delegati provenienti da Italia, Argentina, Burundi, Myanmar, Polonia e, all’interno dei lavori La XIV assemblea associativi, è previsto anche un momento per nazionale di Ac sarà presieduta da le attività del segretariato stesso. Ci saranno Emilio Inzaurraga, anche i rappresentanti della Romania, visto che nel 2012 il segretariato svolgerà la sua argentino e assemblea proprio in quel paese. Tanti amici coordinatore del dell’Ac sparsi nel mondo, dunque, sbarcheFiac. Si punta lo ranno in quei giorni a Roma per condividere sguardo anche un’idea di Ac che non ha paura delle distanverso un “altro” ze. Ci sarà sicuramente mons. Marcuzzo, mondo che vuole vescovo ausiliare di Nazareth, che rapprecondividere la senterà in maniera “ufficiale” la vicinanza “buona notizia” storica tra Terra Santa e Ac. A tal proposito si con noi esporrà di nuovo la mostra Sguardi sui cristiani in Medioriente, realizzata dalle edizioni Terra Santa e dall’Ac in occasione del recente Sinodo sul Medioriente dello scorso ottobre, ed esposta in una due settimane di incontri con un notevole successo. E oltre gli amici della Terra Santa i delegati italiani di Ac impareranno a conoscere i “colleghi” della Bosnia Erzegovina, Albania, Spagna, Malta, Svizzera e anche Slovacchia e Bulgaria.

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Una novità è rappresentata proprio da Bulgaria e Albania. Qui sta nascendo la nuova Ac e questo lavoro di formazione e attenzione al processo di crescita è seguito non solo dal Consiglio nazionale di Ac, ma anche e soprattutto da alcune diocesi. In Albania le diocesi di Trani, Adria- Rovigo e Mondovì seguono con corsi di formazione “in loco” presbiteri, religiose e laici, mentre la diocesi di Fermo da tempo cura i rapporti con la nascente Ac della Bulgaria. Insomma, non solo pubbliche relazioni e foto ufficiali a ricordo dell’evento. In questa XIV assemblea il ruolo internazionale dell’Ac farà da collante all’intero dibattito. Un’associazione che si arrocca troppo sulle proprie parrocchie e diocesi non fa tanta strada. Mentre oggi, dai sud del mondo, c’è un’energia nuova e una passione di radicalità evangelica che sta risvegliando le nostre coscienze occidentali un po’ troppe addormentate. Benvenuti allora, cari amici del Fiac. Fateci capire come annunciate la “lieta notizia” nell’altra parte g del mondo. ■ giadis

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sotto i riflettori

Sempre con le mani alzate di Simone Esposito

na selva di mani alzate. Callose di lavoro, lisce di gioventù, rugose di esperienza, con le unghia dipinte oppure no, oppure mangiucchiate di stanchezza, qualche volta. A riguardarsele, le foto delle quattordici precedenti assemblee nazionali dell’Azione cattolica (tredici ordinarie e una straordinaria), c’è dentro un mondo intero. Ci sono generazioni ormai lontane fra loro. Qualche faccia di giovani ormai non più giovani. Anche quella di qualcuno che non c’è più. Ci sono camice e giacche improbabili. Barbe e tagli di capelli ancora più improbabili. Eppure, in quel bianco e nero che diventa colore sbiadito e poi ancora ad alta definizione, ci sono sempre quelle mani alzate. Sempre alzate: per discutere, proporre, e alla fine per votare, in nome di una responsabilità personale e comunitaria. Forse sono proprio quelle benedette mani il simbolo delle assemblee dell’Ac: una vicenda ormai lunga più di quarant’anni, cominciata con l’approvazione del nuovo Statuto post-conciliare e con la scelta religiosa, e di cui oggi ci apprestiamo a vivere un’altra tappa. È nello scorrere di questo incontrarsi a Roma ogni tre anni, un migliaio di persone a rappresentarne centinaia di migliaia, che si legge anche lo scorrere della storia della nostra associazione, le sue scelte fondamentali, il suo costante trasformarsi e crescere per servire meglio la Chiesa e il Quattordici scatti paese. per una storia «Se ricominciassi da capo, incomincerei che continua. con l’Azione cattolica. Sì, è così. Se ricoTredici assemblee minciassi, incomincerei come allora. L’eordinarie, più una sperienza che ne è venuta, che ognuno di straordinaria, noi sente dentro, mi ha fatto convinto di che raccontano questo». È il 25 settembre 1970: a parlare è la vivacità di Carlo Carretto, “tornato a casa” diciotto un’associazione che ha lasciato segni anni dopo le sue burrascose e forzate dimissioni dalla presidenza della Giac. Cardi speranza nella retto, nei primi anni Cinquanta, aveva pagaChiesa e nel paese

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to le sue intuizioni arrivate troppo in anticipo sui tempi, ma che poi sarebbero state legittimate dal Concilio e nella nuova Ac: nel corso della I assemblea (dal titolo Forza e via di speranza nella società di oggi) fratel Carlo viene a benedire idealmente il rinnovamento guidato da Vittorio Bachelet. Quel Bachelet che, congedandosi dalla presidenza, alla II assemblea del 1973 (Un rinnovato impegno verso tutti i fratelli), citerà il poeta indiano Tagore: «Tutti dovremmo poter dire alla fine della nostra vita: “Io dormivo e sognavo che la vita non era che gioia; mi svegliai e ho visto che la vita non era che servizio. Io ho servito e ho visto che il servizio era la gioia”. Che tutti noi sappiamo davvero riscoprire che il servizio è la gioia. Questo è l’augurio del vostro fedele servitore, il “campanaro della Domus Pacis”». Il “campanaro” passa la mano a Mario Agnes, che condurrà l’associazione alle assemblee del 1977 e del 1980. Storiche entrambe, nel bene e nel male: durante la III (In missione in Italia per la civiltà dell’amore) Paolo VI fisserà in maniera straordinaria il ruolo dell’Ac nella vita della Chiesa («ha un posto non storicamente contingente, ma teologicamente motivato nella struttura ecclesiale»); nel corso della IV (Costruire la comunità ecclesiale da laici per animare da cristiani la società italiana) l’associazione si ritroverà insieme per la prima volta a sette mesi dal martirio laico di Bachelet, nell’anno più sanguinoso della storia repubblicana, quello della stazione di Bologna e di Ustica. Gli anni Ottanta saranno caratterizzati dalla presidenza di Alberto Monticone e da una forte dialettica tra l’Ac e l’episcopato italiano: sono gli anni della V assemblea (Laici chiamati a condividere con la Chiesa le ansie e le speranze degli uomini di oggi, 1983) e soprattutto della VI (Ac: Associazione di Laici per la missione della Chiesa in Italia, 1986). In mezzo c’è stato il Convegno ecclesiale di Loreto, con il fonda-


sotto i riflettori mentale intervento di Giovanni Paolo II che segna l’indirizzo pastorale della Chiesa italiana per gli anni a venire: la VI assemblea, di conseguenza, è segnata da un dibattito intenso e franco che coinvolge tutti i responsabili e al quale prende parte anche il presidente della Conferenza episcopale, il cardinale Poletti, arrivato ai vertici della Cei proprio in seguito al Convegno di Loreto. Nell’asprezza del confronto qualcuno ci vuole leggere solo la polemica: in realtà è quella normale tensione radicata nella scelta democratica interna dell’Azione cattolica, dove nessun leader si può prendere il lusso di decidere per tutti. L’Ac si rafforza ancora di più nel proprio legame a filo doppio con la gerarchia ecclesiale e prosegue il proprio cammino: alla presidenza arrivano prima Raffaele Cananzi (VII assemblea, Per la vita del mondo. Nella Chiesa e nella società italiana, il servizio dell’Azione cattolica per gli anni ‘90, e VIII, Azione cattolica: laici in missione con il Vangelo della Carità), poi Giuseppe Gervasio (IX assemblea, Perché il mondo si salvi per mezzo di Lui, e X, Testimoni di speranza nella città dell’uomo). Nel frattempo sono trascorsi oltre dieci anni e l’Italia e il mondo sono cambiati: la caduta del Muro, il crollo cruento della Prima Repubblica e la nascita (zoppa) della Seconda. Anche l’associazione, costantemente, riflette e si ripensa per adeguarsi ai nuovi bisogni pastorali della società. La novità arriva con la prima presidenza nazionale dell’Ac guidata da una donna, Paola Bignardi. Si apre un’intensa stagione di rinnovamento che parte con l’XI assemblea del 2002 (Con lo sguardo fisso su Gesù. Volto da contemplare. Volti da incontrare), memorabile perché per la prima volta si prova a mandare in pensione l’alzata di mano e si

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sperimenta per l’approvazione del documento assembleare un sistema di voto elettronico. Ma i telecomandi fanno cilecca, le mani si prendono la loro rivincita sulla tecnologia e si torna in fretta e furia al vecchio sistema: i delegati faranno le tre del mattino per approvare tutti gli emendamenti, stremati ma soddisfatti. È nel corso di quell’assemblea che l’associazione deciderà di aver bisogno di rinnovare radicalmente il proprio Statuto, fatti salvi i principi fondamentali: ci si dà appuntamento all’anno seguente. L’assemblea straordinaria del 2003 è caratterizzata ancora una volta da un dibattito serratissimo: un confronto intenso in aula, preceduto da una discussione altrettanto intensa nelle diocesi, che comunque non impedirà ai delegati di approvare lo Statuto rinnovato con oltre l’80% dei voti. L’Ac si ritroverà l’anno seguente all’incontro nazionale di Loreto, tappa che di fatto segna anche la conclusione del lunghissimo pontificato di Giovanni Paolo II. Sarà il suo successore, Benedetto XVI, a segnare le ultime due assemblee. Una coincidenza provvidenziale fa sì che la XII assise nazionale del 2005 (Dare ragioni di vita e di speranza. La missione dell’Azione cattolica, in parrocchia e oltre) si chiuda proprio nella domenica dell’inizio del ministero pastorale del Papa neoeletto: tutti i delegati saranno presenti a messa in piazza San Pietro. E sempre a San Pietro, il 4 maggio 2008, si concluderà l’ultima assemblea, la XIII (Cittadini degni del Vangelo. Ministri della sapienza cristiana per un mondo più umano), guidata dal presidente nazionale Luigi Alici. Una piazza stracolma di 150mila soci venuti a festeggiare i 140 anni dell’Ac. E anche la scelta democratica di un’associazione che continua a ritrovarsi e a discutere g senza risparmiarsi. Sempre con le mani alzate. ■

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sotto i riflettori intervista con Maria Voce e Franco Mosconi di Gianni Di Santo

Visti dagli altri hiesa e Ac, impegno dei laici e costruzione del bene comune. Abbiamo chiesto a Maria Voce, presidente del movimento dei Focolari, e a Franco Mosconi, priore dell’Eremo camaldolese di San Giorgio a Bardolino sul Garda, alcune riflessioni sul prossimo dibattito assembleare.

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L’Azione cattolica italiana si appresta a celebrare la sua XIV assemblea nazionale. Un momento di verifica democratica interna ma anche un momento di confronto con la Chiesa e la comunità civile. Voce. Sarà di certo un appuntamento importante non solo per l’Azione cattolica, ma anche per la Chiesa italiana e il nostro paese. L’Ac ha un patrimonio di vita e di cultura più che mai prezioso per il momento cruciale che stiamo vivendo. Assicuriamo perciò sin d’ora le nostre preghiere affinché lo Spirito Santo illumini il cammino da percorrere. In quel momento vorremmo dare un segno concreto di amicizia e condivisione Compassione, dialogo, attraverso la partecipazione all’asattenzione alla Parola, semblea della nostra delegata nella laici che collaborano Consulta nazionale delle aggregainsieme: sono alcune zioni laicali. delle parole che la M os c o n i . Essere portatori della presidente di un movimento ecclesiale Parola significa essere testimoni di e un monaco – da sempre un annuncio di liberazione per l’uoattenti all’Ac – offrono mo che vive oggi il suo travaglio epoalla riflessione dei lettori cale. La Parola è una luce per oriendi Segno in vista tare il nostro cammino e per illumidell’appuntamento nare le nostre domande sulla vita: assembleare. Maria Voce: essa spiega, dà senso, svela aspetti impensati della realtà; offre un altro «Intensificare la punto di vista sulla storia umana. La comunione e operare Parola è la persona stessa del insieme per il bene Signore che si fa compagna di viagcomune». Franco gio, ci parla, ci indica la strada. Il Mosconi: «Impegno trascinante e coraggioso Vaticano II ha fatto irruzione nella vita della Chiesa con una novità per l’attuazione incredibile, ma quelle intuizioni e del Consiglio»

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quella profezia sono ancora da suscitare. Il Vaticano II attende ancora una sua attuazione concreta. Come vedrei volentieri un’Ac che si fa promotrice, trascina e stimola con coraggio profetico il cammino della Chiesa verso l’attuazione del Concilio. C r i s i d e l l a po l i t i c a e b e n e c o m u ne : i m o v i m e n t i ec c l e s i a l i e l ’ a s s o c i a z i o n i s m o p o s s on o d a r e u n a s pi n t a di na m ic a a l pr o gr e s s o c i vi le d e l n o s t ro paese? Voce. Senza dubbio. È vero siamo in tempo di crisi, ma proprio per questo aperto a nuove opportunità. Penso che dovremo sempre più intensificare la nostra comunione e operare insieme, dove possibile, nei diversi ambienti, nelle città, a livello nazionale. Abbiamo la responsabilità di rendere visibili le esperienze innovatrici nate dalla linfa sempre nuova del vangelo in atto nei diversi ambiti della società. Per la consapevolezza che – come è stato sottolineato anche alle Settimane sociali – per incidere nella società e imprimere quella spinta in avanti tanto attesa, oggi occorre una testimonianza di popolo. Moscon i. Per quanto riguarda il rapporto Chiesamondo dovremmo tornare a leggere e a studiare il cap. 4 della Gaudium et Spes dove si danno indicazioni preziose e indispensabili per costruire e rinnovare il rapporto tra la Chiesa e il mondo contemporaneo. «La Chiesa, procedendo dall’Amore dell’eterno Padre… radunata dallo Spirito Santo, ha una finalità salvifica ed escatologica che non può essere raggiunta pienamente se non nel futuro. Ma essa è già presente qui sulla terra, ed è composta da uomini, i quali appunto sono membri della città terrena, chiamati a formare già nella storia dell’umanità la famiglia dei figli di Dio... E tale compenetrazione di città terrena e città celeste è il mistero della storia umana (cfr. G.S.40). Quanto ai movimenti credo sia giunta l’ora di intraprendere con tenacia e umiltà la strada del dialogo intra-ecclesiale e offrire a esso contenuti nuovi. Se di una cosa oggi i movimenti hanno bisogno, dopo la legittimazione ecclesiale del 1998, è avvicinarsi il più possibile al


sotto i riflettori In alto: la XII Assemblea nazionale (Roma, 2005)

vasto mondo del laicato, rinunciando a separatezze che non gioverebbero né a loro, né alla Chiesa. C’è u n legame da sempre tra Ac, Movimento dei F oc o l a r i e s p i r i t u a l i t à c a m a l d ol es e . C o n f e r m at e ? Voce. Non solo confermo. Siamo legati da qualcosa di più che l’amicizia: la gratitudine. Chiara Lubich stessa l’ha espressa pubblicamente nel 2003 all’assemblea straordinaria dell’Ac, per aver trascorso buona parte della sua giovinezza fra le sue fila e aver ricevuto «una solida formazione cristiana di base». È un grazie di cuore che esprimo anch’io, impegnata nell’Azione cattolica sin da bambina. Come tanti altri del movimento. Ancora, gratitudine perché – come è noto – è stato proprio in occasione di uno dei convegni di Azione cattolica, a Loreto nel ‘39, che Chiara – aveva allora 19 anni – avvertì «un primo accenno d’una chiamata tutta particolare da parte di Dio». Chiamata che segnerà la futura nascita del Focolare. Tutt’oggi, poi, sperimentiamo una particolare sintonia e un’intesa immediata quando ci troviamo a collaborare a diversi livelli sul territorio soprattutto nelle Consulte diocesane, regionali e in quella nazionale. Mosconi. I legami tra Ac e Camaldoli risalgono agli anni Quaranta del secolo scorso. La tradizione monastica millenaria di Camaldoli ha sempre creato un certo fascino per tutte le persone che venivano ospitate soprattutto nel cenobio camaldolese. La vita liturgica, il colloquio con alcuni monaci illuminati (padre Calati e padre Giabbani) e soprattutto i momenti di lectio divina, preghiera, silenzio, l’ospitalità e lo stesso fascino della foresta casentinese diventavano realtà ispiratrici per una proposta evangelica radicale e sempre rinnovata. Oltre all’Ac, usufruivano degli ambiti camaldolesi in

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modo particolare la Fuci e il Meic, i laureati cattolici di un tempo. L’iniziazione di padre Benedetto Calati alla comprensione della Parola, della tradizione dei Padri e la sapiente lettura dei documenti del Vaticano II portavano necessariamente il mondo ecclesiale a leggersi nel suo aspetto più vivo e profetico. Una certa ascesi consigliata da padre Calati era tutta incentrata nella costante “ricerca di Dio”. Essere cristiani non è un privilegio, ma una missione ricevuta con la consapevolezza propria di chi è stato ammaestrato dallo Spirito santo, per essere costruttore di pace e di unità nella storia. Un cenobio in cui la comunione di vita, che non si riduceva soltanto alla condivisione della preghiera, ma anche dai pasti in comune tra fratelli e che si apriva alla convivialità tra amici, creava una specie di osmosi a livello spirituale e culturale impagabili. Inoltre il silenzio e la solitudine legati agli ambienti monastici aiutavano a interiorizzare i contenuti della varie lectio bibliche e i momenti liturgici. Come è possib ile p er il laicato cattoli co attuare i consigli sul tema dell’educare contenuti nei recenti Orientamenti pastorali Cei per il prossimo decennio pur nella diversità dei carismi e ministeri? Voce. Vorrei dire innanzitutto che avvertiamo una profonda consonanza con la parola dei vescovi, consapevoli di quanto grave sia l’emergenza educativa. In questi ultimi anni ci siamo impegnati in un confronto su finalità, metodi e risultati educativi che mai mancano quando, con sempre nuova fantasia, si aprono non solo nell’ambito del Movimento, ma anche nelle famiglie e nelle scuole, spazi di comunione dove si rende Dio presente e si sperimenta la forza trasformante del suo amore. Siamo perciò

