Azione 16 del 19 aprile 2021

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Cooperativa Migros Ticino

società e territorio Amare è una scelta, non un dono del destino: nel suo ultimo libro la psicoterapeuta Stefanie Stahl ci spiega come avere una vita affettiva appagante

ambiente e benessere «Una donna su otto si ammala di tumore al seno»: Francesco Meani, responsabile clinico del Centro di Senologia della Svizzera Italiana dell’EOC, ci parla di prevenzione

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXIV 19 aprile 2021

azione 16 Politica e Economia Criptovalute e semiconduttori. Sono queste le ultime frontiere della sfida tra Cina e Stati uniti

cultura e spettacoli Omaggio ad Adam Zagajewski, il grande poeta scomparso lo scorso mese di marzo

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di Giancarlo Dionisio pagina 21

ti-Press

lassù sulla montagna...

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un nuovo roosevelt? di Peter Schiesser E costui sarebbe Sleepy Joe, come amava definirlo Donald Trump? Dopo neppure 100 giorni in carica, qualcuno si chiede piuttosto se sarà il nuovo Franklin Delano Roosevelt. Da Barack Obama nel 2008, galvanizzati dal suo Yes we can, si è atteso e preteso molto, troppo, non ha potuto (dopo due anni i repubblicani hanno riconquistato la maggioranza in entrambi i rami del parlamento) e non avrebbe mai potuto soddisfare le aspettative. Ci ha poi pensato Trump a demolire i risultati e la visione del suo predecessore. Ma da Joe Biden non ci si aspettava molto. Entrato in carica in un momento critico per gli Stati Uniti, ancora in piena pandemia e reduci dall’assalto al Congresso del 6 gennaio, ci si augurava che almeno riuscisse a lenire un poco le divisioni che la presidenza di Trump aveva reso ancora più evidenti. Invece ha stupito tutti. Non solo i democratici e la stampa a loro vicina, secondo i sondaggi anche molti altri, indipendenti e repubblicani, approvano il suo operato (2 su 3). Certo, ha potuto approfittare della mastodontica operazione di vaccinazioni pianificata e lanciata sotto il suo predecessore (quasi il 40

per cento della popolazione ha avuto la prima dose, uno su quattro anche la seconda). Ma trova approvazione anche la sua visione, di riammodernare gli Stati Uniti, con una marcata presenza dello Stato nell’aiutare a realizzare il vastissimo programma e nel sostenere quella fetta della popolazione che la globalizzazione ha reso perdente e il coronavirus ha castigato ancora di più. I 1900 miliardi di dollari di aiuti per chi ha perso lavoro a causa della pandemia sono stati il biglietto da visita. I 2000 miliardi da investire in infrastrutture, scuole, ricerca, tecnologie, con un occhio alla sostenibilità, all’ambiente, al clima, sono invece una sfida più formidabile. Si tratta da una parte di fermare il declino infrastrutturale e sociale del paese e dall’altra di riaffermarsi come prima potenza mondiale, non lasciandosi superare dalla Cina. I repubblicani hanno già promesso resistenza e di annullare i progetti di Biden se fra due anni riconquisteranno la maggioranza al Congresso, ma se il gradimento popolare restasse dalla parte del presidente, questi potrebbero anche ritrovarsi nella posizione opposta, di perdere quel blocco di seggi sufficienti per fermare piani ancora più ambiziosi. Non sappiamo se Joe Biden riuscirà a imporre la sua visione, ma di

certo sta gettando le basi per una rivoluzione culturale, del modo di intendere il ruolo dello Stato. Lo testimonia la scelta di alzare le tasse ai ceti più abbienti, per pagare il piano di investimenti, e di spingere anche gli altri Stati industrializzati ad accettare una tassa globale sulle imprese che impedisca loro di sfuggire al fisco – sostanzialmente in linea con sforzi in atto all’interno dell’OCSE (cui in Svizzera si guarda con preoccupazione). La catastrofe economica che la pandemia ha rischiato di provocare, evitata solo grazie agli interventi statali ovunque in Occidente, mette seriamente in discussione il credo liberista che si è affermato alla fine degli anni Settanta, di cui Ronald Reagan e Margaret Thatcher sono stati i massimi alfieri. Oggi è chiaro che c’è bisogno di uno Stato forte, lungimirante e non tronfio, che per finanziarlo occorrono soldi e che non è più accettabile che i più ricchi al mondo siano diventati ancora più ricchi. Non è la fine del capitalismo, ma forse l’inizio della fine del pensiero del meno-Stato, del mercato che si autoregola e arricchisce tutti. Il protezionismo iniziato da Trump stava già assestando seri colpi alla globalizzazione, ora si aggiunge il tentativo di cambiare i paradigmi della politica economica da parte del nuovo presidente americano.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 19 aprile 2021 • N. 16

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Attualità Migros

In memoria dell’avvocato Adriano Antonini

Lutti L’ex direttore e già presidente di Migros Ticino ricorda l’amico

e collega dedicandogli un’ultima lettera Carissimo amico Adriano, a causa dei tempi che corrono purtroppo non ho potuto accompagnarti al tuo ultimo percorso ma ero presente e partecipe nel pensiero e col cuore. Perciò ti scrivo questa mia lettera per esprimerti la mia più sincera stima e riconoscenza e per ricordarti a tutti coloro che ti hanno conosciuto, ammirato e voluto bene. Desidero pure e brevemente percorrere il tuo lungo percorso durato ben quarant’anni in seno alla Società Cooperativa Migros Ticino. Infatti nel l962 sei entrato a farne parte, quale membro del Consiglio di Cooperativa. Nel 1974 hai assunto la Presidenza di questo gremio per poi entrare dieci

anni più tardi nell’Amministrazione, diventandone Presidente un decennio dopo, carica mantenuta sino al 2002. Per raggiungimento del limite d’età previsto nello Statuto, hai dovuto lasciare questa posizione consegnando a me, quale tuo successore, il timone del Consiglio d’Amministrazione. Debbo sottolineare che sin dall’inizio i nostri rapporti, con incontri regolari e frequenti sia per motivi di lavoro che in privato, si sono sviluppati in modo molto positivo, ovvero di rispetto e stima abbinati a profonda e schietta amicizia. Sapevamo di poter contare in ogni momento l’uno sul altro, in tutta franchezza e senza fronzoli di circostanza.

Ciò ha sicuramente giovato allo sviluppo di Migros Ticino. Mi sento privilegiato per aver potuto godere di questa tua sincera amicizia e so bene che questi sentimenti vengono condivisi da molte altre persone che ti hanno conosciuto e che hanno potuto beneficiare della tua sensibilità, cordialità, spirito contagioso di buon umore e della tua sempre offerta generosa disponibilità. Questo rimarrà il mio indelebile ricordo e ancora oggi voglio esprimerti la mia grande riconoscenza. Porgo alla tua amata moglie Giannina, a tutti i tuoi cari e ai tuoi tanti amici, le più sincere condoglianze con un ultimo saluto di grande stima. Ulrico K. Hochstrasser

Riprendiamoci il viaggio Corsi La Scuola Club di Migros Ticino libera il desiderio di viaggiare con la nuova Summer School

Il desiderio di viaggiare è così radicato nel profondo degli esseri umani da spingere il grande scrittore Bruce Chatwin a domandarsi: «Perché gli uomini non stanno mai fermi?» Verrebbe però anche da chiedersi cosa accade quando il movimento è reso difficoltoso o perfino impraticabile dalle circostanze. Quando le frontiere si chiudono e i panorami rimpiccioliscono, come abbiamo visto in questo tempo di Covid. È in quel momento che si riaccende ancora più forte il sogno di ripartire immaginandosi gli orizzonti da raggiungere. Dopo mesi di fermo forzato nei quali abbiamo dovuto congelare ogni aspirazione al viaggio, oggi siamo tutti in grande attesa di poter nuovamente spiccare il volo in libertà verso nuove mete. E, allora, perché non utilizzare

questo tempo per prepararci ad un nuovo entusiasmante esplorare? È per rispondere a questa domanda che la Scuola Club di Migros Ticino sta progettando la sua nuova Summer School 2021 che verrà lanciata nel prossimo mese di maggio. Con il viaggio nel cuore e nella testa, la scuola sta scaldando i motori del viaggio con tre diverse aree di proposta. Innanzitutto, un accompagnamento a chi si predispone a ripartire fisicamente verso altri lidi. Qui prepararsi al viaggio significa mettere in valigia quelle conoscenze e quegli strumenti che possono aiutare ad entrare in una comunicazione autentica con un nuovo mondo e una nuova cultura, attraverso l’apprendimento della lingua che ne rivela i codici e facilita la comprensione dell’altro. Accanto ai corsi per il potenzia-

Azione

Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Romina Borla, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

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15.04 – 17.06.2021 18.00 – 20.00 Fr. 288.–

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Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31

mento delle lingue europee e nazionali, la Scuola Club di Migros Ticino propone pacchetti davvero originali. Un esempio? Chi ama l’Oriente ha da subito la possibilità di seguire un corso di giapponese online! Chi, invece, preferisce restare nel Mediterraneo può immergersi nella cultura ellenica con il corso di greco moderno indirizzato ai principianti. La seconda proposta è dedicata a chi, per varie ragioni, non potrà ancora partire per un viaggio geografico, ma non vuole neppure rinunciare a sognare. Alla Scuola Club sono in preparazione tante occasioni di apprendimento, ma anche di svago e divertimento in compagnia che avranno a che fare con il viaggio: sarà possibile frequentare un corso di sartoria e confezionarsi un nuovo abito da cocktail da sfoggiare in una indimenticabile soirée in Co-

sta Azzurra… Apprendere la tecnica dell’acquarello da sperimentare nella meravigliosa vastità della campagna profumata di lavanda della Provenza o, ancora, dedicarsi al benefico massaggio classico svedese e imparare i segreti della cucina tailandese! La terza area di proposte riguarda il grande viaggio della formazione. La Summer School propone un ampio ventaglio di corsi e percorsi di qualificazione che, soprattutto in questo momento di grandi trasformazioni del mercato del lavoro, consentono in un tempo concentrato di poter fare un balzo in avanti nel futuro professionale. Sia esso lontano o a due passi da casa, geografico o simbolico, per passione o formazione, sta arrivando il tempo di riprenderci il viaggio. Prepariamoci!

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Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch

Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch

Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 19 aprile 2021 • N. 16

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società e territorio giovani e covid Adeguarsi, reinventarsi, continuare a proporre attività: la pandemia è una sfida anche per i Centri giovanili. Ne abbiamo parlato con il coordinatore Guido De Angelis

Italiani in svizzera Uno studio di Rosita Fibbi e Philippe Wanner, edito da Dadò, raccoglie alcuni saggi per disegnare il ritratto della nuova comunità italiana in Svizzera pagina 10

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swiss architectural award Il premio promosso dalla Fondazione Teatro dell’Architettura è stato assegnato allo studio Bruther di Parigi pagina 10

L’atteggiamento interiore è fondamentale per una vita affettiva appagante. (shutterstock)

che cosa significa amare?

Intervista La psicoterapeuta tedesca Stefanie Stahl risponde a questa domanda in un libro appena pubblicato

in italiano: «Amare è una scelta, non un dono del destino» Stefania Prandi Che cosa significa amare? Una domanda che ci facciamo tutti a più riprese, nella vita, e per la quale non è semplice trovare una risposta. Sulla nostra idea di amore pesano i retaggi dell’infanzia, le convinzioni personali e i condizionamenti sociali. Secondo la psicoterapeuta tedesca Stefanie Stahl, amare è una scelta: «La felicità di coppia non è un dono del destino, ma una questione di atteggiamento interiore». Nel libro Relazioni, non prigioni. Tra legame e autonomia, la via per una vita affettiva appagante, pubblicato in italiano da Feltrinelli nelle scorse settimane, Stahl scrive che siamo tutti in grado di trovare e mantenere un rapporto d’amore duraturo e gratificante. A patto di riconoscere che «il partner perfetto non esiste per nessuno». stefanie stahl, che cos’è l’amore?

Innanzitutto si deve distinguere tra lo «stato di infatuazione» e l’«amore affettuoso». Le persone che si sono appena innamorate sono costantemente euforiche e ossessionate dal desiderio perché la dopamina spinge a legare con l’altro e a rafforzare la relazione. Nelle prime fasi dell’infatuazione ci si sente in cima al mondo, si guarda la realtà attraverso occhiali colorati di rosa. Questo

stato in realtà non ha nulla a che fare davvero con l’altra persona perché si è come accecati e si è capaci solo di sentire se stessi. L’amore affettuoso, invece, si forma nel tempo dopo che il desiderio iniziale è stato soddisfatto e lo stato di infatuazione si è placato. Si sviluppa lentamente, è durevole e caratterizzato da interdipendenza e sentimenti di intimità e impegno. Può anche essere chiamato «attaccamento» e infonde sicurezza e calma. È la decisione consapevole di prendersi cura di un’altra persona, di amarla e di non ferirla. Implica la capacità di perseverare e di diventare più forti insieme. È la base per le relazioni impegnate e la genitorialità. Esiste il partner perfetto?

No. Chi è all’effettiva ricerca del partner perfetto non lo troverà perché non esiste in carne e ossa. È un ideale che nessuna persona reale può soddisfare. In genere, chi è alla ricerca del partner perfetto ha paura di impegnarsi. A un certo punto trova qualcuno che si avvicina all’immagine che ha in mente, si innamora perdutamente e altrettanto velocemente, appena vede le sue aspettative disilluse o deluse, si disamora. Vive oscillando costantemente tra speranza e disperazione, non riesce a stabilire confini sani nella relazione amorosa, ha paura di perdere la libertà e il senso di sé nel rapporto con l’altro.

che cosa si cerca in un partner?

Cerchiamo una persona che soddisfi le nostre esigenze. Siamo spinti, a livello evolutivo, a trovare un partner che possa essere un genitore potenzialmente adatto per i nostri figli. E serve che ci sia attrazione sessuale perché la procreazione è alla radice di questo tipo di legame. Siamo programmati per scegliere qualcuno abbastanza diverso da noi perché la varietà genetica permette di garantire geni buoni per la prole. Allo stesso tempo, deve assomigliarci nei valori fondamentali, in modo da riuscire a creare con noi un rapporto duraturo per allevare i figli. Come dice il proverbio «chi si somiglia si piglia». Inoltre, la maggior parte delle persone cerca un partner simile alla madre o al padre, cosa che può avere anche dei risvolti problematici. Se una donna, ad esempio, avesse avuto un padre emotivamente assente e poco amorevole, potrebbe inconsciamente scegliere un partner con le stesse caratteristiche nella speranza di ottenere l’amore e l’attenzione che le sono mancati. Quanto è importante, per la capacità di amare, la nostra famiglia di origine?

Molto, è il modello per le nostre relazioni da adulti. La convinzione di essere degni di amore si forma durante l’infanzia. Attraverso i genitori ap-

prendiamo quanto valga la pena essere accuditi e cosa si debba fare per essere amati. I loro atteggiamenti e comportamenti definiscono la nostra autostima, epicentro della nostra psiche, con un’influenza potente sulle aspettative e sul modo in cui percepiamo le altre persone. Genitori che non sanno prendersi cura emotivamente dei propri figli, portano i bambini ad assumersi la responsabilità di far funzionare il rapporto con loro. Un’attitudine che si trasferisce inconsciamente nell’età adulta. Chi ha avuto genitori inadatti si sentirà inferiore, non all’altezza delle aspettative e non degno di amore. Se decide di non restare per sempre solo, avrà due opzioni, in amore: cercare di accontentare l’altro oppure mantenere la massima distanza emotiva per non correre il rischio di farsi male. Con questo discorso non intendo assolutamente incolpare le famiglie ma portare l’attenzione su come l’infanzia condizioni chi siamo e la visione che abbiamo del mondo. Soltanto prendendo coscienza di quello che abbiamo vissuto possiamo maturare la responsabilità di apportare i cambiamenti che vogliamo, nella vita. cosa significa «trovare la persona giusta»?

La persona giusta sta negli occhi di chi guarda. Più si è in contatto con i

propri desideri e necessità, meno si ha bisogno degli altri per stare bene. Chi è a proprio agio con se stesso, è anche rilassato e tollerante nei confronti degli aspetti negativi e dei difetti del partner. Viceversa, chi cerca costantemente la felicità negli altri, diventa molto esigente e quindi lascia parecchio margine per essere deluso. È più difficile per le nuove generazioni avere rapporti stabili?

No, per loro è soltanto più facile separarsi e andarsene. E penso che si tratti di una buona cosa dovuta al fatto che il livello di libertà, soprattutto per le donne, è aumentato molto nel corso degli anni. In passato, le donne erano in maggior misura dipendenti finanziariamente e socialmente dai partner. Contrariamente a quando si dice, io credo che i giovani di oggi siano in grado di impegnarsi, anzi, sembrano essere leggermente più capaci di formare relazioni stabili rispetto alle generazioni precedenti. Anche per loro, nonostante i cambiamenti della società, resta fondamentale il bisogno di attaccamento, una parte centrale della nostra costituzione biologica. L’evoluzione è troppo lenta a questo riguardo per cambiare in poco tempo. * L’intervista è stata tradotta e in alcuni passaggi adattata dalla giornalista.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 19 aprile 2021 • N. 16

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Idee e acquisti per la settimana

sempre più trasparenza

attualità Grazie all’introduzione graduale delle etichette M-Check e Nutri-Score sui prodotti a marca propria,

la clientela Migros può scoprire a colpo d’occhio quanto un prodotto è sostenibile e qual è il suo valore nutritivo. Ecco una panoramica delle principali caratteristiche delle due iniziative

l’m-check Tutte le marche Migros recheranno la scala di sostenibilità ottimizzata M-Check che, con un sistema da 1 a 5, valuta vari criteri come il benessere degli animali e l’impatto climatico. In questo modo la clientela capisce subito quanto il prodotto acquistato sia sostenibile. M-Check si prefigge come obiettivo di aiutare la clientela Migros nello scegliere autonomamente quando acquista dei prodotti sostenibili. Un’iniziativa che si rifà al motto «non siamo sostenibili al 100%, ma trasparenti sì». Il sistema di valutazione può essere paragonato alle stelle negli alberghi: se il prodotto reca 5 stelle nella parte relativa al benessere degli animali, vuol dire che esso è ottimo sotto questo aspetto; al contrario se l’impatto climatico è uguale a 1 stella, il prodotto potrebbe essere migliorato. La valutazione sul benessere animale viene fatta da partner esterni in base a criteri quali ad es. uscita all’aperto, mangime e acqua, controlli, qualità dell’aria, impiego di medicamenti, spazio a disposizione, tracciabilità e trasporti.

La valutazione sull’impatto climatico viene eseguita da parte di partner esterni specializzati sulla base del bilancio di CO2. Il calcolo comprende l’intero ecobilancio del prodotto: dalla coltivazione all’impiego di acqua e dei fertilizzanti, dai mangimi utilizzati al trasporto e all’imballaggio. La valutazione con le stelle si basa su tutto l’assortimento Migros. Rispetto a un cetriolo, un taglio di carne di manzo non otterrà quindi mai più di una stella per il clima a causa delle elevate emissioni di gas serra. M-Check permette alla clientela di fare la spesa in modo più consapevole. Il sistema è stato elaborato da partner autorevoli in base a criteri scientifici. I primi prodotti con l’etichetta (già oltre 100) sono quelli di origine animale e il latte e riguarda il benessere degli animali e il clima. Altri prodotti si aggiungeranno gradualmente. L’implementazione di altri criteri di sostenibilità è prevista in futuro. Entro il 2025 tutti i prodotti a marchio proprio, compreso il settore non food, recheranno l’etichetta M-Check.

Per saperne di più: m-check.ch

Il nutri-score L’etichetta Nutri-Score utilizza un semplice sistema basato su cinque colori per valutare la qualità nutrizionale di un prodotto e facilitare la scelta degli alimenti: da una A verde scuro (prodotto con caratteristiche vantaggiose) fino a una E rossa (prodotto da consumare con moderazione).

Il Nutri-Score non viene calcolato allo stesso modo per tutti gli alimenti. Sono previste 4 categorie: alimenti generali, formaggi, grassi/ oli, bevande. Per ogni categoria viene utilizzata una formula di calcolo differente. L’etichetta è presente sui prodotti provvisti di tabella dei valori nutritivi.

A essere valutati non sono solo i singoli valori nutritivi, come p. es. zuccheri e grassi, ma anche il profilo nutrizionale complessivo. NutriScore permette di confrontare solo prodotti appartenenti alla stessa categoria e non li suddivide in «sani» e «non sani».

Lo scopo del Nutri-Score è quello di facilitare la scelta dei consumatori nella scelta di alimenti più adatti ad un’alimentazione equilibrata, fornendo un’indicazione aggiuntiva, sintetica e di facile comprensione. Sugli imballaggi sono sempre riportate le informazioni dettagliate.

Per calcolare il Nutri-Score di un alimento vengono confrontati il contenuto di sostanze sfavorevoli con quello di sostanze nutritive favorevoli. Ne risulta così un punteggio che viene associato alla relativa lettera e colore, su una scala da dalla A (verde) alla E (rosso).

Il Nutri-Score non costituisce una raccomandazione dietetica. È importante seguire una dieta equilibrata basandosi sulla piramide alimentare svizzera, dando spazio a tutti gli alimenti. L’etichetta aiuta a confrontare alimenti simili e compiere una scelta.

Delle sostanze favorevoli fanno parte frutta, verdura, frutta a guscio, legumi, fibre alimentari, proteine, come pure olio di oliva, di colza e di noci. Tra i componenti sfavorevoli rientrano invece l’energia (calorie), gli acidi grassi saturi, gli zuccheri e il sale. Il calcolo viene fatto per 100 g o 100 ml, affinché tutti i prodotti siano paragonabili.

Per saperne di più: migros.ch/nutri-score


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Idee e acquisti per la settimana

succoso e tenero collo di maiale

attualità Un taglio ideale da cuocere intero alla brace per dare il via

alla stagione delle grigliate. Questa settimana lo trovate a metà prezzo azione 50% collo di maiale Svizzera, conf. ca. 1 kg per 100 g Fr 1.15 invece di 2.35 dal 20 al 26.04

Tra le carni, quella del maiale è la preferita dai consumatori svizzeri, basti pensare che annualmente se ne consumano quasi 25 kg a testa. Gusto, versatilità e, non da ultimo, convenienza, sono i criteri che spingono molti carnivori a preferire questo tipo di carne. Oltre ai più classici tagli freschi ideali da arrostire, brasare, cuocere al forno o grigliare – p. es. arrosto, costolette, fettine, collo, lonza, filetto, costine, ossibuchi, stinco –, con la carne e le altre parti del maiale si produce ovviamente tutta una serie di salumi, dalle salsicce ai salami e salametti, dai prosciutti crudi e cotti fino alla pancetta e al lardo. È una carne rosa, tenera, a fibre sottili, che contiene pregiate proteine, sali minerali e vitamine del gruppo B. Oltre il

90 per cento della carne di maiale consumata nel nostro paese proviene dalla Svizzera, dove gli animali vengono allevati secondo i più elevati standard in materia di benessere animale. Un pezzo molto apprezzato durante la stagione delle grigliate è senz’altro il collo di maiale. È un taglio ben marezzato, ossia presenta delle venature di grasso all’interno del tessuto muscolare che, sciogliendosi durante la cottura, rendono la carne molto succosa e saporita. Oltre alla cottura alla griglia, si presta bene anche per arrosti e brasati. ricetta

Il collo di maiale grigliato con una delicata marinata agrodolce leggermente piccante è una vera delizia. Per 4 persone

servono ca. 1 kg di collo di maiale, 20 g di zenzero, 4-5 cucchiai di salsa teriyaki, 2 cucchiai di zucchero greggio e fleur de sel. Grattugiare lo zenzero e mescolarlo bene con la salsa teriyaki e lo zucchero di canna. Strofinare la carne con la salsa e lasciare marinare in frigorifero per qualche ora. Scaldare il grill a 250°C e grigliare il collo di maiale su tutti i lati per ca. 15 minuti. Abbassare la temperatura del grill a 170°C (o alzare la griglia nel caso di grill a carbonella) e continuare la cottura per ca. 60 minuti finché la temperatura al cuore raggiunga i 70°C. Durante la cottura spennellare di tanto in tanto la carne con la marinata rimasta. Lasciare riposare la carne ca. 10 minuti prima di affettarla. Condire con fleur de sel e servire subito. annuncio pubblicitario

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società e territorio

la casa del tempo libero

giovani e covid Il periodo della pandemia è stata ed è una sfida per i Centri giovanili

che rimangono fondamentali luoghi di aggregazione e crescita Guido Grilli I Centri giovanili? Non hanno mai chiuso. Nemmeno durante il primo lockdown, un anno fa: le attività sono proseguite, naturalmente online a causa della pandemia. «Questo fino a maggio scorso. Molte attività sono dovute essere reinventate. Così è stata messa a punto, ad esempio, la discoteca in remoto con i giovani che a turno mettono la musica, ma anche occasioni di dialogo quando ad esempio c’erano tensioni in famiglia legate alle restrizioni sociali».

«L’esigenza di continuare a organizzare attività è venuta dai giovani stessi. Sono loro a farsi parte attiva» Guido De Angeli dell’Ufficio del sostegno a enti e attività per le famiglie e i giovani del Dipartimento della sanità e della socialità, 40 anni, coordina le attività dei 13 Centri giovanili della Svizzera italiana, disseminati in tutto il Cantone e aperti ai giovani dai 12 ai 20 anni, da Chiasso a Coldrerio, a Mendrisio, a Stabio, quindi Bioggio, Monteceneri, Lugano, con le sedi di Breganzona e Viganello, Locarno e Losone, fino a Bodio, Acquarossa, Cevio. Certo, i giovani – più di tutti – hanno dovuto e devono tuttora dare prova di resistenza per sopportare le misure di contenimento della pandemia dettate dal Covid, ma i Centri di attività giovanili possono rappresentare per molti un’ancora di salvezza. È così? «Effettivamente oggi i centri giovanili sono punti di riferimento, “valvole di sfogo” e pertanto rimangono molto frequentati, nel limite delle indispensabili restrizioni e delle conseguenti misure di protezione. A partire dallo scorso 1° marzo molto è cambiato: è infatti entrata in vigore una nuova Ordinanza federale che permette ai giovani sotto i 20 anni (nati dopo il 2001), alla stessa stregua delle attività sportive, di accedere ai centri giovanili senza nessun limite di numero, se non quelli dettati dalla capacità d’accoglienza delle diverse strutture. Va inoltre detto che il nostro ufficio, d’intesa con l’Ufficio del medico cantonale, si è costantemente impegnato ad aggiornare e rivedere i piani di protezione, considerata proprio l’importanza che rico-

Il centro giovanile di Breganzona: tra i murales creati dai giovani i cartelloni colorati ricordano i loro diritti fondamentali.

prono i momenti di aggregazione per lo sviluppo evolutivo dei giovani». Mascherine, distanze, igiene delle mani ormai sono divenute consuetudini. Ma come si sono dovuti adattare i centri giovanili dal profilo di eventi, proposte e attività? «Si sono dovuti compiere sacrifici. I centri giovanili sono per loro natura degli spazi d’accoglienza, di libero e gratuito accesso, invece d’un tratto con la pandemia si sono trovati costretti a registrare una lista delle presenze per consentire il tracciamento, hanno dovuto rinunciare a dei momenti che fanno parte della vita ordinaria dei centri giovanili, come ad esempio una merenda condivisa, una cena preparata tutti insieme, eccetera. Molte attività, nel limite del possibile, sono comunque state mantenute». Come monitora la situazione dei diversi centri giovanili presenti nel Cantone? «Ho contatti regolari con “Giovanimazione”, l’associazione della Svizzera italiana che riunisce gli animatori socio-culturali, e ai singoli centri abbiamo offerto la consulenza per

l’adattamento dei piani di protezione. Con gli animatori – ogni centro giovanile fa capo a uno o più professionisti formati – discutiamo naturalmente delle problematiche che possono sorgere, dettate proprio dai limiti che hanno dovuto subire le attività. Io ho assunto l’incarico di coordinatore dei centri giovanili nel 2019, proprio poco prima che scoppiasse il virus. Ho visto dunque il prima del Covid e il durante. Quello a cui guardiamo ora è l’estate, interrogandoci su come potranno svolgersi le attività nei centri e nelle colonie di vacanza. Speriamo che la campagna vaccinale acceleri, offrendo la possibilità ai giovani di trascorrere insieme il proprio tempo libero». Quale ruolo svolgono gli animatori all’interno dei centri giovanili? «Fungono principalmente da facilitatori. Lavorano con e per i giovani e per portare avanti le loro aspirazioni, i loro talenti. È spesso nel tempo libero che i giovani iniziano a sviluppare la loro identità e i loro interessi. I centri giovanili hanno una funzione di coesione sociale. Attorno ad essi ruotano i giovani

ma talvolta i centri coinvolgono anche i quartieri e questo contribuisce a favorire le relazioni tra le generazioni. Alcuni centri accolgono anche giovani con un passato migratorio e giovani talvolta in difficoltà perché le famiglie non riescono a sostenerli, ad esempio nella redazione negli impegni scolastici o nella redazione di un curriculum vitae. Ecco che allora gli spazi giovanili diventano importanti luoghi per favorire le pari opportunità e il benessere dei ragazzi. Non mancano naturalmente le regole, che vengono tuttavia costruite con i giovani stessi in modo da essere accettate e il più delle volte i giovani imparano ad autoregolarsi. Sono essenzialmente due i valori fondanti di un centro giovanile: il primo è quello della partecipazione, che significa poter dire la propria; e il secondo è quello dell’autodeterminazione, quindi poter compiere delle scelte in modo autonomo». Lugano è l’unica città a vantare due spazi giovani: Viganello e Breganzona. Quest’ultimo, un edificio con murales variopinti realizzati dai giovani e che reca in bell’evidenza nel lato ingresso

