Cooperativa Migros Ticino
Società e Territorio Il Luismo è il nuovo libro di Luis Sal, uno dei tanti influencer che affascinano i giovanissimi, cerchiamo di capire perché
Ambiente e Benessere La prevenzione dei tumori è importante anche per gli uomini, superando i tabu legati ai problemi urologici
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXIV 28 giugno 2021
Azione 26 Politica e economia Putin ha messo in campo una strategia di incontri per trovare sbocchi alla Federazione russa
Cultura e Spettacoli Ad Ascona un’importante restrospettiva dell’opera di Michelangelo Pistoletto
Shutterstock
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di Claudio Visentin pagina 13
Foto Ma.Ma.
In vettura: il turismo riparte
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Pandemia, svolta decisiva di Peter Schiesser La pandemia è finita? No, non ancora, soprattutto non nella gran parte del mondo in cui la popolazione non ha accesso ai vaccini, o a vaccini efficaci, o nei quali la strategia di somministrazione è sbagliata (una sola dose, abolizione delle restrizioni prima che la seconda dose protegga in modo efficace). Ma in Svizzera possiamo dire che siamo ad una svolta decisiva: il Consiglio federale ha puntato sui vaccini migliori, Pfizer e Moderna, ha garantito una doppia dose, dapprima alle persone anziani, poi a quelle più fragili, quindi man mano a tutti (siamo ancora nella fase di stabilizzazione, ma gli effetti sul sistema ospedaliero, sulla riduzione della mortalità sono evidenti), con le riaperture è stato cauto abbastanza da non compromettere i progressi che si ottenevano, senza dimenticare che i massicci aiuti all’economia e alle persone hanno permesso di minimizzare i danni. Diciamolo: possiamo essere contenti di vivere in Svizzera, se ci paragoniamo agli altri paesi. Oggi si può quindi osare ancora di più, sulla scia di quanto fatto nei mesi scorsi in fatto di riaperture, abolizione delle restrizioni, quando tutt’attorno in
Europa la popolazione continuava a soffrire delle limitazioni alle libertà personali. Le ultime decisioni prese dal Consiglio federale, entrate in vigore sabato scorso, sono quindi coraggiose e giuste al contempo. Chi sottolinea che gli allentamenti decisi l’estate scorsa avevano poi portato ad una seconda ondata, ancora più letale della prima, dimentica che oggi ci sono dei vaccini efficaci, che entro pochi mesi tutti coloro che lo vorranno potranno essere vaccinati, la situazione di oggi non è quindi paragonabile a quella di un anno fa. Certo, varianti del virus più pericolose e/o infettive non sono da escludere, ma per ora i vaccini di Pfizer e Moderna sono altamente efficaci anche contro la variante al momento più pericolosa, la «Delta» venuta dall’India che sta dando filo da torcere alla Gran Bretagna (dove però la strategia è stata di inoculare una sola dose, e di Astra Zeneca per di più, segnatamente meno efficace contro questa variante). Possiamo quindi tornare a riassaporare la maggior parte delle antiche libertà, resta quasi solo l’obbligo della mascherina in luoghi chiusi (ciò che ha senso, visto che sempre più si capisce che i contagi avvengono via aerosol al chiuso). A dire il vero, delle libertà ritrovate può