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sotto i riflettori Nelle foto: sopra, Maria Voce e, sotto, Franco Mosconi

grati dell’opportunità di vivere questo impegno in comunione con tutta la Chiesa. In modo speciale con le varie espressioni del laicato dove vivo è l’impegno di lavorare insieme, di fare rete, di essere un coro a più voci. È il cammino in atto nella Consulta dei Laici. Mosconi. Viviamo in un’ora contrassegnata da molti ostacoli e da diverse contraddizioni riguardo alla fede. La fede, infatti, sembra non interessare gli uomini e le donne di oggi che vivono nell’indifferenza riguardo a essa. Non solo, ma anche in coloro che si dicono credenti, la fede appare debole e di corto respiro, incapace di manifestare quella forza che cambia la vita. La sua trasmissione è diventata difficile. La fede diceva Paolo, nasce dall’ascolto della Parola; occorre che la Parola di Dio giunga al cuore dell’uomo. Gesù ci ha mostrato innanzitutto una necessità: chi inizia alla fede, o a essa vuole generare, deve essere credibile, affidabile. Gesù usava un dialogo ravvicinato e una condiscendenza unica, legata alla sua kenosis, cioè al suo svuotamento che lo portava a un dialogo umanissimo (la Samaritana, Zaccheo, La Maddalena...). Gesù, dunque, percorre un cammino di abbassamento, si mette in dialogo, il che significa innanzitutto ascolto dell’altro in quanto altro. Gesù era accogliente con tutti e si prendeva cura di tutto l’uomo fino ad assumerne le debolezze e addossarsi le malattie. Era un uomo di compassione. Solo avvicinandoci all’altro nel modo insegnatoci da Gesù, anche noi possiamo vivere un incontro ospitale all’insegna della gratuità e teso alla comunione. Sono solo alcune suggestio-

ni che spero la prossima assemblea Ac possa teneg re in conto. ■

Editrice Ave

EDUCAZIONE, CHIESA, FUMETTI E ALTRE... SORPRESE (IL “BEATO KAROL” E “IL VITTORIOSO”) ducazione, cultura, vita ecclesiale, dibattito socio-politico. Ma anche fumetti, racconti e... altre sorprese. La casa editrice Ave, storico marchio dell’Azione cattolica, arriva all’assemblea del 6-8 maggio con un ricco carnet di titoli e proposte. Alle consuete e ricche pubblicazioni associative, alle riviste e ai cammini formativi, si aggiungono numerosi libri e opuscoli firmati dalla Presidenza nazionale. Un occhio di riguardo va, ovviamente, al tema dell’educazione, al centro dei lavori assembleari. Nella nuova collana Educare oggi figurano già quattro titoli (Chi ama educa del presidente nazionale Franco Miano, Educare, impegno di tutti curato da Pierpaolo Triani, Il senso dell’educazione di Paola Bignardi e L’arte dell’incontro di Luca Diliberto) e altri se ne aggiungeranno. Un volume speciale, pensato in occasione della beatificazione di Giovanni Paolo II, è la pubblicazione, con introduzione critica, dei discorsi del Papa polacco all’Ac. Un’altra pubblicazione attesa è Dialogando, raccolta dei più importanti articoli apparsi sul trimestrale culturale dell’Azione cattolica Dialoghi. Il libro è curato da Luigi Alici. All’assemblea arriveranno anche tre sorprese speciali. La prima è Beato Karol! Dalla A alla Z, un viaggio divertente e commovente, firmato dal fumettista Roberto Battestini, tra le parole-chiave della vita di Giovanni Paolo II. La seconda è L’Italia del «Vittorioso», un omaggio alla storia della gloriosa testata per ragazzi pubblicata proprio dall’Ave: nel volume, dallo storico Giorgio Vecchio, ci sarà spazio per la riproduzione integrale di molte storie a fumetti, comprese alcune opere di Jacovitti. Terza sorpresa: Francesco, l’amico di Dio, storia a fumetti del patrono dell’Ac. Tutte le novità e il catalogo sono nel sito www.editriceave.it.

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sotto i riflettori

Al centro l’educazione di Fabiana Martini

sempre l’educazione il tema dominante del prossimo numero di SegnoPer, la rivista che l’associazione dedica ai suoi formatori e responsabili, da quest’anno on line per raggiungere un numero sempre maggiore di persone. Con l’aiuto di autorevoli voci, tutte impegnate nella quotidianità della vita associativa, si continua ad approfondire Educare alla vita buona del Vangelo, gli Orientamenti pastorali dell’episcopato italiano per il decennio 2010-2020, aiutando i lettori a tradurre concretamente le sollecitazioni e le urgenze proposte dai nostri vescovi all’attenzione di chi ha la responsabilità della crescita delle nuove generazioni. Don Alessandro Valentino, della diocesi di Nola, assistente diocesano unitario e regionale dell’Acr, e Paola Bignardi, già presidente nazionale e autrice di varie pubblicazioni su queste tematiche, ci invitano a un vero e proprio esame di coscienNelle pagine za con lo scopo di concentrarci non tanto e di SegnoPer, non solo sugli atteggiamenti dei ragazzi e dei la rivista online per i responsabili giovani che ci sono stati affidati, ma in primo luogo su quelli di noi educatori, a tutti gli effetti e i formatori, ancora una volta si figli del nostro tempo, per compiere una sorta presta attenzione di revisione di vita a partire da alcune domande che ci interrogano nel profondo in relazione agli Orientamenti alla separazione tra le dimensioni costitutive pastorali della della persona e agli stereotipi culturali domiChiesa italiana. nanti, ai quali spesso finiamo con conformarci Con un occhio senza neanche rendercene conto. Partendo particolare a ciò dalla consapevolezza che non si educa senza che essi dicono essere a propria volta impegnati in un cammiall’Ac. Spazio no serio ed esigente di formazione, don Valenanche alla tino ci esorta a guardare a quelle resistenze Assemblea che non ci permettono di entrare a pieno ritmo nazionale nella trasformazione, meglio nella “trasfigurazione” della nostra esistenza, mentre la Bignardi suggerisce di vivere il proprio tempo coltivando quella differenza evangelica che non rende estranei a ciò che accade ma ci fa interpreti in maniera creativa. E di atteggiamenti dell’educatore parla anche mons. Sigalini nella sua rubrica Filodiretto

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con l’assistente. Altri due assistenti che ci offrono spunti di riflessione sono don Antonio Mastantuono, che si sofferma sulla fatica di trasmettere valori e senso da una generazione all’altra, e don Ugo Ughi, che ci ricorda che non si può crescere spiritualmente da soli. Continua la presentazione degli istituti della nostra associazione e più approfondimenti sulla comunicazione digitale, e naturalmente non manca uno sguardo al cammino che stanno compiendo i settori e le articolazioni in preparazione all’assemblea, al centro della rubrica del presidente nazionale. Infine, ma in realtà è posto all’inizio, SegnoPer ha voluto ricordare Davide Fiammengo, morto lo scorso 28 gennaio, e lo ha fatto attraverso le sue stesse parole, parole che spesso ci ha donato e ci hanno aiutato a riflettere e a esprimere riconoscenza per quell’esperienza di grazia che è l’Azione cattolica. Caro Davide, al tuo ricordo «i g venti del cuore soffiano»: grazie! ■

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le altre notizie

ALLA CAMERA LA LEGGE SUL FINE VITA

Mondo cattolico: una proposta condivisibile efinire e dare dei punti fermi alle dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat). Questo il senso di un disegno di legge su «Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento» in discussione alla Camera, comunemente definito “legge sul fine vita”. Tra i “paletti” posti la difesa della vita, tutelata come «diritto inviolabile e indisponibile, garantito anche nella fase terminale dell’esistenza», il divieto di ogni forma di eutanasia e di aiuto al suicidio, il rifiuto dell’accanimento terapeutico, il mantenimento di idratazione e alimentazione fino alla fine (per evitare il ripetersi di situazioni come quella che portò alla morte di Eluana Englaro) e la loro esclusione dalle Dat, l’impegno del medico curante a prendere in considerazione le volontà espresse nella Dat, ma pure agire «in scienza e coscienza» impedendogli di consi-

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derare «indicazioni orientate a cagionare la morte del paziente o comunque in contrasto con le norme giuridiche o la deontologia medica». La normativa raccoglie consensi ampi e trasversali all’interno del mondo cattolico: da segnalare quello di 12 esponenti impegnati in ambito comunicativo, sociale e accademico (tra cui il rettore della Cattolica Lorenzo Ornaghi, i direttori di Avvenire, Marco Tarquinio, dell’Agenzia Sir, Paolo Bustaffa, di Tv2000, Stefano De Martis, il presidente della Federazione dei settimanali cattolici Francesco Zanotti, il direttore editoriale di Tv2000 Dino Boffo, i giuristi Francesco D’Agostino e Giuseppe Dalla Torre e la bioeticista Assuntina Morresi), che parlano di «proposta ragionevole, condivisibile, realmente liberale e oggi non più rinviabile, a fronte degli avvenimenti degli ultimi g anni su fine vita e libertà di cura». ■

IL TERREMOTO IN GIAPPONE

Solidarietà e vicinanza con la preghiera e aiuti concreti igliaia di morti e di dispersi, un paese in ginocchio e il rischio di una catastrofe nucleare. Così si è presentato il Giappone dopo il terremoto e lo tsunami di venerdì 11 marzo. Immagini che ci riportano con la memoria ad altri recenti disastri, tra cui il sisma che proprio due anni fa colpì l’Abruzzo. Ma alla paura e alla tragedia per la terra che ha tremato si sono ben presto aggiunte paura e tragedia per la contaminazione radioattiva. Milioni i giapponesi in fuga dalle aree a rischio a seguito delle perdite nell’impianto nucleare di Fukushima, danneggiato dal terremoto, e anche Tokyo si è parzialmente svuotata. Mentre passeranno alla storia i 50 tecnici e gli altri volontari, che hanno accettato di restare dentro la centrale per limitare i danni ed evitare l’irreparabile, ben consapevoli che pagheranno

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caro – molto probabilmente con la vita – questo loro impegno, così come avvenne a Chernobyl. «Prego per le vittime e per i loro familiari, e per tutti coloro che soffrono a causa di questi tremendi eventi», ha detto Benedetto XVI dopo l’Angelus domenicale del 13 marzo, incoraggiando «quanti, con encomiabile prontezza, si stanno impegnando per portare aiuto». «Solidarietà e vicinanza nella preghiera» sono state espresse anche dalla Presidenza nazionale dell’Azione cattolica. Tanti i volontari che stanno portando aiuto, tra cui quelli di Caritas Giappone. Dall’Italia è possibile sostenere gli interventi in programma versando un contributo sul c/c postale 347013 intestato a Caritas italiana, specificando nella g causale “Emergenza Giappone 2011”. ■ F.R.


Il Msac: «Noi nella pubblica istruzione ci crediamo» a Chiesa ha molta stima e fiducia nella scuola perché è un luogo privilegiato dell’educazione», e «ci sta a cuore l’educazione integrale anche attraverso la scuola e in qualunque sede, statale o non statale». Sono parole del presidente dei vescovi italiani, card. Angelo Bagnasco, pronunciate all’indomani di una polemica innescata da alcune dichiarazioni rilasciate, a fine febbraio, dal presidente del Consiglio, che aveva attaccato la scuola pubblica, i cui insegnanti – secondo quanto detto dal premier – «inculcano idee diverse da quelle che vengono trasmesse nelle famiglie». Un attacco che non è piaciuto a quanti con la scuola hanno a che fare, al di là di ogni schieramento politico: l’Associazione italiana maestri cattolici ha chiesto di non coinvolgere la scuola e i suoi professionisti «nelle polemiche e nella conflittualità partitica o ideologica», l’As-

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sociazione italiana genitori ha invitato a sostenere e legittimare «tutti i buoni insegnanti ed educatori, ovunque essi svolgano la loro professione», mentre l’Associazione genitori scuole cattoliche ha parlato di «inutile polemica che nasconde la realtà della scuola». Deciso anche l’intervento del Movimento studenti di Azione cattolica (Msac), per il quale le parole di Berlusconi sono «gravi» perché «sminuiscono una delle istituzioni fondamentali di questa Repubblica». «Noi nella pubblica istruzione ci crediamo», ha affermato la segretaria nazionale del Msac, Saretta Marotta, ricordando che «se è pur vero che la libertà di scelta educativa da parte delle famiglie è un tema caro tra le istanze dei cattolici, non è affatto vero che questi odino o non siano pronti a difendere con convinzione il diritto costituziog nale alla scuola pubblica». ■

le altre notizie

A PROPOSITO DI ALCUNE POLEMICHE SULLA SCUOLA

IL MONDO DEL NO PROFIT È QUELLO CHE NE RISENTE DI PIÙ

Tariffe postali: dopo lo “scippo” solo promesse ra proprio l’indomani delle elezioni regionali quando il governo, con un decreto interministeriale pubblicato nella Gazzetta ufficiale il 31 marzo 2010, ed entrato in vigore il giorno seguente, soppresse le tariffe postali agevolate per l’editoria. Un provvedimento che, senza alcun preavviso, portava aumenti nelle spese di spedizione delle riviste e dei libri variabili tra il 120 e il 500%, dove ad essere maggiormente colpito era il terzo settore, il no profit. Un duro colpo, che solo alla stampa associativa nazionale dell’Azione cattolica ha comportato un aggravio nel 2010 di 500mila euro. In pratica, un modo per rendere difficile, e spesso impossibile, la vita a tanti strumenti d’informazione associativi solo perché non hanno alle spalle grandi gruppi editoriali o interessi economicamente forti. Il colpo è stato duro anche per i settimanali diocesani, stampa preziosa per dar voce al territorio e che spesso racconta ciò che magari i

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grandi media tacciono. Dopo mesi di trattative per la maggior parte dei settimanali si è giunti a un accordo che non riporta certo alla situazione precedente, ma almeno ha ridotto l’aggravio economico. E per tutti gli altri, per l’associazionismo, per il no profit? Promesse, solo promesse... Di fatto l’Ac si deve sobbarcare il pesante aumento dei costi per il 2010 e, stando così le cose, anche quello per il 2011. E non si vede la fine del tunnel... Occorre ricordare che per evitare ulteriori aggravi, l’Ac nazionale è stata costretta a ridurre le uscite di Segno e delle altre riviste dedicate ai ragazzi e ai giovani e a portare on line il bimestrale SegnoPer. E non si possono trascurare i problemi e i costi aggiuntivi creati a tante associazioni diocesane di Ac. Per essere sinceri, non ci pare questa la politica che si pone al servizio g del cittadino. ■ Segno

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tempi moderni intervista con Agostino Burberi di Silvio Mengotto

Nella foto: Agostino Burberi. Accanto, Burberi è il bambino con l’ombrello appoggiato sulle spalle

Quella scuola ricca di vita gostino Burberi aveva otto anni quando a Barbiana conobbe don Lorenzo Milani. Insieme ad altri sei bambini frequentò la scuola di Barbiana vivendo direttamente tutta la vicenda umana e pastorale del sacerdote toscano fino alla sua morte. Oggi è animatore della Fondazione Don Lorenzo Milani (www.donlorenzomilani.it). Sono numerosi i suoi viaggi in giro per l’Italia dove scolaresche e centri culturali chiedono, sempre più spesso, una testimonianza su una figura “chiave” nel campo dell’educare come è stata quella del prete di Barbiana.

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È passato mezzo secolo dall’esperienza di don Lorenzo Milani. Oggi s o no i v es c o v i it a li an i c he pe r il prossimo decennio hanno messo a tema dell’attività pastorale proprio il tema educativo. L’altro giorno ho parlato con degli studenti. Sorprende come siano stati attenti ad ascoltare il mio racconto su don Milani a tanti anni di distanza. Sorprende anche noi – la generazione di Barbiana –: dopo tanti anni abbiamo bisogno di rifarci a figure così lontane. Pensavamo che il mondo fosse andato avanti in tutti i sensi: scuola, Chiesa, mondo civile. Probabilmente se dobbiamo riflettere Un ex allievo di Barbiana su alcune di queste figure significa che abbiamo bisogno di ritrovare dei racconta a Segno la sua valori. Molte delle cose che don Milani esperienza con don sosteneva allora, sia rispetto alla ChieLorenzo Milani. Per sa che alla vita sociale, erano in forte continuare a riflettere sul tema dell’educazione, anticipo. La proposta dei vescovi ben venga, sono contento, anche perché a pochi mesi dalla oggi viviamo in una società difficile. pubblicazione degli Finite le ideologia vedo che c’è più Orientamenti pastorali confusione. La Chiesa ha un ruolo dei vescovi italiani

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importante proprio sulle coscienze delle persone per ricreare un clima di vita e per educare i giovani. Barbiana viveva una povertà materiale e culturale. Eppure don Milani riuscì a educare. Non crede che la scuola di Barbiana sia stata anche una scuola per la vita? Barbiana aveva non più di 100 abitanti. Collocata al lato Nord del monte Giovi a un’altezza di 500 metri. La vita era dura: non c’era la strada, né energia elettrica, nelle case non c’era l’acqua. La realtà era davvero pesante. Don Milani sperimentò quello che aveva in testa perché aveva davanti a sé dei ragazzi che non avevano distrazioni. Pur essendo bambini la nostra scelta era tra il badare le pecore, pulire la stalla, fare lavori pesanti, o andare a scuola. L’orario scolastico di Barbiana era di 12 ore al giorno, se lo dite ai ragazzi di oggi la prendono male, in realtà non era così per noi. La nostra scelta la si viveva come una fortuna rispetto all’alternativa del lavoro pesante che ci aspettava. Il giorno dopo il suo arrivo a Barbiana propose ai nostri genitori di fare il doposcuola. Così ebbe inizio il tutto. Al mattino andavamo alla scuola elementare, io frequentavo la terza, e il pomeriggio ci si recava al doposcuola di don Milani. Terminata la quinta elementare don Milani ha proposto ai nostri genitori di fare la scuola superiore. A Barbiana chi voleva studiare doveva fare 25 chilometri a piedi per trovare la prima scuola superiore. A quei tempi non c’era la scuola media obbligatoria e unificata. Anche se gestita da un prete la nostra era una scuola laica e privata.


tempi moderni Nell’educare don Milani aveva particolari regole? Sì. Non si andava avanti se tutti non avevano capito. Noi ragazzi eravamo tutti insieme seduti attorno a un tavolo con un unico libro. Insieme si studiava, si leggeva. Si rimaneva con don Milani per 12 ore proprio perché era una scuola diversa. Mi piace dirlo: era una scuola ricca di vita. Aveva alcune regole importanti: si frequentava per sapere, non per i voti o per ingannare la maestra. Il copiare non esisteva. Non avevamo i libri ma facevamo dei libri murali. Lo studio e l’applicazione diventavano il nostro libro con il metodo della scrittura collettiva. In realtà questa scuola aveva l’obiettivo di formare dei cittadini. Noi sentivamo l’umiliazione di essere contadini montanari, sapevamo bene che cosa significava essere ultimi. Eravamo timidi, si aveva paura di qualunque altra cosa perché ci sentivamo umiliati. Il primo obiettivo di don Milani è stato quello di darci orgoglio e di metterci in condizione di essere cittadini, di esercitare i nostri diritti. C’erano del le special i “i nven zioni” che don Mi lan i adottava per aiutarvi a crescere?