Puckett e Damion Scott nel 1999 e su cui ora si concentra l’autrice asioamericana Sarah Kuhn rivolgendosi ai giovani lettori. Nell’introduzione Kuhn scrive: «mi piaceva leggere le storie dei supereroi [...] Cassandra Cain è stata una delle prime ragazze asiatiche che ho visto diventare la eroina. Non era la spalla di nessuno, non era carne da cannone, non era lì per insegnare una Lezione Molto Importante sul razzismo. [...] Mentre scrivevo questo graphic novel, ho compreso che anche Cass ha problemi nel vedere se stessa come un’eroina. Non riesce proprio a immaginarsi così. Crede di essere nient’altro che una persona cattiva...». Con i disegni di Nicole Goux, Sarah Kuhn ha creato una storia che dice ai ragazzi: il tuo destino non è segnato, tu sei chi vuoi essere. Così Cassandra, che «ha guardato dentro di sé per capire chi era e ha cambiato rotta», potrà finalmente dare questa risposta alla domanda posta in quarta di copertina: «sono quella che voglio essere».

britta teckentrup, Il germoglio che non voleva crescere, uovonero. da 3 anni Sono le illustrazioni a conferire energia a questo albo dell’artista tedesca Britta Teckentrup, di cui l’editore Uovonero aveva già pubblicato L’uovo, e anche qui il grande formato del volume le valorizza, nelle ampie doppie pagine in cui dominano i colori della natura e il susseguirsi delle stagioni. La storia è quella di un germoglio, che faticosamente cerca di crescere, di irrobustirsi, di fiorire. Dapprima le sue foglioline, delicate e fragili, rischiano di essere soffocate dalle altre piante, che gli oscurano la luce del sole. Ma il piccolo germoglio è tenace e si apre faticosamente un varco verso il sole, aiutato anche dai suoi amici insetti. Le foglie diventano sempre più verdi, le radici più profonde, poi arrivano anche i fiori. Ed eccolo diventato una pianta rigogliosa e bellissima, «piena di amore e di vita», visitata da tanti animali, una pianta che campeggia su una doppia pagina da guardare, per l’occasione, mettendo

cartelloni che menzionano i diritti dei giovani – in uno si legge “Ho il diritto di partecipare ad attività ricreative, artistiche e culturali e di scegliere come gestire il mio tempo libero” – si mostra da subito accogliente. Nicolas, 18 anni, lo frequenta dalla prima Media. «Ma da quando è arrivata la pandemia è cambiato un po’ tutto» – dichiara. «Prima ci offrivano la merenda, c’erano cene organizzate, feste, discoteca… Oggi c’è il limite di persone che può entrare, mascherina e distanze. E molte attività non si possono più fare, ma io ci vado comunque per incontrare gli amici. Alla fine della giornata ci ritroviamo tutti lì. Si gioca a trottolino e a biliardo». Alla domanda se sia cresciuta l’esigenza d’incontro tra i giovani con l’insorgere della pandemia, Guido De Angeli risponde: «L’esigenza d’incontro è connaturata nei giovani. Quello che si nota ora è un senso di stanchezza da parte dei giovani e di interrogativi, di apprensioni, insicurezze, timore di trovarsi da soli o di perdere delle amicizie in questo loro periodo di maggiore fragilità dato proprio dalla loro giovane età. Magari questo stato d’animo non viene espresso esplicitamente dai giovani, anche perché loro malgrado questi ragazzi hanno dato prova di adattamento e resilienza. Adesso spetta anche a noi cercare di riconoscere questo loro bisogno di aggregazione per favorire lo sviluppo della loro personalità. I centri giovanili sono frequentati regolarmente dalle medesime persone che si riconoscono in questo spazio e lo riconoscono come principale luogo di aggregazione. Diventa un po’ una seconda casa, una casa del tempo libero. Sollecitati senz’altro anche dagli animatori, l’esigenza di continuare ad organizzare attività è venuta in questo periodo di pandemia proprio dagli stessi giovani. Sono insomma loro a farsi parte attiva. Questi sono segnali positivi, che a volte vengono un po’ celati da altri episodi di cronaca». Ognuno dei 13 centri giovanili presenti sul territorio cantonale vanta proprie specificità. Basta visitare il sito web di Infogiovani per conoscerne i contenuti. Tutti condividono eguali princìpi, proponendosi quale obiettivo quello di permettere ai giovani di esprimere la loro creatività e sostenere i propri progetti. Il centro giovanile sinonimo di spazio ricreativo, d’accoglienza, d’ascolto, d’informazione ma anche luogo culturale e di formazione.

viale dei ciliegi di Letizia Bolzani sarah Kuhn-nicole goux, L’ombra di Batgirl, Il castoro. da 12 anni In uno scorso Viale dei Ciliegi vi presentavo il romanzo Le avventure del topino Desperaux, di Kate Di Camillo, nel quale un ruolo intenso è giocato dall’antagonista dell’eroico topino Desperaux, ossia il ratto Chiaroscuro, il quale, come s’intuisce dal nome, non è propriamente cattivo, ma è un cattivo che cerca la luce, nonostante viva nelle tenebre delle segrete del castello. Chiaroscuro è un cattivo dal cuore spezzato e quindi indurito. Il libro di oggi racconta tutt’altra storia e appartiene a tutt’altro genere, però la domanda posta con evidenza nella quarta di copertina ha molto di analogo: «può qualcuno cresciuto nelle tenebre diventare un eroe alla luce del sole?» In questo caso le tenebre sono metaforiche, perché Batgirl, ed è di lei che oggi parliamo, è cresciuta nelle tenebre del disamore e della violenza, e tutto ciò che le è stato insegnato è obbedire agli ordini e combattere.

Combattere per uccidere. Eppure una nuova vita e un riscatto sono possibili. È su questo che si incentra il recente graphic novel che Il Castoro pubblica nella collana dedicata all’universo della DC Comics, i fumetti americani che hanno fatto la storia dei supereroi: la collana delle Edizioni Il Castoro si intitola «DC Graphic Novel for Young Adults», ed è dedicata ai personaggi femminili. Questo volume in particolare ci racconta l’adolescenza di una delle più interessanti Batgirls del mondo di Batman, cioè Cassandra Cain, personaggio creato da Kelley

il libro in verticale. Certo, le stagioni cambiano, non sempre è estate, verrà anche il tempo del freddo e del congedo, ma la rinascita tornerà a riscaldare i cuori. Questa semplice storia è anche metafora del lasciar andare e dell’importanza di tenersi aperti alla speranza. Ma soprattutto, in armonia con le linee editoriali di Uovonero, è metafora della fatica di crescere e di come ogni percorso di crescita sia unico. Ogni bambino ha i suoi tempi, e i suoi modi di fiorire. Chi lo accompagna in questo viaggio può donargli rispetto e sostegno, proprio come fanno Coccinella, Formica e gli altri amici del bosco.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 19 aprile 2021 • N. 16

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società e territorio

Il premio vola a Parigi

architettura Lo Swiss Architectural Award

è stato assegnato allo studio Bruther

Keystone

Alberto Caruso

l’emigrante ha un volto nuovo

Editoria Uno studio di Rosita Fibbi e Philippe Wanner raccoglie

alcuni saggi per disegnare il ritratto della nuova comunità italiana in Svizzera Alessandro Zanoli I modi con cui parlare della storia dell’emigrazione italiana in Svizzera sono, forse, essenzialmente due: quello che enumera statistiche e storia dei dispositivi legali che l’hanno regolata e quello che riporta biografie e storie personali dei singoli emigranti. In buona sostanza, quello burocratico e quello umano.

Il gruppo è composto oggi da professionisti e quadri, non più solo da manodopera a basso tasso di formazione Il recente studio pubblicato da Armando Dadò e affidato alla curatela di Rosita Fibbi e Philippe Wanner, dal titolo Gli italiani nelle migrazioni in Svizzera ci ha ricordato immediatamente un vecchio classico sull’argomento, nella sua bella veste viola tipica della «serie politica» einaudiana anni 70, Elvezia il tuo governo, di Delia Castelnuovo Frigessi. I due volumi sono necessariamente diversi per impostazione metodologica e per età, ma sembrano somigliarsi un po’ proprio per questa bipartizione formale tra parte istituzionale e parte «umana» (ben più estesa, quest’ultima, nel secondo esempio). Il fenomeno che cercano di fotografare è, del resto, molto cambiato. E anzi, compito del saggio più recente è proprio registrare l’importante evoluzione socioeconomica che il periodo trascorso tra gli anni 60 e oggi ha portato nel mondo dell’immigrazione italiana in Svizzera. Se nel caso di quel movimento migratorio, che traeva le sue origini dallo sviluppo economico e urbanistico nella Svizzera del secondo dopoguerra, l’entrata di manodopera italiana era massiccia e rendeva gli italiani la nazionalità di maggioranza

assoluta tra gli immigrati, oggi il quadro generale è molto mutato. Gli italiani rappresentano in effetti il 15% della popolazione di origine straniera attiva ed occupata in Svizzera (da notare che a questi, in Ticino vanno aggiunte le presenze dei frontalieri, che sono il 27% della forza lavoro cantonale), e sono il secondo gruppo nazionale maggiormente rappresentato sul mercato del lavoro elvetico, dietro ai tedeschi. Da un lato, dunque, il parallelo tra dati statistici ci permette di valutare la quantità e la qualità della nuova emigrazione italiana fornendoci molti elementi di confronto col passato: se negli anni del boom economico la mano d’opera in arrivo in Svizzera era a basso tasso di formazione professionale, oggi, i nuovi immigrati che hanno scelto la Svizzera (i dati mostrano che più del 50% degli espatriati italiani si dirige in realtà verso la Gran Bretagna, la Germania, la Francia, mentre la Svizzera ne assorbe solo il 9%) hanno un tasso di formazione universitaria relativamente alto, e vanno ad occupare posizioni di responsabilità, senza comunque che smetta di esistere una immigrazione di persone con livelli medi e bassi di qualifica, tra l’altro spesso coinvolta in forme di lavoro precario e mal retribuito. La dinamica di questi nuovi flussi delineata dalle statistiche trova evidentemente la sua spiegazione nella presenza di nuovi dispositivi legali e di nuove regolamentazioni (se ne occupano approfonditamente proprio i contributi della Fibbi e di Wanner). Per ciò che riguarda la nuova immigrazione italiana del nuovo millennio al centro della discussione stanno gli accordi bilaterali con l’UE, con la loro definizione delle famose «quattro libertà»: di circolazione delle persone, dei beni, dei servizi e dei capitali. Molto interessanti, da questo punto di vista, sono i saggi contenuti nello studio che si occupano degli aspetti storicoistituzionali legati all’atteggiamento della Confederazione in rapporto al

tema dell’immigrazione. I concetti di «assimilazione» prima, e di «integrazione» poi, sono termini cardine della legislazione elvetica dopo il 2000, e mostrano una chiara (e per certi versi impensata) armonizzazione dei dispositivi elvetici con i principi adottati a livello europeo («L’analisi della normativa svizzera in materia di integrazione rivela un parallelismo con gli sviluppi europei, insospettato se ci si limita a seguire il dibattito interno, che invece tende a presentarla come frutto di una elaborazione dal basso, dall’azione sul campo, delle città», p. 82). Merita senz’altro di essere approfondita, poi, la riflessione sul concetto di «italianità» proposta da Nelly Valsangiacomo e Paolo Barcella, che sottolinea il mutamento in senso positivo dell’immagine degli italiani in Svizzera tra gli anni 60 e oggi. Momento di svolta nel cambiamento di percezione è, per alcuni osservatori, addirittura la vittoria italiana ai Mondiali di calcio del 1982. Quel che è certo è che oggi l’immagine dell’Italia della moda, della gastronomia, del design di alto livello ha sopravanzato quella di patria degli «Tschingg»: anzi sembra che proprio quest’ultimo termine sia diventato il nome di una catena di ristoranti di successo, alla moda. Ironia della storia... Infine, i contributi personali, offerti dalle testimonianze recenti di immigrati in Svizzera (e in particolare a Basilea) creano quel filo di collegamento con il volume della Frigessi di cui parlavamo all’inizio. Le storie concrete e vissute mostrano profili diversi, successi e insuccessi, soddisfazioni e delusioni, come in ogni storia di sradicamento. Dietro alle statistiche ci sono delle persone che cercano riscatto e affermazione per le loro capacità o, magari, per i loro fallimenti: l’emigrazione è una questione complessa che merita di essere considerata con intelligenza e sensibilità.

Il progetto vincitore della settima edizione del Swiss Architectural Award rappresenta una svolta nella storia di questo prestigioso premio promosso dalla Fondazione Teatro dell’Architettura. Nelle altre edizioni, infatti, erano state premiate opere rappresentative di culture diverse, spesso distanti da quelle con le quali si confrontano gli architetti alle nostre latitudini. Alcuni architetti provenivano da paesi lontani, come l’India, il Burkina Faso, il Paraguay, altri presentavano opere di piccole dimensioni, situate fuori dagli agglomerati o nei villaggi, spesso caratterizzate da un forte rapporto con la natura. Tutte opere stimolanti dal punto di vista della ricerca morfologica, selezionate e premiate per la loro capacità di «spiazzare» i nostri modi consolidati, dimostrando come si possono risolvere i problemi spaziali con tecniche semplici, tecnologicamente povere o comunque diverse. Il passaggio didatticamente più complesso – e necessario – era quello di tradurre queste opere, esemplari nei loro luoghi originari, in lezioni di progettazione da applicare nei nostri contesti, nella cultura urbana contemporanea, per affrontare le grandi questioni critiche che hanno segnato gli insediamenti della modernità europea.

Negli spazi del Teatro dell’Architettura sono esposti i progetti presentati per la settima edizione del premio Il lavoro dello studio Bruther di Parigi, composto da Stéphanie Bru e Alexandre Theriot è fondato proprio in questa cultura urbana contemporanea ed è stato premiato per la capacità di indicare percorsi nuovi e diversi da quelli più consueti. È difficile, ovviamente, raccontare opere senza che il lettore possa vederne le immagini. L’immagine pubblicata – un centro culturale e sportivo a Saint-Blaise, realizzato nel 2014 nella periferia parigina – è tuttavia eloquente ed esemplare dell’atteggiamento con il quale Bru e Theriot hanno affrontato la costruzione di uno spazio di aggregazione sociale, trasformando un vuoto tra edifici di grande densità in un luogo significativo. Il carattere di questa figura è inconsueto sia per la sovrapposizione di partiti diversi, che per l’adozione, sulla stessa superficie verticale, di materiali diversi. La struttura portante, arretrata rispetto al rivestimento trasparente, appare come una diagonale. All’interno, grandi spazi fluidi e separabili, sono realizzati con setti di cemento armato,

con tamponamenti in blocchi di calcestruzzo a vista, con rivestimenti ceramici e altri materiali. È un’architettura «inclusiva», non finalizzata a imporre la propria presenza con un gesto assoluto, in opposizione al contesto definito come disordinato. Ma non è neanche architettura mimetica, non intende confondersi con il contesto. Introita forme e materiali diversi, rifuggendo da simmetrie, allineamenti e ordini predeterminati. E un colto senso della misura conferisce a quest’opera un’eleganza che è raro scoprire in atteggiamenti così difformi dai modi ordinati ai quali ci ha abituato la modernità che si è fatta tradizione. Negli anni 50 del secolo scorso, un gruppo di architetti formarono un movimento che si opponeva ai modi più funzionalisti dei maestri del moderno ed ai canoni teorizzati dai loro allievi più fedeli. Era il Team 10, animato da Aldo van Eyck, Giancarlo De Carlo, Ralph Erskine, Herman Hertzberger, Peter e Alison Smithson, Jacob Bakema, Georges Candilis e altri. Il loro anarchismo culturale e l’insofferenza per le forme organizzative determinò lo scioglimento precoce del movimento, che ha lasciato tuttavia un segno profondo nella cultura europea, e che provoca ogni tanto l’apparizione di atteggiamenti progettuali riferiti a quella importante eredità. L’esigenza della partecipazione popolare nell’iter progettuale, la risposta dichiarata alla tensione provocata dai bisogni sociali, il rifiuto di canoni formali sono modi, tuttavia, che più spesso non hanno prodotto opere di grande qualità. Nel nostro caso, la giuria del premio ha individuato dei progettisti capaci di stabilire un originale equilibrio tra una raffinata e sensibile cultura compositiva e un repertorio di materiali progettuali aperto, anticonformista e insieme tecnicamente aggiornato. La giuria, presieduta da Mario Botta e composta anche da rappresentanti del Politecnico di Zurigo e di quello di Losanna, ha selezionato i finalisti tra trentatré studi di tutto il mondo. Di questi, gli europei sono sedici, tra i quali gli svizzeri Angela Deuber e Giacomo e Riccarda Guidotti. Tra i dieci finalisti, sei sono europei, tra i quali Angela Deuber. Ogni studio, i cui titolari non devono avere un’età superiore a 50 anni, ha presentato tre progetti realizzati. Bruther ha illustrato, oltre al centro culturale e sportivo di Saint-Blaise, un centro di ricerche a Caen e una residenza per ricercatori universitari a Parigi. I progetti sono esposti in una mostra, che raccomandiamo ai lettori di visitare, promossa dall’Accademia di Architettura dell’USI a Mendrisio negli spazi del Teatro dell’Architettura. Inaugurata il 1. aprile, la mostra durerà fino alla fine del 2021.

Bruther (Stéphanie Bru e Alexandre Theriot), Centro culturale e sportivo a SaintBlaise.


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società e territorio rubriche

l’altropologo di Cesare Poppi la basilissa Il 19 aprile marca l’anniversario di uno degli eventi storici più crudeli e sconcertanti che ci sia dato conoscere. Siamo nel 797, location del dramma che sta per consumarsi una località sconosciuta della costa asiatica del Bosforo, l’odierna Turchia. Un ragazzo poco più che adolescente di nome Costantino, figlio del defunto Basileus (Imperatore) del Sacro Romano Impero d’Oriente a Costantinopoli e di Irene Sarantapechaina, nobile ateniese, si rende conto di essere giunto alla fine. I pochi seguaci rimastigli fedeli nulla potranno contro le truppe che la stessa madre sua, Irene, gli ha sguinzagliato dietro per farlo arrestare. Gli eventi precipitano in fretta. Inchiodati fra il mare e la scogliera, Costantino ed i suoi seguaci sono sopraffatti e trascinati a Costantinopoli per lo show finale. Una Madre può far perseguire ed arrestare il figlio per motivi nobili e forse anche per il suo bene – avrebbe commentato anni più tardi un cronachista

anonimo al sicuro in un monastero. In quel caso si tratterebbe di una tragedia. Ma farlo per toglierli la corona d’Imperatore ed indossarla lei stessa – unica e sola Imperatrice del più grande impero sulla terra è semplicemente orrore. Irene era nata nella famiglia patrizia ateniese dei Sarantapechos, dove zii e cugini presso i quali fu cresciuta detenevano importanti incarichi militari di strateghi e spatarii. Per ragioni che gli storici ancora fanno fatica a comprendere, Irene fu data sposa a Leone IV per volontà del padre di lui Costantino V: portata a Costantinopoli il 1. novembre 764 era già sposata il 19 dicembre dello stesso anno. Il perché sarebbe rimasto un mistero. Tanto più fitto per il fatto che, mentre Costantino V era un fervente iconoclasta, persecutore di monaci irriducibile nell’adorazione delle icone, Irene e la sua famiglia erano noti essere della fazione opposta. Iconoduli, ovvero, che mettevano l’adorazione delle icone al centro dell’esperienza religiosa.

Erano gli anni nei quali le dottrine islamiche facevano breccia nella tradizione cristiana del culto delle immagini sacre secondo l’interpretazione radicale del Secondo Comandamento. E sulla disputa teologica che ne conseguiva sarebbero corsi fiumi di sangue. Nel 771 Irene dette alla luce un figlio, che avrebbe regnato col nome di Costantino VI. Quattro anni dopo il marito Leone succedette al padre col nome di Leone IV. Anch’egli un iconoclasta, si rendeva conto tuttavia, che quella questione di lana caprina stava spaccando a metà la compattezza dell’impero. Adottò pertanto politiche di tolleranza, arrivando addirittura a nominare Patriarca di Costantinopoli l’iconodulo Pietro da Cipro. Poi ci ripensò: durante la Quaresima del 780 riprese la persecuzione degli iconoduli. Colpo di scena: due icone furono trovate sotto i cuscini del letto dell’Imperatrice Irene. I due non avrebbero mai più dormito nello stesso letto. In questo clima poco

promettente Leone sarebbe morto il 28 settembre dello stesso anno. Cominciò così, quando Costantino VI aveva nove anni, un lungo periodo nel quale, in attesa che raggiungesse la maggiore età, Irene divenne la Reggente – ma di fatto cominciò ad atteggiarsi ad unica e vera Imperatrice. Parecchi conii successivi la ritraggono prima accanto al figlio, poi il figlio viene relegato al rovescio della moneta per poi figurare l’Imperatrice con in mano l’Orbe, la sfera terrestre simbolo dell’Imperium. Irene finì per firmarsi col titolo ora di «Basileus» (maschile per Imperatore), ora invece preferendo «Basilissa» (ogni riferimento a dilemmi del presente essendo puramente casuale). Ma la sua asserzione di autorità imperiale ed imperiosa raggiunse l’apice quando, convocato a Nicea il Settimo Concilio Ecumenico, impose il ritorno alla venerazione delle icone ed alla comunione con Roma. Unico ostacolo alle sue ambizioni era il figlio Costantino VI. Ormai

maggiorenne poco tollerava la posizione di secondo piano alla quale era relegato dalla madre. La corte si spaccò di nuovo a metà, col probabile aiuto degli iconoclasti che non digerivano Nicea. Rivolte e tradimenti – fino all’arresto di Costantino. Pochi giorni dopo la sua detenzione, Irene ordinò che suo figlio fosse accecato. Morì dalle ferite riportate, due settimane più tardi. Sta scritto che la sua morte fu seguita da un’eclissi di sole e 17 giorni di oscurità. Nell’802 Irene incontrò la sua nemesi: una congiura di palazzo la depose a favore del suo ministro delle finanze Nikephoros. Confinata nell’isola di Lesbos morì l’anno dopo – si dice dall’onta di doversi mantenere filando lana. La vicenda della Basilissa si conclude con un’ennesimo colpo di scena. Dopo la morte, Irene cominciò ad essere venerata come colei che aveva riavviato il culto delle Icone. Fu fatta Santa. Le Chiese Orientali la celebrano il 7 agosto.

Cara Daniela, comprendo la sua sofferenza. Il tradimento fa crollare tutte le certezze, compresa la fiducia in se stessi. Il mondo diventa improvvisamente minaccioso e ostile lasciandoci in balia di un profondo disorientamento. Eppure questa esperienza fa parte della vita e, in un modo o nell’altro, l’incontriamo tutti, spesso nell’adolescenza, molte volte quando i figli sono cresciuti. Ed è soprattutto in questo caso che, prima di agire, conviene riflettere. Se stabiliamo dei patti, e il matrimonio è uno di questi, è proprio perché ci sentiamo fragili, esposti al tradi-

mento. Sappiamo che il «per sempre» è quasi impossibile anche se siamo in buona fede quando lo pronunciamo. Finora lei si è concentrata sulla situazione di suo marito ma nella coppia c’è anche lei. Come valuta la vostra storia? Che cosa prova nei confronti dell’uomo che ha sposato ed è padre dei suoi figli? L’ha amato, l’ama ancora? Si sente di perdonarlo e di ricominciare? Tenga conto che una separazione provocherebbe una grande sofferenza ai ragazzi. Inutile illudersi che la divisione coniugale sia così abituale da renderla innocua. Non è vero: quando la famiglia si divide c’è dolore per tutti. Solo quando il matrimonio si rivela insopportabile, quando si è certi che è impossibile proseguire, vale la pena di spezzarlo per un episodio d’infedeltà, anche se prolungato. Resta comunque inderogabile la responsabilità genitoriale. Quanto al fatto di aver violato la privacy telefonica di suo marito, deve essere stata indotta da sospetti che sentiva ma non riusciva ad ammette-

re. Spesso l’ansia inascoltata si scarica in gesti impulsivi. Ma non tema che suo marito la denunci, non lo farà mai. La sconsiglio invece di incontrare direttamente o indirettamente la sua rivale. Quella ragazza non ha nessun obbligo nei suoi confronti. La fedeltà è stata una promessa di suo marito ed è lui che deve assumersene la responsabilità senza tergiversare. Nel caso in cui non riusciate a trovare una soluzione, potreste rivolgervi a un Centro di mediazione familiare. Un terzo punto di vista rende la situazione più chiara e più gestibile. Credo che, leggendo la sua lettera, tutti gli ospiti della «Stanza del Dialogo» le siano vicini e le augurino, con me, di ritrovare al più presto la perduta serenità.

categorie professionali, sindacalisti si sono trovati in balia del rischio di raccontare e decidere tutto e il contrario di tutto: aprire e chiudere, proibire e concedere, punire e rassicurare, far pagare e risarcire, promettere e non mantenere. Alla stregua, insomma, di supplenti maldestri, che commettono errori e gaffe. Ma, intanto, a furia di vederli, attraverso le immagini virtuali, che ci arrivano sugli schermi del computer e della televisione, anche a loro abbiamo fatto l’abitudine. Grazie alla tecnologia digitale funzionano la scuola, con la didattica a distanza, i servizi pubblici essenziali, le attività professionali negli uffici e nelle redazioni, quella di «Azione» compresa. Ma non soltanto: al di là dell’uso utilitaristico, questi strumenti, di cui personalmente continuo a essere un’utente impacciata, sono riusciti a colmare il vuoto di un isolamento totale. Popolandolo con

personaggi che, ormai inevitabilmente, ci tengono compagnia. Basta accendere il televisore, in qualsiasi momento e su qualsiasi canale, svizzero o italiano, e li ritrovi. Non si tratta solo dei politici, in particolare dei ministri della sanità, bensì di funzionari, tipo medico e farmacista cantonale, cui è spettato il meritato quarto d’ora di notorietà, preconizzato da Andy Warhol. Ma queste comparsate ci hanno riservato anche sorprese. Insomma, è stata un’autentica rivelazione: sono venuti allo scoperto virologi, epidemiologi, infettivologi, immunologi, e via enumerando specialisti e ricercatori d’ogni sorta. E, anche nei loro confronti, la ribalta mediatica è stata una prova irremissibile. Si deve, insomma, parlare di vincenti e perdenti sul piano della comunicazione. Sta di fatto che, persino nell’ambito scientifico ci si muove fra contraddizioni e confusioni. Ciò che, in definitiva, contribuisce a ravvivare uno spettacolo

chiamato a sostituire un vissuto quotidiano, relegato ai ricordi. A tutto ciò, come detto, ci si è abituati. Tanto da considerare una quotidianità affidata al lavoro a distanza, ai contatti tutt’al più telefonici, agli svaghi dei giochi televisivi, alla ginnastica praticata in casa, ai concerti soltanto ascoltati, ai tentativi del fai da te artigianali o culinari, una nuova normalità. Anzi un modello di comportamenti autonomi e virtuosi destinato a sopravvivere alla pandemia, secondo le visioni dei moralisti di turno. Chissà se avranno ragione, se la svolta verso un miglioramento universale avverrà. Intanto, abbandonando la sfera dei massimi sistemi, basta uscire di casa, incontrare gente, per registrare ben altri umori. La voglia di contatti fisici, di chiacchiere fra persone in carne e ossa, per concludere al più presto la stagione dei supplenti, accettati in mancanza del meglio che deve pur tornare.

la stanza del dialogo di silvia vegetti Finzi l’esperienza del tradimento Cara dottoressa, negli ultimi mesi ho seguito con interesse i suoi interventi sui problemi psicologici provocati dal Covid-19 e molte volte le sue parole mi hanno aiutata a sopportare una situazione difficile. In famiglia siamo in quattro e destreggiarci tra distanziamento e convivenza forzata ha richiesto doti acrobatiche. Io e mio marito abbiamo per lo più lavorato a distanza stando in casa: io in cucina, lui in camera da letto, per lasciare quanto più posto ai ragazzi. Durante la giornata ci si trovava di quando in quando per una chiacchiera e un caffè. Il figlio maggiore, Franco, di 16 anni, ha sofferto molto l’isolamento mentre la bambina, Gabriella, andando sempre a scuola, se l’è cavata meglio. Mai mi sarei aspettata, in questa situazione difficile ma non tragica, di scriverle quanto le sto scrivendo. Mio marito, l’uomo tranquillo che vedevo girar per casa in tuta e ciabatte, in realtà ha approfittato di ogni chiamata in ufficio, circa due volte la settimana,

per trovarsi con una collega che, come sono venuta a sapere, frequentava di nascosto da tempo. Caso vuole che una notte, in cui era rientrato più tardi del solito, mi sia alzata per bere e nel dormiveglia sia rimasta meravigliata dal vedere il suo cellulare abbandonato sul tavolo. Non era mai successo e non so perché, senza pensarci, mi sono messa a leggere la sua corrispondenza. Non ci potevo credere! Il telefonino era stracolmo di frasi d’amore con una ragazza, sua collega, che conosco solo di vista. So che è scorretto frugare nella corrispondenza altrui e mi dispiace. Ma è accaduto e non posso più farci niente. Sono stata malissimo, anche rimproverandomi di non essermi accorta di niente. Finalmente ho trovato il coraggio e una sera l’ho preso da parte e gli ho parlato. Non ha negato e non si è scusato ma, di fronte alla mia ferma intenzione di separarmi, mi ha chiesto di dargli il tempo di interrompere la relazione. Poi più niente. Dopo tre settimane di silenzio, avrei intenzione di fissare io stessa un appuntamento

con la ragazza e di ordinarle, faccia a faccia, di lasciar stare mio marito e di uscire per sempre dalla nostra vita. Ma ho paura di sbagliare, di rovinare tutto e di pentirmi. Mi sento confusa e chiedo a lei che cosa mi consiglia, non vorrei che mio marito mi denunciasse per aver letto la sua corrispondenza privata. Grazie. / Daniela