godere soprattutto chi ha deciso di farsi vaccinare, o chi è guarito dal Covid. Si crea quindi un vantaggio per loro, rispetto a chi preferisce non farsi vaccinare. Tuttavia, anche costoro possono tornare a una vita normale, frequentare grandi eventi, ristoranti, cinema eccetera (laddove vengano introdotte delle limitazioni) a patto che abbiano un «passaporto vaccinale» che certifichi che dispongono di un test negativo valido 48 ore. C’è chi lamenta che in questo modo si impone in modo subdolo la vaccinazione, in realtà le decisioni del Consiglio federale rappresentano soprattutto una motivazione a vaccinarsi. Certo, non è escluso che in autunno ci sia una nuova ondata di contagi, ma saranno coloro che hanno deciso di non vaccinarsi a farne le spese (Berset è stato chiaro: prima o poi chi non si fa vaccinare andrà incontro ad un contagio). E se pure dovessimo affrontare una nuova ondata, il Governo è fortemente intenzionato a non reintrodurre limitazioni per tutta la popolazione, bensì soltanto per coloro che non vogliono il vaccino. Possono essere liberi di non farsi vaccinare, ma non si può pretendere che la loro libertà comporti una limitazione della libertà per chi invece ha deciso di proteggersi e al contempo di contribuire a far superare la pandemia a tutta la collettività.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 giugno 2021 • N. 26
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Società e Territorio Coltivare il talento scientifico Sono aperte le iscrizioni all’European Talent School: il progetto transfrontaliero è dedicato alle ragazze e ai ragazzi delle scuole postobbligatorie e propone una settimana di laboratori e workshop scientifici pagina 7
Artigianato in Lavizzara Il sogno di Alessandro Kaufmann sta per realizzarsi nell’ex scuola comunale di Peccia dove aprirà tra poco l’Atelier de Cuir specializzato nella produzione artigianale di imbragature per cani guida pagina 8
I guru dei nostri figli
Il caffè delle mamme Luis Sal ha da poco
pubblicato un libro intitolato Il Luismo, è uno dei tanti influencer che affascinano i giovanissimi, cerchiamo di capire perché
Simona Ravizza Quello che lo contraddistingue: volere tanto bene alla mamma, prendersi cura del proprio corpo, portare a termine i propri obiettivi, credere in sé stesso e nelle sue idee, rispettare le altre persone, avere senso dell’umorismo, non trovare scuse, guardare sempre il lato positivo, non dare niente per scontato. Il figlio perfetto? No, è Luis Sal, classe 1997, di nascita e di casa a Bologna, dice di essere appassionato di disegno, regista, montatore, scultore di cose e del suo corpo. Su tutto: star del web da quando nel marzo 2017 ha postato il primo video del suo canale YouTube, che supera attualmente il milione e mezzo di iscritti, mentre su Instagram sfora i due milioni. Nel 2020 ha fondato con Fedez il podcast Muschio Selvaggio. Per Rizzoli ha pubblicato nel 2018 Ciao, mi chiamo Luis e dal 18 maggio è in libreria con Il Luismo, la sua filosofia di vita, fatta di consigli per superare le difficoltà di ogni giorno. A Il caffè delle mamme decidiamo di confrontarci sull’argomento per capire che cosa c’è in Luis Sal e negli altri influencer che affascina, perché i nostri figli hanno bisogno di questi nuovi guru, e quale pensiero degli adolescenti nascondano i messaggi buonisti. Il dibattito è animato perché parte dalla provocazione di una di noi: «Il messaggio è innocuo, ma questo modo di costruire una propria immagine da profeta/santone depositario di saggezza che senso ha? Negli anni Ottanta i miti dei ragazzi erano cantanti o gruppi (più o meno dediti alle droghe) che spingevano alla ribellione, ora c’è uno che propone di voler bene alla mamma e prendersi cura del corpo: dove stiamo andando?». La mia convinzione (e la dichiaro subito a scanso di equivoci) è che rispondere a queste domande vuol dire sforzarsi di entrare un po’ nella testa dei nostri figli. Per loro siamo e
