Cooperativa Migros Ticino
Società e Territorio Espoprofessioni torna in una nuova veste proponendo tanti eventi online e alcuni in presenza
Ambiente e Benessere Come si è modificato il concetto di senilità: intervista con il viceprimario di geriatria all’Ospedale Regionale di Lugano, Fabiano Meroni
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXIV 15 marzo 2021
Azione 11 Politica e Economia Quando l’unica opzione è un campo profughi, anche se la guerra è finita da quattro anni
Cultura e Spettacoli Il viaggio storico-fantastico de I morti, nuovo romanzo di Christian Kracht
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© SBB Historic
Il mito del Trans Europ Express
di Matilde Fontana pagina 2
Un accordo da gettare alle ortiche? di Peter Schiesser Quanto tempo è passato da quando il Consiglio federale ha «preso atto» dell’esito dei negoziati con l’Unione europea sull’accordo istituzionale, condotti dal segretario di Stato Roberto Balzaretti (oggi ambasciatore a Parigi)? Era il 7 dicembre 2018. Nel frattempo il governo ha condotto una consultazione allargata, poi ha lasciato in frigorifero il tutto, per infine definire una sua posizione nel novembre scorso, sulla quale vige tuttora il riserbo. Dando tempo e spazio a tutti i possibili dubbi, critiche, tesi e mezze verità degli avversari dell’accordo. L’Udc non ha neppure dovuto profilarsi troppo, la sua posizione è chiara (no all’accordo), ci hanno pensato altri a minare le basi del consenso: mediaticamente ben visibili, all’interno dei tre altri partiti di governo (Centro, Plr, Ps) si sono profilati alcuni politici che hanno definito ormai morto l’accordo istituzionale, evidenziando delle fratture interpartitiche. Del Ps si conosceva la divisione fra ala europeista e ala sindacale, quest’ultima non disposta ad accettare peggioramenti nella protezione dei lavoratori, ma Centro e Plr hanno sorpreso: nel primo è il presidente Gehrard Pfister a essersi
scagliato contro l’accordo, nel secondo dapprima l’ex consigliere federale Schneider-Ammann e poi il consigliere agli Stati argoviese Thierry Burkart, vicino ad ambienti che pure si stanno profilando in tal senso, dotati di grandi capitali (Kompass/Europa, Partners Group, Alfred Gantner). Centro e Plr restano perlopiù favorevoli ad un accordo istituzionale, nei media dominano però le loro voci critiche, ciò che rafforza l’impressione che l’accordo com’è stato negoziato non troverà un consenso sufficiente, anche se il Consiglio federale riuscisse a ottenere concessioni nei tre capitoli che sta rinegoziando (protezione dei salari, aiuti di Stato, direttiva sulla cittadinanza europea). Sono tornate a galla anche questioni legate alla sovranità, per il ruolo che avrà la Corte europea di giustizia e sulla ripresa del diritto europeo. D’altro canto, i favorevoli non hanno fin qui saputo comunicare i vantaggi dell’accordo (Corte d’arbitraggio, partecipazione alla definizione della legislazione europea che ci riguarda, ripresa dinamica del diritto europeo, accesso assicurato ai mercati europei, alla formazione, alla ricerca, nuovi accordi possibili). La segretaria di Stato Livia Leu sta negoziando i punti contesi con Bruxelles da qualche settimana. Non ci sono informazioni ufficiali,
ma da più fonti trapela che non c’è avvicinamento fra le parti, e ormai siamo vicini alla fine dei colloqui. La Commissione europea ha sempre detto che l’accordo istituzionale non è negoziabile, al massimo precisato. E lo dimostra oggi, respingendo le richieste svizzere. Alcune fonti indicano che il lavoro dei negoziatori è finito, serve una decisione politica. Nemmeno una diplomatica «creativa» come Livia Leu riesce dunque a smuovere la controparte, e questo ci riporta sul terreno della realtà, ben più in basso della dimensione onirica di chi credeva di piegare l’Ue ai nostri desideri. Forse Roberto Balzaretti aveva effettivamente raggiunto il miglior risultato possibile. Quindi, l’accordo istituzionale è davvero in bilico. Ma sconcerta che questo avvenga fra l’indifferenza generale. Non ci si ricorda che senza di esso la Via bilaterale è destinata a inaridirsi, se non viene costantemente aggiornata? Che formazione, ricerca, esportazioni pagheranno un prezzo crescente? È paradossale che dopo aver vinto la votazione in settembre sull’abolizione della libera circolazione delle persone ora l’alleanza per l’Europa si sbricioli nel momento in cui deve definire il futuro della Via bilaterale. Lasciando la Svizzera senza un’alternativa, se non la via solitaria o l’adesione all’Ue.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 marzo 2021 • N. 11
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Società e Territorio Libertà e vaccini Intervista al professore di Filosofia morale Sergio Filippo Magni sul tema della libertà di scelta individuale di fronte ai vaccini
Il futuro di Brè Un nuovo insediamento abitativo e un bike park accendono le discussioni nel villaggio luganese dove l’associazione «Uniti per Brè» è molto attiva
Passeggiate svizzere Questa settimana Oliver Scharpf ci porta a caccia di sirene fino a Valendas comune della Surselva pagina 9
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Velocità e lusso senza frontiere TEE Sessant’anni fa debuttava tra Zurigo
e Milano l’innovativo Trans Europ Express del Gottardo
Matilde Fontana Quattro ore esatte da Zurigo a Milano. Era il 1961 quando le FFS annunciarono con giustificato orgoglio l’entrata in servizio del Trans Europ Express (TEE) sulla linea del San Gottardo. Dopo due anni di studio, l’ingegneria e l’industria elvetica avevano prodotto un gioiello ferroviario, un treno veloce ed elegante, ma soprattutto il primo treno elettrico capace di superare le frontiere senza cambiare la motrice. Il razzo su rotaie si arrampicava a 85 km all’ora sulle ripide rampe del San Gottardo e sfrecciava fino a 160 km all’ora nei tratti pianeggianti. Giunto a Chiasso, al macchinista bastava schiacciare un bottone per cambiare pantografo e passare dalla rete di alimentazione svizzera a quella italiana e viceversa, senza fermata. Le Ferrovie Federali Svizzere, con le consorelle di Lussemburgo, Germania, Italia, Olanda, Belgio e Francia, avevano fondato appena quattro anni prima il «consorzio» Trans Europ Express, in occasione del trattato di Roma del 1957, che istituiva la Comunità Economica Europa. Fino al 1961 i convogli TEE in servizio fra le maggiori città del NordOvest dell’Europa erano stati costretti ad utilizzare la trazione diesel per poter viaggiare non-stop su tutte le reti europee, che presentavano ben quattro diversi sistemi di alimentazione elettrica. Allungando la rete dei viaggi d’affari a sud delle Alpi, il TEE del Gottardo inaugurava quindi l’era dell’alta velocità elettrica senza frontiere. La missione dei treni veloci europei era quella di collegare fra loro le maggiori aree industrializzate del continente in pieno boom economico: un salotto esclusivo per uomini d’affari (solo 126 poltrone di prima classe, più 45 posti al ristorante, dove venivano serviti raffinati menu à la minute grazie alla cucina attrezzata con i più moderni elettrodomestici) che potesse contendere la clientela alle linee aeree di corto e medio raggio in rapida espansione. Con le sue linee arrotondate, il convoglio bicefalo (locomotiva in testa e in coda per permettere una rapida ripartenza dalle grandi stazioni) annunciava quel futuro ad alta velocità che si
sarebbe realizzato nel muso allungato dei TGV in Francia, degli ETR in Italia, degli ICE in Germania. In Ticino la notizia della nuova linea TEE non mancò di accendere gli animi. La fermata unica a Lugano scatenò le rimostranze degli enti per il turismo e dei municipi del Sopraceneri, che, sostenuti dal Governo cantonale, rivendicarono l’aggiunta di una fermata anche a Bellinzona. Le FFS risposero laconicamente che il Trans Europ Express era un treno d’affari votato alla velocità. Ogni minuto era prezioso. Per il traffico turistico si sarebbero trovate altre soluzioni. Eppure il potenziale del TEE del Gottardo aveva ingolosito anche il direttore dell’Ufficio nazionale svizzero dl turismo di Milano, il luganese Dante Frigerio. Dopo aver presentato alla stampa italiana convenuta all’edizione 1961 della Fiera di Milano la meraviglia della tecnica ferroviaria elvetica, Frigerio aveva invitato gli agenti delle maggiori agenzie di viaggio italiane a bordo del treno superveloce per scoprire le bellezze della città sulla Limmat. E alla fine del 1961, a pochi mesi dall’entrata in servizio del lussuoso treno transfrontaliero, il «Giornale del popolo» titolava con grande risalto: «Le signore della metropoli lombarda vengono in TEE a Lugano per fare le compere». A testimoniare la nuova moda chic meneghina era il medesimo direttor Frigerio, che sottolineava come ormai Milano fosse alle porte del Sottoceneri: «i TEE rendono oggi un viaggio da Milano a Lugano più rapido e più comodo della traversata in auto o in tram della sempre più vasta metropoli lombarda da un capo all’altro (ndr. la metropolitana milanese sarebbe stata inaugurata tre anni dopo, nel 1964). Tanto che si sta introducendo fra le signore milanesi l’abitudine di venire a fare la spesa (s’intende per compere di generi particolari e d’una certa importanza) nella nostra città. Con 2830 lire, per l’andata e ritorno in prima classe più il supplemento TEE e la prenotazione, esse possono partire da Milano alle 8.20, arrivare a Lugano alle 9.20, per ripartire alle 15.39 ed essere alla stazione centrale milanese alle 16.40». Effettivamente il design e il comfort
Design e comfort: il TEE collegò Milano a Zurigo per 27 anni, l’unica fermata in Ticino era Lugano. (Keystone)
del TEE strizzavano l’occhio anche alle signore: poltrone comode e spaziose, ambiente silenzioso, aria condizionata, armadi guardaroba, ma soprattutto toilettes separate per gli uomini e per le donne, alle quali l’architetto sciaffusano Walter Henne aveva riservato anche un delizioso e specchiatissimo angolo toeletta per il maquillage! Par di vederle le signore e signorine snob magistralmente interpretate dall’indimenticabile Franca Valeri: a passeggio tra le gioiellerie di via Nassa, i tavolini delle eleganti pasticcerie e i caveau della fiorente piazza bancaria luganese. «Cara, perché non ci facciamo un salto a Lugano…?» (Saltando elegantemente a piè pari, grazie all’esclusivo collegamento diretto, la chiassese frontiera di massa, fatta di più popolari dadi, sigarette e benzina).
L’inconfondibile silhouette del TEE Gottardo andò su e giù da Milano a Zurigo e ritorno per 27 anni, un record di longevità fra i Trans Europ Express. Nel 1988 la piccola flotta venne riciclata, una mano di grigio coprì l’elegante abbinamento cromatico di giallo crema e rosso bordeaux, alle poltrone di prima classe si aggiunsero i sedili di seconda, e via sulle rotaie con il nuovo nome di Eurocity. Ma la storia del glorioso TEE non finisce qui. Giunta al capolinea alla vigilia del nuovo Millennio, una delle composizioni dell’antico elettrotreno policorrente è fortunatamente scampata alla rottamazione. Ne ha curato e finanziato il filologico restauro la fondazione FFS Historic, che proprio quest’anno compie 20 anni e apre i festeggiamenti con un viaggio della me-
moria a bordo del Trans Europ Express Gottardo. Il 27 marzo, nostalgici e curiosi potranno godersi il lusso del design anni 60 sulla linea circolare Olten-BernaLangnau-Lucerna – Zurigo-BasileaOlten. No, purtroppo non correrà più sulla «sua» linea del Gottardo. Quella di montagna, con le sue gallerie elicoidali, è già una linea leggendaria, dove il calendario di viaggi storici proposti da FFS Historic si arricchisce anno dopo anno. Il programma completo per il 2021 (attenzione: i posti a bordo della cabina di pilotaggio da Erstfeld a Bodio sono già quasi esauriti!) si trova sul sito sbbhistoric.ch (purtroppo solo in tedesco e in francese), da cui si può accedere a documenti, pubblicazioni, fotografie e manifesti che raccontano la storia di quasi 200 anni delle ferrovie svizzere.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 marzo 2021 • N. 11
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Una finestra sul futuro
Espoprofessioni L’evento annullato all’ultimo minuto l’anno scorso a causa della pandemia
quest’anno si terrà in una veste nuova e propone un ricco calendario per informare i giovani sulle varie professioni e sulle possibilità formative presenti nella Svizzera italiana
L’edizione 2021 si terrà dal 22 al 27 marzo con incontri online ma anche in presenza. (Ti-Press)
Nicola Mazzi Lo scorso anno il padiglione Conza era praticamente pronto per ricevere i giovani e le loro famiglie, ma la pandemia ha bloccato l’evento a pochissimi giorni dall’apertura. Quest’anno, invece, Espoprofessioni si terrà sicuramente dal 22 al 27 marzo 2021. In una forma diversa dalla fiera abituale alla quale siamo abituati dal 1991, ma sarà comunque piena di spunti e incontri interessanti. Ce ne parla la presidente del comitato, nonché capo dell’Ufficio dell’orientamento scolastico e professionale, Rita Beltrami.
In questa edizione si sono organizzate videochat live in cui apprendisti in formazione parleranno della loro esperienza personale «Sarà un’edizione molto ricca con eventi online e anche momenti informativi in presenza. Quando è stata annullata l’edizione 2020 è stata messa in agenda quella di quest’anno su mandato della direzione del DECS che ha sostenuto la manifestazione invitando il comitato a trovare una soluzione per organizzare la manifestazione. Una soluzione che non snaturasse l’evento e che nel contempo fosse una buona vetrina informativa sulle varie professioni presenti nella Svizzera italiana». Dallo scorso autunno il comitato ha iniziato a esplorare due strade. «Da
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Romina Borla, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
un lato abbiamo voluto concentrarci sulle proposte già conosciute che usavano il web per mettere in contatto i ragazzi delle medie con le varie professioni. In questo senso ci siamo agganciati a quanto aveva proposto con successo SwissSkills connect in autunno». Espo connect è un sistema di videochat live che saranno organizzate il 22, 23 e 27 marzo, e che vedranno la partecipazione di circa 70 apprendisti di 60 diverse professioni. «Si tratta di talenti delle professioni che forniranno una visione molto personale del proprio tirocinio rispondendo alle domande degli allievi collegati, i quali potranno così esplorare e approfondire la conoscenza di tante realtà professionali». In particolare, lunedì 22 marzo le chat saranno dedicate agli allievi di III media mentre martedì 23 sarà un momento apposito per gli studenti di IV media. Il sabato 27 marzo sarà invece la giornata dedicata ai genitori, che potranno collegarsi con i loro figli dal sito di Espoprofessioni e parlare con gli apprendisti. «Al sabato saranno presenti, assieme ai giovani apprendisti, anche dei formatori e i rappresentanti delle associazioni professionali in modo da dare informazioni utili alle famiglie che desiderano approfondire uno o l’altro tema. La possibilità di porre domande agli apprendisti è un modo molto interessante per ragazzi e ragazze delle medie di avvicinarsi alle professioni e alle formazioni poiché possono dialogare con un quasi coetaneo che si trova nel pieno dell’esperienza formativa. Sono soddisfatta anche perché siamo riusciti a trovare tanti giovani disposti a mettersi in contatto con allievi e allieve che stanno decidendo del proprio futuro».
La seconda strada seguita dal comitato di Espoprofessioni riguarda il coinvolgimento delle associazioni professionali e delle scuole professionali che sarebbero state presenti in fiera: «Abbiamo chiesto loro se fossero disponibili a proporre eventi informativi sulle professioni di cui si occupano. La richiesta è stata accolta molto bene in quanto abbiamo raccolto una sessantina di eventi. Il tutto è stato inserito sul sito e nell’agenda online divisa per giorno e per evento. Un’agenda che si rivolge in primis ai ragazzi delle medie con un’informazione sulla formazione professionale del postobbligo, ma l’offerta di Espoprofessioni spazia anche agli apprendisti e agli studenti del medio superiore interessati a percorsi superiori, fino ad arrivare agli adulti che vogliono magari approfondire le possibilità di formazione continua. Alla fine, siamo riusciti a proporre un calendario davvero ricco». Sempre molto apprezzata l’offerta denominata A tu per tu, gli incontri tra i giovani e le aziende: 15 minuti di faccia a faccia tra ragazzi e ragazze di IV media alla ricerca di un posto di apprendistato e le aziende che offrono dei tirocini. L’evento, che si inserisce all’interno della manifestazione, si tiene mercoledì 24 marzo dalle 15.00 alle 19.30 nella sede della Scuola Media di Giubiasco. «Un momento che piace molto perché il giovane inizia ad assaporare il mondo del lavoro in modo concreto e si trova di fronte a datori di lavoro che stanno cercando apprendisti e sono seriamente interessati ai profili dei ragazzi». La presidente del comitato organizzativo si dice molto soddisfatta di quanto è stato possibile mettere in
piedi e sottolinea che «laddove è stato possibile e con le misure sanitarie che ben conosciamo siamo riusciti a organizzare diversi eventi in presenza. Un segnale importante per i giovani e le famiglie». Una manifestazione che si rivolge certamente al ragazzo ma anche alle famiglie. «Abbiamo pensato di dedicare ai genitori la giornata del sabato, ma anche durante la settimana ci sono diversi incontri ed eventi a cui possono partecipare. Credo, infatti, che Espoprofessioni sia un momento fondamentale anche per i genitori che accompagnano i figli in questo momento di transizione dal mondo della scuola obbligatoria a quella del post-obbligo. Per cui è molto importante che siano al loro fianco e li aiutino a scegliere nel migliore dei modi. Abbiamo osservato che spesso e volentieri la loro presenza è molto utile anche negli incontri con gli esperti (formatori o apprendisti che siano) perché pongono domande che magari al giovane non vengono in mente». Espoprofessioni è un momento dell’anno scolastico importante perché è una vetrina, all’interno del programma scolastico, sulle possibilità che il mondo lavorativo e formativo offre. «I ragazzi di quell’età si trovano davanti a una scelta importante. Esplorare, indagare, provare e soprattutto confrontarsi con chi è poco più grande di te ma ha già un’esperienza alle spalle è essenziale per trovare la propria strada», conclude Rita Beltrami. L’appuntamento è quindi per il 22 marzo, chi volesse saperne di più può consultare il sito www.espoprofessioni. ch oppure seguire la pagina Facebook dedicata alla manifestazione.
Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch
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La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
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Il patrimonio di immagini dei Riva Forum Elle Visita
alla Pinacoteca Züst per il 25 marzo Continuano in sicurezza e adottando tutte le misure necessarie, gli appuntamenti proposti dalla sezione ticinese di Forum elle, organizzazione femminile di Migros. La prossima uscita di gruppo giovedì 25 marzo sarà dedicata alla vista della mostra «Dentro i palazzi – Uno sguardo sul collezionismo privato nella Lugano del Sette e Ottocento: le quadrerie Riva», ospitata alla Pinacoteca Züst di Rancate. La visita sarà suddivisa in due gruppi, alle 14.30 e alle 15.30: le socie e i simpatizzanti dell’associazione potranno visitare le sale della Pincaoteca e saranno introdotti al percorso espositivo da un opuscolo e da un’audioguida (offerta da Forum elle Ticino) in quanto la visita guidata al momento non è consentita per disposizione del Consiglio Federale. La mostra, curata da Edoardo Agustoni e Lucia Pedrini-Stanga, è dedicata alla storia della famiglia Riva, uno dei più antichi e illustri casati di Lugano, che rivestì una posizione egemonica soprattutto durante l’Antico Regime, con una ricostruzione dell’importante quadreria che possedeva. Viene presentata al pubblico una settantina di opere dal 700 all’800 ancora oggi conservate nelle collezioni della famiglia e nella Fondazione Palazzo Riva, oppure presso musei pubblici o raccolte private. Le iscrizioni alla visita sono da inoltrare entro lunedì 22 marzo. Il tagliando d’iscrizione è scaricabile dal sito www.forum-elle.ch sezione Ticino (in lingua italiana). Per ogni gruppo possono essere accettate 15 socie. Le socie che si fossero già iscritte per l’uscita (annullata) del 24.01.21 dovrebbero riconfermare la partecipazione alla segretaria, indicando se volessero aderire al primo o secondo gruppo (senza inviare la quota d’iscrizione una seconda volta). Informazioni
email: simona.guenzani@forum-elle. ch – Tel. 091 923 82 02).
Giovanni Battista Ronchelli (17151788), Madonna Immacolata. Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 marzo 2021 • N. 11
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Idee e acquisti per la settimana
Pasticceria di Pasqua «Made in Italy»
Attualità Migros Ticino propone nel suo
assortimento un’ampia selezione dei migliori prodotti alimentari italiani. La scelta include anche diverse specialità pasquali di pasticceria, come quelle dei marchi Maina e Dal Colle La colomba classica con mandorle e canditi di Dal Colle è semplicemente deliziosa. Dolce e morbidissima, è ricoperta di un’irresistibile glassa di zucchero e mandorle. La lunga lievitazione con solo lievito madre è garanzia di un prodotto dal sapore e dall’aroma inconfondibili. Colomba Classica Giulietta Dal Colle 900 g Fr.5.90
Azione 26% Grana Padano DOP 16 mesi conf. da 700/800 g per 100 g Fr. 1.65 invece di 2.25 dal 16 al 22.03
Grana Padano stagionato 16 mesi
Attualità È uno dei formaggi italiani più conosciuti e apprezzati
al mondo e questa settimana è in offerta speciale nei supermercati di Migros Ticino
Lo sapevate che il Grana Padano è conosciuto fin dal 12° secolo? Furono infatti i monaci cistercensi dell’abbazia di Chiaravalle che, nel 1135, per trovare il modo di conservare la grande disponibilità di latte data dal crescente sviluppo dell’allevamento del bestiame, crearono la ricetta di un formaggio a pasta dura e granulosa, a cui venne attribuito spontaneamente il nome di «grana». Grazie al suo caratteristico sapore dolce, alle sue proprietà nutritive e alla lunga conservabilità, ben presto la produzione si sviluppò in modo determinante in tutta la Pianura Padana. Le modalità di produzione del Grana Padano sono praticamente rimaste invariate nei secoli. Un formaggio inconfondibile
Il Grana Padano viene oggi prodotto da caseifici situati in una vasta area che comprende oltre trenta province delle regioni Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte, Trentino-Alto Adige e Veneto. È un formaggio a Denominazione di Origine Protetta (DOP), la cui qualità
è garantita dall’omonimo Consorzio di tutela. Il latte utilizzato per la sua produzione proviene da mucche alimentate con foraggi freschi ed essiccati, nonché miscele di cereali e leguminose ottenuti attenendosi al disciplinare di produzione. Il processo di caseificazione si rifà alle tradizioni secolari sviluppate dai monaci, rispettando naturalmente le moderne esigenze igienico-sanitarie. Caratteristiche e stagionatura
Le forme di Grana Padano DOP hanno una tipica forma tonda, del diametro di ca. 40 cm e di un’altezza di ca. 20 cm. Il peso di una forma varia tra i 24 e 40 kg. Sulla crosta è impresso a fuoco il simbolo del Consorzio. È un formaggio dalla pasta dura finemente granulosa, assente da occhiature, dal colore bianco o giallo paglierino a seconda della durata della stagionatura. La pasta si rompe in scaglie sotto pressione della lama. Il gusto è tipicamente fragrante e deciso, ma al contempo delicato, che diventa più corposo con il prolungarsi
Preparata dagli specialisti della panificazione Dal Colle con farina di frumento integrale, questa colomba non contiene canditi, ma è impreziosita con uva sultanina e mandorle intere. Lievitata naturalmente con lievito madre, possiede una glassatura di farina di riso e granella di zucchero di canna. Colomba Integrale Dal Colle 750 g Fr. 7.90
Un sapore delicato ed esotico che arricchisce la tradizionale ricetta Maina. La colomba Tutti Frutti con delicati frutti tropicali non canditi deve la sua straordinaria morbidezza alla lenta lievitazione naturale con puro lievito madre. Una vera specialità che soddisfa anche i palati più raffinati. Colomba Tutti Frutti Maina 1 kg Fr. 12.90
Dedicata a chi è particolarmente sensibile al lattosio, la soffice colomba Maina senza lattosio è leggera e altamente digeribile. È ricca di aromatiche scorze d’arancia ed è ottenuta con burro selezionato a basso contenuto di lattosio, per cui il contenuto finale risulta inferiore allo 0.01%. Colomba senza lattosio Maina 750 g Fr. 9.10
dell’affinamento. La lunga stagionatura avviene in un ambiente con temperatura e umidità controllate e dura da un minimo di 8 a un massimo di 24 mesi.
Il gusto della grande tradizione è assicurato con questa colomba ricca di ingredienti accuratamente selezionati. È prodotta ancora oggi seguendo l’antica ricetta originale con lievitazione naturale dell’impasto per oltre due giorni con lievito madre e lento raffreddamento.
Conservazione e consumo
Si consiglia di conservare il Grana Padano in frigorifero avvolto in un panno umido per evitare che si asciughi troppo e di scagliarlo solo al momento del consumo. Il formaggio è da sempre un ingrediente indispensabile per valorizzare i piatti tipici della cucina mediterranea. Lo si consuma da solo a scaglie come aperitivo o durante i pasti, grattugiato in una moltitudine di piatti oppure a lamelle accostato a insalate, salumi e carni crude.
La Gran Colomba Maina 1 kg Fr. 10.50
Anche i piccoli golosoni non resisteranno alla delicatezza di questa colomba senza canditi. Preparata con l’impasto del pandoro veronese, soffice e dorata, è ricoperta da una croccante glassa artigianale di nocciole e mandorle. Il tocco finale: una spolverata di zucchero a velo compreso nella confezione. Colomba Pandorella Maina 750 g Fr. 8.90
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 marzo 2021 • N. 11
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Idee e acquisti per la settimana
Voglia di stare all’aria aperta Attualità Tutto quello che desiderate
per una magica estate anche a casa lo trovate da Do it + Garden Migros
Dalle piante ai fiori, dai mobili da giardino fino agli apparecchi per il grill: nei negozi specializzati Do it + Garden di Taverne, Agno, Grancia, Losone e Serfontana vi aspetta una magnifica scelta di articoli primaverili nei settori più disparati, che trasformeranno la vostra casa in un’autentica oasi di relax. Che si tratti del giardino, del balcone o della terrazza, ognuno troverà la giusta ispirazione e soluzione per sfruttare il proprio spazio esterno in modo ottimale, grazie anche alla consulenza professionale dei nostri addetti e all’ottimo rapporto qualità-prezzo. Lasciatevi per esempio incantare dalla nostra rigogliosa offerta di piante e fiori per un’atmosfera suggestiva in ogni angolo del giardino. E che ne dite dei vasi in finissima terracotta o delle cassette per piante rialzate per coltivare profumatissime delizie come limo-
ni, lavanda, spezie o erbe aromatiche? Assolutamente indispensabili! Gli amanti delle grigliate saranno accontentati con un ampio assortimento di grill e accessori dei marchi più prestigiosi affinché possano godersi pienamente l’estate dedicandosi al loro passatempo culinario preferito. Infine, non possono certo mancare i mobili da giardino: quest’anno a fare tendenza sono le collezioni dai colori caldi e intensi fatte con legno robusto, tecniche d’intreccio sottili, linee delicate e volumi arrotondati. Il tutto completato con elementi modulari e polivalenti come pouf, poggiapiedi, sedie e tavoli impilabili, senza dimenticare cuscini, plaid e gli accessori più variegati. A proposito: fino al 22 marzo potete approfittare di uno sconto del 33% su un’ampia selezione di mobili da giardino. Annuncio pubblicitario
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Venerdì 19 marzo Festa di San Giuseppe
Apertura straordinaria
Tutti i punti vendita Migros in Ticino saranno aperti dalle ore 10.00 alle 18.00 Ecco come proteggerti e come proteggere gli altri
Evita di fare la spesa all’ultimo momento.
Pianifica con anticipo i tuoi acquisti ed evita gli orari di punta.
Se possibile, solo una persona per economia domestica dovrebbe fare acquisti.
Mantieni almeno 1,5 m di distanza.
Disinfetta bene le mani ogni volta che entri in filiale.
Quando entri nei negozi, indossa sempre la mascherina.
Segui le istruzioni dei nostri collaboratori.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 marzo 2021 • N. 11
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Società e Territorio
La libertà all’ombra dei vaccini
Intervista Il professore di Filosofia morale Sergio Filippo Magni
riflette sul tema della libertà di scelta individuale di fronte ai vaccini
Sono mesi ormai che assistiamo alla discussione incentrata sul tema dei vaccini e della libertà. È giusto che, in nome di un bene collettivo, il singolo individuo possa essere privato della libertà di scelta? Così facendo, non rischiamo di mettere in crisi un valore fondamentale per l’Occidente, quello, appunto, della libertà? Per fare chiarezza su questo tema e proporre uno spunto di riflessione interessante, abbiamo discusso con Sergio Filippo Magni, Professore associato di Filosofia morale all’Università di Pavia, invitato a esprimersi sul tema dalla Fondazione Sasso Corbaro, in una conferenza on line tenutasi lo scorso gennaio e inserita nel ciclo «Le parole della pandemia». Professor Magni, quando parliamo di vaccini spesso ci soffermiamo sul tema della libertà. Ma dietro questa parola emergono sfumature di significato diverse. Di cosa parliamo, quindi, quando parliamo di libertà?
Il concetto di libertà di cui parliamo quando ci riferiamo ai vaccini è molto lontano dal concetto metafisico, filosofico, del libero arbitrio. Per quanto riguarda il tema qui in discussione, mi concentrerei più che altro sulla libertà di scelta del soggetto. O meglio, sulla libertà sociale del soggetto rispetto ai vincoli posti da altri soggetti. Il noc-
ciolo della questione è questo, ovvero se ci possa essere una libertà di scelta di vaccinarsi o di non vaccinarsi. E se appunto questo riferimento essenziale che noi facciamo alla libertà come elemento fondamentale nella costruzione delle nostre società debba essere esteso anche alla libertà del soggetto di accettare di vaccinarsi o di non vaccinarsi nel pieno di una pandemia. La libertà, però, è un valore politico fondamentale.
Questo effettivamente nessuno lo mette in dubbio. Ma fino a che punto questo valore è assoluto? Fino a che punto, in altre parole, il valore della libertà può essere inteso come prioritario rispetto ad altri valori? Riformulo la domanda: la libertà di scelta del soggetto può estendersi fino alla decisione di rifiutare di vaccinarsi?
In effetti questo è quello che sentiamo dire da chi ritiene che l’imporre un vaccino sia qualcosa che mina la libertà di scelta dei cittadini.