Informazioni

Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6901 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch

mode e modi di Luciana Caglio In compagnia dei supplenti In mancanza di meglio si ricorre a loro. E il meglio, da oltre un anno, è la normalità perduta, che ci ha privato dei contatti reali con familiari, colleghi, amici, conoscenti, vicini di casa, insomma le persone in carne e ossa. Costringendoci a rivolgersi, appunto, ai supplenti. Il termine, si legge nel Dizionario Treccani, definisce chi svolge, provvisoriamente, la funzione del titolare in carica, e ne diventa il sostituto, o usando un peggiorativo, il tappabuchi. Appellativi a parte, si tratta di un ruolo difficile da gestire. Per forza di cose, coglie impreparati, esponendo al rischio di strafare e di abusare del proprio inatteso potere. Situazioni insidiose che hanno ispirato scrittori, con propositi diversi: polemico il tedesco Rolf Hochhuth, nel ’63, con Il Vicario, che denunciava le ombre del sottobosco vaticano, e amabilmente ironico l’inglese David Nicholls, con il recente bestseller Il sostituto. Passando dalla

finzione letteraria alla realtà, eccoci di fronte allo spettacolo quotidiano, in corso attualmente su gran parte delle scene governative, Berna e Bellinzona comprese. Sotto l’urto del Covid, politici, autorità di polizia, responsabili della sanità, esponenti delle più svariate


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 19 aprile 2021 • N. 16

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ambiente e benessere di piacere e di lavoro Le vacanze mancano e si tornerà a viaggiare: non sarà lo stesso invece per il turismo d’affari

Inseguendo i piccioni Nelle Cicladi il turista comune trova un’isola sconosciuta che tra le sue curiosità vanta mille colombaie

strategia di sopravvivenza Tra gli insetti, il numeroso ordine dei ditteri comprende anche i Sirfidi, ottimi imitatori

pagina 15

pagina 14

un raffinato dessert Pasta frolla fatta in casa, ricotta, zucchero vanigliato e star della ricetta: rabarbaro pagina 17

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Il tumore al seno

medicina Diagnosi precoce e presa a carico

interdisciplinare aumentano le probabilità di guarigione

Maria Grazia Buletti Il tumore al seno è un problema di portata mondiale: è il primo tumore femminile in assoluto per incidenza e prevalenza, a cui seguono le altre neoplasie. In Europa sono 500mila le diagnosi annue, di cui 5mila in Svizzera e circa 330-350 in Ticino. «Una donna su otto si ammala di tumore al seno nel corso della sua vita», afferma il chirurgo senologo Francesco Meani, responsabile clinico del Centro di Senologia della Svizzera Italiana dell’EOC che lo scorso anno ha raggiunto i 15 anni di attività sul territorio a favore della lotta al tumore mammario. Il centro comprende la presa a carico interdisciplinare della paziente, a partire dalla mammografia di screening, prevenzione secondaria che favorisce l’individualizzazione precoce della malattia: «Esistono differenti tipi di tumore mammari per i quali le maggiori chances di guarigione stanno nel sottotipo di carcinoma meno aggressivo e, in assoluto, nella diagnosi precoce attraverso lo screening mammografico. Quest’ultimo permette di giungere a una diagnosi la cui precocità permette di curare conservando il seno interessato». Dal 2015 il nostro Cantone offre il Programma cantonale di screening mammografico come servizio pubblico alle donne tra i 50 e 69 anni residenti nel Cantone che per mezzo del DSS spiega: «È la possibilità di sottoporsi ogni due anni a una mammografia eseguita nell’ambito di un programma di screening organizzato di elevato livello qualitativo, raccomandata dalla Federazione svizzera dei programmi di screening del cancro Swiss cancer screening, dalla Lega svizzera contro il cancro e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, in quanto rappresenta il metodo scientificamente più appropriato per l’individuazione precoce del tumore al seno e la cui partecipazione è volontaria, mentre il costo è in gran parte sostenuto dall’Assicurazione malattia di base ed esente da franchigia». Un esame mammografico completamente gratuito per il quale, dice Meani: «Viene identificata e scelta la popolazione più a rischio, ma non dovremmo dimenticare che la percentuale di tumore mammario di tutte le altre donne che hanno meno di 50 anni e più di 70 è ben del 50 per cento del totale. Certo, la bilancia costi-benefici ha un

ruolo nella scelta della fascia di età delle donne a cui offrire lo screening mammografico». In ogni caso, egli riferisce che nei Paesi che offrono lo screening mammografico, la riduzione della mortalità dovuta al tumore mammario è del 30 per cento. Per permettere a tutte le donne di arrivare a individuare il più precocemente possibile un eventuale sospetto di tumore resta l’autopalpazione che però va ridefinita e ben spiegata alla paziente: «In realtà, l’autopalpazione così come pensata da tempo non è davvero utile per la ricerca e l’individuazione precoce di eventuali noduli sospetti, perché l’esame mammografico (e gli eventuali coadiuvanti esami diagnostici come ecografia e biopsia) permette di individuare tumori piccolissimi ancora non palpabili», spiega il nostro interlocutore che cita chi sostiene addirittura che l’autopalpazione potrebbe aumentare l’ansia della paziente per il timore di individuare qualcosa. «Dire alla paziente di fare un’autopalpazione scientifica (supina sul letto, il terzo giorno dopo il mestruo e nella posizione raccomandata dagli esperti con il braccio alzato e la mano appoggiata alla nuca) può alimentare l’ansia, mentre basterebbe che la donna entrasse in confidenza con il proprio seno palpandosi sotto la doccia, consapevole che si tratta di un organo con una morfologia irregolare che cambia nel corso del ciclo se la donna è giovane». Ciascuna saprà scoprire, nel corso del tempo, un cambiamento sospetto, un presunto nodulo rispetto ai mesi precedenti: «In tal caso, consiglio di attendere la mestruazione successiva e se rimane il dubbio vada dal medico. Stia tranquilla, perché nel 90 per cento dei casi sarà il medico a scoprire che potrebbe trattarsi di una cisti o di un’innocua alterazione del tessuto ghiandolare del seno». Il dottor Meani vuole rasserenare a favore di un’autopalpazione consapevole, convinto che: «Nessuno meglio della donna stessa conosce così bene il proprio corpo e il proprio seno. Oggi possiamo di fatto dimostrare che la diagnosi è fatta il più delle volte dalla paziente stessa, anche perché il medico che la vede una volta all’anno non può certo ricordare come si presentava la morfologia e le caratteristiche del suo seno rispetto all’anno precedente». La presa a carico migliore nell’ambito di un percorso terapeutico sta nella certificazione («expertise») di un centro

Il dottor Francesco Meani, chirurgo senologo responsabile clinico del Centro di Senologia della Svizzera Italiana dell’EOC. (stefano spinelli)

di senologia che sappia offrire un percorso altamente specializzato, individuale e multidisciplinare: «Occorre che la donna sia accolta e accompagnata da professionisti con grado di preparazione ed esperienza adeguati». Specialisti che sappiano tenere conto di come negli ultimi 20 anni le conoscenze sono talmente aumentate in tutti gli ambiti del trattamento e della gestione del tumore mammario: «Una complessità talmente elevata che nessun medico, da solo, sarebbe in grado di gestire e per questo implica una multidisciplinarietà fra parecchie figure che si consultano e si aggiornano su ciascun caso. Fra questi: chirurgo senologo, radiologo per la diagnosi, anatomo-patologo per l’istologia, oncologo, chirurgo plastico laddove abbisogna una ricostruzione,

radio-oncologo, infermiere specializzato che accompagni la donna lungo tutto il suo percorso e ne accolga ogni esigenza, insieme ad altre figure». Questo ventaglio terapeutico è giustificato da una presa a carico individualizzata: «Ogni paziente non deve paragonare la propria storia a quella di altre, perché i tumori mammari sono di una così ampia varietà che ognuno presenta la sua storia individuale e come tale viene curato». Spesso è il medico di famiglia a indirizzare la paziente nel centro che ritiene più conveniente o geograficamente favorevole: «Il Centro Senologico della Svizzera italiana opera da 16 anni e qui confluiscono circa due terzi dei casi del canton Ticino. Abbiamo informato i professionisti del territorio circa la multidisciplinarietà

specialistica della nostra presa a carico delle donne che qui possono giungere anche soltanto per richiedere semplicemente un secondo parere. Il medico stesso, per aiutare la propria paziente a decidere serenamente il da farsi, potrebbe invitarla a rivolgersi a qualcuno di egualmente competente per una seconda opinione». Il dottor Meani sottolinea in tal modo l’imprescindibile onestà dovuta dal medico alla propria paziente che resta al centro della presa a carico: «Ciò che più importa è far sentire la paziente coccolata, a proprio agio e curata nel migliore dei modi attraverso il suo percorso diagnostico e terapeutico. Cosa non facile, ma molto importante in un momento di profonda difficoltà nella vita di una donna».


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ambiente e benessere

le nuove forme del turismo

viaggiatori d’occidente La ripresa ci sarà ma non tutto tornerà come prima, anche perché la pandemia lascerà

in eredità un mondo virtuale di interconnessioni che ha già modificato molte abitudini

Claudio Visentin «Il 2020 sarà un anno di viaggi e spostamenti» profetizzò incautamente un noto astrologo alla fine del 2019. Ricordiamocelo sempre prima di azzardare qualunque previsione per la prossima estate. Naturalmente bisogna tenere d’occhio eventuali mutazioni del morbo: per esempio al tempo dell’epidemia di influenza spagnola, tra il 1918 e il 1920, la seconda ondata fu decisamente più letale della prima e colpì soprattutto i giovani. Anche quest’anno le diverse varianti sono senza dubbio più pericolose, ma senza quel salto di scala di un secolo fa. E tuttavia, lasciando ai virologi questi aspetti, possiamo ragionevolmente immaginare per il mondo dei viaggi e delle vacanze una ripetizione dell’estate passata. Lo scorso anno l’epidemia cominciò ad allentare la presa verso la metà di giugno. Luglio trascorse in prudente attesa ma agosto fu un mese quasi normale, con spiagge molto frequentate. A Ferragosto la differenza con l’anno prima era quasi impercettibile. Quest’anno, inoltre, la campagna di vaccinazione gioca in nostro favore con intensità crescente (e ovviamente la capacità di vaccinare grandi numeri in tempi ridotti resta decisiva). Nell’ipotesi di un graduale ritorno alla normalità, il turismo di prossimità sarà la scelta più prevedibile, come già nel 2020: Booking.com ha calcolato che la distanza media percorsa dagli italiani

la scorsa estate è diminuita del 60% (427 chilometri per prenotazione) rispetto allo stesso periodo del 2019 (1071 chilometri). I confini comunque non saranno barriere invalicabili e il raggio d’azione potrebbe estendersi ai Paesi vicini (Italia, Croazia, Grecia) per chi, come i residenti in Svizzera, non ha un accesso diretto al mare. Proprio nella convinzione che l’offerta con queste caratteristiche non sia infinita molti stanno già prenotando, naturalmente con facoltà di disdetta anche all’ultimo in caso di epidemia, e di conseguenza i prezzi per l’estate restano elevati anche in questo momento così difficile. Il turismo 2021 sarà all’aria aperta, a contatto con la natura, in luoghi poco affollati, in compagnia dei propri familiari e di pochi amici fidati. Inoltre, dopo un anno di didattica a distanza e telelavoro, qualche forma di digital detox sarà quasi necessaria. Per quanto riguarda l’alloggio, appartamenti e camper saranno ancora preferiti agli alberghi, anche se i timori nei confronti delle strutture ricettive, sempre meglio organizzate, sembrano minori rispetto allo scorso anno. Il turismo internazionale vero e proprio, al di là cioè di qualche sconfinamento, dovrebbe dare i primi segni di vita nel 2022 e tornare poi alla normalità nel 2023. Ci sono però due aspetti da considerare. Negli ultimi vent’anni le crisi nel turismo sono state numerose. Il nuovo secolo si è aperto con l’attentato alle Torri gemelle (2001), poi la Sars

Le compagnie aeree soffrono soprattutto il crollo dei viaggi d’affari. (Pxhere.com)

(2003), la crisi finanziaria del 2007, gli attentati terroristici del 2015 e 2016 ecc. Ogni volta il ritorno alla normalità ha seguito la traiettoria prevista, ma con un ritmo sempre più accelerato, perché l’opinione pubblica ha fatto l’abitudine a cambiamenti anche drammatici. Inoltre molti territori hanno un disperato bisogno di accogliere turisti perché non sarebbero in grado di reggere a un secondo anno di inattività. È lecito dunque attendersi offerte molto convenienti. Di conseguenza le persone più libere da vincoli lavorativi o familiari potrebbero beneficiare nei prossimi mesi di opportunità straordinarie, a patto di

trovare i biglietti aerei (è il settore più colpito dalla crisi e si regge in piedi solo grazie a massicci crediti di Stato) e di accettare il rischio di una quarantena al ritorno. E così, proprio mentre la maggior parte dei turisti adotta comportamenti ragionevoli e ispirati alla cautela, altri potrebbero regalarsi il viaggio di una vita. La principale vittima della crisi sembra essere il turismo d’affari. Per cominciare, da solo valeva un quarto della spesa complessiva per viaggi nazionali e internazionali. Inoltre comprendeva alcuni dei segmenti a maggior profitto per le compagnie aeree tradizionali,

come Swiss, Lufthansa o Air FranceKlm: la business class prediletta dai manager, spesso in cerca di un biglietto a qualunque prezzo all’ultimo minuto, copriva da sola il 10% dei biglietti, il 30% dei ricavi e fino al’70% dei profitti. Dopo il crollo nel 2020, quest’anno si stima una riduzione del turismo d’affari del 65% (Credit Suisse). In questo caso la ripresa sarà più lenta: dopo la crisi finanziaria negli Stati Uniti ci sono voluti cinque anni per tornare ai livelli precedenti, contro i due anni del turismo leisure (McKinsey). E in parte il cambiamento sarà permanente. Grazie alla nuova familiarità con Zoom, Teams e Skype anche dopo la pandemia i viaggi d’affari si ridurranno della metà secondo Bill Gates, di un quarto secondo stime più caute (Citigroup). Le grandi fiere e i convegni poi potrebbero andare ancora peggio: nella fase d’uscita dalla pandemia la sola idea di riunire centinaia di persone in spazi ristretti metterà tutti a disagio. Più probabili convegni in forma ibrida, con alcuni partecipanti presenti e altri collegati da remoto, secondo nuove regole ancora tutte da scrivere. Male per il settore, bene per l’ambiente. Non dimentichiamo infatti che l’uscita dall’epidemia si intreccia con le nuove e necessarie politiche ambientali per ridurre le emissioni e contenere il riscaldamento climatico. Insomma il turismo tornerà, statene certi, ma sarà diverso. Quanto? Lo scopriremo presto. annuncio pubblicitario

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le piccionaie di tinos

ambiente e benessere

reportage Cicladi sacre: un’isola di Tinos tra chiese e colombaie

Simona Dalla Valle, testo e foto Ancora relativamente sconosciuta ai turisti stranieri nonostante sia la terza isola delle Cicladi per grandezza, Tinos soffre la vicinanza della celebre Mykonos. A differenza di altre isole, Tinos, che è abitata da quasi diecimila persone, non è nota per spiagge e bar, bensì per il suo essere meta di pellegrinaggi religiosi. La Chiesa greco-ortodossa di Panagia Evangelistria è un centro religioso tanto famoso a Tinos, da essere paragonabile a una versione greca di Lourdes. Il 15 agosto di ogni anno i pellegrini visitano la sacra icona della Madonna qui conservata, e ritrovata dopo che la Madonna apparve in sogno a una suora di nome Pelagia rivelandone la posizione. Oltre a questo tempio, Tinos è costellata da più di 750 chiese e cappelle. Ma sparse sull’isola «religiosa» delle Cicladi non sono solo mete santificate, bensì anche le Περιστεριώνας (peristerionas), cioè le piccionaie, anche dette colombaie, di epoca veneziana. Prima di soffermarci su questa curiosità, prendiamoci però qualche riga per dare una sbirciata alla geografia e al clima di questa singolare terra emersa. Situata nell’Egeo meridionale tra Andros e Mykonos, Tinos è fortemente esposta ai venti da nord e in particolare al meltemi, tanto da meritarsi nella mitologia il titolo di patria di Eolo, divinità delle vele aperte e del cielo limpido. Anche la pioggia qui è più abbondante rispetto alle altre Cicladi, e valli protette dal vento come Livadia, Agapi o Potamia ospitano aree fertili che hanno fornito prodotti freschi ai mercati ateniesi almeno fino agli anni Cinquanta. Lasciandoci alle spalle il mare per risalire verso la montagna si scoprono degli edifici alti e stretti simili a torri, i cui fianchi sono decorati con una sorta di merlettatura in pietra. Sono proprio queste, le famose peristerionas, uno dei simboli di Tinos. La presenza di queste colombaie è legata alla storia dell’isola e in particolare alla sua occupazione da parte di Venezia. In

Piccionaia sulla Leof. Megalocharis della Chora di Tinos, sulla salita verso la Chiesa greco-ortodossa di Panagia Evangelistria. (su www.azione.ch, si trovano altre fotografie)

seguito all’assedio di Costantinopoli, avvenuto nel 1204, gran parte della Grecia passò sotto il dominio della città dei Dogi. L’isola di Tinos fu annessa all’Impero Latino d’Oriente nel 1207 e vi rimase per quasi cinquecento anni, fino alla sua conquista da parte degli Ottomani. I Ghisi o Ghizzi, signori italiani, vi portarono la religione cattolica e la legge feudale occidentale. Nel 1390 la Repubblica di Venezia succedette ai Ghizzi portando sull’isola l’usanza del «diritto di colombaia»:

Interno della chiesa di Panagia Evangelistria.

soltanto i nobili erano autorizzati a possederne. I piccioni erano allevati non solo per consumarne la carne, considerata una prelibatezza, ma anche per i loro escrementi, utilizzati come fertilizzante. Oltre che un mezzo di sostentamento, grazie al diritto di colombaia, il piccione divenne simbolo di prestigio sociale, tanto che avere una piccionaia sulla propria terra era un privilegio e un segno di prosperità. Abituati ai lauti guadagni provenienti dal commercio di piccioni, i veneziani avevano stabilito l’attività di allevamento in alcuni dei territori che occupavano. Tinos, Andros e Naxos furono le candidate ideali: gli aspri rilievi delle isole, dotate di corsi d’acqua importanti, permettevano di trovare con facilità luoghi protetti dal vento. La lunga durata della presenza veneziana a Tinos, che terminò nel 1715, spiega il numero di piccionaie presenti fino a oggi: se nel 1537 le altre isole passarono sotto il controllo degli Ottomani, i quali abolirono il «diritto di colombaia» togliendo a esse ogni significato di dominio sociale, l’arrivo tardivo degli Ottomani a Tinos, soltanto due secoli dopo, fece sì che la piccionaia per lungo tempo restasse un possedimento esclusivo dei nobili dell’isola e questo probabilmente ne facilitò la preservazione.

Vista di Tinos città, in lontananza la silhouette dell’isola di Siros.

Vista della costa occidentale di Tinos.

Decorazioni geometriche tipiche delle colombaie su una struttura di accoglienza.

Le case dei piccioni erano costruite sui pendii circostanti le valli dell’entroterra, al riparo dal vento. Questo permetteva agli uccelli di trovare facilmente la via di casa. In fondo alle valli vi era di solito un corso d’acqua che permetteva la coltivazione dei terreni, incrementata dal fertilizzante naturale fornito dai volatili. All’inizio del secolo scorso, a Tinos si contavano quasi mille piccionaie e ancora oggi se ne possono ammirare circa seicento, soprattutto intorno ai villaggi di Tarambados, Agapi, Potamia e Kardiani. Osservando la loro architettura si può notare che tre dei quattro lati della costruzione a parallelepipedo hanno aperture per i piccioni, ed è su questi lati che si scorge il famoso «merletto» in pietra con forme geometriche. La parete nord, esposta al vento, è sempre cieca, mentre le altre tre facciate di questi edifici imponenti, realizzati in ardesia locale, erano intarsiate con figure geometriche come rombi, triangoli, soli o cipressi. Queste decorazioni, realizzate con grande maestria dagli artigiani locali, fornivano un alto numero di ingressi, oltre che di aree di nidificazione. Le piccionaie erano in genere costruite su più livelli, dei quali il seminterrato serviva come capannone per gli attrezzi e come stalla o fienile,

mentre il piano superiore era riservato ai piccioni. I materiali più utilizzati per la loro costruzione erano pietra e marmo, ma anche calce per il controllo dei parassiti e intonaco pigmentato di nero, grigio o bianco. La porta della piccionaia è generalmente stretta, con una spessa serratura in legno, pietra o marmo, per garantire la chiusura più ridotta possibile ed evitare l’intrusione di serpenti o topi. Più ricco era il proprietario della colombaia, più complessa la lavorazione della pietra e dei diversi materiali, e maggiore la differenziazione dalla decorazione della colombaia vicina. Le famiglie con colombaie in diverse parti dell’isola chiedevano agli artigiani di rispettare una certa omogeneità nella decorazione, così che l’assemblaggio dei motivi formasse una sorta di stemma di famiglia. L’allevamento e il commercio dei piccioni, e l’inizio della sua liberalizzazione durante la dominazione ottomana, hanno contribuito, insieme alla produzione di seta, allo sviluppo dell’isola, la cui popolazione è quadruplicata dal XV al XIX secolo. I piccioni venivano esportati principalmente a Costantinopoli e Smirne (l’odierna Izmir) dove venivano venduti in tutto l’Impero Ottomano.


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ambiente e benessere Syrphidae hoverfly: è una mosca ma finge di essere una vespa. (Joao P. Burini)

PRO SENECTUTE

informa Novità Ripresa attività di movimento all’aperto 14+1 (14 partecipanti e 1 monitrice o monitore) 50 gruppi di movimento (ginnastica, walking e nordic walking e danza) hanno ripreso la loro attività in tutto il Cantone. Gli incontri si svolgono esclusivamente all’aria aperta e con un massimo di 15 persone (compreso il/la monitore/monitrice). Per informazioni telefonare allo 091 912 17 17 Pro Senectute sostiene la strategia di vaccinazione della Confederazione e dei Cantoni e invita tutte le persone «over 65» ad annunciarsi per il vaccino sul sito: www.ti.ch/vaccinazioni Ricordiamo tuttavia come sia essenziale continuare a rispettare tutte le misure accresciute di igiene e protezione.

II basilico della signora rosilde

Attività e prestazioni – Volontariato Cerchiamo volontari per l’accompagnamento a domicilio nel Locarnese. Si cercano persone maggiorenni che abbiano voglia di trascorrere in maniera regolare qualche ora in compagnia di un anziano, per piccole passeggiate, compagnia al domicilio o per accompagnare a fare delle commissioni. Si richiede un impegno regolare, senso d’ascolto e responsabilità.

Entomologia Quante mascherate per mangiare e non essere

mangiati

Alessandro Focarile

– Servizio di aiuto alla spesa È stato riattivato il servizio di aiuto alla spesa. In questa seconda ondata, esso è a disposizione unicamente di persone anziane in difficoltà che non possono contare su nessun aiuto esterno e si avvale del supporto prezioso di volontari. Maggiori informazioni sul nostro sito o telefonando allo 091 912 17 17.

Al primo fresco del mattino, la signora Rosilde, come di consueto, compie una prima visita al suo orto. Lo innaffia, si china a strappare qualche foglia appassita, oppure qualche «erbasc». Insemina, lo cura con un assiduo e amorevole lavoro, ma anche con gli occhi. Insalata, pomodori, carote stanno crescendo in ottima salute. In un angolo sono accuratamente riuniti tutti gli aromi: un’isoletta di prezzemolo, una bordura di maggiorana, un robusto cespuglio di salvia, una sfilata di svettante basilico. Per l’appunto «il mio basilico»: grida costernata la signora Rosilde. Durante la notte qualcosa o qualcuno ha ampiamente rosicchiato le foglie, creato vasti vuoti tra le piantine. «Eppure – prosegue Rosilde – non ho visto finora le lumache mangiare il mio basilico». Chi sarà?

– Pasti a domicilio Durante la crisi sanitaria i beneficiari del servizio sono aumentati notevolmente. Possono richiedere un pasto a domicilio le persone in età AVS o AI e le persone in malattia con certificato medico. Maggiori informazioni sul nostro sito o telefonando allo 091 912 17 17. – Servizio fiduciario: cerchiamo volontari il sostegno amministrativo ad anziani, soprattutto per il Mendrisiotto.

Farfalle invisibili sulla corteccia di un albero; mosche che mimano vespe; bruchi simili a fiori e foglie; farfalle che imitano foglie secche

Contatto: Pro Senectute Ticino e Moesano Via Vanoni 8/10, 6904 Lugano Tel. 091 912 17 17 info@prosenectute.org Le nostre sedi regionali si trovano anche a: Balerna, Bellinzona, Biasca e Muralto

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Un’accurata e irritata ispezione le fa scoprire l’autore: un vistoso e pasciuto bruco verde. Ma di un verde così verde, che a malapena riesce a distinguerlo tra le foglie superstiti. Il tizio è immobile, spudoratamente sdraiato nel risvolto di una foglia, intento a digerire con calma il suo lauto e profumato pasto notturno. Suo malgrado, e volentieri ne avrebbe fatto a meno, Rosilde si è imbattuta in uno dei tanti esempi di mimetismo (dal greco «mimésis» = imitazione) che la Natura ha messo in atto, attraverso un lunghissimo processo evolutivo e adattativo, per proteggere una folta

schiera di insetti dai loro predatori: uccelli e lucertole, rendendoli praticamente invisibili se sono posati su una superficie dello stesso colore, oppure con le stesse caratteristiche (cortecce, fiori, sassi). Durante la vita di una farfalla, i bruchi sono lo stadio intermedio di sviluppo (metamorfosi) prima di impuparsi e trasformarsi in una creatura alata, spesso molto bella e colorata. Privi di difese attive, i bruchi hanno escogitato e realizzato strategie alternative di sopravvivenza, grazie alla loro colorazione, oppure forma (che possono essere efficacemente funzionali per lo scopo), oppure grazie alla presenza su parti del corpo, di schemi di colorazione che imitano occhi mostruosi. È quanto basta per fare desistere qualsiasi predatore male intenzionato, che resta interdetto. Oppure, esibiscono aspetti o colori di un bruco con il sapore disgustoso e repellente, che i possibili predatori hanno imparato a evitare, attraverso la trasmissione ereditaria della conoscenza acquisita di generazione in generazione. In qualsiasi animale, gli occhi sono la parte più vulnerabile del corpo. Accecarlo significa rendergli la vita irrimediabilmente compromessa, anche se le funzioni vitali possono sussistere. Molte farfalle allo stadio di adulto hanno uno schema di colorazione, sul rovescio delle ali inferiori, che imita alla perfezione degli occhi, che possono assumere un aspetto minaccioso. Gli uccelletti che cacciano a vista come i pettirossi e le cinciallegre, quando individuano una farfalla posata che mostra il retro delle ali, tentano di catturarla con un colpo di becco sui falsi occhi. La farfalla è incolume seppure con un pezzo di ala mancante, ciò che non le impedisce di volare e di sottrarsi al predatore. Tra gli insetti, il numeroso ordine dei ditteri – rappresentati in Svizzera da oltre 6mila specie accertate e i cui esempi più noti sono le mosche, le

zanzare e i tafani – comprende anche una famiglia del tutto particolare, in quanto ha perfezionato ed esaltato in massimo grado il fenomeno del mimetismo. Sono i Sirfidi, autentici «copioni», ghiotti di nettare e di altre sostanze zuccherine allo stadio di adulto, accaniti cacciatori di afidi (pidocchi delle piante) allo stadio di larve. Questi ditteri, inconfondibili per il loro volo a scatti e librato, imitano a meraviglia le api, le vespe e i calabroni (bombi), tutti insetti questi ultimi che sono scrupolosamente evitati da uccelli e da altri predatori a causa del loro venefico pungiglione. Il panorama delle capacità imitatrici dei Sirfidi è molto ampio e quanto mai differenziato e oltremodo sorprendente ai nostri occhi. Alcuni sono pelosi e nero-giallicci come i calabroni e pure il loro ronzio imita fedelmente quello del suo modello. Altri Sirfidi hanno lo stesso colore delle api, e sollevano ritmicamente l’addome per simulare l’ape al momento di pungere. Ancora altri hanno lo stesso schema di colorazione delle vespe: neri con bande e macchie gialle di tale perfezione imitatrice da trarre in inganno anche l’entomologo attento. Farfalle invisibili sulla corteccia di un albero. Mosche che mimano vespe. Bruchi che si confondono con fiori e foglie. Farfalle che imitano le foglie secche, comprese le nervature e le eventuali macchie di muffette. Sono tutte espressioni finalizzate alla sopravvivenza, che possiamo osservare in organismi che si sono raffinatamente evoluti ben prima di noi, quando comparvero le piante con fiori. Sviluppando colorazioni protettive di elevata complessità e ingegnosità, rivelando un motore raziocinante che, forse, ci può dare fastidio. In ogni caso ci obbliga a riflettere. Non siamo soli nella Grande Casa che ci ospita temporaneamente, e non siamo certamente i più intelligenti e razionali inquilini. Il basilico della signora Rosilde ne vedrà delle belle.


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ambiente e benessere

uno spezzatino tranci al rabarbaro d’agnello speciale

migusto La ricetta della settimana

Piatto principale Pasticceria Ingredienti per 44 persone: persone 800 (1 teglia g di spezzatino di 11×35d’agnello, cm): 250ad g di esempio ricottaspalla · 1 uovo · sale · 2· pepe bustine · 2 cucchiai di zucchero d’olio vanigliato di colza HOLL di 7 g ··500 4 spicchi g di rabarbaro, d’aglio · 2 cipolle ad es. grosse rabarbaro · 8 pomodori fragola · secchi 2 dl d’acqua sott’olio · 40 · ½g di cucchiaio zucchero. di Per farina la pasta · 4 dlfrolla: di brodo 220di g di manzo farina· ·50 40ggdidiolive zucchero nere ·snocciolate 1 presa di sale · 4 fette · 100digprosciutto di burro, freddo crudo · 20,8 cipollotti dl di latte · 1 ·limone. burro e farina per la teglia.

migusto.migros.ch/it/ricette Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.