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tempi moderni Nella pagina precedente:

Erano due. Quando si tornava al pomeriggio dopo il pranzo si leggevano insieme diversi quotidiani. L’intento di don Milani era quello di darci degli strumenti perché ognuno di noi fosse in grado di cercare la sua verità. Quella che ci viene confezionata non è la verità. Tu devi capire quella che è la verità! Capire cosa vuol dire l’articolo di fondo del quotidiano, capire il fatto, etc. Questo lavoro, un esercizio quotidiano e collettivo, aveva questo significato. L’altro momento era legato all’arrivo di un ospite con il quale si dialogava formulando alla fine le nostre domande per cercare, in un certo senso, di competere. In noi c’era sempre questa voglia di ingaggiare una palestra di confronto.

Barbiana sotto la neve e i ragazzi che ascoltano musica.

La scuola di Barbiana attraversò qualche fase difficile? La fase più complicata coincise col fatto che nella

scuola dell’obbligo nei comuni vicini cominciavano a bocciare i ragazzi della prima media. Masse di ragazzi bocciati. I poveri genitori accompagnavano questi ragazzi da don Milani perché la nostra scuola riusciva a far andare avanti anche gli ultimi. Questi ragazzi odiavano la scuola e, quindi, erano da riconquistare. Questo periodo ha coinciso con la fase più difficile della scuola, ma ci ha permesso di riflettere e di fare quell’analisi che portò al libro Lettera ad una professoressa, una cruda descrizione del fung zionamento della scuola italiana. ■

Nelle altre foto don Lorenzo Milani insieme ai suoi allievi

Don Lorenzo Milani

IL PRETE CHE FECE STUDIARE I CONTADINI orenzo Milani Comparetti nasce a Firenze il 27 maggio 1923 in una famiglia ebrea benestante. Secondo dei tre figli di Albano Milani e Alice Weiss, all’età di 7 anni si trasferisce con i genitori a Milano dove completa le elementari e l’intero ciclo di studi fino alla maturità classica al liceo Berchet. All’inizio del ’43 la famiglia ritorna a Firenze. L’8 novembre del ’43 entra in seminario. Il 13 luglio del 1947 è ordinato sacerdote. Nella parrocchia di San Donato di Calenzano decide di creare in canonica una scuola serale aperta a tutti i giovani di estrazione popolare e operaia. Nel 1954 viene mandato a Sant’Andrea di Barbiana nel Mugello: un centinaio d’anime sulle pendici del monte Giovi, senza strada, senza acqua nelle case, senza luce. Nasce così la scuola di Barbiana. Al mattino i bambini andavano alla scuola elementare, al pomeriggio al doposcuola di don Milani. Allora non c’era la scuola media obbligatoria e unificata. La scuola di Barbiana cercava di formare dei cittadini, aiutando i ceti più deboli a studiare. Il libro Lettera ad una professoressa è una cruda descrizione del funzionamento della scuola italiana e, da quell’esperienza, nacquero altre riflessioni che in qualche modo anticiparono l’anelito di novità pastorale ed educativa accolto poi dal Concilio Vaticano II. In difesa dell’obiezione di coscienza alla leva militare scrisse ai cappellani militari una lettera dal titolo L’obbedienza non è più una virtù. Malato per 7 anni del morbo di Hodgkin il 26 giugno 1967 muore a Firenze in casa della madre. [s . m.]

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Stop a tutte le mafie no storico anniversario per chi combatte le mafie e lotta per la legalità. Ha compiuto 15 anni la legge 109/96 sul riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie. Un provvedimento nato da una sottoscrizione popolare che aveva raccolto un milione di firme e che ha visto in prima fila, in tutti questi anni, Libera, l’associazione “contro le mafie” fondata e guidata

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A 15 anni dalla legge sul riutilizzo sociale dei beni confiscati alla criminalità organizzata, don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, traccia un bilancio degli obiettivi raggiunti, «dagli edifici trasformati in scuole, caserme, centri per anziani, alle cooperative su terreni confiscati che danno lavoro a tanti giovani». Senza trascurare la nascita dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati

Nella foto: don Luigi Ciotti, fondatore dell’associazione “Libera”

da don Luigi Ciotti. Ed è proprio Libera a tracciare oggi un bilancio, ricordando che in questi 15 anni «centinaia di ettari di terreni, ville, appartamenti e altri beni immobili si sono trasformati in cooperative sociali, sedi di associazioni, comunità d’accoglienza, centri culturali, grazie all’impegno di istitu-

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zioni, enti locali e della società responsabile». Dal centro che ospiterà colonie estive a Isola di Capo Rizzuto (Calabria) alla Cooperativa Agropoli onlus a San Cipriano d’Aversa (Campania), che ha un centro sociale per ragazzi e una comunità alloggio per pazienti psichiatrici; dalla Casa del jazz, a Roma, a Spazio Cangiari, a Milano, gestito dal consorzio sociale Goel: innumerevoli sono le realtà nate utilizzando immobili e terreni confiscati a mafia, camorra, ‘ndrangheta, sacra corona unita e altre organizzazioni criminali. «Quindici anni dopo – commenta Don Luigi Ciotti – il bilancio è certo positivo, anche se rimangono delle criticità. Non sempre è stato facile dare applicazione alla legge, che sul piano operativo ha scontato una serie di debolezze, ostacoli burocratici e ritardi. Ma tanto è stato comunque fatto. Numerosi e concreti i percorsi di giustizia, i diritti costruiti grazie alla 109: dagli edifici trasformati in scuole, caserme, centri per anziani, alle cooperative che sui terreni confiscati danno lavoro a tanti giovani e mobilitano tutte le forze sane dei territori. I prodotti a marchio “Libera Terra”, con il loro gusto di legalità e responsabilità, arrivano nelle case e sulle tavole di moltissimi italiani». «Nell’ultimo periodo – sottolinea il presidente di Libera – abbiamo avuto anche la soddisfazione di veder nascere l’Agenzia nazionale per i beni confiscati, come auspicavamo da anni. Uno strumento che speriamo contribuisca a potenziare l’efficacia e il valore economico, culturale e sociale, ma soprattutto etico di questi percorsi». Tra ciò che ancora resta da fare don Ciotti segnala «l’estensione dell’uso sociale» dei beni confiscati e la battaglia contro i reati di corruzione, che oggi vede l’associazione impegnata in una campagna «affinché il governo e il Parlamento ratifichino quanto prima e diano concreta attuazione ai trattati, alle convenzioni internazionali e alle direttive comunitarie in materia di lotta alla corruzione, nonché alle norme, introdotte con la legge Finanziaria del 2007, per la confisca e l’uso sociale dei beni sottratti ai g corrotti». [f.r.] ■

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Sempre su, verso l’alto intervista con Tita Piasentini

a linfa ritorna a scorrere nei tronchi, e l’inverno cede il di Barbara Garavaglia passo alla primavera. Un miracolo che ritorna annualmente e che, costantemente, stupisce. Le temperature più miti, la stagione più favorevole inducono molti a percorrere sentieri, ad andare in montagna. Dopo aver frequentato le piste innevate, sono numerose le famiglie che compiono escursioni più o meno impegnative. Ma che cosa significa andar per monti? È solamente un modo per trascorrere qualche ora all’aria aperta, per tonificare i muscoli, oppure può diventare un’occasione educativa? Tita Piasentini, presidente di Giovane montagna, associazione nata a Torino nel 1914 dall’iniziativa di un A lato: il presidente di gruppo di giovani legati al Giovane montagna, santo educatore Leonardo Murialdo, che fa del binoTita Piasentini mio alpinismo e spiritualità cristiana il proprio biglietto da visi«Senza fatica non si arriva ta, è certa che la frequentazione in vetta». Ecco perché, delle vette sia una importante secondo il presidente di Giovane montagna, le vette opportunità. «L’alpinismo di ieri non è quello di oggi – afferma educano alla solidarietà e ai valori dello stare insieme. Piasentini –: la tecnologia ha permesso di raggiungere risul«Il salire non sia un altro atto di egoismo, ma un segno tati impensati, ma si è separato dall’etica, considerando la vita di condivisione, di lode non più un valore primario. Pur e di ringraziamento»

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di raggiungere il successo non si tiene conto dei doveri del proprio stato, quali la famiglia, i figli e le responsabilità civili, laiche e religiose. Attraverso segni tangibili dobbiamo opporci a questa concezione di alpinismo. L’alpinismo voluto dai fondatori è a dimensione della persona. Il nostro salire esalti la centralità della persona e il suo fine ultimo. Promuovere la pratica e la conoscenza della montagna è un fatto educativo, l’alpinismo è una scuola di vita che va promossa non impersonalmente, ma in rapporto ai soggetti interessati, sia adulti, sia, in modo particolare, le giovani generazioni». Seguendo in questo


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L’ A c in c am min o Anche quest’anno l’Azione cattolica rinnova l’invito per le parrocchie, i gruppi, le diocesi, a vivere insieme una giornata a piedi sui sentieri Frassati. Stanno anche per essere inaugurati i sentieri delle tre regioni dove ancora non c’erano. Ecco le date: domenica 8 maggio: inaugurazione del sentiero Frassati della Sardegna Punta Lamarmora (Og); domenica 10 luglio: inaugurazione del sentiero Frassati del Trentino Santuario della Madonna di Deggia (Tn); domenica 4 settembre: inaugurazione del sentiero Frassati della Puglia Roseto Valfortore (Fg).

modo le orme di uno dei soci di Giovane montagna, il beato Piergiorgio Frassati, tanto caro all’Azione cattolica italiana. È ancora attu al e pensare che la mon tagn a possa essere uno strumento di elevazione spirituale? È ancora attuale che la montagna, più che uno strumento, abbia un valore educativo, specialmente per i più giovani; un valore nel quale la componente fisica e quella spirituale camminino in sintonia per interiorizzarla come bellezza e come dono, ma soprattutto come dimensione umana nella quale la tecnica non escluda lo spirito. Accostarsi alla natura, aver consapev ol ez z a d ei p r op r i l i m i t i , co m p i e r e una fatica per giungere a una meta, c on d i v i d e r e co n al tr i g i oi e e s t an chezze, sono elementi importanti per l ’e s cu r s i on i s t a e l ’al p i n i s ta. C o m e condividerli? Nasce la sottosezione Frassati

UNA BUONA NOTIZIA PER CHI AMA LE CIME

Chi si accosta alla montagna, come alpinista o semplice escursionista, risponde a una chiamata che nasce da qualche opportunità – una proposta di un amico, una gita parrocchiale, per esempio – oppure da una particolare inclinazione naturale. Per conoscere e praticare la montagna è necessaria quindi una preparazione adeguata, per capire i propri limiti, per non incorrere a pericoli, ma soprattutto per essere consapevoli che la vita è un valore inalienabile. È necessario far comprendere che la gioia è frutto della fatica. La montagna è la metafora della vita, senza sacrificio non si raggiunge la propria vocazione, senza fatica non si arriva in vetta! La montagna educa alla solidarietà, il cammino va condiviso, le necessità degli altri devono essere le tue. Il salire non sia un altro atto di egoismo, ma un segno di condivisione, di lode e di ringraziamento. Qu ali suggerimenti offre alle famigl ie per gustare, con l’escursionismo, lo stare insieme, la sobrietà, il contatto con il creato? Educare i figli al tempo libero deve essere una prerogativa della famiglia: il tempo libero identifica la continuità del suo stile di vita. Scegliere la montagna significa dare opportunità al papà e alla mamma di vivere la vacanza in sintonia con i figli, cogliendo in maniera attiva i segni del Creato, educando alla sobrietà, ai valori e alla bellezza della vita, ma soprattutto far esperienza insieme di ciò che Dio ci ha donato.

ara Amica, caro Amico, con l’inizio del nuovo anno è decollata l’avventura della sottosezione “Pier Giorgio Frassati” dell’associazione Alpinistica “Giovane montagna”». Comincia così la lettera che i responsabili della sottosezione hanno mandato ai soci. «Dopo questo primo anno di abbrivio – continua la lettera – che sarà interamente dedicato alle inaugurazioni dei “Sentieri Frassati” in Sardegna (maggio) Trentino (luglio) e Puglia (settembre) intendiamo proseguire nel 2012 con un calendario “sezionale” di iniziative, certi che per valli e per monti esistono un universo di conoscenze, un patrimonio di cultura e di arte, una tessitura di sentieri e strade, degni di essere riscoperti e percorsi. Oltre ai Sentieri Frassati pensiamo alla tradizione dei Santuari montani e dei Sacri Monti, alle vie di pellegrinaggio storiche quali la via Francigena, la Romea, il cammino Micaelico, il cammino di S. Agostino, alle grandi strade di collegamento alpine ed appenniniche (Sempione, Spluga, Moncenisio, Gran S. Bernardo, Passo S. Marco, Via Vandelli, le antiche vie della transumanza....) oltre che al fascino europeo dei Cammini di Santiago o a quello perenne delle polverose strade della Palestina». Per info: www.giovanemontagna.org. Per aderire basta provvedere al versamento della quota sociale di € 40,00 per i soci ordinari e € 20,00 per i soci familiari aggregati. Ai primi 50 nuovi soci ordinari verrà inviato il volume + dvd di Roberto Falciola, Pier Giorgio Frassati. Non vivacchiare ma vivere, edito nel 2010 dall’Editrice Ave. Inoltre è appena stata inserita sul sito della Rai una puntata de La Storia siamo noi dedicata alla vita di Pier Giorgio Frassati. Si può rivederla in web cliccando sul seguente link: http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/pop/schedaVideo.aspx?id=2230

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C o m e e du c a r e i gi o v a ni a d amare la montagna? Educare i giovani alla montagna significa far capir loro che ciò che ci è stato donato da Dio non è nostro; la stessa passione per la montagna non va vissuta per se stessi, ma va condivisa. Ai giovani va insegnato che la montagna è sempre un mezzo, mai un fine. Il vero fine è condividere il nostro salire con chi ci sta accanto. Perciò non è atto di egoismo, ma di g vero altruismo. ■

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Finalmente aria pulita di Marco Ratti

era una volta un paesino di montagna in cui le auto erano così piccole e silenziose che capitava spesso di non accorgersi di averne una alle spalle. Si muovevano lentamente, senza sporcare l’aria con i gas di scarico, ed erano gli unici mezzi a motore autorizzati a spostarsi da un estremo all’altro del comune. Era così nel 1951, quando gli abitanti decisero di bandire le macchine inquinanti dalla loro città. Ed è così ancora oggi». Potrebbe essere l’inizio di una favola, ma questo paese esiste Nella pagina accanto: davvero, ha un nome e una collocazione geografica. un veicolo elettrico Si chiama Saas-Fee, un villaggio a 1.800 metri sul che porta livello del mare nella Svizzera tedesca, a 250 chilol’acqua a casa; metri da Milano, nell’Alto Vallese, in cima alla Valle di un trenino elettrico che Saas, che comprende anche Saas-Grund, Saasgira per la città; Almagell e Saas-Balen. È circondato dalla catena del un veicolo elettrico in Mischabel, che conta tredici vette che superano i primo piano con Saas Fee 4.000 metri, tra cui il Dom, che con i suoi 4.545 e i turisti sullo sfondo metri detiene il record di montagna più alta del paese. Un paeSi chiama Saas-Fee, saggio mozzafiato, che ha fatto un villaggio a 1800 metri guadagnare alla valle il sopransul livello del mare nella nome di “perla delle Alpi”. Da 60 Svizzera tedesca. Con gli anni a questa parte, chi vuole anni ha creato un sistema eco-ambientale compatibile entrare in paese deve lasciare la macchina nel grande parcheggio con una qualità altissima appena fuori. All’interno si può di vita. E gli automobilisti circolare solo a bordo di piccoli vanno a piedi

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veicoli elettrici a tre o quattro ruote, usati anche come taxi o per il trasporto di merci. Non vanno oltre i 30 chilometri all’ora di velocità, sono larghi appena 1,2-1,3 metri, lunghi al massimo 3,8 metri e alti non più di 2 metri. Dei nanerottoli rispetto alle normali macchine, costruiti su ordinazione e quindi molto costosi (l’ufficio turistico parla di una media di 100.000 franchi per esemplare, pari a 78 mila euro circa). Inoltre, per acquistare un veicolo del genere i 1.700 abitanti devono dimostrare di averne davvero bisogno (ne hanno potuto avere uno alberghi, ristoranti, negozi e altri esercizi commerciali). La sola eccezione è l’Allalino, un trenino elettrico rosso che porta gli ospiti fino agli impianti di risalita d’inverno e in giro per il villaggio d’estate. La voglia di “emissioni zero”, del resto, pare aver contagiato nel tempo altri comuni. Nel 1988, infatti, è nata l’Associazione dei centri turistici svizzeri liberi da automobili (Gast), di cui oggi fanno parte, oltre a Saas-Fee, Braunwald, Bettmeralp, Mürren, Riederalp, Rigi, Stoos,, Wengen e Zermatt. Obiettivo dell’ente è offrire agli ospiti «un alto livello di relax e, al contempo, l’aumento della consapevolezza dell’importanza della conservazione dell’ambiente e dell’utilizzo delle risorse in modo sostenibile». Nel dettaglio, i membri del Gast si sono dati nove priorità: raccomandare ai turisti l’uso dei mezzi pubblici; offrire parcheggi a pagamento ben attrezzati; garantire il trasferimento dei bagagli con veicoli elettrici; man-


tempi moderni Il miracolo di Saas-Fee

QUANDO L’AMBIENTE È UN PATRIMONIO DI TUTTI aas-Fee è tra i promotori dell’Alleanza nelle Alpi, un’associazione di oltre 300 comuni distribuiti tra Austria, Francia, Germania, Italia, Liechtenstein, Slovenia, Svizzera. Fondato nel 1997, l’ente sostiene uno sviluppo sostenibile dell’area alpina. «L’adesione – si legge tra le regole – implica l’approvazione dei principi della Convenzione delle Alpi e i membri devono dichiararsi disponibili a elaborare obiettivi ambientali, a realizzare programmi che prevedano misure di decongestionamento e a perseguire un costante miglioramento nella tutela dell’ambiente». I principi guida sono dieci: essere “comuni modello” per uno sviluppo sostenibile; cooperazione e scambio di esperienze; realizzazione di progetti innovativi a livello ecologico, socioeconomico e politico; ampia partecipazione ai processi decisionali, di pianificazione e di attuazione della politica comunale; conservazione della biodiversità, del paesaggio e della cultura; sviluppo economico sostenibile e promozione di prodotti e servizi basati su risorse del territorio; ricerca di nuovi criteri per i servizi di pubblico interesse e rispetto dell’equità fra i sessi; riduzione del traffico motorizzato; lotta al cambiamento climatico; controllo del raggiungimento degli obiettivi. Altre informazioni agli indirizzi www.alpenallianz.org (Alleanza nelle Alpi) e www.alpconv.org (Convenzione delle Alpi).