Credo che però questo sia un modo sbagliato di porre la questione. Nei nostri contesti sociali non ci sono infatti valori unici e assoluti. La questione, per essere affrontata in modo serio, andrebbe quindi calata in un’ottica pluralistica in cui anche valori che noi riteniamo importanti, come quello della libertà di scelta del soggetto, devono coesistere con valori altrettanto importanti. E in questo momento sull’altro piatto della bilancia
abbiamo la salute. Se il vaccino è sicuro ed efficace, così come la scienza suggerisce, esso protegge non solo la salute della persona, ma anche quella degli altri, dando un contributo importante nella riduzione della trasmissione del virus. Scegliendo di non vaccinarmi, quindi, io sceglierei non solo di trascurare la mia salute, ma anche quella del mio prossimo…
Esattamente. Si pone quindi un dilemma, di fronte ai rifiuti radicali di vaccinarsi: ovvero se l’appello alla libertà di scelta sul vaccino possa essere così forte da sopravanzare un valore altrettanto importante come quello della salute (e non solo della salute propria, ma anche di quella degli altri). E quindi se il rispetto di un valore certamente fondamentale come quello della libertà di scelta possa essere sostenuto anche laddove il rispetto di questa libertà arrechi un danno ad altri soggetti. I dilemmi hanno questa natura ambigua e spesso la soluzione ci sfugge dalle mani appena la troviamo.
Per quanto riguarda i vaccini possiamo richiamarci al cosiddetto «principio del danno», principio che è alla base di quella corrente filosofica, di pensiero, ma che poi è diventata anche politica, che è il liberalismo. Il quale ha accettato il valore della libertà, sì, ma non come valore assoluto. La libertà del singolo va limitata quando procura danni agli altri. Questo è il cuore del dilemma
Pixabay
Laura Di Corcia
etico. La libertà è un valore al quale non vogliamo rinunciare, insieme ad altri, e quindi ogni volta bisogna valutare quanto e fino a che punto questo valore possa essere sacrificato per sostenere un altro valore. Se guardiamo le cose da questa prospettiva, in presenza di malattie gravi e potenzialmente mortali, vaccinarsi diventa un obbligo morale.
Il suo intervento, però, ruotava attorno a due concetti: quello della libertà da una parte, e quello della responsabilità dall’altro.
Il concetto di responsabilità morale si può articolare in due modi diversi. Può essere fatto valere in senso prospettivo, guardando quindi in avanti, e in senso retrospettivo, guardando indietro. Una persona può essere moralmente responsabile per una cosa che non ha ancora fatto (noi siamo responsabili di quello che faremo verso le generazioni future) o per qualcosa che sta dietro di lei, che ha già fatto. In entrambi i casi, un individuo è moralmente responsabile nella misura in cui rispetta o infrange degli obblighi morali. Tornando al tema dei vaccini, in certe condizioni
io posso sostenere che c’è un obbligo morale di non danneggiare gli altri e quindi di sottoporsi al vaccino. Questa responsabilità morale diventa una responsabilità sociale.
Riassumendo, se la libertà di scelta del singolo porta un danno ad altri, il valore della libertà può essere sacrificato in vista di un bene collettivo. Come mai secondo lei questo concetto, relativo alla collettività, oggi è impallidito fino a quasi sparire?
I nostri valori fondamentali sono valori relazionali, che si pongono in relazione agli altri. Anche il valore della libertà. Di fronte a sistemi sociali oppressivi di fondamentali libertà individuali, nel corso del Novecento si è reagito affermando il valore della libertà come un valore unico e assoluto. Ma come dicevo, è una illusione ottica: l’affermazione di una qualsiasi libertà di qualcuno limita altre libertà rivendicabili da altri. E il problema diventa quello di definire una scala di priorità tanto in una dimensione pubblica, quanto in una dimensione individuale; tanto in ambito politico, quanto in ambito etico.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 marzo 2021 • N. 11
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Società e Territorio
Tra verde, mattone e biciclette
Brè Un nuovo insediamento abitativo e un bike park accendono le discussioni nel villaggio luganese
dove l’associazione «Uniti per Brè» è particolarmente attiva Fabio Dozio Sembrerà inusuale, ma cominciamo a parlare di Brè, una perla del comune di Lugano, adagiato sulla conca verde poco sotto la vetta del monte, descrivendo la storia dei suoi bagni pubblici. La Città sette anni fa decise di chiudere numerose toilette per risparmiare: una misura che fece sorridere il resto della Svizzera. Anche Brè subì questa misura di risparmio, ma alcuni cittadini volenterosi decisero di assumere gestione, cura e pulizia dei due gabinetti accanto al cimitero. Questi spazi sono ormai da anni impeccabilmente puliti, con tanto di vaso di fiori accanto al lavandino, carta e sapone sempre disponibile e riscaldati d’inverno. Insomma, nel loro piccolo, questi volontari dimostrano di applicare il famoso precetto kennedyano: non chiedete cosa può fare la città per voi, ma cosa potete fare voi per la città. Gli abitanti di Brè sono dunque cittadini attivi e impegnati nella cura del loro paese e lo dimostrano da dieci anni con l’associazione «Uniti per Brè». Nel 2009 il Municipio luganese ha concesso una licenza edilizia a un’immobiliare che intendeva costruire, poco sopra il villaggio, in zona Ai Piani, tre palazzine e dieci villette. «In paese c’è stato subito fermento per contrastare questo progetto che snaturava il nostro villaggio. – ci racconta Mattias Schmidt, uno dei promotori di Uniti per Brè – Abbiamo organizzato una serata pubblica e da lì è nata la nostra associazione. Abbiamo promosso una petizione che ha raccolto 3mila firme, che sono molte se si pensa che gli abitanti di Brè sono circa 400, e siamo diventati interlocutori del Municipio. Sono passati dieci anni e per ora siamo riusciti a bloccare l’insediamento e, nel frattempo, la Città ha corretto il progetto originario. Non ci sarà una nuova strada, le costruzioni saranno ridotte del 30%, una parte del terreno privato verrà reso parco pubblico. Inoltre, gran parte della zona a nord, che sarebbe edificabile, viene dezonata, quindi resa non edificabile». Come e da chi è nata la proposta di edificare Ai Piani? Ce lo spiega Stefano Baragiola, da 43 anni a Brè, attivo nell’associazione: «Un ex direttore
della Ciba si era innamorato di Brè e ha acquistato grandi appezzamenti di terreno. La sua intenzione era quella di ritirarsi qui al momento della pensione, mantenendo il carattere agricolo dei luoghi. Poi lui è morto prima che potesse realizzare il suo sogno. Ora, l’Immobiliare Carlotta, promotrice del progetto, è in mano agli eredi e noi dobbiamo combattere contro la possibile edificazione». La scorsa estate il Municipio di Lugano ha approvato la revisione del Piano regolatore di Brè – Aldesago, che intende ridefinire le aree edificabili e la viabilità. Il Municipio sottolinea che «i lavori per la revisione del PR, avviati nel 2018, sono stati accompagnati da un processo di informazione e partecipazione della popolazione denominato “con-i-cittadini”, promuovendo un proficuo scambio di punti di vista». Inoltre, «la riduzione dei potenziali edificatori è accompagnata dall’introduzione di norme per la promozione della qualità degli insediamenti, valide per le nuove costruzioni». Malgrado le correzioni del PR, Uniti per Brè non ci sta. «Il Piano regolatore – dice Mattias Schmidt – è il primo tassello della rinnovata pianificazione della grande Lugano: si tratta in sostanza di una “palestra”. Il Municipio poteva far meglio e utilizzare Brè come esempio per gli altri quartieri. Per Lugano, il villaggio è una cartolina, allora salvaguardiamolo, senza invadere con il cemento la zona verde». Uniti per Brè si avvale fin dalla sua costituzione della consulenza di Cristina Kopreinig Guzzi, urbanista architetto per il territorio, che osserva: «Penso che il valore di questo luogo, con il nucleo e il suo crinale, debba far aprire gli occhi sullo sviluppo insediativo squilibrato, e per lo più disarmonico, che conosciamo a Lugano. Una visione pianificatoria innovativa non può che anteporre la qualità alla quantità di metri cubi costruibili e deve garantire a tutte le fasce della popolazione, anche le più deboli, beni comuni imprescindibili come il verde urbano. La situazione immobiliare e fondiaria di Lugano, che preclude a molti cittadini l’accesso a quartieri verdi di qualità, richiede che i pianifica-
L’estate scorsa il Municipio di Lugano ha approvato la revisione del PR di Brè-Aldesago. (CdT - Zocchetti)
tori ufficiali si concentrino su tre obiettivi urbanistici prioritari: tutela del verde, equilibrio della triade ambiente-territorio-paesaggio e riconversione del patrimonio immobiliare invece che nuove edificazioni. Non si vede, quindi, per quale motivo debba essere edificato un luogo verde di grande bellezza e perfetto equilibrio, come Ai Piani». «Il Municipio ha optato per approfondire uno scenario di sviluppo moderato. – afferma il municipale Angelo Jelmini, responsabile del dicastero Sviluppo Territoriale – Da un lato si vogliono preservare il paesaggio e gli elementi di pregio del contesto particolare di Brè, dall’altro si riconosce e si promuove il carattere residenziale con interventi di qualità e armonia con il territorio costruito. Per preservare questo scenario abbiamo anche adottato una zona di pianificazione». Non si può rinunciare all’edificazione in zona Ai Piani? «Nulla è impossibile, – ci dice Jelmini – un Piano regolatore, nell’ambito delle regolari revisioni cui va sottoposto, può infatti prevedere ogni dezonamento che il popolo e i suoi rappresentanti riterranno necessari, utili e o opportuni per un giustificato interesse pubblico. I diritti privati dovranno in tal caso soccombe-
re a fronte di un interesse pubblico prevalente, se meritevole di essere tutelato: dovranno però essere indennizzati, la legge elvetica non consente ancora di espropriare diritti privati a costo zero». Toccherà quindi al Consiglio comunale, quando dovrà discutere il tema, valutare se il paese merita di essere mantenuto allo stato attuale. Resta il fatto che, per i cittadini di Brè, in questi anni la consultazione è stata più apparente che sostanziale. L’unica possibilità di contrastare l’edificazione, per gli abitanti, sarà quella di ricorrere quando verranno pubblicati i progetti. L’ultima novella che dal piano è stata recapitata in paese è la concessione della licenza edilizia ai promotori di un bike park. Un circuito di gobbe, rampe, paraboliche, curve, cunette e dossi: un divertimento per ciclisti grandi e piccoli. «Lo scandalo del bike park – sottolinea Stefano Baragiola – è che si tratta di un terreno comunale, quindi pubblico. Il Municipio lo mette a disposizione dei privati per un’operazione che per Brè non ha alcun senso. È un insulto a tutte le discussioni che abbiamo fatto con il Municipio per proteggere il nostro paesaggio. I ciclisti possono andare a pedalare nei boschi; semmai un parco simile ha senso in città, al piano, non qui. Non
ci sono posteggi e la strada d’accesso è tortuosa. Ora, per fortuna, alcuni vicini hanno inoltrato ricorso». «La licenza edilizia è stata rilasciata, – precisa il Municipio – perché i promotori hanno pianificato qualcosa di conforme alle regole. Una struttura come questa è un’importante attrazione a livello turistico e di appassionati locali. Vi sono delle criticità e sono evidentemente conosciute e sono quelle sollevate dagli oppositori. Sono contrarietà che verranno sicuramente valutate dal Municipio nel momento in cui la procedura edilizia dovesse terminare con la crescita in giudicato della licenza». «A Lugano – spiega l’architetto Kopreinig Guzzi – una visione e un concetto unitario delle aree di svago e delle attività sportive e ricreative per l’area urbana nel suo complesso ancora non esiste. Non è quindi accettabile allo stato attuale localizzare un bike park a Brè, oltretutto ignorando la manifesta contrarietà della popolazione a questo progetto». «Dopo la fusione con Lugano, – si legge sul Dizionario storico della Svizzera – Brè è diventato stazione di villeggiatura e sobborgo residenziale protetto, per conservare le caratteristiche di villaggio montano». Sogno o realtà?
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 marzo 2021 • N. 11
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Società e Territorio Rubriche
Approdi e derive di Lina Bertola Il nostro posto nell’universo Da un anno ormai siamo confrontati con mutamenti più o meno profondi, più o meno dolorosi, delle nostre consuetudini esistenziali. È mutato il nostro rapporto con il tempo ma, pur nel malessere e nel disagio, di questo spaesamento temporale abbiamo potuto immaginare anche qualche segno positivo. Privati di un tempo reale, sempre pronto ad accoglierci sulla scena del mondo con le sue ingannevoli velocità, siamo stati invitati a meglio percepire e vivere le lentezze di quel tempo dell’anima che si è offerto a noi nei momenti di solitudine. Non sappiamo se, e come, sia stato ascoltato questo invito. Di certo questo tempo sospeso ha a che fare con le risorse che ciascuno di noi custodisce per cercare di star bene anche nei momenti più difficili. Spazio e tempo, lo sappiamo, sono due categorie imprescindibili dentro cui si fonda la nostra esperienza del mondo, la possibilità stessa di abitarlo e di pensarlo.
Possiamo allora immaginare che questo tempo mutato abbia in qualche modo mutato anche il nostro rapporto con lo spazio? Direi di sì. Basterebbe osservare, ad esempio, quella che chiamerei una vera e propria metamorfosi dei luoghi. I parchi delle città si sono riempiti ogni giorno di più: piano piano ogni spazio si è reinventato, è diventato un vero e proprio microcosmo. Un «troppo pieno», quasi, di voci intrecciate in molteplici racconti improvvisati e inattesi. Un grande affresco, una polifonia, anche, di varia umanità. Varcato il cancello, però, delle città ti venivano addosso altri luoghi: spazi vuoti, riempiti solo da un silenzio cupo e triste che pareva trafiggerle fin dal marciapiede. Queste metamorfosi dei luoghi sembrano dunque indicare che lo spazio è molto di più di un luogo misurabile nella sua fisicità, un punto qualsiasi disegnato su una cartina geografica; sembrano indicare che ogni luogo è un dove che ci parla più in profondità del
nostro vissuto, proprio come accade con la percezione del tempo. I luoghi sono anche luoghi di senso che raccontano la nostra vita e il nostro modo di abitarla. Ma come la raccontano? Questa è la domanda, perché questi luoghi ci parlano del mondo che abitiamo, del nostro ambiente vitale, del nostro rapporto con la natura. Come ben sappiamo, la storia del nostro rapporto con la natura è storia di una perdita progressiva del sentimento di appartenenza. In una realtà divenuta sempre più oggetto di conoscenza scientifica, anche madre natura è diventata una risorsa nelle mani dell’uomo. Gli attuali squilibri ecologici hanno a che fare con il sempre crescente potere dell’uomo sulla natura. I problemi sorti con la pandemia possono rivelarsi allora come una buona occasione per riflettere sulle derive del progresso. Possono essere un invito a ripensare lo spazio e le forme della sua abitabilità da parte dell’uomo.
Il filosofo francese Bruno Latour ha appena pubblicato un saggio dal titolo Où suis-je?. Come suggerito nel titolo, si tratta proprio di un invito a ripensare lo spazio come categoria fondamentale per comprendere il significato della nostra vita e la nostra presenza nel mondo. La questione identitaria non è più «chi sono?» ma «dove sono?». A me pare una visione a cui prestare la massima attenzione, forse un punto di svolta. Che cosa ha cercato e cerca di insegnarci questo virus tanto minaccioso, si chiede il filosofo. Che il mondo appartiene anche a lui, che il mondo è innanzitutto dei virus perché il grande, l’atmosfera, è conseguenza dei piccoli, che la mutazione è il loro compito e che noi siamo, per virus e batteri, una grande esperienza darwiniana. Il virus ci ricorda che è lui il più antico attore della vita sulla terra. È a casa sua, siamo a casa sua. Piuttosto che in una guerra, dobbiamo impegnarci a reimparare a stare al mondo.
Dobbiamo «atterrare sul sistema terra», dice Latour, imparare finalmente la lezione dei virus per reimparare ad abitare lo spazio terrestre di cui avevamo dimenticato il limite e la vera consistenza. Non una crisi dunque ma una mutazione verso una metamorfosi del nostro stare al mondo, da nutrire di altri valori. Dove sono? Questo nuovo modo di interrogare il senso della vita appare come un «conosci te stesso» rinnovato, che ci riporta al significato originario del messaggio scolpito sul frontone del tempio di Apollo a Delfi. Quel «conosci te stesso», che ha attraversato tutta la storia della nostra civiltà e ha nutrito le nostre coscienze, indica innanzitutto il compito di conoscere il nostro posto nell’universo. Non a caso questo messaggio immortale si trova accanto a quel «nulla di troppo» che allude al valore della misura come bussola esistenziale per tenere sotto controllo il desiderio di potere degli uomini.
Millepertiche di Musile di Piave, incisa a sbalzo sul bronzo, è raffigurata con un fiore in mano che si schiude. Come i due narcisi sbocciati qui, tra i tre tulipani rossi ancora chiusi, in mano alla Ritscha che sovrasta la fontana gigante sopra il versante destro delle gole del Reno anteriore. C’è anche un cuore alla base del bouquet di fiori stretti al petto. Nessun geranio ancora, negli otto portavasi sul piedistallo alto più di due metri. Al cospetto del quale lavo un finocchio sotto l’acqua corrente di uno dei tre tubi in ferro. E al volo, seduto sulla panca di legno lunga quasi otto metri che accompagna tutta la lunghezza della fontana, preparo un carpaccio di sottili fette di finocchi e petali di parmigiano. Picnic ascetico nell’aria frizzantina di marzo, senza fretta, ai piedi della magnifica sirena bicaudata sursilvana. Il larice della fontana – tra l’altro pare, nel suo genere, sia la più grande d’Europa – è ottenuto dagli alberi abbattuti nelle notti invernali di luna calante. Mondholz rinnovato sei volte, dalla nascita della fontana coeva della sirena, a cadenza
pressoché generazionale. Graziosa di suo, la Ritscha con l’insolito copricapo da Chiantishire, è comunque aiutata dallo sfondo di tre vecchie case patrizie ben conservate e una stalla. Il cappello, spaesante per una sirena bicaudata, mi fa venire in mente una signora inglese appassionata di giardinaggio che legge troppi romanzi rosa. Tonalità verderame, da vicino si vede che è di metallo. Non solo un capriccio dunque, il sorprendente cappello spiazzante, ma copre e protegge dalle intemperie tutta la statua di legno. Civettuola e selvaggia, la sirena di Valendas, in tutti questi duecentosessantuno anni, ne avrà viste di tutti i colori e sentite di cotte e di crude. Spirito acquatico fecondo come le nixe musicali wagneriane tratte dall’antico folclore germanico o le sirene bicaudate dei capitelli delle chiese romaniche, in sospensione eterna tra due poli come il procedimento per l’oro alchemico, in Bregaglia la chiamano Murgäna e assume i tratti omerici del pericolo. Ai bambini dicono di non avvicinarsi mai ai ruscelli.
Mandategli dei fiori, un biglietto. Se c’è una cosa che questa pandemia mi ha ricordato è quanto sia bello passare delle ore a chiacchierare in cucina – il cuore caldo e sincero di una casa – davanti ad una Sacher, un caffè e un mazzo di tulipani. Farsi due risate, riflettere sulle difficoltà che vivono i giovani in questo momento, su come è cambiata la nostra vita e come stiamo cambiando anche noi. Provare a disegnare il futuro anche se di certezze ne abbiamo ben poche. Farlo in due ha tutto un altro sapore. Uscire un attimo dalla propria vita ed entrare in quella di un amico o un’amica rischiara un cielo grigio all’istante. Si dice ci sia un tempo per ogni cosa. Forse, tra tante limitazioni, delusioni e sofferenze è anche il tempo delle amicizie. Coltivatele e vivetele. Ricordatevi dell’ultimo film che avete visto al cinema. La mia ultima volta è stata proprio con Maristella al Barbican
di Londra. Era il 20 febbraio del 2020 e abbiamo visto La straordinaria vita di David Copperfield. Pochi giorni e nulla sarebbe stato più lo stesso. Dickens di amici ne aveva parecchi, il più stretto fu John Forster. Si incontrarono per la prima volta nel 1836 è fu subito amore. «Quando si incontrarono capirono di aver trovato l’anima gemella» ci dice Claire Tomalin, biografa anche di Mary Wollstonecraft, Kathrine Mansfield e Jane Austen, in Dickens: A Life. A proposito di letteratura e amicizia, quando potremo di nuovo abbracciarci e sedere insieme, vicini e senza paura in una qualsiasi sala o spazio aperto, cosa ne dite di un Festival letterario che ci parli di amicizia? Un modo per celebrare ciò che oggi ci aiuta a sentirci vivi e a ricordare il senso delle nostre vite. Un modo per guardarci allo specchio e riconoscerci ancora seppur con tutte le cicatrici di questi mesi.
Passeggiate svizzere di Oliver Scharpf La sirena di Valendas Dagli etruschi a Starbucks, la sirena bicaudata, si sa, è uno straordinario simbolo universale. Eppure è nei Grigioni che questo tipo di sirena d’acqua dolce, libera di spalancare le due code sollevate con le mani come una don-na alzerebbe gli orli della gonna, ha trovato terreno fertile. Infatti è la figura che s’incontra più spesso, affrescata o sgraffitata, sulle facciate delle vecchie case grigionesi. Mi è restata impressa, per esempio, e ancora riaffiora a volte, una sirena a sgraffito vista un mattino a Sent, in Bassa Engadina. I capelli lunghi a coprire il seno, la corona in testa, le mani che tengono simmetricamente le due code divaricate. Mentre la più antica rappresentazione della sirena bicaudata nel canton Grigioni, databile tra il 1109 e il 1114, si trova sul meraviglioso soffitto di legno dipinto della chiesa di Zillis. Tre sirene che suonano: una la viola, l’altra l’arpa, l’ultima il clarinetto. Forse la più speciale di tutte però è quella che vado a pescare oggi, in Surselva. Il trenino rosso s’incunea controcorrente nelle bizzarre gole del Reno anteriore che
scorre energico e mangio con gli occhi. Se le precipitose formazioni di roccia ghiaiosa grigio chiaro mi fanno venire in mente un’ambientazione da saghe fantasy, i flutti magnetici del Reno che si snoda serpeggiando mi ricordano l’inizio del Rheingold (1869) di Wagner. Quando, nel verdognolo crepuscolare delle acque, entrano in scena Woglinde, Wellgunde, e Flosshilde, le tre ninfe – come tre sono le sirene musiciste di Zillis – figlie del Reno e custodi del suo oro. Dalla stazioncina-chalet ValendasSagogn lungo i binari accanto al fiume, in mezzoretta risalgo la strada che porta al paesino di Valendas. Note di viaggio: avanzi di neve con sopra rami potati degli alberi da frutta, il volo di due poiane, un picchio rosso nel bosco, una rovina di castello, un ospizio per cavalli e pony che mi guardavano rimbambiti ma felici e compresi. A naso m’infilo tra le case e stalle di questo villaggio quasi nascosto di neanche trecento anime in tutto, comprese le frazioni, a quote superiori, di Carrera, Brün, Turisch, Dutjen. Poco prima di mezzogiorno
sbuco nella piazza dove troneggia, in cima a una grande fontana rettangolare di legno, la sirena di Valendas (811 m). È molto più bella del previsto. Lo sguardo lievemente impaurito ricorda gli animali selvatici, la mano sinistra copre un seno. L’altra mano tiene un mazzo di fiori cesellati, coprendo così il seno destro della scultura in legno dipinta risalente al 1760. In testa ha un cappello enorme stile cappelli di paglia di Firenze, i capelli scendono sciolti sulle spalle, dietro la schiena ecco le due code guizzanti da pesce che arrivano su fino alle falde larghe del cappello. L’acqua sgorga tripartita. È la Ritscha: naiade grigionese che vive in certe antiche fontane, fiumi, ruscelli. Tanto radicata nella vita di tutti i giorni che i pescatori di queste parti, quando s’incontrano, visto che per scaramanzia buona pesca non si augura mai, si salutano così: «Bütscha la Ritscha!». Bacia la Ritscha! La sirena regionale che ricorda l’arcaica dea madre alpina Raetia. O Reitia, la divinità paleoveneta delle acque. Rinvenuta in fondo a un pozzo, in località
La società connessa di Natascha Fioretti Torta, tulipani, amicizia e poesia Una normale giornata di pandemia inizia con il caffè da asporto e due chiacchiere al mio baretto preferito. Non solo. Ritiro una Sacher al cioccolato con variante – da non sottovalutare! – di marmellata di lamponi. C’è un motivo: vado dalla mia amica Maristella per un brunch. In auto faccio i conti, non ci vediamo dall’estate scorsa. Impegni lavorativi e familiari a parte, il motivo per questo grande buco temporale ovviamente è dato dal Covid. Che gioia rivedersi! Ancora una rapida sosta dal fiorista, un bel mazzo di tulipani, meglio se rossi, danno calore e colore in questa giornata uggiosa. L’ultimo brunch in piena regola di cui ho memoria naturalmente è un brunch berlinese. Non so se avete presente: da mangiare c’è di tutto, si spazia senza vergogna e senza regole dal dolce al salato e può durare ore, anche un’intera giornata. Non ci si stanca mai di stare
insieme e chiacchierare specie se è freddo e fuori piove e a Berlino d’inverno capita spesso. Dalla torta a tre strati farcita con tanta panna alle salsicce con i crauti ce n’è per tutti i gusti e nessuno si scandalizza se alla pinta di birra si alterna il cappuccino, o per i più forti di stomaco, un latte macchiato tazza grande. Cosa darei per vivere quell’atmosfera e stare ad un tavolo pieno di amici ad abbracciarci e a ridere. Nell’attesa mi alleno in piccolo per non perdere l’esercizio. Maristella con me c’è stata a Berlino, è quasi morta di claustrofobia nella stanzetta minimal che ho prenotato in un albergo low cost molto gettonato dai giovani (noi giovani lo siamo dentro ma, a volte, ti accorgi che non basta più!). Insomma, nel nostro magico sabato sei ore se ne sono andate come se nulla fosse tra chiacchiere di lavoro, vita privata, sogni da avverare, viaggi da fare e piante da potare. Il
tutto condito dalla nostra splendida Sacher che ha contribuito non poco al buon umore, pure gli zuccheri di questi tempi aiutano. In cucina si sentiva un’aria festosa e leggera, cosa non da poco ora che davvero fatico a distinguere i giorni. Il brunch con un’amica segna un punto importante, nella mia agenda bianca e annoiata ci disegno un sole e d’improvviso il ritmo interiore fa un balzo (peccato non faccia lo stesso il metabolismo…). Quanto conta l’amicizia? Ci pensate mai in questo periodo? In un anno di Covid per me è stata fondamentale per restare a galla. Avere degli amici con i quali condividere i pensieri più difficili e tristi senza vergogna o timore di giudizio, penso possa fare la differenza in questo spartiacque pandemico delle nostre vite. Se avete degli amici che non sentite da tempo cercateli. Se non potete incontrarli fate delle lunghe chiacchierate al telefono.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 marzo 2021 • N. 11
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Un eroe acquisito Tamerlano è forse la miglior narrazione del nuovo Stato uzbeko, autonomo dal 1991 pagina 19
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Scenari d’altro mondo Una «città di rocce» greca nella Tessaglia occidentale tra le cime del Pindo e i monti Antichasia
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Quando si diventa «anziani»?
Salute Al centro del progetto terapeutico
nelle cure mediche geriatriche è la qualità di vita di ogni singolo, secondo le sue capacità
Maria Grazia Buletti Secondo le definizioni ad oggi adottate, è considerata anziana una persona che abbia compiuto il 65esimo anno di età. Una definizione che ha retto a lungo. Oggi dobbiamo ammettere però che lo spartiacque anagrafico è obsoleto e oramai società e medicina devono palesemente ammettere che l’anzianità è stata posticipata. «Il concetto di senilità va aggiornato perché un 65enne di oggi ha la forma fisica e cognitiva di un 40-45enne di 30 anni or sono, e un 75enne quella di una persona che trent’anni fa aveva 55 anni», il dottor Fabiano Meroni è viceprimario di geriatria all’Ospedale Regionale di Lugano e spiega come ora l’asticella dell’età debba essere alzata a una soglia adattata alle attuali aspettative, soprattutto nei paesi con sviluppo avanzato come il nostro. «Nel riferirci alla persona anziana, adesso parliamo di terza e quarta età», spiega, introducendo una nuova categoria che divide le persone con più di 65 anni tra chi appartiene alla terza età (condizionata da buone condizioni di salute, inserimento sociale e disponibilità di risorse) e chi alla quarta età (spesso caratterizzata da dipendenza da altri e decadimento fisico). Idealmente l’aggiornamento del concetto di anzianità porta a circa 75 anni l’età per definire una persona come anziana. «Bisogna poi fare un distinguo fra la persona anziana e il paziente geriatrico. Quest’ultimo è il più delle volte un anziano con patologie croniche e spesso con una “sindrome geriatrica”: disturbi di deambulazione, sindrome cognitiva più o meno grave, disturbi dell’umore, problemi che si acuiscono con l’età come incontinenza, polifarmacoterapia (con effetti collaterali a cascata) e altri disturbi minori come la gestione del dolore cronico e i disturbi del sonno». Meroni fa una chiara differenza tra il paziente geriatrico, con tutte le sue comorbidità, e la persona anziana che invece, quando arrivano i guai della vecchiaia, si trova semplicemente a gestire gli inevitabili e fisiologici cambiamenti: «Per continuare a stare bene non bisogna lasciarsi andare, mantenendosi mentalmente e fisicamente, coltivando interessi, accettando però i nuovi
limiti fisiologici dell’età che avanza». È l’invito di un approccio alla vita con atteggiamento non giovanilistico («senza cercare inutilmente performance che cambiano con l’età»), bensì equilibrato: «Che renda più lieve il peso degli anni, senza pensare al senso di perdita per ciò che non è più come prima, perché nella persona che invecchia l’adeguamento delle risorse fronto-esecutive è naturale come lo è il regredire della pianificazione di un’azione, dell’elaborazione e della velocità del pensiero. Capacità che vengono un po’ meno a causa della diminuzione fisiologica dei neuroni». In modo speculare, per farsi carico del paziente geriatrico (anziano con malattie croniche e comorbidità più o meno gravi) non risulta altresì rilevante stabilire soglie per l’anzianità: «Il geriatra e tutto il personale medicosanitario devono chinarsi sul miglioramento della qualità e soprattutto sull’appropriatezza delle cure e dell’assistenza di questi pazienti». Qui si apre inevitabilmente lo spartiacque tra quel prima e quel poi che la pandemia da coronavirus ha provocato: «In generale, ci si ammala in primis perché si vive più a lungo e la diffusione di patologie croniche è quindi crescente, comprese quelle disabilitanti che si sono evidenziate in questa situazione di pandemia», spiega il dottor Meroni, che mette in relazione le sindromi tipiche dei pazienti geriatrici con, ad esempio, l’isolamento degli anziani indotto dalle misure di protezione da Covid-19. «È innegabile che l’isolamento sia associato a una serie di circoli viziosi che con la pandemia si sono accentuati in modo importante: ho potuto osservare pazienti con problemi di mobilità ed equilibrio pregressi, che oggi si sono significativamente intensificati. Dal lockdown sono arrivati nuovi pazienti con una sospetta o evidente accelerazione dei deficit cognitivi, prima tamponati e compensati in qualche modo dalla rete sociale che poi è andata in frantumi». Un esempio: «Riguardo alle demenze, la chiusura dei centri diurni terapeutici (su cui anche le famiglie potevano contare) ha portato a un isolamento di molti anziani poi visibilmente regrediti. Per questo, una menzione di merito va all’attivazione della presenza a domicilio laddove si sia potuta attua-
Il viceprimario di geriatria dell’ORL Fabiano Meroni. (Stefano Spinelli)
re». La perdita della routine quotidiana ha comportato un peggioramento della salute dell’anziano, trasformandolo in paziente geriatrico. Riflessioni che aprono l’importante capitolo delle cure dispensate ai pazienti geriatrici che hanno contratto il Covid-19, come pure la loro presa a carico e tutto ciò ad essa correlato. A questo proposito il geriatra si pone alcune domande il cui presupposto risiede in uno dei quattro fondamentali principi di bioetica, affermando che «nel prestare servizio anche in una casa per anziani durante la pandemia, ho pensato a quanto sia importante applicare il principio di Non Maleficenza o “primus non nocere”: tutti noi dovremmo riuscire a preparare nel tempo l’anziano e i suoi parenti verso il rispetto della sua dignità, evitandogli
ogni sofferenza che possa essere conseguente a un atto medico». Egli ribadisce che non si tratta di valutare più preziosa la vita di un giovane o di un adulto («tutte le vite hanno lo stesso valore, a prescindere dall’anagrafe»), bensì di agire con la persona anziana in modo da curarla senza arrecare danno psicofisico. Quindi ci parla del confinamento ospedaliero di pazienti geriatrici con deficit cognitivi: «Essi sono tolti dal loro ambiente di casa di cura e ospedalizzati, con necessità a volte di sedazione farmacologica e conseguente sviluppo di una cascata di complicazioni (delirium, sindrome da immobilizzazione, eccetera) a ripercuotersi nell’immediato e più a lungo termine nei soggetti guariti da Covid-19 (incapacità di camminare per la perdita di tono muscolare, l’incapacità
di nutrirsi dopo un lungo periodo di intubazione, e via elencando). Gli anziani più fragili hanno sicuramente una migliore prognosi e qualità di vita/cura se assistiti adeguatamente in casa per anziani, dove tutto è familiare e rassicurante, compresa la voce del sanitario che si occupa di loro». Dinanzi alla persona anziana e fragile il geriatra e tutto il mondo sanitario devono davvero «riflettere sulla pertinenza di ogni atto medico», privilegiando le scelte che rispettino quel non nocere a favore di un accompagnamento che comprenda anche i famigliari: «Questa è la medicina, la geriatria del futuro, per le persone di una certa età, a prescindere da tutte le cure mediche che possiamo prodigare. Diamo perciò sempre importanza alla riflessione sulle priorità delle cure nelle persone anziane».
