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Per una maggiore cultura del territorio

Incontri ◆ A colloquio con l’architetto di origini leventinesi Endrio Ruggiero, a capo dell’Ufficio dei beni culturali

Stefania Hubmann

«Una società che sa prendersi cura del proprio patrimonio e del proprio territorio è una società virtuosa e sapiente che è poi in grado di trasportare i medesimi valori positivi in tutti gli ambiti della propria attività quotidiana». Questa convinzione la esprime Endrio Ruggiero, capo dell’Ufficio dei beni culturali (UBC) presso il Dipartimento del territorio. Le notizie di demolizioni di edifici storici, di grandi progetti edilizi controversi, ma pure di azioni della popolazione e di associazioni per contrastare queste tendenze si susseguono nei media a dimostrazione che forse le sensibilità stanno mutando a favore di una maggiore attenzione al territorio e ai manufatti che lo caratterizzano. Nominato nella nuova funzione la scorsa primavera dopo oltre vent’anni di attività nel medesimo Ufficio e precedenti esperienze professionali internazionali, Endrio Ruggiero è un profondo conoscitore del territorio ticinese, guida ideale per capire, oltre al ruolo dell’UBC, come evolve il concetto di protezione in questo ambito e quali sono le nuove sfide da affrontare.

Il percorso che l’ha portata a operare nel campo della conservazione è singolare. Ce lo vuole raccontare?

Sono stato attratto da questo settore un po’ per caso sul campo, in particolare a Mosca mentre partecipavo al restauro del Gran Palazzo del Cremlino a metà degli anni Novanta. Cresciuto nella valle Leventina, ho studiato architettura alla Scuola Politecnica Federale di Losanna con il sogno di diventare designer di automobili. Ho invece esercitato la professione di architetto in diversi Paesi europei fino a giungere in Russia dove ho collaborato con una ditta specializzata in restauro. Abituato ai ritmi frenetici dell’edilizia privata tradizionale, ho così scoperto i «tempi tranquilli» del restauro. Ho da subito coltivato questo nuovo interesse fino al concorso che nel 2001 mi ha condotto all’UBC in qualità di collaboratore scientifico del Servizio monumenti, Servizio che ho poi diretto dal 2014 al 2022.

L’Ufficio dei beni culturali conta altri due Servizi. Può riassumere compiti e contesto della protezione dei beni culturali nel nostro cantone?

La Legge sulla protezione dei beni culturali (LBC) del 1997 è il fondamento per l’operato dell’UBC che si basa anche su una serie di raccomandazioni e principi di intervento federali a loro volta ispirati alle convenzioni internazionali in materia (Carte del restauro).

Per fondare una reale politica di conservazione, è necessario innanzitutto conoscere il proprio territorio e il relativo patrimonio. Il Servizio inventario si occupa pertanto di allestire e aggiornare sia il Censimento, sia l’Inventario dei beni culturali protetti di interesse cantonale e locale. Va pure precisato che non esiste una tutela a livello nazionale; i beni di importanza nazionale sono tali poiché in passato hanno beneficiato di contributi federali per la loro salvaguardia. Tornando all’UBC, tocca poi al Servizio monumenti occuparsi delle pratiche di conservazione e restauro riguardanti i beni tutelati. Infine al Servizio archeologia compete la parte legata ai perimetri di interesse archeologico e naturalmente la sorveglianza, la gestione e la ricerca nei cantieri archeologici.

Nel limite del possibile, tutti i Servizi si occupano anche di consulenza, ricerca, divulgazione e formazione.

I rapporti con la Confederazione e in particolare con l’Ufficio federale della cultura costituiscono un altro compito impegnativo dell’UBC che è interessato anche dai progetti di grande impatto territoriale, come quelli stradali e ferroviari. Con una ventina di collaboratori, l’UBC è un Ufficio giovane e dinamico, composto da quasi il 90% di personale femminile per lo più altamente qualificato.

Nella relazione fra beni culturali e territorio, in quale misura, oltre al monumento protetto, va preservato l’ambiente circostante? Quale ruolo svolge la pianificazione?

Il contesto è fondamentale, come indicano in modo chiaro le raccomandazioni della Commissione federale dei monumenti storici. Ogni monumento si situa in un contesto spaziale con il quale si relaziona sotto diversi aspetti e che è pertanto parte essenziale del monumento stesso. Rappresenta infatti l’ambito in cui il monumento ha effetto, in cui è percepito e dal quale non può estraniarsi. Per questo motivo merita un’attenzione particolare che può essere garantita solo attraverso un’oculata pianificazione. La protezione integrata dei beni culturali e la pianificazione sono strettamente legate, poiché la seconda, sia in vigore che in divenire, può influire significativamente sulla conservazione e la valorizzazione dei beni culturali. Si tratta di uno dei punti cardine della Legge del 1997 e che spiega l’appartenenza dell’UBC al Dipartimento del territorio. Il problema principale sta nelle diverse velocità di mutamento: il monumento si modifica lentamente nel tempo, il suo contesto è invece destinato a cambiamenti più rapidi. Per evitare misure che ne pregiudichino il carattere, è quindi indispensabile integrare la tutela dei beni culturali nella pianificazione urbanistica e territoriale, prevedendo, se del caso, anche misure di protezione come la creazione di zone di salvaguardia o norme più restrittive. Un ruolo chiave lo svolgono i Piani regolatori comunali, in alcuni casi risalenti però agli anni Settanta e Ottanta del Novecento (e quindi pensati almeno un decennio prima) con obiettivi di sviluppo diversi da quelli odierni. La pressione edilizia si è fatta sentire con grande incisività soprattutto negli ultimi vent’anni e con una velocità che non corrisponde a quella dell’evoluzione della tutela del patrimonio culturale.