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tenere i villaggi liberi dal traffico; limitare i permessi di circolazione a veicoli a combustione a un numero estremamente limitato di casi di provata necessità; verificare ogni due anni la possibilità di spostarsi senza problemi in città anche nelle ore di punta; promuovere un network ben organizzato di trasporti pubblici; dare un’informazione puntuale e chiara dei sistemi di spostamento alternativi alla macchina; cercare di raggiungere un alto grado di soddisfazione tra gli ospiti regolari (altre informazioni in tedesco, francese e inglese all’indirizzo internet www.gast.org). Ma non è tutto, visto che il comune di Saas-Fee sembra intenzionato a tingersi ancora più di verde. Oltre ad aver contribuito alla nascita dell’Alleanza nelle Alpi 15 anni fa (vedi il box), infatti, mira a diventare «il primo posto al mondo senza polveri sottili». Dei 250 impianti di riscaldamento del paese che bruciano legna per funzionare, una settantina è stata dotata di un filtro apposito nel 2010 e il resto lo sarà entro quest’anno, riducendo così le emissioni di oltre il 95 per cento. Il tutto per un investimento complessivo di un milione di franchi (più di 777 mila euro) tra amministrazione locale, ufficio turistico e l’Oeko-Solve, la società che produce i filtri. Oltre all’aria che respira chi passa di lì, il piccolo villaggio cerca di badare alle apparenze. E così ha messo in piedi un piano regolatore e un regolamento edilizio tra i più restrittivi della Svizzera. Gli edifici, per esempio, devono avere un tetto a due spioventi e almeno un terzo della facciata deve sempre essere fatta in legno, così da preservare il tipico stile dello chalet vallesano. Inoltre è stata limitata la vendita di appartamenti, così da evitare la diffusione di costruzioni a scopo speculativo, un fenomeno che ha già rovinato il paesaggio di tanti luoghi di villeggiatura. Tutti accorgimenti che hanno contribuito, con tutta probabilità, al buon andamento del turismo (nel 2010 i pernottamenti hanno toccato quota 782.431). Negli ultimi anni, raccontano i residenti, sono aumentati soprattutto i membri della comunità ebraica di Londra, che trascorrono le ferie nella cittadina. La maggior parte dei visitatori, comunque, arriva ancora dalla Svizzera (il 40 per cento), mentre gli italiani non sono g neppure l’1 per cento del totale. ■

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economia e lavoro intervista con Bruno Manghi di Francesco Rossi

Difendiamo il Primo maggio lavoratori e il Primo maggio, la crisi e il ruolo del sindacato, la precarietà e il futuro del mercato occupazionale. Temi cruciali che chiamano in causa i giovani, ma non solo. Ne parliamo con Bruno Manghi, sociologo e già direttore del Centro studi nazionale della Cisl.

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Il Primo maggio nacque in un contesto totalmente differente dall’attuale. A distanza di oltre un secolo, cos’è oggi la “festa dei lavor ator i”? Ha an cora un significato? Il primo maggio ha acquisito, nel tempo, diversi significati. Ricordiamo quello degli esordi, in un’epoca drammatica per i lavoratori, quando era ostacolato e proibito. Nei tempi “ordinari”, della democrazia, diventa altro. Possiamo dire che è una finestra: per alcuni anni è una festa scontata, diciamo pure ritualizzata, poi quando viene a contatto con avvenimenti sociali si riscalda. È un’occasione, che può essere di festa e ricordo, oppure di protesta e manifestazione. Negli anni della crisi, della precarietà, che connotato assume? Precarietà del lavoro, Guardando indietro nel flessibilità, posto fisso, tempo, quelli vissuti più economia sommersa. Per l’ex intensamente non sono i “primi maggio” delle epoche direttore del Centro studi di crisi, ma di rivendicazione. nazionale della Cisl, «la base I periodi di crisi portano più di partenza è sempre malinconia che voglia di prol’associazionismo, lo stare testare, a meno che non insieme: il nostro paese ne abbiano un significato politiè ricco. Sullo sfondo ci sono problematiche di significato, co più profondo: ricordo il non “banali” rivendicazioni. primo maggio a Santiago del Il mio consiglio è che i giovani Cile, sotto la dittatura di Pinochet, o quelli in Paraguay o si facciano avanti, che costruiscano reti di solidarietà Brasile, quando in gioco era la democrazia. Ciò premestra di loro, acquisiscano una so, e tornando all’ordinarietà capacità di confronto»

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di epoche e contesti democratici, le occasioni per manifestare sono ormai talmente tante che questo giorno non si erge più solitario, ma è calato in mezzo a una miriade di modi d’esprimersi. Oggi si lamenta la precarietà del lavoro, contrapposta al “posto fisso” di un tempo”... Quello del posto fisso è uno dei tanti miti coltivati perché fanno effetto. Se c’è stato un mercato del lavoro mobile e incerto, è quello italiano dagli anni cinquanta in poi. Sì, nella grande impresa e nell’apparato statale esisteva una certa stabilità, ma non coinvolgeva la maggioranza dei lavoratori. Piuttosto si pensava che crescendo e dando una migliore istruzione ai nostri figli, questi avrebbero raggiunto la tanto agognata stabilità. Un’aspettativa che, però, è rimasta frustrata. Ma non si può negare che quest’aspettativa di stabilità – o quantomeno di una flessibilità che non sconfini nella precari età – oggi, per tanti giovani e non solo, è poco più di un miraggio... La questione è legata al tipo di economia nella quale veniamo immersi, e non al singolo contratto. Un’assunzione a tempo indeterminato non dà più garanzie di un lavoro a termine se siamo in un contesto nel quale è facile che l’azienda chiuda i battenti. Il problema è la sostanza dell’economia: se sono un imprenditore che può fare una certa previsione del lavoro nel medio periodo avrò cura della mia gente – che sia collaboratore esterno o dipendente non importa – perché di essa mi fido e ne ho bisogno per mantenere un trend lavorativo che mi consenta di rispettare gli impegni assunti; se invece regna l’incertezza e la battaglia per aggiudicarsi un appalto attanaglia una parte consistente dell’economia, a volte premiando pure comportamenti non lodevoli, è chiaro che questa situazione si riverbera violentemente sul lavoro, avvallando situazioni occupaziona-


economia e lavoro assolutamente incomparabile: pensiamo all’istruzione, alla sanità, alle stesse possibilità lavorative. Le v i c en d e d e g l i s t a b i l i m e n t i F i a t d i P om i g l i an o e Mirafiori hanno messo sotto i riflettori una competizione sindacale esasperata, e più di un osservatore ha denunciato come sia giunto il momento di ripensare le relazioni sindacali. È così? Faccio una premessa: siamo di fronte a due stabilimenti “decotti”, dove per anni è mancato un piano industriale e ora vi lavorano poche migliaia di persone, contro le 65 mila di un tempo, con costi industriali spropositati. Sono impianti difficilmente difendibili dal punto di vista industriale, e non per colpa dei lavoratori, quanto piuttosto perché sono stati abbandonati nel corso di un declino complessivo dell’azienda. Per quanto riguarda la competizione sindacale, essa è normale in una condizione di pluralismo ed è presente in paesi come la Francia, la Spagna, il Belgio, l’Olanda. Ma un conto è la competizione, altro è disconoscersi. Qui si è passato il segno, con un livello di polemica quotidiana intrasindacale che ha visto venir meno la fase riflessiva e dialogica. È un momento critico, ma lo si può superare, a patto non di abbassare i toni, ma di cambiarli.

li che vanno dal sommerso – l’economia informale – ad abusi nell’utilizzo di contratti di formazione o di collaborazione.

Nella foto a sinistra: Bruno Manghi

In tempi recenti vi è chi ha contestato come lo stip e n d i o d e b b a e s s e r e r a p p o r t a t o al l u o g o i n c u i s i vive: mille euro al mese, ad esempio, in una grande c i t t à c o m e R om a o M i l a n o d i s i c u r o n o n b as t a n o , m e n t r e i n u n p i c c o l o p a es e , ad es e m p i o n e l S u d , può bastare. Che ne pensa? È vero che il costo della vita è diverso, ma a Roma e Milano – giusto per fare due esempi – ci sono opportunità di vita e di servizi enormemente maggiori rispetto ad altre zone d’Italia, dove vivere costa di meno. Ecco dunque che il maggior costo della vita è compensato da un’offerta per i singoli e le famiglie

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I giovani, anello debole della catena ma anche parte fondamentale di u n mercato d el l avoro ch e voglia guardare av anti , cosa p ossono fare per cambi are questo stato di cose? Quale futuro li attende? Tutto questo “lacrimare” su di loro, con atteggiamenti paternalistici, non porta da nessuna parte; si può invece fare molto purché con loro, a partire da loro. Devono essere protagonisti, il paternalismo li uccide. Da cosa possono partire per essere protagonisti? La base di partenza è sempre l’associazionismo, lo stare insieme: il nostro paese ne è ricco, e le espressioni aggregative aumenteranno ancor di più. Sullo sfondo ci sono problematiche di significato, non “banali” rivendicazioni. Il mio consiglio è che i giovani si facciano avanti, che costruiscano reti di solidarietà tra di loro, acquisiscano una capacità di cong fronto, e anche di conflitto costruttivo. ■

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cittadini e palazzo

Un compleanno che guarda al futuro

intervista con Angelo Bagnasco

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minenza: l’unità d’Italia è l’occasione per ripensare al ruolo dei cattolici nella vicenda nazionale. Lei ha parlato di “soci fondator i ” , d e l l a c ap a c i t à d i o f f r i r e u n “ n o i ” c h e superi interessi particolaristici. Come? Basta pensare a San Francesco d’Assisi e Santa Caterina da Siena, per citare solo due nomi da tutti conosciuti, per ricordare come veramente l’essere soci fondatori non sia un’espressione inopportuna o inadeguata ma abbia una sua ragionevolezza. Quel tessuto di fondo fatto di valori, di ideali che nasce dal vangelo ha avuto, nella predicazione della Chiesa e in particolare attraverso questi grandi testimoni, una sorgente e una voce significativa e costante. Possiamo ricordare, più vicino a noi, anche Rosmini, che ha partecipato, a suo modo, a quel processo del Risorgimento che ha portato alle note vicende. E poi Alcide De Gasperi, che da tutti è considerato uno dei grandi padri dell’Europa, e per essere padri dell’Europa bisogna innanzitutto essere padri e comunque protagonisti dei singoli paesi e lui sicuramente lo è stato per l’Italia. Nel più vasto raggio dell’Europa possiamo ricordare anche Adenauer e Schuman che avevano dell’Europa un’iRipercorrendo dea molto precisa, come una comunità di la memoria del famiglie riunita nel segno di un umanesicentocinquantesimo mo integrale di cui riconoscevano le radidell’unità d’Italia, ci nel vangelo. il card. Bagnasco, di Fabio Zavattaro

presidente della Cei, è convinto che «la celebrazione sia stata una bella occasione per rinverdire le nostre radici. E per rinvigorire una voglia di superare una certa mentalità conflittuale che oggi sembra dominante» 38

Vogliamo parlare di radici cristiane dell’Europa? Il concetto di radici comuni che non è stato messo nella Carta europea è però sotto gli occhi di tutti. Se si ha la volontà di fare una lettura serena della storia e della cultura dei vari paesi e dell’Europa, nel suo insieme, non si può certamente escludere, dimenticare, non riconoscere questo alveo grande che è il vangelo e

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che ha saputo raccogliere ogni altro contributo non strettamente cristiano ma comunque prezioso. Sapendo dare unità a una cultura umanistica plenaria: basti pensare, ad esempio, a tutto il patrimonio di arte, di letteratura, di musica, e di tradizioni. N e l l e s u e p r o l u s i o n i al l ’ A s s e m b l e a e a l C o n s i g l i o permanente della Cei, lei ha sottol ineato il disagio morale in cui si trova il nostro paese, ha chiesto che si superasse la fibrillazione politica e istituzionale. Le


cittadini e palazzo A lato: il presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco

celebrazion i per i 150 anni dell ’un ità d’Itali a sono state l’occasion e per ritrovare una nuova spin ta a collaborare per il bene comune? Lo speriamo tutti; la Chiesa in primo luogo, ma tutte le istituzioni, le persone di buona volontà. Lo spera il nostro popolo, proprio perché è stato un evento che la nostra gente avverte: c’è gioia, gratitudine e consapevolezza, più di quanto a volte non sembri o non si voglia far credere. Il senso della Nazione, dell’unità del paese, di una appartenenza a un destino e a una storia penso che sia più diffuso di quanto non appaia. Credo che la celebrazione dei 150 anni dell’Unità sia stata una bella occasione per rinverdire le nostre radici e rinvigorire una voglia di superare una mentalità conflittuale che oggi sembra dominante.

cura. Una società fatta di persone insicure, che si ripiegano su se stesse, non è un popolo, è una moltitudine di individui che vivono di paure, alla ricerca magari di soddisfare i propri egoismi o comunque il proprio benessere anche legittimo. È una società fragile, non una società consapevole, coesa, forte interiormente, emotivamente, interiormente. Quindi aggredire una persona nei suoi punti fondamentali, significa aggredirla nella sua sicurezza, ma significa anche aggredire la società e lo Stato: un insieme di persone smarrite non forma una società forte, uno Stato forte nel senso migliore, ma uno Stato, una Nazione, una comunità estremamente debole: una situazione del genere diventa più appetibile per qualcuno che è già forte.

N e l 18 6 1 v e n i v a a co m p i e r s i p o l i t i ca m e n t e u n a N a z i o n e , g e n e r a t a d a l su o p o p o l o . L e i h a d e t t o : q u a n d o s i os c u r a l a c o s c i en z a d e i v a l o r i c o m u n i , de lla propr ia i dent it à, div ent a f ra gile l’ unit à de l popolo e lo stato si indebolisce e si sfigura. Intaccare l’identità di un popolo o di una Nazione – e il popolo costituisce la Nazione, e questa costituisce lo Stato – rendendo più debole la persona, privandola cioè di punti di riferimento, di valori universali oggettivi nell’ordine morale, di ideali alti, intaccare questo patrimonio, significa rendere la persona insi-

Eminenza, una parola per questo anniversario dell’unità d’Italia? Gioia e speranza. Gioia perché riconoscerci in un popolo unito con una storia, un patrimonio che deve essere inverdito e accresciuto è certamente motivo di gioia e di gratitudine per tutti. È meglio essere un popolo, che una moltitudine. E speranza perché dobbiamo guardare al futuro, nonostante le difficoltà note di ieri e di oggi. Però dobbiamo credere al nostro futuro: l’Italia è un grande paese e un grande g popolo. ■

Le celebrazioni e i messaggi ufficiali

DAL PRESIDENTE NAPOLITANO ELOGIO DI UNITÀ E FEDERALISMO. E BENEDETTO XVI SEGNALA IL RUOLO DELL’AC l 17 marzo si è festeggiato il centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia. Un’unità complessa, problematica, che ha vissuto fasi tormentate ma ha conosciuto anche momenti di profonda convergenza, di sviluppo e di crescita economica, sociale e culturale. Le celebrazioni hanno visto momenti ufficiali, soprattutto nella capitale, e occasioni più “popolari”, tenutesi in quasi tutte le città e paesi della penisola. Di assoluto rilievo il messaggio rivolto al paese dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il quale ha perfettamente interpretato il proprio ruolo di rappresentante dell’unità della nazione. Il richiamo a interpretare il federalismo come strumento per il rafforzamento dell’unità; l’elogio della Carta costituzionale; l’evocazione di un’Italia preunitaria che, rimasta divisa, sarebbe stata «spazzata via dalla storia», hanno costituito passaggi di fierezza e lucidità che hanno marginalizzato le assenze e l’intollerabile superficialità di una parte della classe politica. Di grande rilievo anche il messaggio di Benedetto XVI rivolto al Presidente della Repubblica e, ancora, i precedenti convegni proposti dall’Azione cattolica. L’Istituto Vittorio Bachelet, a febbraio, e l’Istituto per la storia dell’Azione cattolica Paolo VI, all’inizio di marzo, hanno infatti contribuito a fare di questo anniversario un’occasione di riflessione, di ricostruzione di vicende storiche, di ricerca per l’elaborazione di una “memoria condivisa”. Nel messaggio che Benedetto XVI ha indirizzato a Giorgio Napolitano, si legge fra l’altro: «Se il testo costituzionale fu il positivo frutto di un incontro e di una collaborazione tra diverse tradizioni di pensiero, non c’è alcun dubbio che solo i costituenti cattolici si presentarono allo storico appuntamento con un preciso progetto sulla legge fondamentale del nuovo Stato italiano; un progetto maturato all’interno dell’Azione cattolica, in particolare della Fuci e del Movimento laureati, e dell’Università Cattolica del Sacro Cuore». Lo stesso papa Benedetto XVI ha ricorda come «negli anni dolorosi e oscuri del terrorismo, i cattolici hanno dato la loro testimonianza di sangue: come non ricordare, tra le varie figure, quelle dell’onorevole Aldo Moro e del professor Vittorio Bachelet?». [p. a.]