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Ambiente e Benessere
I celti e l’arte del bottaio
Scelto per voi
Vino nella storia Tra le divinità più importanti del Pantheon gallico, Sucellus,
ovvero «colui che batte bene» Davide Comoli Da Le origini della viticoltura in Piemonte a opera del professor Filippo Maria Gambari, apprendiamo grazie ai numerosi corredi tombali etruschi ritrovati nella zona del Lago Maggiore, che la diffusione della viticoltura risale all’incirca quando a Roma regnava Tarquinio Prisco, quinto re di Roma (616-579 a.C.).
Scoperte archeologiche rivelano che le doghe erano fatte di legno di abete e larice, piegate e chiuse a incastro La mancanza di grosse anfore vinarie, e i ritrovamenti di piccoli vasi potori e brocche dal becco di bronzo, portano il noto archeologo a supporre l’utilizzo di piccoli otri o addirittura di botti lignee di facile trasporto per vie d’acqua come l’idrovia Ticino-Lago Maggiore. Purtroppo, mancano prove e riscontri certi, ma è sicuro che la nascita della botte da vino gallica, descritta come vedremo da Strabone (21 d.C.) e da Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), sia avvenuta nella Gallia Cisalpina. La tesi dell’impiego di piccole botti lignee per il trasporto fluviale è quindi anche a parer nostro più che una supposizione. Immaginare un drammatico naufragio che, dopo l’affondamento del barcone, metteva in salvo le botti contenenti il vino grazie alla loro capacità di galleggiare ed essere recuperate, non doveva essere probabilità remota, ma è meglio non far correre troppo la fantasia. Il vino è stato comunque veicolo di confronti e travasi di civiltà, da qui l’origine dell’apprendimento delle popolazioni Celtiche, che divennero un’eccellenza nella produzione e conservazione del vino nelle botti di legno. Tuttavia va ricordato anche solo per curiosità che i celti utilizzarono le prime anfore vinarie etrusche come «urne ci-
nerarie»; non pensiamo che lo facessero per risparmiare, ma in ogni caso l’idea che le «ceneri» potessero risposare in un contenitore reso «sacro» dal vino ci regala un immenso sorriso. Mentre la cultura della vite e soprattutto la produzione del vino erano inizialmente ignote alle popolazioni celtiche nelle loro sedi transalpine, pare comunque indubbio che già molto prima della conquista romana i Galli calati nella Cisalpina avessero appreso dalle popolazioni indigene certe tecniche, che essi integrarono con le loro precedenti esperienze produttive. Notevole era l’abilità di questo popolo nella metallurgia e nell’oreficeria, inoltre i Celti erano esperti anche in tutte le pratiche di carpenteria. Un esempio importante di questa integrazione, come riferì lo storico dell’agricoltura italiano Emilio Sereni, è quello dell’impiego di tini e botti di legno ai fini della preparazione e della conservazione del vino. Un impiego delle botti completamente estraneo alla tradizione dei popoli mediterranei, che usavano come è noto, manufatti ceramici di varie dimensioni oppure otri di pelle. Di «botti di legno più grandi delle case», invece, ci parla non senza farsi
meraviglia, Strabone nella sua Gheographiká (V,1,8) scritto verso il 18 d.C., parlando dell’abbondanza della produzione vinicola nella Padania. Così come di vino conservato in recipienti di vino cerchiati, ci parla Plinio (Gaius Plinius Secundus, Naturalis Historia, XIV 27, 132) per la regione alpina: «Circa Alpes ligneis vasis condunt tectisque cingunt atque etiam hieme gelida ignibus rigorem arcent. Rarum dictu, sed aliquando visum, ruptis vasis stetere glaciatae moles, prodigii modo, quoniam vini natura non gelascit». «Nelle località alpine pongono i vini in recipienti di legno, li cerchiano e anche durante i rigori invernali, li difendono dal freddo con il fuoco. È cosa straordinaria, ma qualche volta si è visto che, rotti i recipienti, restano lì immobili masse di ghiaccio, quasi per prodigio, perché il vino per sua natura non gela». E aggiunge: «doliis etiam intervalla dari, ne inter sese vitia serpant atque contagione vini semper ocissima». «Le botti devono essere disposte a una certa distanza l’una dall’altra, a evitare che i difetti si diffondano tra di esse, perché il contagio del vino è velocissimo» (Plinio, N.H.). Scoperte archeologiche rivelano che le doghe erano fatte di legno di abe-
Statua di Sucellus al Camp de César in Francia. (Rhone A7)
te e larice, piegate e chiuse a incastro «Alpes ligneis vasis condunt tectisque cingunt», tenuti insieme da cerchi di noce e salice. Strabone (Gheographiká) era pure rimasto impressionato dalla presenza di forni per la produzione della pece, che si otteneva dalla resina degli abeti rossi e che serviva a calafatare gli interstizi tra le doghe. Chissà com’era il gusto del vino che era stato in contatto tra legno d’abete e la pece? Quel che si sa è che perlomeno la pece garantiva una buona tenuta stagna. Le pratiche della carpenteria celtica ebbero una parte di primo piano, alcune parole inerenti all’arte del bottaio le possiamo ritrovare ancora oggi ad esempio dal gallico «bunda» ritroviamo il lombardo «bondòn» (il cocchiume – il tappo che chiude la botte), da «tunna» la «tonne» francese, e poi ancora: «brenta» per il trasporto a spalla di liquidi, «bonz», botte carreggiata, o in lombardo «bonza». Molte sono le fonti iconografiche di età romana che rappresentano nei territori della Gallia Cisalpina e Transalpina i trasporti di vino effettuati nelle botti per terra o per via fluviale. D’altronde possiamo aggiungere che la botte e il martello del bottaio, hanno una parte importante nell’iconografia di una delle divinità più importanti del Pantheon gallico, Sucellus, che presiedeva a quanto pare, alla preparazione della birra, la mistica bevanda celtica, alimento e gioia della vita d’oltretomba, e pertanto anche all’arte del bottaio, dato che il suo nome significherebbe «colui che batte bene». Il culto di Sucellus fu così diffuso in tutta la Gallia romana che molti musei, soprattutto francesi, offrono un gran numero di rappresentazioni di questo dio che impugna un mazzuolo a indicare che Sucellus era per l’appunto il patrono dei vignaioli gallici; quindi ricordatevi, quando andrete a Beaune (Borgogna), di conoscere questo personaggio, che di certo non usurpa il posto in cui è collocato nel museo del Vino della città.
Barbera d’Alba Superiore Adriano
In località San Rocco Seno d’Elvio, piccola frazione di Alba, su suoli argillo-calcarei, adatti a produrre vini complessi e strutturati, i fratelli Marco e Vittorio Adriano coltivano, da lungo tempo e con grande rispetto per l’ambiente, i classici vitigni del Piemonte. Il Barbera Superiore che oggi vi consigliamo – e per i meno avvezzi al Piemonte, ci troviamo a pochi passi da Barbaresco – ci colpisce per la pulizia dei suoi profumi che richiamano la marasca, la prugna, il ribes, ma anche la viola e alcune spezie delicate. Pure il suo colore, che è di un rosso rubino profondo con riflessi violablu, ci fa capire che abbiamo di fronte un vino ottenuto dalla migliore selezione di uve. Al palato troviamo un vino molto armonico, con un ingresso tenue in bocca e una bella apertura verso la polpa del frutto. È il vino che vogliamo consigliare come regalo per la Festa del papà, da abbinare a primi piatti corposi, dove non manca il formaggio d’alpeggio, e al bollito misto, ma da non disdegnare nemmeno con una merenda tra amici con pane e salame. / DC Trovate questo vino nei negozi Vinarte al prezzo di Fr. 16.–. Annuncio pubblicitario
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Ambiente e Benessere
Dalla ricca terra di Puglia La cucina della Puglia è ricca per un «semplice» motivo: possiede una costa molto pescosa, dietro terreni assai fertili, dietro ancora ampi pascoli: più variegati non si può. Non stupisce, quindi, che verdure e pasta costituiscano, insieme al pesce e all’olio d’oliva, gli ingredienti di base della gastronomia pugliese. E poi: cime di rapa, broccoli, cavolfiori, peperoni, pomodori, melanzane, zucchine, fave, fagioli, cipolle… non c’è che l’imbarazzo della scelta.
Oltre agli anicini, e al panvinesco, altre golosità sono i bocconotti, le carteddate e il corruccolo Il tutto da abbinare in piatti tradizionali. Ad esempio, fave e cicoria, accompagnati da olive nere e ortaggi freschi o secchi danno vita a una squisita e densa minestra, la ’ncapriata. Spesso poi gli ortaggi vengono farciti; è il caso per esempio dei peperoni, arrotolati su un ripieno di acciughe, capperi, pinoli, uvetta e prezzemolo, o dei pomodori, riempiti con un composto a base di pangrattato, parmigiano grattugiato, uova e olio. Numerose sono le zuppe. La più nota è forse la minestra maritata, a base di cicoria, scarola, sedano, finocchi, lardo e pecorino grattugiato. Altrettanto apprezzati sono i pancotti, a base di fave, carciofi, finocchi, cicoria ed erbe aromatiche quali origano e menta. Dalle classiche orecchiette, servite soprattutto con le cime di rapa, alle laganelle (piccole lasagne), la pasta si declina in forme diverse, condita in preferenza con legumi o verdure. Il buon grano pugliese serve anche a preparare il pane di semola (quello di Altamura in particolare) e tutto un assortimento di pizze, focacce e calzoni: che vengono
cotti in forno, mentre i panzerotti sono fritti. Pesce, ostriche, frutti di mare e molluschi diventano zuppe, secondi piatti o sugo per la pasta. L’agnello, molto apprezzato e preparato in modi diversi, viene lavorato in modo semplice ma gustoso: si appoggia il pezzo di carne su una teglia ricoperta con carta di paglia e si inforna fino a cottura. Il marro è invece una pietanza realizzata con budelli e frattaglie di agnello o capretto, che vengono cotti allo spiedo o arrotolati con lardo e pecorino in retine, sempre di agnello o capretto, e cotti al forno. Ricordo anche gli ottimi latticini: burrata, caciocavallo, ricotta, pecorino e molti altri formaggi, che entrano nella preparazione di vari piatti. E non solo salati. Ad esempio, ricotta e mandorle sono alla base di molti dolci, spesso accompagnati o dolcificati con il vin cotto (il classico mosto concentrato), preparato anche cuocendo i fichi a lungo. La ricotta, per esempio, può pure essere impanata e fritta, usata per una gustosa cassata o come farcia per un dolce particolare, le «dita di apostoli». Questi ultimi si preparano montando leggermente degli albumi, con i quali si realizzano sottili frittelle farcite con un composto di ricotta, zucchero e cacao. Con le mandorle, invece, si preparano il marzapane – famoso quello bianco di Gioia del Colle – e altri dolci. Il vin cotto, infine, viene usato per realizzare il panvinesco: portato a ebollizione e addensato con semolino, viene poi steso su un piano di marmo e, una volta freddato, foggiato a piacere e decorato con anicini (confettini) colorati. Anche le patate figurano tra gli ingredienti delle torte, per esempio stanno alla base della ciambella pugliese, impastata con pasta da pane, zucchero, uova e strutto. Altre golosità sono i bocconotti (calzoni dolci ripieni di crema o marmellata), le carteddate (dolci natalizi realizzati con una pasta sottilmente stesa e fritta) e il corruccolo (tipico dolce a treccia del periodo pasquale).
CSF (come si fa)
Pixabay.com
Allan Bay
www.puglia.com.scarcella.pasqua-dolce-puglia
Gastronomia Verdure, pasta, insieme a pesce e olio d’oliva, gli ingredienti base, senza dimenticare i dolci
Pie è un termine inglese (letteralmente, «pasticcio») con cui si indica una preparazione da forno dolce o salata, di dimensioni variabili. In genere l’involucro del pie viene preparato con un apposito impasto (pastry), ma può essere fatto anche con pasta frolla, brisée o sfoglia, a piacere di ciascuno. Moltissimi, i ripieni possibili: agnello, piccione, rognone, pollo, prosciutto
per quanto riguarda il pasticcio salato; crema pasticciera, composta di frutta o mele (si pensi all’emblematica apple pie) per quanto riguarda il prodotto dolce. Ci sono pies tipici del periodo natalizio, come quello a base di carne trita (mince pie), e altri solo vegetariani (homity pie, a base di patate, cipolle e porri, ricoperti di formaggio). Anche gli Stati Uniti hanno sviluppato una propria tradizione in questo campo: il pasticcio più noto, apple pie a parte, ovviamente, è sicuramente quello di zucca ma ce ne sono altri a base, per esempio, di noci pecan od ostriche. Vediamo come si fa quello di zucca, mitico, il pumpkin pie (ingredienti per 8 persone). Preparate 250 g di pasta brisée (o altra a vostro insindacabile giudizio, se volete compratela), tirate-
la non finissima e foderate una tortiera da 22 cm. Sbattete in una ciotola 4 albumi, montateli a neve e in un’altra ciotola montate i 4 tuorli con 150 g di zucchero di canna, cannella in polvere, noce moscata, chiodi di garofano in polvere e pepe a piacere. Mondate 500 g di zucca, avvolgetene la polpa in alluminio e cuocete in forno per 18 minuti a 180°. Frullatela, setacciatela anche e arricchitela con 150 g di panna da montare e 50 g di burro fuso. Unitela al composto di tuorli poi aggiungete, delicatamente, quello di albumi. Versate nello stampo foderato, livellate e cuocete in forno a 230° per 10 minuti, poi abbassate la temperatura a 180° e cuocete per altri 25 minuti. Servitela fredda, ricoprendola di granella di noci pecan tritate e impastate con 4 cucchiai di miele.
Ballando coi gusti Oggi due ricette di cozze molto amate da sempre che derivano dalla tradizione belga e dal nord della Francia.
Cozze al blu
Cozze al sidro
Ingredienti per 4 persone: 2 kg di cozze · 200 g di formaggio tipo blu, ovvero erborinato morbido (va bene il gorgonzola) · ½ bicchiere di latte · ½ bicchiere di vino bianco · prezzemolo · pepe.
· farina · prezzemolo · burro.
Tagliate il formaggio a fettine e scaldatelo con il latte fino a scioglierlo, deve risultare cremoso. In un ampio tegame mettete le cozze, bagnatele con il vino e fatele aprire a fuoco vivace. Scolatele man mano che si aprono e ponetele in una terrina, tenendole in caldo. Filtrate il liquido di cottura e tenetelo da parte per altre preparazioni: è un ottimo brodo. Sgusciate le cozze e toglietene la valva superiore. Sistematele in un piatto che possa andare in forno ben ravvicinate; irroratele con il loro liquido e copritele con la crema al formaggio. Spolverate con il pepe e gratinate a 210° fino a dorare il formaggio. Cospargete con una cucchiaiata di prezzemolo e servite.
Ingredienti per 4 persone: 2 kg di cozze · ½ litro di sidro · cipolla · aglio · paprika
Portate in ebollizione il sidro. Versate in un ampio tegame 30 g di burro e soffriggetevi uno spicchio di aglio mondato e leggermente schiacciato con mezza cipolla mondata e tritata. Aggiungete le cozze e fatele aprire unendo metà del sidro. Levatele e tenetele in caldo. Filtrate il fondo di cottura e versatelo nel tegame. Scaldate, unite un abbondante cucchiaio di farina setacciata e versate il sidro rimanente. Fate insaporire e addensare per 3 minuti, mescolando. Profumate con paprika e aggiungete le cozze amalgamandole molto bene alla salsa. Servitele cosparse con prezzemolo tritato.
Foto: Hasan Belal / Caritas Svizzera
Pubbliredazionale
te online su: n e m a tt e ir d Donare ia caritas.ch /sir Sidra fa i compiti con il fratello maggiore Walid, la cui sordità parziale non ha mai potuto essere curata a causa della guerra e della povertà.
Sidra, 10 anni, è tornata a vivere: può finalmente studiare
Sidra racconta: «Soprattutto in inverno fa talmente freddo che quasi non riesco a tenere in mano la penna e a concentrarmi. Molti bambini si ammalano.» E non c’è da meravigliarsi: le aule non hanno né porte né finestre. Le pareti sono perforate dai proiettili. Nel freddo gelido della Siria, Sidra e le sue amiche in aula indossano giacconi e sciarpe. Sidra è contenta che Caritas ora rinnovi la scuola.
passione. Anche il suo tempo libero lo passa così. «Per un bel disegno conta ogni dettaglio» dice convinta. Le piace molto disegnare tutti quei luoghi magici che vorrebbe visitare un giorno, ad esempio un grande giardino con tanto spazio per giocare. Qui c’è una bella altalena non troppo alta. «Così non cade nessuno.» Un posto dove non deve temere di calpestare una mina mentre gioca.
Caritas aiuta Sidra anche a elaborare le esperienze vissute e a guardare avanti. Dei team specializzati fanno regolarmente visita alla sua scuola. A Sidra piace soprattutto quando disegnano insieme, la sua grande
Sidra è sempre più fiduciosa. Con quel suo sguardo sveglio, oggi è sicura di sé: «Un giorno andrò all’università e poi fonderò un ospedale.» * Tutti i nomi sono stati modificati
Siria: prospettive per alunni traumatizzati Un’intera generazione di bambini siriani rischia di rimanere senza diploma. Il sistema scolastico è crollato. Le scuole sono distrutte o danneggiate e gli insegnanti qualificati sono rari. Oggi, in Siria, oltre due milioni di bambini non frequentano la scuola. Altri 1,3 milioni rischiano di doverla interrompere prima del tempo. Molti bambini sono traumatizzati. Hanno bisogno di un sostegno particolare per poter studiare. Caritas Svizzera vuole aiutare i bambini della Siria, rinnovando edifici scolastici distrutti nella Ghouta orientale vicino a Damasco e offrendo corsi di perfezionamento agli insegnanti. Con visite regolari nelle scuole e centri sicuri appositamente creati aiuta i bambini a elaborare i traumi vissuti. Questo impegno è parte del programma di Caritas per la gente della Siria, nel Paese stesso e nei Paesi limitrofi. Anche se sono già trascorsi dieci anni dall’inizio della guerra, gli aiuti sono sempre urgenti.
Sidra* ha gli stessi anni della guerra nel suo Paese, ossia 10. La sua vita è segnata da fuga, paura e violenza. Dopo un lungo periodo di interruzione può finalmente tornare a scuola, tra le macerie e in estrema povertà. Sidra è determinata, vuole studiare e guardare avanti, grazie all’aiuto di Caritas. Sidra è concentrata sul quaderno. La bambina ha quasi finito i compiti per oggi. Poi aiuta Walid, il fratello maggiore che è audioleso. «Gli spiego tutto lentamente» racconta Sidra. Con tanta pazienza scrive parole arabe in aria, lettera per lettera. Siedono così per ore sul sottile materasso nell’unico locale abitabile della loro casa a Jarba, nella Ghouta orientale vicino a Damasco. Cercano di ignorare il freddo pungente e il rumore del vento che scuote senza sosta il tetto improvvisato. Hanno trascorso troppo tempo senza studiare.
Troppa sofferenza Nel 2018, al termine dei conflitti nella Ghouta orientale, Sidra è tornata insieme ai suoi fratelli e ai genitori nella loro casa a Jarba, dopo ben cinque anni di fuga e sofferenze inimmaginabili.
località siriana all’altra, sempre alla ricerca di cibo, un rifugio, un po’ di sicurezza. L’emergenza, la violenza e la paura erano all’ordine del giorno. Le esperienze vissute sono rimaste impresse nella mente di Sidra.
Sidra era una bambina allegra di due anni quando nel 2013 i conflitti hanno invaso la sua strada. La famiglia è dovuta fuggire da un giorno all’altro. Il padre Mohammad al-Khoury si ricorda: «Non dimenticherò mai quel giorno. Eravamo circondati dalla morte.» Poi un’odissea da una
Giornate difficili e grandi sogni Anche se i conflitti nella Ghouta orientale sono terminati, la vita di tutti i giorni resta molto difficile per la famiglia di Sidra. Jarba è ridotta in macerie, la loro casa è gravemente danneggiata. Manca tutto l’immaginabile. Mohammad, affetto da una malattia cronica ai polmoni, riesce a stento a sfamare la famiglia facendo lavoretti saltuari. «Se ho lavoro, abbiamo qualcosa da mangiare, altrimenti no» racconta rassegnato. Nella vita di Sidra la povertà è onnipresente. Ecco perché è così importante la scuola. Offre nuove prospettive, lascia spazio ai sogni e per i bambini è un luogo di pace. Dopo aver perso vari anni di scuola quando era in fuga, Sidra ora può finalmente frequentare le lezioni. Fa di tutto per recuperare, anche durante il tragitto: «Non perdo tempo, di solito vado veloce» spiega la bambina vivace e sorridente. Ha infatti grandi sogni: «Voglio fare il medico per aiutare gli altri.»
Per maggiori informazioni su Sidra: caritas.ch/sidra-i
Nuova fiducia per Sidra Sidra è una buona alunna. Ma non è sempre facile studiare.
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Ambiente e Benessere
Altolà al monouso
Riciclaggio Ad ogni evento le giuste stoviglie, meglio se riutilizzabili: così invita il Dipartimento del territorio
comunicando i risultati di uno studio sull’impatto ambientale di piatti, bicchieri e posate usa e getta non sostenibili
Elia Stampanoni È ormai da quasi un anno che in Ticino e nella Svizzera intera non vengono organizzati dei grandi avvenimenti, ma proprio nel mezzo della pandemia, lo scorso ottobre, il Dipartimento del territorio (DT) ha comunicato i risultati di uno studio sull’impatto ambientale delle stoviglie monouso e riutilizzabili. Come riferimento è stato scelto un avvenimento della durata di cinque giorni organizzato in Ticino, dove vengono servite 100mila bevande e 50mila pasti, ognuno con l’utilizzo di un piatto, una forchetta e un coltello. L’obiettivo dell’analisi, commissionata dal DT in collaborazione con l’Azienda cantonale dei rifiuti (ACR) alla ditta Quantis, era innanzitutto di offrire un supporto per migliorare l’impatto ambientale dei piccoli o grandi eventi. I risultati, come citava il comunicato stampa di presentazione, «possono infatti contribuire a diffondere un nuovo approccio al tema delle stoviglie nell’ambito dell’organizzazione di eventi». Un approccio che, stando alle principali conclusioni, dovrebbe portare a rinunciare all’usa e getta e nel contempo massimizzare il numero degli utilizzi. Solo in queste condizioni l’abbandono di bicchieri, piatti e posate monouso permette di migliorare sostanzialmente il bilancio ambientale. La prima analisi effettuata – che ha costituito anche lo scenario base per
le successive – ha messo a confronto le alternative in plastica monouso e quelle riutilizzabili. Sono state quattro le opzioni di plastica usa e getta considerate: PE, PET, PP, PS (ossia polietilene, polietilene tereftalato, polipropilene, polistirene). Per le stoviglie riadoperabili, in PP o in melamina, è stato invece previsto un riutilizzo di 20 volte, nonostante la durata nominale sia decisamente superiore, anche ipotizzando un tasso di perdita e rottura del cinque per cento a ogni ciclo. I risultati hanno promosso l’uso di stoviglie riutilizzabili in polipropilene, che risultano ecologicamente più vantaggiose rispetto a quelle monouso già a partire da 15 cicli di riutilizzo. Le stoviglie riutilizzabili in melamina hanno invece un’impronta di carbonio (un indicatore che misura l’impatto delle attività umane sull’ambiente e sul clima globale) superiore, ma a partire da 55 utilizzi diventano pure loro favorevoli in paragone alle monouso. Come detto, più alto è il numero di riutilizzi, più ampio sarà il vantaggio ambientale. La scelta delle stoviglie riutilizzabili risulta chiaramente ancor più vantaggiosa se il lavaggio avviene in aziende locali, che permette di ridurre l’impatto dovuto al trasporto. Nelle situazioni in cui risulta impossibile scegliere le stoviglie riutilizzabili, tra quelle usa e getta vanno preferite quelle in legno o quelle in bioplastica, come per esempio in PLA (acido poli-
La soluzione mista, con piatti e posate in legno e bicchieri in PLA, risulta essere la più vantaggiosa. (Pixabay.com)
lattico, estratto da mais, barbabietola da zucchero o da altre piante), tra le più diffuse sul mercato per questo genere di applicazione. La soluzione mista, con piatti e posate in legno e bicchieri in PLA, risulta essere la più vantaggiosa. Indipendentemente dal tipo di smaltimento, sia esso la termovalorizzazione o la metanizzazione (processo biologico di degradazione anaerobica svolto grazie a
L’apporto di Migros Per ridurre i rifiuti e diminuire l’impatto ambientale ci si muove anche in altri ambiti e Migros già da anni si è attivata per trovare delle valide soluzioni. Sin dal 2017, Migros propone per esempio stoviglie riutilizzabili nei suoi ristoranti e take-away, dove i clienti possono sostenere l’ambiente rinunciando alle stoviglie usa e getta. «Tra le persone che mangiano nei ristoranti e take-away Migros, circa un terzo porta con sé il pasto e lo consuma al parco o altrove. Lasciando un deposito di cinque franchi, i clienti ricevono il pasto
in ciotole riutilizzabili, che potranno restituire non lavate in qualsiasi ristorante o take-away Migros aderente all’iniziativa», citava il comunicato stampa del 16 gennaio 2017. Oltre a questo, per gli acquisti ai banchi a servizio per salumeria, pesce, formaggi, carne (eccezione per il pollo crudo o gli alimenti che lo contengono) o gastronomia è possibile l’uso di contenitori personali, di vetro o di plastica, evitando quindi imballaggi usa e getta. Importante è che i contenitori siano puliti e idonei all’uso e che se ne
utilizzi uno per ogni tipo d’alimento. Altre iniziative coinvolgono le uova, con la possibilità di sistemi riutilizzabili, ovvero le borse «veggie bag» in cui mettere frutta, verdura ma anche noci o il panino per la merenda che, riutilizzate almeno sei volte, risultato già più sostenibile dei sacchetti di plastica. Infine, dal 2021 negli scaffali di Migros non ci sono più piatti di plastica monouso, sostituiti con materiali alternativi più ecologici che garantiranno un risparmio annuo di circa 560 tonnellate di rifiuti di plastica.
dei microorganismi), l’uso di questi tipi di stoviglie risulta avere un impatto minore sul riscaldamento globale rispetto a quelle in plastiche convenzionali che, va ricordato, non saranno più ammesse negli eventi pubblici a partire dal 2023. Il Parlamento ticinese lo ha di fatto deciso il 22 giugno 2020, accogliendo una mozione parlamentare richiedente l’introduzione di un divieto di utilizzo delle stoviglie di plastica monouso (non biodegradabili o riciclabili) nelle manifestazioni pubbliche di vario genere, la quale dava seguito alla linea già tracciata da diversi comuni ticinesi. In alcuni eventi è possibile che siano utilizzate stoviglie in materiali riutilizzabili convenzionali, come piatti in ceramica, posate in acciaio o bicchieri in vetro, che vengono poi lavate sul posto. Nello studio questo utilizzo è stato confrontato con l’uso di stoviglie riutilizzabili in plastica che vengono però inviate Oltregottardo per il lavaggio (scenario con trasporto per il 20 per cento via camion e per il restante 80 per cento via treno). È emerso che l’impronta di carbonio per i materiali convenzionali si colloca tra quella per le stoviglie riutilizzabili in PP e quello di stoviglie in melamina, ma comunque risulta mi-
gliore in paragone all’usa e getta. L’unica criticità per l’utilizzo di stoviglie in vetro e ceramica potrebbe essere il rispetto delle norme di sicurezza e la garanzia di un elevato numero di utilizzi senza rotture o danneggiamenti. Le dimensioni dell’evento non risultano infine essere un fattore determinante dal punto di vista ambientale per la scelta o meno delle stoviglie riutilizzabili. Lo studio, confrontando l’evento in cui vengono distribuite 500mila bevande e uno con «solo» mille bevande, ha dimostrato che la dimensione non è un fattore che modifica quanto emerso dalle precedenti analisi: «Il passaggio alle stoviglie riutilizzabili rimane un vantaggio a patto che la scelta delle stoviglie (materiale e peso) sia appropriata». Informazioni
Lo studio si trova al link: www.ti.ch/ rifiuti e www.ti.ch/sviluppo-sostenibile («In primo piano»). Commissionato dalla Repubblica e Cantone Ticino – Dipartimento del territorio, il titolo è: Analisi degli impatti ambientali delle stoviglie monouso e riutilizzabili usate negli eventi in Ticino. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 marzo 2021 • N. 11
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Ambiente e Benessere
Non più design d’autore, ma di gruppo Motori La seconda Porsche in produzione dotata esclusivamente
di alimentazione elettrica si chiama Taycan 4 Cross Turismo
Abeliophyllum, la forsizia bianca
Mondoverde Una pianta profumata che,
con la sua omonima gialla, crea un angolo fiorito in giardino già dai primi di marzo
Anita Negretti Accanto al cancello d’ingresso della mia casa, dietro a una bassa siepe di lauro, cresce da molti anni un folto cespuglio di forsizia (Forsythia x intermedia) che ai primi di marzo regala una splendida fioritura giallo oro. È stata la mia prima vittima botanica, quando, giovane studente quattordicenne di agraria, mi dilettavo con le mie prime talee: basta tagliare qualche punta dei lunghi rami di questo cespuglio caducifoglio, interrarlo a mezz’ombra con un po’ di terriccio soffice e umido, e in qualche settimana compariranno le prime radici, a garanzia del germogliare di nuove piante.