1. Per Condite la pasta la frolla, carne versate con salela efarina, pepe lo e rosolatela zucchero ebene il salenell’olio in una scodella. in una padella. Tagliate Dimezzate il burro al’aglio, dadi e tritate aggiungetelo grossolanamente alla miscela. le Sfregate cipolle. Aggiungete gli ingredienti aglio, concipolle le manie fino pomodori a ottenere alla carne, una massa spolverizzate formata da con tante la farina briciole. e bagnate Unite ilcon latte il ebrodo. impastate Mettete velocemente il coperchioil etutto. stufate Coprite a fuoco la pasta medio-basso e mettetela per in circa frigo 50 per minuti. ca. 30Lasciate minuti.ilImburcoperrate chioeleggermente infarinate laaperto teglia.per Stendete permettere la pasta al vapore frolla indiuna fuoriuscire sfoglia delle dalladimensioni padella, in della modoteglia. che il Accomodatela liquido si riduca. nella teglia e fate riposare la pasta in frigo. 2. Scaldate Tagliate le il forno olive eai180 cipollotti °C. a rondelle sottili, il prosciutto a dadini. Ricavate 3. delle Intanto, listarelle mescolate dalla scorza la ricotta del limone. con l’uovo Mescolate e lo zucchero tutto. vanigliato. Mondate il rabarbaro 3. Spremetee la tagliate metà del gli steli limone. un po’ Condite più piccoli lo spezzatino rispettocon allaillarghezza succo di limone, della teglia. sale Portate e pepe eadistribuite ebollizionela l’acqua gramolata consulla lo zucchero. carne. Unite i pezzi di rabarbaro e fateli sobbollire per 1-2 minuti. Estraete i pezzi dal liquido e fate ridurre il liquido finUn piatto che può essere accompagnato con pasta o semplicemente con ché diventagustoso sciropposo. fette di pane. la ricotta sulla pasta frolla. Accomodatevi i pezzi di rabarbaro e 4. Distribuite cuocete al centro del forno per ca. 35 minuti. Preparazione: circa 20 minuti; brasatura: circa 50 minuti. 5. Sfornate e lasciate raffreddare la torta. Spennellate i pezzi di rabarbaro con lo Per porzione: circa g diinproteine, 27 g di grassi, 13 g di carboidrati, sciroppo. Tagliate la 47 torta tranci e servitela. 520 kcal/2150 kJ. Preparazione: circa 40 minuti. Per persona: circa 15 g di proteine, 32 g di grassi, 70 g di carboidrati, 650 kcal/2700 kJ.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 19 aprile 2021 • N. 16

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ambiente e benessere

un blues alpestre

sport Quando uno stadio diventa luogo di culto: «Valascia, addio!» verrò a prenderne un pezzo, che conserverò a casa». Non so se a Londra si fece altrettanto, quando si trattò di salutare il vecchio e glorioso stadio di Wembley. Idem a Berna con il vetusto Wankdorf e a Basilea con il consunto Sankt Jakob. Mi sorge un dubbio: è la Valascia ad aver dato lustro alla squadra, oppure è quest’ultima ad avere reso mitico il luogo? Opto per la seconda ipotesi, altrimenti sarebbe veramente la fine di una lunga e fantastica storia. Invece il cammino proseguirà. Con tutte le difficoltà, le restrizioni, le frustrazioni alle quali in Valle sono abituati, al punto di essersi creati degli anticorpi. Non è un caso che l’ultimo atto sia stato celebrato proprio il 5 aprile, 22 anni dopo il giorno più dolceamaro della storia del Club. Quella sera, il duello fra Davide e Golia fu ribaltato. La gioia di potersi giocare il titolo, da piccola squadra di montagna, fu schiantata dalla tristezza per averlo perso contro i potenti cugini cittadini del Lugano. Questo è karma. E i sostenitori dell’Ambrì Piotta ne sono consapevoli. È per questa ragione che, fra pochi mesi, Covid permettendo, si stiperanno sulle tribune del nuovo stadio, e continueranno a cantare, saltare, abbracciarsi, bere, sperare, e festeggiare la salvezza come il più luminoso dei trofei. Questo perché il miracolo, non volermene cara Valascia, non sei tu, bensì chi da 84 anni, stagione dopo stagione, riesce a mantenere nella massima categoria di un campionato prestigioso, la squadra di un paesino di montagna che conta poche centinaia di abitanti.

Giancarlo Dionisio «Addio, cara vetusta Valascia, in 84 anni di vita hai alimentato sentimenti di gioia e di tristezza. Hai dispensato gloria e frustrazioni. Presto verrai smantellata. Il Popolo Biancoblù ti piange, ma poco lontano da te troverà nuovi stimoli». Ci sono edifici che vengono salvati dalla demolizione, in virtù dei loro pregi architettonici. Altri invece, che non possono restare in piedi, nonostante l’affetto straripante dei loro abituali inquilini. «Valascia, addio!» suona come una canzone triste, un blues alpestre. Oppure come un film che ti inchioda sulla poltroncina, e sei felice di essere al buio, perché puoi nascondere le lacrime che dal cuore sgorgano su su fino agli occhi e alle guance. Lunedì 5 aprile ho voluto assistere all’ultimo rito pagano, che le norme anticovid hanno decretato fosse celebrato all’esterno dello stadio. Ero spinto dall’imprescindibile curiosità del giornalista, ma anche dallo stupore e dalla meraviglia del ragazzino che oltre 50 anni or sono, in quel luogo, aveva assistito alla sua prima partita di hockey su ghiaccio. Era talmente rapito dalla foga con cui si affrontavano quei guerrieri bardati, così anestetizzato dal gelo che gli aveva pietrificato mani, piedi e orecchie, che neppure ricorda chi fosse l’avversario dell’Ambrì-Piotta. Ricorda solo che i biancoblù vinsero al termine di una intensissima lotta. Fu l’inizio di un idillio. Col passare degli anni, anche dopo la copertura della pista, avvenuta nel

La Valascia, e la sua curva Sud, della gioventù biancoblù, in una foto d’archivio. (HCaP)

1979, quel ragazzino ritrovò più volte la via che portava nella minuscola frazione di Quinto. Partiva da Chiasso, su un treno speciale, dove centinaia di giovani facevano le prove generali, cantando e inneggiando ai propri eroi. Quelli con le corde vocali fragili, prima di Biasca erano già senza voce. Quei viaggi furono una sorta di percorso spirituale. Si trattava di capire quello che i più grandi definivano come «il fascino della Valascia». Aveva molteplici volti. Significava abbracciarsi, cantare, ballare, bere, vibrare, provare senso di appartenenza. Ma, spesso, anche tornarsene a casa tristi per una sconfitta, comunque con ancora la voglia di cantare fino al capolinea. Più in là nel tempo, quell’ex ragazzino, passò dalla curva alla tribuna.

Quante volte, attraversando lo stretto cunicolo d’accesso, tutto perlinato, gli è capitato di pensare: «Se a taca föcc sem denta tücc cumé ratt». Ma tu Valascia, forse, avevi qualche santo protettore. E se ne subiva il fascino anche risalendo la ripida scaletta che portava alla tribuna stampa, compiere mosse da contorsionista per scivolare sotto due delle arcate che reggevano la volta, e accedere alla postazione di commento. Così come affascinante era pure la drammatica scarsità di pissoir, in un contesto in cui bere birra faceva parte della sceneggiatura. E stare in coda, muovendosi da una gamba all’altra, era quasi una danza rituale. Disagi che non hanno mai scoraggiato i sostenitori della squadra leventinese. Senza Covid, lunedì 5 aprile ci

sarebbe stato mezzo Ticino e mezzo Uri, a salutarti, cara Valascia. Un manipolo di irriducibili ha comunque voluto esserci, per tributarti l’ultimo saluto. Alcuni, assiepati sulla scalinata che dà verso il cancello dei curvaioli, hanno cantato e inneggiato, come se tutto fosse normale, quasi a volerti affidare all’eternità. Ogni tanto qualcuno scendeva per una birra. Ho visto lacrime scivolare via. Ho captato frasi: «Di là, non sarà la stessa cosa» diceva un ingrigito membro della Gioventù Biancoblù, indicando il nuovo stadio oltre la ferrovia. «Chi se ne frega se abbiamo patito il freddo» replicava un altro con al collo una sciarpa «vintage» con i colori sociali. «L’amore per l’Ambrì Piotta va ben oltre questi trascurabili disagi. Prima che la demoliscano,

giochi

vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku

cruciverba Forse non tutti sanno che chi soffre di antofobia ha una… Scopri il resto della frase risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere evidenziate. (Frase: 5, 11, 3, 5)

orIZZontalI 1.Ricopertadaacquastagnante 6.Unvaloregeometrico 7.Notamusicale 9.UnRepartodell’ArmadeiCarabinieri (sigla) 10.Cosìèavoltelasorte 11.Leinizialidell’attoreAmendola 12.LapistoladelFarWest 13.BiancainunromanzodiJackLondon 17.Ildesideriodelpoeta 18.Eroetroiano 19.Bollito 20.Scorre...perfido 21.Svegli 23.Ilsettentrioned’Italia... 24.Noiinlatino 25.ScrittasullacrocediGesù 27.Perditadellavoce 28.Infossaturadelpolmone

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regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «azione» e sul sito web www.azione.ch

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I premi, cinque carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.

vErtIcalI 1. Moderata, temperante 2. Vi si costruiscono fragili castelli 3. Articolo francese 4. Sono in mezzo ai guai! 5. Si sconta... lontano 8. Contrapposto al dittongo 10. Compose Il barbiere di Siviglia 12. Fatti con i giunchi 13. Da soli non valgono nulla 14. Nome femminile 15. È una vera macchietta!... 16. Ti... seguono in cantina 17. Preposizione «dei» in francese 19. Feriti, contusi 21. Rintocco di campana 22. Il prezzo della colpa 24. Disillude 26. La Lanfranchi della tv (Iniz.) Partecipazione online: inserire la

soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la so-

sudoku soluzione:

Scoprire i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.

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soluzione della settimana precedente

PASSEGGERI INSOLITI – In Arabia Saudita, sugli aerei, spesso ci sono i…? Resto della frase: …FALCHI USATI PER LA CACCIA.

F A L O S E R I A A N P D L A R A G O G A E R I

D E A U A N T R I U E A C C O C A S T R E

B A C H O M O N A R T E A R A M B E S T A

luzione, corredata da nome, cognome, indirizzo, email del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 6315, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 19 aprile 2021 • N. 16

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Politica e Economia un passato che non passa Ritorna la violenza in Irlanda del nord, alimentata dalla frustrazione per la Brexit

natanz e i negoziati sul nucleare Quali conseguenze avrà l’«incidente» alla centrale di Natanz sulla ripresa dei negoziati tra Washington e Teheran sull’accordo per il nucleare iraniano? pagina 27

la voragine archegos Credit Suisse perde miliardi per prestiti e investimenti in un dubbio hedge fund: in discussione la sua strategia di fronte a rischi elevati pagina 31

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una sfida all’ultima tecnologia

confronti La Cina lancia il cripto-yuan

come valuta globale, in alternativa al dollaro, e domina anche il settore dei semiconduttori

Federico Rampini Nel Trecento Marco Polo ebbe davanti a sé un’innovazione formidabile eppure non seppe riconoscerne l’importanza: nella Cina del Kublai Khan circolava già la moneta cartacea, mentre l’Europa era ferma al metallo, ma il viaggiatore veneziano nel suo Il milione la menziona di sfuggita, come una curiosità. Sette secoli dopo gli americani potrebbero commettere un simile errore, sottovalutando l’avanzata della Cina nella criptovaluta? La Cina ha già preso una lunghezza d’anticipo, da anni, sullo sviluppo dei mezzi di pagamento digitali con l’uso dei cellulari. È in vantaggio sugli Stati uniti sulla 5G (acronimo di «fifth generation», termine che indica la tecnologia di telefonia mobile di quinta generazione, più potente e veloce delle precedenti). Ora il Governo di Pechino stampa valuta digitale, che può scuotere un pilastro della potenza americana. La Cina è un terreno fertile per questo tipo d’innovazione, le sue applicazioni di pagamento digitale su smartphone come «Alipay» di Alibaba e «WeChat», sono molto più diffuse di quanto lo sia in America un sistema equivalente come «Apple Pay». Ma queste sono solo delle tecnologie che spostano la moneta tradizionale in modo elettronico. Il salto verso la criptovaluta trasforma la moneta stessa in un codice informatico. È quel che ha fatto un pioniere come bitcoin, che però esiste al di fuori dei sistemi regolati dalle banche centrali, pertanto non ha valore legale. Bitcoin è soggetto a fluttuazioni selvagge, che contraddicono il ruolo di uno strumento di pagamento. Perché una moneta sia di uso quotidiano, le chiediamo una certa stabilità. La Cina si appresta a darle proprio questo: una criptovaluta che ha dietro la banca centrale e offre garanzie che bitcoin non può dare. Al tempo stesso aumenta la capacità del Governo cinese di controllare la sua popolazione. La tracciabilità infatti è totale. Il cripto-yuan o criptorenminbi nega un principio di bitcoin che è l’anonimato dell’utente. Ma a Washington fa paura l’ambizione esplicita di Pechino di lanciare il cripto-yuan o cripto-renminbi come una valuta globale, un’alternativa al dollaro. Questo fra l’altro ridurrebbe l’efficacia delle sanzioni americane, le-

gata in prevalenza al ruolo del dollaro nel sistema internazionale dei pagamenti. Xi Jinping ha affermato il suo obiettivo: deve essere la Cina a stabilire le regole mondiali nelle criptovalute, così come fu l’America nel 1944 (alla conferenza di Bretton Woods) a creare le regole del sistema monetario postbellico. Finora quel sistema vecchio di 77 anni resta in piedi almeno per la centralità del dollaro, che continua ad essere usato per l’88 per cento delle transazioni sui mercati dei cambi, mentre lo yuan rappresenta solo il 4 per cento. Che le criptovalute possano intaccare la supremazia del dollaro è un timore condiviso da Federal reserve, Casa Bianca e Congresso. L’America ha sempre usato il predominio del dollaro come un’arma geostrategica. Quando Washington infligge sanzioni contro l’Iran, la Corea del nord, Myanmar, quando colpisce alti dirigenti cinesi per gli abusi commessi a Hong Kong o nello Xinjiang, quelle sanzioni fanno male perché 21 mila banche mondiali si adeguano pur di non correre il rischio mortale di essere isolate dal circuito del dollaro. Di recente Hong Kong ha dovuto pagare la sua governatrice con valigie di banconote, dopo che Carrie Lam è stata messa su una lista nera dagli americani. Ma questa efficacia delle sanzioni verrà ridimensionata se una parte del mondo dovesse convertirsi al cripto-yuan, che circolerebbe senza transitare dalle banche estere né dal sistema Swift che gestisce i trasferimenti di fondi internazionali. In una manovra militare virtuale, un war game organizzato dall’Università di Harvard nel 2019, un gruppo di esperti americani di strategia ha simulato uno scenario in cui la Corea del nord sviluppa missili a testata nucleare finanziandoli con criptovaluta cinese. Più ancora dei missili, gli esperti americani hanno trovato terrificante questo uso del cripto-yuan. Fra le tante infrastrutture che Joe Biden deve pensare a modernizzare, quella dei pagamenti digitali è stata trascurata troppo a lungo. Una parte del pianeta potrebbe scivolare nell’orbita monetaria della Cina per rendere invisibili i suoi affari agli americani. Un altro terreno dove si accentua la sfida tecnologica fra Cina e Stati uniti è l’industria dei semiconduttori

Il cripto-yuan (sopra in un’immagine simbolica) nega un principio delle «e-monete», che è l’anonimato dell’utente. (shutterstock)

(che includono micro-chip, circuiti integrati, memorie). General motors e Ford hanno dovuto rallentare o fermare stabilimenti per una penuria di semiconduttori che sono componenti essenziali delle auto, e nel resto del mondo dalla Toyota alla Volkswagen molte grandi case automobilistiche soffrono di questa crisi. Sullo sfondo c’è il ruolo strategico di un settore industriale che ha catturato l’attenzione di Joe Biden. Il presidente Usa ha convocato un summit con tutti i chief executive dell’industria dei micro-chip per affrontare l’emergenza. E nell’ultima legge di bilancio che Biden ha annunciato – il piano d’investimenti decennali da 2000 miliardi – 50 miliardi di dollari andrebbero a finanziare questo importante settore.

Chip o semiconduttori sono i minuscoli cervelli o memorie che fanno funzionare computer, cellulari, e molti altri apparecchi. Danno il nome alla Silicon Valley, letteralmente, perché il silicio è un materiale usato per fabbricarli. Però da tempo la Silicon Valley ha perduto il primato mondiale in questa produzione. Un tempo Intel era la regina mondiale, da anni ha dovuto cedere lo scettro a concorrenti asiatici, due in particolare: il gigante di Taiwan Semiconductor manufacturing company, e la Samsung sudcoreana. Queste due aziende hanno una posizione dominante soprattutto nei microchip più avanzati. Quando i lockdown del 2020 hanno paralizzato o perturbato la logistica globale, è suonato un campanello d’al-

larme a Washington. Il Pentagono si è spaventato per l’eccessiva dipendenza dell’industria militare americana da semiconduttori fabbricati sulla sponda opposta del Pacifico. La pandemia ha rivelato la fragilità di catene logistiche globali troppo dilatate. Che accadrebbe – si sono chiesti i vertici militari americani – se la Cina dovesse bloccare le rotte navali che da Taiwan e dalla Corea del sud riforniscono l’America di microchip? Nel frattempo la Cina stessa si è allarmata, perché Donald Trump stava cominciando a imporre restrizioni sull’export di microchip made in Usa verso la grande rivale. Quasi in contemporanea sono partiti due piani paralleli, uno americano e l’altro cinese per consentire un’autosufficienza producendo semiconduttori in casa.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 19 aprile 2021 • N. 16

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Politica e Economia

l’Irlanda del nord e i suoi «troubles»

l’analisi Lo scoppio delle violenze riporta alla mente i decenni bui terminati con gli Accordi del venerdì santo

In piazza la frustrazione alimentata dalla Brexit unita alla rabbia di giovani e giovanissimi senza prospettive Cristina Marconi Quando nel giugno scorso Bobby Storey è morto, al suo funerale sono andate duemila persone. C’erano tutti, compresa la vice prima ministra nordirlandese Michelle O’Neill e l’ex leader dello Sinn Fein, Gerry Adams. Capita quando uno è stato militante e capo dell’intelligence dell’Ira, l’esercito repubblicano. Sono vecchie affiliazioni che pesano, ricordi di un tempo sopito ma mai del tutto passato. Però in un anno in cui pure per le esequie del duca d’Edimburgo bisogna rimanere rigorosamente al di sotto dei trenta invitati, il fatto che la polizia abbia chiuso un occhio sul grande assembramento repubblicano in onore di Storey ha acceso una miccia che piano piano si è fatta fiamma e che non accenna a spegnersi. Una fiamma che preoccupa perché passa troppo vicino alla profonda crepa che la Brexit ha aperto negli Accordi del venerdì santo – le fondamenta della pace sull’isola firmati nel 1998, dopo diversi decenni di guerra civile (« The troubles») – lasciando scoperta materia esplosiva, pericolosa. Nel mondo della pandemia e del post-Brexit basta poco, nuova noia e vecchi rancori, perché l’equilibrio che regge l’Irlanda del nord da 23 anni a questa parte salti per aria.

L’inattività economica nell’età lavorativa è del 28 per cento, il Pil è molto inferiore al resto del Paese La Nazione è povera – l’inattività economica nell’età lavorativa è del 28 per cento, il Pil molto inferiore al resto del Paese – spaccata e trascurata da Londra e questa volta sono i lealisti che si sentono in minoranza. Per non dividere l’isola ed evitare il famigerato «hard border», confine fisico tra Irlanda del

nord e Repubblica irlandese, il protocollo approvato dal premier Boris Johnson con il trattato sulla Brexit ha preferito il male apparentemente minore dei controlli per i beni provenienti e diretti in Gran Bretagna. Il premier aveva minimizzato come è suo solito fare – i controlli saranno invisibili, aveva detto – ma l’Ue ha sempre messo in chiaro che non avrebbe accettato di fare dell’Irlanda del nord il punto di arrivo di beni e prodotti fuori norma nel suo mercato. Di fatto l’Irlanda del nord è rimasta nell’orbita Ue per stare vicino all’Irlanda, la Gran Bretagna è uscita nel modo più netto possibile. Nonostante i tentativi britannici di introdurre dei periodi di grazia per alcuni generi alimentari, scatenando un’azione legale da parte dell’Unione europea, nella pratica la burocrazia è stata inevitabile, le violazioni pure. Alcune guardie di frontiera hanno ricevuto minacce e poi, con un colpo di scena, la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ha proposto di usare l’articolo 16 del protocollo, quello che ne permette la sospensione in caso di emergenza, per bloccare una presunta fuoriuscita di vaccini dall’Ue. Si è subito scusata per l’avventatezza della proposta, ma che a delegittimare il protocollo sia stata proprio la parte europea ha lasciato una brutta impressione di volatilità, inusuale per l’Unione europea. Di fatto è come se il negoziato sulla Brexit non fosse mai finito in Irlanda: l’Ue chiede una sorta di allineamento dinamico su piante e benessere animale per ridurre i controlli. Londra ormai è allergica a tutto quello che strizza l’occhio alla Ue. Con un Paese chiuso in casa da un anno, il Regno unito non ha ancora avuto bisogno di fare i conti con la realtà pratica della Brexit. Ma l’Irlanda del nord è come una cassa di risonanza, tutto viene ingigantito. Proprio giovedì 15 aprile l’ex negoziatore britannico, ora membro del Governo, David Frost, è anda-

Agenti cercano di separare gruppi di unionisti e nazionalisti, mentre un autobus brucia in lontananza, a Belfast. (Keystone)

to a Bruxelles per parlare con Maroš Šefčović, sua controparte nella Commissione europea. Le posizioni restano distanti, il vuoto politico tangibile. Due settimane fa Londra ha mandato all’Ue un piano per l’attuazione del protocollo in cui definisce le aree in cui è possibile collaborare ma non include le date in cui le parti problematiche saranno attuate. E Johnson a Belfast ancora non si è fatto vedere. Cinque anni fa, prima del referendum, nella capitale dell’Irlanda del nord si erano invece fatti vedere i due primi ministri che più hanno fatto per dare pace al Paese, ossia il conservatore John Major e il laburista Tony Blair: hanno messo in guardia a più riprese, insieme o separatamente, sui rischi che un’uscita dalla Ue avrebbe comportato, tanto più se accompagnata da un’uscita dal mercato unico, come di fatto è avvenuto. Ma la Brexit risponde a un istinto nazionalista inglese che di Scozia e Irlanda del nord non si preoccupa più di tanto e molti brexiteers,

pur consapevoli del problema, avevano deciso di trascurarlo, facendo sentire abbandonati gli unionisti. Ora lo stesso ministro dell’Irlanda del nord del Governo Johnson, Brandon Lewis, ha ammesso che quello della regione è problema «complesso e sfaccettato» e che il protocollo ha avuto un ruolo nel portare ai gravi disordini di Belfast, ma anche di Derry e altre città, delle ultime settimane: poco meno di un centinaio di poliziotti feriti, una ventina di arresti e altrettante denunce. Qui non sono fantasmi del passato ad agitarsi, ma anche spiragli di un futuro sinistro. All’origine dei disordini ci sono giovani, giovanissimi, addirittura dodicenni che della stagione dei «Troubles» che ha insanguinato il Paese – 3500 vittime almeno – non hanno memoria diretta, ma che hanno sentito i racconti dei genitori, dei nonni e che tra disoccupazione, mancanza di prospettive e rabbia per una situazione che li fa sentire impotenti hanno scelto la violenza. Sono i «figli del cessate il fuo-

co», cresciuti in un Paese diverso ma non ancora del tutto trasfigurato, in cui l’integrazione è rara e, cosa più grave, le figure politiche di raccordo sono poche. Certo, c’è la povertà e c’è la rappresentanza politica debole, irresponsabile: usano i lealisti, ma non li aiutano. Con i ragazzi di tutto il mondo annoiati e con le energie sprecate, era facile far saltare la polveriera. E quindi, dopo anni in cui c’è stato solo qualche incidente isolato, la situazione ha preso ora una brutta piega. Gli unionisti sono scesi in strada, hanno chiesto la rimozione del capo della polizia che aveva permesso il funerale di Storey e, in una spirale fin troppo nota, hanno lanciato molotov e sassi, dato fuoco agli autobus, ferito poliziotti. In una Belfast tornata spettrale, i cannoni ad acqua sono stati usati per la prima volta da 6 anni a questa parte e le immagini raccontano una guerriglia che sembrava relegata all’album dei ricordi. Proprio mentre l’Irlanda del nord sta per compiere 100 anni.

coronavirus, l’India come il titanic

Il punto Milioni di pellegrini ammassati sulle rive del Gange per la festa indù del Kumbh Mela, poche le mascherine.

Nel Paese continuano le celebrazioni religiose, i comizi elettorali e le proteste di piazza mentre i contagi aumentano

Francesca Marino Le immagini sono quelle di sempre, quelle di prima che il Coronavirus cambiasse il mondo: qualche milione di pellegrini, donne, bambini, vecchi e giovani, ammassati dentro a qualche centinaio scarso di metri quadri sulle rive del Gange, ad Haridwar, che aspettano con ansia il loro turno per immergersi nel fiume, possibilmente in uno dei giorni più propizi secondo il complicato calendario che regola il Kumbh Mela. La più grande festa dell’induismo, qualcosa a metà tra una enorme fiera di paese, un circo e il nostro Giubileo plenario. È regolata da precise connotazioni astrali e si tiene in teoria ogni dodici anni. In mezzo ci sono i Kumbh minori, però, che si tengono ogni tre o ogni quattro anni. Ma «minore» non vuole certamente dire meno affollato: per ogni singolo Kumbh Mela, difatti, milioni di pellegrini provenienti da tutta l’India e spesso anche dall’estero si riversano nella città di volta in volta interessata dall’evento. L’ultimo grande Kumbh Mela si era tenuto ad Allahabad nel 2019: centocinquanta milioni di persone, contate per difetto, avevano partecipato all’evento durante i circa quaranta giorni della sua durata. Nessuno pensava a un nuovo Kumbh Mela,

Fedeli ad Haridwar per il Kumbh Mela. (Keystone)

perdipiù un anno prima del consueto, in piena pandemia. Ma invece, tra polemiche roventi, «la più grande festa dell’induismo» è andata di nuovo in scena ad Haridwar. Con treni speciali per i pellegrini provenienti da tutto il Paese e del tutto teoriche ferree misure di sicurezza. Teoriche perché – nonostante il Governo abbia imposto un test negativo a chiunque arrivi in città, l’uso di mascherine, un complicato sistema di telecamere a riconoscimento facciale per beccare e sanzionare i trasgres-

sori – è praticamente impossibile, visti i numeri e visto lo spazio limitato, fare osservare anche una sola di queste misure. «Rischiamo di provocare un massacro se fermiamo qualcuno», sostengono alcuni agenti di polizia. Senza contare che è improbabile riuscire a imporre a sadhu e naga baba vari (gli asceti) una qualunque misura precauzionale. I milioni di fedeli sono convinti che la santità di madre Gange li proteggerà dal virus. Per il momento però centinaia di devoti – inclusi una decina di santi uomini molto famosi e Yogi Adityanath, il primo ministro dell’Uttar Pradesh – sono risultati positivi alla Covid. E Haridwar ha registrato mille nuovi contagi in un giorno, mentre l’India viveva, ancora una volta, la sua giornata più nera: 184’372 nuovi casi di Coronavirus e un migliaio di morti, che portano la più grande democrazia del mondo a essere seconda soltanto agli Stati uniti per numero di contagi. Politici e scienziati denunciano la penuria di medicinali e ossigeno, a Delhi vengono nuovamente imposte alcune misure restrittive mentre in Maharashtra, lo Stato più colpito, è stato reimposto un coprifuoco più o meno stretto. Intanto, in altre parti del Paese, come nel Bengala occidentale, si con-

tinuano a tenere comizi in vista delle prossime elezioni nello Stato e i bagni di folla, per politici di ogni schieramento, sono la norma. Così come le affollatissime proteste di piazza, i matrimoni in cui, nonostante il numero degli ospiti sia per legge stato limitato a cinquanta, nessuno pensa nemmeno lontanamente a indossare una mascherina o a tenersi a distanza. Come le celebrazioni di Shivaratri e Holi a Benares e non solo, in cui migliaia e migliaia di persone si sono affollate per le strade a celebrare la festa religiosa con il dovuto fervore. Nonostante i divieti. Eppure a fine febbraio pareva che tutto fosse finito o quasi e l’India sembrava, anche rispetto a molti Paesi europei, una specie di modello da seguire. Era passata difatti dall’avere il più alto numero di contagi dopo gli Stati uniti a meno di diecimila casi al giorno: pochissimi, su una popolazione di quasi un miliardo e quattrocento milioni di persone. Le morti, percentualmente poche rispetto a quelle registrate in Occidente, erano scese sotto i cento casi al giorno. E Delhi, uno dei primi epicentri della Covid, per la prima volta da mesi non registrava alcun decesso e un bassissimo numero di contagi. Adesso, in piena «seconda ondata» di contagi che si presenta peggiore della prima, con il virus fuori controllo, impazzano anche

le polemiche. Sono in molti a criticare il Governo per avere permesso che si celebrasse il Kumbh Mela e ad accusarlo di non fare abbastanza per contenere i contagi. Non solo. Da sempre più parti si sottolinea l’uso di parametri diversi per differenti cittadini: lo scorso anno i fedeli della Tablighi Jamaat (musulmani) sono finiti sotto inchiesta per aver indetto un grande raduno religioso in piena pandemia, mentre oggi, in piena seconda ondata, la polizia chiude tutti e due gli occhi davanti alla violazione delle misure anti-Covid da parte dei fedeli induisti. Ma il peggio, dicono gli esperti, deve ancora venire: oltre al Kumbh Mela, è cominciato anche il mese di Ramadan che per i musulmani è sinonimo, oltre che di digiuno, di grandi cene tra amici per celebrare la rottura del digiuno suddetto, a cui bisogna aggiungere le varie celebrazioni per il nuovo anno di vari gruppi religiosi ed etnici. La campagna elettorale negli Stati in cui si vota continua a dispetto della Covid, mentre la campagna di vaccinazioni va a rilento. Le varianti del virus si diffondono e l’India, dice qualcuno, tra festival e celebrazioni, elezioni e proteste di piazza, comincia ad assomigliare sempre più alla sala da ballo del Titanic prima del naufragio.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 19 aprile 2021 • N. 16

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Idee e acquisti per la settimana

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 19 aprile 2021 • N. 16

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Politica e Economia

dietro l’incidente alla centrale di natanz

Un’istantanea di Qom, la quale attrae pellegrini e studenti di teologia da ogni dove. (shutterstock)

Prospettive Sale la tensione con Israele dopo quello che Teheran

definisce un attacco. Conseguenze sui negoziati sul nucleare

Daniele Raineri In teoria il programma atomico dell’Iran è una delle imprese scientifiche (e militari) meglio protette del mondo. Il regime iraniano sa alla perfezione che l’intelligence di Israele dedica molto tempo e una quantità enorme di risorse allo scopo di bloccare l’arricchimento dell’uranio iraniano: è il passo preliminare che porta verso la bomba atomica e quindi allo sconvolgimento per sempre di tutti gli equilibri in Medio oriente. Per questo nei negoziati gli iraniani cambiano spesso la percentuale di arricchimento dell’uranio, come se fosse un segnale: se sono soddisfatti la tengono bassa – attorno al 5 per cento – e se sono arrabbiati la alzano per lanciare un messaggio alla comunità internazionale. Quando il presidente americano Donald Trump si è ritirato dall’accordo nucleare che Obama aveva accettato nel 2015, gli iraniani hanno alzato la percentuale al 20 per cento per comunicare al mondo che erano furiosi. Per fare una bomba atomica serve uranio arricchito al 90 per cento. Settimana scorsa gli iraniani hanno annunciato che da ora in poi arricchiranno l’uranio al 60 per cento. Non era mai successo prima, vuol dire che sono lividi.

