Anno LXXXV 14 marzo 2022
Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura
edizione
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MONDO MIGROS
Pagine 4 – 5 – 8 ●
SOCIETÀ
TEMPO LIBERO
ATTUALITÀ
CULTURA
La gestione del bilancio famigliare richiede competenze finanziarie che molte persone non possiedono
Continua la serie di articoli attorno ai segreti della fotografia: in questa puntata parliamo di esposizione
L’aggressione dell’Ucraina si sta ritorcendo contro Vladimir Putin che adesso rischia grosso
L’arte come forma di resistenza nel libro di Annette Melot-Henry che ci racconta l’assedio di Leningrado
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Enrico Martino
In treno, sulle nevi della Norvegia
Enrico Martino
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Luigi e il suo cervello vanno in pensione Alessandro Zanoli
Non sono tempi da pensieri frivoli, ma, tra le varie cose che rimpiange un po’, Luigi ha un piccolo rimorso. Quello di non essersi fotografato il cervello. Nel corso di un esame radiografico approfondito, uno di quegli scandagli tecnologici inquietanti che ci capita di affrontare nella nostra condizione di umani fragili e deperibili, a Luigi è successo di poter osservare in uno schermo diagnostico l’interno della propria scatola cranica. L’istinto ormai pavlovizzato è scattato anche lì: l’impulso di immortalare quell’organo meraviglioso è partito, ma purtroppo il telefono era rimasto obbligatoriamente fuori dalla sala d’esame. Fotografarlo? Perché? chiederete. Intanto perché conforta l’idea di possederlo davvero. A Luigi, nei momenti di difficoltà della vita viene sempre in mente quell’immagine vista varie volte sui social che rappresenta la Tac cerebrale di Homer Simpson. Una enorme cavità nera con dentro un cervellino da topo, abbandonato nel vuoto. Si sente così, Luigi, a volte, di fronte alle richieste di performance dell’esistenza: come un autotreno col motore di una CV.
E poi, una volta appurato che lo si possiede, averne una visione d’insieme, nel gomitolo delle volute, delle cavità e canali, gli sembra riproduca visivamente le complessità stupenda del suo funzionare. È la centrale operativa, il processore, la scatola di comando da cui ogni parte del suo corpo è tenuta sotto controllo. Grande meraviglia. Lì dentro c’è tutto di Luigi: sogni ricordi sentimenti gioie dolori rimpianti soddisfazioni. Silente e coscienzioso (fatti salvi alcuni episodi di emicrania o qualche qualche vertigine pressoria) il cervello non si fa sentire, ma c’è. Non è come l’intestino, così invadente e perentorio, o come il cuore, così frettoloso e influenzabile; per non parlare dello stomaco, severo giudice delle nostre vicende e abitudini. Il cervello, in effetti, a volte pare piuttosto essere vittima degli altri organi, con la loro fisiologia che noi sappiamo così bene alterare. Luigi, neofita anziano, si rende conto che il prosieguo della sua futura carriera da pensionato dipenderà dal modo in cui sarà capace di prendersi cura del suo cervello. Dei buoni cibi ma soprat-
tutto dei buoni pensieri con cui lo nutrirà, delle corrette abitudini a cui lo abituerà, delle buone amicizie con cui lo metterà in contatto. Senza strafare e senza sovraccaricarla di aspettative, Luigi dovrà far funzionare bene la sua centrale operativa, evitare gli ingorghi di pensieri, garantire una buona idraulica dei sentimenti e delle emozioni. Questo significa, per cominciare, ad esempio, stare alla larga dai cattivi film, dalla musica roboante e inutile, dagli stress relazionali superflui. Praticare un’ecologia della mente che sia sostenibile per l’epoca della quiescenza. Sarà un lavoro di approfondimento e di ordinamento, immagina Luigi. Ci sono dunque da un lato tutti quei libri da leggere, quei DVD da vedere, quei CD da ascoltare che ha trascurato. Oltre a questo, c’è il desiderio di riprendere in mano tutti quei ritagli di giornale messi da parte, di ordinarli per poter finalmente realizzare la propria enciclopedia personale, quella che raccoglie interessi e curiosità di una vita. Sarà il momento per mettere i puntini sulle i, per arrivare a un quieto distacco dagli even-
ti, per lasciare da parte rancori e godere di un punto di vista sulle cose illuminato e bonario. Poi ci sono gli amici da andare a trovare, finalmente, con calma e tranquillità, senza assilli di tempo. Tutto questo sfolgorio di propositi nasce naturalmente come reazione al timore della noia e dell’abbandono. Da tempo gli amici più giovani lo prendono bonariamente in giro, prospettandogli un futuro da «umarell» che osserva i lavori in corso con le mani incrociate dietro la schiena… Mai e poi mai! Luigi non cederà mai al ricatto della noia, affronterà il futuro con grinta, sotto il motto avventuroso di «il meglio deve ancora venire!». Sono tutte idee che colgono Luigi nel momento di addormentarsi. O almeno è lui che crede di pensarle. In realtà è il suo cervello stesso che gli chiede sotto sotto di passare a un nuovo livello del videogame esistenziale. In fondo anche lui ha voglia di tenersi in movimento. Meglio: di trovare un nuovo modo per mettere in gioco la sua complessità. Alla guerra però, lo confessa, non aveva pensato.
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SOCIETÀ
azione – Cooperativa Migros Ticino
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Attenzione alle infiammazioni gengivali Se non diagnosticata e curata, la parodontite ha una severa evoluzione, ce ne parla il medico odontoiatra parodontologo Giuseppe Aronna
Le ricette per integrarsi Un’iniziativa della Croce Rossa Sottoceneri coniuga gastronomia e socialità, fornendo pasti con pietanze suggerite da richiedenti l’asilo
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«Per me è ancora una professione da sogno» Intervista ◆ A colloquio con Monica Fehr, direttrice della più grande scuola di giornalismo svizzera, il MAZ, Medien Ausbildungszentrum
Roberto Porta
Monica Fehr dirige da due anni il MAZ, la scuola svizzera più importante nel settore del giornalismo. Dall’aprile del è anche presidente del Consiglio svizzero della stampa, l’organo di ricorso in materia di etica dei mass media. In precedenza ha lavorato per il gruppo editoriale grigionese Somedia, con vari compiti giornalistici. Ha iniziato la sua carriera in questa professione nel presso Radio Grischa, una radio privata locale, che oggi appartiene al gruppo Somedia. Signora Fehr, torniamo un attimo alla bocciatura in votazione popolare del pacchetto di aiuti ai media, lo scorso febbraio. Lei come legge questo rifiuto di aiutare il settore dell’informazione? Credo che la qualità del giornalismo nel nostro Paese non potrà di certo migliorare, anzi si indebolirà. La campagna in vista di questa votazione è stata molto animata. Molto spesso ci si è però dimenticati di dire che una parte degli aiuti sarebbero stati destinati alla formazione dei giornalisti o al consiglio svizzero della stampa, l’organo che si occupa del rispetto delle regole deontologiche nel nostro settore. Aspetti centrali a mio modo di vedere, come lo sarebbero stati anche gli aiuti per l’Agenza telegrafica svizzera o per l’associazione che si impegna per una maggiore trasparenza nei rapporti con le istituzioni. Temi molto importanti per il giornalismo e per la sua qualità. Vedremo se e come le Camere federali vorranno ora riprendere in mano questo dossier. Durante la campagna in vista della votazione popolare il fronte del no agli aiuti ai media si è detto pronto a varare un secondo pacchetto, che includa questa volta solo i piccoli e medi gruppi editoriali e non più le principali testate del Paese. Detto questo, veniamo ora a lei, Martina Fehr, cosa l’ha spinta ormai anni fa a lanciarsi nella professione della giornalista? Devo dire che è una professione che dà senso alle mie giornate, è qualcosa di vibrante, ogni giorno il nostro lavoro è diverso dal giorno precedente. E poi si è informati, si incontrano tante persone e questo è sempre un arricchimento, anche personale. Penso che abbiamo un ruolo importante nell’informare e nel dare un ordine ai fatti di una giornata. È una professione molto creativa e si è molto liberi nel farlo. Insomma questo è ancora il lavoro dei miei sogni, anche dopo tutti questi anni.
Lei ha iniziato presso una radio privata locale a Coira, allora si chiamava Radio Grischa. Era il , un’altra era per la nostra professione… Si imparava lavorando in quei tempi. Ci si arrangiava come si poteva ma con molta passione. Oggi tutto è diventato molto più professionale, grazie appunto alla formazione, anche quella continua. A quei tempi io e i miei colleghi dovevamo occuparci solo della radio e dei nostri servizi. Oggi il giornalista deve essere pronto a dare il proprio contributo anche in altri settori, per il sito web della testata per cui lavora ad esempio o sui social media redazionali. Il nostro lavoro è sempre più spesso la somma di molteplici compiti. In molte realtà, soprattutto quelle più piccole, si passa costantemente da un settore all’altro. In passato tutto era più stabile, chi lavorava per la radio faceva quello e basta, e lo stesso valeva per chi scriveva per un giornale. E c’era più tempo per preparare il proprio articolo o il proprio servizio. Lei parla di tempo, del tempo a disposizione per documentarsi, scrivere, rileggere o rivedere un articolo. Cosa dire oggi di questo «fattore tempo»? Sì, nel giornalismo il tempo è diventato un bene sempre più raro. Il problema sta appunto nel numero sempre più elevato di compiti che si assegnano a un giornalista. Si va a una conferenza stampa, quando termina bisogna spedire una fotografia o una dichiarazione per il sito online della propria testata. Poi ci si dedica ai social media, con un «post» per lanciare la notizia. In seguito si passa alle interviste e alla realizzazione vera e propria del proprio articolo. Tutto questo richiede una grande rapidità di esecuzione. I nostri studenti qui al MAZ di Lucerna ci dicono spesso che da noi si impara ad approfondire un tema, ma che poi nelle redazioni tutto questo non succede, non ci sono le condizioni per farlo. Sarebbe importante invece poter disporre del tempo necessario per poter approfondire una tematica e tenere alta la qualità dei prodotti giornalistici. C’è la lotta contro il tempo – chiamiamola così – ma c’è anche una fiducia da mantenere o riconquistare presso il pubblico. Su quali strumenti di lavoro occorre far leva? Si deve puntare sull’autorevolezza e sulla trasparenza. Penso che gli ultimi due anni, segnati dalla pandemia, hanno reso il nostro compito ancora più difficile. C’è chi ritiene
Martina Fehr ha iniziato la carriera nel 1997, a Radio Grischa.
che i media siano troppo vicini alle autorità, con uno sguardo critico troppo debole. Per questo – e ritorno al discorso di prima – il fattore tempo è davvero fondamentale anche per guadagnare la fiducia del pubblico. E qui è importante dare spazio alla pluralità delle opinioni e far leva sulla propria conoscenza delle tematiche per poterle spiegare nel miglior modo possibile. E poi bisogna riuscire a spiegare al pubblico come funziona il nostro lavoro. Mostrare ciò che siamo e come lavoriamo.
Lei da due anni dirige il MaAZ, la più importante scuola svizzera di giornalismo. Un onore ma anche una grande responsabilità. Sì, è proprio così. Noi cerchiamo di essere un bastione in difesa del buon giornalismo. Vogliamo insegnare il mestiere nelle sue diverse sfaccettature ma anche trasmettere un sapere relativo al comportamento del giornalista nei confronti del pubblico. Da tutto questo dipende la qualità del suo lavoro e la sua autorevolezza nella società.
C’è bisogno anche di auto-critica? Esercizio che spesso mette in difficoltà i giornalisti…. Questo è davvero un esercizio molto difficile (ride…). Occorre dare importanza al rapporto con il pubblico, cercare di capire quali sono le ragioni delle sue critiche. La pandemia ci ha fatto capire quanto sia importante riuscire a risolvere questi problemi, perché un fatto è certo: nel pubblico c’è sete di informazione, se sa essere di qualità.
La digitalizzazione sta trasformando la nostra professione. Nessuno ha la sfera di cristallo, ma lei come se la immagina tra qualche anno? Spero che si possano diminuire i compiti che un giornalista deve saper svolgere. E che si possa mettere l’accento sulle conoscenze specifiche di ogni singolo redattore. Per evitare di dover saltare ogni giorno da un tema all’altro. E poi c’è un altro interrogativo da porsi, tra cinque o dieci anni
il giornale, di carta, come lo conosciamo oggi ci sarà ancora oppure sarà già stato sostituito dalle piattaforme online? Difficile da dire, penso però che il giornalista dovrà sempre di più sapere raccontare un fatto, una notizia, una storia in modo multimediale. Da lì non si scappa. Da quasi un anno lei è anche alla testa del Consiglio svizzero della stampa, che veglia al rispetto delle regole deontologiche nella nostra professione. E anche qui le sfide non mancano… Questo è un aspetto fondamentale. Si dice che i media siano il quarto potere. Per questo è importante che il nostro settore abbia un codice da rispettare. Certo il consiglio svizzero della stampa non è un tribunale ma c’è un dovere morale nel giornalismo, che viene appunto difeso e promosso da questo consiglio. Una bussola e delle direttive da seguire. E questo aiuta anche la credibilità e la autorevolezza di chi svolge la nostra professione.
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L’educazione finanziaria
«Il franco in tasca» ◆ Intervista a Sara Duric, collaboratrice scientifica della Sezione del sostegno sociale e coordinatrice del programma del DSS per la prevenzione all’indebitamento eccessivo Barbara Manzoni
Sembra strano eppure in Svizzera, nel Paese delle banche e della finanza, i cittadini sono in larga parte analfabeti in materia finanziaria. È questo il risultato dello studio Allianz Financial and Risk Survey presentato nel novembre che sottolineava inoltre come l’alfabetizzazione finanziaria sia un fattore cruciale che spiega perché alcune fasce della popolazione riescono a gestire le crisi meglio di altre e invitava la politica a inserire l’educazione finanziaria nei programmi scolastici. Stesse osservazioni e stesse richieste anche nelle parole dell’economista Annamaria Lusardi, professoressa di economia a Washington, esperta in Financial Literacy e direttrice in Italia del Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria. In un’intervista apparsa sul «Soleore», Lusardi porta gli esempi del Portogallo che dal ha reso obbligatoria l’educazione finanziaria nelle scuole o della Nuova Zelanda dove l’alfabetizzazione finanziaria è stata introdotta con la riforma delle pensioni. L’invito è esteso anche alle famiglie, ai genitori, Annamaria Lusardi consiglia di parlare di soldi con i figli quanto più spesso possibile, senza esitazioni e fin da piccoli. Su questi temi abbiamo intervistato Sara Duric, coordinatrice del programma «Il franco in tasca» presso il Dipartimento della sanità e della socialità, che da anni si occupa di prevenzione all’indebitamento eccessivo. Sara Duric, in un’intervista l’economista Anna Maria Lusardi ha detto che l’analfabetismo finanziario è un handicap proprio come nel secolo scorso lo era il non saper leggere o scrivere, è d’accordo? Sono senz’altro d’accordo. Oggi saper gestire il denaro è una parte integrante della nostra quotidianità e soprattutto oggi abbiamo davanti a noi tantissime sfide rispetto al passato per le quali sono necessarie molte competenze. Mi spiego: in passato si aveva un’idea molto più chiara di quali fossero le proprie disponibilità finanziarie e c’erano meno opzioni per permetterci cose che in realtà non erano alla nostra portata. Oggi la situazione è cambiata, è molto più complessa. Inoltre negli ultimi anni abbiamo perso il contatto fisico col denaro, esistono numerose nuove modalità di pagamento e questo già di per sé rappresenta un potenziale rischio di perdita del controllo sulle spese. Sono dunque d’accordo col dire che oggi non si può più pensare di gestire la quotidianità senza avere delle competenze finanziarie solide.
A suo avviso quali sono le nozioni base che ogni cittadino dovrebbe possedere? Innanzitutto il cittadino dovrebbe comprendere le entrate e le uscite della propria economia domestica. È importante saper distinguere tra quella che è un’uscita prioritaria o non prioritaria, regolare, oppure saltuaria e che, sebbene importante, tendiamo a dimenticare. Inoltre bisogna essere in grado di prevedere eventuali cambiamenti improvvisi, dovuti a difficoltà momentanee, il che significa soprattutto essere in grado di impostare il proprio bilancio sul concetto di risparmio. I soldi sono ancora un argomento tabù nelle famiglie? Negli anni questo tabù è andato per fortuna diminuendo ma rimane presente. Non soltanto all’interno delle famiglie ma più in generale a livello di contatti sociali facciamo molta fatica a parlare di denaro soprattutto se il discorso ha una connotazione negativa. Sono in effetti punti su cui facciamo leva: l’importanza di parlare della gestione del denaro all’interno e fuori della famiglia, anche coinvolgendo i più piccoli. Sono molti, infatti, i progetti nati negli ultimi anni che confermano che l’educazione finanziaria può iniziare davvero in giovanissima età. Anzi, l’abitudine a gestire a poco a poco delle somme di denaro sempre più elevate, partendo per esempio da due franchi già dalla scuola elementare, contribuisce a sensibilizzare il bambino e il giovane che impara a determinare le proprie priorità di spesa. Crediamo insomma che non sia mai troppo presto per iniziare a parlare di soldi. Quindi paghetta sì… Assolutamente paghetta sì! Perché contribuisce nel bambino e nel giovane a sviluppare la capacità di ge-
proprio l’anno scorso legata alla pandemia. Ci siamo, infatti, resi conto che la pandemia ha paradossalmente contribuito a rompere il tabù sul tema del denaro perché di punto in bianco molte persone hanno realizzato quanto gli imprevisti hanno un ruolo importante nella creazione di situazioni di indebitamento. Il bilancio di questi anni è sicuramente positivo e la forma consolidata, ma abbiamo comunque l’opportunità di promuovere delle sperimentazioni nuove, come gli sportelli itineranti di consulenza che stanno organizzando i nostri partner della rete Rebus insieme ai Comuni, un’idea interessante che permette di portare la consulenza vicino al cittadino.
Le competenze richieste per gestire il proprio budget sono sempre più complesse. (Shutterstock)
stione del denaro. Ma soprattutto, come insegnano i promotori dell’associazione «Salario giovanile», la paghetta permette di discutere di questo tema e di confrontarsi sugli errori perché anche da questi si impara. È necessario creare un dialogo su un tema che veramente non può più essere fonte di imbarazzo. Il «franco in tasca» è un piano di prevenzione all’indebitamento eccessivo nato nel , ci può tracciare un bilancio di questi anni e spiegare quali sono le vostre attività principali? Il piano è nato nel e la fase pilota è terminata nel , sono stati anni nei quali si è potuto comprendere quali fossero le necessità e la situazione reale nel nostro cantone.
Oggi il piano di prevenzione è stato consolidato, sotto forma di diverse misure suddivise su tre grandi pilastri: la sensibilizzazione, che mira a promuovere all’interno di diversi gruppi della popolazione l’importanza delle competenze finanziarie e gli strumenti per migliorarle; la formazione, che ci permette di contare su operatori sociali preparati e allo stesso tempo di creare dei «moltiplicatori» che ci aiutino a prevenire il fenomeno, tra cui insegnanti e volontari attivi presso associazioni o enti; e per finire la consulenza specializzata, che è stata fortemente promossa negli ultimi anni. Questi tre ambiti ci hanno permesso di sviluppare numerose attività e progetti, ad esempio delle campagne di prevenzione, come quella che abbiamo lanciato
Swiss Money Week La gestione del denaro, l’educazione finanziaria e la prevenzione all’indebitamento eccessivo saranno al centro della settimana di sensibilizzazione e di riflessione Swiss Money Week che si svolgerà dal 21 al 27 marzo. L’iniziativa è promossa dalla Rete competenze finanziarie (www.finanzkompetenz.ch) ed è parte della Global Money Week alla quale partecipano più di 170 Paesi nel mondo. In Ticino quest’anno gli organizzatori, ci spiega Sara Duric, si concentreranno sulle testimonianze: «Ci siamo resi conto che spesso quello che fa più breccia
e attira l’attenzione è il potersi riconoscere in una storia e vederne l’impatto sulla vita di tutti i giorni, per questo ci siamo concentrati sullo storytelling. Nel Cantone Ticino grazie all’ottima collaborazione con alcune scuole offriremo agli allievi dei momenti di confronto con dei coetanei che in momento della loro vita si sono trovati ad avere un problema di gestione del denaro. Andremo al Liceo di Locarno e alla CPC di Bellinzona. Ci siamo focalizzati sugli aspetti emotivi che fanno meno parte del percorso di studi e le testimonianze sono state
preparate in collaborazione con l’Associazione SOS Debiti. Nelle scuole medie, invece, promuoveremo il gioco di carte Ciao Cash. Infine avremo un corso di gestione del budget aperto a tutta la popolazione (con inizio il 24 marzo alle 17.30), utile alla famiglia ma anche al giovane che sta per andare a vivere da solo oppure a una persona arrivata al momento del pensionamento».
Informazioni www.swissmoneyweek.ch www.ti.ch/ilfrancointasca.ch
Secondo voi sarebbe opportuno che l’educazione finanziaria entrasse nei programmi scolastici esattamente come l’educazione civica? Questo è tutt’ora un grande obiettivo che dobbiamo porci e continuare a perseguire. È vero che in generale a livello di iniziative di educazione finanziaria siamo molto contenti di come i docenti sia nella scuola dell’obbligo sia nelle scuole superiori e professionali introducono la tematica. Queste iniziative dipendono, però, dal singolo docente o dal singolo istituto. Cercheremo quindi di riportare all’attenzione questo tema e speriamo che un domani l’educazione finanziaria entri a far parte del piano di studi in maniera regolare e ordinaria. Oggi si va verso una digitalizzazione dei servizi bancari, sempre più app spingono le persone a investire da sole i propri soldi senza una consulenza personalizzata, per non parlare di temi come le criptovalute. Sono tendenze e cambiamenti che vi preoccupano? Preoccupazione è un termine troppo negativo, penso che sia un cambiamento che bisogna vedere nel suo potenziale, senza chiaramente dimenticarne o nasconderne i rischi. È chiaro che sono tante novità anche complesse per cui sarà necessario insistere ancora di più sull’aspetto dell’educazione e non solo dei giovani. D’altronde molte persone saranno stimolate ad acquisire delle nuove competenze perché si pongono degli obiettivi di investimento, di gestione patrimoniale e del proprio budget. Chiaramente dovremo essere in grado di agire tempestivamente e supportare le persone nella costruzione delle proprie competenze, senza limitarci alla loro protezione e tutela, per evitare il rischio di perdere un po’ il treno e di non sfruttare l’opportunità educativa che l’attualità ci offre.
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azione
Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI)
Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Romina Borla, Simona Sala, Natascha Fioretti, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Telefono tel. + 41 91 922 77 40 fax + 41 91 923 18 89
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938
Indirizzo postale Redazione Azione CP 1055 CH-6901 Lugano
Posta elettronica info@azione.ch societa@azione.ch tempolibero@azione.ch attualita@azione.ch cultura@azione.ch Pubblicità Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino tel. +41 91 850 82 91 fax +41 91 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch
Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino tel +41 91 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria – 6933 Muzzano Tiratura 101’177 copie
Abbonamenti e cambio indirizzi tel +41 91 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera Fr. 48.– Estero a partire da Fr. 70.–
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MONDO MIGROS
Aspettando la Pasqua… in dolcezza
Attualità
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L’assortimento Migros propone già sin d’ora un’ampia scelta di tradizionali specialità pasquali di pasticceria
Torta di Primavera Limone Maina 400 g Fr. 7.20
Per molti è impensabile una Pasqua senza il dessert simbolo per eccellenza della festività: la soffice colomba. Alla Migros il tradizionale dolce lievitato si declina in numerose varianti, tutte golose e peculiari, che vanno incontro alle esigenze e ai gusti di piccoli e grandi commensali. Accanto agli articoli italiani più
ColombaTre Marie 750 g Fr. 16.95
Colomba Maxiciok Balocco 750 g Fr. 7.95
noti, la selezione annovera naturalmente anche diverse colombe prodotte nella nostra regione, nella fattispecie quelle del panificio Jowa di S. Antonino e le specialità di alcuni piccoli e rinomati laboratori di pasticceria locali (di quest’ultime vi parleremo ancora nei prossimi numeri di Azione).
La Colomba di Verona Bauli 1 kg Fr. 14.50
Per quanto riguarda i prodotti provenienti dalla vicina Penisola, vi segnaliamo quelli firmati dai celebri marchi Balocco, Maina, Bauli, Tre Marie, Vergani e Dal Colle, aziende con alle spalle una lunga storia ed esperienza nella produzione di dolci delle feste. Oltre alle colombe classiche fedeli alla tradizione, potrete
Profumo di primavera
Attualità ◆ L’aromatico aglio orsino è attualmente di stagione. Alcuni consigli sul suo impiego e sulle specialità stagionali della Migros che lo contengono
L’aglio orsino, o aglio selvatico, è l’erba aromatica simbolo della primavera. Cresce spontaneo nei luoghi ombreggiati e umidi delle foreste di latifoglie appena le temperature cominciano a essere più miti. Secondo alcune credenze popolari, il suo nome deriva dal fatto che è la prima erba di cui si nutrono gli orsi una volta usciti dal letargo invernale per riacquistare le forze. Fa parte della stessa famiglia dell’aglio, dell’erba cipollina e delle cipolle. Tutte le parti dell’aglio orsino sono commestibili, sia le foglie che i bulbi, come anche i fiori. Le foglie hanno un sapore più delicato quando sono an-
cora giovani. La pianta fresca contiene della vitamina C. Inoltre, possiede proprietà disintossicanti, disinfettanti e ipotensive. Rispetto all’aglio comune, nell’aglio orsino l’effetto «alito cattivo» è meno accentuato. Per ridurre questo inconveniente può essere tuttavia d’aiuto bere un po’ di latte, masticare delle erbe fresche – p.es. basilico, salvia, prezzemolo o menta – o un chicco di caffè. Un’erba versatile
Con il suo sapore intenso caratteristico ma gradevole, l’aglio orsino in cucina è utilizzato per aromatizzare
molte pietanze: dalle paste ai risotti, dalle carni al pesce fino alle zuppe e alle insalate, oppure da solo è ottimo per preparare un pesto particolarmente saporito. Alla Migros, oltre all’aglio orsino fresco in mazzetti, per un breve periodo sono disponibili anche altre specialità insaporite con l’aromatica pianta, come spätzli, gnocchi, pommes chips, affettati, formaggi, salse per insalate, paté e pesti pronti. Trovate molte ricette e consigli sull’utilizzo di questa erba sul sito di migusto.ch, inserendo «aglio orsino» come termine di ricerca.