L’Abeliophyllum distichum è un arbusto caduco che ama il pieno sole e fiorisce a fine inverno profumando
Mario Alberto Cucchi Sergio Pininfarina, Flaminio Bertoni, Giorgetto Giugiaro. Questi i nomi di alcuni tra i designer automobilistici più famosi al mondo. Hanno disegnato le quattroruote più belle. Uomini che hanno avuto la fortuna di vedere il loro cognome scritto sulle fiancate di mezzi come Ferrari F40 e Testarossa, Maserati Coupé e Alfa Romeo Brera, Lamborghini Countach e Miura. Caso unico quello di Ferdinand Alexander Porsche. Il figlio del fondatore della Casa tedesca ha tracciato le linee della 911. Modello che, diverso ma non stravolto nelle linee che ne hanno decretato il successo, è arrivato sino a oggi. Per la maggior parte delle automobili la storia è ben diversa. Non si può risalire all’autore che ne ha segnato le prime linee su un foglio di carta. Sempre più spesso i costruttori si affidano a studi di progettazione interni in cui tutti disegnano ma nessuno firma. Che peccato! Così è anche per la Taycan 4 Cross Turismo che ha debuttato in anteprima mondiale questo mese. Un’automobile che non lascia indifferenti né per il design né per la tecnologia adottata. Si tratta infatti della seconda Porsche di produzione dotata esclusivamente di
alimentazione elettrica. Un Porschista del secolo scorso non ci avrebbe mai creduto: un’auto con la cavallina di Stoccarda sul cofano alimentata a batterie e in versione off-road. «Nel 2019 abbiamo lanciato un segnale importante con il debutto della nostra prima auto sportiva completamente elettrica» ha dichiarato Oliver Blume, Presidente del Consiglio di Amministrazione di Porsche AG, in occasione della presentazione in anteprima mondiale del nuovo derivato, ancora più versatile. «Ci consideriamo pionieri della mobilità sostenibile: entro il 2025, la metà di tutte le nuove auto che consegneremo avranno una trazione elettrificata; completamente elettrica o ibrida plug-in. Nel 2020, uno su tre di tutti i modelli che abbiamo consegnato in Europa aveva un propulsore elettrico. Il futuro appartiene alla mobilità elettrica». Taycan Cross Turismo è dotata di una innovativa trazione elettrica con architettura a 800 volt. Il telaio hightech con trazione integrale e sospensioni pneumatiche adattive assicura prestazioni dinamiche senza compromessi anche in fuoristrada. Ed è proposta in quattro differenti versioni a trazione integrale, tutte dotate di Performance Battery Plus da 93,4 kWh.
Il modello di ingresso è la Taycan 4 da 380 cavalli, che diventano 476 CV in overboost. L’autonomia dichiarata è compresa tra i 389 e i 456 km nel ciclo Wltp. Al top di gamma la Turbo S da 625 cavalli (761 CV in overboost), che a batteria completamente carica copre dai 388 ai 419 km. La velocità massima varia tra i 220 km/h per la 4 e i 250 km/h autolimitati per le Turbo. Grazie al Launch Control, tutti i modelli ottengono ottimi risultati nell’accelerazione da fermo, con i 100 km/h che si raggiungono in tempi variabili da 5,1 a 2,9 secondi in base alla versione. La tecnologia a 800 Volt e la compatibilità con le colonnine più veloci disponibili sul mercato consentono di recuperare fino a 100 km di autonomia in cinque minuti. Taycan Cross Turismo sembra davvero bella, ma attenzione: il concetto di bellezza non è assoluto bensì relativo. Il proverbio dice: non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace. Ci sembra però difficile che la Taycan 4 Cross Turismo possa lasciare indifferente un appassionato. Di una cosa invece siamo certi: i prezzi non sono propriamente popolari. Per mettersela in garage bisogna essere disposti a spendere 112’600 franchi svizzeri.
Così ho iniziato a moltiplicarla, regalando le neonate a vicini e conoscenti, e collezionando alcune varietà più inusuali di forsizia, come la piccola e compatta F. x intermedia «Maree d’Or», che non supera gli ottanta centimetri di altezza o la «Mindor» che produce fiori in abbondanza su rami rossastri. Pochi anni or sono, ho letto di una pianta chiamata comunemente forsizia bianca e me ne sono procurata un vaso.
Messo in piena terra a ottobre, me ne sono dimenticata finché non ha fiorito ai primi di marzo: dai piccoli rami arcuati sono spuntati molti fiorellini bianchi, simili a quelli della classica forsizia. Si tratta di Abeliophyllum distichum, un arbusto caduco che raggiunge il metro e cinquanta centimetri di altezza e di larghezza, ama il pieno sole e ha una fioritura a fine inverno gradevolmente profumata. Della famiglia delle Oleaceae, si riproduce anch’esso con facilità grazie a talee da prelevare dopo la fioritura. Le foglie di Abeliophyllum sono verde scuro, compaiono ad aprile e hanno una forma ovoidale, mentre in autunno si tingono di rosso. Certo, messi una accanto all’altro, forsizia ed Abeliophyllum creano un angolo fiorito in giardino già dai primi di marzo, ma il vero colpo di scena lo si può creare accompagnandolo con la forsizia rosa, che altro non è che la varietà «Roseum» di Abeliophyllum distichum. In fiore già dai primi di gennaio, se coltivata in angoli riparati del giardino o in capienti vasi, anche questa varietà raggiunge il metro e cinquanta centimetri sia di altezza sia di ampiezza, creando così una chioma tondeggiante, ideale da inserire in aiuole o per creare siepi miste dal portamento naturale. Predilige posizioni soleggiate, ha una crescita lenta e benché i suoi rami siano sottili e dall’apparenza fragili, è in realtà una pianta molto robusta, che richiede cure quasi nulle.
Un bel fiore bianco di Abeliophyllum distichum. (Yoko Nekonomania) Annuncio pubblicitario
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Ambiente e Benessere La statua di Amir Timur a Shahrisabz, sullo sfondo il Palazzo bianco. (Su www.azione.ch si trova una galleria fotografica più ampia)
Amir Timur, Amir Timur!
Reportage Uzbekistan, un giovane Stato in cerca dei suoi antenati Paolo Brovelli, testo e foto «Amir Timur omon bo’lsin!», «Lunga vita ad Amir Timur!». S’alza forte il grido dell’omone sotto la statua, tra i vialetti del parco spoglio e arioso come una piazza d’armi. È un grido di guerra, le braccia alzate per richiamar lo sguardo e le foto degli amici col vestito della festa. I bambini corrono in giro per i prati tosati di fresco, in questo giorno ch’è quasi d’estate. Amir Timur ci guarda da lassù, come una volta scrutava i suoi soldati: turchi, turcomanni, tatari, mongoli, persiani, indiani… Tutti figli d’un impero che alla sua morte, nel 1405, andava dal Mar Nero fino a Delhi. Tamerlano, Timur-e-Lang, Timur lo Zoppo, così chiamato per una ferita alla gamba, «è il nostro eroe, l’eroe degli uzbeki!» mi spiega l’omone, allentando il nodo della cravatta che stringe sul collo taurino e che lo fa sudare, in questo sabato di matrimoni e spose in bianco venute, come s’usa, a farsi benedire dall’effigie. Io annuisco con un sorriso, però non son d’accordo. Certo Tamerlano, turco-mongolo della tribù Barlas, era nato qui, sì, a Shahrisabz, dove mi trovo ora. E la capitale del suo impero era Samarcanda, distante meno di cento chilometri. Ma tutto questo fu cent’anni prima che calassero le orde uzbeke da Astrakhan, dalla Siberia, spazzando via i cocci della sua dinastia (i Timuridi) per fondarci i loro khanati: di Khiva, Bukhara, Kokand. Queste dotte distinzioni all’omone non importano, né agli uzbeki tutti. Persi per secoli nei meandri dell’intricata storia dell’Asia centrale, essi sono nati al mondo come cittadini dell’Uzbekistan nel 1924, quando Stalin disegnò sulle carte geografiche, a tavolino, la loro repubblica. Nel 1991, con la dissoluzione dell’Unione sovietica, l’Uzbekistan ha avuto vita propria, così com’era. E dentro quei confini casuali non ci
sono solo uzbeki: per fare solo un esempio i tagiki sono tuttora in maggioranza nelle sue due città storiche di maggior lustro, Bukhara e Samarcanda. Tamerlano è forse la miglior narrazione del nuovo regime: in cambio della naturalizzazione, restituisce un comune antenato pieno di gloria. Cosa c’è di meglio d’un conquistatore del mondo in quest’epoca di risorgimento? Lo sapeva bene Islom Karimov, ex uomo forte dell’URSS, per venticinque anni sul trono di Tashkent, la capitale uzbeka, dall’indipendenza alla sua morte, nel 2016. Le sue statue rivaleggiano ora con quelle dell’emiro. Shahrisabz è una perla meno nota in questo paese delle meraviglie. Sono qui i monconi del portale smisurato del Palazzo bianco di Tamerlano. Alto come un edificio di venti piani, fu distrutto proprio dagli uzbeki. In lontananza si vede la neve delle montagne tagike, che più a est diventano Hindukush, Karakoram, Himalaya. Son le prime che incontro dopo deserti e oasi dalla partenza da Khiva, nella provincia uzbeka del Khorezm. Con la sua anima di sabbia e polvere Khiva pare sorta dalla terra e levigata dai venti delle steppe. Come quello che soffiava l’altro giorno mentre stavo in cima alle mura dell’Ark, la fortezza, circondato dal volo delle rondini: da lassù guardavo le cupole azzurre e i minareti, gli archi e le vie lastricate di fresco dove gli spazzini lustrano il cammino dei milioni di turisti che negli ultimi anni hanno fatto rinascere qui i fasti della Via della seta, perduti nel Cinquecento quando i vascelli e gli oceani si sostituirono alle carovane di cammelli e ai deserti. Qui come a Bukhara, a Samarcanda, un tempo leggendari centri nevralgici di questa via millenaria, coi loro bazar, caravanserragli, hammam, turbanti e caffetani, mercati di schiavi iranici o russi, fruste, sete, organze, tappeti. La città che più parla di Tamerlano è proprio Samarcanda, l’amata capitale
In preghiera in una delle tombe della necropoli Shah-i-Zinda.
Danze tradizionali uzbeke a Khiva.
I minareti di Bukhara.
del suo impero. Ed è proprio lui, gigante, che m’accoglie seduto su un trono, in mezzo a un rondò che è una giostra di clacson, di macchine e camion. Samarcanda è una città poliedrica: moderna, sovietica, zarista, e poi antica, uzbeka, timuride. I monumenti più importanti
sono restaurati di fresco che sembrano fatti ieri, tutti piastrelline e mattoni nuovi. A Samarcanda si parla russo, uzbeko, o anche tagiko, a seconda dell’interlocutore. Tamerlano, che parlava il chaghatay, una lingua turco-mongola da cui deriva anche l’odierno uzbeko,
ora riposa in pace sotto alla cupola azzurra del suo Gur-e-Amir, la Tomba dell’emiro, in stile persiano, non lontano dall’enorme moschea che dedicò a sua moglie, la discendente di Gengis Khan Bibi Khanum. L’interno del mausoleo è ampio, pieno d’archi, decorazioni d’oro e turchese, sure coraniche che paion disegni. Davanti alla tomba di Timur, un barbuto pellegrino di nome Surik, venditore di copricapi di Khiva, dopo aver pregato (e pianto), mi racconta della scritta sulla lapide, che ne vieta la rimozione, pena lo scatenarsi di terribili sciagure. Come accadde, dice, due giorni prima dell’attacco hitleriano alla Russia, nel giugno del 1941, quando l’antropologo Gerasimov la scoperchiò per portare il corpo imbalsamato a Mosca e studiarlo. Infine, a Tashkent, il condottiero m’appare nuovamente, immortalato a cavallo, forse alla vigilia di quell’attacco alla Cina dei Ming che non sferrò mai, abbattuto dalla malattia quand’era già sul piede di guerra. Sta là, sul piedistallo che un tempo fu di Marx.
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Ambiente e Benessere
Il paesaggio lunare greco di Meteora
Reportage Una vera e propria «città di rocce» composta da monasteri in cima alle falesie, inseriti nella lista
del patrimonio mondiale dell’UNESCO dal 1988 Simona Dalla Valle, testo e foto Il modo più immediato di arrivare a Meteora da sud è percorrere un tratto di E65, una lunga autostrada il cui completamento è stato di recente finanziato con 255 milioni di euro dall’Unione Europea. La strada è deserta, davanti a noi solo un’altra auto con targa greca, tutto intorno la vastità della regione della Grecia Centrale. Usciti a Trikala comincia un lungo rettilineo ai cui lati si susseguono capannoni, pompe di benzina e concessionarie d’auto, in fondo al quale poco a poco comincia a delinearsi una serie di alture inusuali, pilastri che si arrampicano verso il cielo. I contorni di tali rocce si fanno sempre più netti con l’avvicinarsi a Kalambaka: sembrano sculture gigantesche scolpite nell’arenaria dalla mano di un artigiano folle.
L’origine di queste bizzarre formazioni rocciose? Una mano divina di oltre 400 metri o rocce, sabbia e sedimenti trasportati dalle acque di un fiume Sempre dritti e si arriva a Kastraki, dove si respira un’aria di montagna che ricorda quella di certi paesi alpini; le strette strade che salgono dal centro pullulano di hotel e pensioni. I monasteri delle Meteore sono facilmente raggiungibili sia in auto sia a piedi e in un’estate insolita come è stata quella del 2020, purtroppo o per fortuna, trovare parcheggio non è un problema. Il significato del termine Meteora, in greco Μετέωρα, è «sospeso in aria» (dove «meta» significa «in mezzo a», e «aer», «aria»). Meteora è il nome di questa zona della Tessaglia ed è stato poi assunto dai monasteri in cima alle falesie, detti per l’appunto Meteore e inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO nel 1988. I primi asceti arrivarono qui già nell’XI secolo. Le rocce inaccessibili della zona costituivano un rifugio sicuro per gli eremiti cristiani che per lungo tempo vissero in completo isolamento praticando l’anacoretismo, una forma di ritiro simile all’ascetismo. All’inizio crearono i cosiddetti proseuchadia, piccoli luoghi di preghiera posti accanto alle grotte che abitavano. Esposti agli agenti atmosferici e a ogni sorta di pericolo, si affidarono in seguito all’aiuto della gente del posto che donava loro acqua, vestiti e cibo.
Vista panoramica su Meteora. (Su www.azione.ch si trova una galleria fotografica più ampia).
La prima comunità monastica che si formò nel XII secolo a opera del monaco Nilos fu la Skete di Doupiani con il kyriakon (chiesa centrale) di Panagia, la Vergine Madre. Gli asceti delle caverne si riunivano la domenica e in occasione di celebrazioni importanti. Nel corso del XIV secolo, i monaci del monte Athos cercarono rifugio nella zona, scappando dai saccheggi degli Ottomani. Tra questi vi era Athanasios Koinovitis, che nel 1340 circa fondò il primo di una serie di monasteri, conosciuto oggi con il nome di Gran Meteora. Nel XVI secolo, all’apice della comunità monastica di Meteora, il numero di monasteri era salito a ventiquattro. Essi non erano accessibili se non con scale di corda retraibili o complessi sistemi di carrucole, alcune delle quali sono utilizzate anche oggi per trasportare i viveri, ed erano entità completamente autosufficienti. I monaci coltivavano gli orti e si dedicavano all’apicoltura. Ancora oggi ognuno contribuisce secondo le proprie capacità a produrre i beni di cui ha bisogno e occupandosi della proprietà del mo-
Il monastero di Varlaam svetta in lontananza.
nastero. Un’altra importante fonte di reddito per i monaci è costituita dalle donazioni da parte dei pellegrini, oltre al biglietto di ingresso di tre euro che i visitatori devono acquistare per accedere ai monasteri. Nel XVII secolo iniziò un periodo di decadenza che proseguì nei tre secoli successivi e portò alla drastica diminuzione dei monasteri. Sei di essi ospitano ancora oggi comunità monastiche organizzate: Agios Stefanos, Agia Triada, Roussanou, Agios Nikolaos Anapafsas, Varlaam e Megalo Meteoron. Il monastero di Agios Stefanos (Santo Stefano) è il più accessibile per chi avesse problemi di mobilità in quanto è l’unico a essere collegato da un ponte alla strada principale. Nel monastero di Agia Triada (Santa Trinità) furono girate alcune scene del film di James Bond For Your Eyes Only. Le pareti del monastero di Roussanou o Agia Varvara (Santa Barbara) si fondono perfettamente con la roccia sottostante, mentre la costruzione del monastero di Agios Nikolaos Anapafsas (San Nicola Anapausas) si è adattata alla pic-
colissima area della roccia su cui si trova: è infatti un edificio a pianta stretta che si estende in verticale. Gli affreschi che decorano la chiesetta del monastero sono considerati
I giardini del monastero di Varlaam, autosufficiente, con orti e apicoltura.
Interno del monastero di Varlaam di Meteora.
tra i più importanti insiemi di pittura post-bizantina, in quanto si tratta della più antica opera firmata da Teofane di Creta. All’interno del Monastero di Varlaam, o Agioi Pantes (Barlaam o Ognissanti) si sviluppò una ricca tradizione amanuense. I suoi fondatori furono i fratelli Teofane e Nettario, provenienti da un’eminente famiglia bizantina di Giannina. Agios Stefanos e Roussanou sono conventi abitati da monache, mentre la popolazione degli altri quattro è esclusivamente maschile. Non è facile ottenere indicazioni precise sul numero di monaci e monache residenti nei monasteri al giorno d’oggi, ma si può stimare un totale di una sessantina di individui. Meteora è oggi il più grande e importante gruppo di monasteri della tradizione ortodossa in Grecia dopo quelli del Monte Athos. Si tratta di una vera e propria «città di rocce» nella Tessaglia occidentale, composta da oltre mille rilievi tra le imponenti cime del Pindo e i monti Antichasia. L’origine di queste bizzarre formazioni rocciose è stata oggetto di diverse teorie. Se ai primi asceti questi monoliti di oltre quattrocento metri di altezza dovevano apparire come la creazione di una mano divina, la teoria più probabile è che i pilastri fossero inizialmente un ammasso di rocce, sabbia e sedimenti trasportato dalle acque di un fiume. Quando la massa d’acqua trovò uno sbocco nel Mar Egeo in seguito alla separazione del Monte Olimpo dal Monte Ossa, il delta conoide che si era accumulato fu eroso da terremoti, vento e pioggia e si spaccò fino a formare colline e rocce cavernose di forme diverse. «Il paesaggio di Meteora e la vita ascetica sono estremamente simili. La preghiera – una preghiera intima e profonda – ha bisogno di un luogo duro e imponente come Meteora. Ha bisogno di roccia nuda e di cielo. Tanto cielo!» (Athanasios Kouros).
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Ambiente e Benessere
Timo ed edera per guarire i nostri bronchi
Fitoterapia Da un millennio si conoscono le proprietà curative di quest’erba e questa pianta
Eliana Bernasconi Nell’epoca dei cavalieri templari, quando alle donne era negato accedere alla cultura, una monaca benedettina, scienziata universale e visionaria, nel suo convento sulle rive del Reno anticipava di secoli le conquiste della medicina moderna. Correva l’anno 1100 ma Ildegarda di Bingen già aveva compreso, ad esempio, che ogni rimedio deve essere studiato per la singola persona. Lasciò scritto, secondo la medicina dell’epoca, che quattro elementi (Etere, Fuoco, Terra e Acqua) permeano l’intero cosmo del quale gli esseri umani, gli animali e le pietre partecipano; a questi elementi corrispondono le qualità di Caldo, Freddo, Secco e Umido. I quattro elementi uniti compongono la «Viriditas», nome latino che significa energia verdeggiante. Quando una di queste qualità si esaurisce, proseguiva Ildegarda, l’organismo si ammala, e potrà guarire solo ricorrendo a una pianta ricca di uno degli elementi mancanti. Del Timo, che cresce in posti secchi, aridi e pietrosi, Ildegarda scriveva «è caldo e temperato», e lo consigliava non soltanto per la tosse, (come noto molte erbe hanno indicazioni multiple) ma per molto altro: «un uomo con pelle malata, lo mangi spesso cotto con la carne o in una zuppa e la sua pelle verrà internamente ripulita, chi ha prurito, pressi il Timo serpillo con del grasso fresco e ne faccia un unguento». Anche Castore Durante, medico, poeta e botanico del 1500, considerava
il Timo «caldo, e secco del terzo grado e incisivo», e affermava che «conferisce alla vista debole». La fama del Timo come rimedio per molti mali fu divulgata anche dai medici arabi Avicenna e Averroè, che lo raccomandavano come droga antiveleno e per curare tosse e reumatismi; gli egizi lo utilizzavano nei procedimenti di imbalsamazione; il filosofo rinascimentale Gianbattista della Porta lo considerava in grado, se strofinato e odorato, di rendere gli uomini immuni alle malattie e di assicurare loro una lunga vita. Della famiglia delle Lamiaceae questo piccolo arbusto dall’aroma acuto e inconfondibile, che aspirato pare infonda coraggio e resistenza, ha un fusto eretto che non oltrepassa i trenta centimetri, conta molte specie difficili da identificare, e cresce nei terreni aridi fino a 1500 metri; il più usato è il Timo serpillo, mentre il Timo vulgaris è invece molto coltivato negli orti. In ogni caso tutte le specie hanno proprietà antibiotiche, antisettiche, balsamiche, digestive, antispasmodiche. È inoltre l’indicatissimo rimedio nel trattamento delle bronchiti acute e croniche, nella pertosse e nei catarri delle vie aeree superiori perché contiene un potente olio essenziale, ricco di Timolo dai forti effetti antisettici e antibatterici che combattono le infezioni dell’apparato respiratorio. L’infuso di Timo e Rosmarino si beveva in passato contro bronchiti e malanni respiratori, ed è ottimo anche oggi. Per la tosse stizzosa, grassa o per la pertosse, l’erborista
Tavola della pianta medicinale Thymus serpyllum. (Köhler)
Gabriele Peroni consiglia in primis appunto il Timo, seguito da Poligala, e poi da Eucalipto. Le piante attive contro la tosse formano una lista lunghissima, e comprendono Edera, Finocchio, Tiglio, Lavanda, Malva, Abete bianco, Liquerizia, Fiordaliso, Cipresso, Fico, Girasole, Gelso, Larice e Stella alpina: tutte agiscono in due modi, calmando o facilitando l’espettorazione, anche se nessuna può sostituirsi all’eliminazione della causa di cui la tosse è sintomo.
Ildegarda di Bingen insieme al Timo consigliava per le malattie pettorali anche l’Edera, della famiglia delle Araliacee, nome scientifico Hedera helix. Mentre il sopracitato Castore Durante, che classificava la pianta come «amara, acuta, calda e secca», scriveva che per lui «l’empiastro di foglie fresche legato sopra i porri gli secca, e falli cadere». Questo eterno sempreverde dalle numerosissime radici rampicanti era usatissimo nei tempi antichi: in Egitto
era considerato simbolo di Osiride; per greci e romani come la vite era simbolo di Dioniso e dei poeti. Le foglie di Edera hanno proprietà antiinfiammatorie, antalgiche, antispastiche, espettoranti e balsamiche. Il medico greco Galeno di Pergamo la usava per guarire i disturbi della vista. Per la medicina popolare, cotta nel latte, guariva invece le infezioni bronchiali: un decotto leggero di foglie calmava la tosse e conciliava il sonno. Le foglie di Edera e Alloro, raccolte tutto l’anno ed essiccate lentamente, curavano tosse e bronchiti, e in pediluvio toglievano la stanchezza. La tintura madre di edera, preparata con le foglie fresche raccolte in estate, è usata per il trattamento della cellulite e migliora la circolazione. Poi ci sono le bacche che vanno trattate con estrema prudenza perché hanno proprietà tossiche: in questa rubrica insistiamo sempre sulla pericolosità non molto recepita delle piante e sul rischio presente in non pochi casi in alcune di esse. Mai farne uso senza consultare un medico, un farmacista o un erborista serio. L’Edera è presente in molti prodotti cosmetici: per ottenere naturalmente capelli lucidi, scuri e fortissimi si prepara un decotto con 10-15 g di bacche in 300 ml di acqua, si bolle 10 minuti, si filtra, si applica sui capelli dopo lo sciampo e si sciacqua dopo 10 minuti. Bibliografia
Gabriele Peroni, Trattato di Fioterapia – Driope, Nuova Ipsa Ed.
Giochi
Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku
Cruciverba La foto nello schema ritrae un incrocio tra cosa? E come si chiama? Scoprilo risolvendo il cruciverba e leggendo nelle caselle evidenziate. (Frase: 9, 1, 8 – 4)
ORIZZONTALI 1.Latenevaunitailcowboy 7.Prode 8.Preposizione 9.Lesignoredell’Olimpo 10.Spiccasullapelle 11.Inpiedi...dopolaprima 12.Faesplodereiltifo 13.Piccolorigonfiamentocutaneo pruriginoso 17.Gioiadimare 18.Torosacroagliegizi 19.Deidue...fueroeGaribaldi 20.Nomefemminile 21.Pronomedimostrativo 23.Leinizialidell’attriceMuti 24.Grandisordine 25.Serviziosegretostatunitense 27.Unico 28.Caratteristicodiunluogo
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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
I premi, cinque carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.
VERTICALI 1. Undito 2. Lottiditerreni 3.Unfamosonavigatore 4.Particellanobiliare 5.Losonolecosemigliori 6.Nonsidevecalpestare 10.GliabitantidiSveziaeFinlandia 12.Veicolainformazioniereditarie 13.IlportodalqualesalpòColombo 14.Abbondante,grasso 15.L’attriceFarrow 16.LeinizialidiSinatra 17.Presiingirodaibracciali... 19.Discutibileininglese 21.Leinizialidell’attoreAmendola 22.IlfamosoTse-Tung 24.Discorsosenzacaponécoda 26.Seci...capovolgete Partecipazione online: inserire la
soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la so-
Sudoku Soluzione:
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Scoprire i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.
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CURIOSITÀ MARINE – L’animale che nella sua vita depone più uova al mondo è il…: PESCE LUNA – Ne depone all’incirca…: TRECENTO MILIONI.