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famiglia oggi intervista con Bruno Tognolini

Nati per leggere

a seconda cosa che diamo ai nostri figli, quando nascono, è la voce. La prima è la faccia, perché il neonato guarda in faccia chi lo tiene in braccio. Ci fissa negli occhi. Io, adulto, ci metto la faccia, mi assumo la responsabilità di quello che ti sto offrendo. La seconda cosa è la voce, la lallazione, quell’insieme di sillabe senza un significato, ma che è importante. Sono il suono, la voce che chiama. “Voce di uno che grida nel deserto”. Deve essere un deserto il mondo in cui il bambino è stato spinto fuori dal suo Eden. E c’è una voce che chiama in questo deserto; una voce che dà umanità». Una voce che dà umanità, un fiume che riempie il proprio greto: il parlare, il raccontare, il leggere ai bambini, appartiene al patrimonio importante di trasmissione di vita, di umanità. E non è un esercizio da imporsi, oppure da inserire forzatamente nel ruolino di marcia di giornate e settimane sempre convulse. È parte del rapporto con i bambini. Bruno Tognolini, scrittore per l’infanzia, autore di trasmissioni “mitiche” come L’albero azzurro e La Melevisione, conosce, sperimenta, diffonde, l’importanza della lettura ad alta voce ai bambini. Un A destra: gesto d’amore, carico di passione, che, come accalo scrittore Bruno Tognolini de in agricoltura, non è detto che abbia l’esito certo (foto Daniela Zedda) di “produrre” accaniti lettori. Ma ha l’esito certo di aver consentito ad adulti e bambini di godere della reciproca preCi sono libri stupendi. senza e della ricchezza di fiabe, E storie stupende. romanzi, racconti e filastrocche che, «Se si trovano libri “giusti”, nasce il piacere come un fecondo sedimento, rimangono nel terreno della vita. di esserci, e leggere

di Barbara Garavaglia

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ad alta voce ai bambini non è un “dovere”: si è presenti con passione ed entusiasmo». Uno scrittore per l’infanzia racconta a Segno come possiamo rendere curiosi i più piccoli con la lettura di un buon volume 40

Perché leggere ad alta voce ai bambini? È una pratica diffusa? Purtroppo non è molto diffusa. Per il graduale esproprio o cessione dei territori importanti della creatività, che è in atto da anni, così come siamo stati educati a essere oggetto e non soggetto di eventi culturali. I tempi sono

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cambiati: siamo propensi a delegare a terzi il racconto della vita ai figli, con la tv, i mass media, i computer, i videogiochi, che non sono da demonizzare, ma la comunicazione personale, con la voce viva, paterna o materna, aggiunge una forza in più, una forza segreta, che questi mezzi non possiedono. È una relazione più profonda dal punto di vista umano, che lega a corda doppia la forza della voce alla forza del libro. Siamo stati espropriati della tradizione orale – il racconto di fiabe che si erano raccolte e che a propria volta si narravano –, ma siamo stati “risarciti” con un repertorio di libri bellissimi. C’è una forza segreta che la voce umana ha, che si associa alla bellezza dei libri: ciò è un elemento potente per la formazione della personalità. Nella lettura ad alta voce, ci sono dei riti da consolidare? Nel rapporto tra genitori e figli, sono importanti delle ritualizzazioni, magari nella zona crepuscolare, quando si sprofonda in una coscienza più antica. La voce di un adulto è rinforzata da queste potenze “antiche”. Non so quanto la voce possa essere rimpiazzata da riproduzioni, soprattutto nella fase aurorale del rapporto con i bambini. C’è un potere contagioso del piacere e della bellezza. Ci sono libri stupendi, spesso mescolati a una congerie di scorie. Ci sono storie stupende che incontrano un adulto che legge, e il bambino è sensibilissimo al rapporto tra adulto e libro. Gli adulti devono dimostrare di incontrarsi con qualche cosa di importante: con la comunicazione di una storia, la sua forte connotazione e con il piacere dell’adulto che sta leggendo quel libro. Se si trovano libri “giusti”, nasce il piacere di esserci, e leggere ad alta voce non è un “dovere”: si è presenti con passione ed entusiasmo. Come orientarsi nelle scelte? Esistono libri stupendi, spesso nascosti tra prodotti di consumo che sopraffanno il povero acquirente in un frastuono pubblicitario, come accade per altri prodotti. C’è una sovraproduzione di titoli. Una volta avvertiti di questo, dobbiamo superare il rischio di cadere nella tentazione che tutti i libri siano uguali.


famiglia oggi Leggimi subito, leggimi forte Dimmi ogni nome che apre le porte Chiama ogni cosa, così il mondo viene Leggimi tutto, leggimi bene Dimmi la rosa, dammi la rima Leggimi in prosa, leggimi prima

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Bisogna sfogliare, sfogliare, finché non si trova quello che incanta. Esistono poi le proposte degli esperti, cioè dei librai, dei bibliotecari, che setacciano la produzione e indicano delle bibliografie. Esiste anche il progetto nazionale Nati per leggere. Queste bibliografie sfrondano il campo, ma non devono desensibilizzare l’adulto nella scelta, sono una facilitazione. Importante è scegliere quello che incanta l’adulto, in relazione intima con il figlio. C ol t i v a r e b u o n i as c ol t a t or i , p u ò e s s er e u n m o d o p e r c r es c e re buoni lettori? Può essere, ma non di necessità lo sarà… bisogna tener conto che la “fabbrica” del lettore, è una fabbrica incerta. Se quello che offriamo ai bambini è “zuccherato” dalla convinzione dell’adulto, dalla gioia di trasmettere bellezza, i bambini accolgono con più forza. I bambini accolgono con entusiasmo le proposte entusiastiche degli adulti e g la buona qualità del libro. ■

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quale Chiesa di Alessandro Nizegorodcew

racovia ha mille volti. Questo è il suo splendore, che la rende unica di fronte a tutte le altre città europee. Dall’antichissimo centro, ricco di costruzioni romaniche, sino ai palazzi di chiaro stampo comunista. Ovunque ricada il tuo sguardo, Cracovia può riuscire a sorprenderti, regalandoti un sorriso inatteso. A pochi giorni dalla beatificazione di Giovanni Paolo II, abbiamo pensato di recarci nella città polacca, dove Karol Wojtyla ha vissuto, lavorato e studiato, fino a divenirne, nel 1963, arcivescovo. Wojtyla era nato a Wadowice, ma dai 18 anni in poi Cracovia divenne la sua casa. Nel 1938 il giovane Karol si iscrisse all’università Jagellonica, nella facoltà di Lettere e filosofia, ed è da qui che inizia il nostro percorso attraverso i luoghi di Giovanni Paolo II. L’università Jagellonica è la seconda più antica del centro Europa, fondata nel 1364 dal re Casimiro il Grande, ma per Wojtyla l’esperienza fu piuttosto breve, perché i nazisti occuparono Cracovia l’anno successivo, chiudendo l’università e arrestando ben 184 accademici. Dopo aver visitato il Collegium Maius, il palazzo più antico dell’università Jagellonica, la nostra passeggiata prosegue con un palazzo in via Podzamcze 8, che all’apparenza non sembrerebbe di grande interesse storico; ma qui, durante l’occupazione tedesca, si svolse il seminario maggiore clandestino di Cracovia, al quale prese parte Karol Wojtyla. Ogni luogo, in città, ha qualche collegamento con Giovanni Paolo II, come ci spiega il tassista Jacek, appena giunti in via Franciszkanska. «Questo è il palazzo vescovile, dove Wojtyla ha abitato per anni una volta ordinato arcivescovo di Cracovia – spiega Jacek – e quella è la famosa finestra papale, dalla quale si affacciava per Passeggiata nella salutare i tantissimi fedeli che vi si fermacittà dove è nato il vano innanzi. Nulla a che vedere ovviaPapa polacco. Ogni mente con San Pietro, anche perché questa strada, ogni luogo è una strada, dove passa per giunta anche portano il segno il tram, ma per noi polacchi ha avuto e ha di Giovanni Paolo II

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La Cracovia

tuttora un significato molto importante». È fortissimo il legame dei cittadini di Cracovia con Karol Wojtyla, che emerge e affiora da ogni sillaba pronunciata dalle persone che incontriamo lungo il nostro tragitto. Al nome di Giovanni Paolo II i loro occhi si illuminano, e inizia il più delle volte un racconto emozionato ed emozionante. Torneremo in centro per visitare le tante chiese dove Wojtyla ha celebrato messa nel corso degli anni, ma è il momento di recarci nel quartiere di Nowa Huta, letteralmente “Nuova Acciaieria”, costruito durante l’occupazione comunista. Nel 1965 Karol Wojtyla mise la prima pietra per la costruzione dell’immensa chiesa Santa madre regina di Polonia, detta, a causa della sua forma, Arca del Signore; ma fu solamente


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di Wojtyla

Nelle foto: a sinistra la piazza centrale di Rynek con la chiesa di Santa Maria; sopra, il giardino che sta intorno al centro (Planty) e la statua di Giovanni Paolo II a Wawel

nel 1975 che il sogno degli operai presenti a Nowa Huta, e di Wojtyla, divenne realtà. Un altro tassello, per Cracovia, regalato alla città da quello che diverrà dopo 3 anni Papa Giovanni Paolo II. «In ogna zona della città – ci spiega Kaja, cameriera di un bel caffè in centro – c’è in qualche modo il segno di Karol Wojtyla. È incredibile quanto abbia dato a Cracovia nel corso degli anni». Ed eccoci finalmente in pieno centro, a Rynek, una delle piazze più grande d’Europa. Visitiamo la basilica di Santa Maria Vergine e la piccola e antichissima

chiesa di Sant’Adalberto, tutti luoghi dove Karol Wojtyla ha pregato e celebrato messa più e più volte. Ma il nostro viaggio non è ancora terminato. Attraverso i giardini di Planty, enorme parco che circonda il centro di Cracovia, bellissimo in pieno inverno, giungiamo al Castello di Wawel. Ed è lì che notiamo una grande statua di Giovanni Paolo II, accanto alla quale i tanti fedeli scattano fotografie. La statua è piuttosto grande e davvero precisa a livello di dettagli. Questi i luoghi più importanti e significativi della Cracovia di Giovanni Paolo II. Una città dalle più svariate sfaccettature, tutte accomunate da un rapporto indelebile e indissolubile con Wojtyla; una città che è, ancora oggi, Wojtyla. Il nostro percorso è praticamente terminato. Non resta che recarsi dinnanzi a un qualunque distributore di monete commemorative di Giovanni Paolo II (ce ne sono sparsi in tutto il g centro) e acquistarne una. ■

Primo maggio in piazza San Pietro

DOPO 6 ANNI, ARRIVA IN PORTO IL PROCESSO DI BEATIFICAZIONE iazza San Pietro nel giorno delle esequie di Giovanni Paolo II. “Santo subito” – questo il coro con il quale i fedeli chiedevano a gran voce la beatificazione del Papa appena deceduto. Benedetto XVI non ha avuto un attimo di esitazione e la causa venne aperta immediatamente. Era il 28 giugno 2005. Da quel giorno è iniziato l’iter giuridico-procedurale consistente in una serie di processi canonici volti a raccogliere documenti e testimonianze, necessari per studiare e analizzare la vita, le virtù e i miracoli di Giovanni Paolo II. Il 14 dicembre del 2010 i consultori teologi riconobbero «l’unicità, l’antecedenza e la coralità dell’invocazione rivolta al Servo di Dio Giovanni Paolo II, la cui intercessione era stata efficace ai fini di una prodigiosa guarigione». La data scelta per la beatificazione è il 1° maggio, un giorno assolutamente non casuale. Si tratta infatti della domenica in Albis (la prima domenica dopo Pasqua), che celebra la festa delle Divina Misericordia, istituita nel 2000 dallo stesso Wojtyla. [a. n. ]

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Pasqua: la rivoluzione del possibile e davvero Cristo è risorto, allora tutto è possibile». Con tali incisive parole Maurizio Ferraris, filosofo torinese, dava avvio, nel 1997, alla sua poderosa opera intitolata Estetica razionale. «Se davvero Cristo è risorto, allora tutto è possibile»: Ferraris è un non credente, «implacabile con il cristianesimo», ma la sua affermazione circa il rapporto tra la risurrezione di Cristo e l’ampliamento delle possibilità del possibile coglie davvero nel segno il significato profondo della Pasqua, il suo valore rivelativo e performativo, la sua ricaduta antropologico-esistenziale nella vita di ogni credente. Se infatti, da una parte, è la Pasqua che permette ai discepoli di riconoscere la verità di quel Gesù di Nazareth finito piuttosto miseramente in croce, dopo un sommario processo, è lo stesso evento che permette loro di accedere a quella vita guidata dallo Spirito del Risorto, che normalmente intendiamo come esperienza credente cristiana. Ora, credere nel Risorto e grazie al Risorto significa propriamente vivere alla luce della verità secondo la quale davvero «tutto è possibile». Se al contrario il cristiano non Con la forza della esperisce e non conduce la sua Resurrezione «non esistenza secondo questo sconfidobbiamo arrenderci namento delle possibilità del possiall’impossibilità di un bile, allora la sua fede è vana e il modo diverso di gestire suo è un credere a parole. i rapporti tra i popoli Per questo, per credere, è necessadel mondo». Dobbiamo, al contrario, immaginare rio abbandonare quella diffusa antiteologia dell’impossibile, del riteneun mondo «capace re cioè che vi siano soglie di bene e di tessere trame di solidarietà e di giustizia». di giustizia, di rettitudine e di onestà, alle quali è semplicemente Così, per l’assistente impedito accedere e nello stesso nazionale della Fuci, tempo quell’anti-teologia del giudiè possibile vivere sino care come improbabile la possibiin fondo la più grande lità di abbattere situazioni di ingiufesta cristiana di Armando Matteo

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stizia e di male, regimi di morte e di paura, condizioni di oggettivo malessere personale e sociale. Questa è quella anti-teologia che si manifesta a livello linguistico nell’uso dell’avverbio «ormai» e a livello psicologico nelle forme della depressione. Pertanto ogni volta che un credente giudica della sua esistenza e della vita del mondo secondo l’antifona dell’ormai – ormai non c’è più nulla da fare, ormai non posso cambiare il mio carattere, ormai non posso togliere via da me questo vizio, ormai non posso realizzare nulla di buono e nulla di bene, ormai il mondo è destinato all’autodistruzione violenta, ormai non vale nulla aiutare gli affamati, gli ammalati, i sofferenti – ebbene ogni volta cioè che un tale tipo di ragionamento si annida nel suo cuore e nella sua mente, allora il suo è un essere cristiano a parole e non nella verità. Se Cristo è risorto – dice a ragione Ferraris – davvero per chi crede in lui tutto è possibile. Credere in questa possibilità è l’autentica possibilità del credere. Proprio ciò attestano e trasmettono i primi discepoli: hanno sperimentato la forza della Pasqua, alla sua luce hanno finalmente potuto incontrare il Signore Gesù nella sua verità definitiva e da quel momento hanno impostato la loro esistenza secondo le parole del Signore, parole che invitano e consentono di trasgredire quelli che normalmente consideriamo i confini dell’umanamente possibile in termini di realizzazione del bene e di testimonianza dell’amore. La loro è diventata una vita nuova, caratterizzata da un profondo sentimento di gioia, di pienezza, una vita veramente vita (Benedetto XVI). È (stata) l’esperienza di quel «rinascere dall’alto» di cui Gesù parla a Nicodemo (Gv 3). Per questo la Pasqua è rivoluzione del possibile. Ed ecco allora, attualissimo, il messaggio della Pasqua: il desiderio di un’esistenza felice e di una giustizia globale non è una menzogna, un’illusione, una terribile perversione, frutto di chi creandoci ha


quale Chiesa immesso dentro di noi un impossibile anelito a cose davvero belle, davvero armoniose, davvero arricchenti. No, il desiderio di una esistenza felice, cioè contenta di sé, capace di reggere ai rovesci della sorte e del destino, in grado di compiacersi del bene e di tenersi lontano dal male, e il sogno di un mondo non sedotto e corrotto dalle forze del male e dell’egoismo è possibile all’uomo. E la strada è quella

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della fede, ovvero quell’atteggiamento di vita che nasce dall’incontro con Gesù Risorto e trova la sua cifra, la sua visibilizzazione, in quell’allargamento delle possibilità dell’umano, di cui in genere non siamo neppure coscienti. Al credente non è perciò permesso un atteggiamento di scetticismo o di sfiducia preventiva. Anche situazioni date per irremovibili possono iniziare a cambiare. Con questa consapevolezza, che nasce dalla contemplazione del mistero pasquale, vorremmo guardare a quanto sta accadendo al di là del Mediterraneo, nella terra d’Africa: una rivoluzione a meccanismi e regimi di violenza e di terrore non solo è possibile, ma va sostenuta, incoraggiata, vissuta con partecipazione. Con simile consapevolezza, vorremmo pure gettare uno sguardo a quella parte del mondo che ha in mano le sorti del pianeta: agli europei, agli americani, ai cinesi... Con la forza della Pasqua, non dobbiamo arrenderci all’impossibilità di un modo altro di gestire i rapporti tra i popoli del mondo. Dobbiamo e possiamo, al contrario, immaginare la possibilità di un mondo capace di tessere trame di solidarietà e di giustizia, di un mondo sottratto al dominio delle passioni e alle passioni del dominio, al potere dei soldi e ai soldi del potere, alla forza dello scambio e allo scambio della forza. Immaginare tutto ciò come possibile è vivere sino in g fondo la Pasqua. ■

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In compagnia di ogni educatore

di Mirella Arcamone

a una lucida lettura dei segni dei tempi venti anni fa nasceva il Movimento di impegno educativo: un modo nuovo di tutta l’Ac di farsi compagna di ogni educatore, dentro e fuori la comunità ecclesiale, uno strumento agile per fare ricerca, costruire percorsi laboratoriali, occasioni di incontro, dialogo, confronto; abilitarsi come adulti, aumentando la competenza e la consapevolezza nel proprio tipico compito educativo. Si ritenne di incrociare uno dei bisogni più profondi del tempo. Gli adulti erano spaesati, le agenzie educative in crisi, le comunità sfilacciate, i giovani, più Il vangelo della carità che in altre epoche, inaccessibili. E e della speranza esige l’Ac aveva la sua prassi di educazione amore per il futuro. integrale della persona, di impegno Per la presidente gratuito e attendibile a servizio dei nazionale del Mieac ragazzi e dei giovani. «l’educazione genera Il Mieac nasce, e ha senso, perchè capacità di scelta, spirito critico, senso di l’Ac si spinge fuori dai propri confini e fa della sua passione educativa un responsabilità, ricerca dono per la città, un contesto del bene comune, alta umanamente autentico per mettersi tensione morale, insieme, per vincere la rassegnazione, passione per l’uomo e i suoi destini, volontà per dialogare e fare rete con quanti credono nell’uomo. di competenza Queste stesse ragioni ne dicono e di servizio» l’attualità in questo decennio dedicato dalla Chiesa italiana all’educazione. Il Vangelo della carità e della speranza esige amore per il futuro, passione per i ragazzi. Chi ama educa e si mette in gioco; e l’educazione genera capacità di scelta, spirito critico, senso di responsabilità, coerenza tra fini e mezzi, ricerca del bene comune, alta tensione morale, passione per l’uomo e i suoi destini, volontà di competenza e di servizio. I proclami non bastano: i nostri ragazzi possono riscontrare nei comportamenti, negli atteggiamenti, negli stili di vita di noi adulti i valori che annunciamo?