Colomba Albicocca Bottega Balocco 750 g Fr. 14.90
trovare anche specialità più particolari e originali, come la colomba con golosa crema di cioccolato fondente; la torta farcita con delicata crema al limone; la colomba senza canditi; la colomba con albicocche candite; la colomba con pezzetti di frutta esotica non candita oppure ancora la colomba preparata con solo fari-
Colomba Classica Balocco 1 kg Fr. 7.95
na integrale. Infine, non mancano nemmeno delle varianti senza lattosio, senza glutine e vegane, che non hanno nulla da invidiare ai prodotti convenzionali. A voi la scelta! L’assortimento completo è in vendita nelle maggiori filiali Migros
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azione – Cooperativa Migros Ticino
MONDO MIGROS
Giornata mondiale del riciclaggio
Sostenibilità ◆ Il 18 marzo si celebra il Global Recycling Day. Da tempo Micasa si impegna a proporre sempre più prodotti a base di materiali riciclati, dando così un contributo alla salvaguardia nel nostro pianeta. Ecco alcuni esempi realizzati con carta straccia, bottiglie PET, plastica riciclata e altro
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E luce fu!
Mettiti comodo
Sonni tranquilli
Atmosfera accogliente
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La tenda coprente NEO è un elegante prodotto dell’economia circolare, realizzata con cotone biologico al %. Tutti i componenti utilizzati sono compostabili senza residui e prodotti senza sostanze nocive. I passanti permettono di appendere comodamente la tenda a un bastone per tende decorativo. Il tessuto è lavabile in lavatrice a ° C.
Tessuto a mano utilizzando poliestere al % riciclato, ottenuto da bottiglie in PET riciclate, il tappeto per esterni JACINTO non passa certo inosservato. Il suo motivo a quadretti con graziose tonalità verdi, nonché le morbide frange creano un’atmosfera particolarmente accogliente. Facile da trattare e resistente, non scolorisce alla luce del sole.
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Settimanale di informazione e cultura
Anno LXXXV 14 marzo 2022
azione – Cooperativa Migros Ticino
MONDO MIGROS
Sostenibili in casa Riciclaggio
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La nuova gamma di prodotti per la casa realizzati seguendo alti standard ecologici
Economia circolare e sostenibilità: concetti con i quali in futuro saremo – auspicabilmente – confrontati sempre di più per innescare un processo virtuoso di tutela ambientale. L’attenzione alle risorse e l’impegno a riciclare, là dove possibile, sono ormai un must, e dunque anche la Migros intende profilarsi sul mercato proponendo una serie di prodotti realizzati con materie prime «alternative» come plastica riciclata, carta straccia e bottiglie PET, e lo fa affidandosi a Cradle to Cradle Certified® («da culla a culla»). Cradle to Cradle Certified® è lo standard globale per prodotti sicuri, circolari e realizzati in modo responsabile. Chi si affida a questo marchio, che da oltre dieci anni aiuta e sostiene le aziende nell’innovazione e nell’ottimizzazione dei prodotti, lavora seguendo processi testati scientificamente e all’avanguardia. Nell’assortimento di Micasa si trova ora la collezione NEO, composta da tessili per letto e bagno, tende da notte e federe per cuscini decorativi. Abbiamo chiesto a Vittorio Salerni, Coordinatore responsabile per i Mercati Specializzati e Servizio dopo Vendita di Migros Ticino, di descriverci questi nuovi prodotti. «Questa iniziativa è partita quest’anno e continuerà in futuro inserendo prodotti con il marchio Cradle to Cradle che si collega al tema sostenibilità e protezione dell’ambiente. I prodotti nell’assortimento di Micasa fanno parte del settore Cradle to Cradle Certified® Gold, appartengono dunque a una delle categorie
più elevate di riciclaggio (dove la categoria più alta è la platinum). Sono al % naturali e sostengono l’ambiente rispettando il ciclo biologico del prodotto. I tessili per la camera da letto NEO ad esempio, sono in batista di cotone, non necessitano di stiratura e possono essere lavati a °. Inoltre, i bottoni bianchi del copripiumone sono realizzati in avorio vegetale, biodegradabili al %». La linea NEO propone anche una selezione di prodotti (lavette, teli doccia e tappetini in spugna) realizzati in puro cotone biologico. Spiega Salerni: «I prodotti, disponibili nelle tonalità blu tenue, giallo e verde, sono fabbri-
Qualità e sostenibilità vanno a braccetto nella nuova linea di Micasa NEO; qui di fianco il ciclo biologico dei prodotti
cati in modo equo ed ecologico e con un tessuto particolarmente morbido e assorbente». Vi è infine una selezione di tende da notte preconfezionate che presentano sia una fascia a pieghe sia i passanti. «Essendo la tenda da notte realizzata con un tessuto che non richiede particolari cure, la tenda è lavabile a °C con il programma per capi delicati». / Red. Informazioni www.micasa.ch/it/cp/ cradle-to-cradle Vedi anche articolo a pag. 5 con i prodotti dettagliati.
Nuovo Outlet Migros a Taverne Filiali
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Dopo Bellinzona e Grancia, ora anche nella Valle del Vedeggio una possibilità di super offerte con prezzi ribassati
L’entrata e l’interno del nuovo negozio. (AdvAgency.ch/ Däwis Pulga).
Ha aperto giovedì marzo in via Brüsighell a Taverne la terza attesa filiale outlet di Migros Ticino. Per il lancio, nel mese di marzo, si avranno super offerte alimentari e near/ non food. Questo negozio va a integrare la rete di vendita di Migros Ticino nel Luganese, con un’ottica di prossimità e servizio alla clientela. Il nuovo esercizio impiega collaboratori e occupa una superficie di metri quadrati, all’interno della quale è proposta merce a prezzo fortemente ribassato. Come a Bellinzona e a Grancia,
ora anche gli avventori del Medio Vedeggio troveranno in questa filiale da una parte rimanenze di articoli non alimentari invenduti nei supermercati di Migros Ticino sparsi sul territorio cantonale quali abbigliamento, tessili, scarpe sportive, casalinghi, articoli di pulizia e cosmetica, nonché una scelta di articoli alimentari a lunga conservazione in grandi confezioni, mentre dall’altra eccedenze o articoli di fine serie provenienti da industrie o fornitori Migros. Si tratta di un’offerta di articoli mutevole nel tem-
po, diversa da quella disponibile nei classici negozi di Migros in Ticino, ma comunque garantita e di qualità ineccepibile. Il negozio è ben collegato alla rete viaria: si trova su un’importante arteria stradale e può essere ben raggiunto sia a piedi, sia con i principali mezzi pubblici o in automobile: da notare che nei dintorni sono disponibili molti parcheggi riservati. Per sottolineare questo nuovo significativo intervento nella propria rete di vendita, per i suoi clien-
ti Migros Ticino ha previsto fino al marzo diverse interessanti offerte alimentari e non. Il responsabile Fabio Potenza (al centro nella foto) e i suoi due collaboratori, cordiali e ben preparati, sono pronti a soddisfare i bisogni della clientela con cura e attenzione, in un clima accogliente e famigliare. Orari di apertura Lunedì – venerdì: 08.00 – 19.00 Giovedì: 08.00 – 20.00 Sabato: 08.00 – 18.30 Tel. 091 82173 20.
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SOCIETÀ
Parodontite, troppo spesso sottovalutata Medicina ◆ Un disturbo dei denti dato dall’infiammazione delle gengive (con perdita dell’osso) che colpisce prevalentemente gli adulti Maria Grazia Buletti
«La mia situazione era molto grave: perdevo sangue dalle gengive, non masticavo, non sorridevo, mi vergognavo… Mi avevano detto che avrei dovuto togliere denti, ma li ho salvati grazie a una cura parodontale». È la storia di Antonella e dei conti che ha dovuto fare con la parodontite: una malattia innescata da specifici batteri insiti nella placca dentaria. «È una patologia infiammatoria orale cronica che distrugge progressivamente le strutture portanti dei denti (gengiva, ligamento e osso alveolare che supporta la radice dentaria)». Così dice il medico odontoiatra parodontologo Giuseppe Aronna che mette in guardia sui sintomi troppo sottovalutati e a volte silenti di questa patologia, fintanto che non si manifesta gravemente: «Essa può partire da un’infiammazione non curata delle gengive, in genere in presenza di placca e tartaro annidati sotto il margine gengivale (una concrezione di batteri, residui di cibo, saliva e muco con sali di calcio e fosfato), e una difesa immunitaria inefficace spesso dovuta a una predisposizione genetica. Se trascurata, evolve formando nel tessuto parodontale tasche profonde che possono ospitare microrganismi anaerobi ancora più dannosi di quelli solitamente presenti nella gengivite. Questi ultimi possono migrare colonizzando le pareti interne delle arterie e favorendo la formazione di placche ateromatose: causa di malattia cardiovascolare del nostro corpo». Se non diagnosticata e curata, la parodontite ha una severa evoluzione: «I microrganismi innescano il rilascio cronico di mediatori dell’infiammazione (ad esempio citochine e prostaglandine), anch’essi fattori di rischio per il cuore, causando una progressiva perdita delle inserzioni sui denti, riassorbimento osseo con crescita di tasche parodontali. La progressiva perdita ossea provoca mobilità dei denti e il ritirarsi delle gengive, fino a causare la perdita dei denti stessi». Spesso presa sottogamba, è quasi sempre diagnosticata tardi: «Ne sono colpite più del per cento delle persone dopo i anni, di cui circa il per cento in forma grave: è una malattia molto diffusa nel mondo ma ancora troppo poco conosciuta e quasi mai diagnosticata. Perciò va presa seriamente dalle prime avvisaglie». Aronna spiega che però spesso quando il paziente se ne rende conto, i sintomi sono già severi ed evidenti: «Il principale indizio da considerare è il sanguinamento gengivale. Altri segni sono alitosi, mobilità dentaria, ascesso parodontale, essudazione purulenta e recessioni gengivali. Ascessi parodontali e mobilità dentale sono i sintomi più gravi e si avvertono solo quando la perdita di tessuto è avanzata, mentre la velocità di progressione è soggettiva e dipende dal sommarsi dei fattori di rischio». Per prevenire la parodontite è necessario curare attentamente la propria salute orale a casa: «Lavando i denti almeno due o tre volte al giorno con spazzolino, dentifricio e filo interdentale, così da eliminare i residui di cibo, recandosi dal dentista con igiene periodica». Ma i fattori di rischio sono molteplici: «Quelli modificabili che contribuiscono alla parodontite comprendono placca, fumo, obesità, diabete mellito, stress emotivi e carenza di vitamina C: eliminare
Il medico odontoiatra parodontologo Giuseppe Aronna con una paziente. (Stefano Spinelli)
queste condizioni può migliorare i risultati del suo trattamento». Fra i fattori di rischio non modificabili troviamo la predisposizione genetica che favorisce il proliferare del «fattore causale principale: la placca batterica parodontogena. Parliamo di una suscettibilità genetica che determina un’inefficace difesa del sistema immunitario. La famigliarità è comun denominatore di quasi tutte le forme medio-gravi». Essenziale la diagnosi precoce per evitare un decorso infausto della patologia e le compromissioni della salute generale: «La cura consente di eliminare l’infezione e rigenerare il tessuto: andare spesso dal dentista e curare scrupolosamente la bocca aiuta nella prevenzione». Oggi le terapie sono sempre più efficaci: «A partire dall’eliminazione dell’infezione batterica nelle tasche, con l’obiettivo di rigenerare il tessuto parodontale gengivale sano. Nelle forme aggressive (ad esempio nei pazienti diabetici) la terapia sotto-gengivale può essere associata alla terapia antibiotica locale o sistemica». Non tutte le parodontiti possono essere curate con questa pulizia profonda e il secondo passo è chirurgico: «Oggi la terapia chirurgica rigenerativa gode di maggior successo: tramite proteine cosiddette morfogenetiche si rigenera il tessuto parodontale andato distrutto dalla malattia (rigenerazione di osso, ligamento e cemento in modo che si ristabilisca l’attacco e si riduca la tasca precedentemente formatasi)». L’importanza di una diagnosi precoce e di una presa a carico seria e risolutiva sono dettate anche dal fatto che la parodontite può essere manifestazione diretta di una malattia sistemica: sono infatti noti i suoi effetti patogenici su alcune malattie cardiovascolari, cerebrovascolari, diabete e parto prematuro: «Ciò è da prendere seriamente, perché spesso è difficile distinguere se una malattia sia causa di parodontite o contribuisca alla parodontite indotta da placca». Tutto è correlato alla circolazione dei batteri parodontici che entrano nel circolo sanguigno: «Si depositano sulle coronarie o sulle pareti dei grossi vasi, anche cerebrali e, come tutte le sostanze
infiammatorie, anch’essi agiscono per provocare l’infiammazione di queste arterie. A questo proposito, alcuni studi dimostrano come nelle placche batteriche delle pareti arteriose siano
stati trovati i batteri parodontali come causa delle lesioni patologiche che le malattie cardio-cerebro-vascolari procurano». Aronna invita i colleghi speciali-
sti nelle patologie cointeressate a una maggiore sensibilità sulla correlazione fra parodontite e malattie sistemiche: «Tutti i pazienti con malattie cardiovascolari dovrebbero fare una visita parodontale, nel contesto della diagnosi precoce di queste patologie che sono ancora la prima causa di morte nella popolazione». Le responsabilità della parodontite sono pure altre: «I batteri possono giungere alla placenta creando necrosi placentare e innescando un parto prematuro». La scoperta di geni comuni alla parodontite e alle malattie cardiovascolari conferma l’importanza di valutare queste interconnessioni a livello specialistico interdisciplinare: «La parodontite come incidenza co-fattoriale nelle malattie cardiovascolari è di circa - per cento». Anche la menopausa è un momento delicato: «Si riducono gli estrogeni e la risposta immunitaria è più debole, l’osso più fragile. Per questi motivi, e per profilassi alla parodontite, si consiglia una terapia ormonale sostitutiva alle donne in menopausa precoce o con predisposizione genetica». Profilassi, diagnosi precoce e terapie adeguate sono le armi contro la parodontite «per un sorriso in sintonia con l’essere», e soprattutto con la salute. Annuncio pubblicitario
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SOCIETÀ
Una cucina per l’integrazione UMAMY
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Un progetto della Croce Rossa del Sottoceneri coniuga gastronomia e rapporti sociali
Alessandra Ostini Sutto
È una sorta di gioco di parole tra «umami» – il quinto gusto – e «mamy» – variante colloquiale e affettuosa di «mamma» – il nome scelto da Croce Rossa Svizzera sezione del Sottoceneri per un nuovo progetto di integrazione socio-culturale, «Umamy». «Ad essere precisi, abbiamo messo la “y” perché con la “i” il nome era già stato usato», puntualizza la vice direttrice e capo divisione della migrazione, Debora Banchini Fersini, «ma questo non è l’unico motivo. Si dice infatti che la prima volta che si prova l’umami, esso richiami il latte materno; considerazione che ci sembrava in linea con un progetto che prende ispirazione dai piatti che gli ospiti dei nostri centri spontaneamente ci presentano, i quali sono per loro un ricordo della loro famiglia, della loro mamma. Per quel che riguarda invece il fatto che l’“umami” sia considerato il quinto gusto, per noi è quello della condivisione, dell’integrazione». Per il suo nuovo progetto, Croce Rossa Sezione Sottoceneri (CRSS) gode della collaborazione con il Dipartimento della sanità e della socialità e della partecipazione del servizio di corriere espresso in bicicletta Saetta Verde. L’idea è quella della creazione di un servizio di delivery green-etnico, ovvero la realizzazione e la consegna di pasti etnici durante la pausa pranzo dei giorni feriali. Ma non è tutto; il percorso di integrazione previsto dal progetto unisce la cucina – intesa come insieme di mestieri che ruotano nel campo della ristorazione – all’apprendimento della lingua italiana, con particolare focus settoriale. «Il progetto è nato dall’osservazione nei nostri centri, dove ci siamo resi conto di come le persone, indipendentemente dal loro luogo d’origine, fossero accomunate da una forte voglia di condividere il proprio cibo. Concretamente, poco dopo l’arrivo esse ci propongono infatti di assaggiare i loro piatti, riguardo ai quali manifestano inoltre un desiderio di raccontare e di raccontarsi. Affinché ciò sia possibile, si organizzano usando per esempio il traduttore sul telefono al fine cercare le giuste parole in italiano», spiega Debora Banchini Fersini, «da qui l’idea di usare questa forte spinta motivazionale legata al cibo per creare un progetto di integrazione». Nell’ambito dell’integrazione è
infatti riconosciuto al cibo il ruolo di elemento capace di unire le persone generando passione. Nel caso specifico, l’esperienza maturata con gli ospiti dei centri d’accoglienza gestiti da CRSS dimostra come la persona, anche nel caso in cui incontri delle difficoltà a inserirsi nella rete sociale del territorio, si motivi se chiamata a preparare pietanze del proprio paese per offrirle o farle conoscere agli altri. A riprova di quanto affermato, già nel corso della fase di prova del progetto, i richiedenti l’asilo presenti nei centri di Paradiso e Cadro hanno dimostrato entusiasmo e un grande interesse a parteciparvi. Il progetto è partito nella seconda metà del mese di gennaio e vi partecipano una ventina di ospiti dei centri di accoglienza, suddivisi in due gruppi. «Abbiamo chiesto chi fosse interessato a prendere parte a questo percorso di integrazione e hanno risposto persone dai profili completamente diversi, ma accomunate dal desiderio di poter mettere a disposizione le proprie ricette, che fa un po’ casa», racconta la vice direttrice del CRSS, «la possibilità di portare la propria cultura nei piatti che vengono preparati ha spinto ospiti che non hanno un’esperienza professionale in cucina a proporsi, usufruendo così anche della possibilità di apprendere un nuovo mestiere». Il percorso di integrazione che prende il nome di Umamy ha una durata di sei mesi, così che ci possa essere un ricambio di persone partecipanti. «Una settimana uno dei gruppi segue un corso di italiano, mentre l’altro è in cucina e viceversa», afferma Debora Banchini Fersini (nella foto), «oltre a ciò ci sono dei momenti in cui si svolgono dei corsi tecnici sullo stare in cucina, ambito attorno al quale ruotano molteplici ruoli professionali nei quali sono concretamente attivi i partecipanti, come aiuto cuoco, lavapiatti o addetto alla preparazione dei pasti per uscire con il delivery. I richiedenti l’asilo apprendono pure a redigere le loro ricette, con riferimento a usi e costumi ad esse legate». Chi decide di ordinare il pranzo sul sito di Umamy non si vedrà infatti recapitare solo il cibo, ma pure la relativa ricetta: «Vogliamo che il nostro progetto sia un’esperienza che duri nel tempo, per questo abbiamo deciso di accompagnare ogni pasto consegnato con la storia del piatto, alcune indicazioni sulla sua tradizione e
La preparazione ha luogo all’Osteria Ombrone di Cadro.
la ricetta originale», commenta Banchini. Ricette autentiche quindi, sicuramente diverse da quelle etniche che possiamo trovare su internet ma che sono spesso adattate a un gusto europeo. Ricette vere, che raccontano un’esperienza. Un’opportunità questa che va riconosciuta al progetto di cui stiamo parlando, che dà modo di far entrare nelle nostre case o nel nostro ufficio la cucina delle famiglie di tutto il mondo. Si tratta in questo senso di una condivisione di valori, un’integrazione che passa dalla valorizzazione della vita delle persone, un progetto innovativo, che offre a chi prepara e a chi gusta un viaggio nella cultura dell’altro. «Per rendere possibile ciò abbiamo avuto la fortuna di trovare le persone
giuste, che credessero nel nostro progetto: un cuoco professionista disposto a seguire e formare i partecipanti e il gerente dell’Osteria Ombrone di Cadro, d’accordo nel mettere a disposizione la propria cucina sul mezzogiorno», precisa la vice direttrice di CRSS, «come pure le persone stesse che lavorano in questo progetto, le quali ci mettono tantissimo impegno, nonostante non sia facile trovarsi in una cucina professionale, con un cuoco “vero”, tempi e norme da rispettare, quando non si parla nemmeno bene la lingua». Nella detta cucina, con l’accompagnamento dello chef e un esperto del settore che si occupa della formazione pratica, ogni giorno vengono preparate le ricette di un’etnia. «Abbiamo
CRSS: il servizio di integrazione e volontariato Umamy è gestito dal servizio di integrazione e volontariato attivo presso i centri di accoglienza CRSS, che è stato riorganizzato lo scorso anno secondo le linee direttive emanate da Confederazione e Cantone per sostenere le persone migranti nella co-costruzio-
ne di un percorso di integrazione personalizzato. Nel 2021 il team multidisciplinare e specialistico alla base del servizio ha collaborato con 50 aziende del territorio, organizzato 118 stage e ottenuto 25 posti di apprendistato e molteplici inserimenti professionali.
raccolto tutte le ricette tra gli ospiti dei nostri centri e deciso di proporre ogni settimana pasti di un’etnia diversa, in modo che ci possa essere sempre una diversa popolazione che si racconti», afferma Debora Banchini Fersini. Ogni proposta giornaliera prevede una variante vegetariana. Le proposte culinarie possono essere ordinate sia dalle aziende, che aderiscono tramite il sito, sia dai privati, che possono ritirarle direttamente presso l’Osteria Ombrone di Cadro oppure in Croce Rossa a Lugano. «Il progetto è stato accolto in modo molto positivo da parte dell’utenza», commenta il capo della divisione della migrazione di CRSS, «siamo solo agli inizi, quindi siamo assolutamente aperti a capire se e come andrà modificato o eventualmente ampliato. Per ora, possiamo dire che la cosa bella di questo progetto di integrazione è che esce da Croce Rossa e va verso le persone permettendo loro di sperimentare cibi che diversamente sarebbe difficile poter assaporare in Ticino e di vivere un pezzettino di quello che c’è all’interno dei nostri centri. Dall’altra parte della medaglia i nostri ospiti hanno la possibilità di integrarsi con il territorio attraverso la cucina e ciò li fa sentire valorizzati». Annuncio pubblicitario
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SOCIETÀ / RUBRICHE
Approdi e derive
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di Lina Bertola
Prezzi scontati per la parità ◆
Siamo a Ginevra. L’amica Lucie, che occupa una bella posizione in un ufficio dell’ONU, mi racconta di aver conosciuto un simpatico collega, impiegato nei servizi di manutenzione. Si ritrovano spesso alla buvette per un caffè, ma soprattutto per parlare di musica, grande passione di entrambi. Lucie ha appena saputo che, in quanto donna, in futuro potrà partecipare a molti concerti con uno sconto del % sul prezzo del biglietto. Si tratta infatti di una recente decisione del consiglio comunale ginevrino cui si è giunti allo scopo di compensare le disparità salariali delle donne. È una provocazione, è stato spiegato, per rendere visibili discriminazioni ritenute normali, di cui spesso non ci rendiamo conto. A tutte le donne residenti verrà dunque applicato uno sconto del % da parte delle strutture culturali e sportive della città. La mia amica è perplessa, e la capisco bene, infatti la «provocazione» sta suscitando un acceso dibattito.
Uno dei motivi delle perplessità è che questa decisione potrebbe generare ulteriori discriminazioni che vanno al di là di quelle di genere, discriminazioni che attraversano la nostra società in modo trasversale e che riguardano le categorie più fragili, con minor disponibilità finanziaria. Lucie si rende conto che lei risparmierà su un costo che, con il suo stipendio, potrebbe anche sostenere, mentre il suo amico melomane, con minore disponibilità, proprio perché maschio a prezzo pieno, probabilmente non potrà mai accompagnarla. Viene da chiedersi se, nonostante le buone intenzioni, il desiderio di sopperire a un’ingiustizia, non stia di fatto promuovendone un’altra. La decisione di sottolineare ciò che è ritenuto inaccettabile attraverso l’esibizione provocatoria del suo rovescio mostra come il denaro sia sempre più considerato il linguaggio simbolico universale; e mostra soprattutto come, proprio perché prigionieri del suo
La società connessa
linguaggio, ciò possa anche provocare situazioni in qualche modo paradossali: tu mi togli e io prendo da un’altra parte, così capisci che mi hai tolto qualcosa. Ma è davvero questo l’unico modo, o perlomeno il modo migliore per arrivare a comprendere quanto ingiusta sia la disparità salariale tra uomo e donna? La rappresentazione del denaro come valore simbolico universale, il fatto di ritenerlo il linguaggio privilegiato per comprendere e per risolvere ogni relazione, ci fa credere che sì, che sia proprio questo il modo migliore, l’orizzonte più adeguato, anche per affrontare gli aspetti etici della nostra convivenza perché, non dimentichiamolo, la giustizia retributiva è una questione etica fondamentale. Esprime un valore, una qualità dell’esistenza e della convivenza. Tutto ha un prezzo, si dice. «Tutto» è parola impegnativa e totalizzante, ed ecco che allora, quando si vuole dar
valore a qualcosa, a volte si tenta di trascinarla fuori dal nostro immaginario colonizzato dai soldi, e si dice che quella cosa lì proprio non ha prezzo. Purtroppo spesso è solo un espediente pubblicitario, uno slogan usa e getta, che a me pare però suggerire qualcosa di interessante. Non tanto, credo, che esistano davvero cose impagabili: sarebbe bello ma non è così. Perfino la salute, alla resa dei conti, appunto, la dobbiamo pagare, con tutte le discriminazioni che questo comporta, come si è visto durante la pandemia. Direi che suggerisce piuttosto un’altra cosa importante, ovvero che l’apprezzamento economico è solo la punta dell’iceberg di scelte culturali che affondano le radici altrove, nel nostro modo di dar valore alla vita e alle sue espressioni. Nel valore, appunto, che prescinde dal prezzo che le verrà in seguito assegnato. La differenza di genere pesca in profondità nei valori della nostra storia
ed è su questi retaggi culturali che dobbiamo impegnarci ad agire, anche per risolvere i problemi economici. Ad esempio, ripensando il valore della cura, di quel prendersi cura della vita in cui è stato imprigionato il vissuto della donna. È necessario finalmente riconoscere che quel femminile della cura, del sentire, e dell’accoglienza dell’altro, quel femminile con cui è stata identificata la donna, con tutte le conseguenze discriminatorie anche nel mondo del lavoro, è in realtà espressione degli stati più profondi della nostra umanità che tutti, uomini e donne, dovremmo finalmente coltivare. Ciò cambierebbe il nostro sguardo sul valore del vivere e del convivere e sulle forme di relazione in cui esprimerlo. Le scorciatoie economiche, come la provocazione del legislativo ginevrino, potrebbero alla fine rivelarsi un ostacolo a questa trasformazione culturale che ci interpella con urgenza.