P E N T A G O N O
E R S I C L I O U E O A N N A R E O R C O A T T O R L I O I T A C E N N I
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luzione, corredata da nome, cognome, indirizzo, email del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 6315, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 marzo 2021 • N. 11
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Politica e Economia Gioia di vivere: un dovere Viaggio negli Usa dove i vaccini non sono più un miraggio e la vita sta tornando alla normalità
Se la Russia si dissolvesse? La terza potenza mondiale è fragile dal punto di vista economico e statale, eppure è indicata dal Pentagono come nemico strategico, insieme alla Cina pagina 27
Voto ai sedicenni Si moltiplicano le iniziative per abbassare la maggiore età civica a 16 anni, anche su spinta dei giovani attivisti per il clima
Un occhio nero Grazie a diversi fattori, fra cui un forte export, l’impatto del Covid sull’economia è più tenue
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Gli unici davvero innocenti
Iraq Ancora un milione e mezzo gli sfollati
dopo la guerra contro l’Isis. Per molti i campi sono l’unica opzione a causa dello stigma. Intanto a pagare sono soprattutto i bambini
Francesca Mannocchi Da un anno Roula Khalaf vive in una tenda del campo di Jeddah, nella piana di Ninive, Iraq settentrionale, con i suoi 4 figli. Ha 40 anni. Gli ultimi 3 prima di arrivare al campo li ha passati in prigione, con i bambini. Dopo la fine della guerra di Mosul, nel 2017, ha provato a fare ritorno nel suo villaggio, a Hamam al Alil, ma i suoi vicini l’hanno denunciata al mukthar, il responsabile della comunità: «Lei è dell’Isis e sono dell’Isis anche i suoi figli». Così il mukthar ha allertato i servizi segreti, che hanno portato Roula e i suoi figli in prigione e da lì in tribunale. Un processo durato mezz’ora, con gli abitanti del villaggio che la insultavano, gridando davanti alla Corte che nessuno lì dentro avrebbe mai meritato perdono. «È una donna dello Stato islamico, deve marcire in prigione», strillavano gli abitanti di Hamam al Alil. Così è arrivata la condanna. Roula ha impiegato 3 anni per dimostrare che sì, suo marito era un miliziano, ma lei e i bambini sono innocenti. Il marito di Roula era un ingegnere. Si è unito all’Isis nel 2014 e ha lavorato nel Ministero delle finanze dell’organizzazione terroristica. Quando è iniziata la guerra per liberare Mosul, alla fine del 2016, ha combattuto ed è morto sotto un bombardamento della coalizione. All’apice della sua espansione l’Isis controllava 88 mila chilometri quadrati tra la Siria e l’Iraq, gestiva giacimenti petroliferi, vendeva petrolio grezzo e riscuoteva imposte dai cittadini che vivevano nell’autoproclamato Califfato: si stima fossero 8 milioni di persone. La guerra per sconfiggere lo Stato islamico è durata 1’737 giorni, il costo materiale e umano è stato altissimo. Centomila bombe lanciate su Sirte, Mosul e Raqqa e sui villaggi circostanti. Intere aree delle città rase al suolo. La coalizione internazionale, che ha coinvolto 70 Paesi, ha ammesso la responsabilità di 1’190 vittime collaterali ma il centro studi indipendente Airwars, che ha monitorato le vittime civili, stima che il numero dei morti supererebbe gli 11 mila. Oggi il gruppo è sconfitto,
almeno militarmente, sebbene solo in Iraq siano detenuti 20 mila prigionieri sospettati di avere avuto legami con l’organizzazione e ci siano ancora un milione e mezzo di sfollati. Dalla morte di suo marito, nel 2017, il destino di Roula è il destino comune a migliaia di donne e bambini: soli e stigmatizzati, abbandonati a pagare il prezzo delle scelte di padri e mariti. Chi non è finito in prigione è finito nei campi, almeno fino a dicembre, quando il Governo iracheno ha deciso di chiudere 11 campi per sfollati interni, colpendo più di 27’000 persone, secondo l’Onu. Per i profughi era il momento di tornare a casa. Per molti, però, la casa non esiste più. Per quelli che ancora ce l’hanno, lo scoglio da superare è il rifiuto dei villaggi di provenienza. Roula chiede da un anno al suo mukhtar se gli animi si siano calmati. «Sono passati quasi 4 anni dalla fine della guerra, posso tornare?». Ma la risposta è sempre la stessa: «Non siete i benvenuti». «Restare qui nel campo di Jeddah è la sola opzione per noi, l’alternativa è la strada», dice seduta nella sua tenda, il volto velato di nero, i figli stretti intorno. «Non considero questa sistemazione una prigione perché sappiamo cosa sia una cella. Il campo profughi per noi, ora, è la salvezza». Lo dice, Roula, perché sa che tra quella rete e quel fango ogni giorno arriva almeno un pasto e che, sebbene non abbiano la libertà di entrare e uscire, non c’è la comunità del villaggio a minacciarli. Intorno alle recinzioni del campo sventolano le bandiere verdi della milizia sciita Hashd al Sha’abi, l’ennesimo segno per tutta la comunità sunnita all’interno dei campi che il presente è segnato dalla rabbia, dalle ritorsioni, dalla vendetta e il futuro non sarà migliore. «Non ho mai appoggiato mio marito, anzi ho cercato di convincerlo a non giurare fedeltà, ma che potevamo fare?». Che potevamo fare? È la frase più comune in bocca ai mosulawi (gente di Mosul) in fuga dall’Isis, dal giorno di inizio della guerra. Che potevamo fare? Dicevano, sostenendo – quasi tutti – di essere stati costretti ad ap-
Nel campo profughi di Jeddah, nella piana di Ninive, si gioca tra filo spinato e fango. (Romenzi)
poggiare il gruppo terroristico per non essere uccisi. Difficile distinguere chi sia sincero da chi menta per cercare di non essere arrestato. Di certo a pagare sono i bambini, gli unici sicuramente innocenti, gli unici sicuramente vittime, tragicamente stigmatizzati. «Due dei miei 4 figli – dice Roula – sono nati sotto l’occupazione dell’Isis, non hanno documenti. Io non ho documenti che provino che siano miei. Se usciamo dal campo, i servizi di sicurezza possono arrestarmi al primo checkpoint, accusandomi di averli rapiti. È finita solo la guerra delle armi ma la guerra tra le persone, tra le anime di questo Paese è ancora in corso, più forte di prima». Le organizzazioni internazionali che lavorano nei campi hanno dura-
mente criticato la decisione del Governo di Baghdad di chiudere i campi, l’Onu ha espresso preoccupazione e chiesto per i profughi un «ritorno volontario e dignitoso». «Le autorità irachene devono considerare che gli sfollati sospettati di avere legami con l’Isis subiscono lo stigma di una punizione collettiva e devono considerare la soluzione di questo problema come parte integrante di qualsiasi piano nazionale per chiudere i campi, che ora sono l’unica opzione per un rifugio per migliaia di persone», ha affermato Lynn Maalouf, vicedirettore di Amnesty international per il Medio Oriente e il Nord Africa. Ibrahim Tarfa ha 65 anni. Viveva a Jeddah anche lui fino a dicembre. Poi, una sera, il delegato del Ministero
della migrazione lo ha informato che il giorno successivo sarebbe stato l’ultimo nel campo. Con la famiglia, 12 persone tra donne, bambini e adolescenti, ha provato a fare ritorno a Qayyara, il suo villaggio. Ma anche per loro non c’è stato niente da fare. I vicini sostengono che suo figlio fosse un sostenitore dell’Isis. Non hanno prove ma li hanno denunciati, nonostante il ragazzo sia scomparso da 2 anni. Catturato dalle milizie irachene, che non ne hanno più dato notizie. Ibrahim oggi piange un figlio e patisce l’esclusione sociale. A casa non può tornare, al campo neppure. Vive con la sua famiglia in un edificio abbandonato, non distante dal camp «così – dice – di tanto in tanto mandiamo i bambini a cercare di elemosinare qualcosa da mangiare».
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 marzo 2021 • N. 11
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Politica e Economia
Dove l’incubo sta finendo
Prospettive Negli Usa le vaccinazioni sono ormai diffuse e si verifica un più o meno lento ritorno alla normalità.
Texas e Florida hanno fatto da apripista, altri Stati si adeguano. A New York la cultura torna a far sentire la sua voce Federico Rampini Lunedì primo marzo è stata una data speciale qui a New York. La nostra prima «cena con vaccino» a casa di amici. Più numerosa – ben otto persone a tavola! – rispetto alle cautele dei mesi precedenti. Tutti vaccinati. Chi per l’età, chi per la professione. Nessuno per raccomandazione. Qui le vaccinazioni – da sempre – sono universali e gratuite, non occorre avere l’assicurazione sanitaria, neppure essere cittadini. Presto toccherà a voi, ne sono certo. Per quanto l’Europa abbia fatto errori imperdonabili nella gestione delle vaccinazioni, e l’America si sia rivelata migliore di quanto crediate, ho fiducia che ve la caverete con qualche mese di ritardo su di noi. Quegli sbagli, anche gravi, sono rimediabili. Perciò vi scrivo dal «vostro» futuro, come un viaggiatore nella macchina del tempo che vi racconta quel che sta per accadere. Qui a New York è normale frequentare persone già immunizzate visto che le inoculazioni hanno raggiunto fasce sempre più ampie della popolazione. I primi 10 minuti della cena li passiamo su «quello»: tu sei Pfizer, Moderna o Johnson & Johnson? Hai avuto qualche effetto collaterale? L’argomento si esaurisce presto e si passa ad altro: la vita ricomincia. Ognuno si gode a modo suo questo ritorno alla normalità: chi va sempre più spesso al ristorante, chi ha ripreso a viaggiare, chi è tutte le sere al cinema anche a costo di rivedere film già visti su Netflix. Ecco i primi concerti con quella risposta del sistema prenotazioni online che era lo slogan-simbolo di New York: sold out!
Il ritorno alla normalità ha una ricaduta economica visibile: oltre 379’000 assunzioni e il dollaro si rafforza Le buone notizie non possono restituire la vita a chi l’ha persa, né l’affetto dei cari che non ci sono più, né la salute piena per quei convalescenti che hanno strascichi pesanti da Covid. Però ri-
Un centro di vaccinazione a Long Beach, California. (Shutterstock)
prenderci la gioia di vivere è un dovere sociale. È l’unico modo per ridare un lavoro e un reddito alle tante vittime economiche dei lockdown. Incontrerete anche voi, quando sarà il vostro turno di svoltare, quelli a cui il Covid ha impresso delle paure insormontabili. Nella nostra cerchia di amici c’è qualche vaccinatissimo che lascia cadere i nostri inviti a cena o al cinema. Alcuni si tirano indietro silenziosamente, non rispondono agli sms o alle e-mail. Eremiti a vita? Altri sono espliciti: «Ancora non esiste la certezza che chi è vaccinato non possa essere portatore sano e contagiare». Oppure: «Il vaccino non protegge al 100 per cento». E infine: «Chissà quali altre varianti hanno cominciato a circolare». Rispetto le paure di tutti. Esistono da sempre: claustrofobia, agorafobia, vertigini da grattacielo, paura dei ragni o dei topi, germofobia. Ognuno ha diritto al suo panico individuale. Purché non lo spacci come una paura che tutti devono avere in nome della scienza. La scienza, iddio la benedica, non ci ha mai promesso di vivere una vita a rischio zero, né di regalarci l’immortalità. Fino a 12 mesi fa ero solito viaggiare su un metrò di New York
stipato e sporco. Il passeggero a fianco a me poteva essere portatore di un’epatite micidiale, di Ebola o chissà cosa. Non ci pensavo. Mi bastava vivere – per quel tanto che il destino mi ha dato – nella città più viva del mondo. Il 7 marzo 2020 l’ultima luce prima del buio per me fu lo spettacolo teatrale Lehman Trilogy di Stefano Massini a Broadway. Il 5 marzo 2021 il ritorno alla vita l’ho festeggiato sempre sulla Broadway, in una sala che proiettava Nomadland con Frances McDormand. In mezzo dodici mesi tragici per il mondo intero e anche per New York. A un anno dall’ultima sera in cui ero potuto uscire come tutti i newyorchesi per assistere a uno spettacolo «live», ho celebrato la riapertura delle sale cinematografiche alla multiplex Amc di Lincoln Center. Il governatore democratico Andrew Cuomo, come tanti suoi colleghi dei 50 Stati Usa, decreta che l’incubo sta finendo, la vita ricomincia. La riapertura dei cinema a New York, capitale globale dello spettacolo, è un passo simbolico e importante. Mascherine obbligatorie, ma è una svolta esistenziale: New York fa le prove generali per tornare ad essere «the city
that never sleeps». Tra meno di un mese qui tocca a teatri, sale per concerti. Finalmente rinasce l’industria culturale, uno dei settori più colpiti, con una forza lavoro impoverita e depressa da un anno. Insieme con la netta accelerazione nella distribuzione dei vaccini (30 per cento della popolazione già inoculata, il ritmo supera i 2 milioni al giorno, ed è in costante aumento), il ritorno alla normalità dell’America sta cambiando la nostra vita. Altra novità, New York per i viaggiatori in arrivo da altri Stati Usa abolisce obbligo di test e quarantena se sono vaccinati: è un embrione di passaporto sanitario. Siamo in un sistema federale quindi ogni Stato ha i suoi calendari. Ci sono le «fughe in avanti» come quella del Texas dove quasi tutto è già riaperto e il governatore repubblicano Greg Abbott toglie perfino l’obbligo di mascherina. Joe Biden ha stigmatizzato il «pensiero di Neanderthal» del governatore texano. Malgrado le controversie, la direzione di marcia è chiara, verso l’uscita dalle restrizioni. Il tasso di ideologia diminuisce. Lo scontro fra Biden e Abbott fa parte del «teatro Kabuki» della politica americana ma
la mappa delle riaperture non segue esattamente la divaricazione tra Stati democratici e repubblicani. La California, roccaforte della sinistra, dopo avere avuto i lockdown più severi d’America adesso riapre rapidamente: il governatore Gavin Newsom vuole tutti i bambini a scuola dal primo aprile. Riapre perfino palestre e fitness, impianti sportivi, parchi divertimenti. Il Connecticut democratico ha deciso una riapertura di tipo texano: quasi tutto torna alla normalità, incluse le competizioni sportive, feste e festival. Toglie le restrizioni anche sulla quantità di clienti ammessi nei ristoranti. Se Texas e Florida hanno fatto da apripista con largo anticipo, altri Stati si adeguano anche perché i dati non supportano la tesi che i lockdown più duri, stile California, abbiano portato a un divario sostanziale nei contagi, nei ricoveri, nei decessi. Sia Newsom sia Cuomo, le star della sinistra sulle due coste, sono assediati da scandali e in difficoltà con la propria base. La liberalizzazione estrema e precoce del Texas può aver contribuito a rafforzare l’esodo in corso di aziende e forza lavoro dalla California, attirate da un clima più favorevole all’attività economica. La differenza texana non è così estrema come sembra dai proclami politici. L’obbligo di indossare mascherine, benché abolito dal governatore repubblicano, viene mantenuto dai cinema Amc, dagli alberghi Hyatt, dai caffè Starbucks, dai supermercati Target, dalle catene di farmacie drugstore Cvs. Il comportamento del settore privato sarà cruciale anche su un altro fronte: il ritorno dei dipendenti negli uffici. Al momento si stima che solo il 25% della forza lavoro impiegatizia stia andando regolarmente in ufficio, con punte di oltre un terzo in Texas, e dei minimi sotto il 20% a New York, San Francisco, Chicago. Quante aziende vorranno rinunciare in fretta allo smart working? A quali condizioni? Già si segnalano imprese che offrono incentivi ai dipendenti che si fanno vaccinare. Il ritorno alla normalità ha una ricaduta economica visibile: oltre 379’000 assunzioni, il dollaro si rafforza, la ripresa Usa è in forte accelerazione.
Ora sotto accusa è il giudice di Lula
Brasile La Corte suprema annulla tutte le condanne inflitte all’ex presidente operaio
che potrebbe così candidarsi alle Presidenziali del 2022. Intanto il clima politico si polarizza Angela Nocioni Si spalancano i giochi nella corsa alla presidenza del Brasile. Il prossimo anno si vota. Da tempo si sa che l’attuale presidente di ultradestra, Jair Bolsonaro, si vuole candidare. La novità è che a sfidarlo nel 2022 ci potrà essere il leader della sinistra latinoamericana, il fondatore del Partito dei lavoratori Lula da Silva, risorto dalle sue ceneri per l’ennesima volta nella sua lunga vita politica. A rimettere in pista Lula è l’annullamento, deciso l’8 marzo dal giudice monocratico Edson Fachin al Tribunale supremo, di 4 processi a suo carico per corruzione e riciclaggio di denaro, inclusi i due per i quali fu arrestato e poi estromesso dalle Presidenziali del 2018. Si è quindi di fatto aperta la campagna elettorale per il voto del 2022, feroce come non mai, in un Paese con un livello di vita media caduto in picchiata negli ultimi anni e devastato dall’epidemia di Covid che ha fatto 300 mila morti accertati e oltre 11 milioni di contagiati. Tutto indica che il bal-
lottaggio delle prossime Presidenziali sarà quello che sarebbe stato nel 2018, se non fosse arrivato per il favoritissimo Lula il mandato d’arresto show con Tv al seguito, firmato dall’allora giudice di primo grado della procura di Curitiba Sérgio Moro. Arresto per il quale non esistevano i presupposti poiché si trattava in realtà di un mandato a comparire davanti al giudice di cui l’ex presidente non era stato nemmeno avvisato. Arresto che lo tolse di mezzo dalla competizione elettorale a tutto beneficio di Bolsonaro che rimase senza rivale e che, una volta eletto, ringraziò il giudice nominandolo superministro della Giustizia. Acqua ne è passata sotto i ponti da allora. Il Brasile s’è ritrovato un Governo di estrema destra retto dall’alleanza parlamentare tra evangelici, produttori di armi e grandi latifondisti. Moro ha litigato con Bolsonaro, accusandolo di voler proteggere sé e la sua famiglia, e ha lasciato il Governo. Si tiene pronto per capitalizzare lui per sé, da ex giudice sceriffo acclamato dalle folle, il senti-
mento di antipolitica seminato in questi 15 anni di «Tangentopoli brasiliana». Progetto ambizioso il suo, ma ostacolato dal timore di una sentenza che potrebbe piovergli tra capo e collo nelle prossime settimane. Il Tribunale supremo deve infatti pronunciarsi a breve su un ricorso dell’ex presidente Lula che contesta a Moro la totale assenza del principio di terzietà del giudice. Non si sa se saranno ammesse come prove le tonnellate di messaggi trafugati dal cellulare di Moro e finiti nel sito d’inchiesta «Intercept Brasil» che rivelano le conversazioni vietate (per legge accusa e giudice giudicante non devono nemmeno parlarsi) tra Moro e il pool dei pm d’accusa del caso Lula. Nei quali i magistrati inquirenti si accordavano con Moro, giudice giudicante, su strategie di indagine, tempi, prove da presentare e si lasciavano andare a commenti da «militanti antilulisti» accaniti, complimentandosi con loro stessi dell’opera di caccia alla «vecchia volpe socialista», con tanti saluti allo stato di diritto. Se Moro
venisse riconosciuto non imparziale, tutti i condannati nei suoi processi sulla «Tangentopoli brasiliana», non soltanto Lula, potrebbero ricorrere contro di lui. Si tratta di centinaia di imprenditori e politici finiti in galera. Si smonterebbe un grosso pezzo della «Lava jato», questo il nome della maxi inchiesta sul finanziamento illecito dei partiti da parte di grandi imprese attraverso il pagamento di una percentuale sugli appalti pubblici ottenuti. Per avere una idea delle dimensioni: solo la procura di Curitiba, quella in cui operava Moro, ha firmato 300 arresti, oltre 278 condanne. Seguendo quel filone l’inchiesta ha varcato i confini brasiliani, fatto cadere diversi Governi e causato l’arresto dei presidenti del Perù, Alejandro Toledo, di Panama, Ricardo Martinelli, e del Salvador, Mauricio Funes. L’ex presidente peruviano Alan García si è sparato alla tempia mentre la polizia gli suonava alla porta per arrestarlo. Tornato in pista Lula con la sentenza dell’8 marzo – che, senza entrare nel
Luis Inácio «Lula» da Silva contesta a Sérgio Moro l’assenza di imparzialità. (Shutterstock)
merito dei processi a suo carico, li annulla per difetto di competenza perché riconosce che lui, in quanto ex presidente, andava giudicato a Brasilia, non nella procura di Curitiba – si rimette tutto in discussione negli assetti politici in vista delle Presidenziali. Lula cementa attorno a sé i voti della sinistra e dei progressisti di varie sponde, ma mobilita anche contro di sé tutte le varie destre. È quindi un elemento che ridesta e accentua la polarizzazione del confronto politico. Gli istituti di sondaggio, per ora, danno in un immaginario futuro ballottaggio il consenso al 38 per cento a Bolsonaro e al 50 a Lula.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 marzo 2021 • N. 11
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Politica e Economia
La fissa del Cremlino Corsi e ricorsi La Libia, oggi divisa in due aree di influenza,
è da lungo tempo al centro degli interessi strategici di Mosca
Alfredo Venturi C’è un muro, in Libia, che ci dice molte cose sulla condizione di quell’accidentato Paese e sulle sue prospettive. Lo stanno ultimando gli uomini del generale Khalifa Haftar aiutati dai mercenari russi del Gruppo Wagner, la potente milizia privata agli ordini del Cremlino. Si tratta di un insieme di sbarramenti e fortificazioni che attraversa il deserto dal Golfo della Sirte all’oasi di al-Jufra, dove c’è una base aerea affollata di cacciabombardieri russi. La barriera separa le aree controllate, con l’aiuto dei turchi, dal Governo di accordo nazionale di Tripoli da quelle che fanno capo al Parlamento ribelle di Tobruk, sostenuto da Mosca. Quel muro è destinato a durare, a cristallizzare una situazione che la lunga guerra civile seguita alla caduta del regime di Gheddafi nel 2011 non ha potuto sbloccare. Dunque da una parte il Governo di Tripoli riconosciuto dall’Onu e aiutato dalla Turchia, dall’altra l’Amministrazione cirenaica che si appoggia sulla presenza russa. È una sorta di spartizione delle aree d’influenza, concordata fra Mosca e Ankara. In questo contesto, una speranza è rappresentata dal nuovo Governo di unità nazionale di Abdul Hamid Dbeibah (il primo Esecutivo unito dal 2014), il quale si prepara a indire le elezioni per guidare l’intero Paese (che quindi, almeno sul piano formale, dovrebbe risultare unificato sotto l’egida delle Nazioni unite). Ma torniamo alla Russia. Se sono ovvie le ragioni dell’interesse turco a quella che fu per secoli parte dell’Impero ottomano, può forse sorprendere l’attivismo russo sulla «quarta sponda» dell’Italia colonialista.
Da una parte il Governo di Tripoli riconosciuto dall’Onu e sostenuto dalla Turchia, dall’altra l’Amministrazione cirenaica che si appoggia sulla presenza russa In realtà questo interesse s’iscrive in una solida tradizione storica. Fin dai tempi imperiali la Russia è stata ossessionata dalla questione dell’accesso ai mari caldi, una vera e propria costante della sua azione diplomatica e militare.
Per uscire dal Mar Nero e inoltrarsi nel Mediterraneo, le flotte dello zar provenienti dalla grande base di Sebastopoli dovevano attraversare gli stretti, e questo ha determinato una condizione di perenne ostilità nei confronti di un altro impero, l’Ottomano, padrone e custode del Bosforo e dei Dardanelli. A partire da metà Cinquecento fra San Pietroburgo e Costantinopoli sono stati combattuti undici conflitti, dodici se consideriamo anche la Prima guerra mondiale. Vale la pena notare come in questi ultimi anni il comune interesse per la Libia e altre questioni mediorientali abbia avvicinato i due nemici del passato. Il controllo degli stretti da parte della Turchia, che nonostante la recente evoluzione neo-ottomana è pur sempre vincolata all’Alleanza atlantica, non impedisce certo alle navi russe di scorrazzare nel Mediterraneo. Del resto l’Unione sovietica, erede diretta dell’Impero zarista, non volle affatto modificare la storica aspirazione russa a una presenza forte nel Mediterraneo. Quando nel 1948 la Jugoslavia del maresciallo Tito si scrollò di dosso la soggezione a Mosca, un duro contraccolpo scosse fin dalle fondamenta le certezze del Cremlino: l’Europa a trazione sovietica, che pochi anni più tardi avrebbe costituito il Patto di Varsavia, improvvisamente privata dello sbocco sull’Adriatico, cioè di un accesso diretto al Mediterraneo. Potrebbe sembrare un problema da poco per una grande potenza, per uno dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu al quale nessuno avrebbe potuto negare la libertà di navigazione. Ma si sa che la diplomazia è solita elaborare scenari anche per le eventuali situazioni di crisi. Dunque nella nascente contrapposizione dei blocchi che aveva preso il posto della grande alleanza anti-hitleriana, nei tempi della Guerra fredda che rischiava ogni attimo di diventare calda, la perdita dei porti jugoslavi aveva un peso non indifferente. Poco più di un paio d’anni prima della defezione di Tito, l’Unione sovietica aveva tentato di cogliere al volo una favorevole occasione per installarsi in Libia. Si stava discutendo del destino delle colonie che il trattato di pace aveva sottratto all’Italia. Mentre Roma cercava di conservarle, con l’argomento delle folte comunità italiane che ancora vivevano nei territori oltremare, le Nazioni unite erano orientate piuttosto verso la concessione dell’indipendenza, eventualmente preceduta da un
periodo di amministrazione fiduciaria. Questo strumento dell’Onu era qualcosa di simile al mandato della Società delle Nazioni che era stato scelto al termine della Prima guerra mondiale per distribuire fra Gran Bretagna, Francia e Belgio le colonie strappate alla Germania sconfitta. Proprio l’Onu avrebbe scelto i Paesi ai quali affidare il compito di guidare le ex colonie verso l’indipendenza. Nel gennaio 1946, durante una riunione a Londra dei sostituti dei ministri degli Esteri dei «quattro grandi», nella sorpresa generale il rappresentante russo chiese per Mosca l’amministrazione fiduciaria della Libia e dell’Eritrea. Una proiezione verso il Mediterraneo e il Mar Rosso, temporanea ma chiaramente capace di fissare stabili radici nei due territori. La proposta russa fu accolta dalle perplessità occidentali, al punto che Mosca corresse il tiro rinunciando all’Eritrea, per la quale si prospettava l’indipendenza o l’annessione all’Etiopia, e concentrando l’azione sulla Libia. Agli occhi del Cremlino la prospettiva era inebriante. Anche per una ragione ideologica che si affiancava a quella strategica: installandosi sulle aride coste libiche l’Unione sovietica, già padrona dell’Europa orientale, avrebbe perfezionato l’accerchiamento del nemico di classe. E pazienza se per arrivarci occorreva sacrificare un principio teoricamente intoccabile, l’anticolonialismo, uno dei rarissimi che accomunavano l’Urss all’altra superpotenza, gli Stati Uniti, nata non a caso da una guerra di liberazione dalla sudditanza coloniale. Per raggiungere un simile risultato fu avviata una capillare campagna di persuasione. Addirittura nei corridoi della diplomazia si arrivò a parlare di baratto Trieste-Tripoli. Pur di ottenere l’amministrazione fiduciaria della Libia, Mosca avrebbe fatto pressione sulla Jugoslavia, all’epoca ancora un fedele alleato, perché lasciasse perdere le sue mire sulla città adriatica che considerava una sorta di bottino di guerra. In pratica l’Unione sovietica accettava, nella sua visione del momento, di arretrare la cortina di ferro. Tanto attivismo alla fine si rivelò inutile e i russi non ritennero opportuno contrastare con il veto l’ormai inevitabile corso degli eventi. La Libia fu dichiarata indipendente e Trieste tornò all’Italia dopo alcuni anni turbolenti di amministrazione alleata.
Nella bandiera libica i colori rappresentano le diverse regioni del Paese: Fezzan, Cirenaica e Tripolitania. (Shutterstock)
Vladimir Putin è l’amministratore delegato voluto dalle oligarchie dell’intelligence e delle forze armate, che già stanno preparandosi a sostituirlo. (Shutterstock)
Russia, un gigante dai piedi d’argilla
Istantanea Forte nella produzione di armi,
il Paese ha un’economia e uno Stato deboli Lucio Caracciolo La Russia è senza ombra di dubbio la terza potenza mondiale. Ed è l’unica capace di distruggere (salvo autodistruggersi) in poche ore il numero uno e il numero due – America e Cina – grazie al formidabile apparato missilistico e nucleare, alla proiezione di intelligence, all’eccellenza nelle dimensioni cibernetiche, spaziali nonché a notevoli punte tecnologiche e scientifiche. Allo stesso tempo, la sua economia vale solo il 3% di quella mondiale, con tendenza all’ulteriore declino. Ad oggi la Federazione russa fonda la sua economia sulla rendita energetica da idrocarburi, alla faccia della sostenibilità e dell’ecologia. Per chi ancora si attardasse nell’economicismo, valutando la gerarchia delle potenze in base al Pil o al reddito pro capite, è consigliabile considerare questi dati di fatto. È da Pietro il grande che i russi cercano vanamente di agganciare lo sviluppo europeo. Contando in particolare sulla possibile sinergia con la Germania. Il mercato tedesco del gas – per estensione europeo – resta fondamentale per il settore energetico e per il bilancio dello Stato. Con ovvie ricadute politiche – stabilità interna tanto maggiore quanto più alto è il prezzo di petrolio e gas – e geopolitiche, rango e influenza nel mondo. Se per disgrazia le riserve russe di gas e petrolio esaurissero, quell’immenso Paese tornerebbe indietro di un paio di secoli. Altra voce decisiva è quella delle armi. Le fabbriche russe producono armamenti di grande qualità che vengono esportati ovunque possibile. Le guerre dove i russi sono indirettamente o direttamente impegnati servono anche a questo: sinistri road show per esibire al mondo la magnificenza delle proprie armi. A parte la pur lunga parentesi sovietica, durante la quale le distanze fra Europa sviluppata e Russia (Urss) si ridussero sulla spinta dei piani di industrializzazione forzata promossi da Stalin, il percorso storico dell’economia russa conferma l’impossibilità non solo dell’aggancio ma anche dell’avvicinamento alle economie che contano. Il prodotto interno lordo russo è oggi assimilabile alla somma di quelli del Benelux. I tentativi di modernizzazione dell’economia nazionale promossi da Putin e da Medvedev hanno dato qualche segnale positivo fino al 2009, anno nel quale, anche in seguito alla crisi scoppiata a Wall Street e di lì estesa a quasi tutto il pianeta, è ripartito l’allargamento della forbice che frustra le speranze o le illusioni dell’élite e del popolo.
Uno dei fattori meno considerati ma più rilevanti di questa performance avvilente sta nella debolezza dello Stato. I media dipingono una Federazione russa dotata di un apparato statale robusto, pervasivo, basato sulla verticale del potere. Con un presidente onnipotente al centro. Falso. Per cominciare Putin non è affatto leader incontrastato, specie nella fase finale della sua parabola. È l’amministratore delegato voluto dalle oligarchie dell’intelligence e delle forze armate, che già stanno preparandosi a sostituirlo. In secondo luogo, se la verticale del potere non funziona tanto bene, figuriamoci il potere orizzontale. Enormi spazi russi non sono governati (anche perché disabitati) e, in assenza di un vero sistema legale e istituzionale, le burocrazie attuali confermano gli stereotipi della grande letteratura russa del Sette-Ottocento. Di qui anche l’incapacità di accogliere investimenti diretti esteri. Eppure la Russia è indicata dal Pentagono, insieme alla Cina, come nemico strategico. La Nato continua a rafforzarsi e ad avanzare verso lo spazio russo, dopo aver travolto i confini sovietici. E la tensione fra i due Paesi, anche con Biden (anzi, forse soprattutto con la nuova Amministrazione Usa) non sembra affatto calmarsi. Le sanzioni americane e europee contro leader russi o settori della locale economia fioccano, e certamente ne indeboliscono il tessuto sociale ed economico. Tutto questo non fa che rafforzare lo strano allineamento di Mosca con Pechino. Probabilmente, se si aprisse un orizzonte di disgelo con Washington, Mosca abbandonerebbe o almeno allenterebbe volentieri l’abbraccio cinese. Per ora non sembra il caso. I russi, per carattere e storia, esistono in quanto convinti di essere una grande potenza. Per questo i leader della Federazione curano l’apparato militare molto più del civile. Quel popolo è abituato, se necessario, a mangiare l’erba. Ma si scioglierebbe in cento sub-Russie nel momento in cui si autopercepisse Paese normale. «Potenza regionale», nella perfida definizione di Obama che fece imbestialire Putin durante la crisi ucraina. Per l’insieme di questi fattori noi occidentali dovremmo saper rispondere alla seguente domanda: la Russia ci sta bene così o dovremmo aiutarla a dissolversi? Trent’anni dopo la fine dell’Unione sovietica, quando molti a Washington e in Europa orientale immaginano di far fare alla Federazione la fine dell’Unione, sarebbe il caso di darci una risposta. Sapendo che comunque la dissoluzione della Russia difficilmente si farebbe in pace.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 marzo 2021 • N. 11
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Politica e Economia
Più giovani alle urne
Diritti politici I giovani attivisti per il clima vogliono partecipare attivamente alla vita politica in Svizzera
e rivendicano l’abbassamento della maggiore età civica a 16 anni. È proprio quanto vuole un’iniziativa parlamentare su cui forse saremo chiamati a votare Luca Beti Per il momento, soltanto i 16enni e 17enni del canton Glarona possono recarsi alle urne o presentarsi sulla lista elettorale di un partito. Un diritto che presto potrebbe essere esteso a livello nazionale. Infatti, in Svizzera mai come adesso si è stati così vicini all’abbassamento della maggiore età civica a 16 anni. Già in passato sono state promosse iniziative parlamentari in questo senso. L’ultima risale al 2017 e venne bocciata a stragrande maggioranza dal Consiglio nazionale. Ora il vento è però cambiato sulla scia dei movimenti giovanili a favore del clima. Le ultime elezioni nazionali ci hanno consegnato un parlamento più giovane, femminile e più verde. E così, l’iniziativa parlamentare di Sibel Arslan, deputata dei Verdi di Basilea-Città, il settembre scorso ha raccolto il sostegno di una maggioranza, anche se risicata, nella Camera del popolo. Il progetto intende concedere il diritto di voto ed elezione a tutte le persone di cittadinanza svizzera che hanno compiuto il sedicesimo anno d’età. A partire da 16 anni, i giovani potrebbero quindi scegliere i loro rappresentanti al Consiglio nazionale e a quello degli Stati, partecipare alle votazioni federali e lanciare e firmare iniziative popolari. Il diritto di eleggibilità rimarrebbe invece invariato a 18 anni. All’inizio di febbraio, anche la Commissione delle istituzioni politiche del Consiglio degli Stati ha approvato di stretta misura tale iniziativa. La Camera dei cantoni si occuperà del tema durante una prossima sessione parlamentare. Se supererà anche questo scoglio sotto la Cupola di Palazzo federale, il cambiamento costituzionale verrà sottoposto al popolo tramite referendum obbligatorio. L’ultimo abbassamento dell’età di voto ed eleggibilità da 20 a 18 anni risale a 30 anni fa. Era il 1991 e in Svizzera si respirava aria di festa. Si celebravano i 700 anni della Confederazione. Ed è in quell’atmosfera che la domenica del 3 marzo il 72,7 per cento dei votanti e tutti i cantoni accettarono l’estensione di questo diritto ai maggiorenni. Eccezion fatta per l’Unione democratica federale, partito della destra conservatrice, tutti sostennero il progetto, descritto oggi come una sorta di regalo alla gioventù del Paese. «Più che un invito a partecipare attivamente alla vita politica, fu piuttosto un gesto di riconciliazione nei confronti dei giovani», ricorda il politologo Claude Longchamp.