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La domanda di un senso per la propria vita, il bisogno di punti di riferimento, di relazioni intense, autentiche, il bisogno di ideali per cui vivere, di valori incarnati, condivisibili, chiedono un altro stile: pazienza, perseveranza, rigore, gratuità, libertà da ogni tornaconto, disponibilità disinteressata e discreta, senso di giustizia, il primato della persona realmente rispettato nelle scelte politiche, economiche, il rigore etico contro ogni moda o scorciatoia. Insomma, la vita buona del vangelo, davvero vissuta e proposta. Da qui l’urgenza oggi di concentrare gli sforzi perché gli adulti sviluppino intenzionalità responsabilità educative e la capacità di vivere relazioni educative autentiche. Di un improrogabile e reale investimento sull’educazione come via dell’annuncio. Essa non può essere considerata nell’ottica dell’emergenza. È progetto globale, investimento, capacità di futuro dell’intera collettività. Esige impegno per nuove, limpide relazioni di comunità, per costruire il tessuto sociale in termini di accoglienza, di solidarietà, di giustizia. Chiede adeguate scelte politiche per arginare egoismi, paure, chiusure a forti tinte razziste, squilibri sociali ed economici drammatici. A ogni educatore e alle nostre fragili comunità il compito di una vera rivoluzione culturale: seminare ragioni di vita e di speranza, di senso, di impegno responsabile e progettuale. Senza cedimenti e scoraggiamenti, sapendo andare contro corrente per smascherare tutto ciò che crea omologazione e conformismo agli stili di vita imposti dai media. È questa la strada che il Mieac intende continuare a percorrere, dando un feriale contributo per moltiplicare le occasioni e i luoghi aperti, dialogici, con lo stile della ricerca; luoghi della consapevolezza, della compagnia, della competenza, perché da adulti e giovani educatori ci si adoperi con amore, libertà e spirito di servizio g evangelici per il rinnovamento della società. ■


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5X1000: l’Ac si fa in quattro! ducazione e formazione; cura della spiritualità; solidarietà internazionale. Sono alcuni dei compiti che l’Ac condivide con la Fondazione Apostolicam Actuositatem – Editrice AVE, che anche quest’anno è tra i beneficiari del 5x1000. La Fondazione, infatti, oltre a sostenere il progetto formativo dell’Azione cattolica italiana con strumenti

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Nella foto: il pozzo nel chiostro di Casa S. Girolamo a Spello, restaurato grazie anche al contributo dei soci di Ac

di promozione culturale, è anche un’organizzazione no profit che persegue alcuni progetti solidali; per il 2011 ha individuato una pluralità di obiettivi nei molti progetti che l’associazione ha in cantiere, dai più recenti a quelli ormai consolidati. Anzitutto la cura educativa nelle sue molte declinazioni: la formazione degli educatori, lo sviluppo umano e cristiano dei piccoli, l’attenzione alla fami-

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glia, l’accoglienza degli studenti fuorisede, il sostegno dei progetti di lavoro e di volontariato… E poi i grandi eventi che scandiscono il cammino dell’associazione, come l’incontro con Benedetto XVI a Roma il 30 ottobre 2010. Poi c’è Spello: la ricostruzione del Convento di San Girolamo è ormai conclusa, anche con l’aiuto delle migliaia di firme del 5x1000 raccolte nel 2010, e ora la Casa di spiritualità è attiva e va valorizzata, resa funzionante e ospitale. Quindi la solidarietà. Nella immensa Federazione Russa, dove i dati sull’infanzia in stato di abbandono sono preoccupanti, i ragazzi dell’Ac sostengono alcuni progetti nella Russia siberiana gestiti dalle suore Ancelle dell’Immacolata concezione e il centro per i ragazzi di strada di San Pietroburgo. Altro progetto riguarda il Burundi, dove da anni l’Ac è presente con l’iniziativa di adozione scolastica, perché l’istruzione sia il primo gradino a cui possano accedere senza difficoltà tutti i bambini del paese, con buoni insegnanti e un pasto al giorno. Questi e altri progetti, queste e altre storie cresceranno con la tua firma: per devolvere il 5x1000 dell’Irpef basta firmare nel modello della dichiarazione dei redditi (Cud, Unico, 730) il riquadro dedicato al sostegno al volontariato, delle associazioni e fondazioni riconosciute e inserire il codice 96306220581. Chi invece non è obbligato a presentare la dichiarazione perché è titolare solo di reddito da pensione o da lavoro dipendente può ugualmente firmare recandosi alla Posta o a un Caf dove riceverà assistenza gratuita. Si ricorda che è attiva anche nel 2011 la convenzione con i Caf Acli, che prevede in tutta Italia per gli aderenti all’Ac e i loro familiari uno sconto su tutti i servizi erogati: telefona al tuo Centro diocesano Ac per conoscere la sede a te più vicina o controlla sul sito www.azionecattolica.it. Firma anche tu: è un contributo unico e importante, g come te! ■

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senza confini intervista con Giuseppe Schiavello di Valerio De Luca

Un impegno in più contro le mine l 4 aprile è ricorsa la Giornata mondiale per la promozione e l’assistenza all’azione contro le mine. Il quadro attuale sul problema è presentato a Segno da Giuseppe Schiavello, direttore della Campagna italiana contro le mine antipersona (per informazioni www.campagnamine.org).

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S o n o t r a s c o r s i q u a s i 2 0 a n ni d a g li in i z i: c o m e nascono l’impegno contro le mine e la onlus “Campagna italiana” che se ne occupa? La Campagna italiana nasce, alla fine del 1993,

«L’Italia ha dato, nell’affrontare il problema mine, grande prova di capacità. Anzitutto nel dichiarare una moratoria unilaterale, poi nel 1994 ha distrutto il suo stock di mine antipersona, si è dotata di una legge nazionale giudicata una delle più restrittive in materia»: per il direttore della Campagna italiana contro le mine antipersona si può fare di più per la costruzione di una vera cultura di pace 48

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come un articolato movimento di più di 40 organizzazioni umanitarie e associazioni interessate alla difesa dei diritti umani e di quello che, in seguito, verrà definito come disarmo umanitario. Sostenuta in particolar modo dalla ong Mani tese, si trasforma nel 2000 in onlus composta da associazioni e singoli e dotandosi di un suo statuto e atto costitutivo. La difficoltà era rappresentata dall’argomento “disarmo” o meglio la messa al bando di un arma ritenuta efficiente ed efficace e a basso costo, non espresso – ovviamente – in vite umane. La grande svolta positiva è stata la partecipazione e la capacità della società civile, associazioni di tutte le scuole di pensiero, studenti, giovani anziani, di riunirsi insieme intorno a un tema, senza divisioni ideologiche o di pensiero, e affermare la loro volontà di dire di non voler essere complici di un massacro di innocenti. Si registrano forse nel tempo conquiste importanti e do l o r os i p a s s i in d ie t r o ne l l a c a m p ag n a i n t e rnazionale per la messa al bando di questi tremendi ordigni. Come si impegna l ’Italia in fatto di leggi e operazioni di sminamento sul campo? Per ora nessun passo indietro, direi, al massimo qualche periodo di rallentamento e minor disponibilità di fondi per la cooperazione internazionale. L’Italia ha dato senza dubbio, nell’affrontare il problema mine, grande prova di capacità. Anzitutto nel dichiarare una moratoria unilaterale, su produzione, uso e commercio nel 1994 ha distrutto prima dei termini previsti dalla Convenzione di Ottawa il suo stock di mine antipersona, si è dotata di una legge nazionale giudicata una delle più restrittive in materia e nel 1999 prende il via il Comitato nazionale per l’azione umanitaria contro le mine. Inoltre, nel 2001, si è dotata di un fondo (legge 58/01) dedicato alle azioni umanitarie contro le mine. Unica pecca, la diminuzione costante delle disponibilità finanziarie a esso dedicato. Da “Campo minato” a “Prato fi orito” il nome di un giochetto della leader mondiale produttrice di soft-


senza confini ware... oltre a questo, qual è la sensibilità generale al tema legata anche ai prossimi obiettivi particolari della campagna? Purtroppo le pene che affliggono il nostro mondo sono molte e tutte degne di attenzione e aiuto; credo, però, che il lavoro fatto a livello internazionale da più di mille organizzazioni in tutto il mondo rispetto il tema del disarmo umanitario, il quale gli è Uno degli obiettivi emergenti è certamente quello di sviluppare valso anche un premio progetti per l’inclusione sociale dei Nobel per la pace nel sopravvissuti da ordigni inesplosi 1997, abbia creato un ter-

Nelle foto: Papa Benedetto XVI con Giuseppe Schiavello e Song Kosal. Qui sopra: un’immagine contro l’uso delle mine anti uomo scattata da Valerio De Luca

reno di consapevolezza sociale su alcuni temi. Uno degli obiettivi emergenti è certamente quello di sviluppare progetti per l’inclusione sociale dei sopravvissuti da ordigni inesplosi. Speriamo che anche questo venga percepito nella continuità di un impegno serio e costante per lenire quello che queste armi hanno generato. M in e : og g e t t i d e l pa s s a t o e pr o m e mo r i a d eg l i odierni conflitti. Cosa innescano nelle nuove generazioni in aree dove in più ci sono interessi a lasciare

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minati i terreni? Difficile dirlo, ogni situazione è un caso specifico, le mine sono sempre e comunque semi di odio e disprezzo verso la vita, però spesso a bonificare i terreni si possono trovare squadre composte da sminatori di diverse appartenenze che lavorano uno accanto all’altro, magari con qualche diffidenza ma consapevoli che la loro vita è anche nelle mani dell’altro, della sua professionalità. La bonifica umanitaria può essere uno strumento di peace building, costruire la pace annientando l’odio nascosto sotto la terra… è un modo per iniziare. Il problema è che la bonifica dei terreni è costosa, forse più che interesse a lasciare minati dei terreni, dobbiamo guardare all’interesse di prediligere nella scelta aree diverse da quelle di vero interesse per la popolazione. Ma questo però è abbastanza garantito da un sistema di controllo internazionale. U n ’ e sp e ri e nz a c h e ha avuto modo di vivere da q ua n do si o c c u p a d e l t e m a , a l e i p ar t i c o l a rmente caro? Particolarmente caro è l’incontro del 3 aprile 2009 tra papa Benedetto XVI, Song Kosal (vittima delle mine in Cambogia all’età di 6 anni e oggi universitaria portavoce per i giovani della Campagna internazionale) e alcuni di noi. Il Santo Padre tornava dall’Angola, dove aveva visitato centri di riabilitazione. Lui ci ha esortato a continuare il nostro lavoro, noi l’abbiamo ringraziato per tutte le volte che attraverso la sua voce si è levato l’incoraggiamento ai paesi ad aderire alla Convenzione per la messa al bando delle munizioni a grappolo, così come per le mine risultò di grande aiuto la sensibilità g di Giovanni Paolo II e della Santa Sede. ■

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faccia a faccia

Olimpiadi a Roma nel 2020? Si può fare intervista con Mario Pescante capo di Stato estero in visita ufficiale, un immancabile baciamano al Papa in piazza San Pietro. Mario Pescante non fa eccezione, ma nella sua collezione c’è un’immagine insolita: lui e Yasser Arafat. «Ci tengo molto: eravamo a Gaza nel 1995, quando, dopo gli accordi di Oslo e la nascita dell’Autorità nazionale palestinese, fu fondato il loro Comitato olimpico nazionale». E sul tavolino di fronte ai divani Il valore dello sport ma anche gli inevitabili intrecci con politica su cui ci accomodiamo, un’altra particolarità: adagiate sul e affari. La capitale si gioca in questo periodo la candidatura cristallo spicca una collezione alle Olimpiadi del 2020. Il presidente del comitato promotore di fiaccole olimpiche, compreper la candidatura afferma: «Tenendo conto che i giochi del so un modello dell’ultima, futu2012 si terranno a Londra e quelli successivi a Rio, è ristica, che ha portato il fuoco improbabile che si torni in America. Quindi dovrebbe toccare simbolo dei “cinque cerchi” da all’Asia o all’Europa. In questo senso, l’Urbe ha un grande fascino. Ma stiamo attenti a non sottovalutare le avversarie» Olimpia a Pechino, nel 2008.

di Simone Esposito

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el suo studio di Montecitorio, dove è presidente della Commissione per le politiche dell’Unione europea, campeggiano le tante fotografie che i politici espongono di prammatica in bella vista (anche a uso delle telecamere quando arrivano i tg a fare le interviste): scatti di qualche incontro con un Presidente della Repubblica o con un

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faccia a faccia Ma se devo essere sincero, credo cha la città da battere sia Parigi: non ospita le Olimpiadi dal 1924 e ha perso quelle del 2012 sul filo di lana, per quattro voti soltanto

Nella foto: Colosseo, Roma. Lotta greco-romana alle Olimpiadi del 1960

Mario Pescante, avezzanese, 72 anni, deputato alla terza legislatura (prima per Forza Italia, oggi per il Pdl), è sì un uomo politico, ma è innanzitutto – e ce lo sottolinea più volte – un uomo di sport. Un mondo che conosce a menadito anche perché lo abita da sempre, prima come mezzofondista, da quarant’anni come dirigente. Presidente del Coni negli anni Novanta, è dal 2009 uno dei quattro vicepresidenti del Comitato internazionale olimpico, di cui è responsabile dei rapporti internazionali. In poche parole, è il “ministro degli esteri” dello sport mondiale. Galloni di tutto rispetto, che hanno sicuramente pesato nella scelta del governo di nominarlo presidente del Comitato promotore per la candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2020. Una nomina complicata, arrivata di corsa dopo la rinuncia del primo presidente designato, Luca Cordero di Montezemolo, che ha declinato l’invito perché ha ritenuto non ci fossero le condizioni per svolgere l’incarico in maniera ottimale (le indiscrezioni precisano: Tremonti non aveva benedetto la scelta del suo nome). Insomma: Roma ci riprova (nel 1997 fu battuta al fotofinish da Atene, che si prese i Giochi 2004), ma non comincia affatto bene.

Vediamole una per una. Tokyo è fortissima, si era candidata per il 2016, il suo dossier era forse il migliore e lo ripresenterà (anche se al momento non è possibile prevedere quanto inciderà sul progetto il disastroso sisma dell’11 marzo, successivo al momento di questa intervista, ndr). Mumbai sconta l’esito non troppo positivo dell’organizzazione dei Giochi del Commonwealth 2010 ma è sempre la candidata di un paese gigantesco come l’India. Durban, poi, potrebbe essere la prima città africana a ospitare i cinque cerchi e qui i riscontri organizzativi dopo la Coppa del mondo di calcio sono stati più che buoni. Ma se devo essere sincero, credo cha la città da battere sia Parigi: non ospita le Olimpiadi dal 1924 e ha perso quelle del 2012 sul filo di lana, per quattro voti soltanto. In Italia ci si conforta con il ricordo, ancora molto intenso fra chi ha l’età per conservarlo, dei Giochi del 1960. I migliori di sempre, si è ripetuto ancora una volta lo

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Ma ce l’abbiamo qualche possibilità? Sicuramente molti sottovalutano che la nuova geopolitica economica mondiale vale anche per lo sport: siamo passati anche noi, se così si può dire, da G8 al G20. Basta guardare indietro di poco: molti osservatori avevano frettolosamente dato per favorita Chicago come sede dei Giochi del 2016, e invece la città del presidente Obama è stata eliminata al primo turno nel voto di assegnazione e le Olimpiadi sono andate a Rio de Janeiro. Il Brasile è un paese emergente, ormai molto influente, ed era già riuscito ad attirare molti investimenti ottenendo l’organizzazione dei Mondiali di calcio del 2014. Altre nazioni come l’India, la Corea del Sud, il Messico stanno diventando sempre più autorevoli, e bisogna aggiungere anche il Qatar, che nel 2020 sarà il primo stato arabo a ospitare i Mondiali di calcio. In ogni caso, tenendo conto che le Olimpiadi del 2012 si terranno a Londra e quelle successive a Rio, è improbabile che nel 2020 si torni in America, anche se al Nord. Quindi dovrebbe toccare all’Asia o all’Europa. In questo senso, la candidatura romana ha un grande fascino. Ma stiamo attenti a non sottovalutare le avversarie.

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faccia a faccia

s co r s o an n o n el corso delle celebrazioni per il loro cinq u a n t e n a r i o . Ma è un giudizio partigian o o c ’ è un a q ua l c h e c o n d i v i si o n e anche all’estero? Roma suscita ancora a livello internazionale sentimenti di forte evocazione romantica. Penso, per esempio, alla fiaccolata spontanea alla quale i romani diedero vita allo Stadio Olimpico nella notte della cerimonia di chiusura, o ad Abebe Bikila che vince la maratona passando scalzo sotto l’Arco di Costantino ai Fori imperiali. L’edizione del 1960 è stata veramente a misura d’uomo, con un legame straordinario tra la città e gli atleti. Roma può ancora offrire questo, e forse è ciò di cui il movimento olimpico sente il bisogno. Uno scenario di sicura, grande suggestione.

