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Lo scarpone che conquistò l’Everest
Storie svizzere ◆ Quella dello sherpa Tenzing è una delle avventure che Bally riscopre digitalizzando il suo vasto archivio
Nel 1952, il calzaturificio della famiglia Bally di Schönenwerd (fondato nel 1851 dai fratelli Carl Franz e Fritz), canton Soletta, fu tra i finanziatori di una spedizione svizzera sull’Himalaya, che mirava al primato nella conquista del tetto del mondo. La scalata si interruppe a 150 metri dalla meta e in cima all’Everest non sventolò la bandiera rossocrociata, ma ai piedi di un ancora sconosciuto sherpa rimasero gli scarponi-stivali di renna «made in Switzerland» forniti dallo sponsor: un modello speciale dalla suola innovativa, cucito su misura per gli alpinisti estremi.
L’anno dopo, accompagnando Edmund Hilary alla conquista dell’Everest, lo stesso sherpa, di nome Tenzing Norgay, entrò così nella storia… calzando Bally.
Questa storia di tradizione artigianale e innovazione tecnologica me la racconta Nicolas Girotto, amministratore delegato del marchio svizzero del lusso, nel suo ufficio del quartier generale di Caslano.
A settant’anni da quell’indimenticabile impresa, in collaborazione con i figli di Tenzing Norgay – aggiunge Girotto – Bally è tornata sull’Himalaya per contribuire alla salvaguardia di un ambiente montano oggi minacciato da uno sfruttamento eccessivo. Con la Bally Peak Outlook Foundation, creata nel 2020, abbiamo già contribuito a ripulire da oltre sette tonnellate di rifiuti i campi base dell’Everest e di altre vette himalayane. E abbiamo appena firmato un accordo con le associazioni ambientaliste locali per proseguire l’impegno almeno fino al 2030.
Il CEO del brand racconta della consolidata familiarità con i Tenzing Norgay con l’orgoglio consapevole di chi si trova per le mani uno straordinario patrimonio di memoria. Un archivio di oltre 170 anni offre infatti infiniti spunti narrativi in un mondo della moda in cui il cosiddetto heritage è ormai un impagabile valore aggiunto nella cura dell’immagine: blasone distintivo dell’industria del lusso.
Gli stivali di renna, sì, ma anche le scarpe da curling della squadra svizzera alle Olimpiadi del 1956, e poi i primi scarponi da trekking e gli eleganti pattini degli anni Venti del Novecento, che pare di veder volteggiare ai piedi del bel mondo internazionale sul ghiaccio dell’hotel Suvretta a St. Moritz o sul laghetto di Arosa. E invece il pattino in morbido pellame nero, modello 1926, volteggia ora in 3D sugli schermi del laboratorio di digitalizzazione di Manno, assieme allo stivale di renna modello Everest 1953. Minuziosamente fotografati e accompagnati da dettagliate schede di prodotto, i preziosi originali sono già rientrati nell’archivio climatizzato di Schönenwerd, che conser- va le collezioni e l’intero patrimonio di memoria aziendale: 40mila paia di scarpe, 15mila fotografie, 3mila loghi, oltre mille manifesti, bozze originali, scatole per scarpe fin dal 19esimo secolo, filmati, pubblicità, cataloghi, giornali e riviste. Cui si aggiungono le collezioni (comprese borse e abbigliamento) degli ultimi 24 anni, da quando l’azienda ha cambiato proprietà, e dalla famiglia Bally, dopo alcuni passaggi, è entrata a far parte della JAB Holding Company.
Il progetto di digitalizzazione (della durata di tre anni) è iniziato la scorsa primavera e prevede di acquisire in altissima definizione una scelta di modelli rappresentativi delle collezioni, che saranno consultabili nei minimi dettagli su schermo, evitando così
Tech Competence Center di Manno, di cui Bally è socio fondatore.
L’archivio in forma digitale (a fine 2022 sono già stati fotografati e schedati oltre 6mila modelli) sarà progressivamente reso accessibile da remoto in modo tale da poter fornire spunti d’ispirazione per le nuove collezioni al team di creativi dell’azienda, che potranno esplorare nei minimi particolari cuciture, strutture delle pelli, suole, fibbie e stringhe prima di farsi inviare i modelli prescelti da toccar con mano.
Ma non saranno solo i fashion designer a sfruttare le potenzialità offerte dalla soluzione tecnologica sviluppata nel laboratorio di Manno: USI ha infatti istituito un dottorato (PhD con indirizzo Physical-Digital) per l’accompagnamento accademico del progetto di digitalizzazione dell’archivio e ad altri studenti della medesima università è offerta l’occasione di rinnovare le forme di esposizione museale facendo dialogare l’oggetto reale con la sua versione digitale.
I risultati di questa ricerca interdisciplinare troveranno il loro spazio anche a Villa Heleneum (da aprile prossima sede di Bally Foundation), dove una delle sale sarà dedicata periodicamente a una lettura trasversale del patrimonio archivistico.
Una piccola capsula del tempo inserita in un ampio progetto culturale, che vuole spingere ulteriormente la ricerca e l’innovazione al di fuori del campo della moda, focalizzando l’attenzione sulle arti e la sostenibilità ambientale.
A Castagnola, nei 700 metri quadrati della storica villa affacciata sul Ceresio, dove in futuro troverà posto anche una residenza d’artista, la nuova direttrice di Bally Foundation Vittoria Matarrese, ha annunciato un programma composito che offrirà performances, incontri e workshop educativi oltre alle mostre.
Una proposta espositiva che del resto appartiene a Bally fin dal 1942, quando la famiglia di industriali decise di allestire, in una delle sue residenze padronali nel piccolo villaggio industriale solettese, il Museo della calzatura di Schönenwerd: un valore culturale era stato allora agganciato a un prodotto industriale, prima, molto prima che il mondo della moda scoprisse il patrimonio della memoria e si lanciasse nell’ heritage marketing di spedire in giro per il mondo quelli che sono ormai diventati delicati oggetti di modernariato. L’operazione di conservazione e valorizzazione del suo archivio è stata lanciata da Bally Foundation in collaborazione con l’Università della Svizzera italiana e alcune aziende locali e internazionali (Hyphen, Microsoft, Moresi e Azure Cloud) sotto la guida del Lifestyle
Oggi la villa di Schönenwerd mostra i segni del tempo e quell’avanguardistico museo di metà Novecento è da ripensare con gli strumenti del XXI secolo. A Villa Heleneum, invece, si sperimenteranno le nuove forme di valorizzazione, visualizzazione e apertura al pubblico del patrimonio archivistico di uno dei più longevi brand nell’universo dell’abbigliamento di lusso.