Il voto ai sedicenni è una richiesta sollevata da tempo, come a Berna nel maggio 2008. (Keystone)
«I giovani e gli artisti avevano protestato contro i festeggiamenti per i 700 anni della Confederazione, sostenendo che la Svizzera non esisteva. Due anni prima, nel 1989, la maggior parte degli under 30 votò a favore dell’abolizione dell’esercito». Con quel voto si concludeva un processo politico che era iniziato nel ’68. Un primo passo venne promosso dall’allora consigliere nazionale Jean Ziegler. Nel 1975 lanciò un’iniziativa parlamentare volta ad abbassare a 18 anni l’età di voto ed eleggibilità a livello federale. Il progetto venne approvato dalle due Camere federali, ma non fu sostenuto dal governo. Quattro anni più tardi, nel febbraio 1979, l’oggetto venne respinto di strettissima misura alle urne con il 50,8 per cento dei voti contrari. Otto cantoni e due semi-cantoni furono favorevoli, tra cui il Ticino, il canton Svitto, dove tale diritto veniva concesso già dal lontano 1898, e il canton Giura che l’aveva introdotto dalla sua fondazione nel 1974. La bocciatura di stretta misura alle urne promosse l’abbassamento della maggiore età civica a livello cantonale. Così, quando dodici anni dopo il popolo tornò ad esprimersi sul tema a livello nazionale, i 18enni potevano votare ed essere eletti
già in 16 cantoni. Nel 1991, soprattutto un argomento fu decisivo, ricorda Longchamp. «Chi può mettersi al volante di un’automobile deve avere anche il diritto di votare. Era un motivo semplice e comprensibile a tutti». Dodici anni prima, i contrari temevano che estendere tale diritto ai maggiorenni potesse modificare il panorama partitico in Svizzera. Infatti, la rivendicazione di un maggiore coinvolgimento politico era nata negli ambienti anticonformisti, delle subculture, delle rivolte giovanili del 1968. Anche oggi c’è chi ha paura che gli attivisti per il clima possano cambiare i rapporti di forza in parlamento a favore del fronte rosso-verde. «La generazione di Greta polarizza e ci ritroviamo in un’analoga situazione a quella vissuta nel 1979. Il timore che ci possa essere uno spostamento dell’elettorato verso sinistra è però infondato. L’esperienza e la ricerca scientifica ci presentano un quadro diverso. Per esempio, alle elezioni federali del 2015, i giovani hanno votato soprattutto UDC per paura dell’immigrazione. Nel 2019 hanno invece cavalcato l’onda verde. I giovani non sono ancora inquadrati politicamente, ma seguono lo spirito del tempo». Ma allora sono maturi a sufficien-
za per partecipare attivamente alla vita politica del Paese? «La maggior parte degli psicologi sostiene che cognitivamente sono in grado di prendere una decisione valutando i vari argomenti. Da un punto di vista emozionale dipendono invece ancora molto dai genitori», spiega Longchamp. Vari studi dimostrano che l’abbassamento della maggiore età civica permette ai giovani di iniziare un percorso di socializzazione politica: si sentono presi sul serio e le loro rivendicazioni vengono ascoltate. Una ricerca svolta in Austria, dove nel 2007 è stato introdotto il diritto di voto a 16 anni a tutti i livelli politici, indica che il loro disinteresse o interesse alla politica, il loro assenteismo alle urne non si differenzia di molto dalle altre fasce della popolazione. Un altro argomento a favore del diritto di voto a 16 anni è la «gerontocrazia», termine coniato dal laboratorio di idee Avenir Suisse. In uno studio dal titolo Stato e cittadini pubblicato sei anni fa, il think thank ha affrontato il problema dell’invecchiamento dei votanti in Svizzera. Stando alla ricerca, nel 2015 il votante mediano aveva 56 anni, nel 2035 ne avrà 60. Il risultato di una votazione non può essere considerato una cartina tor-
nasole degli interessi delle varie generazioni. I giovani devono avere la possibilità di prendere parte alla vita politica del Paese, soprattutto in una democrazia diretta. Devono poter dire la loro su questioni fondamentali per il loro futuro quali la legge sul CO2 o la riforma della previdenza per la vecchiaia. «È un ulteriore motivo per concedere il diritto di voto ai 16enni», sostiene Claude Longchamp, che evidenzia l’importanza dell’educazione civica a scuola. «L’abbassamento dell’età di voto potrebbe essere una chance per le scuole professionali e medie per dibattere in maniera concreta gli oggetti in votazione e promuovere così lo spirito critico e la formazione politica. Non possiamo affidare questo compito solo alle famiglie poiché non tutti i genitori si interessano di politica». La storia del suffragio femminile, introdotto 50 anni fa, e del diritto di voto a 18 anni ci insegna che i processi politici sono lunghi e costellati di battute d’arresto. È importante coinvolgere attivamente tutte le fasce d’età e tutti i gruppi di popolazione alla vita politica del Paese per tenere conto delle varie sensibilità e dei vari bisogni, quelli delle donne, degli anziani, degli stranieri e dei giovani. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 marzo 2021 • N. 11
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Politica e Economia
Nella pandemia del 2020 la Svizzera se l’è cavata meglio di altri paesi Impatto economico Il PIL è sceso solo del 2,9%, grazie alle strutture dell’economia con una solida industria
farmaceutica, al commercio di transito, agli influssi deboli di gastronomia e turismo, ma anche ai tempestivi interventi di sostegno dello Stato Ignazio Bonoli Quali influssi ha avuto la pandemia di Coronavirus sull’economia? È la domanda che molti si pongono, al di là di singole valutazioni e relative opinioni, e che attende risposte documentate. Una di queste è certamente quella elaborata dalla Segretaria di Stato per l’economia (Seco) e che sinteticamente conclude: la Svizzera ha subito nel 2020 la più forte contrazione dell’economia, dopo la crisi petrolifera del 1975. Misurata in termini di prodotto interno lordo (PIL) significa una diminuzione del 2,9%. L’evoluzione del PIL è stata però molto altalenante durante tutto lo scorso anno. Durante la prima parte dell’anno il calo del PIL ha infatti toccato il punto più basso e preoccupante con una diminuzione dell’8,9%. A questo tonfo è però seguita una ripresa che ha dello straordinario (+7,6%) durante il terzo trimestre. L’intensità della ripresa stessa e le prime avvisaglie di una nuova crisi hanno però riportato la crescita dell’economia allo 0,3%. Di modo che in termini assoluti questo significa un calo del PIL di 21 miliardi di franchi rispetto al 2019! Queste cifre non tengono però conto del fatto che, senza l’epidemia, l’economia svizzera non sarebbe comunque cresciuta durante lo scorso anno.
Secondo stime del Centro di ricerche congiunturali del Politecnico federale di Zurigo (KOF), nei confronti di un ipotetico anno di base (senza pandemia), il prodotto interno lordo svizzero sarebbe addirittura sceso di 30 miliardi di franchi circa. Per il 2021, l’aggravamento che stiamo vivendo in questi primi mesi dell’anno dovrebbe aggiungere altri 15 miliardi di franchi. Queste ultime stime sono ovviamente molto prudenziali. Il nuovo lockdown è iniziato il 18 gennaio, ma il 28 febbraio ha subito un primo allentamento. Durante questo periodo, caratterizzato da una restrizione dei consumi di circa il 20%, l’economia svizzera dovrebbe essersela cavata abbastanza bene. Ne hanno sofferto in particolare il commercio al dettaglio e la ristorazione. Secondo un indicatore settimanale del KOF, il rallentamento dovrebbe aggirarsi attorno al 2%, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il che non mancherà però di influire pesantemente sui dati del primo trimestre. Tanto più che proprio dalla fine di febbraio sembra cambiare la tendenza che vedeva un leggero miglioramento della situazione. Tenendo conto soltanto del PIL (che misura l’aumento della produzione di ricchezza del paese), la Svizzera ha finora sopportato la crisi pandemica meglio
Sede della Roche a Basilea: grazie ad un’industria farmaceutica forte, le esportazioni hanno contribuito a lenire l’impatto del Covid sul PIL. (Keystone)
di altri paesi. Rispetto al calo del 2,9% si calcola per esempio per gli USA un calo del 3,5%, per la Germania del 5%, per l’Austria del 7,4%, per la Francia del 8,3%, per l’Italia dell’8,8% e per la Gran Bretagna del 9,9%. Questa miglior resistenza della Svizzera può essere attribuita a diversi fattori. In primo luogo la resistenza alla crisi è sicuramente dovuta alle strutture dell’economia. Il lockdown ha colpito soprattutto le strutture turistiche o della gastronomia, che hanno un peso minore nella produzione di ricchezza rispetto
ad altri paesi , come l’Italia o la Francia. Per contro l’industria farmaceutica è molto solida, al punto da coprire quasi la metà di tutte le esportazioni . Anche il cosiddetto commercio di transito, cioè acquisto e vendita di prodotti soltanto all’estero, ha subito un contraccolpo minore. Inoltre, lo Stato è intervenuto rapidamente in aiuto ai settori più colpiti. Infine, durante la seconda ondata della pandemia, iniziata in autunno, le misure di contenimento sono state meno severe che in altri paesi. Oggi però si pone il problema di
quando e in che modo si potrà uscire dalla seconda ondata e forse anche dalla terza, condita dalla novità delle varianti del virus. Fino a pochi giorni fa alcuni economisti prevedevano per l’estate una brillante ripresa, condizionata comunque da una forte riduzione dei contagi e dai progressi delle vaccinazioni. A favorire questa ripresa potrebbe essere l’aumento dei risparmi nel periodo di crisi, durante il quale i consumi sono scesi fino all’80%. Si prevedeva anche che l’impatto del nuovo lockdown sarebbe stato molto più debole di quello precedente. Il fattore principale di rilancio dovrebbe però essere una rapida diffusione delle vaccinazioni e, quindi, un rapido ritorno alla normalità che permetta di recuperare tutto quanto perduto in precedenza. Alcuni economisti pensano perfino che l’aumento della domanda, sostenuto anche dalla politica monetaria delle banche centrali possa condurre a una fase di surriscaldamento. A breve scadenza le previsioni sono però prudenti. Per il 2021, il KOF prevede ora un tasso di crescita del 2% (invece del 3,2% previsto in dicembre). Qualche riserva può nascere alla luce dei più recenti avvenimenti in fatto di pandemia. La Svizzera potrebbe recuperare prima e meglio di altri paesi, ma poi – come sempre – avrà bisogno anche della loro ripresa. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 marzo 2021 • N. 11
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Politica e Economia
Rendimenti in forte aumento La consulenza della Banca Migros
Christoph Sax
Rendimenti dei titoli di Stato con durata decennale Movimento al rialzo su un ampio fronte
1.5 %
USA Regno Unito Giappone
1.0 %
Svizzera Germania 0.5 %
0.0 %
-0.5 %
-1.0 %
Fonte: Datastream
Christoph Sax è capo economista della Banca Migros
Febbraio è stato segnato da una svendita sui mercati obbligazionari. Sulle scadenze lunghe i rendimenti sono saliti in modo particolarmente marcato. La tendenza al rialzo si basa sull’aspettativa di una ripresa pluriennale dell’economia mondiale, che farebbe aumentare l’inflazione in modo stabile. È vero che le banche centrali hanno immediatamente ribadito di non dover ancora inasprire la propria politica monetaria. Tuttavia, gli investitori sui mercati finanziari sono di tutt’altra opinione. I tassi a termine sul mercato monetario segnalano aumenti dei tassi di riferimento molto più precoci e più frequenti rispetto a solo poche settimane fa. Questo movimento è stato particolarmente intenso per il dollaro: il pacchetto congiunturale in programma, di circa 1,9 triliardi di dollari, potrebbe portare l’economia statunitense ai suoi limiti di capacità, in caso di rapido superamento della pandemia. Nei mercati finanziari si ipotizza che il governo Biden possa spendere anche un importo equivalente per un programma infrastrutturale pluriennale. Nell’eurozona la rapida formazione di un nuovo governo in Italia ha rischiarato le prospettive. Le speranze sono riposte nell’ex presidente della BCE Mario Draghi, dal quale, in qualità di nuovo presidente del Consiglio, ci si aspetta
che conduca l’Italia fuori dalla crisi. Anche la Banca Migros parte dal presupposto che l’inflazione aumenterà con il placarsi della pandemia. In molti Paesi l’effetto di recupero economico comporterà a breve termine dei
limiti di capacità. Tuttavia, nella zona euro e in Svizzera dovrebbe essere solo un fenomeno passeggero. È probabile che la spinta alla crescita perda di nuovo vigore già a metà del 2022, poiché la politica fiscale diventerà più
restrittiva a causa del forte aumento del debito pubblico e la crescita potenziale rimarrà relativamente bassa. Ci si aspetta che la BNS lasci invariato il suo tasso di riferimento almeno fino alla metà del 2023. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Un indice settimanale di attività economica Chi segue, per esigenze di natura professionale o per puro interesse, le cronache sulla nostra economia sa che da noi le disponibilità in materia di indicatori congiunturali sono abbastanza limitate. Prima della metà degli anni Cinquanta dello scorso secolo non si disponeva, in Svizzera, di una contabilità nazionale che aiutasse a stimare il valore di aggregati come il prodotto nazionale o il reddito nazionale, i consumi e gli investimenti. Poi per più di tre decenni, si pubblicarono solo valori annuali per
questi aggregati. Così le prime previsioni macroeconomiche, che cominciarono ad apparire, verso la metà degli anni Settanta, erano basate su modelli i cui coefficienti potevano essere stimati solo partendo da dati annuali. Poi l’Ufficio federale di statistica arrivò a pubblicare per gli aggregati della contabilità nazionale valori trimestrali. E lì ci si fermò. Siccome i rapporti sull’evoluzione congiunturale della Seco sono pure redatti trimestralmente, il ritardo dei dati sull’evoluzione della congiuntura,
Il nuovo indice settimanale dell’attività economica.
rispetto alla data di pubblicazione di questi rapporti, è di tre mesi. Come dire, di solito, quello che leggiamo sull’andamento della nostra economia è vecchio di tre mesi. È vero che, per opera di diversi istituti, si è cercato di ridurre il gap che affetta le informazioni economiche procedendo a sondaggi nelle aziende. Dagli stessi emergono però solo tendenze settoriali o di ramo che non possono servire per costruire un quadro completo come quello che può mettere a disposizione la contabilità nazionale. Poi è arrivata la pandemia e con essa la necessità impellente di ottenere informazioni maggiormente aggiornate sull’evoluzione dell’economia. Ovviamente, in Svizzera, non era possibile pensare di poter mettere in piedi una contabilità nazionale mensile o, addirittura, settimanale come viene fatto nei paesi all’avanguardia della statistica economica. La Seco ha pensato di riempire il vuoto informativo creando un indice settimanale di attività economica. Si tratta di una specie di termometro che, settimanalmente, misura l’andamento
congiunturale come se fosse la linea della febbre di un malato (vedi grafico allegato). La scala che serve a misurare l’attività economica è naturalmente diversa da quella che ci indica le febbre di un malato. I suoi valori si distribuiscono infatti attorno allo zero. Ovviamente se l’indicatore è sotto lo zero ci troviamo in una situazione di recessione. Se supera lo zero, invece, vuol dire che gli affari funzionano. Per comporre questo indicatore aggregato di attività economica si sono utilizzati nove sotto-indicatori che hanno frequenza settimanale o giornaliera e il cui andamento è strettamente correlato con quello del Pil o di una delle sue componenti. Si tratta del consumo di energia elettrica, dell’esportazione e dell’importazione di merci, della concentrazione di azoto nell’aria, delle transazioni con carte di credito, del numero di disoccupati, dei prelevamenti in contanti, del numero netto di tonnellate per chilometro trasportate dalle FFS e dei depositi a vista. Come si vede si tratta di dati che misurano direttamente l’attività nel mercato interno e in quello
internazionale, di indicatori indiretti delle attività di produzione e consumo, o di misure della pressione sul franco. L’evoluzione dei valori di questi indicatori viene naturalmente corretta per tener conto delle variazioni stagionali. Il nuovo indicatore settimanale può essere collegato all’evoluzione trimestrale del Pil reale. Nel grafico quest’ultima è rappresentata dai rettangoli. Si rileva che tra le due misure dell’andamento congiunturale esiste una correlazione positiva: l’indice diminuisce quando il Pil diminuisce e viceversa. La possibilità che offre il nuovo indice di verificare settimanalmente l’evoluzione consente di stabilire, per esempio, che il lock down della scorsa primavera ha indotto rapidamente una forte recessione ma, altrettanto rapidamente, anche una certa ripresa dell’attività. Insomma approfittando del nuovo indice siamo ora in grado di seguire l’andamento della nostra economia molto più da vicino: sappiamo che cosa è successo la settimana scorsa mentre prima sapevamo solo quello che era capitato tre mesi fa.
patto di staffetta con Netanyahu per la premiership che il premier non ha voluto rispettare). Anche il superamento della soglia del Partito religioso sionista è in forse, e questo condizionerebbe di molto la possibilità di Netanyahu di formare un Governo. Il contesto è dunque frammentato e l’esercizio principale dei commentatori politici israeliani è quello di individuare chi sarà l’ago della bilancia. Fra tutti spicca (il solito) Naftali Bennett, leader di una formazione che raggruppa partiti di destra che si chiama Yamina. Nato ad Haifa da genitori americani, Bennett è il prodotto della cosiddetta «start up Nation», come viene chiamato Israele per l’eccellenza nei settori tech e innovazione. Nel 2005 Bennett cedette la sua start up sulla cybersicurezza per 145 milioni di dollari ed entrò nello staff di Netanyahu. Vi rimase due anni poi, dicono, le sue continue liti con la first lady, Sara Netanyahu, lo spinsero a lasciare il team e cercarsi un altro posto
nel cuore del premier. Bennett lo fece con grande abilità, alternando vicinanza e lontananza come succede spesso nelle alleanze politiche poco equilibrate. Ma ora ha deciso di giocare la partita da solo, rompendo la dipendenza dall’ex capo. E concedendo tante interviste sui media internazionali, specie americani, che non solo così esaltano il suo potere da ago della bilancia ma indispettiscono oltremodo Netanyahu, che è da sempre considerato «il più americano» dei leader israeliani (lo era anche prima della sua relazione speciale con Donald Trump). Ora Bennett ha un obiettivo, oltre a un’agenda economica che punta sulla creazione di nuovi posti di lavoro e l’abbassamento delle tasse: rimpiazzare Netanyahu ma mantenere una «spina dorsale» di destra alla guida di Israele. Detesta Lapid e dice che non lo sosterrebbe mai, ma non sostiene nemmeno Netanyahu, quindi è come se fosse un candidato rivale, cioè un candidato premier pure lui. Non vuole
più essere il secondo, insomma, e per questo Bennett riesce anche a criticare la campagna di vaccinazione di Netanyahu, con un argomento che suona terrificante: non siate troppo ottimisti, le somministrazioni vanno bene, ma se poi non c’è immunità alle varianti... In realtà Bennett non è il politico che contende la popolarità a Netanyahu. Quello è Gideon Sa’ar, ex del Likud che ha provato a insidiare la leadership del mondo di destra del premier fondando Nuova speranza. Nei sondaggi Sa’ar è popolare ma poi dovrà mostrare capacità nella ricomposizione di un puzzle politico cui manca sempre un pezzo. In sostanza dalle urne uscirà ancora una volta la riconferma della preminenza delle forze di destra in Israele. Un altro elemento della normalità ritrovata, ma la formula di una coalizione funzionante è ancora da trovare. In passato Netanyahu si è sempre rilevato il più abile tra gli alchimisti, seppure sul breve periodo.
moltiplicati, rovesciando sul cittadinosuperman un carico di responsabilità sempre più greve. A scadenze regolari, iniziative e referendum lo hanno invitato ad esprimersi su temi quali gli indirizzi di politica economica, la sicurezza, le alternative energetiche, le biotecnologie e via di questo passo. Dove invece la chiamata all’urna è meno frequente, si è preferito affidare il timone ai governi tecnici. Nella vicina Italia la crisi epidemica ha messo fuori gioco un’intera classe politica, che in pratica si è auto-arresa. Era già accaduto in passato, con l’appello ai «tecnici», ovvero ai banchieri provenienti dalla Banca d’Italia o dall’università Bocconi: Ciampi (1993-1994), Dini (1995-1996), Monti (2011-2012). Ora la questione si è riaffacciata con la nomina di Mario Draghi, già presidente della Banca centrale europea, esortato dal presidente Mattarella a sbrogliare la matassa. Anche il Ticino, in anni non remoti,
bussò alla porta di un «tecnico» per evitare che il cantone precipitasse nel buco nero del dissesto finanziario. Accadde nel 1983, allorché il Partito liberale radicale decise di candidare al Consiglio di Stato Claudio Generali, economista e direttore aggiunto della Banca dello Stato. Missione: risanare i conti pubblici, compito ingrato ma inderogabile. «Durante gli anni di crescente smarrimento della scorsa legislatura (1979-1983) è emersa gradatamente, sino ad imporsi con la brutale evidenza di cifre orrende, l’esigenza politica di deviare le finanze pubbliche dalla rotta di collisione sulla quale si sono turbinosamente incanalate». La nuova compagine – sottolineò Generali – avrebbe dovuto insomma fare i conti con «angosciose opzioni» e «ardue scelte», pena lo sfilacciamento del tessuto sociale. Il giovane capo del Dipartimento delle finanze e dell’economia non deluse le attese; anzi, portò a termine il risana-
mento prima della scadenza naturale del secondo mandato. Nel 1989 il «banchiere prestato alla politica» decise infatti di lasciare l’incarico per assumere la direzione della Banca del Gottardo. Decisione criticata dalla stampa non liberale per i tempi e i modi, ma non per la sostanza. Anzi, si riconosceva a Generali «di avere contribuito – in prima persona – a raddrizzare una situazione finanziaria del Ticino ch’era giunta al limite del tracollo». Morale: fa bene un sistema democratico a reclutare negli esecutivi gli specialisti nelle «ore più buie» determinate da collassi economici o sanitari. È pure segno di saggezza appoggiarsi agli esperti, a «coloro che sanno»; ieri ai banchieri, oggi ai virologi, ai medici e ai farmacisti. Il tutto deve però avvenire nella completa trasparenza, con annessa la clausola che ad emergenza finita il potere ritorni nei consueti canali della dialettica politica.
Affari Esteri di Paola Peduzzi Un puzzle politico a cui manca un pezzo Israele ha rimosso buona parte delle restrizioni introdotte per contenere la pandemia grazie a una campagna di vaccinazione che fa chiacchierare e sospirare tutto il mondo, tanto è veloce ed efficace. In due mesi, quasi il 40 per cento dei 9,3 milioni di abitanti è stato completamente immunizzato (due dosi). La libertà riconquistata arriva dopo mesi di lockdown, a pochi giorni dalle elezioni, che si terranno il 23 marzo e che sono il quarto appuntamento elettorale in soli due anni. Bar e ristoranti, spettacoli teatrali, eventi sportivi, hotel, scuole primarie e secondarie: tutto torna a funzionare, a parte alcuni luoghi accessibili solo a chi è già stato vaccinato e i limiti che restano sugli assembramenti. Questa efficienza nelle vaccinazioni e il graduale (ma a noi sembra rapidissimo) ritorno alla normalità sono le armi elettorali del premier, Benjamin Netanyahu, che cerca la riconferma come guida del Governo di Israele, nonostante i suoi guai
giudiziari e l’instabilità politica che lui stesso ha contribuito a generare. E non è detto che questa ennesima tornata elettorale possa superarla, l’instabilità, anzi. Secondo le ultime rilevazioni, ancora una volta si tratterà di conteggi all’ultimo minuto, di maggioranze risicate e litigiose. Il blocco che vuole Netanyahu ancora premier del Likud, Shas, United torah judaism e Partito religioso sionista, avrebbe 47 seggi. Il blocco che non lo vuole – Yesh atid, il cui leader Yair Lapid sarebbe il premier alternativo a quello attuale, Nuova speranza, Ysrael Beiteinu, Labor, Blu e bianco e Meretz – ne avrebbe 53. Ma ci sono tante incognite. Per cominciare il passaggio della soglia di sbarramento che riguarda in particolare Meretz, che mette insieme ex sigle di sinistra, e Blu e bianco, il partito che all’ultima elezione si giocava la guida del Governo con il Likud di Netanyahu, guidato dall’attuale ministro della Difesa Benny Gantz (aveva un
Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Qui ci serve un banchiere La pandemia ha riportato alla ribalta l’annosa questione del rapporto tra la politica e la scienza, tra la democrazia e la tecnocrazia. Sia nella sua forma più antica, identificata con l’assemblea di tutti i cittadini nell’agorà, sia nella forma contemporanea, fondata essenzialmente sulla rappresentanza parlamentare, la democrazia presuppone la competenza: tutti i titolari dei diritti politici devono essere in grado di capire la posta in gioco e di regolarsi di conseguenza. Sul piano formale, «il comando del popolo» non discrimina; non distingue e separa in base al sesso, al censo, all’intelligenza, al titolo di studio, alla confessione. Tuttavia, come ben sanno le donne di questo paese, per raggiungere tali risultati e per smantellare ostacoli e pregiudizi – e qui ci limitiamo alla sfera occidentale – sono stati necessari decenni di mobilitazioni. Alla fine ha trionfato il principio dell’ugua-
glianza di fronte alla legge, ma quanta fatica... La democrazia ha dovuto tuttavia fare i conti con un’obiezione fondamentale fin dal suo sorgere nelle città dell’antica Grecia: che non tutti gli individui adulti disponessero del bagaglio intellettivo e culturale richiesto per poter deliberare con cognizione di causa. Su questioni banali, o ritenute tali, la questione non si poneva, ma non appena si entrava in affari complessi l’obiezione scattava. Non era forse meglio delegare la soluzione ai sapienti e ai filosofi (nel linguaggio odierno, ai comitati di esperti e ai tecnocrati)? Che ne sapeva l’uomo della strada di faccende pubbliche che scavalcassero il perimetro della sua casa, temi come la politica estera, i trattati di guerra e di pace, l’organizzazione dell’esercito? Nelle società contemporanee, e in particolare in quella elvetica, gli interrogativi e i dubbi di questa natura si sono
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 marzo 2021 • N. 11
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Cultura e Spettacoli L’arte delle botte Manuela Mazzi ha pubblicato per i tipi di Laurana un trattato sui picchiatori ticinesi degli Anni 80
Il Nonsense: fascino pazzo Abbiamo incontrato la traduttrice ticinese Daniela Almansi, reduce da un lavoro sullo «Squarlo» di Lewis Carroll
La nuova vita di Savastano A colloquio con l’artista ticinese Patricia Savastano, una vita per il teatro e il gioco
La forza del mecenatismo In questo periodo più che mai il mecenatismo riveste un’importanza fondamentale
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pagina 43 Kracht è nato nel 1966 a Saanen. (Shutterstock)
Tra la Germania nazista e il Giappone Narrativa Nel suo intenso libro I morti lo scrittore svizzero Christian Kracht mescola fantasia e fatti storici
realmente accaduti
Luigi Forte Lo scrittore svizzero Christian Kracht si muove nel tempo e nello spazio con grande disinvoltura. E la sua fantasia si affaccia volentieri sulle pagine di altri autori imitando e manipolando con originalità. Il suo primo romanzo, Faserland, del 1995, diventato presto un libro di culto, soprattutto presso i giovani, in una fase di ripresa della letteratura pop, richiamava Bret Easton Ellis, mentre Imperium, la sua opera finora più famosa del 2012, prende a prestito lo stile di Thomas Mann. Nato a Saanen nel 1966 ma cresciuto in giro per il mondo fra Stati Uniti, Canada e Francia, Kracht è stato corrispondente dall’India per il settimanale tedesco «Der Spiegel», compiendo numerosi viaggi nei paesi asiatici, e più tardi commentatore stabile del quotidiano «FAZ». Non è del tutto casuale pertanto che anche nel suo ultimo romanzo, I morti, che ora La nave di Teseo pubblica nella bella traduzione di Francesca Gabelli, gli eventi si snodino fra la Svizzera, la Germania nazista e il lontano Giappone con un breve, drammatico epilogo a Hollywood. E anche la dimensione storica si dilata e invita il let-
tore nella Berlino dei primi anni Trenta quando il cinema sonoro stava ormai prendendo il sopravvento su quello muto. Per di più, il racconto segue la struttura drammaturgia del TeatroNō, i suoi tempi di narrazione, che nella prima parte danno rilievo alle esperienze infantili dei due protagonisti, il regista svizzero Nägeli e il funzionario ministeriale Masahiko Amakasu. Ma Kracht non si lascia sfuggire, in apertura, una sequenza da film dell’orrore: il suicidio rituale di un giovane ufficiale giapponese che voleva punirsi per aver commesso una manchevolezza, ripreso da una cinecamera nascosta. Così il mondo di celluloide inghiotte fin dall’inizio la realtà e sembra preannunciare il vuoto che si nasconde dietro. Poi la storia inizia oscillando fra Berna e Tokyo, fra quel padre svizzero che spesso colpiva il piccolo Emil sul viso perché non mangiava, e quello nipponico, professore di germanistica che traduceva Heine e le suonava a suo figlio finito nel miglior collegio del paese dove subì infinite umiliazioni. Così al termine degli studi non ebbe dubbi: diede fuoco alla scuola e al suo passato osservando soddisfatto da una collinetta il fuoco riparatore. E tuttavia Masahiko era una sorta di genio che a
nove anni conosceva già molte lingue, studiava il sanscrito, scriveva complessi algoritmi e componeva musica: un mostro che «faceva accapponare la pelle» persino ai genitori. Due protagonisti lontani anni luce che Kracht accosta in un plot apparentemente lineare ma ricco di incredibili sorprese. Il regista Nägeli riceve l’incarico dal governo attraverso l’uomo più potente del cinema tedesco, Alfred Hugenberg, proprietario della Universum Film AG, di andare in Giappone a girare un film di propaganda nazista con l’attore Heinz Rühmann. Offerta allettante se si pensa che per la UFA, proprio lì a Berlino, in un primo tempo, lavoravano un po’ tutti, da Lang a Pabst, da Wiene a Sternberg. E in quella grande capitale balzano fuori dal cappello del prestigiatore Kracht, personaggi improbabili: il sociologo e critico Kracauer, amico di Bloch e Benjamin messi al bando in quella nazione «rigida e instabile», e l’ebrea Lotte Eisner, critica cinematografica famosa per le sue stroncature, con i quali Nägeli si ritrova in un teatro di varietà vicino a Nollendorfplatz, dove non mancano Hugenberg e compagni nazisti. Una kermesse in cui realtà e fantasia si confondono, così come più
tardi, in quell’elettrizzante «polifonia della modernità» che è Tokyo, comparirà Charlie Chaplin a un ricevimento della delegazione americana. Un piccolo e simpatico roditore, forse una volpe, pensa il funzionario Amakasu, che intende contrastare il potere di Hollywood, consapevole che «cinepresa e mitragliatrice» siano assai simili, così come, dall’altra parte del globo il collega Hugenberg sosteneva che il «cinema è la guerra combattuta con altri mezzi». Masahiko sogna un rilancio del film giapponese e punta, sia pur con scetticismo, le sue carte su quel regista che gli amici nazisti gli hanno mandato e che riuscirà a girare in qualche modo una sua pellicola, che dia forma, per così dire, «a una metafisica del presente, in tutte le sue sfaccettature», riuscendo a estrarla dalle profondità del tempo. Ha un titolo che la dice lunga: I morti, come il romanzo di Kracht, dove i capitoli sembrano sequenze montate per una proiezione. Con un finale in cui le novità ancora si susseguono incalzando il lettore ora alle prese con l’assassinio del primo ministro Tsuyoshi Inumai (uno dei pochi fatti storici del romanzo), poi con la crisi fra Nägeli e la fidanzata Ida, una giovane attrice sedotta dal fascino dell’intraprendente Amakasu, con
il quale s’imbarcherà per l’America in compagnia di Chaplin e del suo factotum giapponese Toraichi Kono. Ma Kracht ha deciso di stupirci fino in fondo con il suo temperamento manierista, il suo linguaggio ricercato e il suo stile prezioso e un po’ dandy. Come se giocasse rincorrendo immagini sullo schermo che non sono altro che luce in movimento. E nel suo bricolage cerca la luce crepuscolare dell’ispirazione che qui infine s’inabissa nel vuoto e nella morte. Resta l’immagine un po’ grottesca di Chaplin che, pistola in mano, obbliga Amakasu a gettarsi in mare, e quella, disperata, di Ida, sola e senza prospettive nella mecca del cinema, che scivola giù dalla grande insegna «Hollywoodland» su cui era salita in preda alla disperazione. Per un istante anche il lettore, perplesso e turbato, entra nel regno dei morti, «quel mondo intermedio – confessa Kracht come parlando del proprio romanzo – in cui sogno, film e ricordo si perseguitano a vicenda». Bibliografia
Christian Kracht, I morti, traduzione di Francesca Gabelli, La nave di Teseo, p. 190, € 19.–.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 marzo 2021 • N. 11
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Cultura e Spettacoli
Il Paleolitico individuale
Pubblicazioni La ticinese Manuela Mazzi ha dato alle stampe il curioso Breve trattato sui picchiatori nella Svizzera
italiana degli anni Ottanta; pubblichiamo qui la postfazione al libro scritta da Ermanno Cavazzoni Ermanno Cavazzoni Ho letto questo piccolo Trattato con curiosità antropologica e stupore; è una cronaca del Paleolitico, come se il Paleolitico non fosse mai finito, ma vivesse latente e operante sotto la cosiddetta civiltà moderna. Del Paleolitico non si può fare storia, c’è solo la memoria di fatti isolati ingigantiti dalla distanza temporale, e soprattutto, come in questo Paleolitico svizzero del Canton Ticino, ci sono eroi, tra i quali svetta Matt, l’invincibile Matt detto Nitro, che è l’eroe principale, aggressivo, violento, rapido nella decisione, ma in fondo dotato di un’etica arcaica e di un senso del giusto e della lealtà. È anche l’alba del nome, del nome vero dei protagonisti, che si guadagna in battaglia, o per certe caratteristiche della personalità, o per un episodio che simboleggia tutta la persona. I nomi e cognomi dell’anagrafe non significano niente, sono come dei numeri casuali appiccicati, dei segni convenzionali immotivati, intercambiabili; il nome vero è il soprannome, quello che ciascun eroe o ciascun personaggio anche fugace si guadagna e lo caratterizza nel modo giusto, diventando la sua storia sintetica, l’emblema della sua particolare individualità.