Il logo delle prossime Olimpiadi del 2016 a Rio de Janeiro. A lato: lo stadio Olimpico di Roma gremito di gente nel 1960

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A che ci servono le Olimpiadi? E soprattutto, con il disastro del nostro debito pubblico, ce le possiamo permettere? La prima cosa da dire è che ormai tutte le analisi indicano che l’organizzazione dei Giochi olimpici porta automaticamente a una crescita dello 0,2% del Pil: è un’enormità. Così come è certa l’incidenza positiva sull’occupazione. D’altra parte l’investimen-

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to è gigantesco: 2 miliardi di dollari. Per Roma, comunque, dobbiamo tenere conto che gran parte degli impianti sono già esistenti e vanno solo adeguati. In più esiste, ed è modernissima, la vasta area della nuova Fiera, che si trasformerebbe in un importante polo di eventi sportivi. Qualcuno si chiede: un buon affare per la capitale, ma per gli altri? Le Olimpiadi sono un investimento per il futuro, e per il futuro di tutto il paese, non solo di Roma: innanzitutto per il fatto che ormai i Giochi sono un evento “diffuso”, che si tiene in tutta la nazione ospitante (pensiamo alle gare eliminatorie dei tornei a squadre come calcio, basket e pallavolo), e poi perché i benefici si estendono all’intera economia nazionale. Faccia un esempio. Le faccio l’esempio principale: il turismo. Londra offre pacchetti turistici di quattordici giorni, sette in città per i Giochi e sette in altre parti del Regno Unito. Ora, senza nulla togliere a loro, credo che l’Italia possa avere un’attrattiva ancora maggiore. Siamo un paese amato ma poco conosciuto, anche dagli italiani stessi. La spinta turistica è fondamentale nel nostro progetto. I l p r ob l e m a p er ò r es t a u n al t r o. O l t r e a l r i co r d o romantico delle Olimpiadi del ’60 c’è anche quello vergognoso dei Mondiali del ’90 e del loro gigante-


faccia a faccia s c o g i r o d i t a n g e nt i e malaffare. E poi c’è lo s c a nd a l o r e c e n t is s i m o p e r i M o nd i a l i di n u o t o 2009. L’Italia delle “cricche” e degli appalti truccati è davvero in grado di organizzare i Giochi? La questione degli appalti è seria, e ammetto che i precedenti sono gravi. C’è solo una parola per rispondere: trasparenza. Trasparenza totale. Noi, a differenza di quanto è accaduto negli scandali più recenti, non abbiamo bisogno di nessuna procedura speciale, di nessuna deroga, di nessuna corsia di emergenza per lo svolgimento dei lavori. Fino all’eventuale assegnazione ci sono due anni, e poi da lì fino allo svolgimento dei Giochi ne trascorreranno altri sette: è un tempo più che sufficiente per seguire le procedure ordinarie. E poi, se mi permette, faccio notare che quando si è finiti nel fango, come nei casi citati prima, è stato perché nell’organizzazione c’è stata l’intromissione di soggetti esterni al mondo dello sport: imprenditori e politici. Quando l’organizzazione è rimasta in mano alle federazioni e agli uomini di sport tutto è andato bene.

Sopra: Mario Pescante

Il problema rimane: ci sono in ballo cifre stratosferiche. Sì, il problema rimane. Ci vogliono scelte strategiche: per esempio il villaggio olimpico verrebbe edifi-

cato su demanio militare, quindi non ci sarebbe nessuno spazio per le speculazioni. In ogni caso, chiederò che il percorso organizzativo e i bilanci vengano vagliati da una commissione di saggi esterni al Comitato organizzatore, un gruppo in grado di garantire autorevolmente quella trasparenza di cui parlavo prima. C i v or r an n o u om i n i al d i s op r a d i og n i s os p et to. Nomi? Per la guida ne ho in mente tre: Mario Draghi, Mario Draghi, Mario Draghi. L ’ a s se g n a z i o n e v e r r à d e c i s a a B u e n o s A i r e s n e l luglio 2013. Come si vince? Per prima cosa, cercando di capitalizzare la stima di cui gode in seno al Cio lo sport italiano. La mia elezione ai vertici del Comitato olimpico è stata un segno tangibile di questo consenso. Ma poi ci vuole un forte, fortissimo sostegno politico e istituzionale trasversale, che sia in grado di trascinare l’opinione pubblica. In q u e s t e p r im e b a t t u t e , p e rò , la p o l i t i c a s i è g ià messa di traverso. Sì, ma un progetto organizzativo come quello olimpico è di lunga durata, ha orizzonti distanti nel tempo e certo non possono prevalere logiche di bottega, magari col rischio che a un cambio di maggioranza possa saltare tutto. Le scorse esperienze ce lo hanno insegnato: si vince solo se a giocare è non una sola istituzione, o la sola città candidata, ma l’ing tero sistema-paese. ■

I GIOCHI SARANNO ASSEGNATI NEL 2013

TRA SPONSOR E IMPATTO AMBIENTALE, CHI CI GUADAGNA È IL PAESE CHE LI OSPITA Giochi della XXXII Olimpiade si svolgeranno solo nell’estate del 2020, ma il nome della città ospitante sarà deciso sette anni prima: l’appuntamento è per la sessione plenaria del Cio in programma a Buenos Aires nel luglio 2013. Le città interessate potranno presentare la loro candidatura entro il 2011: quelle ammesse (le cosiddette “applicant cities”) dovranno preparare un dossier sul loro progetto che sarà valutato su vari parametri, dalla situazione delle infrastrutture all’impatto ambientale, dalle precedenti esperienze in eventi sportivi alla situazione finanziaria. Su questa base, nel 2012, il Cio renderà nota la short list delle vere e proprie città candidate (di solito quattro o cinque). E al termine del percorso, saranno i membri del Cio a decidere: vince la candidatura che riporta la maggioranza assoluta dei voti, e se il quorum non viene raggiunto si ripete la votazione escludendo di volta in volta la città ultima classificata. Roma, già sede dei Giochi del 1960, è al secondo tentativo di ottenere il bis: nel 1997 fu superata al ballottaggio finale per il 2004 da Atene. Bisogna però ricordare che la capitale greca andava risarcita per essersi vista scippare le Olimpiadi del 1996: i Giochi del Centenario doveva tornare nella loro patria d’origine ma, con un voto sul quale pesarono gravi sospetti di corruzione, finirono ad Atlanta, la città dello sponsor gigante Coca Cola. La storia olimpica è fatta anche di questo. (s.e.)

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Io sono con te

Un film che sgomita di Dario E. Viganò*

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el film di Guido Chiesa – libera rilettura della storia di Maria di Nazareth e del suo apprendistato di donna prima e di madre poi – si è detto di tutto. Opera laica, pedagogica, femminista, politica. Etichette con cui si può convenire, ma che non esauriscono la portata dell’operazione, la sua provocazione. La prima qualità che bisogna riconoscere a Io sono con te è la volontà di offrirsi come prospettiva obliqua, fuori dagli schemi, anticonformista. Sgomita il film di Guido Chiesa perchè poco propenso a lasciarsi inquadrare da categorie precostituite e ottiche fossilizzate. La proposta è il disancoraggio di uno sguardo che deve imparare a guardare di nuovo, oltre i consueti orizzonti, senza più paraocchi. Un “secondo sguardo” che irrompa ex abrupto nella rappresentazione di un mondo cesellato secondo tradizioni, culture, leggi inalterabili. Come avvenne del resto nella Palestina “guardata” da Cristo. E se nei vangeli gli occhi del Figlio guardano con gli occhi del Padre, nel film di Chiesa – ed è la prima decisiva novità che il regista introduce rispetto al vecchio corpus filmografico neotestamentario – sono quelli della Madre a “pre-vedere” Gesù, preparandone la storia, anticipandone le vedute, come se lo sguardo di Maria e quello del Figlio – ripresi spesso da Chiesa in campo/controcampo – si sovrapponessero fino a fondersi in un unico sguardo. Al punto che il titolo si potrebbe benissimo immaginare con una parentesi: Io sono (con) te. Maria di Nazareth prende posizioni nel film – come quando si oppone al cruento rituale della circoncisione, o quando rifiu-

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ta la somministrazione del colostro – che nel Nuovo Testamento sarebbero state possibili solamente in Gesù o immaginabili solo “successivamente” (la battaglia contro la circoncisione sarà una prerogativa di Paolo). Ma ancor più della corrispondenza di prospettive colpisce la totale sintonia del cuore, l’intreccio di tonalità affettive che legano la Madre al Figlio. Fondamentale in questa ricerca di simmetrie la scelta degli attori e l’uso del primo piano: sia le due Maria (la “adolescente” Nadia La rilettura Khlifi e la “adulta” cinematografica Rabeb Srairi) che il di Maria di Nazareth bambino-attore merita attenzione. nei panni di Gesù Per i toni sereni, (Mohamed Idoudi) chiari, sia nelle hanno volti radio- immagini che nella si, senza ombre, sceneggiatura, che sorridenti, pacifi- ci restituiscono una cati. Trafitti, si madre di Gesù intima direbbe, da un e familiare, intrisa Amore ultraterre- di un’esperienza no, che è l’amore spirituale vissuta del Padre e verso il nella misericordia Padre, come ricor- e nella gioia da a più riprese Maria. Il Padre è la prima persona delle tre che compongono la struttura attanziale del film, e che si rivela nella luce che emana sui volti della Madre e del Figlio. Questo è il secondo, forse il più rimarchevole, aspetto di Io sono con te: il suo essere pieno di colori, caldo (fondamentale la scelta delle location in Tunisia), morbido, rasserenante. Lontano dalla cupezza di tante, troppe, opere a tematica religiosa. Lucido nel sapere proporre al pubblico angosciato di oggi – ed ecco perchè non bisogna perdere l’uscita in dvd di aprile con Famiglia Cristiana – un’esperienza spirituale vissuta nella misericordia e nella gioia. Che è in fondo il carattere primigenio di una g vera relazione d’Amore. ■ * presidente Fondazione Ente dello spettacolo


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di Antonella Gaetani

musica

Noa, tra Israele e Napoli

n Noapolis (Egea Sud Music) la cantante israeliana Noa interpreta le più belle canzoni del repertorio napoletano. Per anni Noa e il chitarrista Gil Dor hanno concluso la loro attività concertistica in Italia con una canzone napoletana come bis, in omaggio alla cultura dell’Italia. Nel 2002 incontrano i Solis String Quartet e allargano il loro repertorio napoletano creando un programma di canzoni napoletane con arrangiamenti speciali. Da questa collaborazione è nato l’album Noapolis, in cui l’artista interpreta alcune delle più belle pagine della tradizione partenopea. In canzoni immortali come Te vurria vasà, Torna a Surriento ed Era di maggio, Noa rivede le proprie radici da emigrante: nata da una famiglia di ebrei yemeniti fuggiti dal loro paese a causa dell’ostilità seguente alla proclamazione dello Stato d’Israele, a soli due anni si trasferì con la famiglia a New York, per poi fare ritorno nella sua terra. In questo lavoro ritroviamo il mondo delle canzoni popolari, delle emozioni che resistono al g logorio del tempo e arrivano fino al presente assicurando loro il passaporto per il futuro. ■

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giardinaggio A Colorno il pollice verde

el segno del Giglio è la mostra mercato del giardinaggio di qualità che quest’anno giunge alla diciottesima edizione. La manifestazione promossa dalla Provincia di Parma e dal Comune di Colorno, organizzata da Artour, si svolge al Parco della Reggia di Colorno, dal 15 al 17 aprile. Nel segno del Giglio è diventata maggiorenne e ribadisce il suo ruolo di mostra di riferimento europeo in un settore, quello delle mostre mercato di giardinaggio, sovraffollato e non sempre da iniziative di altissima qualità. Tra le tante altre e diversissime proposte, sono da segnalare le attività didattiche. Sono, queste, una caratteristica della Mostra di Colorno e coinvolgono ogni anno schiere di futuri “pollici verdi” con specialisti in educazione ambientale. Come sempre sono molte le manifestazioni collaterali alla grande esposizione di fiori, piante e arredi e complementi di Colorno. Sono previsti, infatti, confronti con esperti, itinerari nel parco e nella villa, ma anche negli altri numerosi parchi stog rici del parmense e nei parchi naturalistici regionali. ■

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percorsi

Il Liberty, il ‘900 e Trieste

rieste Liberty. Costruire e abitare l’alba del ‘900. Questo il titolo dell’esposizione che si terrà a Trieste fino al 19 giugno al Salone degli Incanti all’ex Peschiera. In una città che all’alba del ’900, gli anni dell’esplosione della modernità, è al crocevia culturale, artistico ed economico tra l’Impero asburgico e l’Italia, vediamo sorgere nuovi edifici abitativi, commerciali e di rappresentanza, in parte connotati dal tradizionale stile storico, di sapore classicista, ancora imperante, in parte aggiornati sulle novità di uno stile nuovo e moderno: il Liberty. Quello che rende assolutamente unico il caso Trieste è la coesistenza delle più diverse declinazioni del Liberty. Il nuovo stile non si limita, come accade altrove, a diffondersi nell’area di un preciso quartiere, in ambiti circoscritti, ma tutta la città. Di qui una mostra frutto di un’ampia ricognizione dove sono censiti quasi 250 edifici. Al sottile confine fra arte e decorazione, tra progetto architettonico e manufatto artigianale si colloca l’arredamento degli interni abitativi: la mostra è arricchita da una sezione che, attraverso mobili, progetti, disegni di artigiani triestini e album di modelli e di esposizioni europei, aiuta a visualizzare gli g spazi in cui si muoveva la vita quotidiana di inizio ’900. ■

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spazio aperto

■ Pasqua e Vangelo

Mai dare per scontata la fede, mai dare per scontato il Vangelo, mai trascurare la vita spirituale! La Quaresima dovrebbe metterci in guardia, positivamente. Abbiamo ancora una splendida occasione per stare accanto al Cristo che muore e risorge per noi, facendo g nuova tutta la storia. [...] ■ Maria S., Siena ■ Unità e tricolore

Caro direttore, le occasioni del 150° dell’Unità d’Italia, tolta un po’ di retorica eccessiva e scusata qualche defezione “nordista”, sono state un bel momento. [...] All’inizio ero scettica, ma poi abbiamo esposto anche a casa g nostra il tricolore. ■ Laura Sottrici

APPUNTAMENTO A SPELLO

LA QUESTIONE ANTROPOLOGICA l Centro studi dell’Azione cattolica italiana intende offrire un’esperienza formativa innovativa a soci, responsabili, persone interessate a vivere un tempo di ricerca culturale e spirituale, per approfondire alcuni snodi della cosiddetta “questione antropologica” alla luce della Dottrina sociale della Chiesa. Il prossimo Seminario di Spello si terrà dal 27 al 29 maggio presso Casa San Girolamo a Spello (Perugia) e sarà animato dal Gruppo di ricerca socio-politica del Centro Studi. Gli elementi caratterizzanti di questa esperienza sono i seguenti: la formula residenziale; il metodo seminariale; la cura dei momenti liturgici. Nel sito www.azionecattolica.it saranno suggerite alcune letture propedeutiche al fine di attivare un percorso di approfondimento e studio personale in preparazione al Seminario.

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■ Sul volontariato Sono un socio di Milano e desidero esprimere il mio grazie per

l’articolo a cura di Paola Springhetti comparso su Segno nel numero di febbraio 2011, nella rubrica “Giorno per giorno”, in cui ha trattato il tema del volontariato nel nostro paese. In una semplice pagina ha descritto, a mio parere, in un modo perfetto la situazione attuale. Speriamo che le cose cambino in meglio, anche se purtroppo segni positivi all’orizzonte faccio un po’ fatica a scorgerli, almeno per ora. Di g nuovo grazie. ■ Roberto Nobile, Milano ■ Un grazie agli amici Caro Segno, prendo l’occasione dello spazio offerto ai lettori per ringraziare i tanti amici del mio gruppo parrocchiale di Ac che mi sono stati vicini in un momento davvero difficile della mia vita e per tutta la mia famiglia. Grazie a loro ci siamo sentiti sostenuti e rafforzati. Anche a questo serve g un gruppo di amici. ■ Lettera firmata

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giorno per giorno

In memoria dei luoghi comuni di Paola Springhetti

enza i luoghi comuni è molto difficile vivere e comunicare. In fondo, non sono altro che ovvietà condivise (anche se questo non vuol dire che sono vere). E, d’altra, parte, che vita sarebbe, la nostra, se dovessimo passare a minuzioso vaglio critico ogni affermazione altrui, e a scientifica valutazione di originalità ogni affermazione nostra? Diciamocelo, i luoghi comuni ci permettono di cavarcela quando siamo in ascensore con qualcuno a cui non abbiamo niente da dire; di rompere il ghiaccio con gli sconosciuti; di sapere che cosa pensano di te quando vai in Francia e non parli francese; di cambiare discorso quando non sei d’accordo e non hai voglia di litigare; di farsi votare alle elezioni; di tenere i bambini Pensate se un giorno lontani dai peridicessimo, invece de «gli immigrati rubano coli («non accettare caramelle il lavoro», un più dagli sconosciurealistico «gli ti»). immigrati portano Fin qui, tutto lavoro». Cosa succederebbe? Un libro bene: in fondo, i prende in giro i luoghi luoghi comuni affratellano. comuni. Fino a un È vero, però, che certo punto di alcuni non se ne può più: «non ci sono più le mezze stagioni», «le bionde sono oche», «la bistecca ha visto quanto si riduce in padella, signora mia». Non se ne può più perché sono abusati, ma anche perché sono uno strumento per nascondersi, per non mostrare ciò che si è. Chi si sbilancia in un “eh… gli anni passano” o “ai bei tempi!”, fa almeno trasparire l’esistenza di una storia, anche se non si sa quale. Altri luoghi comuni, invece, fanno decisamente male, anche se sono ampiamente condivisi: diciamo che affratellano alcuni, ma contro altri. C’è qualcuno che oserebbe contraddire chi sostiene che i rom

