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Il grande sacco della RAI
Furti d’arte ◆ Sono centinaia le opere di valore scomparse negli anni dai corridoi e dagli uffici dell’ente televisivo
Aldo Caruso
Tutta colpa della cattiva manutenzione delle sedi RAI, accentuatasi durante il distanziamento imposto dalla pandemia di Covid-19. Così un paio d’anni addietro capita che negli uffici romani un quadro si stacchi dalla parete. È il famoso Architettura di Ottone Rosai, tra i principali esponenti del Futurismo. Il dipinto, rappresentante alcune case stilizzate e due cipressi, viene inviato al restauro. Agli incaricati bastano pochi interventi per accorgersi che si tratta di un falso. L’immediata denuncia alla Procura produce l’intervento dei carabinieri addetti alla «Tutela del patrimonio culturale» (Tpc).
In un paio di mesi d’indagini riescono a individuare l’impiegato, che cinquant’anni prima si era impossessato dell’opera. Protetto dalla prescrizione, l’autore del furto racconta di averla sostituita con una copia e venduta per 25 milioni di lire (circa 250 mila euro). Viene rintracciato l’acquirente, il quale spiega di averla a sua volta ceduta una decina di anni dopo e lo stesso ha fatto il secondo proprietario con il quale, però, si perdono le tracce del quadro. La sparizione del dipinto di Rosai riporta in primo piano la denuncia, fatta a suo tempo dal tg satirico di Canale 5, «Striscia la notizia»: nel 2004, sempre dalla sede di viale Mazzini, erano scomparsi Vita nei Campi di Giorgio De Chirico e La Domenica della Buona Gente di Renato Guttuso. E se le fortune artistiche ed economiche del secondo sono in netta discesa, il primo rimane l’incontrastato capofila della pittura metafisica. Le quotazioni dei suoi quadri e delle sue sculture crescono negli anni al pari di quelle dei suoi scritti.
Il quadro di De Chirico appare secondo nella lista dei furti più famosi. Qui, infatti, continua a primeggiare la Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi di Caravaggio. È sparita nel 1969 dall’Oratorio di san Lorenzo palermitano. Dopo oltre cinquant’anni di ricerche, si conoscono nomi e cognomi della banda, le dinamiche, il primo nascondiglio, l’immediata azione della mafia e l’antiquario trafficante di opere d’arte, ormai deceduto, proveniente dal Canton Ticino, forse da Lugano, il cui nome è top secret perché l’inchiesta è ancora in corso. Lui avrebbe acquistato la tela, portandola oltreconfine, via Milano, già nel 1970. Eppure la tela in questi decenni è stata al centro d’infinite storie, prima fra tutte l’estenuante trattativa aperta da Cosa Nostra per restituirla. Una sfida per i carabinieri del Tpc, che pure di colpi ne hanno messi a segno parecchi. Nell’ottobre del 2019 a un’asta londinese di Christie’s è stata aggiudicata per 70mila euro la scrivania che Giò Ponti, uno degli architetti più apprezzati del ventesimo secolo, disegnò appositamente per la sede
RAI di Milano, di cui aveva curato il progetto. Christie’s ha da subito affermato l’integrità del proprio operato ribadendo che mai avrebbe messo in vendita opere di cui fosse stata dubbia l’autenticità o la proprietà. Dal catalogo della vendita gl’investigatori hanno appreso che la scrivania era stata comprata nel 2010, con tutta la documentazione necessaria, dalla galleria Anna Patrassi di Milano. La titolare ha rivelato di averla acquistata qualche anno prima, fra il 2007 e il 2008, ma senza rammentare da chi.
Un esame certosino di vecchie foto scattate durante le inaugurazioni degli uffici della RAI in tutt’Italia ha portato alla sconvolgente scoperta del saccheggio perpetrato un po’ ovunque. Mancano dipinti di Casorati, Monachesi, Nespolo, Corot, Piranesi (stampe d’epoca di pregiato valore). Tra le opere delle quali non si hanno più notizie risaltano un’inci- sione di Monet del Paysage de Verneuil, un’incisione di Betty Fels di Amedeo Modigliani e una di Alfred Sisley di Hampton Court. In tanta magnificenza quasi si perdono gli altri quadri rubati come il Colosseo di Giovanni Stradone (Scuola Romana) e il Porto di Genova del torinese Francesco Menzio, (Scuola de «I sei di Torino»). Un elenco preciso è quasi impossibile. I dirigenti dell’ente televisivo non sono stati infatti capaci di stabilire quali siano i pezzi mancanti e se possano magari giacere in qualche scantinato. Ipotesi che i magistrati delle procure interessate (Roma, Milano, Torino, Lecce) tendono a escludere.
Più l’inchiesta procede, più aumenta il numero dei manufatti dispersi. Non c’è traccia delle quattro miniature, in bronzo e argento, riproducenti il cavallo dello scultore Francesco Messina, che svetta all’ingresso di Viale Mazzini ed è nei decenni divenuto il