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di Natascha Fioretti
Sono connesso ergo esisto ◆
Ho scritto la mia prima rubrica per «Azione» nella primavera del . Da inizio anno ero diventata a tutti gli effetti una giornalista freelance. Erano, penserete subito, tempi incerti. Sicuramente, nella mia esperienza però l’incertezza è sempre stata una grande spinta a fare bene, alzare l’asticella, accogliere senza paura le nuove sfide. Essere freelance per otto anni, gli anni che esiste questa rubrica, è stata per me una scelta non solo professionale ma anche di vita. Spirito libero, creativa, con la voglia e la grinta di approfondire le questioni che mi stanno a cuore, l’umiltà di imparare, la condizione di freelance è stata ideale per raccogliere, man mano, gli strumenti utili per orientarmi in un mondo dinamico. Lo sguardo che sviluppi stando a contatto con più realtà senza essere interna ad alcun sistema ti permette di ampliare e diversificare il
tuo sguardo. O, più semplicemente, ti impedisce di dormire sugli allori. Nel mio bagaglio esperienziale di questi anni c’è una parola che più di altre ha connotato il mio fare ed è la stessa scelta per questa rubrica: connessione. Parola ricorrente, sicuramente inflazionata, il vocabolario Treccani la definisce un’intima unione fra due o più cose, il legame o la stretta relazione e interdipendenza tra fatti e idee. Per la rubrica avevo scelto «La società connessa» per raccontare l’impatto delle tecnologie, di internet sul nostro vissuto quotidiano. Pensiamo a come sono cambiati i giornali, come è cambiato il nostro modo di leggere e informarci. Abbiamo infinite e maggiori opportunità rispetto a un decennio fa, possiamo leggere i più grandi giornali dal divano di casa o mentre siamo sul bus ma possiamo anche seguire le notizie dove e quando voglia-
Le parole dei figli
mo semplicemente stando sui social. La famosa disintermediazione per cui non ci informiamo andando alla fonte ma navigando nel grande mare della Rete secondo le nostre personali rotte di navigazione. Pensiamo all’Ucraina. Grazie alla nostra connessione digitale possiamo seguire sempre, in qualsiasi momento, tutti gli aggiornamenti disponibili. Capita allora che scorrendo la nostra timeline di Fb vediamo le desolanti immagini dei resti dell’ospedale pediatrico di Mariupol incastrate tra la pubblicità del cappotto rosso che ci piace tanto (ma non abbiamo ancora comprato perché siamo insicure della taglia), ai post degli amici che raccontano l’ultimo locale di grido dove hanno mangiato sushi. Mi chiedo se questa indistinta bulimia di immagini e significati non ci porterà alla schizofrenia. Mi chiedo quali effetti avrà la no-
stra illusoria percezione di avere tutto sotto controllo, di esistere per il semplice fatto di essere connessi. La connessione digitale ha creato una sorta di bolla, di stato psichedelico in cui pensiamo di sapere e controllare tutto. In primis le nostre emozioni. Tutto ciò che ci raggiunge suscita in noi delle reazioni ma non ci tocca realmente, non ci dà un pizzicotto, non ci pesta un piede, non ci tira uno sputo in faccia. Ecco allora che voglio concludere con un elogio alla connessione umana e una preghiera: che pur nel segno del cambiamento dei tempi la nostra società non dimentichi la magia e l’intima sostanza di cui sono fatte le relazioni umane. Qualche tempo fa con degli amici, una di loro è artista e ha una piccola galleria, abbiamo organizzato una cena in questo magico spazio con la nuova mostra appena allestita. Il nostro amico Horst ci ha
messo alla prova con una domanda: «dove, in quale parte del corpo risiede la nostra anima?». Qualche giorno dopo ho trovato la mia personale risposta e cioè che non conta tanto il dove ma il quando, quando cioè in quale momento siamo in tale intima comunione con noi stessi da sentirla, da percepirla in noi con tale intensità e chiarezza da esserne istantaneamente pervasi dalla punta dei piedi fino alla testa. A me capita quando pedalo in bicicletta di prima mattina lungo il fiume e incontro gli scoiattoli o quando sono in scuderia da sola con il mio Edelstern. E voi? Mentre ci pensate, cari lettori e care lettrici, voglio ringraziarvi per avermi seguita in questi anni, per me è sempre stato un grande onore poter scrivere per voi e spero di esserne stata all’altezza. Continuerò a farlo con impegno nelle pagine di cultura.
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di Simona Ravizza
Amore fluido ◆
«Noi non ci innamoriamo di un maschio o di una femmina, ma della persona!». È una considerazione a cui noi genitori dei Gen Z, gli adolescenti di oggi nati a cavallo tra i due millenni, ci dobbiamo abituare. Perché nelle Parole dei figli è sempre più frequente il concetto di amore fluido in cui s’annulla la differenza di genere. Il discorso «chissenefrega se è un maschio o una femmina, quel che conta è altro» è relativo all’orientamento sessuale, e non va confuso con un’altra definizione ricorrente che qui non c’entra: quella di identità non binaria, che sta invece a identificare chi non vuole riconoscersi in uno dei due generi. Della fluidità dei Gen Z io ho parlato a lungo con il mio amico psicoterapeuta Alberto Rossetti per sapere, in modo pragmatico, se ci troviamo di fronte a una generazione di adolescenti bisessuali (che nella loro vita di domani
alterneranno relazioni una volta con uno e una volta con l’altro), piuttosto che a una di omosessuali. Quanto conta l’influenza dei fattori socioculturali e quanto la pura attrazione fisica? Nessun giudizio mai: semplicemente dai discorsi che sento fare agli adolescenti la possibilità di essere banalmente etero mi sembra quasi sparita dai radar dei loro pensieri. L’hanno sostituita con la parola fluidità. In queste considerazioni, lo ammetto, c’è tutta la fatica di noi adulti a capire linguaggi, atteggiamenti, pensieri (di qui il bisogno viscerale di analizzare Le parole dei figli). Una fatica accompagnata dalla resistenza verso ciò che abbiamo difficoltà a comprendere. Ma che non vuol dire sia sbagliato. Anzi. La risposta di Rossetti è che verosimilmente gli adolescenti non saranno tutti omo o bisessuali: ciascuno prima o poi sceglierà la sua strada che
sia etero, omo o bisex. Sarà, così come dev’essere, anche la chimica a svolgere il suo ruolo! La differenza rispetto al passato è che, con ogni probabilità, gli Gen Z saranno capaci di scegliere in modo più libero di noi boomers (nati nel periodo dell’esplosione demografica) e anche dei cugini Millennial (nati tra il e il ). Ma, allora, cosa c’è dietro tutto questo parlare di amore fluido? Io mi sono convinta che sia l’espressione della spinta ideale di una generazione che vuole essere innanzitutto libera. No a etichette. No a giudizi. No anche alla gabbia del corpo. Abbattimento degli schemi. Archiviata la logica binaria. Voglia di diritti LGBT+. Sotto la bandiera arcobaleno, in questo contesto, c’è una generazione in cui i maschi rivendicano la voglia di mettersi lo smalto, vestirsi di rosa e mettersi gonnellone; mentre le femmine si divertono a in-
dossare le felpe e le magliette oversize dei fratelli maggiori. Anche il look è espressione di una scelta di fluidità. «Siamo noi adulti ad avere la necessità di incasellare, etichettare, definire – riflette Rossetti –. Per loro è tutto molto più fluido, in divenire, libero». Il mio pensiero va, allora, ai meravigliosi Mahmood e Blanco, i vincitori del Festival di Sanremo con Brividi. «Sono il simbolo di una generazione libera, che rifiuta i perimetri stretti, che supera la concezione binaria della vita – scrive Marco Casola, fashion editor di fanpage.it –. Una generazione che vive una realtà in cui nessuno si sconvolge se un uomo accarezza un altro uomo solo per amicizia, perché non è la sessualità che definisce una persona. In quei look senza barriere si nasconde il sentire di una generazione che può e vuole essere ciò che desidera. Una generazione che, soprattutto,
non giudica una persona in un modo o nell’altro per una gonna o per una mano con unghie dipinte». La mia speranza è che i nostri figli e le nostre figlie siano in grado di conciliare la spinta ideale favolosa di oggi con la chimica dei rapporti sessuali di domani. Che vuol dire «avere i brividi, provare ad amare e sbagliare sempre», come cantano Mahmood e Blanco. Una chimica, però, che davvero non dovrà essere imbrigliata dai condizionamenti ideologici. Di nessun tipo. Per non ritrovarsi dopo avere rifiutato qualsiasi gabbia a vivere nella gabbia di chi rifugge la fisicità perché ne ha paura. È il passaggio che gli adolescenti di oggi dovranno fare: quello dal piano ideale al piano corporeo. Per vivere fino in fondo le emozioni. E noi possiamo aiutarli, a mio avviso, solo se capiamo il concetto di fluidità, marchio di fabbrica dei Gen Z.
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Anno LXXXV 14 marzo 2022
TEMPO LIBERO
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Lungo la ferrovia più alta d’Europa La Bergensbanen attraversa l’aspro e inospitale altopiano norvegese di Hardangervidda unendo Bergen a Oslo, a oltre 1200 metri
Vini arricchiti con alchimia e magia Nel XII sec. si sviluppò molto la moda delle spezie, grazie soprattutto alle navi della Serenissima che avevano ripreso i traffici con l’Oriente
Un divertente ritratto di famiglia In occasione della Festa del papà, ecco la proposta per un’attività di bricolage semplice e di bell’effetto: e tanti auguri!
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Un’ineludibile triade di fattori in gioco Fotografia
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La valorizzazione dei dettagli di uno scatto si avrà grazie a una competente gestione della cosiddetta «esposizione»
Uno degli argomenti tecnici tra i più rilevanti e spinosi in fotografia è l’esposizione, spesso troppo poco tenuta in considerazione da modalità e strumenti con cui di prevalenza oggi si fotografa. Avete mai visto qualcuno provare a regolare l’esposizione scattando una foto col telefonino? Si può, certo, ma in modo molto approssimativo. E a dire il vero ben pochi sanno come farlo. È possibile che qualcuno regoli le luci e i contrasti dopo aver preso la foto, opzione, credo, però altrettanto poco diffusa. Di strumenti più sofisticati di un telefonino dovrebbero avvalersi gli appassionati di fotografia ai quali si rivolge la nostra rubrica: saper esporre, diventa in questo caso quasi un dovere. Capire come si espone significa capire la luce e saperla controllare per realizzare l’immagine che si ha in mente. Fotografare – l’ho forse già detto – ha infatti molto a che fare con il pensiero. Non solo e non sempre. Ma in molti e diversi casi, sì. Specialmente quando fotografare smette di essere una semplice registrazione di situazioni casuali, e diventa un’attività con la quale scientemente esploriamo la nostra realtà svelandone aspetti significativi, originali, forse anche sorprendenti, per forma e contenuti. Con esposizione intendiamo la quantità di luce che raggiunge e impregna il dispositivo fotosensibile dell’apparecchio fotografico, pellicola o sensore che sia. Questo valore è generato dalla combinazione di due variabili – il tempo di posa e l’apertura dell’obiettivo – entrambi modulati da un terzo fattore diversificante, la sensibilità alla luce del dispositivo fotografico che utilizziamo. Esporre correttamente perlopiù significa catturare quel quantitativo giusto di luce – né troppa né troppo poca – per far sì che l’immagine registrata presenti il maggior numero possibile di dettagli leggibili, tanto nelle ombre quanto nelle luci. Una fotografia ben esposta sarà, infatti, ricca di dettagli e ci permetterà in un secondo tempo di lavorarla come meglio preferiamo, in particolare regolandone i contrasti ed estraendo i minuti particolari dalle zone chiare e oscure. Una buona esposizione produrrà anche un buon risultato cromatico, in termini di saturazione e di corrispondenza dei colori. D’altro canto, l’esposizione va calibrata anche sulla base del risultato che vogliamo ottenere, e che non dovrà per forza corrispondere a quella giusta media a cui facevamo riferimento poco sopra. Una regolazione volutamente «sbagliata» potrebbe salvare parti per noi più importanti di un’immagine, quando esse si trovino soprattutto nelle ombre (sovraesponendo) o nelle alte luci (sottoesponendo). Si tratterà dunque di stabilire di volta in volta come esporre per una data situazione, e
pxhere.com
Stefano Spinelli
se di caso, scegliere quale zona luminosa privilegiare – le basse o le alte luci – a scapito di quella opposta. Riassumendo, la triade di fattori che intervengono nella determinazione dell’esposizione in fotografia è composta dunque da: il tempo di posa (velocità dell’otturatore) e l’apertura dell’obiettivo (il diaframma). La sensibilità alla luce del dispositivo stabilisce il quadro generale nel quale questi due fattori interagiscono.
L’esposizione permetterà anche di ottenere un buon risultato cromatico, in termini di corrispondenza dei colori e di saturazione Più sarà veloce lo scatto o più chiuso l’obiettivo e meno luce vi giungerà. E viceversa. La quantità di luce necessaria per l’ottenimento di una buona esposizione sarà espressa da una delle molteplici combinazioni possibili tra questi due fattori, sulla base di una data sensibilità. Stabilito il giusto rapporto velocità/apertura, la modifica di uno di questi implica la modifica inversa dell’altro. Per compensare la
diminuzione di luce fornita dall’otturatore (scattando con tempi più brevi), si dovrà aprire maggiormente il diaframma dell’obiettivo. E viceversa. L’esposimetro è lo strumento che misura la quantità di luce disponibile e la traduce in combinazioni di tempi di posa/apertura per una data sensibilità. Di solito è incluso nell’apparecchio fotografico, ma possiamo anche trovarlo come strumento a sé. Un altro modo per verificare col digitale la correttezza dell’esposizione, a scatto fatto, è di guardare il diagramma della distribuzione delle luci: di norma – ma non come regola assoluta – non dovrebbe presentare particolari concentrazioni o picchi sulle sue estremità ma piuttosto avere una buona distribuzione dei valori di luce al suo interno. Il tempo di posa congela o meno la situazione che stiamo fotografando: più è lungo e più aumenta la possibilità che l’immagine risulti mossa o che elementi in essa appaiano in movimento. Partendo comunque dal principio che il mosso di per sé non è un difetto, può anzi esser voluto o funzionale a quanto si vuole esprimere. L’apertura del diaframma stabili-
sce la profondità di campo, ovvero la porzione di spazio nitido all’interno dell’immagine. Più il diaframma è chiuso, più questa aumenta. A dipendenza del tipo d’immagine utilizzeremo un diaframma più o meno aperto o chiuso. Ad esempio – senza però voler troppo generalizzare –, per il ritratto tenderemo ad aprirlo, ad avere il fuoco sul soggetto tenendo invece sfuocato lo sfondo. Per un paesaggio cercheremo invece di avere porzioni maggiori d’immagine a fuoco, se non il tutto a fuoco, chiudendo il diaframma. Infine, la sensibilità rappresenta la quantità di luce che una pellicola o un sensore sono capaci di assorbire in un dato tempo. Questa sarà regolata in base alla quantità generale di luce disponibile, sapendo che meno luce avremo, più tenderemo ad alzare la sensibilità. Con la conseguenza però di uno scadimento della qualità dell’immagine (maggior presenza di artefatti visibili: il rumore, nel caso del digitale e la grana ingrossata per quanto riguarda la pellicola). Più la sensibilità sarà bassa, più l’immagine sarà invece pulita e meglio definita. Starà dunque a noi, decidendo
quale risultato vogliamo raggiungere e tenendo conto della situazione/luce disponibile, stabilire in quale rapporto porre tra loro questa importante terna di fattori: l’apertura, il tempo di posa e la sensibilità. Una chiusa veloce: illustrare a fondo l’esposizione fotografica richiederebbe un trattato, non può esser qui il caso. Ci siamo limitati a vedere in grandissime linee cosa significhi questa operazione tanto importante e centrale nella nostra pratica. Niente ci impedisce di lavorare in modalità automatica, ottenendone risultati talvolta anche buoni, spesso imprecisi, sicuramente aleatori. Ma non posso che consigliarvi di lavorare in manuale, sarà di certo più faticoso, farete tanti errori, ma alla lunga sarà la modalità di lavoro più precisa e per voi più appagante. Infine, un ultimo consiglio: guardate tante immagini realizzate da coloro che sono considerati i maestri della fotografia – compratevi i loro libri – e analizzate come hanno utilizzato, a volte per caso ma il più delle volte consapevolmente, queste variabili per realizzare le loro immagini. Imparerete tanto. E scattate, scattate, scattate!
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Tempesta di neve vicino a Finse. La Bergensbanen – la ferrovia tra Bergen e Oslo in Norvegia – è la linea ferroviaria principale più alta d’Europa.
Il treno che sfida l’inverno Reportage
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Attraverso le montagne sulla frontiera tra la Norvegia orientale e i fiordi che precipitano nell’Atlantico
Enrico Martino, testo e foto
«Arrivano ancora, soprattutto in estate. Si fanno portare dalle guide sul ghiacciaio di Hardangerjokulen, poi tirano fuori modellini e figurine per giocare alla battaglia su Hoth, il pianeta di ghiaccio di Guerre Stellari». Da veri professionisti, all’hotel Finse non commentano i riti di alcuni frequentatori di questa piccola struttura che, già nel nome, proclama l’orgoglio di una stazioncina coraggiosa: qui sfida ogni inverno, a «soli» metri di altezza e senza strade di accesso.
Il Finse 1222 nacque proprio per ospitare ingegneri e operai impiegati nella costruzione di 493 chilometri di rotaie e 300 ponti, per collegare via terra Oslo a Bergen Si trova nell’Hardangervidda, l’altipiano più alto d’Europa dove la neve e i venti dell’artico non incontrano ostacoli. «Per questo lo avevano scelto come location, ma Harrison Ford era ossessionato dall’isolamento, voleva sempre a disposizione una motoslitta per non dipendere dal treno che poteva rimanere bloccato dalla neve». È una ferrovia molto particolare la Bergensbanen, e il Finse nacque proprio per ospitare ingegneri e operai impiegati nella costruzione di chilometri, e ponti, per collegare via terra Oslo a Bergen, attraverso le montagne che dividono la Norvegia orientale dai fiordi che precipitano nell’Atlantico. Nessuna tecnologia però è riuscita a cancellare quel vago senso di distacIn tempi eroici, Finse 1222 fu per nove lunghi mesi il quartier generale della battaglia contro la neve.
co che ti coglie quando la pensilina svanisce dietro al finestrino come il molo di un porto, e quando un impercettibile gemito metallico del treno sembra presagire quello che lo aspetta ogni inverno: sette ore di viaggio tra i paesaggi siberiani della linea ferroviaria più alta d’Europa sfidando una meteorologia estrema che può bloccare strade e aerei. Un’idea simile poteva venire solo a chi guardava quelle montagne in faccia tutti i giorni, Hans Gløersen, sovrintendente forestale di Voss, che nel aveva proposto questa utopia ferroviaria scatenando le inferocite proteste di chi temeva di veder violata per sempre la sacralità di queste montagne. Dodici anni dopo, un centinaio di chilometri di binari collegavano Bergen a Voss, ma era solo l’inizio di una tormentata saga ferroviaria perché mancavano chilometri, e metri di dislivello, per raggiungere, a Taugevatn, il punto più alto della linea. Il granito norvegese si rivelò un osso duro e i norvegesi dovettero costruire persino le strade per portare i materiali; poi settecento tonnellate di dinamite cambiarono le sorti della ferrovia, anche se molti tunnel furono scavati a mano da quindicimila operai. Nel , dopo aver realizzato quasi duecento gallerie che misuravano complessivamente settantatré chilometri, le squadre che avanzavano da Oslo e quelle che salivano da Bergen si incontrarono a Haugastol, ma il primo treno ufficiale, bloccato per oltre un mese da una micidiale nevicata, raggiunse Bergen solo il giugno . L’anno dopo la ferrovia venne
aperta al traffico ma rimaneva un avversario ancora più duro della roccia, la neve da combattere ogni inverno per nove lunghi mesi, soprattutto nei cento chilometri del «Tetto della Norvegia», l’altipiano di Hardangervidda dove i binari corrono in un deserto di ghiaccio privo di vegetazione. «A quei tempi eravamo poveri ma riuscivamo a realizzare opere come questa» sbotta nella carrozza bar una cameriera che considera la ferrovia una storia di famiglia, «per fortuna hanno rinunciato a sostituirla con un’autostrada come chiedevano i politici; si sono resi conto del disastro ecologico che avrebbe potuto provocare». Dietro di lei i finestrini inquadrano rapide visioni di laghi dove strisce di neve e acqua color pece creano geometrie da optical art. Dopo Haugastol e la fine della
strada, il treno avanza tra nuvole di neve e i controllori tirano il fiato solo quando due convogli si incrociano nelle stazioni, perché con un solo binario, se un treno si blocca, anche quello che arriva dall’altra parte deve fermarsi. «Ormai è un evento raro anche se dobbiamo utilizzare tutti i giorni grandi macchine spazzaneve per liberare le rotaie – rassicura un controllore – ma siamo attrezzati per ogni evenienza con tunnel in cui ci sono depositi di rifornimenti e provviste». Sarà, però se il treno si ferma, tutti si guardano per un attimo e il silenzio diventa un vuoto acustico rotto solo da un vento che sembra risucchiare vagoni e rotaie. Una sequenza di gallerie e muraglie paravalanghe annuncia l’entrata del convoglio nel cuore dell’Hardangervidda, punteggiato solo da sta-
zioncine nel nulla, uniche vie d’accesso a villaggi privi di strade di collegamento o punti di partenza per lunghi trekking in sci. Per molti norvegesi, i più sfrenati appassionati di wilderness d’Europa, questo è un luogo dell’anima dove isolarsi dal mondo nella capanna «di famiglia», senza elettricità e acqua calda. Soprattutto a Finse, uno scenario artico perfetto anche per l’addestramento delle spedizioni dei più famosi esploratori polari, da Shakleton a Nansen e Amundsen, dove l’inverno trasforma il Finse in un palazzo del Dottor Zivago. Quando il vento scarica punte di ghiaccio e la visibilità si riduce a pochi metri l’unico modo per non perdersi sono i rami secchi piantati lungo le piste che collegano la stazione alle poche case dove vivono stabilmente non più di dieci persone. Nei primi anni del secolo scorso c’era persino una scuola e folle di baronetti e ladies inglesi seguivano le orme dei benestanti di Oslo; un rito che deve aver lasciato tracce perché, ancora oggi, birignao da upper class britannica, emergono da ipertecnologiche tute che scompaiono nella tormenta. Ogni tanto le luci fantasma di un treno si materializzano da una delle due gallerie, confini non troppo simbolici di Finse che il vento trasforma in scenari fantasy di ghiaccio, qualche volta imbrattati dal sangue di una renna che aveva cercato rifugio dalla tormenta. Persino i ponti non li vedi, li senti per una sorta di tuono improvviso sotto il vagone e solo il tran-tran ipnotico delle ruote rassicura sul fatto che esiste ancora una realtà. A Myrdal, più a valle, molti turisti si trasferiscono sulla Flambana, un capolavoro ferroviario che precipita con una pendenza del , per cento per venti chilometri, e venti tunnel, fino a Flam, davanti a un fiordo ghiacciato. Un piccolo ferry scende il Naeroyfjord in un silenzio quasi religioso fino al porticciolo di Gudvangen da cui si raggiunge la Bergensbanen a Voss, prima dell’ingresso trionfale nella stazione di Bergen. Dove finisce il silenzio, almeno per chi non ha deciso, dentro di sé, di lasciare il cuore a Finse. Informazioni su www.azione.ch trovate una più ampia galleria fotografica.
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Dalla Teriaca all’Ippocrasso Vino nella storia
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Quando il nettare di Bacco incontrò le spezie e finì sulle tavole degli aristocratici
Il dotto pisano Burgundio (), letterato, giurista, diplomatico, fu un personaggio celebre soprattutto per le sue traduzioni di testi medici, Galeno in modo particolare, fra l’altro scrisse un ricettario in cui si occupava di metodi di vinificazione. Testo, quest’ultimo, che venne copiato e ricopiato più volte, in modo quasi integrale nei secoli successivi da personaggi come: Pietro de’ Crescenzi, Corniolo della Cornia, Arnaldo da Villanova.