L’arricchimento dell’uranio a Natanz potrebbe essere sospeso per una decina di mesi, resta il sito di Fordow A dispetto delle misure di sicurezza molto strette e del clima di paranoia, a luglio una bomba è esplosa dentro il sito di Natanz, il più grande dedicato all’arricchimento, e alla fine di novembre un gruppo di sicari ha ucciso per strada il generale Mohsen Fakhrizadeh, che era il capo del programma atomico militare del Paese. A ottobre gli iraniani hanno cominciato a espandere la parte sotterranea della base di Natanz e hanno spostato lì la maggior parte delle migliaia di centrifughe che lavorano senza sosta con l’uranio, perché si sentivano più si-

curi. Domenica 11 aprile però, alle 4 del mattino, una bomba è esplosa a 50 metri di profondità dentro i sotterranei di Natanz, ha distrutto il generatore principale che fornisce energia al sito e anche quello ausiliario. Lo riporta il «New York Times» che ha sentito fonti di intelligence. Il Governo iraniano come fa in questi casi ha minimizzato, ma immaginiamoci il contesto. È una base dove lavorano migliaia di tecnici. Buio all’esterno e all’interno, in una rete di sotterranei in cemento armato, in compagnia di migliaia di centrifughe danneggiate che lavorano con un elemento radioattivo. Panico dov’esserci stato, ma per ora non ne sappiamo molto. Il portavoce dell’Agenzia atomica iraniana è caduto dentro un condotto dell’aria profondo 7 metri perché lo sfiato era coperto dai detriti dell’esplosione, si è rotto le gambe ed è finito a parlare ai telegiornali da un letto di ospedale e questo rafforza l’idea che ci sia stato molto caos. Da fuori i satelliti non riescono a fotografare danni evidenti, ma si parla di migliaia di centrifughe distrutte giù, sotto lo strato di cemento armato posato per difendere la base da eventuali attacchi aerei. Sempre secondo il «New York Times», l’arricchimento dell’uranio a Natanz potrebbe essere sospeso per i prossimi nove mesi. È molto probabile, per le ricostruzioni fatte finora, che una quantità significativa di esplosivo (150 chilogrammi) fosse nascosta dentro un pezzo di ricambio arrivato dall’esterno e non controllato abbastanza bene. Quando l’esplosivo è stato portato dentro la base i sabotatori l’hanno fatto saltare in aria con un comando a distanza, secondo l’ipotesi di lavoro più solida. Questo vuol dire che chi ha deciso il momento dello scoppio ha preso in considerazione fattori diversi. Ha scelto un orario prima dell’alba e questo ha risparmiato molte vite umane. Ha scelto il mattino dopo la giornata nazionale della tecnologia nucleare, una ricorrenza inventata dal regime per celebrare l’arricchimento dell’uranio che quest’anno è coincisa con l’annuncio dei primi test delle centrifughe Ir-9 in grado di arricchire l’uranio a una velocità 50 volte superiore alle centrifughe di prima generazione.

Un’immagine satellitare del sito di Natanz nel 2020. (Keystone)

Ma è molto probabile che siano state anch’esse distrutte dall’esplosione. E infine, ma non meno importante, chi ha ordinato il sabotaggio l’ha fatto tra il primo e il secondo incontro dei negoziati appena ricominciati tra Stati uniti e Iran. Sono negoziati indiretti, nel senso che americani e iraniani non siedono allo stesso tavolo, stanno in due diversi hotel di Vienna e gli intermediari europei fanno avanti e indietro con le proposte e le controproposte. Le trattative hanno l’obiettivo di riportare in vita l’accordo del 2015, che in sintesi diceva: gli Stati uniti sospendono le sanzioni economiche e l’Iran in cambio sospende l’arricchimento dell’uranio e permette agli ispettori internazionali l’accesso più trasparente possibile agli impianti. Adesso la grande domanda è: l’esplosione nel sito di Natanz ha danneggiato oppure favorito i negoziati? Dal punto di vista tecnico agli iraniani viene a mancare la principale arma di minaccia, che è l’accelerazione nell’arricchimento dell’uranio. Hanno a disposizione un altro sito, nella base di Fordow scavata nel fianco di una montagna, ma hanno perso materiale prezioso. Come fanno a negoziare? Questo spiegherebbe perché stanno bluffando sulla reale entità dei danni dentro Natanz, non vogliono apparire disperati. Dal punto di vista politico la lotta tra falchi e meno falchi dentro al regime sta diventando sempre più aspra. I falchi vogliono interrompere le trattative subito e ritengono che siano umilianti. I meno falchi sono più pragmatici. Vogliono la sospensione delle sanzioni economiche e ricordano ai falchi che era loro la responsabilità per la sicurezza del programma atomico mentre stanno passando da una sconfitta imbarazzante all’altra. Israele per ora non si pronuncia sull’accaduto, ma non era mai successo prima che ci fossero tante fughe di notizie sui media e tutte puntano in direzione del primo ministro, Benjamin Netanyahu. Uno dei suoi più stretti collaboratori, il capo del Mossad, Yossi Cohen, ha detto: «Io non ho firmato alcun accordo sul nucleare con gli iraniani. L’unico contratto che ho firmato è quello con i cittadini israeliani, per garantire la loro sicurezza».

la mente, l’anima e infine il cuore Iran Tre città in bilico tra oscurantismo

e aperture al pensiero contemporaneo Enrico Martino Un Paese ancora sospeso, a quasi mezzo secolo dalla rivoluzione islamica, tra un crescente desiderio di normalizzazione e un ottovolante geopolitico che anche negli ultimi anni non si è fatto mancare nulla: dalla rottura degli accordi sul nucleare alle nuove sanzioni americane sullo sfondo di guerre più o meno dichiarate lungo tutto l’arco della cosiddetta «mezzaluna sciita», dall’Iraq alla Siria e al Libano, fino al lontano Yemen in contrapposizione all’arcinemico saudita. Una serie di colpi di scena in cui si inseriscono le timide aperture dell’Amministrazione Biden, l’incontro di papa Francesco con il grande ayatollah iracheno Al Sistani, le prossime elezioni presidenziali iraniane del 18 giugno che vedono favoriti i candidati conservatori e il recente patto con la Cina, ormai primo partner dell’Iran, per una cooperazione «politica, strategica ed economica» di 25 anni. Prove di futuro per un Paese spesso indecifrabile perché, come dice un proverbio, la sua mente è a Teheran, l’anima a Qom e il cuore a Isfahan. La capitale è una spigolosa Los Angeles sciita con le sue Beverly Hills che si fermano ai piedi della muraglia di roccia dei monti Elburz e un’infinita sequenza di quartieri popolari che scivolano verso sud, 600 metri più in basso, ignorando faglie sismiche e fascinosi relitti urbani di ville e giardini. Circa 10 milioni di abitanti, 16 con l’area metropolitana, per una megalopoli che ogni sera un mare di luci trasforma in una mappa sociale, regolare e spendacciona a nord, debole e persa nel buio nelle periferie a sud. Non c’è strada senza foto di giovani martiri sorridenti e barbuti ma un irresistibile appeal occidentale rende le nuove generazioni più interessate a navigare sui social in cerca di influencer di successo che a una «guida suprema». Una foresta di antenne paraboliche, ufficialmente illegali, rendono difficile per le autorità mantenere il monopolio della verità, in un’eterna battaglia tra «guardiani della Rivoluzione» e telespettatori che commentano «quando i guardiani vengono a sequestrarle capiamo che è il momento di cambiare modello». Un caotico ma vitale sovrapporsi di oscurantismi, ambizioni geopolitiche e feste private, perché «prima si pregava in casa e si festeggiava fuori, ora si prega fuori e si festeggia in casa». Il passato rimbalza negli onirici giochi di specchi del palazzo di Golestan, testimone degli eccessi della dinastia Qajar, mentre l’immensa caverna di Alì Babà del Gran Bazaar – adesso chiusa a causa del Coronavirus – è ancora il regno indiscusso del potere dei bazaari, i commercianti. Gente pratica, liberale in economia e nazionalista in politica che ha finanziato la rivoluzione in un gentleman’s agreement in cui fede e business non ficcano

il naso negli affari altrui. Una città dove l’ascesa sociale si trasforma in una scalata non metaforica per avvicinarsi al cielo, al potere e a un’acqua meno inquinata, lungo l’asse verticale scandito dai 18 chilometri di Valiasr, strada cult raccontata dal regista Jafar Panahi in Taxi Tehran al ritmo di cantanti e mullah che sgranano rosari fingendo di ignorare distinte matrone che inveiscono contro qualche autorità. Non a caso si dice che la vera rivoluzione sarà quella in cui i mostaz’afine, «quelli che non possiedono», spingeranno i ricchi oltre le montagne, dentro il mar Caspio. L’antitesi di Theran è Qom, destinazione obbligata per ogni fedele in cerca di una ziyatrat, un pellegrinaggio. L’hanno definita in molti modi, Vaticano sciita, Oxford islamica, Leningrado della rivoluzione perché qui iniziarono le manifestazioni contro lo scià, ma forse sarebbe ancora un villaggio sperduto senza Fatimah Masumeh, figlia del settimo imam e sorella dell’ottavo, sepolta nell’anno 816 d.C. sotto la grande cupola dorata dell’Hazrat Masumeh. Da allora Qom è una calamita santa che attrae pellegrini e studenti di teologia dall’Oriente, dall’Africa e persino dalla patria del «grande satana», gli Usa, un universo tutt’altro che monolitico dove dogmatici sostenitori della supremazia della religione si confrontano con sofisticati teologi aperti al confronto con il pensiero contemporaneo. Più a sud un uomo intona un canto struggente nella penombra di un’arcata dell’antico ponte Pol-e Khaju guardando un fiume che non c’è più, lo Zaiandé deviato per portare acqua ad altre città in rapida crescita. Ritorna solo una settimana all’anno per la festa di primavera a Isfahan, «la metà del mondo». Terza città dell’Iran con un’economia industriale, ma soprattutto indiscussa capitale dell’anima di una Persia antica in cui raffinate architetture islamiche sapevano convivere con martiri e demoni della cattedrale armena di Kelisa-ye Vank. Il cuore di Isfahan batte ancora nell’immensa piazza Naqsh-e Jahan, «l’immagine del mondo» costruita nel 1602 dallo scià Abbas il grande, oggi ribattezzata Piazza dell’imam, lo stesso paesaggio urbano descritto nel 1937 nel libro La via per l’Oxiana da Robert Byron: «Isfahan è nel numero ristretto di quei luoghi, come Atene e Roma, che costituiscono una fonte continua di delizia per tutta l’umanità». Dietro la piazza il fiume carsico dell’Iran contemporaneo riemerge in una casa da tè affollata di ragazze scatenate in gare di selfie sotto arcigni ritratti di Ruhollah Khomeini e della guida suprema Ali Khamenei. Perché anche l’ortodossia sciita deve fare i conti con la sofisticata complessità culturale di un Paese capace di metabolizzare persino gli invasori più coriacei. E mai è accaduto il contrario.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 19 aprile 2021 • N. 16

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Politica e Economia

le relazioni pericolose

Piazza finanziaria Per Credit Suisse si prospettano perdite miliardarie a seguito del fallimento di un cliente al quale

aveva dato fiducia – Un buco che segue di poco le perdite generate dal fallimento della società inglese Greensill Marzio Minoli «Ci risiamo!» Questo è uno dei tanti commenti sentiti in questi giorni dopo l’annuncio del fallimento di un fondo di investimento statunitense al quale Credit Suisse, assieme ad altre banche, aveva prestato miliardi di dollari. Insomma, sembra che la lezione del 2008 non sia ancora stata imparata completamente. Ma è così? Non proprio. Le cose sono diverse da quanto successo una dozzina d’anni fa. Le vicende che vedono coinvolta la seconda banca elvetica, assieme a Goldman Sachs, Morgan Stanley e Nomura, tanto per citare le più conosciute, è dovuto ad un’operazione specifica e non ad un problema di «sistema», come fu nel 2008 e negli anni seguenti. Insomma, la cosa, al momento, è circoscritta e non ha lasciato strascichi sul mercato. Ma vediamo i fatti. Il family office Archegos Capital Management, con sede a New York, è fallito lasciando dietro di sé una scia di perdite miliardarie. Un family office è una sorta di «boutique» nel mondo delle fiduciarie, specializzato nel seguire clienti molto facoltosi, sia per le questioni finanziarie ma anche per molti altri aspetti, dal trovare una casa alla scuola per i figli. Dal punto di vista finanziario Archegos operava come se fosse un hedge fund, quindi con operazioni molto aggressive sui mercati, utilizzando strumenti derivati anche abbastanza complicati, ben oltre le classiche opzioni o futures. Nel caso specifico, e se qualcuno volesse approfondire, il metodo utilizzato è stato quello del total return swap (TRS). Strumento che dal punto di vista legale non passa attraverso il mercato, essendo un contratto tra due parti. Il fondo aveva delle grosse posizioni su titoli americani e cinesi, nel comparto dei media e della tecnologia. Posizioni aperte con diverse banche, tra le quali Credit Suisse. La particolarità delle operazioni è che, come detto, venivano usati questi TRS, i quali praticamente non mostrano l’esposizione totale del fondo, quindi le banche non erano a conoscenza di quanto esso fosse coinvolto con gli altri istituti, e concedevano prestiti per poter operare «a leva». In altre parole, semplificando, con 1000 franchi il fondo poteva entrare sul mercato per un controvalore, diciamo, di 10’000 franchi. Questa è la cosiddetta «leva». Sono operazioni normali, che le banche fanno regolarmente, con clienti solidi e con operazioni trasparenti. Anche perché, accanto ai prestiti, si chiede di versare, come garanzia, una determi-

nata somma, solitamente una percentuale del totale delle operazioni, la quale ben difficilmente supera il 10%. Ed è proprio qui che iniziano i problemi. I titoli acquistati dal fondo, nella settimana iniziata lunedì 22 marzo, hanno iniziato a perdere valore. Ecco quindi che le banche hanno chiesto al fondo di investimento di versare ulteriori soldi come garanzia per coprire eventuali perdite. È il cosiddetto margin call, del quale si è sentito parlare. Ma Archegos ha risposto che di soldi non ne aveva più. Cosa succede dunque? Le banche iniziano a vendere i titoli di proprietà del fondo, per limitare le perdite e rientrare dei prestiti concessi. I primi a fare questa operazione sono state le americane Goldman Sachs e Morgan Stanley. E lo hanno fatto vendendo blocchi di titoli per miliardi e miliardi di dollari, facendo crollare il prezzo di queste azioni anche del 30%. Credit Suisse, con Nomura, invece si è mosso tardi. Ha aspettato e quindi si è ritrovato a liquidare le posizioni dopo che avevano già perso molto. Da qui nascono le perdite. Credit Suisse ha già comunicato che ci si attende per il primo trimestre un risultato negativo di 900 milioni di franchi, tenendo conto di 4,4 miliardi di franchi di perdita legati alla vicenda Archegos. E non è tutto, sono già saltate due teste, quella di Lara Warner, responsabile del risk management e del dipartimento legale e quella di Brian Chin, a capo dell’investment banking. Fin qui i fatti. Ma ora ci sono delle considerazioni da fare. Abbiamo detto che quanto fatto sono operazioni normali, che hanno una componente di rischio, certo, ma come in tutte le attività aziendali. In questo caso però ci sono due fattori che possiamo definire delle aggravanti che si sarebbero dovute tenere in considerazione prima di elargire miliardi. La prima: dietro ad Archegos c’è qualcuno di ben preciso. Si tratta di Bill Hwang, un gestore di fondi di origini sudcoreane emigrato da adolescente negli Stati Uniti. Hwang una decina di anni fa era stato coinvolto in guai giudiziari e riconosciuto colpevole di utilizzo di informazioni riservate nelle sue operazioni finanziarie. Un fatto che, in teoria, lo avrebbe dovuto mettere per sempre sulle liste nere di tutte le banche d’investimento. Ma così non è stato. Dopo dieci anni, si è voluto ridare fiducia a Hwang. Perché? Semplicemente perché è una macchina da soldi capace di generare ricavi su ricavi per le banche. Dunque, nell’eterna lotta tra dipartimenti bancari, tra chi deve controllare

Due casi in cui al Credit Suisse la ricerca del profitto ha prevalso sul controllo dei rischi. (Keystone)

i rischi e chi invece è chiamato a generare profitti, sembra che in questa occasione abbiano vinto i secondi. A parziale discolpa del risk management si può certo dire che Hwang, grazie all’utilizzo dei TRS, è stato capace di rimanere fuori dai radar delle banche. Ma questo non basta. Il nome e la reputazione del cliente erano conosciuti. Il secondo punto è proprio l’utilizzo di questi strumenti derivati, che rendono molto complicato verificare la trasparenza delle operazioni. Qui di certo non è colpa delle banche. Sono strumenti assolutamente legali. Il problema, come spesso accade, sono le regole del gioco che lasciano ancora troppo spazio a queste operazioni. Ora non rimane che attendere il 22 aprile, quando Credit Suisse presenterà i risultati trimestrali definitivi. La banca non è in pericolo. I requisiti di

capitale rimangono solidi, perlomeno stando a quanto comunicato dall’istituto di credito in questi giorni, e questa è una buona notizia. Da capire però come reagiranno alcuni azionisti particolarmente influenti. Chiederanno altre teste? Vorranno, come già chiesto in passato, scorporare Credit Suisse? Oppure tutto passerà come se nulla fosse? Il problema è che Credit Suisse, ultimamente, è stato coinvolto in più operazioni dubbie dal punto di vista dell’opportunità. Abbiamo parlato del caso Archegos, ma non bisogna dimenticare che poco tempo prima Credit Suisse è stato coinvolto anche nel fallimento della Greensill. In questo caso si è trattato di una società inglese specializzata nel concedere prestiti ad aziende, le quali garantivano questi prestiti tramite le fatture che avrebbero dovuto incassare. Purtroppo molte di queste aziende non

sono state in grado di ripagare questi debiti, decretando di fatto il fallimento di Greensill. Credit Suisse aveva creato dei fondi di investimento su queste operazioni. Fondi che ad un certo punto non valevano più nulla. Con Greensill Credit Suisse non perderà molti soldi. Infatti, aveva prestato alla società solo, si fa per dire, 160 milioni di dollari, in parte ripagati. A farne le spese saranno però i clienti che hanno acquistato i fondi creati dalla banca e si parla di 3 miliardi di dollari. Fortunatamente erano destinati solo a grossi investitori, e quindi il piccolo cliente non ne subirà conseguenze. Ma per Credit Suisse in questo caso, il problema è reputazionale. Aggiungendo questo al caso Archegos, sembra chiaro che ora uno dei principali obiettivi per Credit Suisse è quello di ricostruirsi un’immagine. annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 19 aprile 2021 • N. 16

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Politica e Economia

lezioni economiche dalle pandemie della storia

analisi Le epidemie mondiali, frequenti ma considerate scenario poco frequente, mettono in luce

ancora una volta la vulnerabilità della società globale Edoardo Beretta La pandemia da COVID-19 non è paragonabile, sia dal punto di vista medicosanitario emergenziale, sia per impatto sulla società globale, ad altro avvenimento recente e continua purtroppo a scrivere storia. Purtuttavia, la crisi economico-finanziaria globale (2007-8) con propagazione planetaria ed «effetti domino» senza precedenti a seconda di Nazioni e continenti è anch’essa stata foriera di insegnamenti ed ha ricordato ai sistemi bancari e finanziari mondiali che da sempre nella storia economica la sovraconcessione di prestiti è stata all’origine di bolle finanziarie, movimenti speculativi e crash su vari mercati. Se proprio si cercasse una differenza, si potrebbe osservare che la globalizzazione funge da «acceleratore» rendendo quanto è poco probabile sempre più possibile. SARS-CoV-2 ha quindi smascherato l’impreparazione di una società che negli ultimi anni si è focalizzata (almeno in parte) su progresso tecnologico fine a se stesso, risultando non consapevole (o rimuovendo) che le pandemie nella storia dell’umanità sono state ricorrenti e traumatizzanti per durata e vittime. L’impatto economico a livello mondiale (laddove le previsioni di gennaio 2021, come sempre ottimistiche, siano confermate) sarà enorme: contrazione del PIL globale pari a –3,5%1, che

equivale a sua volta a 3072,27 miliardi di dollari2 . Per non parlare di quello occupazionale e di volume d’affari su settori specifici − ad esempio, quello del turismo, ma anche del commercio al dettaglio o della ristorazione oltre che dell’ospitalità − o di alcune Nazioni in particolare. Concretamente, il rischio di contagio ha messo in luce macro-aspetti (ad

esempio, piani pandemici talvolta non aggiornati), ma anche micro-aspetti (ad esempio, la mobilità individuale) trattati quali totem prima del 2020. Fra i primi, si constata che la «filiera lunga» (cioè una supply chain articolata, transfrontaliera e dipendente da partner esteri) è di difficile gestione in situazioni di crisi eccezionali: ancor più, laddove vi siano pressanti esigenze di

Pandemie nella storia3 Pandemie Peste antonina Peste di giustiniano Epidemia di vaiolo giapponese Peste nera vaiolo nel nuovo Mondo Pesti del XvII secolo Piaga del XvIII secolo terza pandemia Influenza russa sesta pandemia di colera Febbre gialla Influenza spagnola Influenza asiatica Influenza di Hong Kong HIv/aIDs sars Influenza suina Ebola MErs CovID-19

Periodo 165 – 180 541 – 542 735 – 737 1347 – 1351 1520 XvII secolo XvIII secolo 1885 1889 – 1890 1899 – 1923 Fine del XIX secolo 1918 – 1919 1957 – 1958 1968 – 1969 1981 – oggi 2002 – 2003 2009 – 2010 2014 – 2016 2015 – oggi 2019 – oggi

Numero di decessi ~ 5’000’000 ~ 30’000’000 – 50’000’000 ~ 1’000’000 ~ 200’000’000 ~ 56’000’000 ~ 30’000’000 ~ 600’000 ~ 12’000’000 ~ 1’000’000 ~ 1’000’000 ~ 100’000 – 150’000 ~ 40’000’000 – 50’000’000 ~ 1’100’000 ~ 1’000’000 ~ 25’000’000 – 35’000’000 ~ 770 ~ 200’000 ~ 11’000 ~ 850 2’600’8394

salute pubblica. Inutile ricordare, a titolo esemplificativo, che a marzo/aprile 2020 mascherine protettive (ma anche calzari, guanti etc.) siano divenute merce rara in quanto perlopiù prodotte in Cina, ma difficilmente ordinabili e consegnabili con tempestività in quei giorni convulsi. Si è altresì scoperto che la riduzione degli stock − in generale così come del prodotto specifico − può far sì risparmiare qualche costo aziendale, ma è estremamente critica nel worst-case scenario (cioè in situazioni dove al peggio pare non vi sia limite). L’«odiata» plastica con il suo meccanismo di «usa e getta» ha, poi, contribuito a garantire gli alti livelli di ricambio di dispositivi di protezione (ormai di utilizzo quotidiano) quali mascherine, guanti etc. Il ricorso generalizzato al telelavoro − smart working, per dirla con i sostenitori «neofiti» di un approccio lavorativo fino a poco tempo fa banalizzato nonostante diversi studi ne rilevassero l’alto livello di performance a qualità di vita migliore − ha dimostrato che la «logica del cartellino» e dell’«andare al lavoro» sia in molti ambiti del terziario superata. Nel contempo, fra i secondi, la pandemia ha insegnato che l’utilizzo di mezzi pubblici (fino ad allora propugnato come modalità di trasporto green) in situazioni eccezionali, ma pur sempre ricorrenti nella storia non

sia sostitutivo − semmai, complementare − ai mezzi di spostamento privati. Tutto ciò senza demonizzazioni o idealizzazioni tipiche di epoche in cui le posizioni individuali si generano (ed abbandonano) a ritmo di post sui social media. Perché − la storia lo insegna − la gestione di società sempre più globali deve avvenire nella consapevolezza che non tutto vada sempre bene e si debba essere pronti, sotto il profilo organizzativo, produttivo e logistico, a far fronte a sfide complesse. La pandemia, anche nella sua fase attuale caratterizzata da diffusi livelli d’inefficienza, perlopiù, nella somministrazione dei vaccini, sta dimostrando come la strada sia ancora lunga da percorrere. Historia magistra vitae, nelle parole di Cicerone. note

1. https://www.imf.org/en/Publications/WEO/Issues/2021/01/26/2021world-economic-outlook-update. 2. Elaborazione propria di: https:// data.worldbank.org/indicator/ NY.GDP.MKTP.CD. 3. Elaborazione propria di: https:// www.visualcapitalist.com/historyof-pandemics-deadliest e https:// www.imf.org/external/pubs/ft/ fandd/2020/06/long-term-economicimpact-of-pandemics-jorda.htm. 4. Dato del 10 marzo 2021. annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 19 aprile 2021 • N. 16

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Politica e Economia rubriche

Il mercato e la Piazza di angelo rossi cambiamento climatico: per saperne di più Il cambiamento climatico è una delle grosse sfide che la popolazione mondiale dovrà affrontare nel corso di questo secolo. Un aumento della temperatura media, fosse anche di un solo grado entro fine secolo, avrebbe importanti ripercussioni sulle condizioni meteorologiche, sulle attività economiche, sul paesaggio e sulla società. Si sa che l’aumento della temperatura farà sciogliere la calotta di ghiaccio dell’Artico e aumentare il livello dei mari con conseguenze catastrofiche per gli insediamenti in riva al mare. Da uno studio pubblicato recentemente apprendiamo, per esempio, che sono più di un centinaio gli aeroporti nel mondo che dovrebbero essere abbandonati perché si trovano a meno di 3 metri di altezza sul livello del mare. Ovviamente le conseguenze negative del cambiamento climatico non si ma-

nifesteranno solamente in riva al mare, ma influenzeranno l’andamento delle condizioni meteorologiche in tutte le regioni del mondo. Anche il nostro Cantone rischia di andare incontro a cambiamenti importanti delle sue condizioni meteorologiche durante i prossimi decenni. È quanto si può apprendere dai dati e dai grafici riprodotti nella recente pubblicazione Il clima in Ticino dell’Ufficio cantonale di statistica. Cominciamo dall’aumento della temperatura media. La pubblicazione dell’Ustat ci fornisce stime per il 2085 e per due scenari. Il primo indica il cambiamento di temperatura che si manifesterà se tutti i provvedimenti di tutela del clima venissero realizzati, mentre il secondo dà la temperatura che si manifesterebbe se non si adottasse nessun provvedimento. Le stime riguardano la temperatura

in due località, Locarno-Monti, che viene considerata come una località di pianura, e Piotta che, invece, dovrebbe rappresentare le località di montagna. Gli scenari danno la temperatura minima, media e massima per tutti i mesi dell’anno di previsione. Le previsioni per il 2085 possono poi venire confrontate con i valori medi per il periodo 1981-2010. A titolo di esempio riportiamo i valori medi della temperatura per il mese di luglio. Nel periodo di riferimento, ossia tra il 1981 e il 2010, secondo la mia lettura dei grafici della pubblicazione in questione, a LocarnoMonti si è registrata una temperatura di 23 gradi, mentre a Piotta la temperatura media si aggirava sui 18 gradi . Alla fine di questo secolo la temperatura media per il mese di luglio, secondo lo scenario con i provvedimenti di lotta contro il cambiamento climatico, salirà

di circa 1 grado in ambedue le località. Se i provvedimenti in questione non fossero adottati, invece, a LocarnoMonti la temperatura media per il mese di luglio salirà a 26 gradi e a Piotta a 21 gradi, con un aumento pari quindi a 3 gradi rispetto alla situazione odierna. In Ticino, tra 60 anni, potrebbero quindi esserci molte più notti tropicali di quanto non sia il caso oggi. Farebbero affari coloro che vendono impianti di climatizzazione, se già non li stanno facendo. Il cambiamento climatico influenzerà anche l’evoluzione delle precipitazioni. Nei primi tre mesi dell’anno dovrebbero esserci più precipitazioni, mentre da luglio a settembre cadrebbero meno millimetri di pioggia che attualmente. Si possono facilmente immaginare le conseguenze di questi cambiamenti. Essi potrebbero influenzare negativamente l’attività agricola,

il turismo invernale (meno nevicate), la produzione di energia idroelettrica e altre attività economiche che dipendono da una abbondante fornitura di acqua. Il turismo estivo, invece, potrebbe essere favorito dal cambiamento climatico. Almeno lo sarà fino a quando il numero dei giorni e delle notti tropicali non diventerà eccessivo. Stando ai grafici della pubblicazione che commentiamo questo potrebbe però essere il caso nello scenario che stima cosa potrebbe succedere se non si adottassero provvedimenti per combattere il cambiamento climatico. Secondo noi, con le stime dei suoi scenari, la pubblicazione dell’Ustat, anche se non si occupa di quantificarne le conseguenze, offre dati e argomenti molto convincenti a sostegno dei provvedimenti con i quali le nostre autorità intendono combattere il cambiamento climatico.