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rubano i bambini? Ci ha provato, pochi anni fa, Migrantes, e per farlo ha dovuto commissionare un’apposita ricerca: dalle indagini e dai processi non è stato provato una sola volta che uno zingaro avesse rubato un bambino. Contro un altro luogo comune di questo genere («a loro piacere vivere nei campi») si è battuto, a Milano, mons. Colmegna, che da anni è impegnato per dare casa e lavoro ai cosiddetti nomadi (che nomadi non sono, tanto per chiarire un altro luogo comune). E naturalmente è apertamente osteggiato da politici e amministratori. Molti luoghi comuni, per fortuna, possono essere sconfitti con un po’ di ironia e creatività. Alfredo Bucciante ha aperto il sito luoghicomunialcontrario.net e pubblicato il libro Scusa l’anticipo, ma ho trovato tutti verdi e altri 499 luoghi comuni al contrario (Einaudi 2010). Sono operazioni di ribaltamento sorprendenti: nel sito c’è chi posta sovversioni filosofico-psicanalitiche («a volte sarebbe meglio parlare prima di riflettere»); chi riscopre il buon senso («a volte le persone più pericolose sono quelle più sospette»), chi rilancia la sincerità («ti lascio perché ti amo troppo poco»); chi fa poesia («Ognuno sta solo sul cuor della terra, trafitto da un raggio di sole. Ed è subito giorno»). Bello sarebbe che dal ribaltamento delle parole si passasse ai fatti (da: «gli immigrati rubano il lavoro» a «gli immigrati portano lavoro»). Altri luoghi comuni, però, andrebbero difesi fino all’ultimo. Quand’ero giovane, mi sembrava che mia madre e mio padre incarnassero tutti i luoghi comuni possibili e immaginabili della coppia: lei che sacrifica il lavoro per la famiglia, lui che si dedica al lavoro; lei che si fa carico del lavoro di cura, lui che prende le decisioni importanti; lei che va in vacanza con i figli, lui che passa quasi tutta l’estate a sudare in città. Per me erano luoghi comuni, per loro erano l’equilibrio dentro il quale si sono voluti bene e sono stati fedeli, fing ché morte li ha separati. E anche dopo. ■

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sulle strade della fede

Il grande convento di Bosco Marengo stato l’unico papa piemontese che la storia ricordi: stiamo parlando di San Pio V, Antonio Michele Ghislieri, nato a Bosco Marengo il 17 gennaio 1504. Ed è proprio in questo piccolo centro della pianura alessandrina di cinque secoli fa che vogliamo porre la nostra attenzione. Salito sulla cattedra di Pietro il 7 gennaio 1566, il primo agosto successivo il novello pontefice, il cui nome è legato alla celebre e cruenta battaglia di Lepanto, per dare lustro al suo paese natale, decretò, con tanto di bolla papale, la fondazione di un grande convento domenicano, al cui ordine apparteneva, dedicato alla Santa Croce e Ognissanti. Per la precisione, seguendo l’esempio di tanti principi umanisti, scelse un luogo a metà strada tra i nuclei di Bosco e Frugarolo perché nei suoi progetti, che coltivava già da quando era cardinale, proprio a partire dal convento si sarebbe dovuto sviluppare un nuovo borgo che avrebbe inglobato i due centri esistenti. A stendere il progetto fu chiamato il padre domenicano Ignazio Danti, architetto e matematico perugino, affiancato da Giacomo della Porta e da Martino Longhi, che riuscì a ideare un grande complesso tardo rinascimentale, perfettamente in linea con i dettami del Concilio di Trento, Mura che sanno di storia e di arte, sotto concluso da pochi mesi. Il convento delle dimensioni di 100 metri lo sguardo benevolo per 75 comprende la chiesa, due chiostri, il di papa Pio V che lo ha voluto fortemente. refettorio e la biblioteca a tre navate e numerosi altri ambienti. La vasta chiesa, a Il convento si presenta ancora oggi croce latina, possiede ben dieci cappelle laterali che si affacciano sull’unica navata come complesso centrale, fortunatamente ancora ricche, architettonico che fa onore alla cultura nonostante le numerose spogliazioni, di importanti opere d’arte. Solo per citarne e attira l’attenzione alcune ricordiamo l’altare di San Domenico dei più curiosi di Paolo Mira

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nel braccio sinistro del transetto, realizzato nel 1673 dal marmista Giulio Tencalla, come pure dello stesso artista è la cappella di Santa Rosa da Lima del 1674. E ancora il Giudizio universale del 1568 e l’Adorazione dei Magi, opere di Giorgio Vasari, la pala della Madonna del rosario realizzata nel 1597 da Grazio Cossali, che rievoca la battaglia di Lepanto e i suoi protagonisti, tra cui appunto papa Ghislieri, per finire con il coro intagliato da Angelo Marini nel 1571 e il mausoleo di Pio V, oggi privato dell’urna funeraria (posta sulla parete di fronte), che avrebbe dovuto accogliere le spoglie del pontefice che, invece, riposa nella basilica romana di Santa Maria Maggiore. Passando alla parte conventuale del complesso, forse l’ambiente più suggestivo è la biblioteca, che richiama quella del convento di San Marco a Firenze, a tre navate separate da file di eleganti colonne, dotata dal papa di numerosi e preziosi volumi per lo studio dei religiosi. Totalmente autosufficiente, grazie anche alle numerose rendite concesse da pontefice, tra cui circa 1500 ettari di terreno, nel convento di Bosco Marengo soggiornarono personalità di rilievo tra cui l’infante di Spagna Margherita, figlia di Filippo IV, in viaggio


sulle strade della fede Nelle foto: immagini del convento di Bosco Marengo

nel 1666 verso l’Austria per sposare l’imperatore Leopoldo, Napoleone Bonaparte, che il 2 maggio 1796 occupò gli ambienti conventuali durante la prima campagna d’Italia; di passaggio furono anche i sovrani sabaudi Carlo Felice nel 1824 e Carlo Alberto con il figlio Vittorio Emanuele II nel 1846. I domenicani sarebbero rimasti a Bosco Marengo

fino alla soppressione francese del 1802, per tornare nuovamente dopo la caduta di Napoleone e allontanarsi definitivamente nel 1860. Trasformato per breve periodo in deposito militare e ospedale, nel 1862 il convento divenne riformatorio giovanile e, quindi, fino al 1989 carcere minorile. Dopo anni di abbandono, nel luglio 2002, l’ex presidente dell’Unione Sovietica, Mikhail Gorbaciov, ha scelto il complesso di Santa Croce, come sede del World political forum da lui presieduto. Da allora queste antiche mura hanno ospitato numerosi personaggi di spicco del panorama politico mondiale. Altrettanto importante per la rinascita del convento è stata la nascita, il 4 febbraio 2003, dell’associazione “Amici di Santa Croce”, che riunisce tutti coloro che hanno a cuore il complesso, che si impegnano per la valorizzazione turistica del territorio, l’accoglienza dei visitatori, la riqualificazione polifunzionale della chiesa sotto l’aspetto culturale e religioso, la promozione e l’organizzazione – anche in collaborazione con le amministrazioni comunale, provinciale, regionale, statale e l’associazionismo locale – di convegni, spettacoli, manifestazioni culturali, che servano a promuovere e ad attirare i visitatori verso il complesso monumentale e il territorio circostante. Non da ultimo importante obiettivo dell’associazione riguarda la valorizzazione della figura e dell’opera di San Pio V, del museo Vasariano, in cui saranno esposte opere di Giorgio Vasari, degli oggetti e del patrimonio d’arte appartenuto al convento, della casa natale del pontefice, e più in generale del territorio di g Bosco Marengo e delle zone limitrofe. ■

Come arrivare a Bosco Marengo osco Marengo è raggiungibile con l’autostrada A21 Torino-Alessandria-Piacenza; all’uscita Alessandria est proseguire per 12 km seguendo le indicazioni per Bosco Marengo e complesso monumentale di Santa Croce. Analogamente con la A7 Alessandria-Milano, uscita Novi Ligure (5 km) o con la A26 Genova-Alessandria-Santhià, uscita Alessandria sud (km 7). La chiesa di Santa Croce è aperta tutte le domeniche (ore 10-12 e 15-18) e su prenotazione nei giorni feriali (tranne mercoledì) rivolgendosi all’associazione “Amici di Santa Croce” (telefono 331.4434961, mail: info@amici-di-santacroce-di-boscomarengo.it). Sempre su prenotazione è possibile visitare anche agli ambienti conventuali, come pure la casa natale di San Pio V e la chiesa parrocchiale dei Santi Pietro e Pantaleone. Informazioni: www.boscomarengo.org e www.amici-di-santacroce-di-boscomarengo.it.

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Bosco Marengo

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chiesa e carità

Giovani e 8X1000: osiamo di più ette d’accordo giovani e anziani. Non ha controindicazioni e non costa nulla. Anzi c’è di più. Partecipare al nuovo concorso I feel Cud fa bene proprio a tutti: aiuta poveri e bisognosi, dà risposte alle problematiche familiari, permette la realizzazione di strutture educative e ricreative per ragazzi, sostiene i sacerdoti, promuove i valori del vangelo, contribuisce a edificare parrocchie e locali per la pastorale, promuove e sostiene l’attività di molte associazioni cattoliche, tutela e conserva i beni culturali ecclesiastici e l’elenco potrebbe continuare ancora pagine su pagine. Come è possibile tutto ciò? Basta firmare per destinare l’8xmille alla Chiesa cattolica anche sul modello Cud. Per permettere a circa 14 milioni di persone questo gesto, senza nessun esborso di denaro, il Servizio promozione della Conferenza episcopale italiana (Cei) organizza questo evento in collaborazione con il Servizio nazionale per la Una proposta rivolta pastorale giovanile e i Caf Acli. L’obiettivo a tutti i gruppi è quello sensibilizzare alla firma parrocchiali e alle dell’8xmille i possessori del modello Cud, associazioni laicali. Aiuteranno gli anziani per lo più pensionati e giovani al primo impiego, che spesso ignorano di avere il alla raccolta dei Cud e voleranno a Madrid diritto di scegliere a chi destinarlo oppure alla Giornata mondiale non vogliono affrontare i disagi per la consegna solo della scheda destinata alla della gioventù. scelta 8xmille. Le informazioni nel Di che si tratta in concreto? L’invito è sito www.ifeelcud.it

di Maria Grazia Bambino

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rivolto ai parroci e ai giovani delle parrocchie italiane, d’età compresa tra i 18 e i 35 anni. Per partecipare dovranno accumulare punti attraverso la raccolta delle schede allegate al Cud tra gli anziani, consegnandole poi al Caf Acli di riferimento sul territorio, in busta chiusa, entro e non oltre il 30 aprile 2011. La parrocchia che avrà totalizzato più punti vincerà il viaggio alla Giornata mondiale della gioventù per il parroco e un gruppo di giovani. È un gioco che cerca di creare dialogo tra le generazioni. Un’opportunità può essere appunto il diritto di destinare l’8xmille sulla dichiarazione dei redditi, in periodo di scadenze fiscali. Di solito i giovani non se ne occupano e invece potranno scoprire che cos’è la corresponsabilità economica verso la Chiesa, e dunque il valore della scelta personale e consapevole della firma. Importante sarà anche la partecipazione


chiesa e carità di tutti i giovani e giovanissimi aderenti all’Azione cattolica. Norme del concorso alla mano (www.ifeelcud.it), con la raccolta dei Cud i giovani partecipanti di ogni parrocchia potranno accumulare punti. Ma avranno anche modo di incrementarli ulteriormente girando un video di 3 minuti sulle proprie radici (il racconto della propria comunità parrocchiale, del paese in cui vivono o del santo patrono) oppure girando un filmato in cui cantano insieme la canzone Si può dare di più. Per avvicinarsi a questi contenuti, i giovani e anche l’Acr, potranno interpellare gli anziani, facendo riferimento all’esperienza e alla memoria di chi ha più anni di vita sulle spalle, in una sorta di reportage sul territorio, fra tradizioni e presente. La data ultima anche per l’invio dei video sarà il 30 aprile 2011. Una giuria premierà il video più interes-

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sante e il pubblico voterà il suo preferito. Per quanto riguarda il risultato finale, vinceranno le prime 5 parrocchie italiane che avranno totalizzato più punti. In palio 5 viaggi alla Giornata mondiale della gioventù (Madrid 16-21 agosto 2011) per il parroco e un gruppo di giovani. Oltre al viaggio nella capitale spagnola, alle 5 parrocchie vincitrici verrà assegnato anche un contributo di 1.000 euro per gli acquisti parrocchiali, preferibilmente destinati alla comunità degli anziani. Non mancherà, infine, un premio speciale per “il video più votato dal pubblico”. I filmati inviati saranno inseriti sul sito internet dedicato al concorso www.ifeelcud.it, dove ogni giorno potranno essere votati dalla platea del web. Il bando integrale del concorso e altre informazioni sono g disponibili sempre sullo stesso sito. ■

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perché credere

4/La risposta

Accettare la sfida ndare, vedere, rimanere. Sono azioni lontane dalla nostra routine. È più comodo rimanere fermi dentro le proprie convinzioni e riposare negli schemi acquisiti; è meno impegnativo “assistere”, come spettatori anziché “contemplare” ed entrare nella profondità degli eventi e della storia; è più consolante l’agitazione alla stabilità, la confusione all’interiorità, lunghe liste di amici nei social-network di cui neppure si riconoscono i volti. Eppure è lo stile di Gesù. Andare, vedere, rimanere. Dare entusiasmo, suscitare curiosità, offrire accoglienza. E anche il percorso che chiede ai suoi discepoli, chiamati ad un generoso pellegrinaggio, a un discernimento contemplativo e alla fedeltà coraggiosa. Ma se questi tre verbi “cardinali” della teologia giovannea fossero praticati poco anche nelle comunità cristiane? Se non costituissero lo stile dei nostri percorsi pastorali? Scrivono i Vescovi italiani negli Orientamenti pastorali: «Accettando l’invito di Gesù, i discepoli si mettono in gioco decidendo d’investire tutto se stessi nella sua proposta. Dall’esempio di Gesù apprendiGesù chiede ai suoi discepoli amo che la relazione un generoso “pellegrinaggio”, educativa esige pazienza, li invita a un discernimento gradualità, reciprocità discontemplativo e alla fedeltà tesa nel tempo. Non è fatta e sequela coraggiose. Ma non è così facile... Il quarto di esperienze occasionali e di gratificazioni istantaappuntamento con il percorso nee. Ha bisogno di stabilspirituale di quest’anno è ità, progettualità coragaffidato all’assistente dell’Acr di Dino Pirri

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giosa, impegno duraturo» (n. 25). Allora accogliere la fede in Gesù significa innanzitutto mettersi alla sua sequela. Andare. Essere disposti a spostarsi continuamente. Abbandonare decisamente la casa delle consuetudini e di ogni automatismo. Provare ad abitare luoghi nuovi, cercando l’incontro con tutti e il confronto con le idee altrui. Osare sperimentazioni che permettano una rivisitazione degli orari e dei calendari, tenendo conto dei tempi degli uomini e delle donne di oggi. Abbandonare il ruolo delle guide per essere compagni di strada. Vedere. Con gli occhi di Dio e secondo il suo cuore. Vedere con amore, e in profondità. Guardare la realtà: trovando il coraggio profetico di denunciare il male e di diffondere il bene, promuovere la giustizia, cercare la verità. Vivere un continuo riferimento alla Parola e attualità, nella consapevolezza che la fede non è slegata dalla vita quotidiana. Acquisire anche linguaggi nuovi, capaci di comunicare e di toccare i cuori. Smettere di parlare e ragionare sui giovani, sui lontani, sulle famiglie... e cominciare ad ascoltare i giovani, i lontani, le famiglie... Rimanere. L’arte della pazienza e della fiducia. Non è l’agitazione che rende vive le nostre comunità, ma il rimanere con il Signore, recuperando tempi e spazio di riposo e di gratuità. «Le nostre comunità dovrebbero essere scuole di contemplazione, di calmo raccoglimento, di libertà interiore... E solo così sfuggiranno alla malattia dell’attivismo. Quando un sacerdote o un fedele laico non trovano più il tempo di pregare e non sanno irradiare intorno a sé uno spirito di preghiera, perché troppo presi dalle loro atti-


perché credere vità, è il momento in cui l’essenziale è stato ormai perduto» (Giuseppe Savagnone). Il Maestro ci coinvolge in una relazione personale di amicizia con lui: non ci elenca le regole e non ci trasmette nozioni astratte, ma ci offre una esperienza da condividere. E allora, prima delle regole e delle nozioni, è il primato dell’amicizia con lui, della relazione nutrita dall’ascolto della Parola e dalla preghiera, e che trova ulteriore vitalità nell’amore del prossimo e nel servizio al mondo. Le attività, le “pastorali”, i programmi: stanno dopo! Davanti a noi stanno Andrea, Giovanni, Pietro, Giacomo e tutti coloro che hanno accolto la sfida della sequela coraggiosa. Continuamente spiazzati, spesso fino al turbamento, e costretti ogni giorno a rinnovare la loro fedeltà. Pronti a seguire Gesù, poi a continuare il cammino nella sua apparente assenza, a Gerusalemme e fino ai confini della terra. Tra i fratelli e le sorelle di fede e poi verso tutte le genti. Siamo invitati a contemplare la loro capacità di inserirsi nella storia, senza lasciarsene travolgere, ma sempre a percorrere strade inedite ed insolite. Ci lasci-

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amo consolare dalla loro fame e sete saziate, dalla loro durezza ugualmente accolta, dal loro tradimento perdonato. Descrivendo l’esperienza di fede degli Israeliti che camminano verso la terra promessa, Erri De Luca scrive: «Imparavano ad andare, al passo che tiene insieme il giovane e l’anziano, i piccoli e le donne incinte. Si muovevano insieme con effetto di coro sulla terra. Cantavano per riempire lo spazio minaccioso della libertà, che non è un elenco di comodità e diritti, ma azzardo di inoltrasi in territorio vuoto. La libertà chiede una disciplina adatta allo sbaraglio. Era un deserto spalancato intorno e nessun tetto. L’orizzonte aveva bordi roventi che non si lasciavano accostare. Ovunque andassero rimanevano in mezzo a una padella». Nella decisione di seguire Gesù e le sue logiche, spesso possiamo sentirci accerchiati, impauriti e stanchi, ma rimane la speranza di un cammino da continuare, di una bellezza da contemplare e di un Signore buono che ci accoglie nella sua casa e nel suo abbraccio ci fa g riposare. ■

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la foto

POPOLI IN BILICO

2011. IL MEDITERRANEO LOTTA PER LA LIBERTÀ


L’esperienza del popolo d’Israele aiuta i ragazzi ad essere Chiesa e a sentirsi parte di un popolo chiamato a camminare verso la salvezza e la gioia.

NEL COFANETTO: SUSSIDIO PER L’EDUCATORE I contenuti del Campo, le attività della giornata, i suggerimenti per arricchire la pro- posta formativa. LIBRETTO PER LA LITURGIA Per vivere bene il tempo dedicato alla preghiera (acquistabile anche singolarmente).

IL GRANDE GIOCO Un momento essenziale e altamente educativo di tutta l’esperienza del Campo.



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