Chiamato all’inizio con il nome di vinus odorifer o vinus aromaticus, era ritenuto un composto alcolico mescolato con alchimia o magia Tra le curiosità che abbiamo trovato sfogliando una vecchia copia di questo celebre testo, una delle più stimolanti è lo spazio dedicato ai vini aromatizzati. Infatti nel XII sec. si sviluppò molto la moda delle spezie, grazie soprattutto alle navi della Serenissima che avevano ripreso i traffici con l’Oriente, praticamente interrotti con la caduta dell’Impero Romano. Il vino trattato con le spezie venne chiamato all’inizio con il nome di vinus odorifer o vinus aromaticus. Era in effetti difficile dare un nome a un prodotto composto da vino mescolato con l’alchimia o la magia. In ogni caso, all’inizio, erano vini per le sole mense aristocratiche. Uno degli aspetti che sicuramente contribuì al successo di questa formula, fu il ruolo che assunsero sia vino sia spezie nella preparazione di prodotti terapeutici. Di loro, l’inglese Bartolomeo Anglico (-), autore di una pregevole enciclopedia composta da libri (De Proprietatibus Rerum) scrisse che «sono vini fatti con la forza di buone spezie e che sono adatti sia come bevanda che come medicina. In virtù delle spezie e delle erbe si cambia e si corregge il vino e gli si dà una virtù singolare e perciò quei vini sono com-
pleti e apprezzabili quando spezie e delle erbe sono incorporati ad esso in modo dovuto. Così il loro sapore, sono graditi al gusto ed eccitano l’appetito e confortano sia il cervello che lo stomaco e con il loro buon odore e profumo puliscono anche il sangue e lo purificano e vengono nelle parti interne delle vene e delle membra». È sempre grazie al dotto Burgundio che apprendiamo il nome della principale preparazione medica del passato: la Teriaca dal greco Theriaké che significa antidoto. L’invenzione della Teriaca è attribuita a Crateva, medico personale di Mitridate re del Ponto (- a.C.). Il monarca viveva nel terrore di essere avvelenato, Crateva, dopo lunghi studi, mescolò tra loro ben medicamenti cosiddetti «semplici» che aggiunse alla composizione del principe degli «antidoti». Nel a.C. con Pompeo, portò a Roma la meravigliosa ricetta che venne in seguito usata da Andromaco il Vecchio, medico di Nerone che, come molti altri monarchi, viveva nel terrore di essere avvelenato. Fu poi Claudio Galeno, con la sua autorità in campo medico, a sostenere la Teriaca. Tant’è che il medicamento continuò a essere usato per tutto il Medioevo e il Rinascimento: fu somministrato da medici e farmacisti, ottenendo grande fiducia, fino agli inizi del . Uno dei componenti principali della Teriaca era costituito dalla carne di serpente cotta nel vino. Considerato l’essenza dell’immortalità, il serpente veniva cotto nel vino perché si riteneva che questo fosse in grado di impregnarsi dell’essenza immortale dell’animale, assumendo così potenza e valori magici. Si pensava o meglio si credeva che così facendo il vino potesse dare a chi lo assumeva la capacità di essere immune ai veleni e prolungare la vita, e che voi cari lettori, ci crediate o no, questa unione decisamente originale venne difesa per un lunghissimo periodo da moltissimi medici. L’elenco dei nomi dei medici che
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Davide Comoli
impiegavano ricette in cui nel vino venivano messe a macerare delle vipere è lungo, ma uno per tutti fu Galeno, il quale dichiarava che l’unico vino indicato per la Teriaca era il Falerno dolce, chiamato Faustiniano e lasciò scritto: «A chi si avvicina alla vecchiaia consiglio di bere la Teriaca spesso, ed in dose piuttosto elevata, sciolta nel vino, perché rinfranchi il calore naturale che comincia a languire». L’aspetto importante a livello enologico è il collegamento del vino alle erbe medicinali, in modo da preparare vini realizzati per i loro aspetti sensoriali, creati dall’unione di molti elementi sovrapposti in modo da adattarli piacevolmente agli uomini e alle complessioni dei pazienti. Lo dimostrano le ricette inserite negli an-
tichi ricettari di pratiche enologiche, dove ritroviamo le stesse erbe e spezie che componevano la Teriaca: mirra, nardo, cinnamomo, pepe, salvia, rosmarino, assenzio, ecc. A partire dal ogni ricettario o testo di agronomia non poteva esimersi dal presentare un vino aromatizzato. Fu così che diventò necessario dare un nome al vino aromatizzato per eccellenza, quello che doveva accompagnare le mense dei nobili ed essere bevuto dagli aristocratici: Ippocrasso (Ypocras), vino di Ippocrate, collegato al medico greco, simbolo dell’arte medica. Gli scopi di questi vini erano vari, in certi casi si trattava di vini usati per scopi medicinali, in altri si trattava di migliorare vini carenti di aromi o per renderli almeno bevibili (legge-
re le opere di Arnaldo da Villanova). Di certo le ricette più divertenti sono quelle che ci ha lasciato il notissimo François Rabelais (-), il papà di Gargantua e Pantagruele che, forse non tutti lo sanno, fu anche uno dei medici più colti del suo tempo. Come per i suoi romanzi, Rabelais, che senz’altro era un estimatore e un conoscitore di vini e spirito vivace, ci descrive con stile satirico la diversità delle erbe usate per l’aromatizzazione. Questo per far capire la differenza tra il vino bevuto per il piacere e l’idea del vino bevuto come medicina, sottolineando bene la distinzione tra le erbe e le spezie. Per questo, quando egli parla di Ippocrasso è ben lontano di paludarsi con vesti da sapiente medico, ma invita a bere senza troppe remore e trarre piacere dal buon vino, con gaiezza e leggerezza. Visitando la Devinière, la sua casa natale nella Loira, ci pareva di udire le sue grasse risate, mentre ci offrivano il bianco di casa (Chenin Blanc) con un pizzico di cardamomo, zenzero e un po’ di zucchero; e sinceramente va detto che questo novello Ippocrasso non era niente male. Figlio del suo tempo, l’Ippocrasso, vino saporito e profumato, contribuiva a innalzare lo status symbol di chi lo offriva ai suoi ospiti; era, insomma, segno di un’elevata posizione sociale servire l’Ippocrasso in quest’epoca in cui nasce la «follia delle spezie» e per questo diventò l’elemento che completava i pranzi di gala. Ma dato che si parla di spezie, bisogna sfatare la convinzione errata secondo cui l’uso di queste servisse a coprire le puzze dei cibi mal conservati: leggendo attentamente le ricette medioevali, si nota una grande volontà di trovare nelle spezie nuove armonie ed equilibri ben meditati, per dare ai cibi e alle bevande nuove sensazioni organolettiche. Per tornare all’Ippocrasso, il momento più consono per il suo consumo era a fine pasto con i confetti, il marzapane e dolcetti vari, come oggi d’altronde si fa con i vari Porto e Marsala. Annuncio pubblicitario
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Il ritratto per la festa del papà Crea con noi
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Un quadretto molto allegro e coloratissimo che rimarrà come ricordo di una giornata speciale
Giovanna Grimaldi Leoni
Un originale ritratto di famiglia è la proposta-tutorial, questa settimana, per celebrare il marzo, San Giuseppe, festa dei papà. Si realizza con cartone di riciclo e cucchiaini del caffè in betulla, che con un po’ di fantasia e qualche pennellata si trasformano in simpatiche rappresentazioni dei componenti della famiglia. Un regalo fai da te, da creare coi propri bambini che sicuramente appoggiato a una mensola o appeso al muro non mancherà di strappare un sorriso. Procedimento Ritagliare dal cartoncino azzurro, dal foglio bianco e dal cartone dei rettangoli da xcm. Mettete da parte il cartoncino azzurro. Quindi dipingete con velature celesti leggere quello bianco in modo possa fare
in modo che vi rappresentino il più possibile. Lasciate asciugare quindi aggiungete con un pennarello fine i dettagli. Potete anche dare qualche tocco aggiuntivo come le guance o le sfumature dei vestiti con le matite colorate e aggiungere a piacere piccoli elementi decorativi. Perline, bottoni, adesivi… Prendete la cornice marrone e decoratela. Io ho utilizzato washi tape con motivo a cuori per il lato inferiore mentre sui restanti lati ho avvolto in modo regolare del filato azzurro, ma potete lasciare spazio alla vostra fantasia. Una volta soddisfatti della cornice ottenuta andate a comporre il vostro quadro. Incollate sul retro della cornice il foglio bianco che avete dipinto, quindi in modo da avere un retro ben rifinito il cartoncino azzurro. Incollate al centro della cornice il cuore (anche qui se volete potete aggiungere una striscia decorativa di washi tape) e su di esso posizionate i cucchiaini. Componete su due pezzetti di cartoncino azzurro le parole AUGURI PAPÀ utilizzando le lettere di giornale o scrivendole con un pennarello colorato e andate a posizionare anche loro all’interno del quadro con poca colla. Aggiungete a piacere i dettagli che desiderate. Il vostro quadretto ora è pronto per essere donato. Auguri a tutti i papà!
da base al vostro ritratto. Dal rettangolo di cartone invece ricavate una cornice di , cm e dipingetela di marrone. Sempre dal cartone di riciclo ricavate un cuore di circa cm di altezza. Ricavate dal giornale delle strisce utilizzando le parti di testo scritte in piccolo, diluite quindi con poca acqua la colla vinilica e passatela con un pennello piatto sul cartone, fate aderire le strisce di giornale sovrapponendole un po’ tra loro e date una seconda passata di colla. Ricoprite il cuore completamente quindi lasciate asciugare prima di rifinire con le forbici i bordi tagliando il giornale in eccesso. Ora passiamo ai cucchiaini-ritratto. Con matita leggera disegnate i volti degli elementi della famiglia quindi andate a dipingere le vostre figure
Giochi e passatempi Cruciverba
Per scoprire come si chiama l’animale nella foto e come si aiuta a triturare il cibo, dato che non ha denti, risolvi il cruciverba e leggi le lettere evidenziate. (Frase: 9 – 6, 1, 5)
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Materiale
• Cartone di riciclo (da scatole di imballaggio) • Foglio bianco • Colori acrilici o tempere e pennelli • Cartoncino azzurro • Confezione di cucchiaini in betulla • Forbice, taglierino • Pistola colla a caldo • Pennarello nero fine • Un giornale • Colla vinilica (bianca) • Facoltativo: washi tape, filato, decorazioni varie. (I materiali li potete trovare presso la vostra filiale Migros con reparto Bricolage o Migros do-it)
Tutorial completo www.azione.ch/tempo-libero/ passatempi
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ORIZZONTALI 1. Un alimento 4. Ghiotta 9. Barbare quelle del Carducci 10. Colosso della strada 11. Quantità da stabilirsi 12. Pronome personale 13. Iatale nelle patologie 15. Un articolo 16. La Grandi cantante 18. Articolo per sciatori ... 20. Congiunzione inglese 21. Appaiono nelle copertine 22. Cibele lo mutò in pino 23. Affluente della Vistola 24. Capitale della Lettonia 26. La fine del dramma 27. Precede i nomi femminili inglesi 29. Pallidi, sbiaditi VERTICALI 1. Estremi terrestri 2. Sdegnati, furiosi 3. Simbolo chimico del nichelio 4. Ingrediente del cocktail 5. Lo sono alcuni «tipi» 6. Poco ottimista 7. Moneta del Perù 8. Corpuscoli di materia 10. Un numero 13. Fine per gli inglesi 14. Un comando perentorio 17. Rompicapi, indovinelli 19. Con altri diventa noi 21. Correlativo di quam 22. Dio greco della guerra 25. Misura agraria di superficie 28. Le iniziali del regista Lee
Sudoku Scoprite i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.
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Soluzione della settimana precedente CONOSCERSI MEGLIO – Ogni ora l’essere umano perde circa… Resto della frase: …UN MILIONE E MEZZO DI CELLULE EPITELIALI…
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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch I premi, tre carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco. Partecipazione online: inserire la soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la soluzione, corredata da nome, cognome, indirizzo del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 1055, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.
Settimanale di informazione e cultura
Anno LXXXV 14 marzo 2022
azione – Cooperativa Migros Ticino
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TEMPO LIBERO / RUBRICHE
Viaggiatori d’Occidente
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di Claudio Visentin
È tempo di pensare in grande ◆
«Go big!» sembra essere la nuova parola d’ordine nel campo dei viaggi. Dopo la lunga sosta, si pensava a una ripartenza lenta e graduale, ma c’è chi nel frattempo ha perso la pazienza. Perché accontentarsi di banali escursioni e del rassicurante turismo di prossimità quando puoi finalmente rimettere piede su un aereo e guardare il mondo dalle nuvole? Il clima a bordo è finalmente meno paranoico, dopo due anni infernali per gli assistenti impegnati a far rispettare rigorosamente l’obbligo della mascherina e altri divieti. Per esempio, ora che i passeggeri sono più tranquilli, diverse compagnie hanno ricominciato a servire alcool durante il volo. Avrà il sapore della novità anche tornare a dormire in un albergo internazionale, riscoprire la mondanità delle grandi città, tornare in contatto con la varietà di lingue e culture del mondo.
Certo, in molti Paesi i vaccinati sono troppo pochi e quasi ovunque infinite restrizioni restano in vigore, ma la loro applicazione è decisamente più blanda e questo basta. Sappiamo che il virus si tratterrà con noi ancora a lungo, in forma endemica, ma stiamo imparando a conviverci. In gennaio la società di ricerca Longwoods International ha intervistato mille americani chiedendo dei loro progetti di viaggio: oltre il % partirà nei prossimi sei mesi e il % (una percentuale in rapida crescita) ha dichiarato che la pandemia non influenza più le loro decisioni. Per ogni viaggiatore che pensa in grande c’è un Paese pronto ad accoglierlo. Già a inizio febbraio la Danimarca, per prima in Europa, ha sospeso le restrizioni, seguita subito da numerosi altri (Svizzera inclusa, ovviamente). Per quanto mi riguarda, tornerò finalmente in Marocco, do-
Passeggiate svizzere
po una lunga pausa. Ma ormai tutto il mondo si mette in mostra. Portali di viaggio come Expedia e Booking. com hanno investito somme gigantesche per acquistare spazi pubblicitari nel Super Bowl . Diversi uffici del turismo stanno lanciando nuove promozioni, ma come sempre gli australiani sanno trovare le parole giuste per esprimere un sentimento diffuso. E così, in occasione della riapertura delle loro frontiere dal febbraio , la nuova campagna pubblicitaria rivolta ai turisti internazionali è perentoria: «Don’t go small. Go Australia». La proposta è tanto più interessante se pensiamo che per due lunghi anni la «fortezza Australia» ha affrontato il Covid con straordinaria severità e rigore: lockdown estesi, controlli alle frontiere, quarantene in hotel eccetera. Di fatto un blocco completo del turismo, esteso anche a parecchi au-
straliani sorpresi dall’epidemia all’estero e che semplicemente volevano tornare a casa; molti hanno dovuto aspettare anche mesi, con buona pace della libertà di movimento, particolarmente preziosa in un Paese lontano per definizione. Ma anche qui non date tutto per scontato. Per esempio, se siete no vax, meglio girare al largo dalla terra down under. In Australia il % della popolazione sopra i sedici anni è completamente vaccinata e di questo non si discute, come ha scoperto a sue spese Novak Djokovic; non gli è servito a nulla essere il miglior tennista al mondo. E mentre invitano i viaggiatori con slogan accattivanti, gli australiani continuano a respingere con durezza migranti illegali e richiedenti asilo, ai quali viene impedito persino di mettere piede sul suolo australiano, deportandoli in isole remote.
I richiami delle Nazioni Unite e gli appelli dell’opinione pubblica internazionale sono caduti nel vuoto. «La sicurezza dei confini è una parte fondamentale del nostro stile di vita» ha dichiarato il primo ministro Scott Morrison. È una visione chiara, efficace, a tratti brutale, ma condivisa dalla maggioranza degli elettori. Insomma pur con tutti i distinguo, oltre ovviamente alle imprevedibili conseguenze della crisi internazionale in corso, il clima sta cambiando. Pensare in grande non vuol dire solo viaggiare di più, vedere di più, divertirsi di più. Il viaggio serve anche per crescere, per migliorare il proprio benessere mentale e fisico con passeggiate nella natura, alimentazione vegetariana, meditazione, yoga eccetera. Siamo stati a lungo malati, nel fisico e nello spirito, e forse stiamo scoprendo che il viaggio ha la forza di guarirci.
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di Oliver Scharpf
Le vetrate di Sergio de Castro a Romont ◆
In manco, lo confesso, di vetrate astratte nella penombra gotica, cammino a passo di marcia (in salita) verso la collegiale di Romont risalente, in alcune parti, al . Sergio de Castro (-): nato a Buenos Aires, infanzia tra Losanna e Ginevra, studi musicali a Montevideo, atelier a Parigi dal via, ispira il personaggio di Etienne nel prodigioso Il gioco del mondo () di Julio Cortázar. Sette passi e colgo, nella navata laterale sinistra, i primi rigagnoli metafisici di luce colorata dell’opera inaugurata, dopo tre anni di lavoro, il venti settembre . Cinque vetrate, cinque profeti, partenza con Noè. L’utilizzo di verde acido, dosato qua e là nei pezzetti di vetro come in una partitura, provoca un effetto euforico. Diciassette altre tonalità, stemperano poi la sferzata emotiva iniziale, componendo una polifonia movimenta-
ta dalle ondate di piombo. Mi sintonizzo sui percorsi sinusoidali e vago con lo sguardo finché non emerge, in alto, un arco. Catturo delle lettere, decifro parole, ma il versetto biblico, sincopato al massimo, non si legge se non ne sei a conoscenza: «Je mets mon arc dans la nuée et il deviendra un signe d’alliance entre moi et la terre». Genesi, capitolo nove, versetto tredici. L’arcobaleno di Yahweh – il cui simbolo triangolare è iscritto nel trilobo del traforo – calma il maremoto del diluvio universale e mette in salvo l’arca di Noè. Due passi nell’ombra perfetta del collaterale nord un pomeriggio di marzo ed ecco, nella seconda delle vetrate di Sergio de Castro a Romont ( m), i movimenti da liana del verde acido che divampa. Il traforo qui, modellato nella molassa dopo l’incendio del , è di un gotico fiammeggiante ispiratore. Tre fiamme, note anche
Sport in Azione
come vesciche natatorie, nel vuoto della pietra, partecipano al ritmo di tutta la vetrata e sono addirittura all’origine del soggetto: il roveto ardente di Mosè. Nella vetrata dopo si scopre, nascosta nella formidabile astrazione geometrica vorticosa, la figura di Elia. Astrattismo mimetico dunque, per visitatori non frettolosi a pesca di versetti sminuzzati e profeti camuffati. Nella quarta vetrata Jesse addormentato, dal volto quasi cubista e introvabile, sogna il suo albero profetizzato da Isaia (, ): «un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici». Parole, in francese, distribuite in verticale perdendosi tra i rami di questo albero genealogico che «diventano vene dove circola il sangue di Jesse» annota lo stesso Sergio de Castro in Les prophetes () di Jacques Thuillier. Sangue che sarà quello della Vergine Maria rappresenta-
ta, in cima, da un fiore a sei petali. Altri fiori e foglie si acciuffano con gli occhi, qua e là, verso il coronamento gotico – tra fiamme e trilobi – della vetrata. Il profeta più afferrabile è Giona uscito dalla balena, invisibile, nell’ultima vetrata dove si è abbagliati dall’armonia luminosa per contrasto intenso di blu e rossi. Il rosso garanza, come l’indaco, mostra, a tratti, una certa sfumatura. Se il mastro vetraio è sempre – come per Manessier a Friburgo e Bazaine a Berlens – Michel Eltschinger, il compito della patina è stato affidato alla mano di Elyzabeth Zbinden con l’aiuto dei peli di tasso. Passo dopo passo, il mio sguardo percepisce di aver appena seguito una suite. Ogni vetrata dedicata a un profeta è una storia a sé con un suo ritmo e una sua gamma di colori ma sono percorribili come una carrellata in cui alcuni elementi s’intrecciano ad al-
tri, qualche passo dopo. Ancora meglio è ripercorrere, a ritroso, la suite in cinque movimenti, dalla navata centrale, calibrando così l’occhio da una certa distanza per cogliere ulteriori sfumature di significato. Ultime lettere di versetti nascosti (Matteo , ), fiamme gotiche come girini o angeli adoranti, un’ultima dose, più attenuata, di verde acido, tragitti maya, macedonie cromatiche per più tristi giorni. Colpo di scena sono i mostriciattoli cesellati da un ebanista anonimo. Tredici bestiacce fantastiche ornano qua e là, nel coro, gli stalli in quercia del quattordicesimo secolo. Un illustratore canadese di Tolkien afferma di essersi ispirato a queste mostruosità grottesche. Eppure, quei vacui disegni fantasy kitsch con questi meravigliosi cani dal volto umanoide barbuto o gufi con facce da troll, c’entrano come i cavoli a merenda.
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di Giancarlo Dionisio
Gioco anch’io? No, tu no! ◆
È una guerra complessa, di non facile comprensione, quella di cui siamo spettatori impotenti. Tuttavia, in un afflato di solidarietà, la stragrande maggioranza delle persone si è schierata dalla parte degli aggrediti. Così ha fatto anche il mondo dello sport. Non si è interrogato sull’eventuale condivisione di responsabilità. Si è mosso con rapidità strabiliante. Dopo poche ore dall’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo, sono scattate le prime sanzioni, fra cui lo spostamento della finale di Champions League da San Pietroburgo a Parigi. Dopo pochi giorni, lo sport russo, nella sua quasi totalità, si è visto messo da parte. Bloccato. Depotenziato. Al di là di comprensibili ragioni di sicurezza, ci si può interrogare sui motivi di questa corale presa di posizione. Quali sarebbero le responsabilità e le colpe degli atleti russi?
Le sanzioni economico-commerciali sono uno strumento di pressione. Purtroppo la storia insegna che a farne le spese è spesso la gente comune, le famiglie, all’interno delle quali, donne, bambini e anziani sono i più fragilizzati. In questi tempi si sta male in Ucraina, dove i negozi di generi alimentari piangono, e dove si è confrontati con un’emigrazione di massa, non certo verso l’Eldorado. Ma si sta male anche in Russia, dove la qualità della vita sta precipitando e dove le voci del dissenso – che provengano dalla piazza o dai media – vengono brutalmente zittite. Le misure prese dalle grandi federazioni sportive internazionali, così come quelle adottate da singoli club, vedi lo Jokerit di Helsinki che ha deciso di ritirarsi dalla KLM poiché comprende squadre russe, vanno a colpire il narcisismo dei capi di Stato.
Non credo infatti che attualmente tra le priorità della popolazione russa ci sia quella di vedere i suoi atleti evolvere su palcoscenici internazionali. Ma non credo neppure che le sanzioni possano indurre Vladimir Putin a tornare sui suoi passi. Per la Russia si tratta del secondo fragoroso schiaffo in pochi anni, dopo quello incassato per lo scandalo doping messo a nudo ai Giochi Olimpici di Sochi del . È una sberla ancora più dolorosa poiché taglia fuori quasi del tutto gli atleti e le atlete di questa storica potenza, erede di quella sovietica. Nei giorni scorsi c’è stato spazio anche per le negoziazioni, alla ricerca di un’intesa per un eventuale cessate il fuoco. Ma sul fronte russo-ucraino si continua a combattere. Per il momento non si intravedono i contorni di un’auspicata fine delle operazioni belliche. Di Putin tutto si può dire, ma non
che non sia cinicamente astuto. Tra il e il , una volta ottenuta l’organizzazione dei Giochi Olimpici, il Governo guidato dal gerarca nativo di San Pietroburgo aveva sgobbato affinché il mondo potesse ammirare l’edizione più sontuosa e magniloquente della storia. In realtà si è trattato di quella più militarizzata, più costosa e meno sostenibile dal punto di vista ambientale. In quegli anni il fronte russo-ucraino si stava aprendo. L’annessione della Crimea partì in sordina durante i Giochi, ma divenne palese dopo che la fiamma olimpica fu spenta. I buonisti sostennero che Putin aveva voluto rispettare la tregua olimpica. Mah, ho qualche perplessità. Pochi giorni dopo si ripartiva con i Giochi Paralimpici, che forse il leader del Cremlino reputava entità trascurabile. Tra l’altro anche quest’anno tocca alle Paralimpiadi fare da sottofondo alla guerra. Con o senza atleti
russi, avranno purtroppo ancora meno risalto mediatico. La Russia pagò comunque la sua smania di strafare. Lo scandalo doping si abbatté su di lei come un’inarrestabile valanga. È una macchia che rimane e che ancora oggi, e fino alla fine del , costringe i suoi atleti a gareggiare sotto le insegne del Comitato Olimpico Russo, senza bandiera e senza inno. Le attuali sanzioni avranno invece una durata condizionata. Se giungessero rassicuranti segnali di distensione e di pace potrebbero rientrare con la stessa rapidità con la quale sono state sancite. Il calendario sportivo ne uscirebbe ulteriormente stravolto. Ma vuoi mettere che gioia! Poi non dimentichiamo che oltre due anni di pandemia hanno forgiato il nostro senso di flessibilità e di improvvisazione. Sono certo che tutti saremmo disposti a rivedere i nostri schemi mentali e le nostre certezze. Me lo auguro.
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Settimanale di informazione e cultura
Anno LXXXV 14 marzo 2022
ATTUALITÀ
azione – Cooperativa Migros Ticino 23
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La crisi ucraina vista da est In Pakistan prevale il sentimento anti-occidentale mentre l’India rimane legata a Mosca
Storia maestra di vita? Entriamo nei meccanismi che portarono allo scoppio della Prima e della Seconda guerra mondiale
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La Diplomazia del ping pong Le relazioni tra le due superpotenze che si contendono il primato mondiale: Usa e Cina
Rischio di stagflazione All’inflazione in crescita potrebbe aggiungersi una recessione a causa della guerra in Ucraina
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Lo zar sull’orlo del precipizio Il punto
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La Russia sta subendo perdite devastanti soprattutto sul piano economico e Vladimir Putin rischia grosso
Anna Zafesova
«Non abbiamo attaccato l’Ucraina». Ha dichiarato giovedì scorso il ministro degli esteri russo Sergey Lavrov. Una palese bugia che sembrava chiudere, almeno per quel momento, ogni prospettiva di soluzione diplomatica. E il suo collega ucraino Dmytro Kuleba ha confermato, dopo un colloquio lampo a seguito della mediazione turca, che «i russi vogliono soltanto la resa». La guerra prosegue dunque, sempre più cruenta man mano che il fallimento del Blitzkrieg russo diventa evidente, e l’impossibilità di ammetterlo rende gli attacchi delle truppe di Mosca disperatamente brutali. Prima di capire dove potrebbe fermarsi Vladimir Putin, e a quali condizioni, il problema è dunque come convincerlo a fermarsi. Quali shock devono arrivare al Cremlino per spingere il suo inquilino a rassegnarsi a una realtà che non corrisponde alle sue ambizioni e ai suoi piani?
Il primo e più evidente fronte di combattimento è quello reale, sul terreno. Dopo due settimane i militari russi non sono riusciti a prendere nessuna delle grandi città ucraine. La resistenza dell’esercito ucraino è merito dell’ispirazione di chi difende la propria terra, ma anche degli aiuti degli alleati Nato: i droni turchi Bayraktar, i razzi anticarro Nlaw dei britannici e i Javelin americani stanno facendo la differenza nel fermare le colonne corazzate che puntano su Kiev. Ma un altro alleato insperato è la disorganizzazione degli invasori: è ovviamente lecito sospettare di propaganda di guerra le dichiarazioni dei militari ucraini sui mila caduti russi, ma le decine di video e fotografie che riempiono i social, di soldati russi che si arrendono agli ucraini, sono stati autenticati dai loro genitori in Russia. Così come sono stati verificati decine di filmati di carri e aerei russi abbattuti, e di blindati impantanati e trascinati via dai trattori dei contadini ucraini. Il Pentagono stima le vittime russe in - mila (alla fine di settimana scorsa), un numero enorme se si considera che in dieci anni di invasione dell’Afghanistan Mosca aveva perso meno di mila uomini. Il secondo fronte sul quale Putin sta subendo un attacco devastante è quello economico. Le sanzioni occidentali hanno colpito gli oligarchi e i capi del regime, inclusi lo stesso presidente e il suo ministro Lavrov, privando un’intera classe dirigente di deputati, propagandisti e imprendito-
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La resistenza dell’esercito ucraino è merito dell’ispirazione di chi difende la propria terra e degli aiuti degli alleati Nato
ri della possibilità di godere delle loro ricchezze in Europa. Ma gli yacht e le ville sono soltanto danni collaterali di un’offensiva che ha visto la borsa di Mosca polverizzata e il rublo dimezzato. L’agenzia Fitch ha declassato l’economia russa a livello di default e la JP Morgan pronostica un calo del Pil del %. In pochi giorni la Russia si è ritrovata senza più aerei con cui volare all’estero, banche con cui effettuare i pagamenti e tecnologie con cui armare anche il proprio arsenale. A queste sanzioni governative si è aggiunto un boicottaggio globale dei maggiori marchi internazionali: in poco tempo i russi hanno perso praticamente tutti i prodotti e servizi che avevano costituito il benessere putiniano, quello in nome del quale molti avevano rinunciato alla protesta politica. McDonald’s e Spotify, Toyota e Netflix, Samsung e Zara: la Russia si sta risvegliando nel , perdendo trent’anni di modernizzazione e globalizzazione. Gli Usa hanno annunciato di non comprare più il petrolio russo e l’Unione europea ha fatto partire un piano per tagliare il prima possibile le forniture di energia russa. Le speranze del Cremlino in un aiuto cinese sono abbastanza fragili: la costruzione di nuovi gasdotti impiegherebbe anni e Xi Jinping già in passato si era rifiu-
tato di pagare il metano russo a prezzi europei. Inoltre Pechino sembra restio ad abbracciare l’idea di Putin di uno scontro totale con l’Occidente: la sua economia è molto più interdipendente e se ha affiancato Mosca nella richiesta di ridisegnare le sfere d’influenza, non ha intenzione di seguire la sua crociata revanscista alla riconquista dell’Urss perduta. La Cina
È una guerra contro il tempo, dunque, prima che la Russia si trovi definitivamente isolata dal resto del mondo vorrebbe anche evitare di venire colpita dalle sanzioni «secondarie», e ha rifiutato ai russi la fornitura dei pezzi per gli aerei sanzionati dall’Europa e dagli Usa. Qualcuno sospetta che i cinesi stiano aspettando il tracollo definitivo dell’economia russa per comprare a prezzi da liquidazione le società più appetibili, ma questo significherebbe in ogni caso la fine del regime politico attuale, se non altro perché con una guerra in corso il valore di questi titoli rimarrebbe pari più o meno a zero. È una guerra contro il tempo, dunque, prima che la Russia si trovi definitivamente isolata, con una cortina
di ferro che sta calando anche sugli scambi culturali, mentre decine di migliaia di russi stanno cercando la fuga con gli ultimi aerei in partenza. Istanbul e Tbilisi si sono riempite di intellettuali e creativi in attesa di un passaggio verso occidente. Molti di più non riescono a scappare: i voli sono stati bloccati, i risparmi polverizzati, le carte di credito non funzionano più e l’ordine di Putin di non poter prelevare più di mila dollari dal proprio conto per sei mesi rende impossibile la fuga con i contanti. I risparmi di decine di milioni di persone sono annientati, mentre i prezzi crescono vertiginosamente e molte catene commerciali hanno già introdotto limiti all’acquisto di beni alimentari poco deperibili come zucchero, farina e conserve. È vero che i canali dove manifestare lo scontento sono stati bloccati – Facebook e Twitter sono stati banditi, i media indipendenti russi chiusi e quelli internazionali oscurati – e qualunque dissenso pubblico sulla guerra ora può essere punito con una condanna fino a anni di carcere. Però è evidente che l’impoverimento così rapido di un intero paese, unito al rischio di vedere i propri figli venire mandati in guerra – Putin ha promesso che i militari di leva non sarebbero stati mandati oltre confine, ma è stato subito smentito
dai suoi stessi generali che hanno ammesso l’utilizzo di coscritti – minerà ulteriormente i consensi già abbastanza scarsi del regime. Nei anni precedenti le guerre avevano sempre giovato alla popolarità di Putin, ma stavolta perfino i sondaggisti «ufficiali» registrano il % di dichiaratamente contrari, più un altro % che si rifiuta di rispondere. I numeri reali probabilmente sono diversi e cambieranno ulteriormente appena gli effetti delle sanzioni colpiranno non solo la classe media e l’intellighenzia, ma anche i ceti meno abbienti. Il dilemma del Cremlino è quindi la necessità di chiudere rapidamente la guerra senza però perdere la faccia, e l’impossibilità per ora di fare arrivare questa consapevolezza al vertice. Ogni giorno di bombardamenti aumenta la conta delle vittime ucraine, e quindi l’indignazione dell’opinione pubblica internazionale e la risolutezza dei governi a punire una Russia che ogni giorno si vede rivolgere contro sanzioni impensabili fino alla settimana prima. La migliore speranza di Putin, a questo punto, è sopravvivere rinchiudendosi in un Paese trasformato in una Corea del Nord, isolato e povero, a governare una élite che potrebbe essere la prima a volerlo eliminare per riprendersi almeno una parte delle proprie ricchezze.