qualche conflitto, a stare al suo posto. Filippo di Edimburgo rappresenta la storia politica e culturale del Novecento europeo. Lo strazio politico della fuga dalla Grecia, dove era nato ma dove non ebbe la possibilità di crescere perché la corona greco-danese fu bandita dopo la campagna greca della guerra di indipendenza turca. Filippo arrivò così a Parigi con i genitori e le sorelle. Da lì inizia una diaspora familiare che racconta i drammi europei di quell’epoca a cavallo delle due guerre mondiali e molti drammi personali. La madre schizofrenica, il padre con le sue amanti a Montecarlo, le sorelle che sposano nobili tedeschi che di lì a poco sarebbero diventati sostenitori dei nazisti (per questo al matrimonio di Filippo non sarebbero state invitate). Filippo trova l’Inghilterra grazie allo zio Louis Mountbatten, primo governatore dell’India indipendente e poi ucciso in un attentato dell’Ira nord irlandese. Il Paese che lo avrebbe accolto e amato ha la faccia scura di una scuola in cui contano solo il rispetto e la disciplina. L’aria mediterranea a cui Filippo era abituato lascia il posto

al fango, ai cieli grigi, alla solitudine soprattutto, quella che ha plasmato i primi 20 anni del futuro principe. Ma è anche la terra della battaglia per la libertà durante la Seconda guerra mondiale, la terra della Royal navy e della Royal air force, in cui Filippo trova una causa, una compagnia e infine Elisabetta, le lunghe lettere che si scrivevano e il matrimonio. Ingrid Sewer ha scritto un libro notevole sul duca di Edimburgo, Prince Philip revealed. A differenza di molti altri autori e registi che hanno raccontato Filippo, Sewer ha iniziato a parlare direttamente con lui dagli anni Settanta. Dice che all’inizio è stato disastroso perché Filippo «fu molto maleducato con me», spesso lo era con altri, era irascibile e al contempo generoso, sensibile. Per trovare la sintesi tra questo istinto ribelle, di uno che aveva attraversato l’Europa delle guerre senza una patria, principe apolide con una famiglia in disarmo e il ruolo istituzionale di consorte, di padre e di rappresentate della monarchia, Filippo ha faticato molto. Lo racconta Sewer, lo raccontano i film e le serie televisive che, pur con molte

imprecisioni, immortalano un uomo che misura e interpreta quel passo indietro cui la vita reale lo ha destinato. E la cosa meravigliosa di Filippo è che è riuscito a fare tutto senza doversi mai confessare con qualche giornalista o confidente pettegolo: ci sono le sue celebri gaffe, pubbliche e spesso comiche, ma non ci sono sue dichiarazioni familiari scandalose né lagnose. Scriveva molte lettere, amava dipingere e disegnare gioielli, conosceva tutte le razze di uccelli al mondo. Proteggeva ma sapeva essere anche brutale con i suoi familiari. Intuì che, tra i tanti equilibri che andava cercando, ne andava trovato uno tra la monarchia e il mondo che fuori cambiava e chiedeva uno sguardo più attento a quei reali che sono da sempre attrazione e sconforto insieme per il pubblico inglese. Il suo posto era quello, come disse Elisabetta in occasione delle loro nozze d’oro, definendo Filippo «my strenght and stay», la mia forza e la dedizione, la solidità e la presenza, la misura esatta di un passo indietro che dava spazio alla regina, ma non l’ha fatta sentire sola. Che è quello che i popoli chiedono a chi li governa.

fare una donazione è facoltativo, così come scegliere quanto donare, se farlo una volta sola o più volte. Chi non apre il portafogli continua a ricevere tutte le newsletter e a poter ascoltare il podcast. Chi apre il portafogli non ottiene ricompense o contenuti premium: solo la mia gratitudine, ma soprattutto la soddisfazione di aver reso possibile un progetto che altrimenti non esisterebbe per nessuno». Il vice direttore de «Il Post» definisce questa formula «acrobatica», ma ci sono aggettivi più appropriati per giudicarla. Di sicuro essa è «corretta», poi anche «coinvolgente» e «attraente» dal momento che ha convinto oltre 55’000 persone a seguire un singolo giornalista e a diventare comunità attiva, quindi di essere un utile punto di riferimento in grado di fornirgli giudizi e critiche. Nell’ultima stagione di questo personale «modello di business» (iniziato nel 2016, inviato alle presidenziali che portarono all’elezione di Donald Trump di

cui è diventato uno dei più autorevoli conoscitori) gli iscritti a Da Costa a Costa hanno ricevuto 55 corpose newsletter e 27 episodi del podcast, tutti lavori reperibili negli archivi e all’insegna della gratuità. Il bilancio economico attesta invece che lo scorso anno Costa ha ricevuto 107 mila euro da quasi 5000 donatori. Ciò significa che solo un 10 per cento dei lettori che ricevono la sua newsletter aprono anche il borsellino per quanto ricevono. Lui, ammettendo di pensare ogni tanto alla maggioranza dei lettori che «seguono questo lavoro con costanza ma senza apprezzarlo al punto da pagare qualcosa (…) o decidono di non donare niente solo perché tanto lo fa qualcun altro», si limita a dire che il suo è un bicchiere mezzo pieno, dal momento che analoghi «progetti» giornalistici dei media digitali in media possono contare solo su un 1% di donazioni. Quanto alle spese, dopo aver ricordato che il fisco si porterà via un 40% delle donazioni, spiega un po’

tutto con questo passaggio: «Se il mio lavoro vi piace e vi interessa al punto da aver fatto una donazione, confido che vi fidiate del mio buon senso: ho cercato di fare le cose nel modo più serio e professionale possibile», cioè viaggiando e documentandomi. Francesco Costa spiega che per ogni viaggio di circa 2 settimane negli Usa deve calcolare più o meno 7000 fr., ma lo scorso anno, bloccato dalla pandemia, le uscite maggiori sono state quelle per abbonamenti a giornali e riviste americane, oltre che per la realizzazione dei podcast. Merita segnalazione la donazione di 5000 euro a una fondazione contro la violenza alle donne. Un gesto che, oltre a confermare la sensibilità del donatore, è servito anche come antidoto contro chi sui social ha subito cercato di seminare invidia sociale («Ma chi è questo Francesco Costa che ha tutti questi soldi?»), mirando a infangare la professionalità di uno dei più seguiti giornalisti italiani.

affari Esteri di Paola Peduzzi l’istinto ribelle e la dedizione Il principe Filippo era sempre un passo indietro rispetto alla regina, sapeva stare al suo posto. Quando è morto a 99 anni, il 9 aprile scorso, a due mesi dal suo centesimo compleanno, i media mondiali hanno sottolineato questo del duca di Edimburgo: la capacità di interpretare il suo ruolo. Fosse stato una

Il principe Filippo è morto il 9 aprile scorso a 99 anni. (shutterstock)

principessa, Filippo, probabilmente questi termini ci avrebbero infastidito. Avremmo pensato: è sminuente celebrare una persona perché sapeva stare al suo posto, come le statuine, come un pezzo d’arredamento. Cosa indicibile riguardo a una donna, viste le difficoltà che hanno le donne a trovare spazi, modi e toni. Ma questa è la Corona reale britannica, istituzione che buona parte dei Paesi del Commonwealth vorrebbe abolire perché retaggio di un mondo che non esiste più, eppure modernissima perché ha dato una sua interpretazione alla parità di genere, senza increspature e rimorsi. Le donne fanno le regine, a casa Windsor. Anzi, voltandosi indietro, la monarchia britannica è essenzialmente donna: ricordiamo più le regine dei re. Oggi ci torna in mente l’inconsolabile regina Vittoria e il suo lutto perenne per il principe Alberto. Nel secolo scorso il re che ricordiamo è quello che re non rimase a lungo, Edoardo VIII, il quale rinunciò al trono e al potere per amore. Dal canto suo Elisabetta II è diventata la regina del secolo e Filippo il suo principe che ha imparato, non senza

Zig-Zag di ovidio Biffi giornalismo declinato al futuro Forse lo ricordate per alcune apparizioni al Tg della Rsi in qualità di esperto sulle elezioni americane. O magari lo conoscete come vicedirettore del giornale online italiano «Il Post» o per le sue presenze su Twitter e Instagram. O addirittura lo avete conosciuto di persona, l’estate scorsa, scrittore e conferenziere ospite a Lugano Longlake. Lui è Francesco Costa e il sabato prima di Pasqua è tornato a inviarmi un’email. Prologo: «Nell’ultima newsletter della quarta stagione di Da Costa a Costa vi avevo detto che nel corso del 2021 vi avrei informati sul conto economico del 2020». Poi, ritrovando il solito candore, confessa di essere tornato «anche per riprovare il brividino di fare clic e mandare un’email a 55’000 persone». Oltre che uno dei più brillanti giornalisti italiani, Costa conferma di essere un magnifico esempio di come, facendo le cose giuste, i giornalisti possano trovare sbocchi in un settore martoriato dalle crisi e dalle incertezze.

Analizzando il consuntivo di un lavoro esplicato nelle ore notturne e durante i fine settimana, il vice-direttore de «Il Post» giunge alla conclusione che il suo modello di newsletter abbinata ai podcast è per certi versi contraddittorio, però funziona grazie a due principi. Innanzitutto ha contenuti tutti gratis: Costa crede che l’attività giornalistica serva a fornire alle nostre società un servizio indispensabile e che il diritto a un’informazione di qualità non debba essere subordinato né alla necessità di ricavare un sufficiente reddito o anche solo all’avere mezzi sufficienti. Poi è modello «sui generis» per le entrate, come spiega lo stesso Costa: «Ogni settimana – ma soltanto quando il progetto è attivo – invito le persone che seguono Da Costa a Costa a valutare la possibilità di fare una donazione economica, perché l’attività giornalistica comporta dei costi, è un lavoro e in quanto tale merita di essere pagato. Quanto? Lo decidete voi. Scegliere se


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 19 aprile 2021 • N. 16

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cultura e spettacoli la verità di galia Le accuse di Galia Oz verso il padre Amos hanno sconquassato il mondo letterario israeliano

la montagna di Kirchner L’espressionista tedesco Ernst Ludwig Kirchner in un’importante mostra alla Fondazione Braglia di Lugano pagina 39

la lezione di lennon È uscito il cofanetto celebrativo per i 50 anni dell’esordio solista dell’ex Beatles John Lennon pagina 42

pagina 37

Il tempo di ogni vita

In memoriam In ricordo del poeta

e saggista Adam Zagajewski

Guido Monti «Davvero nulla muta / nell’ordinaria luce diurna, / quando se ne va un grande poeta. / … // Quando, però, ci dovremo allontanare per molto / o per sempre da qualcuno che amiamo, / sentiremo improvvisamente che ci mancano le parole / e che saremo noi, da soli, a dover parlare: / più nessuno provvederà per noi / – perché se ne è andato un grande poeta». Questi alcuni dei versi di una poesia di Adam Zagajewski presente nel libro-antologia, Guarire dal silenzio, pubblicato da Mondadori nella collana Lo specchio e uscito nel settembre scorso per la cura e traduzione di Marco Bruno e che racchiude una scelta ben ponderata del percorso artistico dell’autore, dall’ultima raccolta del 2019, La vera vita, agli esordi nei primi anni Settanta. Sì, Adam Zagajewski, quasi ricalcando questi versi mirabili scritti nel 2009, si è spento il 21 marzo scorso a Cracovia sua città di elezione, nel modo in cui del resto ha puntellato tutta la vita, le relazioni, in punta di piedi, quasi davvero che il suo momento finale si fosse coronato di quel modo discreto d’essere e stare al mondo: sparire senza troppo disturbare, per indole. Nato a Leopoli nel 1945, città di confine in quel momento polacca, ed eternamente contesa dalle potenze belligeranti, è stato erede di una tradizione letteraria tra le più significative del novecento europeo, che vide in Herbert, Miłosz, Różewicz, i più alti rappresentanti; ma ne fu anche l’ultimo, poiché i poeti di una generazione più giovane si erano a costoro ribellati, accusandoli di «retorica, magniloquenza, moralismo e altri peccati mortali» come lui affermò con un filo di ironia in una intervista. Zagajewski è stato capace con la sua poesia, di cogliere i grandi temi consustanziali all’uomo ma sempre partendo dalla quotidianità e come un pittore affamato delle tante sue sfumature, sapeva darne il giusto accento nella tela variegata della pagina; ma da ogni pennellata linguistica, prendeva forma nel verso, per paradosso, lo stig-

ma di ciò che transitorio non è, di ciò che l’effimero porta codificato nel suo bruciare: «Ecco: rivedo quei ragazzi, nel sole / meridiano, li rivedo saltare nel mare / schiacciandosi il naso fra le dita a Istanbul / … / Non so se fossero felici, ma io / lo fui, per un attimo, nel fulgore / del giorno di maggio, nel guardare /». Zagajewski ha saputo trattenere nell’urna luccicante della poesia, la cenere chiarissima della vita, il suo sfavillio, la sua estrema volatilità, facendo intuire che solo e ogni attimo è fondante, non certo le progettualità esasperate della nostra contemporaneità già presenti nel secolo scorso e utilizzate talvolta nelle forme più deleterie, per alimentare e attuare le imperanti e nefaste ideologie del nazional socialismo prima e del real socialismo dopo, che costrinsero appunto quest’uomo e la sua famiglia, a migrare in giovane età da Leopoli a Gliwice, città della Polonia centrale e poi successivamente in età matura a Parigi. Zagajewski quindi cosa fa nella sua scrittura, se non mettere alla berlina le vaste progettualità che si fanno prassi? fagocitando e rendendo inerti nella loro espansione, gli attimi dell’uomo, privato sempre più di quello spazio vitale e intimo che gli è consustanziale: «Prima ci sono i programmi, / poi i resoconti / … / Tutto dev’esser previsto / Di tutto bisogna / dopo / raccontare / Ciò che succede davvero / non richiama l’attenzione di nessuno». Quell’attimo che il poeta è riuscito nelle pagine a dilatare, rendendolo eterno e dove dentro gioca un ritmo strofico, capace di far dialogare tempi e territori assai lontani; e allora si reinnesta nella cifra del verso un ordine che non è più quello della progettualità analitica occidentale, ma dell’intuizione, retaggio della grande cultura orientale, e così nella pagina tutte le visioni giocano in un idillio circolare sovraordinato a qualsiasi paradigma razionale. Donne e uomini sembrano nominare, nei dialoghi col poeta, non il tempo che è stato, ma, partendo da quello, il tempo che verrà e che tornerà e che di nuo-

Adam Zagajewski è scomparso il 21 marzo. (shutterstock)

vo imploderà; passano nel libro le figure, si animano e poi spariscono dietro il quadro intatto della specie che rigermina appassionatamente nel suo ostinato DNA. E il grande sfondo naturale o cittadino col suo proscenio, si apre e chiude continuamente su ogni singola comparsa, come mosso da mani terribili ma giuste, perché pronte a parificare ognuno di là dei meriti, delle colpe, innanzi al tempo della fine. Sembra chiedersi il poeta ostinatamente: chi c’è dietro queste mani? Forse Dio? O la natura in sé, con i suoi rigogli e appassimenti, in un quadro meccanicistico o il suo mostrarsi cela il canto, la voce di qualcuno? Ma per Zagajewski, essa comunque è un sussurro fondamentale al pari di quello dell’uomo. Così come la voce della musica che

amò perdutamente ma «da barbaro», come mi confidò, sembra riprendere vita in tanti versi con quei suoni udibili e inudibili, spartiti lancinanti a crocifiggere con le proprie cronache sonore, le cronache di guerra ma anche quelle dell’amore più alto: «La musica ascoltata con te / resterà per sempre con noi. // Il serio Brahms e l’elegiaco Schubert, / alcune canzoni, la quarta ballata di Chopin, / … // La musica ascoltata con te / si ammutolirà insieme a noi». Ecco, un dialogo ininterrotto è stato il libro di Zagajewski, con i morti e i vivi, in forma di poesia ma anche di saggi, ne ha scritti di rilevanti, di interviste rilasciate ma sempre in posizione di ascolto, tanto che le sue risposte avevano dentro la sfumatura della domanda, del rilancio continuo

con l’interlocutore; costruire un verso era ricostruire, richiamandola, ogni amicizia, la tanto agognata, rincorsa, sperata amicizia. Questo disse di lui, uno dei più grandi poeti del secondo Novecento, Iosif Brodskij, in una intervista rilasciata nel 1989: «…mi sembra che sotto vari aspetti rappresenti uno sviluppo del linguaggio di Herbert. È un poeta straordinario, per me è stato la scoperta più importante degli ultimi dieci o quindici anni, e infatti siamo molto amici io ed Adam ed è una delle migliori amicizie che ho avuto in vita mia. Tutto qui». Sì, l’amicizia, per Zagajewski, ora intuisco, volle dire far riemergere dalle pagine silenziose della storia, l’attimo di questa preziosa relazione, che rende il tempo di ogni vita, il tempo più bello.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 19 aprile 2021 • N. 16

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cultura e spettacoli

Fantasmi di famiglia rivisitazioni Una storia di amore o di tenebre? Sulla scia

del polverone suscitato dal libro-choc La familia grande in Francia, ora anche il discusso caso della figlia di Amos Oz

le voci che narrano le nostre storie radio Nell’ultimo anno quattro

professionisti si sono distinti per i loro lavori

Sarah Parenzo

Nicola Mazzi

Nelle ultime settimane, con l’uscita dell’autobiografia di Galia Oz Qualcosa travestito da amore, un vero e proprio terremoto si è abbattuto sulla scena culturale israeliana. Nel libro, la figlia dello scrittore di fama internazionale Amos Oz (1939-2018), accusa il padre di averle perpetrato violenze sistematiche sin dalla prima infanzia, suscitando così dibattito e scandalo in Israele e nel mondo. «Nella mia infanzia mio padre mi ha picchiata, ha imprecato contro di me e mi ha umiliata. La violenza è stata creativa: mi ha trascinato fuori casa e mi ha cacciato via. Mi ha chiamato schifezza. Non una passeggera perdita di controllo e non uno schiaffo in faccia qui e lì, ma una routine di sadico abuso». Le prime inequivocabili affermazioni si incontrano già sulla copertina, a testimonianza di un’urgenza di raccontarsi confermata dalla stessa Galia Oz in un’intervista alla giornalista Dana Weiss, andata in onda in Israele sul canale 12: «Tacere tutti questi anni è stato molto faticoso. Aspettavo che venisse pubblicato il libro. Poi le cose sono andate per le lunghe a causa del covid... mi sentivo come uno che aspetta un intervento per tornare alla vita». Galia Oz, nota a sua volta come scrittrice di libri per bambini, denuncia una quotidianità costellata da episodi di violenza fisica e psichica, che comprendeva percosse, insulti, offese e umiliazioni gratuite. Una bambina di otto anni costretta a nascondere i lividi, complice il silenzio omertoso della famiglia che, dall’uscita del libro, nega fermamente ogni affermazione, schierata all’unanimità in difesa dello scrittore defunto. Oz non si lascia intimorire dalla discrepanza con le dichiarazioni degli altri famigliari, al contrario, sostiene di essere in possesso di una o più lettere di ammissione del padre che, per giustificarsi, l’avrebbe persino accusata di averlo amato più di quello che una bambina deve amare il proprio genitore. La prima questione che si presenta è che il padre violento di cui parla Galia Oz è Amos Oz, scrittore e personaggio pubblico, uomo simbolo, elogiato in tutto il mondo per le sue idee di pace, e più volte candidato al Nobel. Come porsi ora rispetto alle file dei suoi libri che da anni riempiono gli scaffali delle nostre librerie? È Galia stessa a venirci in aiuto, suggerendo di accantonare stupore, dubbi e delusioni, e convivere con le sue sconvolgenti affermazioni, considerandole un’eredità del padre al pari dei suoi meravigliosi romanzi: «Non si assegna il premio Nobel in base all’umanità. Non invito a bannare, né bruciare libri. Sappiamo che Tolstoj era un pessimo uomo di famiglia e che Caravaggio ha quasi certamente ucciso un uomo... la mia non è una crociata». Oz sostiene di aver tentato di parlare in passato, ma di essere stata messa sistematicamente a tacere con la scusa che il padre aveva avuto un’infanzia difficile. Nel tempo sarebbe stata definita pericolosa per sé e per gli altri e, infine, pazza. In questa sede suggerisco di evitare di cadere nella tentazione di soppesare le parole di Galia Oz, per decretare quale percentuale di veridicità attribuirvi, e propongo piuttosto di soffermarci sull’elemento della pazzia. Dalla lettura di Qualcosa travestito da amore sembrerebbe di capire che quei rituali instancabilmente reiterati, che comprendevano la cacciata da casa della bambina per poi riammetterla,

La radio è spesso sottovalutata e relegata ai viaggi: brevi o lunghi che siano. Eppure, regala momenti piacevoli e riflessioni interessanti che altri supporti non riescono a offrire. Soprattutto, come capita con i libri, riesce a trasportarci con la fantasia. Per la Svizzera italiana l’anno pandemico – oltre ai problemi che tutti ben conosciamo – è comunque stato un momento piuttosto prolifico, ha stimolato la creatività e diversi professionisti del settore stanno ottenendo riconoscimenti importanti, anche a livello nazionale.

Grazie a un approccio originale i professionisti della radio ticinese si sono distinti anche a livello nazionale

Galia Oz, sorella di Fania e Daniel, figlia di Amos. (Wikipedia)

fossero strumentali all’equilibrio emotivo dello scrittore. Da qui l’esigenza di «sacrificare» una vittima tra le mura domestiche per mostrarsi integro al cospetto del mondo esterno. Quest’interpretazione mi ha ricordato gli scritti dello psichiatra Harold S. Searles, noto studioso della schizofrenia, il quale, tra le altre cose, sostiene che «il tentativo di far impazzire l’altro può essere motivato prevalentemente dal desiderio di esteriorizzare, liberandosene in tal modo, la minacciosa follia che uno sente in sé stesso». Unico bambino in una famiglia di europei estremamente colti, ma profondamente infelici e privi di mezzi, alle prese con le rigide condizioni della Gerusalemme mandataria dei primi anni 40, Amos Oz non ebbe certo un’infanzia felice, culminata nel suicidio della madre quando aveva solo dodici anni. All’età di quindici anni lo scrittore sostituì il cognome di nascita Klausner con quello di Oz, in ebraico «coraggio», per sbarazzarsi del passato e cominciare una nuova vita nel kibbutz Hulda, aderendo così con pienezza al socialismo radicale in cui credeva fermamente. Non è dunque da escludersi che, anche una volta insediatosi nel kibbutz, l’Oz adulto abbia continuato a percepire la minaccia dei fantasmi del passato, primo tra tutti lo spettro della depressione della madre, lottando contro di essi per non venirne sopraffatto. Una sorta di conferma della necessità di Amos Oz di contenere la pazzia attraverso una «razionalità violenta» sembra trovarsi anche nella sua produzione letteraria, costellata da personaggi, quasi sempre femminili, al limite della follia. Per contrastare queste donne silenziose, tra il depressivo e l’isterico, Oz sceglie infatti di collocare figure maschili banali, al limite della noia, come Michael, in Michael mio (1968), e Theo in Non dire notte (1994). Il pensiero dicotomico di Oz e la sua preoccupazione per il patologico, è evidente anche nel saggio Nota su me stesso (1975), nel quale egli non nasconde una certa avversione verso un modello ebraico diasporico che definisce

«malato» e mentalmente disturbato, e al quale contrappone la vita sana del kibbutz, fatta di lavoro, semplicità, condivisione, uguaglianza e «progressivo miglioramento della natura umana». Nel medesimo saggio egli si augura inoltre che alla moglie e ai figli vengano risparmiati almeno alcuni dei tormenti gerosolimitani sofferti da lui e dai suoi famigliari. Davvero un paradosso se pensiamo che proprio nello stesso kibbutz egli avrebbe perpetrato le violenze di cui lo accusa la figlia. Se poi, come affermerebbe la figlia Fania, nell’eccentrismo di Galia lo scrittore avesse ravvisato i geni di quella stessa follia della madre dalla quale temeva segretamente di venire contagiato, ciò spiegherebbe almeno in parte la furia irrazionale con la quale si sarebbe scagliato contro la bambina. C’è dunque da chiedersi se la figura di Gallia non abbia svolto una funzione equilibrante all’interno della patologica famiglia Oz, motivo per cui sradicarla, liberandola dal ruolo oggettivato, avrebbe implicato la necessità di nuovi assetti e ridefinizioni che avrebbero richiesto un tale investimento emotivo da parte dei soggetti coinvolti da costituire un deterrente. Allo stesso modo anche oggi, se la presa di posizione di Galia rappresenta una minaccia all’immagine dello scrittore defunto, nondimeno essa funge da collante e catalizzatore delle nevrosi dei membri superstiti della famiglia Oz, i quali, con una discreta dose di ipocrisia, se ne servono per tenerle a bada. «Questo libro parla di me, ma non solo (…). Case come quella in cui sono cresciuta in qualche modo fluttuano nello spazio, lontano dagli assistenti sociali, fuori dal raggio di influenza di rivoluzioni come #MeToo, senza lasciare un segno sui social media. Terrorizzate e isolate, nascondono i loro segreti con saggezza come famiglie criminali». Galia Oz conclude con un monito, per avvertirci che se quanto racconta è accaduto in una casa insospettabile come la sua, può succedere davvero a chiunque.

È il caso di Daniel Bilenko che con il documentario Dalle stelle alle stalle (Allevare e mangiare bestie al tempo del Covid-19) ha ricevuto il Media Preis CH Unione Svizzera dei Contadini. Presentato a «Modem» della Rete Uno il Venerdì Santo dello scorso anno, si sofferma su come il Covid-19 sia interconnesso ai nostri consumi (di carne ma non solo) e al nostro rapporto con la natura. «Sono partito dal desiderio di fare un reportage sulla carne coltivata, ma lo scoppio della pandemia e il seguente confinamento mi hanno fatto cambiare direzione, e così mi sono indirizzato verso l’allevamento e il consumo di carne, nel periodo pasquale». Bilenko è stato tra i primi giornalisti ad andare sul terreno in quei difficili momenti e ad avvicinare gli allevatori. «L’incontro con le persone, per un giornalista, è un momento importante e arricchente e ho perciò visitato quattro aziende agricole nelle varie parti del Ticino per raccontare le loro esperienze e come stavano vivendo la situazione». Strani Giorni è il titolo del diario collettivo sonoro realizzato da Olmo Cerri che ha ottenuto il primo premio del concorso nazionale Sonohr. «Durante quei giorni, chiuso in casa e con una serie di lavori che erano stati eliminati, ho capito che stavamo vivendo un momento storico importante che riguardava tutti. Per questa ragione ho pensato di aprire un diario audio nel quale raccogliere le testimonianze, i dubbi, le paure, le riflessioni, le proposte e le speranze delle persone. Con i quasi 200 messaggi arrivati ho così potuto realizzare una trentina di puntate di Strani Giorni, che ho trasmesso fino alle aperture di maggio». Come aggiunge lo stesso Cerri da un lato «mi

Da sin., in senso orario, Patrick Solcà, Daniel Bilenko, Barbara Camplani e Olmo Cerri. (olmo Cerri)

ha stupito la quantità di persone che hanno voluto esprimere un pensiero, dall’altro mi hanno colpito diverse riflessioni. Alcune erano leggere e scherzose, ma diverse anche profonde sono arrivate da persone sconosciute, che sentivano l’urgenza di condividere una loro sensazione, uno stato d’animo». Da notare che il podcast di Olmo Cerri è riuscito a circolare attraverso i vari social, l’Associazione REC e Radio Gwen. Un terzo premio l’ha ottenuto un lavoro di Barbara Camplani, intitolato I guerrieri della luce, trasmesso a puntate durante la settimana di Pasqua, dalle Cronache della Svizzera italiana. «Partendo da un gruppo facebook (Aiutiamoci) ho voluto esplorare il tema del volontariato durante il lockdown di marzo e aprile del 2020». Come Bilenko, anche Camplani ha girato il Cantone alla ricerca di storie da raccontare e lo ha fatto attraverso le loro voci. «Ho raccolto per esempio la testimonianza del direttore del MAT che si è offerto per far la spesa agli anziani. O ancora del gruppo Scout di Biasca che ha collaborato con l’ATTE locale. Ho anche contattato una famiglia che ha messo a disposizione un appartamento per persone che lavorano nel settore sanitario. In quel momento ci fu una grande risposta collettiva e popolare che negli ultimi mesi si è un po’ persa». Questo reportage è tra i tre finalisti dello Swiss Press Award, che sarà attribuito a fine aprile. Un quarto progetto audio premiato quale Miglior lavoro di diploma al corso giornalismo è quello di Patrick Solcà: Asperger: il coach che fa la differenza, passato anch’esso a «Modem» . Il focus, in questo caso, è diverso e non riguarda la pandemia. Solcà ha infatti sviluppato un’analisi attorno alla sindrome di Asperger. Grazie alla testimonianza di due giovani adulti si è in particolare soffermato sul loro complesso rapporto con il mondo del lavoro. «Partendo da un’esperienza a me vicina – ci dice il giovane giornalista – ho voluto addentrarmi meglio in questo mondo e grazie alla Fondazione ARES sono riuscito a intervistare due persone con questa sindrome: una in Ticino e una nella Svizzera interna. Due realtà diverse che mi hanno permesso di capire le differenze che esistono nella loro presa a carico. Inoltre, ho capito l’importanza di una figura come il coach che li segue costantemente». Un lavoro durato qualche mese anche perché Solcà ha dovuto instaurare un rapporto di fiducia con le due persone e le loro famiglie. Quattro esempi di come l’inventiva e il desiderio di essere testimoni di un periodo storico incredibile, abbiano trovato nell’audio e nella radio i canali adeguati per trasformarsi in lavori molto interessanti.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 19 aprile 2021 • N. 16

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cultura e spettacoli

la montagna interiore di Kirchner mostre Alla Fondazione Braglia il percorso intimistico dell’espressionista tedesco

la vita, i personaggi e il paesaggio alpini. La montagna di Kirchner attraverso l’Espressionismo e la sua anima si fondono in un percorso di 67 lavori, tra dipinti, opere di carta, fotografie dell’artista, uno dei suoi album fotografici e due preziosi quaderni di schizzi. L’esposizione e la monografia che l’accompagna, curate con sensibilità dalla responsabile artistica della Fondazione, Gaia Regazzoni Jäggli, faranno parlare di sé. Nel momento storico di grandi cambiamenti che stiamo vivendo, questa iniziativa culturale diventa inevitabilmente spunto di riflessione sul nostro bisogno di connetterci maggiormente con la natura e noi stessi, concetti propri anche dell’Espressionismo e di Kirchner, consentendoci di partecipare con uno sguardo nuovo al lavoro dell’artista. E si apre anche in area italofona una prospettiva di sviluppo sull’interesse e gli studi su Kirchner, che l’approfondito contributo critico di Manuela Kahn-Rossi nella monografia lascia ben sperare.