Quale influenza ha l’accresciuta sensibilità della popolazione verso le testimonianze storiche e culturali?

La sensibilità e l’attenzione della popolazione, occorre dirlo, sono notevolmente accresciute negli ultimi lustri e restano fondamentali. Tuttavia ritengo che la salvaguardia del patrimonio debba sempre di più passare anche da un generale senso di responsabilità collettiva. È compito nostro ma anche di altre realtà sul territorio (Comuni, enti, proprietari privati) lavorare per estendere il significato di bene comune, in special modo nei contesti dove si rileva riluttanza nei confronti della tutela degli edifici, riluttanza dovuta sovente a una ponderazione eccessiva degli interessi, soprattutto economici. Un territorio privato di valori storici, architettonici, urbanistici e paesaggistici è un territorio povero, arido che si apre inesorabilmente alla desolazione e alla banalizzazione urbana. Per evitare questo scenario, occorre promuovere una tangibile cultura della costruzione, permettendo a passato, presente e futuro di coesistere armoniosamente in un sistema di reciproca qualità. È necessario lavorare in quest’ottica, soprattutto in ambito privato, per risvegliare quel senso civico che stiamo in parte perdendo.

La sensibilità varia a dipendenza della tipologia di beni degni di protezione?

Effettivamente l’attenzione nei confronti delle raffinate testimonianze storico-artistiche più antiche rispetto a quella nei confronti dei manufatti più recenti non è sempre la stessa. Anche una parte di questi ultimi è protetta – vedi La tutela del Moderno nel Cantone Ticino pubblicato nel 2012 dall’UBC – perché si tratta di opere significative per la collettività. Il nuovo concetto di bene culturale è stato introdotto con la Legge del 1997 che rispetto alla precedente (risalente al 1946) ha esteso la protezione ad altre tipologie costruttive come edifici scolastici e industriali, opere viarie, strutture alberghiere ecc. In Ticino sono tutelati una sessantina di edifici del Moderno realizzati tra gli anni Venti e Ottanta del Novecento.

Infine va considerato che l’Inventario dei beni tutelati è per sua natura in continuo aggiornamento dovendo rispecchiare le mutevoli sensibilità della società.

Quali sono oggi le principali sfide riguardo alla conservazione e alla valorizzazione dei beni culturali? In generale credo sia necessario promuovere una maggiore cultura del territorio, territorio nel quale sia possibile riconoscersi. Ciò per preservare la nostra identità di cui i beni culturali sono una chiara e fondamentale espressione. Occorre poi insistere in maniera più marcata sulla manutenzione ordinaria e straordinaria che si rivela essere sempre il miglior restauro. Ai proprietari e all’opinione pubblica bisogna far comprendere il valore dei vari manufatti così come l’importanza di conservarli e valorizzarli. Le difficoltà in questo ambito non sono legate ai monumenti classici, bensì all’architettura moderna. La presa di coscienza del valore e dell’importanza di una scuola degli anni Settanta del Novecento, come ad esempio quella di Riva San Vitale attualmente in fase di restauro, è tutt’altro che acquisita. Eppure questi edifici offrono in generale spazi generosi e interessanti che assicurano un’elevata qualità di vita alle persone che li utilizzano. La loro patrimonializzazione deve però ancora essere metabolizzata dal punto di vista culturale, per cui non è sempre evidente far capire tali concetti ai proprietari, siano essi privati cittadini o enti pubblici. Quali aspetti apprezza della sua attività e quali invece le delusioni che ha dovuto affrontare?

Aver maturato una profonda conoscenza del territorio cantonale e dei suoi beni è di sicuro uno dei principali arricchimenti, assieme alle numerose collaborazioni con gli attori che operano con impegno nella conservazione dei beni culturali. I momenti di sconforto sono invece legati a qualche demolizione che purtroppo non si è riusciti a evitare. Penso a Villa Branca e alla Romantica a Melide o ancora al Villino Salvioni a Bellinzona. Vi è inoltre qualche oggetto che per vari motivi non si è in grado di restaurare e che lentamente prosegue nel suo degrado. Nel primo caso si tratta di eventi che hanno perlomeno avuto il pregio di suscitare una reazione nella comunità e nelle associazioni che difendono il patrimonio culturale e paesaggistico del Ticino. L’accresciuta sensibilità odierna è in parte dovuta anche a questi episodi. L’Ufficio dei beni culturali si muove all’interno di precise norme che in alcuni casi vanno a scapito dei manufatti di pregio, sostituiti spesso da nuove edificazioni senza un particolare valore architettonico. Tutto ciò comunque non ci abbatte, anzi ci sprona a lavorare con rinnovato vigore. Apprezziamo inoltre altri segnali positivi come le iniziative comunali volte ad ampliare, tramite varianti di Piano regolatore, il numero di oggetti da salvaguardare. La Città di Lugano si sta muovendo in questa direzione e l’esempio di un centro importante potrà fungere da stimolo per altre autorità comunali.

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