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Settimanale di informazione e cultura
Anno LXXXV 14 marzo 2022
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azione – Cooperativa Migros Ticino
ATTUALITÀ
L’aggressione di Putin vista da est L’analisi
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Il prevalere del sentimento anti-occidentale in Pakistan e gli interessi dell’India, strategicamente legata a Mosca
Francesca Marino
«Che momento per arrivare qui, c’è così tanta eccitazione!». Così parlava, lo scorso febbraio, il premier pakistano Imran Khan avviandosi al suo albergo di Mosca proprio mentre Vladimir Putin annunciava l’invasione dell’Ucraina. Khan, impermeabile alle critiche come alla geopolitica, aveva la faccia del gatto che ha appena ingoiato il suo topolino preferito, visto che sulla «libera» stampa pakistana si sprecavano le lodi al viaggio del «primo premier pakistano a mettere piede in Russia negli ultimi anni». Così, mentre Putin bombardava, Khan si sedeva alla tavola extralarge del presidente russo e si intratteneva in chiacchiere più o meno da salotto. Visto che, al suo ritorno a casa, nella borsa dei pakistani non si poteva trovare nemmeno uno straccio di accordo firmato.
Il Pakistan si è rifiutato di votare la risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu che condannava l’invasione russa Alle ripetute critiche, i fan del premier pakistano rispondevano che non aveva avuto il coraggio di parlare di pace a Putin mentre impazzava la guerra. Sarà, ma il Pakistan, insieme ad altri paesi, si è rifiutato di votare la risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu che condannava l’invasione russa dell’Ucraina, seguendo pedissequamente le indicazioni date dai padroni cinesi. E alle pressioni europee Khan rispondeva sdegnato: «Noi non siamo gli schiavi di nessuno». Guadagnandosi alla fine in Parlamento una mozione di sfiducia da parte dei partiti di opposizione. D’altra parte, Khan si è limitato a cogliere gli umori popolari: cre-
ati ad arte dalle solite migliaia di bot (software che, accedendo al web sfruttando gli stessi canali utilizzati da veri utenti, sono in grado di svolgere i compiti più vari in maniera autonoma) sia cinesi sia russi che imperversano online nel sud dell’Asia. Facendo leva su una delle più vecchie e prestigiose narrative pakistane: l’odio contro l’America e l’Occidente tutto, colpevoli di ogni male della società locale. È stata l’America a creare il terrorismo in Pakistan «per cui Islamabad ha pagato un prezzo altissimo», è l’Occidente a mantenere il Pakistan nella lista grigia della Financial action task force, è colpa dell’Occidente se l’economia pakistana ha un disperato e continuo bisogno del Fondo monetario internazionale, sono i costumi importati dall’Occidente che causano stupri e violenze nei confronti di donne e bambini. Quindi, quando per una volta sono «i bianchi che ammazzano i bianchi» (citazione testuale), non bisogna farne un dramma. Anzi, bisogna sostenere Putin per dare una lezione all’Occidente. Accusato via social media di razzismo verso i profughi di colore e di usare standard diversi per i rifugiati ucraini, «biondi e con gli occhi azzurri», e per quelli siriani o afgani. La stessa narrativa si ritrova, per ragioni diverse, dall’altra parte del confine. L’India è stata difatti l’unica democrazia ad astenersi dal voto di condanna per la Russia in sede Onu. La decisione è stata acclamata, in India, in modo praticamente unanime sia dalla stampa sia dai media, su cui circolavano e circolano gli stessi video e post di propaganda filo-russa. In questo caso, a influire non è tanto il sentimento anti-occidentale, che pure striscia da qualche anno sottotraccia nella società india-
Il 24 febbraio scorso Imran Khan ha incontrato Vladimir Putin al Cremlino. (AFP)
na, ma considerazioni di natura geopolitica e storica. La Russia, per farla breve, è il principale fornitore di armi dell’India: il % dei mezzi e dei sistemi adoperati dall’esercito è ancora di origine russa. E anche se negli ultimi anni la dipendenza da Mosca si è notevolmente ridotta, le importazioni indiane di armi dalla Russia ammontano ancora a un buon % del totale della spesa militare. Non solo: lo scorso dicembre Narendra Modi e Putin hanno firmato una serie di accordi commerciali e militari, incluso un programma di cooperazione militare e tecnica di anni che vedrà l’India produrre mezzo milione di Kalashnikov. L’India costruisce già missili BrahMos in collaborazione con la Russia e ha acquistato il sistema di difesa aerea S- da Mosca, come deterren-
te strategico contro Pakistan e Cina. Un’impresa statale russa sta inoltre costruendo la più grande centrale nucleare dell’India. E l’India, assetata di energia, conta sul petrolio e sul gas russi per rilanciare la sua economia. In Ucraina si trovavano migliaia di studenti indiani (e migliaia negli anni passati hanno studiato in Russia o in altri paesi dell’ex Unione sovietica) che dovevano essere evacuati in modo sicuro e di cui circolavano in rete video in cui venivano picchiati dagli ucraini. È inoltre molto difficile per Delhi archiviare decenni di storia di cooperazione diplomatica con la Russia su diverse questioni. Quindi, per quanto a disagio il governo indiano possa sentirsi sull’invasione dell’Ucraina, l’India continuerà a seguire la vecchia strategia del «non allinearsi» e a «promuovere il dialogo».
Vecchie formule, certo, che consentono però a Delhi di continuare a destreggiarsi tra alleanze moscovite e alleanze occidentali. La buona vecchia realpolitik di cui Delhi è sempre stata maestra: d’altra parte è l’interesse nazionale a guidare sempre e comunque le scelte strategiche indiane e non la logica delle alleanze. Così, mentre gli americani e l’Europa mettono Islamabad sotto pressione, le proteste nei confronti di Delhi si limitano a una generica e blanda routine. Perché, proprio come l’India non può permettersi di perdere la Russia, gli Stati Uniti non possono permettersi di perdere l’India. Hanno bisogno dell’altra entità per affrontare in modo efficace la Cina, che minaccia l’India ai confini e l’America in termini di leadership globale.
Dove cresce la voglia di entrare nella Nato Paesi nordici
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Svedesi e finlandesi sono sempre più preoccupati dalla guerra in Ucraina e dalle mire espansionistiche russe
Irene Peroni
«Un possibile ingresso nella Nato? Gli svedesi sono preoccupati, ma di solito non amano discutere questioni così delicate in pubblico, forse anche per scaramanzia. Abbiamo perfino un proverbio: non dipingere il diavolo sul muro». A parlare è Lena Karmann, imprenditrice nel settore turistico, dalla sua casa immersa nella natura nell’arcipelago di Stoccolma. «E poi forse come popolo siamo un po’ ingenui. In fondo la Svezia è riuscita a rimanere estranea a tutte le guerre per più di anni e quindi sembra impossibile che possa toccare anche noi». Negli ultimi tempi si è discusso molto intensamente della possibilità che Svezia e Finlandia possano aderire al patto atlantico. La Nato sarebbe pronta ad accoglierle in tempi rapidi, come sottolineato più volte, forse in modo un po’ incauto, dal segretario generale Jens Stoltenberg (che è norvegese). Una simile mossa manderebbe su tutte le furie Vladimir Putin, il quale negli ultimi tre mesi ha minacciato i due paesi nordici di «gravi conseguenze politiche e militari», qualora prendessero una decisione in tal senso. La Svezia sta vivendo oggi un mo-
mento molto delicato della sua storia. Paese non-allineato durante la guerra fredda, si è scoperto negli ultimi anni sguarnito e vulnerabile dal punto di vista militare, tanto da dover correre ai ripari, riarmando in tutta fretta Gotland, un’ampia isola nel Mar Baltico, considerata un po’ il suo «tallone d’Achille». «Prima che la Svezia ci piazzasse delle truppe permanenti poteva essere un facile obiettivo per un attacco ibrido, come la Crimea», spiega ad «Azione» Patrik Oksanen, scrittore, giornalista ed esperto di difesa. «Adesso invece ci vorrebbe un’operazione molto più imponente e dall’esito incerto». Sebbene molti svedesi stentino a credere che la Russia possa sferrare un vero e proprio attacco militare nei loro confronti, i loro timori riguardo alla guerra in corso traspaiono chiaramente dagli acquisti delle ultime settimane. Non è certo un caso che le farmacie siano rimaste a corto delle speciali compresse di iodio da assumere in caso di incidenti nucleari. Inoltre i grandi magazzini hanno registrato un aumento vertiginoso nella vendita di generatori portatili, taniche d’acqua, fornelli da campeggio (la vendita di questi ultimi è decuplicata
nelle ultime settimane), sacchi a pelo e perfino radio a energia solare. Non si tratta di scorte improvvisate: a dare precise indicazioni sugli acquisti è una speciale brochure dal titolo «In caso di emergenza o di guerra», prodotta e distribuita dalla protezione civile e disponibile anche su internet. Di certo c’è stata una trasformazione rapida e molto profonda nell’opinione pubblica. Nel giro di pochi mesi lo schieramento a
La premier svedese Magdalena Andersson. (Shutterstock)
favore della Nato è cresciuto a vista d’occhio: in Finlandia ha raggiunto il %, mentre nella vicina Svezia ci si attesta sul %. In nessuno dei due paesi si era mai raggiunta la maggioranza su questo tema. Anche la decisione della Svezia di spedire armi anti-carro in Ucraina non ha precedenti da oltre ottant’anni; eppure non è stata seguita da particolari contestazioni. Dopo giorni di accese discussioni e di speculazioni a livello internazionale, la premier svedese Magdalena Andersson, socialdemocratica, ha però tentato di calmare le acque escludendo un dibattito immediato sul tema dell’adesione alla Nato. «Contribuirebbe a destabilizzare ulteriormente la situazione», ha dichiarato. Diverso è l’atteggiamento della Finlandia, che con la Russia condivide una frontiera di oltre km e che ancora ricorda la guerra d’inverno scoppiata nel , in seguito alla quale dovette cedere circa il % dei propri territori all’Unione Sovietica. La premier Sanna Marin, anche lei di centro-sinistra, appare molto più determinata rispetto alla collega svedese. Questa volta potrebbe dunque essere la Finlandia a fare da trai-
no alla Svezia piuttosto che seguirne le mosse. Ma è possibile che Svezia e Finlandia, tra le quali c’è una strettissima collaborazione a livello della difesa, possano prendere strade diverse su una questione tanto delicata? Secondo Oksanen è fondamentale che agiscano di concerto: «Se uno dei due paesi facesse domanda e l’altro no si creerebbe uno squilibrio strategico. La Russia potrebbe sfruttare i rischi che ne seguirebbero e trarne beneficio. L’intera area nordica e baltica sarebbe più sicura se Svezia e Finlandia entrassero nella Nato in contemporanea». Lena Karmann e il marito nel frattempo hanno rimpolpato le loro scorte d’emergenza. Da loro l’acqua potabile e la legna da ardere non mancano; inoltre hanno un piccolo generatore a disposizione, qualora dovesse mancare la corrente elettrica. Ma l’imprenditrice è convinta che, su questo come su tanti altri temi, sarà come sempre la politica a farla da padrona: «Quest’anno ci sono le elezioni parlamentari, qui in Svezia. Sono certa che i politici useranno il dibattito sull’Alleanza atlantica come paravento per evitare di affrontare altre emergenze sociali».
«Meno dolce di quanto si potrebbe pensare, il suo gusto ci ha veramente sorpresi e conquistati. E gustata fredda è assolutamente irresistibile.» Famiglia Murati, Aristau AG
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ATTUALITÀ
I torbidi meccanismi della guerra Prospettive
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La storia è maestra di vita? A giudicare da cosa abbiamo imparato dai due conflitti mondiali si direbbe di no
Alfio Caruso
Non è vero che la storia sia maestra di vita. Se lo fosse, il ci avrebbe insegnato che una guerra distruttiva può essere anche figlia di un desiderio assoluto e generalizzato di non scatenarla; e il ci avrebbe insegnato che, a seconda delle reali intenzioni dei partecipanti, ogni trattativa può rappresentare la via più breve verso una guerra distruttiva. Aggiungiamo che l’embargo petrolifero degli Usa nei confronti del Giappone, luglio , fu la causa dell’attacco nipponico a Pearl Harbour. Nell’Europa spensierata della Belle époque, la cui pace sembra garantita da una mole imponente di trattati, il giugno equivale all’ settembre . L’attentato di Sarajevo manda gambe all’aria ogni equilibrio, come accadrà con l’attacco di Al Qaeda alle Torri Gemelle di New York. Quel giugno Francesco Ferdinando, principe ereditario d’Austria-Ungheria, è in visita ufficiale con la consorte nella capitale della Bosnia, estremità meridionale del vastissimo impero. Sfuggito al lancio di una bomba, anziché allontanarsi, il principe va a salutare i feriti in ospedale. L’autista sbaglia però percorso: in tal modo Francesco Ferdinando e la moglie sull’auto scoperta finiscono a pochi metri dalla pistola di Gavrilo Princip. È uno studente militante nella Giovane Bosnia, raggruppamento mirante alla riunificazione di tutti gli jugoslavi, in stretto contatto con la Serbia. I due colpi della Browning di Princip feriscono mortalmente l’arciduca e la moglie. Francesco Ferdinando sconta la fama di protettore degli slavi e il progetto di costituire, una volta salito al trono, una terza entità statuale da affiancare all’Austria e all’Ungheria. Un pericolo agli occhi della Mano Nera, il movimento guidato dal capo dei servizi segreti di Belgrado, Dragutin Dimitrijevic, detto Apis, e aspirante alla costituzione di una nazione jugoslava. Da qui l’ispessirsi dei rapporti con i patrioti della Giovane Bosnia. A Vienna considerano il doppio omicidio di Sarajevo la prova definitiva degli intrighi serbi per disgregare la duplice monarchia. Tre settimane di accurate indagini servono per verificare che la Germania onorerà la sua alleanza militare e per convincere lo scettico conte ungherese Tisza, capo del governo magiaro. Il luglio l’Austria-Ungheria invia un ultimatum pesantissimo alla Serbia: vengono lasciate soltanto ore per la risposta. Lo stesso giorno, dopo un incontro riservato con Pio X e con il segretario di Stato, cardinale Merry del Val, Otto von Ritter, ministro della Baviera presso la Santa Sede, spedisce il seguente telegramma: «Il Papa approva l’azione vigorosa dell’Austria contro la Serbia e, in caso di guerra contro la Russia, ritiene che le armate, sia russe sia francesi, non siano di livello elevato. Il cardinale segretario di Stato spera anche che l’Austria questa volta tenga duro». Il Vaticano è preoccupato dalla politica zarista nei Balcani: teme che favorirà i cristiani ortodossi a danno dei cattolici; è convinto che l’Austria costituisca il più efficace dei baluardi; intravede nelle scelte della Gran Bretagna e della Francia l’interventismo massonico – più o meno come il patriarca di Mosca contro i gay coccolati dall’Occidente – quindi assegna agli imperi centrali il compito di proteggere gli interessi della Chiesa di-
Da sinistra: Neville Chamberlain, Édouard Daladier, Adolf Hitler e Benito Mussolini nel settembre 1938. (Shutterstock)
menticando, opportunamente, che la maggioranza tedesca sia protestante. Dietro la pressione di Francia e Gran Bretagna, che non hanno alcuna voglia di scendere in campo per difendere i serbi, questi accettano la gran parte dei dieci punti dell’ultimatum. Si mostrano disponibili pure dove esprimono qualche riserva. L’accordo sembra a un passo con sollievo generale. Ma la Russia non è contenta: considera che la flotta e l’esercito siano i suoi imbattibili alleati – vecchia massima dello zar Alessandro III, il modello di Vladimir Putin – dunque sobilla Belgrado a rigettare l’ultimatum. Si rassegna pure l’enne Francesco Giuseppe, da sessantasei anni sul trono d’Austria-Ungheria. Il passo finale viene deciso quasi a cuor leggero a Vienna, la capitale più affascinante d’Europa, da inizio secolo crogiolo di civiltà e di culture: dai valzer travolgenti di Strauss alle teorie spiazzanti di Freud. Ogni giorno nei suoi caffè, nei suoi teatri, nei suoi viali alberati si alzano inni alla felicità della vita: talenti di ogni continente ne sono attratti, a eccezione del giovane Adolf Hitler respinto e indotto ad abbandonarla. Un’atmosfera che ha contagiato ogni capitale europea, dove prevedono che in ogni caso si tratterà di una scaramuccia con poche schioppettate e in breve tempo si tornerà allo champagne, ai café chantant, alle ultime invenzioni del cinema e dell’aereo. Così la guerra, che nessuno vuole, diventa inevitabile, lo sfogo per ogni problema irrisolto. Le oligarchie di Berlino, di San Pietroburgo, di Vienna inseguono nel conflitto la soluzione dei crescenti problemi interni: in Germania opporre una vittoria militare ai successi politici del partito socialdemocratico; in Russia bloccare il dilagante malcontento di contadini e operai; in Austria mettere un freno alle tante nazionalità ansiose di autonomia. E allora possiamo immaginare come una vendetta dei tanti milioni di morti e feriti (rispettivamente e circa, secondo l’Enciclopedia Treccani) che i tre imperi responsabili del conflitto – russo, tedesco e austroungarico – siano saltati per aria. Salto in avanti nel tempo. Il e il settembre nella Conferenza di
Monaco il premier inglese Chamberlain e quello francese Daladier sono persuasi di aver trovato con Hitler e il suo maggiordomo Mussolini l’intesa capace di «garantire pace per il no-
stro tempo». Chamberlain lo sostiene al suo ritorno a Londra sventolando sulla scaletta dell’aereo l’inutile foglio di carta siglato dai quattro contraenti. L’accordo è raggiunto sulla pelle della
Cecoslovacchia, i cui rappresentanti neppure sono ammessi al tavolo della trattativa: dovrà cedere alla Germania la regione dei Sudeti a prevalenza tedesca. Hitler firma sapendo già che calpesterà il pezzo di carta. La strada per il secondo conflitto mondiale è aperta. Come, per altro, pronosticato da Churchill: «Potevano scegliere tra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore, avranno la guerra». Chamberlain e Daladier si sono fidati di Hitler, benché nel ’ abbia occupato la Renania, mostrato il riarmo della Wehrmacht e nel marzo ’ abbia provveduto ad annettere la natia Austria al Terzo Reich. Pure in questo caso se n’è fregato del trattato firmato due anni prima con l’assicurazione di non interferire negli affari interni di Vienna. Che ha nel mirino già dal ’, quando l’aveva fermato l’Italia inviando un’armata al confine. Adesso, però, Mussolini è solo un folcloristico servitore e l’esercito germanico è stato addestrato e rifornito in maniera adeguata. Ecco che cosa ci racconta la storia, se volessimo imparare da essa. Ci spinge a dubitare sia delle promesse, sia a credere che la pace interessi davvero a tutti coloro che a parole la inseguono. In quattromila anni mai è mancato chi abbia tentato di approfittare della buona volontà altrui. Putin da che parte sta? Annuncio pubblicitario
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17 semplici trucchi per risparmiare corrente elettrica in cucina
Che si tratti di riscaldare il cibo o di lavare i piatti: in cucina si può sprecare molta elettricità. Ti mostriamo come risparmiare
Ai fornelli
1. Se hai bisogno di acqua calda o bollente, è più ecologico scaldarla prima nel bollitore e poi versarla nella pentola. 2. Se ti manca ancora il coperchio di vetro per la pentola di cottura, procuratene uno. Questo non solo ti dà un maggiore controllo sul cibo, ma ti fa risparmiare anche energia perché non devi aprire la pentola troppo spesso.
3. A proposito di coperchio: assicurati che si adatti esattamente alla pentola e che non sia troppo grande. Con un coperchio adatto si accorcia il processo di cottura e usa da tre a quattro volte meno energia. 4. Chi ama la pasta dovrebbe scaldare solo tanta acqua quanta ne serve effettivamente. Ogni decilitro in più è energia sprecata. 5. Il sale deve essere aggiunto all’acqua solo quando bolle, senza sale infatti l’acqua si riscalda più velocemente.
In forno
6. Anche se hai imparato il contrario: il preriscaldamento è superfluo. Metti la casseruola, la pizza o il pane nel forno (ancora) freddo, dall’inizio. Poi lascia i piatti nel forno un po’ più a lungo di quanto indicato dalla ricetta. 7. Cuoci con aria ventilata quando possibile. In questo modo, puoi sempre spegnere il forno da 5 a 10 minuti prima e usare il calore residuo per terminare la cottura.
8. Il forno non è adatto a riscaldare il cibo. Per questo, meglio usare una padella o il microonde. In confronto, il forno ha bisogno di circa sette volte più energia per riscaldare il cibo. 9. Anche qui, la regola è: non guardarci dentro troppo spesso. Ogni volta che lo sportello del forno viene aperto, si perde circa il 20% dell’energia.
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MONDO MIGROS
In frigorifero
10. La cosa più importante del frigorifero è che la porta si chiuda bene. Questo significa che la guarnizione della porta deve essere intatta non incrinata né rotta. Inoltre, lo strato di ghiaccio o gli imballaggi dei prodotti non devono interferire con la chiusura della porta. 11. Il frigorifero deve essere freddo, ovviamente. Ma quanto freddo? Una temperatura del frigorifero di 6 gradi è sufficiente - non 4 gradi, come spesso si pensa.
12. Il cibo congelato è meglio scongelarlo in frigorifero durante la notte. In questo modo, il freddo estratto viene utilizzato direttamente dal frigorifero, il che fa di nuovo risparmiare energia. 13. Gli avanzi dovrebbero essere messi in frigorifero solo una volta raffreddati del tutto, altrimenti il calore rilasciato deve essere compensato. 14. Quando si apre la porta del frigorifero, si dovrebbe sapere esattamente cosa mettere dentro e cosa tirare fuori. Chiunque apra il frigo per starci davanti a lungo spreca energia.
In lavastoviglie
15. La lavastoviglie va riempita sempre al massimo e conviene scegliere il programma economico. 16. Il pre-risciacquo è sopravvalutato: è sufficiente pulire prima i residui di cibo con una spazzola. 17. Non lavare troppo a mano: sprecheresti più acqua del programma economico della lavatrice.
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ATTUALITÀ
Quel ping pong tra americani e cinesi Storia
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Viaggio nel tempo alla scoperta delle relazioni tra le due superpotenze che si contendono il primato a livello mondiale
Alfredo Venturi
Mentre gli occhi del mondo sono puntati sulla Russia e sulla guerra in Ucraina, intraprendiamo un viaggio nel tempo alla scoperta delle relazioni tra le due superpotenze che si contendono il primato a livello internazionale: Stati Uniti (che settimana scorsa hanno chiuso il mercato a gas, greggio e carbone russo) e Cina (la quale ha dichiarato che la sua amicizia con Mosca rimane «solida come la roccia»). Chi l’avrebbe mai detto che perdendo l’autobus si può innescare un meccanismo capace di cambiare la storia? È quello che un giorno di primavera del capitò a Glenn Cowan, un asso della squadra americana di ping pong impegnata a Nagoya, Giappone, nel campionato mondiale. Quando Cowan uscì dalla palestra dove aveva completato l’allenamento era in leggero ritardo e l’autobus della sua squadra si era allontanato senza di lui. Ma c’era nei pressi quello cinese e decise di prendervi posto. Un americano su un autobus cinese! Erano i tempi in cui a Pechino e dintorni furoreggiava il mito della lotta di classe contro l’imperialismo yankee, i rapporti fra gli Stati Uniti e la Cina si erano bloccati nel , con l’avvento dei comunisti al potere e l’arroccamento a Taiwan di Chiang Kai-shek e del suo Kuomintang.
Cinquant’anni fa Richard Nixon visitò la Cina e incontrò Mao Tse-Tung. Era il primo viaggio di un presidente americano nella Repubblica popolare C’era sull’autobus un’atmosfera di grande imbarazzo, gli atleti cinesi evitavano perfino di guardare in faccia il passeggero inatteso. Ma Zhuang Ze-dong, un campione popolarissimo in patria, poteva permettersi di rompere il ghiaccio. Dopo avere esitato a lungo chiamò l’interprete, sedette accanto a Cowan, gli strinse la mano, cominciò a chiacchierare con lui e gli regalò una sciarpa di seta. Gli disse che i rapporti fra i loro Paesi non erano amichevoli, ma i due popoli erano amici. Quando l’autobus arrivò a destinazione c’era in attesa una folla di giornalisti e fotoreporter. Il giorno dopo i giornali cinesi e internazionali pubblicarono l’immagine di Zhuang e Cowan che si sorridevano.