Il Trattato è un racconto monumentale, ricordo della gioventù e dell’adolescenza selvatica C’è Glicerina, detto così per l’eloquio suadente con le ragazze; Nitro, perché proprio Nitro non si sa, ma sta per nitroglicerina, esplosivo instabile e pericoloso; Spaccapietre, perché da marmista spaccava le rocce con una testata, prima di diventare un insormontabile
Il libro sarà disponibile in libreria dal 25 marzo.
buttafuori; PataPàm, per la plateale caduta a terra in una rissa; Swan, da un film, il capo dei Guerrieri della notte; Boom Boom, onomatopeico, da un famoso pugilatore italoamericano; il Corvo, della cui provenienza non sapeva niente nessuno, e che alle risse si limitava ad assistere, senza partecipare direttamente, come un corvo appollaiato che aspetta il cadavere; i Fratelli Pesce, che è il loro cognome anagrafico, ma che diventa il nome giusto della loro entità doppia, picchiavano come un individuo unico e indistinguibili, senza scomporsi, forse con l’espressione stoli-
da e monodirezionale del pesce, per cui il cognome era già il soprannome; l’Albino, di lingua tedesca, non albino davvero, ma biondo e sbiancato di carnagione, come uno che viene da lontane tribù nordiche e pallide; il Doberman, per via dei morsi che in battaglia dava; il Matto che sembra fosse mezzo matto davvero per gli atti inspiegabili. È il Paleolitico dell’età adolescenziale, che si ritrova non solo in Svizzera. Il bar di riferimento è come il villaggio natio, da cui si estende il territorio di appartenenza, che comprende qualche isolato. Non ci sono armi dell’industria
umana, i metalli, il ferro; neanche il bronzo, perché l’età del bronzo deve ancora arrivare; non ci sono perciò lame, se non eccezionalmente, come casi di anacronismo e viltà; qualche pietra semplice sì, non lavorata, che viene raccolta e scagliata, anche questo però un caso raro, come fosse un sistema di lotta troppo avveniristico e azzardato, che può fare morti, e questo non lo si vuole. Ci sono solo e principalmente i pugni, accompagnati dall’ardimento, dalla stazza, dalla velocità di reazione, e dalla fama, a volte la fama fa più della forza, è un alone che precede l’eroe; ed eventualmente in casi unici qualche mossa di lotta libera o greco-romana, qualche mossa di karate, ma sono anomalie di membri di tribù speciali, appartengono alle mostruosità, come incontrare un centauro, o le tre velenose sorelle Gorgoni, o il leone Nemeo, o l’Idra di Lerna, allora la zuffa si complica per le mosse inaspettate e traditrici, si entra nel campo dello sconosciuto, però con l’emozione della novità, con la sua conseguente dose di meraviglioso. Anche certi grandi fatti a volte possiedono un nome leggendario, come la Grande Rissa Pasquale dell’82, nome glorioso, che risuona poeticamente all’orecchio, sembra adatto a durare nei secoli, come la guerra di Troia, come le imprese di Gilgameš quando segue l’arduo cammino del Sole. Ma questa cultura arcaica dei pugni si tramanda solo oralmente, non ha scrittura, svapora, sarebbe già svaporata nel niente se non ci fosse Manuela Mazzi con l’epopea fenomenologica di questo suo Breve trattato. E poi le bande, che sono di fatto tribù, ognuna coi suoi usi e costumi che la caratterizzano: i motociclisti di Solduno, deboli, non bellicosi; oltre alle bande contigue territorialmente, ci sono quelli venuti da fuori, gli Slavi, i Calabresi, i Milanesi o gli Zucchini di lingua germanica, i Terroncelli cioè italiani di frontiera; e quelli a un grado
antropologico più basso, come la Banda del Portico, imbelli, sottovalutati, che come i Neanderthal si estingueranno a poco a poco; similmente a Quelli di Ronco, neppure degni di essere presi in considerazione per la pochezza guerriera. Ma anche tribù leggendarie, temute e mai incontrate, come i Gpl di Losone, e così via. Il Paleolitico finisce quando malinconicamente ciascuno trova la strada della vita adulta, uno diventa dentista, un altro maestro di yoga, qualcun altro fa tre figli, qualcuno emigra in Australia, e perfino c’è chi diventa cioccolatiere, abile a fare decorazioni di cioccolata sui dolci. Entriamo nella prosa, nel tempo dei mestieri e della civiltà urbana legale. Giustamente del Paleolitico non c’è una storia collettiva, questo è un racconto monumentale, come sempre è il ricordo della gioventù e dell’adolescenza selvatica, fatto di apparizioni, figure che transitano e poi scompaiono, azioni senza prima né dopo, località di appartenenza dai confini incerti, non tracciati su nessuna carta, ma casomai, come fanno i cani, dall’odore tracciato delle pisciate. Le tabelle finali, molto istruttive, sono il segno di una impossibilità appunto di storia, tutt’al più sono la misura di un’intensità, come nell’eloquente grafico che misura anno per anno numericamente le risse, con un apice e l’inevitabile calo e scomparsa, come cala con gli anni il testosterone, è il grafico del testosterone negli adolescenti degli anni Ottanta, o, potremmo dire, la crescita, il vertice e il decadere del Paleolitico individuale nella Svizzera italiana degli anni Ottanta. Bibliografia
Manuela Mazzi, Breve trattato sui picchiatori nella Svizzera italiana degli Anni Ottanta, Milano, Laurana Editore 2021. Disponibile dal 25.3
Addio a Paolo Moreno, l’uomo che sapeva leggere il passato
In memoriam L’archeologo, scomparso all’età di 86 anni, aveva coltivato legami importanti anche con il Ticino Marco Horat «La grande importanza di Paolo Moreno sta nella sua capacità di proporre attribuzioni serie e plausibili per opere scultorie celebri, come ad esempio i bronzi di Riace, che Moreno riconobbe essere Tideo e Anfiarao, due dei sette eroi che attaccarono Tebe. Le sue ricostruzioni si basano sempre su un’analisi quasi criminalistica di tutte le componenti dell’opera (stile, iconografia, luogo di ritrovamento) combinate in maniera brillante con le informazioni tramandate dalle fonti scritte. Ne esce un quadro completo che non è solo storico-artistico, ma anche contestualizzazione storica del significato delle singole opere nella società che le aveva prodotte». Così Andrea Bignasca, direttore dell’Antikenmuseum di Basilea e dei Quaderni di Numismatica e Antichità classiche, ricorda lo studioso scomparso a Roma l’altra settimana all’età di 86 anni. Allievo di Doro Levi e Ranuccio Bianchi Bandinelli, Moreno aveva insegnato Archeologia e Storia dell’arte antica nelle università della capitale e ricoperto cariche istituzionali di rilievo. Ma soprattutto si era dedicato alla ricerca e alla divulgazione delle sue discipline, attraverso pubblicazioni scientifiche e divulgative, partecipazioni a congres-
si internazionali, articoli e conferenze. Nella motivazione che aveva accompagnato l’attribuzione qualche anno fa del Premio Tarquinia-Cardarelli si ricordava come a lui si dovesse l’inizio di «un nuovo corso nella storia dell’arte antica». Molte attribuzioni importanti di opere della scultura classica ed ellenistica di artisti quali Fidia, Lisippo e Prassitele si devono infatti alla sua decennale attività impregnata di passione e rigore scientifico, che lo ha fatto considerare uno dei maggiori esperti in materia. Pur senza dimenticare che in questo campo spesso le opinioni all’interno del mondo accademico divergono. Come nel caso dei citati Bronzi di Riace del V secolo a.C. per i quali Moreno ha formulato ipotesi per l’identificazione oggi prevalenti, basate sullo studio delle terre di fusione dei bronzi, sulle posture delle due figure – il vecchio profeta caduto nell’assalto a Tebe quando il suo carro precipitò in una voragine aperta da Zeus con un fulmine, e un giovane guerriero dell’Etolia – e sui documenti che trattano della contesa tra Argo e Tebe. Il dibattito rimane aperto poiché in archeologia non sempre è possibile arrivare a conclusioni inscalfibili. Paolo Moreno era molto legato al Ticino, incrociato più volte in occasione di conferenze e collaborazioni con i
Quaderni di Numismatica e Antichità classiche, pubblicati da quasi mezzo secolo grazie a un gruppo di appassionati luganesi. Tra parentesi ha appena visto la luce l’edizione 2020 della prestigiosa collana, con contributi specialistici di studiosi di vari paesi. Per il capitolo conferenze ricordo una serata AAT all’insegna del grande Alessandro. Paolo Moreno aveva saputo far rivivere con la parola, in una sala affollatissima del Palazzo dei Congressi, la figura straordinaria del Macedone, al di là del mito. «I fatti che riguardano Alessandro sono riflessi nella loro spettacolare imprevedibilità rispetto alla tradizione storica, e superano la fantasia espressa dai romanzi e dal cinema» aveva scritto presentando l’argomento al pubblico ticinese. Come dire che la realtà superava la fantasia di noi moderni, a riprova dell’importanza di studiare la storia partendo dai fatti e basandosi su tutte le fonti disponibili. Paolo Moreno era considerato il maggior esperto dell’opera di Lisippo (IV secolo a.C.), uno degli artisti ufficiali di corte, incaricati di diffondere tra i vivi e tramandare ai posteri l’immagine del sovrano-dio. A Moreno si deve ad esempio l’attribuzione allo scultore greco della statua bronzea del cosiddetto Atleta del Getty Museum. Da quella serata luganese nacque
Paolo Moreno riconobbe Tideo in uno dei bronzi di Riace. (Wikipedia)
l’idea di un viaggio archeologico nella Macedonia greca, cioè nel Paese dal quale partì una delle più straordinarie avventure storiche. Quella che portò Alessandro fino in India e Afghanistan, conquistando così gran parte mondo antico e riunendo sotto il suo scettro popoli eterogenei e culture diverse tra Europa e Asia, in un progetto utopico di armonioso impero universale. La
competente guida di quel viaggio organizzato in collaborazione con Paolo Moreno fu l’archeologa Matilde Carrara, luganese di adozione: Salonicco, Pella e Verghina alcuni dei siti toccati, con visite anche a ritrovamenti recenti, rese possibili grazie all’interessamento, presso i responsabili locali, da parte dei due studiosi legati da stretti vincoli al nostro paese.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 15 marzo 2021 • N. 11
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Cultura e Spettacoli
Tradurre lo Squarlo, un’operazione quasi impossibile
Incontri A colloquio con la ticinese Daniela Almansi, reduce dalla traduzione di uno dei capolavori del Nonsense
del grande Lewis Carroll
Sara Rossi Guidicelli «Abbiamo tutti bisogno di Nonsense. Perché fa ridere, perché spiazza, perché meraviglia»: la pensa così Daniela Almansi, traduttrice indipendente ticinese che lavora con diverse case editrici italiane. Per Orecchio Acerbo ha appena tradotto quello che si considera uno dei capolavori del Nonsense: La Caccia allo Squarlo di Lewis Carroll (in inglese The Hunting of the Snark). Per lo stesso editore presto uscirà anche la sua traduzione del poema Il Coccodrillo di Kornej Čukovskij, il primo poema Nonsense della letteratura russa per bambini. Chiedo a Daniela Almansi se il Nonsense si possa definire una specie di Carnevale, di mondo alla rovescia. «Non proprio», mi risponde. «Piuttosto è paragonabile a un gioco dei Lego in cui parole e suoni sono combinabili in modi infiniti. Il Nonsense infatti è una specie di parodia che si diverte a manipolare gli strumenti che danno senso al mondo: la logica, la lingua, il buonsenso. Ci destabilizza, ci ricorda che neanche le nostre certezze più grandi devono essere scontate. È buffo e straniante». Avete in mente le Fanfole di Fosco Maraini? Ecco, quello è un esempio estremo di letteratura che va «oltre il senso», dove la forma prevale sul significato. Oggi ci sono molti adulti che si interessano e si appassionano ai testi Nonsense, traendone complesse elucubrazioni filosofiche e esistenziali. Gli editori di Orecchio Acerbo invece restituiscono al giovane pubblico questa breve storia in rima di Carroll, nata come letteratura per l’infanzia allo scopo di divertire i più piccoli. «Non bisogna avere paura di offrire ai bambini qualcosa che li lasci perplessi», afferma la traduttrice, «qualcosa che sia esteticamente un po’ sofisticato ma di grande qualità». Leggere prima di tutto deve essere un piacere, deve essere bello e
divertente, non solo edificante in senso pedagogico o morale. «I bambini sono creature che stanno imparando un sacco di regole», spiega ancora la traduttrice, che prima di fare questo mestiere ha studiato in Inghilterra letteratura comparata e letteratura per l’infanzia, con un’attenzione particolare al Nonsense. «I bambini fanno una fatica immensa: stanno imparando a muoversi, a parlare, a scrivere, cercano di farsi un’idea di come è fatto il mondo e di come è bene che si comportino... Ci sono libri che aiutano questo processo, perché hanno un messaggio positivo, spiegano cosa è giusto o sbagliato, parlano dell’amore dei genitori, del bullismo e così via. Ma poi ci sono autori come Carroll, Dr. Seuss, Daniil Charms, Edward Lear e molti altri, che scrivono libri-vacanza, libri-liberazione, libri-gioco che ci ricordano che con poesia e con risate si può affrontare meglio la vita. Offrono il piacere dell’assurdo, perché a volte il fatto di non capire è buffo e i bambini sono ancora bravissimi a non preoccuparsi se non tutto è perfettamente chiaro e logico. E poi anche alla rovescia si impara il mondo, anzi, dirò di più: chi non conosce le regole non può apprezzare il loro stravolgimento». E infatti noi in famiglia abbiamo tutti letto e amato lo Squarlo, a qualsiasi età. Crea un’atmosfera dentro la quale ognuno di noi ha potuto trovare tutto quello di cui aveva voglia e bisogno. A un testo così dai tu il senso che vuoi, non te ne dà già uno lui preconfezionato. Il vero nome di Lewis Carroll era Charles Dodgson e nella vita era un uomo pio e austero che insegnava a Oxford, scrivendo saggi di matematica e di logica. In parallelo pubblicava anche libri per bambini sotto lo pseudonimo che conosciamo. Amava i più piccoli, lo divertivano e gli piaceva farli divertire, inventare per loro giochi e mondi strambi. Alla fine della sua vita l’aspetto «bacchettone» prende il sopravven-
to, ma prima regala al mondo questa ultima perla di letteratura Nonsense che è La caccia allo Squarlo. Racconta di un’improbabile ciurma che parte alla caccia impossibile di un’introvabile creatura: lo Snark, diventato lo Squarlo sotto la penna di Daniela Almansi. È in versi, con giochi di parole, guizzi di
surrealismo e meraviglie di assurdità. Il capitano non sa condurre una nave, il cuoco non sa cucinare altro che torte nuziali, la mappa con cui viaggiano è vuota e questo fa rallegrare moltissimo l’equipaggio. E le idee su come si riconosca lo Squarlo sono diverse: umile, ambizioso, a volte piumato, di forma
conica e croccante al gusto. In ogni caso non è quasi mai presente. E come si traduce il Nonsense? Cosa si tiene? Il ritmo, il senso delle parole, il suono che evocano? Molti considerano intraducibili i giochi di parole, perché troppo legati alla lingua di partenza. Daniela Almansi lavora proprio su questo filo al limite dell’impossibile. «Tutto non si può trasportare da una lingua all’altra: bisogna darsi un ordine di priorità. Per esempio, nella Caccia allo Squarlo ci sono la metrica, le rime, la storia, i nomi dei personaggi. Prima di tutto dovevo decidere che cosa fosse davvero importante mantenere intatto, cosa invece era sacrificabile e cosa infine io potessi adattare. Ogni volta si parte da queste considerazioni e ogni volta è diverso. In questo caso ho cercato di mantenere il ritmo della metrica che galoppa perfettamente, perché dà al lettore la sensazione di essere diretto da qualche parte e fa da contrasto alla storia che invece non arriva da nessuna parte. C’è poi il fatto che tutti i membri dell’equipaggio, in inglese, hanno nomi che iniziano con la lettera «B» (Bellman, Baker, Butcher, ecc.). A mia conoscenza, nessuna traduzione italiana aveva mai mantenuto questa regola e per me era un peccato, perché tutti quei personaggi si trovano là su quella barca unicamente per quel motivo. Allora ho cercato di mantenere il gioco facendoli iniziare tutti con la lettera «C», perché a bordo c’è un castoro (beaver) e il suo era l’unico nome che non potevo cambiare». Tradurre è un po’ come attraversare uno specchio, secondo questa studiosa appassionata di Alice. Di là, il mondo sarà anche diverso da qui, ma continua comunque e sempre a parlarci di noi. Bibliografia
La caccia allo squarlo, di Lewis Carroll – traduzione di Daniela Almansi. Illustrazioni di Peter Newell e Cinzia Ghigliano. Roma, Orecchio Acerbo, 2021.
Il lato oscuro di Petra
Editoria Alicia Giménez-Bartlett sembra divertirsi in questa autobiografia fittizia, in cui dà la parola
alla sua famosa ispettrice Petra Delicado Giovanni Medolago Il titolo originale suona Sin muertos (Senza morti, Ndr), mentre la sua casa editrice italiana, la palermitana Sellerio, ha optato per Autobiografia di Petra Delicado, che a qualcuno ricorderà la curiosa Autobiografia di Alice Toklas firmata però dalla sua compagna di vita Gertrude Stein. Alicia GiménezBartlett – a distanza di oltre un secolorispolvera il celebre Madame Bovary c’est moi! di Gustave Flaubert per sve-
lare molti retroscena della sua creatura più celebre e fortunata: l’ispettrice Petra Delicado, protagonista di una serie di gialli che hanno affascinato milioni di lettori. Un nome ossimorico, scelto non certo a caso: quasi un’esca narrativa per definire una figura sfuggente sebbene caratterizzata da alcuni imprescindibili princìpi: la matrice libertaria, un pensiero talvolta iconoclasta, l’ironia sovente caustica, l’importanza dell’amore e quella – imprescindibile! – del sesso. Non è la prima volta che la scrit-
La scrittrice Alicia GiménezBartlett. (Leonardo Cendamo)
trice spagnola si dedica a una biografia; l’aveva già fatto con Dove nessuno ti troverà, ritratto di Teresa Pla Meseguer, personaggio realmente esistito quanto ugualmente sfuggente, a partire da un inquietante ermafroditismo. Stavolta però le cose si complicano: difficile dire quanto Alicia debba a Petra e viceversa. È un bel match in un gioco di specchi dove si incrociano i destini di due donne, una immaginaria e l’altra in carne ed ossa. Sappiamo che Alicia si è laureata in Letteratura spagnola all’Università di Barcellona, mentre Petra ha frequentato Giurisprudenza. In comune hanno infanzia e adolescenza vissute nel lungo periodo franchista, sotto un feroce potere dittatoriale stretto alleato di una Chiesa bigotta e altrettanto repressiva. L’istruzione avuta/subita in un collegio di suore (spassosa la figura della Madre superiora cubana, ossessionata dal freddo iberico, che si muove nel convento sempre seguita da una Sorella che trascina una stufa accesa!) ha lasciato nel loro animo un senso di colpa difficile da combattere. Alicia diventa insegnante, Petra si impegna nello studio notarile di Hugo, il suo primo marito
ambiziosissimo e ossessionato da quel «progetto comune» che dapprima l’affascina e poi le verrà così a noia da spingerla al divorzio. Estremamente riservata circa la sua vita privata, poco sappiamo di Alicia; ecco invece Petra che accumula flirt più o meno (in)felici prima di avventurarsi in un secondo matrimonio con Pepe, più giovane di lei di una decina d’anni. Da un marito-padre, insomma, a un marito in cerca di una mamma. Ancorché scottata dall’esperienza e tormentata dal senso di fallimento, Petra resta in balia di un destino beffardo: «L’amore è come uno che si presenta a cena senza essere invitato. Tu cosa vuoi fare, cacciarlo via? No, devi farlo sedere alla tua tavola e lasciarlo mangiare in santa pace». Alicia ci racconta anche del terzo matrimonio di Petra; stavolta con Marcos, architetto che porta in dote ben quattro figli («Mi chiedevo se volesse dar vita a una dinastia»). Paradossalmente però, Petra confessa che «ogni tanto mi viene di pensare che il grande amore della mia vita sia il viceispettore Firmin Garzon». Macho alquanto misogino che mal sopporta d’avere una donna quale suo
capo, il grasso e maldestro Firmin sarà pazientemente ricostruito da Petra, che gli rivela una nuova figura di donna. Una battaglia tra i sessi che lei inizia con parolacce dette con la disinvoltura (e la volgarità!) di un maschio alfa, continuata dimostrando «una resistenza all’alcool da fare invidia a un cosacco» e infine vinta trasformandosi in uno spaventapasseri «capace di cacciar via tutti i pregiudizi atavici sul sesso femminile». Forse un’allegoria della Spagna, passata dagli anni bui del franchismo alla rutilante movida dei film di Almodovar? Certo è che sia Alicia sia Petra faticano a superare sensi di colpa, dubbi e insoddisfazioni, che le tormentano anche quando la loro vita sembra incanalarsi verso la felicità. «Ormai ero convinta – è l’amara conclusione di entrambe – che vivere una vita completamente libera è un’aspirazione impossibile». Bibliografia
Alicia Giménez-Bartlett, Autobiografia di Petra Delicado, Palermo, Sellerio, 2021.
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Cultura e Spettacoli
Lo spirito inquieto di Patricia Savastano
Teatro Un nomade folletto nel bosco del teatro e della sincronicità;
le nuove stagioni teatrali in rete Giorgio Thoeni «Siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni e la nostra piccola vita è circondata da un sonno». La battuta di Prospero nel IV atto de La Tempesta shakespeariana è l’abito ideale per l’attrice, performer e nomade Patricia Savastano. Classe 1961, di origini molisane, è nata e cresciuta in Argentina a San Juan, città ai piedi della cordigliera delle Ande. Farsi raccontare le sue esperienze è come fare rafting su un fiume in piena, fra ricordi e storie che si accavallano come onde impetuose. La incontriamo alla vigilia del suo ennesimo esodo verso nuove esperienze di lavoro con il sogno di portare a termine il progetto di costruzione di un Pianeta ludico a San Juan, uno spazio di gioco per adulti per la cui realizzazione sta raccogliendo fondi. Il gioco è una costante della sue verve creativa, fra teatro, danza, disegno e terapie naturali… «Tengo attivo il mio lato ludico – ci spiega – mi aiuta a vivere in armonia, riequilibrando, elaborando emozioni, permettendo cambiamenti, flessibili. Accompagno le persone a ritrovare, a ricordare, a reincontrarsi. A non avere paura del vuoto». La sua narrazione è appassionata, spesso disordinata, espressione dell’entusiasmo contagioso di un personaggio quantomeno sincero. Spirito irre-
quieto, alla continua caccia di stimoli nel mare delle opportunità, Patricia è un incrocio fra il Puck del Bardo e il Bianconiglio di Carroll. Paladina della sincronicità, il suo unico credo è nella casualità degli incontri, una fede che si accompagna al gioco come strumento di un rito, di una sacralità nel cuore della natura selvaggia dove, alla stregua di un apprendista stregone, lo coltiva come cura contro le malattie. È decisamente un soggetto singolare che vive costantemente la sua avventura teatrale con una sorta di indole sciamanica che la porta ovunque. Spaghetto elettrico, come la chiamavano da piccola, si descrive così: «sono insaziabile, curiosa, sono una danzarina cosmica, faccio performance per il mondo, nel posto dove mi trovo. Danzando, portando un altro sguardo, bellezza o quanto meno stupore. Sono paladina della libertà d’espressione creativa, che è il mio lavoro cosmico. La mia religione è l’apostolato dello stupore. Mi piace sentirlo così, crederlo così, e crearlo così». Cresciuta in un ambiente tradizionale, dopo gli studi Patricia abbandona presto la professione di guida turistica per inseguire il fascino del teatro vissuto come una costante sorpresa in cui dare spazio a esperienze di ogni genere. Anche importanti. Come l’incontro negli anni 90 con Marco Baliani e Ma-
ria Maglietta che le dà la possibilità di partecipare a diverse produzioni e tournées di cui ricordiamo almeno Lola che dilati la camicia con Cristina Crippa, uno spettacolo rimasto in cartellone per molte stagioni. Nella nostra regione è protagonista per diverse stagioni con il Teatro Pan di Vania Luraschi, Cinzia Morandi e Elena Chiaravalli, con spettacoli come Tic Tac e il tempo sospeso, Barbablù, Un cestino di lucciole ma anche Lettera a Pan. Recentemente Scena viva, il progetto online della RSI dedicato ai nostri artisti, le ha registrato Il manifesto di Pat, una lettura con cui riassume la sua filosofia artistica incentrata sulla libertà di espressione come autoguarigione ed equilibrio energetico. Una performance che riassume la sua ricerca in stretta relazione fra arte e salute, un manifesto che si addice al periodo che stiamo vivendo. Piero Ciampi, la persecuzione dell’indifferenza
In attesa di una sospirata normalità, ci stiamo abituando a seguire spettacoli in rete: un’eventuale prospettiva per il futuro che, visto il momento, dobbiamo considerare come un’opportunità. È così che fra le diverse iniziative il Teatro di Chiasso e il Teatro di Locarno si sono uniti come streamers per offrire gratuitamente una serie di proposte online con un programma tutto al fem-
Patricia Savastano e la sua verve. (Teatro Pan)
minile che ha debuttato, in concomitanza con la serata finale del festival di Sanremo, con E bastava un’inutile carezza a capovolgere il mondo. Racconto anarchico e poetico di Piero Ciampi, un progetto di Arianna Scommegna e Massimo Luconi. In scena Arianna, un tavolo polveroso, una sedia. Con lei la fisarmonicista Giulia Bertasi, autrice dell’adattamento e della drammaturgia di un recital fra musica e parole sulla figura di Piero Ciampi (1934-1980), cantautore e poeta livornese che ha segnato la musica italiana degli anni 60-70 con il suo mondo anticonformista, anarchico, bohémien. Artista maudit, Ciampi si racconta attraverso i testi delle sue canzoni farcite di struggente poesia, stralci di verità di una vita smodata, provocatoria e fuori dalla normalità, affogata nell’alcol. «Ha tutte le carte in regola per essere un artista. Vive male la sua vita. Ma lo fa con grande amore», recita uno dei suoi brani più famosi, poi ripreso da
Gino Paoli: uno dei pochi ad aver compreso il suo male di vivere e la sua grandezza nell’unicità con cui superava, già ai suoi albori, la scuola genovese. Quella di Luigi Tenco, Gian Piero Reverberi e dello stesso Paoli che lo considerava il migliore di tutti noi. Arianna Scommegna ce lo restituisce con voce vissuta e appassionata, fra momenti cantati e la cronaca di un’anima addolorata, di un poeta caustico e disperato che maledice la vita dove c’è sempre «un qualche Cristo che sale stanco e senza scampo una salita…» Ciampi è emarginato come «un uomo solo e senza armi», governato dal dolore e dall’ingiustizia sociale, circondato dall’«indifferenza che in questo mondo ci perseguita». «La prima volta che l’ho sentito – ha raccontato l’attrice – ero bambina. Perché il mio papà, (Nicola di Bari, ndr), ha cantato una sua canzone: Io te e Maria». Con una toccante prova Arianna ci ha regalato un sospiro di poesia con i versi sgorgati da una vita a precipizio. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
La necessità di dare, e di farlo bene Mecenatismo/1 La guida alla «relazione generosa» di Elisa
Bortoluzzi Dubach e Chiara Tinonin
Simona Sala L’arte e la cultura più in generale si trovano in uno stato di acuta necessità. Probabilmente, ora che un palpabile sconforto a lungo termine serpeggia sempre più anche tra chi vive grazie ad esse, il sostegno privato diventa più importante che mai, e mecenatismo (v. articolo di fianco) e filantropia hanno il potenziale di trasformarsi in un faro sempre più luminoso in futuro, purché se ne conoscano le modalità operative e gli iter procedurali. Chi desideri approfondire quest’importante tematica, ma soprattutto chiunque abbia voglia e/o necessità di essere coinvolto in un «progetto filantropico», può avvalersi del supporto esperto delle ricercatrici e consulenti Elisa Bortoluzzi Dubach e Chiara Tinonin, autrici dell’illuminante La relazione generosa. Guida alla collaborazione con filantropi e mecenati.
c’è consapevolezza di quelle che sono le difficoltà degli artisti e della produzione. Vi sono grandi opportunità se si creano le giuste connessioni, e spero che questo libro possa indicare la via più indicata e fruttuosa da intraprendere. Abbiamo guardato alla filantropia come a un settore, dandone riferimenti dimensionali e soprattutto definendo quelle che sono secondo noi le sue traiettorie di sviluppo. Ma questo voleva essere anche un manuale, e qui Elisa è una maestra ed è quindi grazie a lei se questa guida si può aprire in qualsiasi pagina e da lì iniziare a leggere. Nei contesti artistico-culturali a volte si ha la percezione che alle competen-
plificazione è necessaria a tutti i livelli. Si devono velocizzare i processi e le riunioni, soprattutto in un momento come questo e in una società che si trasforma ogni giorno. Il ritmo decisionale delle fondazioni deve aumentare. È inoltre necessaria una standardizzazione e una semplificazione delle richieste di contributo, che non deve corrispondere a una banalizzazione. Da ultimo, ma non per importanza, credo che i criteri vadano uniformati: tra Confederazione e Cantoni non ci devono essere differenze.