Elena Robert La passione per l’arte di Gabriele Braglia, stimato collezionista a Lugano, ha riportato sulle rive del Ceresio Ernst Ludwig Kirchner (Aschaffenburg 1880-Davos 1938), il maggiore esponente dell’Espressionismo tedesco, fondatore del Gruppo Die Brücke e ispiratore del Gruppo degli espressionisti svizzeri Rot-Blau. Un ritorno nell’area italofona dopo la retrospettiva della Città di Lugano nel 2000 alla Malpensata e quella del 2002 alla Fondazione Mazzotta a Milano. Con la mostra Kirchner e la grandiosità della montagna la Fondazione Gabriele e Anna Braglia ha fatto ancora centro promuovendo un’iniziativa di notevole spessore culturale, frutto per la prima volta di un’importante collaborazione con un’istituzione museale svizzera, il Kirchner Museum Davos. Da qui proviene un cospicuo numero di opere, completate da prestiti tramite la Galerie Henze & Ketterer di Wichtrach/ Berna i cui membri della famiglia, eredi di Roman Norbert Ketterer, seguono le orme di quest’ultimo nella gestione del Lascito di Kirchner. Dopo gli anni di Dresda e Berlino, a seguito di un esaurimento psico-fisico, l’artista si autoesilia a Davos trascorrendovi metà della sua breve esistenza, dal 1917 al 1938, anno in cui si toglierà la vita. Nell’ambiente alpino e allora autentico del paese di montagna grigionese le sofferenze gli concederanno un po’ di tregua aiutandolo a ritrovare i suoi ideali spirituali e persino a rinnovare la sua creatività, fino a quando cederà nuovamente alla malattia e

Heimkehrende Ziegenherde (Gregge di capre che torna a casa), 1920, olio su tela di Ernst Ludwig Kirchner, Collezione Fondazione Gabriele e Anna Braglia, Lugano. (© Fondazione gabriele e anna Braglia, Lugano. Foto roberto Pellegrini)

alla morte, angosciato dal periodo bellico, dall’ascesa al potere del nazionalsocialismo e dai sequestri di centinaia di sue opere in Germania, molte delle quali esposte nella mostra diffamatoria Entartete Kunst (l’«arte degenerata») del 1937 e poi distrutte. Nel significativo nucleo di opere dell’Espressionismo tedesco riunito

dove e quando

negli anni dai coniugi Braglia (66 sulle oltre 160 della collezione) mancava un Kirchner notevole come quello acquisito dalla Fondazione nel 2019 dal titolo Heimkehrende Ziegenherde (Gregge di capre che torna a casa) del 1920, che per dimensione spaziale, forza e luminosità dei colori, parrebbe ispirato dall’utopia della rinascita. L’opera trova una col-

locazione ideale nell’esposizione dedicata proprio al periodo di Davos di Kirchner, uno dei meno conosciuti dal grande pubblico. Il taglio è legato al gusto dei collezionisti, perché focalizzato sulla montagna, tra l’altro tanto cara ai coniugi Braglia, e la sua monumentalità. Questa viene interpretata con una scelta di opere su quattro temi: i pastori,

è arricchito da un ampio archivio e da una biblioteca in continua crescita. «Siamo molto attivi nel settore del prestito, essendo ben rappresentato nella nostra collezione monografica l’importante periodo svizzero dell’artista» ci dice Carla Burani: «In parallelo alla ricerca scientifica, promuoviamo di consuetudine due mostre tematiche all’anno. Attualmente e fino al 7 novembre 2021 i lavori dell’artista svizzero Martin Disler (1949-1996) sono presentati in dialogo con una selezione di opere della collezione, per offrire a pubblico e ricercatori l’opportunità di una lettura contemporanea di Kirchner. Una delle due esposizioni del 2022, anno del 30esimo di apertura del museo,

tematizza il mito di Davos in Europa e il suo ruolo storico per la cura delle malattie polmonari, le cure termali e gli sport invernali, come meta di artisti e letterati, pensiamo a Kirchner e a Mann, di filosofi e politici. L’abbiamo approntata in collaborazione con il Germanisches Nationalmuseum Nürnberg e altre istituzioni. Ora allestita a Norimberga con un taglio proprio, sarà proposta a Davos dal 28 novembre 2021 al 30 ottobre 2022». I progetti in cantiere non mancano. «Ci tengo a estendere ulteriormente l’interesse per Kirchner e il museo nell’area europea e in particolare italofona e sensibilizzare pubblico e istituzioni culturali e artistiche in Engadina» annota la direttrice: «Ora che

Ernst Ludwig Kirchner e la grandiosità della montagna, Fondazione Gabriele e Anna Braglia, Riva Caccia 6, Lugano, fino al 31 luglio 2021 (gio,ve,sa 10-12.45 e 14-18.30), mostra e catalogo a cura di Gaia Regazzoni Jäggli. Catalogo con testi di autori diversi in italiano, inglese e tedesco © 2021 Fondazione Gabriele e Anna Braglia, Lugano e Hirmer Verlag, Monaco di Baviera. www.fondazionebraglia.ch; www.kirchnermuseumdavos.ch

nel 2022 una mostra sul mito di davos Nel contesto europeo, ma non solo, il Kirchner Museum Davos si presenta come un’istituzione dinamica, con un profilo e specificità interessanti, a cominciare dall’edificio che lo accoglie, del 1992, firmato dai noti architetti zurighesi Annette Gigon e Mike Guyer. La collezione è unica al mondo perché insieme alle opere del periodo Brücke, degli anni di crisi 1915-1918, è dedicata al periodo creativo svizzero 1917-1938 di Davos, luogo dove l’artista espressionista tedesco ha vissuto e lavorato fino alla sua morte prematura. Di Kirchner il museo conserva una quarantina di dipinti, oltre a sculture e opere tessili, 2000 opere su carta, 1500 lastre fotografiche e, di particolare importanza, 160 quaderni con circa

Carla Burani, luganese, dirige il Kirchner Museum Davos dal settembre 2019. (Didier ruef)

11mila schizzi e disegni. Il museo, visitato da un pubblico internazionale, 18mila visitatori in media ogni anno,

è conclusa la digitalizzazione dei 160 quaderni di schizzi, la completeremo in questi anni per le restanti opere della collezione, che è stata di recente anche oggetto di importanti ricerche sulla provenienza. Guardando al futuro stiamo anche approfondendo lo studio del nuovo management del museo, importante per rafforzare l’identità e l’immagine del nostro polo culturale». Prima di approdare a Davos Carla Burani è stata direttrice del Museo delle culture extraeuropee a LuganoCastagnola, conservatrice del Museo cantonale d’arte a Lugano, per la Fondazione Pro Helvetia a Zurigo e ha insegnato al Centro scolastico industrie artistiche a Lugano.

la lunga scia del serpente

serie Nell’imperdibile The Serpent, realizzato per BBC e Netflix, la vicenda

di Charles Sobhraj si trasforma in grande cinema Simona Sala Di truffatori è pieno il mondo. Qualcuno a volte lascia il segno, riuscendo a essere ricordato per un tempo che va oltre quello della vita. Vi è poi chi, oltre al ricordo di ingegnosi furti e ammanchi, si lascia alle spalle anche una dolorosa scia di sangue. Così è stato per Charles Sobhraj, anche chiamato «Bikini Killer» o, appunto, «The Serpent», dando con le proprie generalità il titolo a una delle migliori serie di genere degli ultimi tempi. The Serpent (otto episodi), racconta vita e gesta di uno psicopatico tanto affascinante quanto manipolatore, tanto sfuggente quanto imperscrutabile. Negli anni Settanta, Sobhraj (figlio di un indiano e una vietnamita, ma con pas-

saporto francese e tratti somatici di difficile attribuzione) si accanì con spietatezza sui backpacker della hippie trail, quella rotta che permetteva a 40’000 giovani all’anno di percorrere, via terra, le migliaia di chilometri che separavano, ad esempio, Londra da Karachi, o Amsterdam da Kathmandu. Sobhraj entrava in scena proprio alla stregua di un serpente, dapprima ammaliando la propria vittima e facendola sentire fortunata, per poi gettarla in una spirale di terrore dalla quale sarebbe riemersa solamente quando ormai cadavere. La scelta dell’attore cui attribuire il ruolo principale non avrebbe potuto essere più adeguata. Nei panni di Sobhraj troviamo infatti Tahar Rahim, algerino che avevamo imparato a cono-

scere e ad amare nel 2009 in Il profeta, di Jacques Audiard che si era, fra le altre cose, portato a casa un César per la migliore interpretazione, un Golden Globe e una Palma a Cannes. Qui, di nuovo, Rahim, dà il meglio di sé, in un ruolo che lo riscatta dai cliché che lui stesso ha recentemente denunciato, e che lo vorrebbero costantemente impegnato a impersonare un kamikaze o un terrorista arabo. Rahim è riuscito a ricostruire un personaggio solido per quanto ambiguo e sfuggente, capace di muoversi con agio e astuzia nelle popolose realtà del Sudest asiatico, spostandosi con disinvoltura (e passaporti falsi) tra la Thailandia, il Nepal, l’India e la Francia. I fatti narrati sono frutto di una ricerca rigorosa, e stupisce scoprire come il primo a insospettirsi sia

stato un segretario dell’ambasciata olandese ostacolato dai suoi superiori, quel Mr Knippenberg che ha fatto della caccia al serpente la propria ragione di vita. Intorno all’olandese, l’ambiguo mondo degli expat, strane creature dal passato poco trasparente, ma capaci di adeguarsi in modo camaleontico a ogni nuova realtà. The Serpent non è solo il viaggio (colmo di suspence all’inverosimile) nella mente indecifrabile di un serial killer che sconta tuttora la propria pena in carcere, dopo essersi reso protagonista di alcune fra le più clamorose evasioni del Novecento, ma è anche una densa full immersion nel costume e nella storia recenti. Ma colori caldi, paesaggi mozzafiato e atmosfere rarefatte, per quanto raffinati, non sarebbero

Jemma Coleman e Tahar Rahim sono i protagonisti di The Serpent.

bastati a rendere The Serpent oggetto di critiche tanto positive, se non ci fosse la presenza, oltre del già citato Rahim, anche della comprimaria MoniqueMarie-Andrée (una strepitosa e indimenticabile Jemma Coleman), figura realmente esistita e che trasformò la coppia in una copia spietata di Bonnie and Clyde, e le cui gesta hanno ancora oggi il sapore dell’incubo.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 19 aprile 2021 • N. 16

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power boost Contiene 22 vitamine e minerali essenziali, dalla vitamina A allo zinco 30 bustine, assumere una bustina al giorno senza acqua Fr. 7.20

vio plus Contiene preziosi estratti, glucosio, miele, 11 vitamine e ferro. Per tutta la famiglia. 240 ml, per gli adulti 2 cucchiai al giorno, per i bambini un cucchiaio al giorno. Fr. 8.40


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 19 aprile 2021 • N. 16

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ATTENTI, PRONTI, VIA Il sole splende ma ci si sente senza energia? Allora si è probabilmente colpiti dalla ben nota stanchezza primaverile. Dormire e muoversi a sufficienza, così come seguire un’alimentazione equilibrata, sono fattori importanti per mantenere benessere e forma fisica. Ecco cosa fare per ripartire al più presto con slancio

Mangiare leggero

Ciò che è consigliato tutto l’anno, ha ancora più importanza in primavera: mangiare cibo leggero, per esempio frutta e verdura di stagione, e bere molta acqua. Ciò garantisce un sufficiente apporto di vitamine, sostanze nutritive e minerali.

Controllare il ferro

Gli integratori alimentari possono aiutare a coprire il fabbisogno quotidiano di ferro. Il ferro contribuisce alla normale formazione dei globuli rossi e dell’emoglobina, di conseguenza a ridurre i sintomi della stanchezza. La vitamina C aumenta l’assorbimento del ferro. Gli integratori non sostituiscono tuttavia una dieta completa e variegata.

FIT FOR WORK Le vitamine del gruppo B contribuiscono al normale funzionamento del sistema nervoso e riducono l’affaticamento. 20 compresse effervescenti, scioglierne una al giorno in 200 ml di acqua Fr. 4.90

energy chews La vitamina C, la vitamina B6 e la vitamina B12 contribuiscono a ridurre l’affaticamento. 15 chews, per gli adulti tre al giorno Fr. 6.90

ferro in bustina Alto dosaggio di ferro (14 mg), 8 vitamine, acido folico, rame e polvere di frutta. 24 bustine, una bustina al giorno Fr. 13.80

ferro in pastiglia Copre il fabbisogno quotidiano e contribuisce alla normale formazione di globuli rossi. 30 pastiglie, una ogni giorno da fare sciogliere in bocca o da masticare Fr. 4.80

Dormire a sufficienza

Attenersi a ritmi di sonno regolari aiuta ad affrontare meglio anche i cambiamenti ormonali che si manifestano in primavera: con l’aumento della luce del giorno il corpo produce più serotonina ma in compenso meno melatonina.

Fare molto esercizio fisico Il movimento all’aria aperta fa bene. È spesso sufficiente un piccolo sforzo, quando la pigrizia porterebbe a rimanere sul divano. Gli sport di resistenza come la corsa o il ciclismo stimolano la circolazione e fanno passare la sensazione di stanchezza. Sono raccomandati almeno 30 minuti di esercizio fisico al giorno.

amaro di carciofi Estratto di foglie di carciofo e di altre erbe amare. 250 ml, 20 ml durante o dopo ogni pasto principale Fr. 17.90


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cultura e spettacoli

John lennon goes solo

musica Il 50mo anniversario dell’esordio solista di John Lennon

dona ai fan un immancabile cofanetto celebrativo – e la chance di riapprezzare un capolavoro dimenticato

che storia, la fotografia ticinese!

Fotografia Al Castelgrande di Bellizona

si aprono gli Archivi di Stato Giovanni Medolago

Yoko Ono e John Lennon. (shutterstock)

Benedicta Froelich Come qualsiasi appassionato di musica angloamericana può confermare, lo scioglimento dei Beatles – avvenuto improvvisamente nel 1970, dopo mesi di costanti tensioni all’interno della leggendaria band – può a tutt’oggi considerarsi come uno degli eventi più drammatici mai verificatisi sulla scena rock mondiale: un vero terremoto, che ha rischiato di travolgere le personalità e i destini individuali degli artisti coinvolti.

Questo box deluxe intende valorizzare alcuni fra i maggiori capolavori musicali di John Lennon Forse anche per questo, la carriera solista di John Lennon, cruciale metà del leggendario team di compositori Lennon & McCartney, non è mai stata davvero apprezzata nella sua totalità – se si escludono, naturalmente, l’immenso tormentone Imagine e alcuni exploit di successo come la canzone di Natale Happy Xmas (War is Over); ma parte della diffidenza del grande pubblico risiede anche nell’insistenza di John nel voler a tutti i costi coinvolgere l’invadente (e ben poco amata) consorte Yoko Ono in ogni sforzo artistico, al punto che perfino piccoli capolavori quali i suoi ultimi album (Double Fantasy, pubblicato poco prima della morte, nel 1980, e il suo seguito postumo, Milk and Honey) vengono purtroppo rovinati dalla presenza di intere tracce dedicate agli imbarazzanti vocalizzi dell’onnipresente Yoko. Per fortuna, però, tale disgrazia non si è abbattuta sull’album protagonista di quest’attesissima ristampa: un

«deluxe box set» dall’allusivo titolo di The Ultimate Collection, che celebra il recente cinquantenario dell’esordio solista di John, pubblicato pochi mesi dopo la fine dell’avventura beatlesiana; e sebbene il titolo stesso del disco (John Lennon/Plastic Ono Band) desse a intendere come, chiuso il capitolo «Fab Four», Lennon desiderasse la sola presenza della moglie come suo unico referente (sia in termini personali che, ahimé, artistici), quest’album vede la coppia trattenersi dall’esagerare in pretese megalomaniche, limitandosi a mettere insieme una band personale (la Plastic Ono Band, appunto) allo scopo di accompagnare i propri sforzi. Così, il disco contiene alcuni tra i maggiori capolavori firmati da Lennon – il quale sembra qui godere dell’elettrizzante senso di libertà che la defezione dai Beatles gli aveva appena donato, e avvertire un incredibile entusiasmo creativo. E l’intento di questo cofanetto (comprendente ben 6 tra CD di outtakes, differenti mix stereo, jam session e demo, più due dischi in formato Blu-Ray Audio), sembra proprio quello di enfatizzare come non solo John Lennon/Plastic Ono Band abbia «mostrato la strada» a legioni di cantautori a venire, ma rimanga inoltre l’opera più rivelatoria dei sentimenti e pensieri dell’artista (e, soprattutto, del suo tormento esistenziale): non per niente, l’album si apre con Mother, straziante psicodramma musicale incentrato sulla disperazione per la latitanza della madre Julia. Di fatto, la tracklist include molti classici assoluti, quali la nichilista (eppure delicata) ballata God e il rabbioso e intenso Working Class Hero – brani di spessore, in linea con la nuova filosofia abbracciata da un coraggioso Lennon, il quale, con rara sincerità e integrità artistiche, affrontava qui l’autobiografia vera e propria: basti pensare alla destabilizzante traccia finale Cold

Turkey, cronaca di una crisi d’astinenza da eroina sperimentata nella vita reale da John e Yoko. Senza però dimenticare brani più ottimisti e «vitali» quali l’acustica Love, o il corale inno rock Instant Karma! (We All Shine On), aggiunto in coda alla ristampa. Naturalmente, la versione dell’album contenuta nel box set è stata integralmente rimasterizzata tramite l’uso di nuovi transfer in alta risoluzione (192kHz/24bit) tratti dagli originali nastri multitraccia; il suono in qualità 5.1 Surround e Dolby Atmos permette così di apprezzare più che mai l’apporto del geniale ingegnere del suono Phil Spector, nonché il contributo dei musicisti della Plastic Ono Band, composta da ospiti di riguardo quali il maestoso Eric Clapton, il tastierista Billy Preston e il bassista Klaus Voorman, oltre agli ex Beatles George Harrison e Ringo Starr. Eppure, nonostante l’indubbia maestria tecnica, questo resta un album minimalista, in cui (in linea con le nuove ambizioni cantautorali di Lennon), gli arrangiamenti, efficaci e quasi crudi, sono privi di qualsiasi orpello da post-produzione: difatti, il carattere ipertrofico del cofanetto, traboccante di materiale inedito, permette, nelle intenzioni della vedova Yoko Ono, di sperimentare in prima persona il processo creativo all’interno dello studio di registrazione, grazie alla presenza dei cosiddetti «raw studio mixes», perfetta fotografia delle «grezze» incisioni dal vivo. Certo, per i fan e connaisseurs di vecchia data questo box set non aggiunge forse granché all’indubbia e risaputa rilevanza storica dell’eccelso esordio lennoniano; ma certo lo sguardo privilegiato offerto da The Ultimate Collection sulla genesi di un (troppo spesso dimenticato) capolavoro è, oggi più che mai, prezioso e gradito quanto il ritorno di un vecchio amico.

Angelo Allegranza nel 1885 apre un atelier fotografico a Dangio (zona Donetta!), Eugenio Schmidhauser s’istalla ad Astano nel 1894. Qualche anno più tardi faranno altrettanto Ines Ceresa a Colla (una donna lassù, chapeau!), Roger Franzina a Cerentino e Raffaele Dominighetti a Indemini, seguiti a ruota da Filippo Ortelli a Meride e Agostino Metalli a Ludiano. Camilla Garbani Nerini (un’altra signora!) scende da Gresso a Muralto per aprire un laboratorio in Viale Stazione. La diffusione della fotografia in Ticino, a macchia di un leopardo che tocca volentieri le località più discoste – in quel periodo ancora pionieristico d’inizio 900, è una delle molte e belle scoperte cui il visitatore andrà incontro nelle sale del Castelgrande di Bellinzona. Lì sono esposte le 150 opere che il curatore, Gianmarco Talamona, ha selezionato dall’Archivio di Stato per dar vita a Storie di Fotografia: il Ticino, i ticinesi e i loro Fotografi, 1855-1930. Una mostra che piacevolmente si trasforma in un racconto storico/iconografico del nostro Cantone, fatalmente caduto nel cliché Sonnestube (zoccoletti, boccalino, mandolini e sosta al grotto sotto un cielo sempre azzurro) quando l’apertura della Gotthardbahn segnò l’inizio di un turismo non ancora di massa, bensì ancora da lanciare, soprattutto a Nord delle Alpi. Dai vagoni sbucati ad Airolo scende un numero quasi impressionante di fotografi svizzerotedeschi: in pochi anni si inaugurano al sud delle Alpi quasi una ventina di studi-ateliers riconducibili a Confederati. Non si insediano in quelle zone discoste citate sopra, dove la fotografia è vista da qualche para-dilettante quale attività accessoria utile per sbarcare il lunario, bensì nei luoghi che più si prestano alla bisogna turistica: Lugano (con il tris d’assi Ceresio-Bré-San Salvatore), Ascona (col valore aggiunto dei balabiott del Monte Verità), Locarno con la Madonna del Sasso, miracolo architettonico che decisamente affascina – e attrae – gli züchini. «Gli albergatori svizzerotedeschi, predominanti sia a Lugano sia nel Locarnese – si legge nel ricco catalogo della mostra – facevano capo a fotografi della stessa lingua e dallo stesso occhio, i quali erano poi anche chiamati a fornire gli apparati illustrativi per gli stampati di promozione turistica e per i periodici di oltre San Gottardo». Il mercato delle cartoline turistiche era in accelerata crescita esponenziale e si giunse così a quel «tutto

imbalsamato come in un’operetta da oratorio dove (paradossalmente, n.d.r.) sembriamo tirolesi travestiti da Tessiner», già denunciato da Alberto Nessi nella sua prefazione all’imprescindibile libro-expo Il Ticino e i suoi fotografi (1987); ma ancor prima stigmatizzato – e con una certa stizza – da Vincenzo Vicari (I primi 85 anni, 1985). All’epoca, il dibattito sulla germanizzazione del Ticino toccò toni così aspri che a Bellinzona si avvertì la necessità di sancire con una legge (varata il 20 giugno 1933) l’imposizione dell’uso prevalente della lingua italiana in ogni scritta destinata al pubblico. I «Gebrüder Büchi» divennero così Fratelli Büchi e le «Photo House» (e sì: allora già si affacciava l’inglese) si trasformarono nelle Case delle Fotografia. Gli artigiani ticinesi possono tuttavia vantare grandi tradizioni tra coloro i quali furono tra i primi a destreggiarsi in quell’arte «nata dall’incrocio tra un raggio e un veleno» (A. Boito). Ecco Carlo Ponti che da Sagno scende a Venezia, Piazza San Marco 52 (!), dove attorno al 1850 presenta al mondo dapprima l’aletoscopio, poi il megalotoscopio, marchingegni entrambi in grado di produrre immagini di grande formato. Qualcosa d’altrettanto miracoloso occorse all’onsernonese Gaudenzio Marconi. Dalla sperduta e bellissima Comologno sbarcò dapprima a Parigi, dove le sue immagini di nudo artistico gli valgono il titolo ufficiale di «Photographe de l’Ecole des Beaux-Arts parisienne». Apre uno studio anche a Bruxelles, poi torna a Parigi dove i suoi clic saranno utilizzati anche da Auguste Rodin, in particolare per L’Âge d’arain. Dalla mostra bellinzonese emergono altresì anche aneddoti misconosciuti quanto gustosi. Esempio? Tale Giuseppe Pedretti, fotografo leventinese di fede politica liberale, il giorno dell’Ascensione 1887 scattò un’immagine del materassaio di Ponto Valentino e del suo garzone all’opera con gli attrezzi del mestiere. Fu immediatamente sanzionato con una multa di ben franchi 4 – dell’epoca – dal più che solerte segretario comunale bleniese, guarda te conservatore, per «profanazione di festa». Fotografia per una volta davvero specchio della realtà. dove e quando

Storie di Fotografia, Il Ticino, i ticinesi e i loro fotografi nella collezione fotografica dell’Archivio di Stato 18551930, Bellinzona, Castelgrande; orari: tutti i giorni 10.30-16.00. Fino al 2 maggio 2021.

Grato Brunel, Lugano, Hotel du Parc, 1875 ca. (archivio di stato)


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cultura e spettacoli rubriche

In fin della fiera di Bruno gambarotta In trattoria Ho nostalgia della trattoria del paese dei miei nonni. È stata aperta dopo un consiglio di famiglia. Le due opzioni rimaste erano lavanderia a secco o trattoria. Le macchine della lavanderia costavano troppo e in casa c’era una nonna che come cucina lei non cucina nessuno, ha vinto la trattoria. Si sviluppa su due ambienti. Nel primo, entrando, si trova il bancone del bar e tre tavoli sono occupati dai giocatori di carte. I giochi possono variare ma tutti esigono dai giocatori l’emissione continua di urla gutturali. In un angolo un trabiccolo sorregge il gigantesco schermo del televisore sintonizzato su una emittente locale che manda in onda la pubblicità di un mobilificio. Dietro il bancone del bar, al centro della parete si ammira un quadro con l’ingrandimento fotografico del padre del titolare, con un lumino perenne e un grazioso mazzolino di fiori di plastica. Noi optiamo per la seconda sala a cui si accede inciampando in un gradino che non è segnalato. Qui non c’è il televisore, in

compenso c’è la radio, uno scatolone appoggiato sulla credenza, sintonizzata su una frequenza popolata da messaggi di ascoltatori alternati a ballabili. A parte la radio l’ambiente è tranquillo, uno dei tavolini è occupato dal figlio più giovane del padrone intento a fare i compiti. Il ragazzo, al nostro ingresso, alza lo sguardo e scommette sul fatto che almeno uno di noi abbia letto qualche libro oltre la quinta elementare. Risultato: dobbiamo aiutarlo a risolvere un semplice sistema di due equazioni a due incognite. Ora, qual è quella persona di media cultura che non ricorda la regola di Ruffini? Ci salva l’arrivo del padrone che, ligio al galateo, indossa una canottiera di due misure più piccola in modo da garantirci la contemplazione, a cinque centimetri di distanza, del suo ombelico ornato da un ciuffo di peli. Impugna un tovagliolo ma, dovendo tenere con una mano il taccuino e con l’altra la biro, non trova di meglio che infilarlo sotto l’ascella sudata. Tutti in paese sono conosciuti

con un soprannome, il suo è Chanel numero 5. Con quel tovagliolo darà una bella ripassata ai bicchieri prima di posarli sul tavolo. La tovaglia, se avesse il dono della parola, potrebbe raccontare una vita movimentata. «Che vino vi porto? Bianco o rosso?» è la domanda prima ancora di sapere cosa abbiamo intenzione di ordinare. «Di che marca?», chiediamo. «Il vino della casa, è ottimo, genuino, fatto con l’uva (vorrei vedere!), lo bevono tutti». E indica con un largo gesto un paio di tavoli di avventori con l’aria rintronata. «Cosa avete di vino imbottigliato?» Parte una filastrocca di nomi mai sentiti. «E qualche bottiglia di marca?» Se c’è è esposta in una vetrinetta che prende il sole 18 ore al giorno. Passiamo all’ordinazione. Niente menù. I piatti sono recitati a voce senza stacchi dal padrone: «Come primo abbiamo: minestronepastaefagioliagnolottitagliatellegnocchialragùoalgorgonzolarisottoaifunghioagliasparagicannellonitimballodipatate». Arrivato al

fondo abbiamo dimenticato i primi nomi della lista, gli facciamo ripetere la litania un paio di volte e poi ci arrendiamo. Ordiniamo gli agnolotti, è un piatto tipico, andiamo sul sicuro. Con il ragazzo, esaurita matematica, siamo passati a italiano. Prima che arrivino i piatti facciamo in tempo a svolgere il tema: «Cosa pensi quando alzando gli occhi vedi sfilare nel cielo le frecce tricolori?». Noi vorremmo puntare sul patriottismo ma il ragazzo ci spiega che la sua insegnante è fissata con l’ambiente e l’ecologia. Allora scrivi: vedo le frecce e penso a quanto cherosene bruciano per aumentare l’inquinamento. Ecco finalmente i sospirati agnolotti: galleggiano in un brodo marroncino che sarebbe il famoso e celebrato dalle guide sugo d’arrosto per gustare il quale vengono buongustai perfino dall’estero. Al nostro vicino di tavola servono una meravigliosa terracotta fumante. Siamo curiosi, «Cos’è?» chiediamo al padrone. «Non lo vedete? È la nostra specialità: zuppa di farro, cotenna di maiale, trip-

pa, fagioli e rosmarino sopra un letto di fette di pane raffermo». «A noi non l’ha detto che c’era anche questo piatto nel menù». «Mica me l’avete chiesto se c’era». «Possiamo averne una porzione in due, così l’assaggiamo?». «Mi dispiace questa era l’ultima porzione. A voi posso portare un bel brasato al barolo». No! Il brasato no! Dobbiamo lottare a sangue per non farci affibbiare il brasato al cosiddetto barolo che è lì da tre generazioni e che viene rinfrescato ogni tanti giorni con l’aggiunta del vino avanzato da qualche commensale. A fine pasto abbiamo bisogno di qualcosa di forte per mandar giù gli intrugli che ci sono stati ammanniti. Qui abbiamo una ricca scelta fra una grappa in una bottiglia senza etichetta, un fondo di Amaro dell’Alpino, un Freccia Verde di sessanta gradi, ottimo per sturare i lavandini e, (giuro che esiste) un Latte di Suocera. In compenso, quando chiediamo il conto, scopriremo che abbiamo risparmiato ben cinque euro a testa rispetto a un ristorante stellato.