Il aprile la squadra americana ricevette a Nagoya da quella cinese l’invito a visitare la Repubblica popolare. Nessun dubbio, dietro questi sviluppi c’era il governo di Pechino: stava nascendo quella che passerà alla storia come Diplomazia del ping pong. In quei primi anni Settanta del Novecento lo sfondo geopolitico era tale da incoraggiare un riavvicinamento fra Stati Uniti e Repubblica popolare. Da una parte la Cina desiderava uscire dall’isolamento in cui l’avevano cacciata gli sviluppi della rivoluzione culturale, e guadagnare qualche punto nella disputa non solo ideologica con Mosca, dall’altra gli Usa, a loro volta impopolari in Asia e altrove a causa della guerra in Vietnam, intendevano aprirsi all’immenso paese e al tempo stesso avviare una politica di contenimento dell’Unione Sovietica nell’area del Pacifico. Ma c’era un ostacolo apparentemente insormontabile, Taiwan, formalmente la sola legittima rappresentante del popolo cinese, non a caso titolare di un seggio alle Nazioni Unite e nello stesso Consiglio di sicurezza come membro permanente con diritto di veto. Per negoziare un’intesa in simili circostanze ci volevano una buona dose di pragmatismo e diplomatici d’eccezione. Come Henry Kissinger, consigliere per la sicurezza nazionale che presto sarà segretario di Stato, e Chou En-lai, primo ministro cinese. Il presidente Richard Nixon aveva più volte ribadito che Washington non avrebbe mai abbandonato Taiwan, mentre i cinesi non perdevano occasione per affermare che quello era un loro problema interno. Eppure la difficile trattativa prese il via. Kissinger fece due viaggi in Estremo Oriente cercando invano di promuovere la visione delle «due Cine» coesistenti alle Nazioni Unite, inaccettabile per la Repubblica popolare. Ad alleggerire la tensione fu il voto con cui nell’ottobre del l’assemblea generale dell’Onu espulse Taiwan assegnando a Pechino il seggio nel Consiglio di sicurezza. Ovviamente Chou si dichiarò non ancora soddisfatto, chiedendo il ritiro delle truppe americane e l’annessione dell’isola. Ricorrendo a quella che chiamava «ambiguità costruttiva», Kissinger cercò di spostare l’attenzione dal tema scottante di Taiwan e parlò di un possibile ritiro parzia-
Febbraio 1972. Richard Nixon incontra MaoTse-Tung in Cina. (Shutterstock)
le, da completarsi una volta conclusa la guerra vietnamita. Poi fu programmata una visita nella Repubblica popolare del presidente Nixon, che dal al febbraio coronò la storica apertura fra le due potenze. Nixon visitò diverse città cinesi, incontrò a Pechino Mao e Chou, e finalmente con quest’ultimo pose la sua firma in calce al «comunicato di Shanghai», frutto del riavvicinamento scaturito dalla diplomazia del ping pong. Quel documento, il primo testo concordato fra cinesi e americani dal , preannunciava la ripresa delle relazioni mentre elencava gli elementi di disaccordo. Un passaggio del comunicato ne rivela l’impostazione fondamentalmente anti-sovietica: là dove le parti dichiarano che nessun Paese deve cercare supremazia nell’area asiatico-pacifica e s’impegnano a opporsi ai tentativi di «qualsiasi altra potenza» volti a dominare la regione. In questo modo la Cina e gli Stati Uniti ricono-
scevano reciprocamente il loro ruolo nel Pacifico. Al tempo stesso Pechino insisteva sulle sue posizioni: il rispetto della sovranità di Laos, Cambogia e Vietnam, il sostegno alla Corea del Nord, la denuncia del «crescente militarismo giapponese». Quanto agli Stati Uniti, esprimevano genericamente il loro appoggio all’indipendenza dei Paesi dell’Asia sudorientale ma anche il sostegno alla Corea del Sud, mentre si impegnavano nuovamente a ridimensionare la presenza militare a Taiwan. Le vicende legate al caso Watergate e all’uscita di scena di Nixon rallenteranno il cammino della normalizzazione Cina-Usa. Bisognerà attendere il e la presidenza di Jimmy Carter per arrivare alla ripresa delle relazioni diplomatiche. Un acrobatico esercizio dialettico aveva dunque raggiunto l’obiettivo di far uscire la Cina continentale dall’isolamento senza sacrificare Taiwan, le cui prospettive di stabilità erano in
qualche modo migliorate dopo il riconoscimento cinese della presenza americana nell’area. Tuttavia la piccola Cina nazionalista resterà uno dei grandi temi conflittuali sul tappeto: Pechino continuerà a rivendicarla, gli Stati Uniti a dichiararla intoccabile. Ogni volta che le relazioni fra le due potenze attraversano fasi critiche il destino di Taiwan irrompe nell’attualità, la Repubblica popolare cinese manda i suoi cacciabombardieri in missione intimidatoria a sorvolare il territorio conteso, gli Stati Uniti ribadiscono che l’ilha formosa, come la chiamarono i portoghesi, è sotto la loro protezione. La Diplomazia del ping pong ha appianato alcune divergenze e ha permesso lo scambio di ambasciatori fra Washington e Pechino ma il dualismo cinese, retaggio della guerra civile che insanguinò per un quarto di secolo il grande Paese asiatico, è purtroppo rimasto una mina vagante. Annuncio pubblicitario
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Ci attende la stagflazione? Guerra in Ucraina
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Le economie occidentali prese nella morsa di prezzi crescenti e possibili rallentamenti della congiuntura
Ignazio Bonoli
Ovunque i dati di febbraio sull’inflazione erano attesi con una certa preoccupazione. Si dava per certa una conferma, e magari anche un’accentuazione, di una tendenza già evidente nel mese di gennaio e, in alcuni paesi, già dalla fine dello scorso anno. Lo scoppio della guerra in Ucraina ha ulteriormente acuito i timori di aumenti dei prezzi, cui si potrebbe però aggiungere un rallentamento dell’economia, generando così il fenomeno della stagflazione, cioè di un aumento dei prezzi, accompagnato da un rallentamento della congiuntura. Per il momento i prezzi a fine febbraio non hanno però ancora subito pienamente gli effetti della guerra in Ucraina e delle sue conseguenze sulle varie economie. In Svizzera, i prezzi in febbraio sono aumentati comunque dello ,% rispetto al mese di gennaio, generando quindi un tasso di rincaro annuo del ,% (in gennaio eravamo all’,%). L’eurozona era ormai già avviata a superare il % e a fine febbraio registrava un aumento medio del ,% su base annua. Dal canto loro, gli Stati Uniti erano già saliti a vertici che non si registravano più dal e hanno confermato un tasso di rincaro del ,%. Ma, come detto, la guerra in Ucraina sta radicalmente cambiando una situazione mondiale che dava già segni di tensione dall’inizio dell’anno. Significativo, per esempio, il fat-
to che in febbraio, su base annuale, in Svizzera i prezzi dei prodotti indigeni sono aumentati dell’,%, mentre quelli dei prodotti importati sono aumentati del ,%! Il principale responsabile di questo aumento è il prezzo dei carburanti, in particolare del petrolio e del gas. Due prodotti che saranno determinanti tanto per l’evoluzione dei prezzi, quanto per quella della congiuntura nei prossimi mesi. Intanto si sono già viste le ripercussioni immediate sui mercati valutari. Il franco e anche il dollaro hanno visto salire le loro quotazioni, mentre altre monete hanno subito forti ribassi. Il tonfo più grave lo ha logicamente subito il rublo, mentre l’euro è sceso alla parità con il franco svizzero. Questo scenario si ripeterà (e probabilmente si aggraverà) a dipendenza degli avvenimenti che caratterizzeranno la guerra in Ucraina e le reazioni occidentali (leggi sanzioni) contro la Russia. Sul piano economico le sanzioni politiche potrebbero, infatti, avere anche un effetto boomerang nei paesi che le mettono in atto. L’Europa (e anche gli Stati Uniti) sono però in gran parte dipendenti dal gas russo. Un rallentamento delle forniture potrebbe provocare un aumento (del resto già in atto) dei prezzi e anche una diminuzione della produzione, soprattutto in Europa. Non dimentichiamo che la Russia è un importante produttore ed esporta-
La guerra in Ucraina e la rinuncia al petrolio russo porta a continui aumenti del prezzo della benzina, anche più volte in un giorno. (Keystone)
tore di altre materie come alluminio, palladio, platino e rame, per citare solo le principali. D’altro canto, anche l’Ucraina è un importante esportatore di grano, di concimi, di semilavorati e importanti componenti. Le varie economie occidentali stavano del resto già soffrendo di difficoltà di approvvigionamento. La tendenza all’aumento dei prezzi verrà quindi rinforzata dall’inevitabile aumento dei costi di produzione e – magari a causa delle sanzioni – anche da un rallentamento della produzione di molti beni importanti. Questo proprio in un momento in cui i bilanci pubblici di molti paesi sono già appe-
santiti dalle spese dovute all’epidemia di Covid. Spese che stanno aumentando, proprio a causa della crisi russo-ucraina, sul piano degli armamenti e delle misure di difesa militare, ma anche economica. In sostanza si stanno vedendo oggi problemi che sembravano essere stati risolti dalla globalizzazione, cioè dalla ripartizione internazionale del lavoro e dal commercio mondiale. Si è creato invece un grosso problema che si dovrà tentare di risolvere al più presto, se non altro per evitare che alla stagflazione, che già si affaccia, si aggiunga un periodo lungo di crisi economica che colpirebbe il mondo intero.
Ne sono coscienti anche le varie banche nazionali che si vedono costrette a rinviare la soluzione dei problemi creati dall’indebitamento provocato dai sostegni all’economia tramite l’acquisto di titoli e tassi d’interesse vicini a zero. È evidente che questa politica non è più compatibile con tassi di inflazione in forte aumento. Le banche centrali sono però confrontate con un nuovo dilemma: sostenere un’economia che rallenta, ma nel contempo combattere l’inflazione crescente. Una situazione già vissuta negli anni Settanta, ma senza la pericolosa minaccia di una guerra su un intero continente. Annuncio pubblicitario
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Settimanale di informazione e cultura
Anno LXXXV 14 marzo 2022
azione – Cooperativa Migros Ticino
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ATTUALITÀ / RUBRICHE ●
Il Mercato e la Piazza
di Angelo Rossi
L’impatto della pandemia sul mercato del lavoro ◆
Ora che controlli e restrizioni stanno per scomparire cominciano a essere pubblicati i bilanci di quel che è successo nella nostra economia durante la pandemia degli ultimi due anni. Nel numero appena distribuito di «Tendenze congiunturali», il quadrimestrale della Segreteria di Stato per l’economia, sono stati per esempio pubblicati i risultati di un’analisi di dettaglio realizzata da Martin Wagenbach, uno dei suoi collaboratori. Questo ricercatore ha messo a fuoco gli effetti della pandemia, e, in particolare, delle misure per combattere la stessa, su alcuni indicatori importanti del mercato del lavoro nazionale. Si viene così a sapere che la recessione indotta dalle prime misure antipandemiche è stata più forte per il prodotto interno lordo che per l’occupazione. Non è che ci sia molto da rallegrarsi: che la diminuzione del livello di occupazione sia stata più contenuta (in percentuale naturalmente)
della diminuzione conosciuta del prodotto interno lordo reale significa solamente che anche il livello di produttività è diminuito. Dunque l’impatto negativo delle prime misure è stato significativo per ambedue i fattori di produzione della nostra economia: per il lavoro come per il capitale. Negativo sì, ma contenuto, almeno se lo compariamo a quanto è successo in altre nazioni europee. La stessa constatazione vale anche per l’evoluzione del tasso di disoccupazione. Comparato ai livelli di prima della crisi, il tasso di disoccupazione è aumentato di un % per quel che riguarda la manodopera femminile e di un ,% per quel che concerne la manodopera maschile. Non si tratta di una grande differenza. Statisticamente parlando, la stessa è appena significativa. È comunque da rilevare che, per una volta, a far le spese dell’incrinatura congiunturale sono stati più gli uo-
mini occupati delle donne. Di solito, in caso di recessione, succede il contrario. Se compariamo l’evoluzione dei tassi di disoccupazione per classi di età ci accorgiamo che, lungo tutto il percorso della pandemia sono stati i lavoratori tra i e i anni a dover sopportare i tassi di disoccupazione piè elevati. I lavoratori con meno di anni hanno visto il loro tasso di disoccupazione aumentare rapidamente, all’inizio della pandemia – diciamo tra marzo e aprile del – ma poi lo stesso ha continuato a discendere fino ad oggi. Praticamente, a partire dal , in Svizzera i lavoratori giovani sono quelli che meno sono stati toccati dalla disoccupazione. In senso inverso, invece, si è sviluppato il tasso di disoccupazione dei lavoratori più anziani. All’inizio della pandemia gli stessi erano probabilmente protetti dai licenziamenti più degli altri gruppi di età. Poi invece il loro tasso di disoc-
cupazione è cresciuto fino a superare quello dei lavoratori giovani, all’inizio del , e a raggiungere quello dei lavoratori di media età, nell’autunno dello stesso anno. È possibile che i modi di applicazione dell’indennità per disoccupazione parziale siano all’origine di queste differenze nell’andamento temporale dei tassi di disoccupazione per classi di età. Relativamente alla disoccupazione lo studio di Wagenbach ci consente anche di stabilire quali siano state le conseguenze della pandemia sull’evoluzione della disoccupazione nelle grandi regioni del paese. Ovviamente il Röstigraben che esisteva già prima della pandemia ha continuato a manifestarsi anche durante la stessa. Così mentre il tasso di disoccupazione medio del periodo pandemico è stato, a livello nazionale, pari al ,%, in Ticino e Romandia ha toccato un livello più elevato di quasi un
punto, ,%. Anche nei valori minimi e in quelli massimi raggiunti da questo tasso durante la pandemia Ticino e Romandia superano le altre regioni del paese di almeno un punto percentuale, ragione per cui i valori della nostra regione non sono poi così lontani da quelli delle altre economie dell’Unione Europea. Da ultimo segnaliamo ai lettori un recente, interessantissimo, contributo dell’Osservatorio per lo sviluppo territoriale dell’USI che riguarda gli effetti della pandemia sulle tendenze alla concentrazione della popolazione nelle aree metropolitane maggiori del nostro paese. Sembrerebbe che la pandemia sia stata in grado di arrestare questa tendenza, in atto oramai da diversi anni. Prime conseguenze dello home-office che diventa permanente? Con la pandemia la periferia potrebbe dunque ricominciare a vivere? Mah, stiamo a vedere!
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In&Outlet
di Aldo Cazzullo
Bisogna decidere da che parte stare ◆
C’è in Europa, soprattutto in Italia, un giustificazionismo eccessivo attorno all’autocrate russo. Putin attacca uno Stato sovrano, ma è stato provocato; la colpa è dell’Europa. Putin fa strage di civili ucraini, ma è stato costretto; la colpa è dell’America. Putin minaccia la guerra nucleare, ma è stato indotto; la colpa è della Nato. Nato è la parola-chiave. «Fuori l’Italia dalla Nato!», scandivano i cortei rossi come quelli neri negli anni . E anche oggi il concetto salda i duri e puri di sinistra con la destra sovranista. La guerra di Putin uccide ogni giorno vecchi, donne, bambini, ma noi europei filosofeggiamo poiché non esistono il torto e la ragione, il bianco e il nero. Esiste solo il grigio, in cui tutto può essere giustificato. Ma non è con la filosofia che si fermano le guerre. Spesso sono gli stessi del «no al green pass». «Io non sono contro i vaccini, però…». «Io sono contro Putin, però…». Sono quelli
del «però». Com’è ovvio, il green pass e Putin non c’entrano nulla. Ma la logica è la stessa: noi siamo quelli che cantano fuori dal coro. Intendiamoci: il pensiero critico è il segno della superiorità della democrazia sull’autocrazia. Va esercitato in ogni circostanza, anche in guerra. A maggior ragione in una guerra difficile da decifrare, in cui si combatte come sempre un conflitto di falsi numeri e false notizie. La Nato era considerata superata sia da Trump, che la voleva far pagare agli europei, sia dallo stesso Macron. Per qualcuno si è allargata troppo verso est, per altri troppo poco. In una democrazia si discute e chi la pensa diversamente va contraddetto ma rispettato. Però viene un momento in cui bisogna decidere da quale parte stare. I generici appelli alla pace sono condivisibili ma non bastano. Qui ci sono un aggressore e un aggredito. C’è un paese
Il presente come storia
di oltre milioni di chilometri quadrati, il più vasto al mondo, che vuole annettersi regioni di (o magari tutto) un Paese volte più piccolo. La parte dell’Europa non può che essere quella dei milioni di ucraini che stanno soffrendo e delle migliaia di russi che mettono in gioco i loro corpi e la loro vita per fermare la guerra. La nostra parte non può che essere quella della libertà e della democrazia. È retorica? No, è carne e sangue. Com’è ovvio, essere russo non è una colpa. Nessuno chiede a un russo di vergognarsi di essere russo e se lo chiedesse sbaglierebbe. È legittimo invece domandare a un sostenitore di Putin, che lavora con istituzioni pubbliche europee finanziate anche con soldi pubblici, di prendere le distanze dalla strage degli ucraini. Essere contro Putin non significa essere contro la Russia, ma contro il regime. Putin ha molti amici nel mondo. Ha comprato politici,
pezzi di partiti, partiti interi. Eppure non era impossibile capire chi fosse, anche prima dell’inaudita aggressione all’Ucraina. È l’uomo dei massacri in Cecenia, della strage dei bambini di Beslan, dell’attacco all’esercito georgiano, dell’intervento nelle sanguinose guerre civili in Siria e in Libia. È l’uomo dell’avvelenamento dei nemici, dell’incarcerazione degli oppositori. Ora ha fatto altri passi, spingendosi là dove neppure Stalin si era spinto: minacciare un conflitto nucleare. Durante la guerra fredda le minacce si facevano a bassa voce, non in pubblico. Nel , quando gli israeliani, rintuzzato l’attacco egiziano, marciarono oltre il Canale di Suez, i sovietici fecero sapere agli americani: fermateli o usiamo l’atomica. Qualche ora prima, quando i siriani avevano sfondato sul Golan, Golda Meir (lo racconta Benny Morris in Vittime) pensò all’uso dell’arma nucleare tattica, ma
Ariel Sharon la fermò: «Aspetta, i nostri uomini possono ancora resistere». I carristi israeliani resistettero. L’atomica insomma era un tabù, anche tra due blocchi che avrebbero potuto distruggersi a vicenda, anche tra popoli che combattevano per la vita e per la morte. A quale livello di barbarie siamo arrivati se persino questo tabù viene infranto? La Russia militarmente è più forte. Ma Putin si muove secondo vecchi schemi: provocazione di confine, invasione, occupazione. L’Occidente si muove secondo schemi del ventunesimo secolo: sanzioni finanziarie e propaganda social. Non c’è dubbio che la battaglia della comunicazione la stia vincendo Zelensky. L’opinione pubblica occidentale empatizza con il presidente ucraino. E, se non è disposta a imbracciare le armi per Kiev, non per questo è disposta a dare ragione all’autocrate russo.
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di Orazio Martinetti
La neutralità da Motta a Cassis ◆
La Svizzera ha davvero gettato alle ortiche la sua plurisecolare neutralità, come hanno sostenuto, compiaciute, molte testate estere? Sì, ma solo in parte. Il governo questa volta ha reagito assai rapidamente, allineandosi alle sanzioni approntate dall’Unione europea. Non poteva non farlo, sia dal punto di vista etico (si sarebbe di fatto schierato con l’aggressore), sia dal punto di vista politico. Dopo la caduta del muro di Berlino, anche la Confederazione ha dovuto fare i conti con uno scenario instabile e mutevole. Il grande protettore, gli Stati Uniti, ha stretto i bulloni su vertenze ch’erano rimaste a lungo congelate nella cella frigorifera della guerra fredda, come il comportamento delle banche e il silenzio sugli anni bui della Seconda guerra mondiale: incameramento degli averi ebraici, fornitura di armi al Terzo Reich, riciclaggio dell’oro trafugato dai nazisti. Il Consiglio
federale dovette quindi istituire una commissione d’inchiesta composta di storici per far luce su queste pagine ingloriose (commissione Bergier). Anche nella battaglia ideologica (anticomunismo), la Svizzera non serviva più; anzi, a decorrere dagli anni si è ritrovata sempre più sola nell’Europa in costruzione, alle prese con «amici» che non vedevano l’ora di collocarla sulla lista nera dei paradisi fiscali, sottraendole la sua arma più efficace, il segreto bancario. Improvvisamente anche l’alleato americano ha rivendicato e ottenuto dal sistema bancario elvetico quanto aveva in mente di chiedere, con le buone ma spesso con le cattive (multe salatissime e minaccia di estromissione dal mercato). Sul piano retorico e patriottico, la neutralità conserva una grande forza nella coscienza dei cittadini. È tuttora convinzione unanime che abbia salvato la Svizzera da due spavento-
se guerre mondiali. Ma è un’opinione che astrae dai rapporti di forza, dalla politica di potenza con le sue regole ferree. La Svizzera non avrebbe avuto i mezzi per opporsi militarmente: semplicemente l’occupazione del suo territorio – che avrebbe avuto come conseguenza lo smembramento della Confederazione – non rientrava nei piani di Berlino. La necessità di creare uno Stato-cuscinetto nel cuore del continente era risultata già chiara agli occhi di Napoleone. Anche Giuseppe Motta, all’indomani del conflitto, si rese conto che la neutralità andava rivista, che l’interpretazione restrittiva risalente al periodo prebellico non sarebbe stata più accettata dalla comunità internazionale. Di qui il suo impegno per far sì che anche la Svizzera aderisse alla Società delle Nazioni nel . Sebbene avallato da una maggioranza non schiacciante (,% contro
,%), il decreto federale permise a Motta di scansare il rischio isolamento e di aprire una nuova fase, detta della «neutralità differenziata» («differentielle Neutralität»). L’accordo prevedeva che la Svizzera partecipasse ai provvedimenti di natura economica, ma non a iniziative di tipo militare. Le autorità federali preferirono comunque rimanere guardinghe e ai margini, privilegiando la mediazione e l’arbitrato. E difatti, alla prima grave crisi con la Germania nazista e l’Italia fascista, la Svizzera decise di ritornare alla «neutralità integrale». Il caso ha voluto che il concetto di «neutralità differenziata» sia rientrato in scena per opera di un altro ticinese, Ignazio Cassis, titolare – come Motta dopo la Grande Guerra e fino al – del Dipartimento che si occupa degli affari esteri. In un recente articolo pubblicato sulla NZZ ( marzo), l’ex Consigliere federale Kaspar Villiger
ha ripreso la definizione alla lettera, spiegando che «in un contesto moderno e tecnologico, un piccolo Stato può far valere la sua capacità difensiva solo in alleanza con Stati più grandi. Parrebbe quindi utile orientarsi al modello di neutralità che avevano adottato gli antichi Confederati: in caso di conflitti interni (tra democrazie occidentali) ed esterni (oltre i confini dell’Europa), la Svizzera rimarrebbe neutrale nel senso tradizionale del termine. Ma se l’Europa dovesse subire un attacco dall’esterno, allora scatterebbe la solidarietà con l’aggredito. E questo obiettivo si potrebbe conseguire stipulando un patto con la Nato, una cooperazione che tuttavia escluderebbe la partecipazione a operazioni offensive condotte al di fuori dello spazio europeo». Villiger chiama questa strategia «differentielle Neutralität». Motta avrebbe approvato.
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Settimanale di informazione e cultura
Anno LXXXV 14 marzo 2022
CULTURA
azione – Cooperativa Migros Ticino 37
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Lo zoo di Roma Il romanzo di Pascal Janovjak affascina per la sua ambientazione nel parco naturale creato dall’architetto tedesco Carl Hagenbeck
L’esilio di Rachmaninov Storia del successo del grande pianista russo che con la famiglia lasciò il suo paese nel 1917 durante la Grande rivoluzione russa
Il marmo di Branca-Masa a Porza Fino al 10 aprile al Museo di Villa Pia sono in mostra i pezzi marmorei, le ardesie, le opere calcografiche e su carta della scultrice ticinese
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Resistere alla guerra con le arti, cantando poesie Pubblicazione
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In tempi in cui anche la cultura è divisiva, il libro di Annette Melot-Henry su Leningrado ci apre gli occhi
Natascha Fioretti
Cosa ne sappiamo della guerra? Cosa ne sappiamo della fame, dell’odore che resta nell’aria dopo le esplosioni? Il sindaco di Mariupol parla di scenari medievali «la gente beve neve e brucia legna». Se raggiungerà anche noi, cosa faremo? Impossibile anche solo da immaginare. Proprio come per Annette Melot-Henry lo è stato calarsi nei panni dei leningradesi quando lo storico Daniil Aleksandrovič Granin le ha raccontato dell’assedio riprendendola per la mancanza di fiducia in sé stessa: «Lei non sa nulla, non può sapere. Avrebbe anche potuto sorprendersi, compiere atti che non avrebbe mai immaginato di compiere. Non deve dimenticare che sarebbe stata trascinata dalla società intera». La vera salvezza della gente di Leningrado è stato il nutrimento dello spirito «molti sono sopravvissuti grazie alle loro ricchezze interiori». Oggi, invece, cancelliamo spettacoli e concerti, vietiamo Dostoevskij nelle università. Pensare che l’ebreo Leonid Cypkin, nato a Minsk, sfuggito alla campagne antisemite staliniane (che gli uccisero un fratello), non solo adorava lo scrittore russo ma gli dedicò un romanzo così bello (Estate a Baden-Baden) che Susan Sontag se ne innamorò a tal punto da definirlo tra i più originali ed entusiasmanti del Novecento. L’arte, la cultura intesa come collante, come trait d'union dell’umanità anzi, spingiamoci oltre, come forma di sopravvivenza è l’immagine poderosa che ci consegna l’intensa pubblicazione firmata da Annette Melot-Henry per Pagine d’Arte dal titolo La resistenza dell’arte durante l’assedio di Leningrado. Cosa l’ha spinta a occuparsi dell’assedio di Leningrado? Per molto tempo ne ho conosciuto soltanto il racconto sommario dei libri di storia: le date, il numero dei morti, la vittoria dell’Armata Rossa sul nazismo. Questa vicenda fossilizzata dal potere costituito e soppiantata, nella narrazione occidentale, dalla battaglia di Stalingrado, non mi era chiara. Quando insegnavo portavo spesso gli studenti in giro per la città spiegandone la fondazione con Pietro il Grande, il periodo di Caterina II, gli ultimi zar, la rivoluzione del , ma alla Seconda guerra mondiale facevo soltanto qualche accenno. Poi, alla fine degli anni ’, quando mi sono interessata alla fotografia sovietica, sono stata travolta dalle immagini dell’assedio e ho voluto saperne di più. Ad aprirmi gli occhi sono stati Blokadnaya Kniga (Le voci dell’assedio), il libro di A. Adamovitch e D. Granin e la visita al Museo della Difesa, dove avevo visto la ricostruzione di un tipico appartamento «blokadnik» con la stufa, i mobili e gli oggetti familiari. Sembrava di rivivere
Arrivano gli artisti, l’acquerello su carta di Solomon Samsonoviic Boim, 1941. In basso a sinistra invece un primo piano dell’autrice, professoressa di russo e traduttrice.
quelle atmosfere, all’improvviso sentivi il suono di una sirena o il ticchettio del metronomo che sostituiva la radio quando non trasmetteva. Per le persone chiuse nell’oscurità delle loro case congelate, il ticchettio familiare del metronomo era un segno di vita al quale aggrapparsi disperatamente. A quel punto ho sentito di voler conoscere la loro storia, capire a quali forze misteriose gli esseri umani sono in grado di attingere quando sono sull’orlo dell’abisso.