Cosa pensate delle commistioni tra settori pubblico e privato, nel sostegno alla cultura?
Qual è stata la genesi di questo progetto che ha portato alla scrittura di una guida esauriente e dettagliata, piena di suggerimenti pratici e pragmatici, ma con un approccio filosofico?
Elisa Bortoluzzi Dubach: L’idea del libro è nata diversi anni fa, nel 2016. A quell’epoca mi sono incontrata ripetutamente con un amico filosofo per discutere del ruolo del mecenate. Dopodiché mi sono fatta intervistare per sei mesi di seguito da una giornalista; quel materiale rimase inutilizzato a lungo, finché non ne parlai con Chiara, con cui collaboravo da anni e che ha un sistema valoriale molto simile al mio. In fondo la prima relazione generosa è proprio la nostra, nel senso che io provo una profonda gratitudine nei suoi confronti. Dopo lo scoppio della pandemia, a un certo punto il telefono del mio ufficio ha cominciato a suonare all’impazzata (e continua a farlo), con persone provenienti dall’ambito culturale che mi chiedevano cosa dovessero fare. Ci siamo così rese conto che era necessario mettere a disposizione il nostro know how. Nonostante fossimo in piena pandemia, la casa editrice Franco Angeli ha accettato la nostra proposta all’istante. Poiché volevamo che il libro fosse accessibile al maggior numero possibile di persone, siamo grate ai donatori che ci hanno permesso di regalarlo a molte biblioteche, anche musicali, italiane e svizzere. La prima tiratura è andata esaurita in tre mesi, e ciò ci rallegra per i musicisti, dal momento che abbiamo deciso di regalare i proventi delle edizioni che usciranno fino alla fine del 2021 all’Associazione Senzaspine e al Fondo di solidarietà per gli studenti della Fondazione Conservatorio della Svizzera italiana. Questo libro è nato dalla volontà di fare del bene e di farlo bene. E grazie ad esso mi è venuta l’idea di un progetto più grande: con il sostegno di diversi cantoni, per aprile sono riuscita a organizzare un corso online di fundraising per operatori culturali che si trovano in difficoltà. Un libro sul mecenatismo che viene promosso grazie a dei donatori…
Chiara Tinonin: Un libro sulla generosità deve essere lanciato con un atto di generosità, quindi per noi è stato naturale.
Come vi siete poste di fronte al materiale raccolto?
CT: Io sono abituata a lavorare con i testi, ma la cosa insolita di questo progetto è stata la carica emotiva che l’ha investito. Questo momento, pur essendo difficile, è anche propizio, perché
Maternalità diffusa a servizio dell’arte Mecenatismo/2 Graziella Lonardi
Buontempo nel ricordo di Achille Bonito Oliva
Ada Cattaneo Graziella Lonardi Buontempo (19282010) rappresenta un esempio felice di quello che il mecenatismo può rendere possibile. Fu lei a fondare nel 1970 gli «Incontri internazionali d’arte», un’associazione che, grazie alla collaborazione con i più eminenti intellettuali italiani (Moravia, Argan, Arbasino, …) e artisti internazionali (Beuys, Christo, Rauschenberg, Boetti, …), ha organizzato di volta in volta mostre, conferenze, programmi di sostegno alla cultura, in ogni settore del contemporaneo. Conobbe il critico d’arte Achille Bonito Oliva alla Biennale di Venezia del 1970 e con lui organizzò, fra l’altro, due delle mostre chiave di quegli anni: Vitalità del negativo a Palazzo elle Esposizioni e Contemporanea, nel parcheggio sotterraneo di Villa Borghese a Roma. Bonito Oliva ricorda la figura di questa mecenate, capace di promuovere la creatività, sempre nel rispetto del lavoro di chi le stava accanto. Qual è il suo ricordo di Graziella Lonardi Buontempo?
Lei mi permetteva apertura e sensibilità. Insieme abbiamo lavorato per creare gli «Incontri internazionali d’arte», che sono stati il mio braccio armato. Attraverso quell’associazione ho potuto realizzare tutti i miei progetti inediti, anche i più problematici, affrontando competizioni e dibattiti. Furono una palestra culturale per tutti coloro che venivano a seguirci: spingevamo il pubblico a un lavoro di ascolto delle opere, che poi avrebbero fatto scuola. In che modo Graziella Lonardi favoriva il suo lavoro di critico?
Un’opera utile e completa. (Franco Angeli)
ze di visione e di comunicazione del progetto e alla relazione con un filantropo o un mecenate venga attribuita minor importanza rispetto all’aspetto creativo. Ora però gli artisti cominciano ad aprirsi maggiormente a questa sensibilità, capendone il valore. Oggi gli artisti, grazie alla tecnologia sembrano più consapevoli...
CT: Sicuramente la tecnologia e i social media aiutano, e ancora prima le piattaforme di condivisione dei progetti. Ma la nostra attenzione non è tanto sull’aspetto tecnologico, quanto su quello processuale. Per noi contano anche l’attitudine caratteriale e psicologica, il modo in cui l’artista si pone. Spesso il sostegno mecenatistico è ancora visto come un mero trasferimento di denaro, ma non è così: chi dona, dona sé stesso, il proprio passato, la propria persona. EBD: Il vero cambiamento deve ancora venire: l’artista non deve sentirsi richiedente, ma offerente. Deve avere coscienza del proprio valore, e di potere offrire al mecenate una serie di cose, tra cui la possibilità di realizzare i suoi sogni. L’artista deve però avere anche coscienza del valore economico-finanziario del proprio progetto. Fra le cose da migliorare subito vi è il modo in cui gli artisti si presentano in Internet, che deve diventare più completo. È recente la polemica della Consigliera di Stato zurighese Jacqueline Fehr che rimprovera all’Ufficio federale della cultura un eccesso di burocrazia per l’ottenimento di sussidi. Cosa ne pensate?
EBD: Dal mio punto di vista la sem-
EBD: Quando le donne della fondazione Ladies first hanno regalato alla città di Basilea un teatro grazie a una delle più grandi azioni svizzere di fundraising, hanno raccontato in un libro ciò che hanno fatto e ciò che avrebbero potuto fare meglio. Tra le altre cose avevano regalato al Canton Basilea Città una proposta di contratto fra privati e istituzioni pubbliche cui non è mai stato dato seguito. Purtroppo, la maggior parte delle amministrazioni pubbliche sono confrontate giorno per giorno con fondazioni e mecenati senza le competenze specifiche per affrontare la problematica. È necessaria una strategia comune. CT: Il settore pubblico deve sostenere le collaborazioni tra pubblico e privato per le realtà culturali, che di fatto sono un bene comune. La centralità della vita sociale e della gestione del bene comune deve essere chiara a tutti, poiché quando così non è, si arriva a una situazione dove non vince nessuno e a perderci sono la comunità e le generazioni future. Uno dei temi più interessanti in ambito culturale e l’idea del welfare culturale. Vi sono studi che misurano i livelli di miglioramento della salute grazie alla cultura, e tutto ciò apre un’importante prospettiva politica.
Fra di noi c’erano consonanze e affinità. La Lonardi mi ha rivelato il valore di un mio lato infantile che oggi continuo a coltivare. Mi spingeva a guardare al futuro. Non mi sono mai beato di ciò che avevo raggiunto, ma guardavo ai progetti futuri, alla quale lei si rassegnava definitivamente e in maniera affettuosa, generosa e vitale Quando il mecenate affianca un processo culturale, cosa deve fare per favorirlo?
Fare quello che faceva la Lonardi, essere rassegnata e permettere agli altri di realizzare. L’Italia è un paese che ha alle spalle tradizioni di grandi mecenati nel corso dei secoli, ma nella modernità questo è diventato anche frutto di coraggio. Mentre prima il mecenatismo era frutto di un potere economico e politico, quando noi abbiamo cominciato – negli anni Settanta – quello che abbiamo fatto era più il risultato di un atto di coraggio
La mecenate Graziella Lonardi Buontempo. (Youtube)
teorico da parte mia e organizzativo dalla parte della Lonardi.
Aveva degli artisti che seguiva con particolare affetto?
No, lei era appassionata di tutti gli artisti che incontrava attraverso le mostre che organizzavamo. In questo senso aveva una sorta di maternalità diffusa. Affiancava a queste attività una sua privata attività collezionistica?
Era inevitabile. Abbiamo lanciato molti artisti, creando delle situazioni che avrebbero poi avuto esiti internazionali. Ha favorito anche la nascita di nuove collezioni. In questo momento ci sono figure paragonabili alla Lonardi?
No. Questo è un momento di sosta in cui non c’è in previsione la presenza di nuove figure. Tutto questo è avvenuto in un’epoca che favoriva quelle modalità.
La peculiarità di Graziella Lonardi fu di combinare attività culturale e mecenatismo. Come si destreggiava entro questi ruoli?
Esiste una divisione dei ruoli nel nostro ambito: come esiste nella vita sociale, così nella vita culturale. C’è il critico che teorizza e la mecenate che organizza. Una divisione dei ruoli che gratifica tutti i soggetti attivi. Ha parlato di affinità e consonanze fra di voi. Quali erano?
C’erano affinità che nascono dall’antropologia, derivanti dall’essere entrambi cresciuti in una cultura che proveniva da Napoli. Quindi il senso dell’avventura, della curiosità, dell’ironia. Quindi c’era una leggerezza e allo stesso tempo una consapevolezza progressiva entro cui noi operavamo, constatando infine i risultati senza averli previsti, in quanto noi operavamo anche secondo formule nuove e non garantite dalla tradizione.
Bibliografia
Elisa Bortoluzzi Dubach, Chiara Tinonin, La relazione generosa. Guida alla collaborazione con filantropi e mecenati, Milano, Franco Angeli, 2020.
Il critico italiano Achille Bonito Oliva. (Leonardo Cendamo)
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Nielsen Global Track Total Specialties, Juli 2019 – Juni 2020, Europe Total, Markets covered: BE, FR, DE, IT, SE, NO, DK, ES, UK, PL, CH
17% 19.80 invece di 23.85
50% Pile agli ioni di litio da 3 V Energizer 2032 conf. da 6
Fino a esaurimento dello stock. Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli già ridotti.
19.80 invece di 39.75
Pile alcaline Energizer MAX AA oder AAA conf. da 20
Migros Settimana it tane f o r p p A 16. 3 – 22. 3. 2021
e g us t a
Il nost ro a ll e d o i l g i s n co se t t imana:
37% 4.95 i 7.90 invece d
Fragole
, S pagna a da 1 kg tt e s s a c
20% Tutto l'assortimento Sélection per es. salmone reale, d'allevamento, Nuova Zelanda, per 100 g, 7.95 invece di 9.95
42% 5.50 invece di 9.50
20% Pollo intero Optigal
Ovetti di cioccolato Frey, UTZ
Svizzera, 2 pezzi, al kg, in self-service
in sacchetto da 480 g, per es. Mix Freylini e Giandor, assortiti, 7.80 invece di 9.80
Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. Offerte valide solo dal 16.3 al 22.3.2021, fino a esaurimento dello stock
conf. da 6
45% 6.90 invece di 12.60
Coca-Cola Classic, Light o Zero, 6 x 1,5 l, per es. Classic
Migros Ticino
Frutta e verdura
Una colorata porzione di vitamine per iniziare la settimana
conf. da 2
23% 5.95
Formentino Anna's Best 2 x 130 g
invece di 7.80
25% 5.90
Asparagi verdi Messico, mazzo da 1 kg
invece di 7.90
Vitamine dal cong elatore
a partire da 2 pezzi
30% 2.50 invece di 3.60
Migros Ticino
20% Carote bio
Tutto l'assortimento di verdure, surgelate
Svizzera, sacchetto da 1 kg
per es. spinaci tritati Farmer's Best, 800 g, 2.40 invece di 3.–
34% 2.95
Arance Tarocco Italia, rete da 2 kg
invece di 4.50
28% 5.90
30% 3.40
Pomodori Intense Marocco, imballati, 700 g
invece di 4.90
Mele Gala Svizzera, imballate, 2,5 kg
invece di 8.25
20% Tutti i funghi freschi per es. champignon bianchi, Svizzera, vaschetta da 250 g, 1.75 invece di 2.20
IDEALE CON
conf. da 3
21% Pasta Anna's Best spätzli all'uovo, gnocchi alla caprese o fiori limone & formaggio fresco, in confezioni multiple, per es. spätzli all'uovo, 3 x 500 g, 6.– invece di 7.65
Migros Ticino
31% 7.95
Prosciutto crudo dei Grigioni surchoix Svizzera, in conf. speciale, 153 g
invece di 11.60
Offerte valide solo dal 16.3 al 22.3.2021, fino a esaurimento dello stock
Carne e salumi
Tagli eccellenti a buon prezzo
20% 4.55 invece di 5.70
15% 5.35 invece di 6.35
30% 1.60 invece di 2.30
Migros Ticino
20% 4.70
Salame bio affettato Svizzera, in conf. speciale, per 100 g
Bresaola Casa Walser Italia, per 100 g, in self-service
invece di 5.90
30% 2.60 invece di 3.75
Petto di tacchino TerraSuisse affettato in conf. speciale, 150 g
Prosciutto cotto Puccini prodotto in Ticino, per 100 g, in self-service
25% 2.75 invece di 3.70
Fettine di tacchino La Belle escalope Francia, per 100 g, in self-service
conf. da 2
33% Costolette di maiale magre TerraSuisse in conf. speciale, per 100 g
15.70
invece di 23.45
Sminuzzato di pollo Optigal Svizzera, 2 x 350 g
conf. da 2
30% 8.75
Cipollata di maiale Tradition 2 x 7 pezzi, 500 g
invece di 12.50
20% 4.40
18% 2.95 invece di 3.60
Entrecôte di manzo Paraguay, per 100 g, in self-service
invece di 5.50
30% 3.85 invece di 5.50
Migros Ticino
Capretto tagliato Francia, per 100 g, in self-service
Scamone di manzo Black Angus M-Classic Uruguay/Paraguay, 2 pezzi, per 100 g, in self-service
CONSIGLIO DEGLI ESPERTI La razza Black Angus fornisce carne di qualità eccellente; la frollatura garantita di 30 giorni rende la carne tenera come il burro. Prima di cuocerle, tenere le bistecche a temperatura ambiente. Per un risultato ottimale, dopo la cottura lasciar riposare brevemente le bistecche in un piatto coperto. Offerte valide solo dal 16.3 al 22.3.2021, fino a esaurimento dello stock
Pesce e frutti di mare
Dal regno di Nettuno
CONSIGLIO DEGLI ESPERTI In norvegese «skrei» significa «viandante» poiché ogni anno, per deporre le uova, percorre mille chilometri dal ghiacciato mare artico di Barents fino alle più calde acque costiere attorno alle isole Lofoten. Lo skrei, chiamato anche merluzzo invernale, è disponibile da fine gennaio sino a inizio aprile.
25% 2.45 invece di 3.30
Migros Ticino
20% Tutto l'assortimento di pesce e frutti di mare, prodotti surgelati (Sélection e Alnatura esclusi), per es. bastoncini di pesce impanati, MSC, 300 g, 3.– invece di 3.75
30% Merluzzo Skrei, MSC per es. M-Classic, pesca, Atlantico nordorientale, per 100 g, 3.35 invece di 4.80, in vendita in self-service e al bancone
30% Filetto di passera, MSC Atlantico nord-orientale, per 100 g, valido fino al 20.3.2021, al banco pescheria e in self-service
11.75
invece di 16.90
Salmone affumicato scozzese d'allevamento, Scozia, in conf. speciale, 260 g
Pane e prodotti da forno
Bontà fino all’ultima briciola Il nostr o pane de lla se ttimana: a base di spel ta orig inale al 10 0%, lavorato de lic at amente e cotto se condo il met odo tradizionale
20x PUNTI
Novità
3.90
Pane integrale assortito 500 g
20% Tutti gli zwieback (prodotti Alnatura esclusi), per es. Original, 260 g, 2.55 invece di 3.20
20x PUNTI
Novità
4.80 Migros Ticino
Treccia al burro di spelta originale 450 g, confezionata
Offerte valide solo dal 16.3 al 22.3.2021, fino a esaurimento dello stock
Formaggi, latticini e uova
Il meglio per il brunch
izze ra Qualit à sv e doppia n i n c o nf e z i o
26% 1.80 invece di 2.45
conf. da 2
20% 5.35 invece di 6.70
20% 1.85 invece di 2.35
Migros Ticino
conf. da 4
Panna intera Valflora UHT 2 x 500 ml
21% 3.– invece di 3.80
Yogurt Yogos al naturale, ai fichi o al miele, per es. al naturale, 4 x 180 g
–.20 di riduzione
Tutti i tipi di Caffè Latte Lattesso
Tutti gli snack al latte o tutte le fette al latte Kinder refrigerati
per es. cappuccino, 250 ml
per es. fette al latte, 5 pezzi, 140 g, 1.45 invece di 1.65
26% 1.65 invece di 2.25
Leventina Caseificio prodotto in Ticino, per 100 g, imballato
Grana Padano, DOP, stagionato 16 mesi in conf. da 700 g/800 g, per 100 g
–.75
di riduzione
4.25 invece di 5.–
Uova di Pasqua svizzere da allevamento all'aperto con mini Herbamare gratuito, 8 x 50 g+
Articoli vegetariani e vegani
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5.50
Gorgonzola DOP Selezione Reale per es. dolce, 200 g, 3.50 invece di 4.40, imballato
Mozzarisella classico, bio 200 g
Totalmente ve pe r arricchire pastage tale , , ri sott o ecc. conf. da 3
Hit 12.50
Tête de Moine, AOP ½ forma, con Fleurolle, 400 g, confezionato
21% 9.– invece di 11.40
Parmigiano Reggiano grattugiato 3 x 120 g
20x PUNTI
Novità
20% 4.85 invece di 6.10
Migros Ticino
20% Caprice des Dieux
Tutti i Kiri
in conf. speciale, 330 g
per es. formaggio fresco da spalmare, 18 pezzi, 324 g, 3.70 invece di 4.65
5.50
Il piacere della pasta Simply V, grattugiato fresco vegano, 100 g
Offerte valide solo dal 16.3 al 22.3.2021, fino a esaurimento dello stock
Scorta
Dal caffè alle tortine al formaggio
20% Nocciole e mandorle macinate nonché mandorle a bastoncino e a scaglie M-Classic per es. mandorle macinate, 200 g, 2.20 invece di 2.80
conf. da 6
22%
30% Tutti i tipi di caffè, in chicchi e macinato, UTZ
Fleischkäse Malbuner
per es. Boncampo Classico, in chicchi, 500 g, 3.25 invece di 4.70
disponibile in diverse varietà, per es. Delikatess, 6 x 115 g, 7.– invece di 9.–
lata più La tort ina surg e la Mig ros e nte amata dalla c li
conf. da 2
30% 9.70 invece di 13.90
Migros Ticino
conf. da 2
31% Tortine al formaggio M-Classic
Crocchette di rösti o pommes noisettes M-Classic
prodotto surgelato, 2 x 12 pezzi, 2 x 840 g
prodotto surgelato, per es. noisettes, 2 x 600 g, 6.– invece di 8.70
e r al e n i m Ac qua l le A lpi de sane v al l e
conf. da 4
35%
conf. da 6
33%
20%
Pizza M-Classic
Tutto l'assortimento Mister Rice
Tutto l'assortimento Aproz
Margherita o del padrone, per es. Margherita, 4 x 380 g, 10.90 invece di 16.80
per es. Basmati bio, 1 kg, 4.30 invece di 5.40
per es. Classic, 6 x 1,5 l, 3.80 invece di 5.70
26% 2.40 invece di 3.25
Gnocchi di patate Di Lella 500 g
20% Tutto l'assortimento Mirador per es. condimento in polvere in confezione di ricarica, 3 x 90 g, 2.95 invece di 3.70
Migros Ticino
conf. da 2
conf. da 3
40% 5.– invece di 8.40
20% Sugo di pomodoro al basilico Agnesi 3 x 400 g
conf. da 2
22% Maionese, Thomynaise o senape dolce Thomy per es. Mayonnaise à la Française, 2 x 265 g, 3.90 invece di 5.–
Ketchup Heinz Tomato, Light o Hot Chilli, per es. Tomato, 2 x 500 ml, 4.70 invece di 5.90
conf. da 3
33% Salse Bon Chef disponibili in diverse varietà, per es. Curry, 3 x 30 g, 2.80 invece di 4.20
Offerte valide solo dal 16.3 al 22.3.2021, fino a esaurimento dello stock
Scorta
Bere con gusto
Vincitore de lla me dag lia ve d'arg e nto all'Oli Oil Aw ard Z ürich 2 0 19
CONSIGLIO SUI PRODOTTI
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L'olio d'oliva greco extra vergine Alexis viene ricavato al 100% da olive koroneiki. Si tratta di un olio dal sapore robusto, adatto ad aromatizzare piatti freddi.
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15.50
Olio d'oliva Monini Monocultivar Nocellara Bio 457 ml, in vendita solo nelle maggiori filiali
15.50
Olio d'oliva Monini Monocultivar Frantoio Bio 457 ml, in vendita solo nelle maggiori filiali
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Tutti i tipi di olio di oliva Alexis
Tutto l'assortimento di sottaceti e di antipasti Condy
per es. extra vergine, 750 ml, 6.65 invece di 8.35
per es. cetrioli, 270 g, 1.50 invece di 1.90
Migros Ticino
Dolce e salato
Biscotti, orsetti gommosi & Co.
Hit 2.90
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20% Biscotti prussiani in conf. speciale, 515 g
Bastoncini alle nocciole, fagottini alle pere e fagottini al farro e alle pere bio per es. fagottini al farro e alle pere, 3 pezzi, 225 g, 2.60 invece di 3.30
conf. da 3
20% Petit Beurre Frey, UTZ cioccolato al latte, crémant o alle nocciole, per es. al latte, 3 x 133 g, 7.40 invece di 9.30
20x
22% Bastoncini alle nocciole, zampe d'orso, schiumini al cioccolato e sablé al burro in confezioni speciali, per es. bastoncini alle nocciole, 1 kg, 6.50 invece di 8.40
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20%
Novità
1.95 Migros Ticino
Orsetti gommosi Alnatura con frutti rossi
Tutte le mezze uova con praliné Frey, UTZ
100 g, in vendita solo nelle maggiori filiali
per es. du Confiseur, 355 g, 15.– invece di 18.80
Offerte valide solo dal 16.3 al 22.3.2021, fino a esaurimento dello stock
Bellezza e cura del corpo
Per sentirsi bene dalla testa ai piedi
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33% 7.80 invece di 11.70
Gel doccia Borotalco Original 3 x 250 ml
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20% Igiene orale Meridol per es. spazzolino da denti Soft, 6.70 invece di 8.40
Salv aslip se nza pe l lic t raspirant e ol a di plas t ic a
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25% 7.40 invece di 9.90
Dentifricio anticarie Elmex o Sensitive Plus Elmex per es. dentifricio anticarie, 3 x 75 ml
15% Assorbenti o salvaslip Molfina per es. salvaslip Bodyform Air, FSC, 2 x 46 pezzi, 2.80 invece di 3.30
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Deodoranti Borotalco per es. roll-on Original, 2 x 50 ml
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Novità
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Assorbenti lavabili Selenacare disponibili nelle taglie 1 o 3+, per es. tg. 1, il pezzo
15.95
Rasoio Gillette ProGlide Monochrome bianco, il pezzo
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Docciaschiuma trattante Borotalco Oil Velveting
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Prodotti I am Hair Fabulous Length per es. shampoo, 250 ml, 2.30
5.40
Shampoo Bircal Sensitive 200 ml
2 x 250 ml
Per domare i cape ll i ribe lli dei be bè
20x
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Novità
5.95
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Phenomenal Forming Paste got2b Schwarzkopf
7.95
100 ml
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Mascara Bye Bye Babyhair got2b Schwarzkopf
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400 ml
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Schiarente Blonde L101 biondo platino Schwarzkopf
Spray per capelli Syoss Keratin
PUNTI
PUNTI
Novità
6.80
il pezzo
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7.80
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PUNTI
7.30
Crema colorante 924, castano cioccolato, Schwarzkopf Brillance il pezzo
7.95
Spray termoprotettivo Schutzengel got2b Schwarzkopf 200 ml
Offerte valide solo dal 16.3 al 22.3.2021, fino a esaurimento dello stock
Bebè e bambini
Per i più piccolini. A prezzi mini.
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Boxer per bambini disponibili in diversi colori e misure, per es. blu marino, tg. 134
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21.95 Migros Ticino
Latte di proseguimento 12+ Aptamil, Bio 800 g
79.90 invece di 119.–
Pattini in linea per bambini Rollerblade Microblade Free 3WD disponibili in verde e grigio chiaro nonché in diversi numeri, regolabili, per es. verde, n. 28–32, il paio
Fiori e giardino
Profumati messaggeri della primavera t ra g Tulipani e x
randi
CONSIGLIO DEGLI ESPERTI
20% 9.95
Le primule vanno bagnate spesso per mantenere la zolla di terra umida. Evitare però che l'acqua ristagni. Di solito non è necessario concimare.
Tulipani francesi mazzo da 7, disponibili in diversi colori, per es. rosa-albicocca, il mazzo
invece di 12.95
conf. da 4
Hit 9.90 Migros Ticino
Tulipani mazzo da 30, disponibili in diversi colori, per es. fucsia, il mazzo
40% 4.55 invece di 7.60
Primule disponibili in diversi colori, in vaso, Ø 9 cm
Offerte valide solo dal 16.03 al 22.03.2021, fino a esaurimento dello stock
Varie
Un affare pulito in tutto e per tutto
Hit 5.–
conf. da 5
Panni polivalenti in conf. speciale, 15 pezzi
20% 2.–
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22% 4.95
Spugne detergenti soft
invece di 2.50
invece di 6.40
Carta per uso domestico M-Classic, FSC 2 x 1 rotolo
r WC e le e p o l l e t Ce s mat e ria n i o i g g a i mb a l l l a t o a l 1 0 0 % ric ic
a partire da 2 pezzi
22%
conf. da 3
33%
20%
Tutti i detersivi per capi delicati Yvette
Profumo per ambienti Migros Fresh
Cestelli e detergenti per WC Hygo
(confezioni multiple e speciali escluse), per es. Care in conf. di ricarica, 2 l, 9.– invece di 11.50
disponibile in diverse fragranze e conf. multiple, per es. ricarica per mini spray Lime Splash, 3 x 12 ml, 5.90 invece di 8.85
in conf. multipla e speciale, per es. stick per cestelli White Flower, conf. da 6 pezzi, 4.45 invece di 5.60
Ve gano e biodeg radabile al 99%
a partire da 2 pezzi
20%
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20%
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Tutto l’assortimento Pial
Detergente Migros Plus
Tutti i detergenti Potz Xpert
per es. schiuma per tappeti Tapino, 500 ml, 4.– invece di 4.95
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per es. disotturante per scarichi Power Gel, 1 l, 4.– invece di 5.95
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33% Detergenti Potz in confezioni multiple, per es. Calc, 3 x 1 l, 11.– invece di 16.50
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Fogli di carta da forno M-Classic 2 x 30 fogli
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Fogli salv a fre sc he zza riutilizzabili, da rit ag liare
14.95
Rotolo di carta in cera d'api riutilizzabile 1 m x 33 cm, il pezzo
20% Tutto l'assortimento di alimenti secchi Vital Balance per es. Adult con pollo, 450 g, 3.35 invece di 4.20
Hit 39.95
Scarpe da trekking marrone, n. 37–45, per es. n. 42, il paio
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27% 1.95 invece di 2.70
Banane bio, Fairtrade Colombia/Perù, al kg, offerta valida dal 18.3 al 21.3.2021