piatti quadrati, o coi piatti neri, in un angolino una pietanza indecifrabile e un ghirigoro di salsa sul resto del piatto. Mangiare quindi non è un problema, anzi mangiare meno si resta più sani. Se uno s’ammala? che so? polmonite: va al pronto soccorso, voglio vedere se non lo curano, poi appena possibile si scappa via. Evitare gli altri poveri senza fissa dimora, altrimenti si ricrea una società con le sue leggi, i caporioni, il baratto. Ma arriviamo al punto fondamentale: il povero senza fissa dimora non vive a lungo, questo è un bene, al primo attacco di cuore se ne va, non lascia il mondo con dei rimpianti, e non lascia qualcuno che lo rimpiange, perché in un certo senso è già morto quando ha buttato l’ottomana dalla finestra, tutto il resto del tempo è un regalo. D’estate si eviti il mare. Invece d’inverno il mare è bellissimo, le lunghe spiagge dove il mare getta di tutto, legni per fare fuoco, teli cerati per farsi un riparo, materassini che vanno

asciugati e danno soddisfazione, a volte arrivano barche quasi intatte, o fasciami di barca; il non esistente tira la barca a riva, la rivolta e ci va sotto qualora scoppi un uragano, non c’è rifugio migliore. E quando tornano i pescatori, i pesci che scartano sono i più buoni, insieme alle verdure di scarto. Intanto al non esistente cresce la barba, che è grigiognola, perché solo a una certa età si desidera di non esistere, quando il furore giovanile è cessato e le smanie utopistiche. E così passa l’inverno; se per caso nevica la spiaggia imbiancata è bellissima, si solleva dal lato del mare la barca, la si puntella con due assicelle arenate, e da lì sotto, con un focherello di braci alle spalle, si contempla il mare grigio nei suoi alterni luccicamenti. Passa Natale, passa febbraio, passano i giorni di mare infuriato, fa bene saltare anche i pasti, non esistendo si ha bisogno di poco; poi viene marzo, le giornate ariose di marzo, anche il non esistente si può

commuovere per la bellezza del globo terrestre, per la visione di una nave silenziosa che passa lontano, e in cielo i cirri leggeri che corrono striati dal vento. E viene il tempo di muoversi, perché incominciano a pulire le spiagge per la calca prossima di luglio e agosto. Ma il non esistente è già in cammino per strade contorte, attraverso le piantagioni di kiwi e di ciliegie; ruba? no, è un baratto, in cambio dei kiwi e delle ciliegie lascia i prodotti del suo metabolismo, che sono concime, cioè l’alimento di quelle piante. Intanto si accumulano le sue cartelle esattoriali, le pendenze col fisco, con le compagnie telefoniche, che mandano solleciti, mandano esattori, non si sa dove s’è trasferito, non risulta deceduto, le pratiche non vengono chiuse perché occorre la certificazione della scomparsa, e allora semplicemente vengono messe da parte; se si ripresentasse ne sarebbe sommerso: invece in cuor suo se ne ride.

bellissimi per designare una personalità sgradevole, petulante, fastidiosa. Naturalmente per trovare l’incarnazione attuale del Sacripante e dunque la «sacripanza», c’è solo l’imbarazzo della scelta: basta guardarsi intorno o aguzzare l’udito in un contesto in cui l’importante è farsi vedere o sentire. Perché l’importante è esserci. Stare zitti (se non si ha nulla di indispensabile da dire), mai. In compenso, nel chiasso assordante dei sacripanti, c’è chiarezza cristallina e rassicurante sul funzionamento e sugli effetti dei vaccini. AstraZeneca è efficace su soggetti sotto i 60 anni, anzi no, funziona bene solo sopra i 61, ma tra i 60 e i 61 il tuo vaccino è Sputnik se sei donna, Moderna se sei maschio, Astra va molto male sotto i 20, dove va benissimo Zeneca, anzi no, Zeneca va benissimo sopra i 90 ma sopra i 105 è meglio Astra. Però tra i 101 e i 102 meglio Pfizer e Moderna insieme. Due tranches è meglio che one, ma one è meglio che zero. Zero non è meglio che

AstraZeneca. AstraZeneca è meglio di Johnson & Johnson, che è meglio di Sputnik & Sputnik, che è meglio del cinese… Però il mix di cinese e AstraZeneca è meglio di Sputnik dopo i 60 anni, mentre prima dei 59 e 11 mesi e 6 giorni è meglio Sputnik. Se vivi in riva al lago, AstraZeneca va meglio di Pfizer & Pfizer, che però è consigliabile se abiti in alta montagna e ti copri bene con cappuccio e guanti. Se stai partendo per Marte può funzionare anche Sputnik, mentre Moderna è adatto ai barbieri ma non ai ballerini e ai docenti universitari. Chiaro? Chiarissimo. È chiarissimo come seguire una lezione in DAD, cioè a distanza. «La scuola si fa a scuola!» ha urlato qualche giorno fa un sacripante di passaggio in un tg della notte. Applausi (2–), con un’obiezione banalissima: già, ma se non si può? È pronta la didattica a distanza. Quanta gente ha dormito davanti al computer durante una lezione di latino o di matematica? Popoli di dormiglioni con

le teste sul tavolo. Una ragazza di liceo classico mi ha confessato, la settimana scorsa, che non ha mai dormito tanto quanto nelle mattine di scuola durante il lockdown. A letto e in pigiama, fingendo di seguire le lezioni, con il portatile acceso sul comodino e la testa sul cuscino, anche per sei ore di seguito, saltando persino la ricreazione: «Ho scoperto quanto mi piace dormire» (5½). Un altro studente mi raccontava che durante le lezioni ha fatto molta ginnastica e molte flessioni, altri saltavano la corda, altri palleggiavano coi piedi o si esercitavano a basket. Un altro, meno fortunato ma comunque felice, era costretto a seguire suo padre sul camion per andare a lavorare da Napoli nei cantieri del Nord: «E per le interrogazioni ci si fermava in autogrill» (6). I sacripanti non possono neanche immaginarlo e ripeteranno: «Al primo posto la scuola, purché in sicurezza» (1). Rispettando i limiti di velocità e i divieti di sorpasso per gli autotreni con rimorchio.

un mondo storto di Ermanno Cavazzoni senza fissa dimora Essere un povero senza fissa dimora: chi non l’ha desiderato in certi momenti? Abbandonare tutto, l’appartamento con relative infinite bollette e gravami, mollare i mobili e le suppellettili, questo è presto fatto, basta dare tutto in regalo; c’è chi opta per buttare tutto dalla finestra, fare una catasta e darle fuoco, anche piatti e pentole, che crepino! e la cristalleria, che vada in mille pezzi! e buttar giù l’ottomana, in un’esplosione di polvere, che bello! Però bisogna scappare perché chiamano i pompieri, se ti prendono ti mandano al servizio psichiatrico. Mollare tutto e sparire, si accumulano le ingiunzioni, le multe; anche l’auto, lasciarla marcire per strada, dopo un po’ la vandalizzano, la portano via col carro attrezzi e la tengono in ostaggio nel deposito comunale, la multa cresce in proporzione ai giorni che passano, ma non viene nessuno, che se la tengano! Anche al conto corrente uno rinuncia, che resti lì, che se lo erodano con le spese fisse. Il

telefonino in una fogna, non avere più indirizzo e reperibilità, sparire. Essere libero, non esistere. L’unico problema che resta in sospeso è la salute. Bisogna avere una grande salute. Ma d’inverno si può camminare verso sud, dove il clima è accettabile, lo fanno anche le rondini, si migra, in un mese si fanno mille chilometri. Non si deve chiedere l’elemosina, e anche il vestiario non deve tradire la condizione di povero senza fissa dimora, perché in realtà uno deve considerarsi filosofo cinico, come cibo vanno bene gli scarti della nostra civiltà consumistica, si va a un mercato dove buttano via la frutta imperfetta e le verdure appassite, che mondate e lavate sono ottime; i fornai ti regalano il pane del giorno prima. Volendo ci sono le mense dei poveri; i cibi sono gli scarti dei grandi supermercati, i cibi in scadenza, che sono ottimi, ben cucinati; ci vengono a mangiare anche persone altolocate ma avare; beh, fanno bene, piuttosto che quei ristoranti coi

voti d’aria di Paolo Di stefano sacripanti e camionisti Chi dice: «Dobbiamo riaprire i ristoranti ma in sicurezza». E le scuole? «Riaprire le scuole, purché in sicurezza». Chi dice: «Si prenda atto dei dati scientifici». Chi dice: «Vogliamo salvare vite e imprese». Chi dice: «Si lavori per mettere in sicurezza le scuole». Chi dice: «Servono certezze sulle riaperture». Chi dice: «Siamo di fronte a una crisi sanitaria ma anche economica». Chi dice: «Siamo di fronte a una crisi economica ma anche sanitaria». Chi dice: «Siamo di fronte a una crisi». Chi dice: «Siamo». Applausi a scena aperta (voto d’aria: 1 collettivo)! Banalità incise nel marmo. Bisogna essere dei politici per dire tante ovvietà? Sì, bisogna essere dei politici, che ogni giorno, ogni momento, vogliono fare la loro comparsata al telegiornale per dire non importa cosa, perché l’importante è non perdere l’occasione per fare cucù nelle case dei concittadini e potenziali elettori: con una frasetta, con un imperativo, con un auspicio, con un invito, con un richiamo, dipende dall’umore,

dal tempo meteorologico, dall’aria che tira o non tira. Standing ovation di fronte alla sequela di straordinarie ovvietà (1) che i politici scandiscono con la sicumera dei retori antichi e che vengono puntualmente riprese dai giornali del giorno dopo con interminabili interviste. Banalità che risaltano ancora di più in una fase in cui il cittadino comune si aspetterebbe decisioni importanti e (magari) definitive. Quando si attenua la voglia di dire sciocchezze urlate a caso tanto per alzare il tono del dibattito fingendosi scienziati, medici, economisti, magistrati eccetera senza essere nulla di tutto ciò, nel discorso pubblico trionfa la tautologia infantile o la «sacripanza» o «sacripantìa». È una straordinaria parola, «sacripanza», che deriva da Sacripante: nei poemi cavallereschi di Boiardo e di Ariosto, Sacripante è il re dei Circassi che ama Angelica ma non è ricambiato, e col tempo diventa sinonimo di gradasso, smargiasso, spaccone, spavaldo, tutti aggettivi desueti e


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Melone Charentais Spagna/Marocco, al pezzo

invece di 3.90

Asparagi bianchi Spagna/Ungheria/Italia, mazzo da 1 kg

IDEALE CON

25% 4.30

Lamponi bio Spagna, vaschetta da 250 g

invece di 5.80

20x PUNTI

24% 1.90 invece di 2.50

Migros Ticino

Novità

Pancetta da arrostire affettata TerraSuisse in conf. speciale, per 100 g

4.75

Fondo per pizza aha! 250 g

40% 5.90 invece di 9.90

Asparagi verdi bio Spagna/Italia, mazzo da 500 g


Feel Good per un franco. 25% 2.95

Mango Extra Perù, al pezzo

invece di 3.95

1.– Cipollotti Svizzera, il mazzo

Hit 3.95

Fragole Spagna, cassetta da 1 kg

1.– Limoni bio Spagna/Italia, rete da 500 g

Migros Ticino

Offerte valide solo dal 20.4 al 26.4.2021, fino a esaurimento dello stock. .In quantità usuali per una normale economia domestica.


Carne e salumi

Tagli eccellenti a buon prezzo

30% 6.60 invece di 9.50

25% 3.50 invece di 4.70

20% 2.90 invece di 3.65

Migros Ticino

Pollo intero Optigal Svizzera, in self-service, 2 pezzi, al kg

Cappello del prete (Picanha) TerraSuisse per 100 g, in self-service

conf. da 3

Mini filetti di pollo Optigal Svizzera, in conf. speciale, per 100 g

34% 9.– invece di 13.80

Mini cordon bleu di pollo Don Pollo prodotti in Svizzera con carne del Brasile, 3 x 3 pezzi, 540 g

50% 9.80 invece di 19.60

Chicken Crispy Don Pollo surgelati, in conf. speciale, 1,4 kg


20% 7.90 invece di 9.90

20% 3.20 invece di 4.10

30% 2.30 invece di 3.30

Migros Ticino

Carne secca dei Grigioni bio Svizzera, per 100 g, in self-service

Ossibuchi di vitello TerraSuisse per 100 g, in self-service

Lonza di maiale marinata TerraSuisse in conf. speciale, per 100 g

30% 3.90 invece di 5.60

25% 1.20 invece di 1.60

33% 5.95 invece di 8.95

Prosciutto cotto Vivaldi Svizzera, in conf. speciale, 160 g

Puntine di maiale TerraSuisse per 100 g, in self-service

Salsiccia di maiale Tradition Svizzera, in conf. speciale, 4 pezzi, 500 g

20% 4.20 invece di 5.30

50% 1.15 invece di 2.35

15% 2.20 invece di 2.60

Racks d’agnello Nuova Zelanda/Australia, per 100 g, al banco a servizio

Collo di maiale Svizzera, in conf. da ca. 1 kg, per 100 g

Luganighetta Nostrana Ticino, per 100 g, in self-service

Offerte valide solo dal 20.4 al 26.4.2021, fino a esaurimento dello stock


Pesce e frutti di mare

Bontà dall’acqua ...

LO SAPEVI? La Migros ha di recente aperto una moderna acquacoltura a Birsfelden (BL). Vi si alleva ad esempio pesce persico fresco, che viene fornito direttamente alle filiali. Disponibile al banco del fresco nelle filiali più grandi.

30% 7.– 31% 6.– invece di 8.80

invece di 10.–

Filetto di pangasio M-Classic, ASC d'allevamento, Vietnam, 400 g, in self-service

Gamberetti tail-off crudi M-Classic, ASC d'allevamento, Vietnam/ Ecuador, 180 g, in self-service

Ordina ora al tuo banc one

20% Pesce svizzero al banco per es. filetto di pesce persico, d'allevamento, Svizzera, per 100 g, 6.– invece di 7.60

Migros Ticino

31% 13.95 invece di 20.25

Gamberetti tail-on Pelican cotti, ASC surgelati, in conf. speciale, 750 g


Pane e prodotti da forno

... e dalla panetteria

–.50 di riduzione

3.–

invece di 3.50

Treccia al burro TerraSuisse 500 g, confezionata

20x PUNTI

conf. da 4

30% 4.90 invece di 7.–

Migros Ticino

conf. da 3

20%

Novità

Farina bianca TerraSuisse 4 x 1 kg

1.20

Strudel con noci di pecan

Discoletti, nidi alle nocciole o biscotti al cocco

83 g

per es. discoletti, 3 x 207 g, 6.95 invece di 8.70

Offerte valide solo dal 20.4 al 26.4.2021, fino a esaurimento dello stock


Formaggi e latticini

Sapore intenso a prezzi bassi

conf. da 3

20% 5.– invece di 6.30

20% 1.55 invece di 1.95

Emmentaler surchoix ca. 250 g, per 100 g, confezionato

20% Tutti i tipi di formaggio fresco Philadelphia per es. Original, 200 g, 1.80 invece di 2.30

Migros Ticino

Pallina di mozzarella Alfredo Più 3 x 150 g

20% 1.75 invece di 2.20

Gottardo Caseificio prodotto in Ticino, per 100 g, confezionato

conf. da 2

15% 4.25 invece di 5.–

Mezza panna UHT Valflora 2 x 500 ml


conf. da 4

–.70

di riduzione

12.90 invece di 13.60

20% 1.75 invece di 2.20

Il Burro panetto, 4 x 250 g

Formaggella cremosa prodotta in Ticino, per 100 g, confezionata

CONSIGLIO DEGLI ESPERTI La variante grigliata o al forno con spezie mediterranee si prepara nella vaschetta in alluminio in dotazione. Griglia la feta in alternativa, o in aggiunta, alla carne oppure cuocila al forno e servila con un'insalata, per un pranzo semplice e gustoso.

20x PUNTI

20% 1.85

Novità

Quadratini ticinesi prodotti in Ticino, per 100 g

3.75

Feta Kolios prodotto vegetariano, 150 g

invece di 2.35

Migros Ticino

Offerte valide solo dal 20.4 al 26.4.2021, fino a esaurimento dello stock


Scorta

Scorte di prelibatezze

conf. da 2

conf. da 2

40%

15%

Pasta ripiena M-Classic

Tarte flambée originale dell'Alsazia

tortelloni ricotta e spinaci o tortellini tre colori al basilico, per es. tortelloni ricotta e spinaci, 2 x 500 g, 6.90 invece di 11.60

2 x 240 g o 2 x 350 g, per es. 2 x 240 g, 5.40 invece di 6.40

26% 2.40

conf. da 2

20% Gnocchi di patate Di Lella

Cornatur

prodotti in Ticino, 500 g

scaloppine di quorn con mozzarella e pesto o burger, per es. scaloppine, 2 x 240 g, 9.50 invece di 11.90

invece di 3.25

conf. da 2

20%

21%

Pancho Villa

Pizza Trattoria Finizza

Nacho Chips o Soft Tortillas, per es. Nacho Chips, 2 x 200 g, 5.75 invece di 7.20

surgelata, alla mozzarella, al prosciutto o al tonno, in conf. speciale, per es. alla mozzarella, 3 pezzi, 990 g, 4.60 invece di 5.85

Migros Ticino


Bevande

Le pratiche mini lat tine

conf. da 12

Vo g l i a d c ar ne m i pipe c on ac inata?

Hit 5.50

Coca-Cola Classic o Zero, per es. Classic, 12 x 150 ml

a partire da 3 pezzi

–.70

di riduzione

conf. da 8

25%

Tutti i tipi di pasta M-Classic per es. pipe, 500 g, –.75 invece di 1.45

Mitico Ice Tea al limone o alla pesca, per es. al limone, 8 x 500 ml, 5.40 invece di 7.20

a partire da 2 pezzi

42%

20%

Tutte le capsule di caffè M-Classic, UTZ compatibili con il sistema Nespresso®*, per es. Espresso, 30 capsule, 4.– invece di 6.90, * questa marca appartiene a terzi che non sono in alcun modo legati alla Delica AG.

20%

Tutti i tipi di caffè Exquisito, in chicchi e macinato, UTZ per es. Crema in chicchi, 500 g, 6.– invece di 7.50

Tutto l'assortimento Morand per es. sciroppo di granatina, 1 l, 3.90 invece di 4.90

conf. da 10

a partire da 2 pezzi

21% 8.95 invece di 11.40

Migros Ticino

20% Tonno M-Classic, MSC

Tutto l'assortimento di müsli Farmer

in olio o in salamoia, per es. in olio, 6 x 155 g

per es. Croc ai frutti di bosco, 500 g, 3.– invece di 3.70

33% 7.95 invece di 12.–

Succo di mele M-Classic 10 x 1 l

Offerte valide solo dal 20.4 al 26.4.2021, fino a esaurimento dello stock


Dolce e salato

Gustosissimi e amatissimi

22% 5.90

Maltesers in conf. speciale, 400 g

invece di 7.60

a partire da 2 pezzi

22%

–.60 di riduzione

Zampe d'orso, bastoncini alle nocciole, sablé al burro e schiumini al cioccolato

Tutto l'assortimento Choc Midor per es. biscotti Carré, 100 g, 2.50 invece di 3.10

in confezioni speciali, per es. bastoncini alle nocciole, 1 kg, 6.50 invece di 8.40

Prodot te a Bi sc hofszel l con patate sv izze re

20% per es. anacardi, 170 g, 3.40 invece di 4.30

in conf. speciale, 1 kg

20x

20%

Novità

Farm Chips disponibili in diverse varietà e in conf. speciali, per es. al rosmarino, 300 g, 4.45 invece di 5.60

50% assortiti, in conf. speciale, 1 kg

10.95

Doritos Sour Cream, Nacho Cheese e Sweet Chili Pepper, per es. Sour Cream, 125 g

PUNTI

Novità

Novità

Cioccolatini Selection Frey

2.95

20x

20x PUNTI

invece di 27.35

Trolli all in one

PUNTI

Tutto l'assortimento di noci Sun Queen Premium

13.65

Hit 7.95

Cioccolatini Selection Frey, assortiti 400 g

Cioccolato Toblerone disponibili in diverse varietà, per es. al latte, 100 g, 2.20


LO SAPEVI? 20x

20x

PUNTI

PUNTI

Novità

1.90

Novità

Cubetti di malto Eimalzin 60 g

3.10

Mini di marzapane al cioccolato fondente Alnatura vegano, 70 g

20x PUNTI

20x PUNTI

Novità

Novità

Barrette di cioccolato al latte Maître Truffout, Choco Bonbons e ovetti con sorpresa Zaini per es. barrette di cioccolato al latte Maître Truffout, 8 x 12,5 g, 1.–

Ragusa, Torino e tavolette di cioccolato Camille Bloch

La Migros ha una vasta scelta di prodotti vegani sostitutivi del gelato: su bastoncino, in versione cornetto e anche in coppetta. Tra questi il Megastar Almond Vegan a base di latte di mandorle ricoperto con cioccolato fondente e scaglie di mandorle e il Coco Ice Land al cioccolato, a base di latte di cocco con delizioso cacao di Santo Domingo.

disponibili in diverse varietà, per es. Ragusa Classique, 100 g, 2.40

20x PUNTI

20x PUNTI

Novità

Choco Villars disponibile in diverse varietà, per es. cioccolato fondente, 4 x 30 g, 2.95

Con pe zze tt i di carame llo s H uu firmati Läcke rli

Novità

6.95

Mini cornetti Fun

surgelati, 6 x 122 ml

8.95

surgelati, 4 x 90 ml

20x

Novità

Novità

Cornetti al caramello Crème d'Or

MegaStar alla mandorla

PUNTI

PUNTI

Novità

6.95

vaniglia e cioccolato, surgelati, 12 x 26 ml

20x

20x PUNTI

8.95

Novità

20x PUNTI

8.50

Cornetti alla stracciatella Crème d'Or

Coco Ice-Land Chocolate surgelati, 6 x 110 ml

surgelati, 6 x 122 ml

Offerte valide solo dal 20.4 al 26.4.2021, fino a esaurimento dello stock


Bellezza e cura del corpo

In ordine, dalla testa ai piedi

a partire da 2 pezzi

20% Tutto l’assortimento Le Petit Marseillais conf. da 3

33% 7.90

conf. da 3

Shampoo Belherbal per es. antigrasso, 3 x 250 ml

invece di 11.85

33% 4.60 invece di 6.90

(confezioni multiple e confezioni da viaggio escluse), per es. docciacrema ai fiori d’arancio, 250 ml, 2.80 invece di 3.50

Shampoo I am per es. Intense Moisture, 3 x 250 ml

a partire da 2 pezzi

20%

33%

Tutto l'assortimento M-Plast

Fazzoletti e salviettine cosmetiche Linsoft, Tempo e Kleenex

(confezioni da viaggio escluse), per es. cerotti idrorepellenti, 10 pezzi, 2.20 invece di 2.70

in confezioni speciali, per es. fazzoletti di carta Linsoft, FSC, 56 x 10 pezzi, 3.90 invece di 5.85

20x

20x PUNTI

PUNTI

Novità

5.95 Migros Ticino

Pe e ling e i dr a de l le labb tazione un s o l o pr o r a i n do t t o

Novità

Labello Caring Lip Gloss

Cura delle labbra Labello

Trasparent o Rosé, per es. Trasparent, il pezzo

Lip Scrub Strawberry & Peach o Pearly Shine, per es. Lip Scrub Strawberry & Peach, il pezzo, 4.50


Fiori e giardino

conf. da 2

conf. da 2

25%

25%

Collutori Listerine

Crema per le mani Neutrogena

per es. Advanced White dal gusto delicato, 2 x 500 ml, 8.80 invece di 11.80

ad assorbimento rapido o non profumata, per es. ad assorbimento rapido, 2 x 75 ml, 6.60 invece di 8.80

F a v o r i sc e c utane a dla rig e ne razione ur a nt e l a no t t e

Hit 13.95

Bouquet di rose M-Classic, Fairtrade mazzo da 30, disponibile in diversi colori, lunghezza dello stelo 40 cm, per es. gialle, arancioni e rosse

a partire da 2 pezzi

20% Tutto l'assortimento Zoé (Sun e prodotti per la cura delle labbra e delle mani esclusi), per es. crema da notte nutriente Zoé Gold, 50 ml, 15.95 invece di 19.90

Asciugamano ref rig erante in microfibra

20x

20x

PUNTI

PUNTI

Novità

8.95 Migros Ticino

Con esotic o e rinfre scante profumo di cocco e me nta

Novità

Cooling Towel M-Classic il pezzo

3.30

Dentifricio Candida Coco Dreams Limited Edition, 75 ml

Hit 9.90

Tulipani mazzo da 30, disponibili in diversi colori, per es. arancione, il mazzo

Offerte valide solo dal 20.4 al 26.4.2021, fino a esaurimento dello stock


Ribasso permanente

1.85 finora 1.95

Ribasso permanente Stick di mozzarella Alfredo Classico 4 pezzi, 120 g

Ribasso permanente

4.60

5.–

finora 5.60

Sciroppo al lampone bio 500 ml

1.25 finora 1.40

Ribasso permanente

finora 2.80

finora 7.95

Aproz Schorle frutto della passione 500 ml

Ribasso permanente

2.95

Spugne in cellulosa Miobrill Soft 2 pezzi

Ribasso permanente

6.95

120 g

Ribasso permanente

finora 4.95

2.40

Rosette di formaggio Tête de Moine, AOP

finora 3.70

Ribasso permanente Guanti per uso domestico Miobrill Comfort M 1 paio

2.95 finora 3.40

Spugne per lucidare in viscosa Miobrill 2 pezzi

Ribasso permanente Salviette multiuso Potz, 1 for all conf. da 64 pezzi

2.50

Baby Shampoo Milette 300 ml

finora 2.70

Offerte valide solo dal 20.4 al 26.4.2021, fino a esaurimento dello stock


Varie

Praticità e convenienza

40% Carta per uso domestico Twist, FSC

conf. da 3

a partire da 2 pezzi

20%

15%

Tutti i detergenti e i detersivi Migros Plus

Classic e Magic, in conf. speciale, per es. Magic, 12 rotoli, 8.90 invece di 14.85

Detersivi per piatti Handy per es. Classic, 3 x 750 ml, 4.55 invece di 5.40

per es. detersivo per stoviglie a mano, 750 ml, 2.65 invece di 3.30

conf. da 2

50% 23.95 invece di 48.15

conf. da 2

20% Detersivi Elan Active Powder e Color Powder, in conf. speciale, 7,8 kg, per es. Active

23.75 invece di 29.80

20% Detersivi Elan in confezione di ricarica

Tutto l’assortimento di alimenti secchi Vital Balance per es. Adult con pollo, 450 g, 3.40 invece di 4.20

per es. Flower Clean, 2 x 750 ml, 5.60 invece di 7.–

conf. da 2

Hit 99.95

Cestelli o detergenti per WC Hygo

disponibili in diverse fragranze, per es. Fresh Lavender, 2 x 2 l

a partire da 2 pezzi

20%

Con confezione in m ate ri riciclato al 10 0% ale

Hit Gasatore SodaStream con 2 caraffe disponibile in nero o bianco, per es. nero, il pezzo

29.95

Caraffe in vetro SodaStream 1l


conf. da 3

conf. da 4

40% 15.95

invece di 26.85

50% 7.–

Carta per fotocopie A4 Papeteria, FSC bianca, 80 g/m², 3 x 500 fogli

Spago per pacchi Papeteria 4 x 100 m

invece di 14.–

40%

Hit 24.95

Tutto l'assortimento di reggiseni, biancheria intima e per la notte da donna per es. canottiera da donna, bianca, bio, tg. M, il pezzo, 8.95 invece di 14.95

Pigiama corto da uomo John Adams bio disponibile in nero o cachi, tg. S-XL, per es. nero, tg. M, il pezzo, in vendita solo nelle maggiori filiali

Hit 29.90

Borsette da donna disponibili in diversi colori e modelli, il pezzo

Hit 39.95

Hit 34.95

Caffettiera Bialetti per 6 tazze, disponibile in giallo o menta, per es. giallo, il pezzo

Hit 8.95

30% Trolley per la spesa disponibile in diversi motivi, misura unica, per es. blu marino, il pezzo

Bicchiere Barista disponibile in rosa o verde, 340 ml, per es. verde, il pezzo

48.90 invece di 69.90

Scarpe multifunzionali per bambini Minto Salomon blu, n. 33-38, per es. n. 34, il paio

Hit 4.95

Tazza in porcellana con soggetto lama, disponibile in turchese o rosa, 450 ml, per es. rosa, il pezzo

Offerte valide solo dal 20.4 al 26.4.2021, fino a esaurimento dello stock


Portati l’Italia a casa!

Validi gio. – dom. Prezzi

imbattibili del

weekend

40% 11.95

invece di 19.95

conf. da 3

34% 9.50

Nocciolata 700 g

invece di 14.50

33% 5.60

invece di 8.40

Saumone dell'Atlantico affumicato, ASC d'allevamento, Norvegia, in conf. speciale, 300 g, offerta valida dal 22.4. al 25.4.2021

Sugo di pomodoro Agnesi al basilico o bolognese, per es. al basilico, 3 x 400 g

25% Tutti i succhi freschi e le composte Andros per es. succo d'arancia, 1 l, 3.65 invece di 4.90, Offerta valida dal 22.4 al 25.4.2021

a partire da 2 pezzi

20%

Tutti gli antipasti Polli, Le conserve della nonna, La trattoria e Dittmann per es. pomodori secchi in olio di oliva Polli, 285 g, 2.25 invece di 2.80

conf. da 6

33% 3.80

invece di 5.70

Offerte valide solo dal 20.4 al 26.4.2021, fino a esaurimento dello stock

Acqua minerale San Pellegrino 6 x 1,25 l

20% Tutte le gallette di riso e di mais (prodotti Alnatura esclusi), per es. Tondelli di riso integrale con cioccolato al latte, 100 g, –.85 invece di 1.10, Offerta valida dal 22.4 al 25.4.2021


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