«Cosa può fare il nemico? Distruggere e uccidere. È tutto? Ma io posso amare» Il libro che lei cita faticò a trovare un editore, perché? Bisognava rispettare la narrazione ufficiale della grande guerra patriottica che celebrava gli eroi e le vittorie ma taceva gli orrori vissuti dagli abitanti. Proprio loro in questo libro sono i protagonisti e per la prima volta raccontano la loro vita quotidiana: la fame, il freddo, le malattie, la violen-
za, l’abbandono, tutto quello che per lungo tempo avevano tenuto nascosto come una sorta di vergogna. Le edizioni locali di Leningrado si rifiutarono di pubblicarlo perché non era coerente, non menzionava la vittoria militare e non dava il giusto ruolo al partito. A pubblicarlo, infine, fu il giornale «Novy Mir».
tà che le persone hanno affrontato ogni giorno per giorni. Mi hanno molto colpita anche i dipinti, gli acquerelli, i disegni. Nel libro ci sono anche i pittori che lavoravano instancabilmente mentre molti morivano di fame. La produzione creativa in quei tre anni dal al è stata eccezionale in tutte le arti.
Chi è Alexander Rubashkin? Quando avevo già iniziato a interessarmi alla vita degli abitanti della città assediata, appresi da un sito russo che era appena stato pubblicato un libro dal titolo Golos Leningrada (La voce di Leningrado), in cui si raccontavano la storia e il ruolo della radio in quel periodo. Una volta letto contattai subito l’autore Alexander Rubashkin e ci incontrammo diverse volte a San Pietroburgo. Grazie a lui ho conosciuto molte persone, memorabile per me è stato l’incontro con lo scrittore Granin, ho potuto visitare la Casa della Radio e scoprire l’incredibile museo dedicato alla storia dell’assedio. Commosso dal mio interesse, Rubashkin mi disse che questa storia andava raccontata. Ci ho pensato a lungo e l’ho fatto.
Per infondere coraggio alla radio si trasmettevano poesie... La radio era molto importante, non solo perché informava aggirando la censura, ma perché teneva alto il morale della gente. I giornalisti dimostrarono un coraggio eccezionale, condividevano il cibo e davano coraggio agli ascoltatori. Ogni giorno, alla radio, Olga Bergholtz recitava le sue poesie e la sua voce calda entrava nelle case. Le sue poesie, come quella in cui si rivolge alla sua vicina Daria Vlassievna, parlavano alla gente. Raccontava gli orrori che le persone vivevano ogni giorno ma cantava anche un futuro fatto di pane bianco, vino e orgoglio. Questi sono alcuni dei suoi versi che prediligo: «Cosa può fare il nemico? Distruggere e uccidere. È tutto? Ma io posso amare».
A condurla nel cuore dell’assedio sono stati anche gli scatti di Boris Kudoyarov. Cosa hanno suscitato in lei? I suoi ma anche quelli di Mikhail Trakhman, Nikolai Khandoguine, David Trakhenberg e altri. Le loro fotografie mostrano donne che trascinano morti legati sulle slitte come fossero delle mummie, donne che prendono l’acqua facendo dei buchi nel ghiaccio che ricopre la Neva. Ci raccontano le indicibili difficol-
Non c’era solo la radio. Le case editrici non smisero mai di pubblicare e le biblioteche rimasero aperte. Ci racconti di Maria Machkova. Durante l’assedio si leggeva ovunque, anche a lume di candela. Maria Machkova era a capo del dipartimento acquisizioni della Biblioteca Saltykov-Ščedrin, poi diventata Biblioteca Nazionale Russa. Una curatrice che l’ha conosciuta me l’ha descritta con grande emozione. Maria Machkova era un’eroina, dopo essersi occupata
della famiglia, ogni mattina arrivava in biblioteca e scuoteva tutti. Il personale, molto indebolito, a volte mancava di entusiasmo, ma lei ne aveva abbastanza per tutti, aveva la voce ferma di chi non dubitava. Si occupava dei lettori nelle sale di lettura dove non c’erano più finestre, riordinava i cadaveri che si accumulavano nell’ingresso. Andava in slitta a recuperare i libri di chi era deceduto salvando collezioni che altrimenti sarebbero andate perdute per sempre. Maria Machkova è una di quelle donne che dovremmo ricordare e celebrare. Nella città assediata si dipingeva, si leggeva ma è possibile che l’Orchestra sinfonica della radio nel suonò la Settima sinfonia di Shostakovich? Sì, ci sono riusciti ed è stato un miracolo. Prima però i musicisti erano stati curati e rifocillati. C’era una precisa volontà politica che questo concerto avesse luogo, le autorità fecero ciò che era necessario al prezzo però di una disciplina militare. Solo la morte era considerata un motivo valido per assentarsi dalle prove. Bisognava impressionare il nemico, mostrargli che la città resisteva e la vita culturale continuava. Dopo la guerra i tedeschi ammisero di essere stati scoraggiati, pensavano che non sarebbero mai stati capaci di sconfiggere una città ancora capace, in quelle condizioni, di organizzare un tale concerto. In questi giorni ha mai fatto dei parallelismi con l’assedio e cosa ne pensa del boicottaggio di artisti e intellettuali russi in Europa? Vedendo le forze russe avanzare da tutti i lati verso Kiev ho subito pensato a Leningrado. Ma possiamo imparare le lezioni dal passato? Per quanto riguarda le misure contro gli artisti sono profondamente indignata. La grande maggioranza disapprova la guerra e alcuni scrittori come Lyudmila Ulitskaya lo hanno già chiarito. Sono d’accordo con il regista ucraino Sergei Loznitsa quando dice che di fronte alla barbarie di questo conflitto non dobbiamo perdere la testa, non dobbiamo giudicare le persone in base ai loro passaporti ma in base alle loro azioni. Bibliografia Annette Melot-Henry, La resistenza dell’arte durante l’assedio di Leningrado, Capriasca, 2021, Pagine d’Arte. Dove e quando Il 22 maggio l’autrice presenterà il libro al LAC nella Sala Refettorio alle 16.00.
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CULTURA
Lo zoo di Roma o il giardino delle umane illusioni
Pubblicazioni ◆ Il bioparco di Villa Borghese costruito per il cinquantesimo dell’Unità di Italia dall’architetto Carl Hagenbeck è al centro del romanzo dello scrittore basilese Pascal Janoviak, in Ticino nelle prossime settimane per presentare il suo libro Roberto Falconi
Il secondo romanzo di Pascal Janovjak nella traduzione italiana di Maurizia Balmelli, mi pare sia prima di tutto la dichiarazione di uno scacco conoscitivo. Per mostrare quanto sia radicata e destinata al fallimento l’ambizione dell’uomo di controllare il Mondo, l’autore racconta la storia dello zoo di Roma, nel quale si sviluppa la vicenda più propriamente romanzesca.
Il successo del tamandino è strepitoso, i visitatori giungono da tutto il mondo, come si fa «con un Caravaggio o una scultura del Bernini» Spazio semioticamente rilevante e velleitario per definizione, lo zoo cerca di ricreare ambienti naturali mentre tradisce continuamente il proprio carattere artificiale. A cominciare dalla strutturazione interna, fatta di percorsi più o meno obbligati che, significativamente, le varie cartine in mano ai personaggi del romanzo non permettono tuttavia di seguire in modo agevole, quasi a mimare la resistenza della Natura a ogni tentativo di normalizzazione. Risultandogli in larga parte imprevedibile, l’uomo legge inoltre il comportamento animale secondo il proprio sguardo antropomorfizzante. Capita pertanto che resti sgomento di fronte a due serpenti fratelli che si dividono un topo, l’uno ingurgitandone la parte posteriore, l’altro partendo dalla testa: strada facendo, spasmo dopo spasmo, il più grande inizia a mangiare il più piccolo, salvato appena in tempo e perciò soprannominato Fortunello dai guardiani. Dietro al finto idillio delle colline ricostruite, ci sono babbuini che sbattono la testa contro i muri, una mamma leopardo che divora il ventre del suo nuovo nato, un gorilla coperto di sangue che non smette di depilarsi. Allo stesso modo, non è sempre
possibile prevedere i successi e i fallimenti dello zoo capitolino, che Janovjak ricostruisce muovendo dall’inaugurazione del gennaio e attraversando un secolo di storia romana, italiana ed europea: dal progetto che il sindaco Ernesto Nathan affida al commerciante di animali tedesco Karl Hagenbeck, agli anni del fascismo e dell’ampliamento di Raffaele De Vico, con Mussolini che si fa fotografare accanto alla leonessa Italia. Negli anni Settanta, Riccardo Fellini, fratello del più celebre Federico anche se «non gli piace granché che lo si dica», gira un documentario sulle deprecabili condizioni in cui vivono gli animali in cattività. L’effetto è devastante, anche perché le immagini raggiungono un pubblico che, grazie all’invenzione della lettiera da parte di Edward Lowe, può stare sul divano col proprio gatto sulle ginocchia, e guardare comodamente tutti gli animali esotici che la televisione gli porta in casa. Dello zoo non sembra più esserci un gran bisogno. Per il rilancio bisognerà aspettare gli anni Novanta: lo zoo si rifà il look (a cominciare, ovviamente, dalle parole: ora si chiama Parco Natura) e si plastifica, assumendo le tinte spensierate dei fenicotteri rosa che, oltre ad aprire il libro con l’immagine di copertina, accolgono e rassicurano il visitatore. Tanto nessuno si accorgerà che le loro ali sono state tarpate per impedire che prendano il volo e rovinino la festa. Nei primi anni Duemila, e qui inizia la parte più specificamente romanzesca, lo zoo conosce una nuova crisi: gabbie arrugginite, servizi igienici inagibili, manifesti ingialliti e pochissimi visitatori. Per rilanciarlo, il Comune assume Giovanna Di Stefano come nuova «direttrice amministrativa e della comunicazione» (in realtà si tratta di un declassamento: la giunta Alemanno le fa pagare la vicinanza a Veltroni). Nel giorno in cui percorre per la prima volta i vialetti del Bioparco (ora si chiama così) per
Carl Hagenbeck (1844-1913) ritratto nella statua in bronzo dedicatagli nel suo zoo di Amburgo, il primo al mondo senza gabbie per animali.
prendere possesso del proprio ufficio, Giovanna incontra Chahine Gharbi, un architetto algerino che si trova lì per una misteriosa missione. Alla ricostruzione della storia dello zoo si intreccia quindi, attraverso brevi capitoli alternati, una vicenda di desiderio fuori dal tempo; una passione fugace ma intensissima che Giovanna e Chahine faranno crescere e in larga parte consumeranno proprio all’interno dello zoo, sorta di moderno Eden che attirerà i due e permetterà loro di elaborare i rispettivi fantasmi prima di restituirli al Mondo. Durante la loro frequentazione, capita che proprio allo zoo di Roma resti Oscar (nome che si rivelerà infelicissimo), l’ultimo esemplare di tamandino: allo stato libero è estinto da tempo, mentre la coppia dello zoo di Londra muore misteriosamente. Il successo è strepitoso, i visitatori
giungono da tutto il mondo, come si fa «con un Caravaggio o una scultura del Bernini». Eppure, non è così facile vederlo o immortalarlo: Oscar passa la maggior parte del tempo nascosto dietro un cespuglio, ma al pubblico sembra bastare il fatto di essere lì prima che sia troppo tardi, prima che la morte del tamandino sancisca la certezza dell’irreparabile. Ed è questa, credo, un’ulteriore spia del velleitario tentativo dell’uomo di esorcizzare l’imprevedibilità dell’esistenza riconducendola entro logiche rassicuranti, esasperando cioè il significato di esperienze illusoriamente caricate di valore. Attraverso un processo di progressiva simbolizzazione, Oscar si trasforma da animale in oggetto di superstizione e infine in immagine stampata sugli zainetti: all’unicità dell’individuo si è sostituita la serialità della merce. Persino Salman Ru-
shdie giungerà a Roma per vederlo e scriverci un pezzo sul «New York Times» che avvierà un grottesco dibattito internazionale sulla questione. Sono le pagine più grottesche del libro: «si cominciò a parlare del tamandino nelle cerchie più raffinate, quelle che abbracciano le cerchie del potere». Forse solo l’ambizioso Guido Anselmo Moro, il direttore scientifico dello zoo, colui che scruta gli uomini con lo stesso sguardo con cui svolge le proprie osservazioni al microscopio, aveva previsto tutto fin dall’inizio. Ma anche lui dovrà prima o poi fare i conti con l’imponderabile. La buona letteratura è da sempre quella che si fonda sulla dialettica tra una tensione conoscitiva e l’ammissione dell’almeno parziale scacco di questa indagine. Mi pare che Pascal Janovjak lo affermi anche nell’incrociare Storia e storie: nel tentativo, cioè, di ricondurre minuscoli frammenti di realtà a un ordine superiore senza tuttavia che ciò permetta di accedere al pieno significato delle cose o, peggio, che investa la letteratura di qualsivoglia funzione riparatrice o normalizzante. Per rendersene conto basterà riflettere sul complesso ruolo dell’alter ego del narratore all’interno della finzione romanzesca: il guardiano che con i propri racconti perpetua la memoria storica dello zoo e illumina meglio di chiunque altro la condizione speculare di Giovanna e Chahine («la gente che va spesso allo zoo ha sempre un problema. Oppure ha dei bambini», dice); un salvatore di nome Salvatore che porrà fine alla vicenda del tamandino nel modo più ambiguo possibile. Bibliografia Pascal Janovjak, Lo zoo di Roma, Bellinzona, 2020, Casagrande. Dove e quando L’autore il 23 marzo alle 18.00 sarà alla Biblioteca Popolare di Ascona e il 24 marzo alle 20.30 alla Filanda di Mendrisio. Annuncio pubblicitario
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Ecco cosa fare per una buona igiene orale! Perché è importante usare ogni giorno il collutorio Per una corretta igiene orale occorre spazzolare bene e regolarmente i denti, ma spesso non basta. Di seguito, ti illustriamo perché dovresti integrare un collutorio alla tua igiene orale e come farlo. Igiene orale quotidiana Si può pensare che per una buona igiene orale sia sufficiente lavarsi i denti. Ma i batteri arrivano ovunque – sulla lingua, sulle gengive e anche sul palato. Se trascurati, possono causare la formazione di placca dentale, o biofilm. La placca, a sua volta, è il principale agente causale della carie e delle patologie gengivali, come la gengivite e la malattia parodontale (parodontite). I denti costituiscono solo il 25% circa della nostra bocca. Non importa quanto sia corretto il modo in cui spazzoliamo i denti: è impossibile
rimuovere tutti i batteri della bocca utilizzando solo lo spazzolino da denti. Cosa fare per una buona igiene orale: la profilassi tripla I dentisti raccomandano quindi di pulire non solo i denti, ma anche la linea gengivale e tutti gli spazi interdentali più difficili da raggiungere. Per questo, un’igiene orale completa deve comprendere non soltanto lo spazzolamento dei denti, ma anche l’utilizzo del filo interdentale o degli spazzolini interdentali. A completare la corretta prassi igienica vi è l’uso quotidiano di un collutorio antibatterico, che agisce sulle zone irraggiun-
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Anno LXXXV 14 marzo 2022
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CULTURA
Scolpire con il corpo e con la mente Mostre
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Le sale del Museo Villa Pia ospitano la produzione più recente dell’artista ticinese Veronica Branca-Masa
Alessia Brughera
«Lavorare alle falde della cava-madre di Carrara mi fa sentire arcaica come pietra», così l’artista ticinese Veronica Branca-Masa parla della sua attività di scultrice a stretto contatto con il materiale da lei privilegiato, il marmo. Nella scelta di questo medium non c’è solo la volontà di confrontarsi con l’antico attraverso un elemento nobile che appartiene a una tradizione secolare. C’è anche un’idea precisa di cosa rappresenti l’atto creativo stesso e di cosa qualifichi e renda pregna di significati l’opera d’arte: per Branca-Masa scolpire è un mestiere che passa dall’impegno fisico e dalla profusione tenace di energia, unica via per instaurare un legame profondo con la materia. Lavorare il marmo è un processo lungo e gravoso che dalla selezione iniziale del blocco lapideo alla levigatura finale comporta forza, determinazione e diligenza. Branca-Masa non ha paura di mettersi alla prova, temprata com’è, nel corpo e nello spirito, dalle lunghe passeggiate nei boschi del Ticino e dalle camminate giornaliere sui sentieri delle cave carraresi, a rinsaldare il proprio rapporto con la natura e a irrorare di prolifica vitalità i propri pensieri. Per lei la fatica del creare diventa un esercizio quotidiano, una sorta di rituale necessario alla giustificazione e al consolidamento della sua stessa esistenza di artista. L’interesse di Branca-Masa per le arti plastiche nasce alla fine degli an-
ni Settanta, quando, dopo aver conseguito il diploma di pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze, l’artista soggiorna per un lungo periodo nell’America del Sud rimanendo affascinata dall’espressività primordiale della scultura delle civiltà precolombiane. È nel che si reca per la prima volta a Carrara. Nei mesi di permanenza in questo ambiente stimolante Branca-Masa si dedica alla realizzazione di un’opera monumentale, vivendo a contatto diretto con la materia marmorea e affinando di giorno in giorno le sue tecniche di trattamento. Pochi anni dopo, nel , proprio ai piedi delle imponenti cave del Bianco di Carrara decide di aprire lo Studio Artemisia di Torano, laboratorio che diventa il suo spazio personale di lavoro e di vita nonché un luogo di incontro e confronto con gli altri artisti. Da questo momento la vita creativa della scultrice fluisce seguendo la cadenza delle stagioni. Nei mesi caldi è occupata nei cantieri carraresi a dar vita alle sue opere in marmo, in quelli freddi si dedica all’attività grafica nella casa-atelier di Ranzo, suo paese di origine. La mostra allestita fino ad aprile nelle sale del Museo Villa Pia – Fondazione d’Arte Erich Lindenberg a Porza raccoglie gli esiti più recenti della produzione di Branca-Masa, presentando da una parte una selezione
di pezzi marmorei e di ardesie, dall’altra un nucleo di opere calcografiche e su carta, testimoniando così in maniera esaustiva il doppio versante su cui si muove la ricerca dell’artista ticinese. Nelle opere in marmo esposte a Porza ben si coglie il voluto contrasto tra le parti levigate e lucidate, trattate con grande meticolosità, e quelle lasciate completamente grezze, dove l’artista rinuncia a modificare il materiale permettendogli di manifestarsi nelle sue qualità naturali intrinseche. Ciò che affiora è la carica primigenia, ancestrale, della pietra, che proprio attraverso il «non-toccato» e il «non-finito» palesa la sua espressività recondita. Le volumetrie risolte in forme squadrate e in punte taglienti o ripiegate in morbide curve giocano con la luce che si insinua tra le irregolarità della struttura, accentuando la tensione tra pieno e vuoto, laddove il vuoto non è sinonimo di mancanza bensì di luogo aperto all’accoglienza di storie e memorie. Le sculture dell’artista sono frammenti dalle fisionomie semplificate capaci di occupare lo spazio in tutte le direzioni, come ben dimostra, ad esempio, l’opera sospesa che troviamo a inizio percorso, intitolata Pagine bianche scritte dal tempo: pendente dal soffitto e percorribile completamente dallo sguardo che può rilevarne tutte le eterogeneità delle superfici, incarna più di altre quell’idea di sfida alla stabilità della materia che è una delle
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Veronica Branca-Masa. Frammento infinito è il titolo della mostra dedicata alla scultrice al Museo Villa Pia di Porza. Qui nella foto l’opera dal titolo L’età della pietra 4, 1992, marmo, 90 x 180 x 80 cm.
qualità distintive del lavoro di Branca-Masa, simbolo della lotta tra l’immortalità dell’opera e la precarietà dell’essere umano. A correre in parallelo all’arte plastica è l’attività grafica, ambito in cui Branca-Masa si cimenta nella ricerca di equilibri inesplorati che si fanno proiezione del suo vibrante mondo interiore. Legati all’intimità dei periodi di raccoglimento trascorsi in Ticino, i disegni e le calcografie presenti nella rassegna mostrano un tratto libero grazie al quale prendono vita composizioni dal carattere agile e vivace. Alla fluidità della grafica fanno da contraltare il rigore e la regolarità dei pezzi in ardesia, produzione che
nell’indagine dell’artista può essere a buon diritto considerata l’anello di congiunzione tra scultura e disegno. Nelle sue opere, Branca-Masa riesce a stabilire una relazione di grande complicità con la materia, infondendo in essa l’energia del proprio pensiero in continua evoluzione e trovando in essa il luogo in cui rendere tangibile la sua essenza. Dove e quando Veronica Branca-Masa. Frammento infinito. Museo Villa Pia, Porza. Fino al 10 aprile 2022. Orari: martedì 10.00-18.00, domenica 14.00-18.00. www.fondazionelindenberg.org
Amore e guerra
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La guerra non è che un duello su vasta scala. Le storiche parole di von Clausewitz, estrapolate fra i concetti del militare e teorico prussiano, sono il tema-guida che risuona sul palco del LAC mentre accoglie il pubblico venuto per Le relazioni pericolose dal celebre romanzo epistolare tardo settecentesco di Pierre Choderlos de Laclos, spettacolo messo in scena da Carmelo Rifici con una drammaturgia ambiziosa, complessa, fascinosa, perversa che sembra scritta sotto il cupo fragore delle bombe, tragica eco di una sconvolgente attualità. Un allestimento frutto di una bulimia di fonti coinvolte a sublimare l’immagine della conquista amorosa come strategia per un annientamento consapevole, quasi un femminicidio premeditato e crudele, specchio di una società decadente al suo tramonto nel processo della sua autodistruzione.
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L’attrice italiana Elena Ghiaurov nei panni della Marchesa di Merteuil.
Una battaglia in cui l’alibi dell’amore conteso è un’ombra che si allunga sulle relazioni con il risultato di una disfatta su tutto il fronte. Quello di Rifici, coadiuvato nella drammaturgia dalla giovane e talentuosa Livia Rossi, è un progetto che prende le mosse dalle pagine di Laclos per trascenderle riconducendole a una rilettura morbosa, inquietante, crepuscolare. La sfida libertina della Marchesa di Merteuil, cinica e glaciale burattinaia, si trasforma in un gioco crudele animato dal Visconte di Valmont, impenitente rubacuori, ai danni della casta Madame de Tourvel, dell’ingenua Cécile de Volanges e, come per una sadica rivincita sentimentale, nei confronti del giovane Gercourt, già amante della Marchesa. Un piano bellico senza esclusione di colpi e parole destinate a una guerriglia psicologica, riflessioni sul teatro, sulla peste, sulla guerra. Farciture colte dai dettati di Artaud, Nietzsche, Pasolini, Zweig, persino Cechov e Manzoni. Ma non sono tutti. Per Rifici-Laclos nessuno si salva e il libertino Valmont da seduttore diventa vittima tra le spire di un testo che avvolge, ipnotizza, annebbia, trascina lo spettatore in un flusso di voci fra strumenti ormai dimenticati: microfoni, retroproiettori, giradischi, registratori, suoni e musiche dove la partita amorosa è guerra e un duello al fioretto la sua metafora. Per difendersi dal vizio bisogna saperlo rappresentare, affermava Baudelaire: lo spettacolo ce lo restituisce nel suo desolante universo in intensi minuti.
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CULTURA
Rachmaninov e la drammatica scelta culturale Riflessioni musicali
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Storia del fortunato esilio del grande pianista russo in bilico tra due secoli
Carlo Piccardi
«L’artista libero Sergej Rachmaninov dona al libero esercito l’onorario del suo primo concerto in un paese libero»: queste parole appaiono nella lettera pubblicata nella rivista «Russkiye vedemosti» nel marzo dopo un concerto in favore dell’armata in cui il musicista aveva eseguito il suo Concerto n. per pianoforte e orchestra. In verità di fronte ad avvenimenti che, con l’abdicazione dello zar Nicola II, stavano modificando profondamente i rapporti di vita, di cultura, di lavoro, Rachmaninov si trovò estraniato e privato di quei riferimenti su cui si reggeva la sua arte. L’adesione al nuovo corso politico sul quale si incamminava la Russia era di facciata, poiché contemporaneamente il musicista cercava un visto per andare all’estero. La possibilità gli fu data dopo la fase cruciale dell’ottobre di quell’anno, a Natale quando, recatosi a Stoccolma per tenervi una serie di concerti, maturò la decisione definitiva di espatriare con tutta la famiglia. Rachmaninov appartiene a quella vasta generazione di artisti e di uomini di cultura che la Rivoluzione pose davanti a una drammatica scelta culturale, di far fronte al condizionamento dell’insieme di valori che costituivano il loro patrimonio di formazione, inconciliabile con la svolta epocale che si parava loro davanti. Per la borghesia russa la richiesta di rottura col passato risultava insopportabile. L’emigrazione diventava allora, più che un distacco, la possibilità di ritrovare il filo della tradizione. Nell’esilio americano Rachmaninov si circondò di segretari, cuochi, medici russi, fondò una casa editrice per compositori russi emigrati, agì cioè nell’intento di garantire una continuità all’azione da lui avviata alla fine del secolo precedente. Ascoltando la musica dei suoi ultimi venticinque anni trascorsi in Occidente non riscontriamo infatti nessuna frattura con l’estetica a cui si richiamava
Sergej Rachmaninov (1873-1943) al pianoforte durante un concerto negli anniTrenta. (Keystone)
prima del . La ragione – soprattutto per la fortuna che continuò ad arridergli presso il pubblico fino alla morte – non sta solo nella coerenza del suo discorso. Come ha ben detto Piero Rattalino, con lui il Kitsch familiare (tipico della musica da salotto) acquista dimensione concertistica. Con lui la piccola borghesia si appropria delle forme di comunicazione della borghesia cosmopolitica. I suoi concerti per pianoforte e orchestra si presentano come la spettacolarizzazione dell’intimità salottiera, mostrando una fedeltà alla classe d’origine che preserva la facilità del sentire, la tenerezza delle emozioni familiari. Come mai da una realtà con profonde radici ottocentesche è potuto uscire un verbo musicale adattabile
alla nostra epoca, al punto che Rachmaninov ha lasciato vistosi segni sulla musica «emblematica» delle colonne sonore hollywoodiane? La risposta sta nella società di massa, il cui pubblico rappresenta un allargamento quantitativo della piccola borghesia, quindi dei suoi modelli, per cui la realtà sociale che ha rivoluzionato le strutture della comunicazione viceversa non ha rivoluzionato il loro contenuto. La musica di Rachmaninov, con la sua elegante leziosità, poté diventare un paradiso artificiale tanto per la moglie di un banchiere della Mosca del quanto per un impiegato d’ufficio americano del . Ma c’è di più: essa poté diventare anche il punto di riferimento per il proletario russo del il quale, in barba all’anatema che il regime so-
vietico aveva gettato sul musicista che aveva scelto l’espatrio, riuscì a far sì che quel tipo di musica fosse elevato paradossalmente a modello del cosiddetto realismo socialista. V’è anche da considerare un altro aspetto. La prima reazione del pubblico occidentale di fronte all’esplosione della musica moderna all’inizio del secolo, se eccettuiamo le frange elitarie che prontamente diedero il proprio consenso, fu quella di cercar rifugio nell’epigonismo romantico, nell’illusione di perpetuare in pieno Ventesimo secolo l’estetica di un passato dalla quale, considerando i traguardi consolatori raggiunti da certa musica di fine Ottocento, risultava difficile dissociarsi. Non a caso l’epigonismo romantico trovò terreno fer-
tile in America, paese che, non solo a livello propriamente musicale, visse l’esperienza romantica con decenni di ritardo rispetto all’Europa. L’abbandono della Russia da parte di Rachmaninov, stabilitosi negli Stati Uniti dopo la Rivoluzione d’ottobre, per questa ragione contiene più implicazioni estetiche che politiche. L’epigonismo romantico, che come fenomeno di sopravvivenza di un modo d’essere dell’arte non trova raffronti in nessun’altra epoca storica, non avrebbe raggiunto la portata che effettivamente ebbe se non avesse trovato sostegno nel gigantesco apparato imprenditoriale del concertismo internazionale che nel Novecento, grazie all’apparizione della radiofonia, del disco e soprattutto assimilando le raffinate tecniche pubblicitarie e di studio del mercato, giunse a una capacità di controllo dei gusti del pubblico pressoché totale. La maggior fortuna arrideva a quei compositori che si esponevano direttamente all’applauso della scena. Rachmaninov fu indissociabile dal ruolo di virtuoso detenuto per mezzo secolo nelle sale di concerto dei due continenti. Per questa ragione, mentre la sua ragguardevole produzione sinfonica e operistica rimase nell’ombra, le sue composizioni pianistiche si guadagnarono una precisa posizione storica. Com’era generalmente la regola per tutti coloro che agirono sul terreno dell’epigonismo, le opere di Rachmaninov compendiavano tutti quei dati stilistici attraverso i quali l’Ottocento aveva innovato il linguaggio musicale, portandoli alle estreme conseguenze. Il destino degli epigoni è sempre stato quello di essere più romantici dei romantici, nel senso che nel modello essi colsero soprattutto i tratti cosiddetti caratteristici, vale a dire i momenti che a suo tempo costituirono novità ma che contemporaneamente erano in condizione di coesistere con le strutture ereditate.
Igor Markevitch, cittadino del mondo Personaggio
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Ritratto del musicista cosmopolita per riflettere sui dilemmi della nostra attualità
Giovanni Gavazzeni
«L’Ucraina è la terra che ha dato all’intera Russia il suo nome (Rus designava all’origine il popolo dell’Ucraina). […] Fino alla sottomissione ai Mongoli, dopo il sacco di Kiev nel , l’Ucraina offriva al mondo l’immagine di una civiltà imponente. Mentre la Moscovia vegetava nella barbarie e nell’oscurità, Kiev, cristianizzata da San Vladimiro, risplendeva nelle lettere e le arti. Il monaco Adamo di Breme la salutava come rivale di Costantinopoli, descrivendo le sue quattrocento chiese e la sua università fondata da Yaroslav il Saggio, succeduto al padre San Vladimiro nel ». Chi ci riassume la complessità e le radici storiche dell’Ucraina, oggi invasa e sull’orlo della distruzione, è un musicista cosmopolita, il direttore d’orchestra Igor Markevitch, che emise i primi vagiti all’Hotel Continental di Kiev il luglio ( luglio calendario gregoriano) e morì nel ad Antibes pochi giorni dopo aver diretto per l’ultima volta, proprio nella natia Kiev. Visse quarantasette anni in Occidente: Svizzera (La Tour-de-Peilz, collegio a Vevey); Parigi (studi con la
Grande docente Nadia Boulanger); Firenze, dove partecipò alla Resistenza e alla ricostruzione dell’Orchestra del Maggio Musicale. Abbandonata la composizione, nel tornò da direttore d’orchestra in quella terra ucraina «predominante in me», che parlava «con una dolcezza inesprimibile».
Igor Markevitch (1912-1983) compositore e direttore d’orchestra. (Keystone)
I Markevitch (figli di Marko) discendevano dal Knaz Marko, partito all’inizio del XV sec dalla Bosnia islamizzata per l’Ucraina. Una famiglia che scrisse letteralmente la Storia della piccola Russia (), come Nikolaj Markevitch, che formò un’orchestra di servi della gleba liberati per accompagnare il padre dell’opera russa, Michail Glinka, che componeva nella sua tenuta l’opera Russlan e Ludmilla, «prefigurazione ingenua, impavida e rurale dei miei concerti con la Filarmonica di Berlino e Boston». Nell’informazione soffocata e menzognera di questi giorni di guerra fratricida, Markevitch ci ricorda nelle sue memorie, Être et avoir été () che «l’immobilità dei concetti politici fondamentali, da Ivan il Terribile a oggi, proviene dai rapporti di potere con il popolo più rassegnato del mondo. Il nostro popolo diceva Pietro il Grande è come un bambino che non impara nulla e non sa leggere se il maestro non lo obbliga. [..] Stalin sembra avere meglio sfruttato questo zelo cooperativo. Entrambi avevano in comune lo stesso disprezzo per i costi umani».
Il piccolo Igor crebbe alla Tourde-Peilz come un mini-Tolstoj: dormiva per terra, camminava a piedi nudi, mangiava semolino d’avena con serietà monacale. Vita libera e semplice come quella degli avi cosacchi, nemici storici del centralismo zarista che proibiva lingua e identità ucraina. Errore storico ricorrente: «nel nome dell’unità, le nostre deboli potenze moderne passano il rullo compressore dell’uniformità. Ma se l’umanità mostra tante facce e varietà superbe, è perché si coltivino queste diversità, non perché si livellino. Baschi e Catalani sono popolo prima di essere spagnoli o francesi». Igor Markevitch conobbe gli uomini delle orchestre che galvanizzò come la decrepita Orchestre Lamoureaux di Parigi; fu di casa nella Mosca sovietica e con le Big Five americane, a Cuba e nella Berlino occidentale, nella Roma papalina e nella Londra disinibita, nella Madrid franchista e nello snobismo di Monte-Carlo e della Costa Azzurra. Fu un cittadino del mondo, legittimo discendente del pro-prozio paterno, Atanasio Markevitch, etnografo ed erudito, fondatore con lo storico
Nikolaj Kostomarov e con il poeta Taras Shevchenko della Confraternita di Cirillo e Metodio: ucraini che sognavano una federazione di stati uniti slavi e furono carcerati e perseguitati duramente dal tiranno zar Nicola I. L’adolescenza in Svizzera confermò a Markevitch la lungimiranza dell’antenato Atanasio: «gli Svizzeri ammettono come la cosa più naturale che l’abitante di Ginevra si consideri prima ginevrino, poi svizzero, tanto è il rispetto che conferisce forza e coesione al mosaico elvetico, che è un capolavoro politico». Nell’ora più buia dell’Europa del terzo millennio, servono passi indietro, non armi; e conoscenza reciproca. Il modello ce lo offre Bach Padre: «una sua Suite è il ritratto dell’Europa. Raduna l’ouverture e la courante francesi con l’allemanda, la sarabanda spagnola e la giga inglese, la polacca e la passacaglia italiana, quando non include una bourrée alvergna o il passepied bretone. Sempre federatore, questo assemblatore di popoli indica che solo l’armonizzazione di entità reali può sviluppare una solidarietà europea sentita».
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CONSIGLIO DEGLI ESPERTI Le foglie dell'insalata iceberg hanno una consistenza robusta. L'insalata può quindi essere condita anche con dressing piuttosto pesanti o servita con topping caldi, come ad esempio pezzi di pollo arrostito, senza afflosciarsi. Conserva la sua croccantezza anche nei wrap e nei tacos.
24% 6.90 invece di 9.10
Messico/Perù, mazzo da 1 kg, per es. asparagi verdi
25% 2.95
Carciofi cuore Italia, 400 g, imballati
invece di 3.95
20% 2.30 invece di 2.90
Migros Ticino
Tutti gli asparagi da 1 kg
Lattuga iceberg Anna's Best 400 g
32% 2.50 invece di 3.70
Fragole Spagna/Italia, vaschetta da 500 g
Pane e prodotti da forno
Per chi ama il pane e i doni del forno na: a im tt se a ll e d e n a p Il nost r o un tocc o n o c o d n to o tt tu a te c r oc c a n asole ir g i d e o n li i d i m finale di se
15% 2.80
Pere Kaiser Alex Svizzera, al kg
invece di 3.30
3.40 29% 2.95 invece di 4.20
Arance semisanguigne Tarocco Italia, rete da 2 kg
conf. da 4
33% 4.95 invece di 7.40
Migros Ticino
Corona del sole bio 360 g, confezionata
conf. da 2
33% Farina bianca M-Classic, IP-SUISSE
Pasta per crostate o pasta sfoglia M-Classic
4 x 1 kg
per es. pasta sfoglia, 2 x 270 g, 1.80 invece di 2.70
Offerte valide solo dal 15.3 al 21.3.2022, fino a esaurimento dello stock.
Carne e salumi
Offerte e stuzzichini della settimana
20% 2.90 invece di 3.65
20% 3.25 invece di 4.10
20% 5.40 invece di 6.85
Migros Ticino
30% 1.25
Mini filetti di pollo Optigal Svizzera, in conf. speciale, per 100 g
Ossibuchi di vitello, IP-SUISSE per 100 g, in self-service
invece di 1.80
12% 1.45 invece di 1.65
Spalla di maiale arrotolata, IP-SUISSE per 100 g, in self-service
conf. da 2
Nodino di vitello, IP-SUISSE per 100 g, al banco a servizio
31% 7.50 invece di 11.–
Carne di manzo macinata M-Classic Svizzera/Germania/Austria, per 100 g, in self-service
27% 1.95 invece di 2.70
Fettina di maiale impanata, IP-SUISSE per 100 g, in self-service
conf. da 2
Luganighetta Svizzera, 2 x 250 g, in self-service
25% 5.90 invece di 7.90
Bratwurst dell'Olma di San Gallo, IGP Svizzera, 2 x 2 pezzi, 640 g
ist ribuire Consig lio: d di c ar ne st risc ioline ig ioni su r s e c c a de i G i v e r d u r e d una quic he
25% 3.05 invece di 4.10
20% 7.40
Salametti a pasta grossa prodotti in Ticino, per 100 g, in self-service
invece di 9.30
Carne secca dei Grigioni affettata, IGP Svizzera, in conf. speciale, 115 g
20x PUNTI
Novità
6.95
Millefeuille con anatra e arancia sanguigna Rapelli Svizzera, 4 x 40 g, in self-service
30% 5.10 invece di 7.30
20x PUNTI
Novità
4.95
Prosciutto crudo Rapelli San Pietro affettato Svizzera, per 100 g, in self-service
IDEALE CON
Pâté al pistacchio e fiori di sambuco Rapelli Svizzera, 2 x 55 g, in self-service
30% 1.60 invece di 2.30
Migros Ticino
22% 4.95 Polpettine di bratwurst, IP-SUISSE
invece di 6.35
conf. da 2
Caprice des Dieux in conf. speciale, 330 g
25% 4.40 invece di 5.90
XL-Toast American Favorites 2 x 730 g
in conf. speciale, per 100 g
Offerte valide solo dal 15.3 al 21.3.2022, fino a esaurimento dello stock.
Formaggi e latticini
Da saporito a meravigliosamente cremoso Formag g io s pasta se midv izze ro a ag lio or sino ura c on aromat ic o
15%
Hit 2.45
Grana Padano per es. trancio, ca. 250 g, per 100 g, 1.95 invece di 2.30
21% 1.50 invece di 1.90
15%
20%
invece di 16.20
Migros Ticino
ca. 220 g, per 100 g, confezionato
in conf. da 2
20% 1.75
13.75
Formaggio all'aglio orsino
Appenzeller surchoix per 100 g, confezionato
20% Formaggella cremosa per 100 g, confezionata
invece di 2.20
Latte intero Valflora UHT, IP-SUISSE cartone, 12 x 1 l
Yogurt LC1 Probiotic disponibili in diverse varietà, per es. arancia sanguigna/zenzero, 4 x 150 g, 3.65 invece di 4.60
20.70 invece di 25.90
Fondue Caquelon Noir moitié-moitié 2 x 600 g
–.20 di riduzione
Snack al latte o fette al latte Kinder refrigerati per es. fette al latte, 5 pezzi, 140 g, 1.40 invece di 1.60
Pesce e frutti di mare
Ancora più prelibatezze
25% 12.– invece di 16.10
Salmone affumicato bio d'allevamento, Irlanda/Scozia/Norvegia, in conf. speciale, 260 g
CONSIGLIO DEGLI ESPERTI Il merluzzo va rosolato solo brevemente, in modo che rimanga perlato al centro. Rimarrà così bello succoso. Altri consigli e informazioni sono disponibili al bancone del pesce. Qui i pesci vengono sfilettati, marinati e messi sotto vuoto secondo i desideri della clientela.
lare in Consig lio: sc ong e surg e lati , e re frig orife ro o cuocin un curry ad e se mpio
conf. da 2
20% 15.90 invece di 19.90
Filetti di salmone bio Pelican prodotto surgelato, 2 x 250 g
In v e ndit a an c he al banc one
28% Gamberetti Pelican, ASC e capesante Pelican, MSC, crude prodotto surgelato, in conf. speciale, per es. gamberetti, ASC, 750 g, 14.50 invece di 20.25
15% Filetti dorsali di merluzzo, MSC in vendita in self-service e al bancone, per es. M-Classic, pesca, Atlantico nordorientale, in self-service, per 100 g, 3.30 invece di 3.90
Offerte valide solo dal 15.3 al 21.3.2022, fino a esaurimento dello stock.
Scorta
Grande scelta, piccoli prezzi Ora anc e ov e t t i he c onig lie t t i ve nido di g ani pe r il Pasqua
20% Tutto l'assortimento V-Love per es. scaloppina plant-based, surgelata, 4 pezzi, 340 g, 3.95 invece di 4.95
conf. da 2
conf. da 2
30%
33% Olive Anna's Best
Pizze Anna's Best
formaggio a pasta molle o aglio, in conf. speciale, per es. formaggio a pasta molle, 400 g, 7.60 invece di 11.45
prosciutto & mascarpone o prosciutto, in conf. multiple, per es. prosciutto & mascarpone, 2 x 420 g, 9.65 invece di 13.90
31% 1.30 invece di 1.90
Senape M-Classic dolce o semi-piccante, 2 x 200 g, per es. dolce
Un pranzo ve loce se rv ito con l'insal ata conf. da 2
conf. da 2
31% 8.95 invece di 13.–
31% Sofficini M-Classic surgelati, al formaggio, agli spinaci o ai funghi, per es. al formaggio, 2 x 10 pezzi, 2 x 600 g
Strudel al prosciutto o tortine di spinaci M-Classic prodotti surgelati, in conf. speciale, per es. tortine di spinaci, 2 x 280 g, 4.95 invece di 7.20
a partire da 2 pezzi
30% Tutti i sughi Agnesi per es. sugo al basilico, 400 g, 2.– invece di 2.80
a partire da 2 pezzi
30%
20% Tutti i tè e le tisane (Alnatura esclusi), per es. Fantastic Berries Tea Time, 50 bustine, 1.80 invece di 2.25
33%
Caffè M-Classic, in chicchi o macinato
Nocciole e mandorle macinate M-Classic in confezioni speciali, per es. mandorle, 400 g, 3.90 invece di 5.90
per es. caffè in chicchi Gastronome, 1 kg, 7.65 invece di 10.95
amic o Varietà di ac et o balsin bott e preg iato e maturato di rove re
Pe r l'ape rit iv proprio c ome o, in Ita
20x
20x PUNTI
PUNTI
Novità
4.95
20x PUNTI
Novità
lia
Novità
Salse Bull's-Eye Salsa BBQ Steakhouse o Honey, 300 ml, per es. Steakhouse, in vendita nelle maggiori filiali
3.50
Polli Melanzane Sottolio alla Napoletana o Olive denocciolate Leccino, 285 g, per es. Melanzane Sottolio alla Napoletana, in vendita nelle maggiori filiali
Terra del Tuono Aceto Balsamico Invecchiato o Condimento Balsamico Bianco, 250 ml, per es. Aceto Balsamico Invecchiato, 13.95, in vendita nelle maggiori filiali
Prodotto testato da organi indipendenti
20x PUNTI
Novità
4.60
Pesto all'aglio orsino bio 140 g, in vendita nelle maggiori filiali
5.20
Pesto con basilico genovese D.O.P. Sélection
3.–
Pesto verde Alnatura 120 g
90 g
Offerte valide solo dal 15.3 al 21.3.2022, fino a esaurimento dello stock.
Bevande
Bere i ricordi
LO SAPEVI? La rinfrescante bevanda a base di siero di latte Prego è stata inventata nel 1956 da Robert Schlör, figlio del pioniere svizzero del sidro dolce Jules Schlör, in Argovia. A lungo irreperibile sulla superficie di vendita, da poco è nuovamente disponibile alla Migros con una nuova ricetta (33% di zucchero in meno) e nella variante Zero.
33% Tutto l'assortimento Aproz per es. Classic, 6 x 1,5 l, 3.80 invece di 5.70
conf. da 8
27% 6.95 invece di 9.60
conf. da 4
Coca-Cola Classic, Light o Zero, 6 + 2 gratis, per es. Classic, 8 x 450 ml
20% 3.80 invece di 4.80
Terme di Crodo Oransoda, Lemonsoda o Mojitosoda, 4 x 330 ml, per es. Oransoda
conf. da 10
40% Tutto l'assortimento Prego per es. Regular, 6 x 1,5 l, 6.90 invece di 11.50
40% 2.95 invece di 4.95
Capri-Sun succo multivitaminico o Safari Fruits, per es. succo multivitaminico, 10 x 200 ml
Dolce e salato
Godersi la felicità Hit 2.90 conf. da 5
25%
Biscotti prussiani M-Classic in conf. speciale, 516 g
Hit
Tavolette di cioccolato Chocoletti Lindt al latte o alle nocciole, per es. al latte, 5 x 100 g, 8.95 invece di 12.–
10.50
Branches Milk Frey 30 x 27 g
conf. da 3
33% 5.– invece di 7.50
20x
Petit Beurre con cioccolato al latte o fondente, per es. al latte, 3 x 150 g
PUNTI
Novità
Coniglietti di cioccolato per es. coniglietto calciatore al cioccolato al latte, 100 g, 5.95
Hit 15.–
Ovetti di cioccolato Freylini classics Frey in conf. speciale, sacchetto, 1,3 kg
Snack naturale di frutta se cc a
20x
–.60 di riduzione
Tutti i biscotti Tradition per es. cuoricini al limone, 200 g, 2.70 invece di 3.30
PUNTI
conf. da 2
Novità
3.80
Bear Fruit Rolls alla fragola o alla mela, per es. alla fragola, 100 g
20% 5.60 invece di 7.–
25% Kezz Zweifel
Graneo e Corn Chips Zweifel
Salt o BBQ, 2 x 110 g, per es. Salt
in conf. XXL Big Pack, disponibile in diverse varietà, per es. Graneo Original, 225 g, 4.95 invece di 6.60
Offerte valide solo dal 15.3 al 21.3.2022, fino a esaurimento dello stock.
Bellezza e cura del corpo
Novità preferite per gli armadietti del bagno per grandi e piccini
20% Prodotti per la rasatura Gillette Venus in confezioni speciali, per es. lame di ricambio Smooth, 8 pezzi, 19.50 invece di 24.40
conf. da 3
33% Prodotti per la doccia o shampoo I am per es. docciacrema Milk & Honey, 3 x 250 ml, 3.90 invece di 5.85
20x PUNTI
i se mi di Con ol io d o l a f or f ora nt r c anapa c o l li , sul c uoio s ui c a p e s u l l a b a r b a e c a pe l l u t o
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Novità
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3.95
Shampoo alle 5 erbe Ultra Doux 300 ml
385 ml
3.50
Trattamento Q10 in te nsiv alta conc entrazione o ad
Novità
Novità
Nature Box Men canapa 3 in 1
per es. shampoo, 250 ml, 3.85
PUNTI
PUNTI
Novità
Prodotti per capelli con acido ialuronico L'Oréal Elsève
20x
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6.95
20x PUNTI
Shampoo antigrasso Nivea Men Fresh 250 ml
20.95
Siero notte Nivea Q10 Power 30 ml
20x PUNTI
Novità
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PUNTI
Novità
9.60
Novità
Colorazioni L’Oréal Excellence Nude disponibili in diversi colori, per es. 7U blond, il pezzo
9.95
PUNTI
388 marrone rosso scuro, il pezzo
nero, castano scuro o castano medio, per es. nero, il pezzo
PUNTI
Novità
CONSIGLIO SUI PRODOTTI
Novità
6.95
Balsami trattanti L'Oréal Elsève Wonder Water Color Vive o Dream Long, per es. Dream Long, 200 ml
Shampoo solido all'albicocca Ultra Doux Kids il pezzo
fissa le De finisc e e o a 16 ore fin sopracc ig lia
20x
PUNTI
PUNTI
Novità
Novità
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Concealer trattante per occhi Nivea Cellular 3 in 1 chiaro o medio, per es. medio, il pezzo
16.95
Applicare generosamente il latte solare, una quantità insufficiente riduce la protezione. Proteggere i bebè e i bambini piccoli dai raggi diretti del sole con capi protettivi e creme solari con indice di protezione elevato (IP superiore a 25).
20x
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20.95
Perfect Mousse Schwarzkopf
Ritocco ricrescita 7 giorni Schwarzkopf
20x
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9.95
7.90
20x
PUNTI
NYX Professional Make-up per es. Thick It Stick It! mascara per sopracciglia, il pezzo, in vendita nelle maggiori filiali
13.65
Sun Look Kids Ultra Sensitive 200 ml, il pezzo
Offerte valide solo dal 15.3 al 21.3.2022, fino a esaurimento dello stock.
Varie
Comodità e praticità
a partire da 2 pezzi
50% Tutto l’assortimento Handymatic Supreme (sale rigeneratore escluso), per es. cura lavastoviglie, 3 compresse, 2.90 invece di 5.80
a partire da 2 pezzi
30%
22%
Batterie di pentole Deluxe e Titan
Tutti i detersivi per capi delicati Yvette
per es. padella Titan a bordo basso, Ø 24 cm, il pezzo, 34.95 invece di 49.95
(confezioni multiple e speciali escluse), per es. Care in conf. di ricarica, 2 l, 9.– invece di 11.50
33% 12.90 invece di 19.35
Oxi Booster Total Color o White, in conf. speciale, per es. Color, 1,5 kg
conf. da 3
conf. da 3
conf. da 2
20% 3.60 invece di 4.50
33% Carta da forno Tangan N°31
Salviettine umide per bebè Pampers
2 x 24 fogli
Sensitive o Aqua Pure, in conf. multiple, per es. Aqua Pure, 3 x 48 pezzi, 9.90 invece di 14.85
a partire da 3 pezzi
a partire da 3 pezzi
25%
33%
Tutto l'assortimento di alimenti per gatti Sheba per es. Classics al pollame, 85 g, –.70 invece di –.90
40% 6.– invece di 10.05
Salviettine igieniche Tempo camomilla o aloe vera, per es. aloe vera, 3 x 42 pezzi
41%
Tutti i pannolini Pampers
Carta igienica Tempo, FSC
(confezioni multiple escluse), per es. Premium Protection, tg.1, 24 pezzi, 6.– invece di 8.95
Deluxe, Classic o Premium, in confezioni speciali, per es. Deluxe, 24 rotoli, 15.– invece di 25.45
Con ruote a LE D e sviluppat o appositament e per bambini in età pre scolare
Fiori e giardino
Per concludere in bellezza Consiglio: og ni due gior ni tagliare un pe zzo dai gambi
22% 69.90 invece di 89.90
Micro Scooter Mini Deluxe LED rosso, il pezzo
2.–
di riduzione
11.95
invece di 13.95 conf. da 10
Ranuncoli mazzo da 7, disponibili in diversi colori, per es. bianchi, il mazzo
Hit
29.95
Slip midi da donna, bio disponibile in nero o bianco e nelle taglie S–XL, per es. neri, tg. M
Hit 9.95
conf. da 10
Hit
16.95
Calze da donna, bio nere, disponibili nei numeri 35–38 o 39–42
Tulipani Arlecchino M-Classic mazzo da 18, disponibile in diversi colori, per es. misto, il mazzo
Minirose mazzo da 14, lunghezza dello stelo 40 cm, disponibili in diversi colori, per es. gialle, il mazzo
set da 4
conf. da 5
Hit 9.95
Hit 6.95
Slip a vita bassa da ragazza, bio blu, disponibili nelle taglie 134–170
Hit 10.–
Piante verdi vaso, Ø 17 cm, per es. Zamioculcas, il vaso
40% 4.55 invece di 7.60
Primule disponibili in diversi colori, in vaso, Ø 9 cm
Offerte valide solo dal 15.3 al 21.3.2022, fino a esaurimento dello stock.
I migliori trattamenti per pelle e capelli
Validi gio.– dom. Prezzi
imbattibili del
weekend
25% 2.20 invece di 2.95
Limoni bio Italia/Spagna, rete da 1 kg, offerta valida dal 17.3 al 20.3.2022
33% Tutti i tipi di pasta M-Classic per es. penne, 500 g, 1.25 invece di 1.90, offerta valida dal 17.3 al 20.3.2022
a partire da 2 pezzi
25% Tutto l'assortimento I am (confezioni multiple e confezioni da viaggio escluse), per es. shampoo Intense Moisture, 250 ml, 1.75 invece di 2.30
30% Tutto l'assortimento di sottaceti e di antipasti Condy per es. cetrioli, 270 g, 1.30 invece di 2.–, offerta valida dal 17.3 al 20.3.2022
Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli già ridotti. Offerte valide solo dal 15.3 al 28.3.2022, fino a esaurimento dello stock