resteremo per sempre dei boomer, appellativo ironico e spregiativo con cui noi mamme e papà della generazione del Baby Boom ormai siamo destinati a convivere: ci viene attribuito perché mostriamo atteggiamenti o modi di pensare ritenuti ormai superati dalle nuove generazioni. Ma sforzarsi per comprendere è l’imperativo categorico de Il caffè delle mamme. Per farlo telefono con un taccuino pieno di domande a Giovanni Boccia Altieri, docente di Sociologia dei media digitali all’Università Carlo Bo di Urbino ed esperto dei fenomeni che riguardano i giovanissimi, che esordisce: «Come genitori ed educatori non possiamo fare finta che questo mondo non esista». Allora, cosa dice Luis Sal? Il libro, ammetto, me lo sono letto tutto d’un fiato! La sua pretesa è di offrire un punto di riferimento per giovani in cerca di una guida: «Voglio parlare di te. Non a te (ragazzo a caso), a te che leggi, che mi concedi di entrare nella tua mente. Mi rivolgo a te che oggi, nei primi anni Venti del 2000, ti ritrovi perduto. Quindi non ti trovi affatto. Ti senti triste? Senza un ruolo? Disincantato? Rassegnato? Nichilista? Passivo? Ok. Per te che vuoi cambiare questa condizione, il Luismo è la soluzione». A Il caffè delle mamme c’è chi a questa dichiarazione salta sulla sedia: inutile, meglio andare a fondo! I pilastri del Luismo sono tre. Punto uno: i buoni sentimenti verso gli altri e il Pianeta, a partire dalla mamma. «Un Luista ama chi per primo gli ha insegnato ad amare, chi lo ha amato per primo. La Mamma». Poi: «La forza del Luista è la gentilezza, perché empatizza con gli altri mortali. Un Luista non dà per scontato che le altre persone abbiano una vita più facile della sua». E: «Il Pianeta è la nostra casa e il Luista lavora per renderla strutturalmente più solida e per tenerla in ordine». Punto due: la motivazione. «Non esistono problemi, esistono solo solu-
Luis Sal ha 24 anni, è nato a Bologna e conta milioni di fan che lo seguono su YouTube, Instagram e TikTok. (© Piero Percoco)
zioni». «Se ti chiedono 10, prometti 8 e porta 12». «La verità è che non si arriva mai, per un Luista farcela è fare». «La sicurezza non è “ce la farò” ma “starò bene anche se non dovessi farcela”». Punto tre: la valorizzazione del presente. «Il Luista trova un equilibrio all’interno di ogni oggi per poter godere oggi. Quando il Luista si sacrifica per qualcosa lo fa gioiosamente, rendendolo godibile, perché sa che non è certo che raccoglierà i frutti del sacrificio. Non vive nella favola per cui sacrificherà o risparmierà tutto il proprio tempo e denaro per poterselo godere in futuro. E se quel futuro non dovesse mai arrivare?». Per il sociologo Giovanni Boccia Altieri questi ed altri messaggi simili di cui i social sono pieni esprimono e intercettano un bisogno degli adolescenti all’interno di una società considerata polemica e aggressiva: «È la risposta
dei giovanissimi a un livello di violenza forte da cui si sentono circondati». Ma il Luismo viene proposto come un credo religioso o una setta, che senso ha? «Luis e altri influencer sono stati capaci di raccogliere il disagio di una generazione che è anche la loro. Così tramite i social si aiutano tra giovanissimi o, almeno, è questa la percezione che gli adolescenti hanno». La Generazione Z, ossia i nati tra il 1995 e il 2010, cerca sui social contenuti utili per la fase di vita in cui si trova e vede in Luis & C. persone che insegnano cose di cui hanno bisogno con messaggi in cui i nostri figli si ritrovano: «Per loro sono autorevoli perché sono content creator (ossia creatori di contenuti web, altro termine che a Il Caffè delle mamme abbiamo dovuto imparare) – riflette Boccia Altieri –. E gli adolescenti grazie ai social hanno la possibilità di frequentarli quotidianamente come super-amici interes-
santi, celebri e molto vicini a loro sia per modo di esprimersi sia per sguardo alla vita». Per il sociologo è, comunque e sempre, anche questa una forma di ribellione: «Contro adulti spesso considerati cinici». I contenuti che cercano sul web, dei quali Luis & C. sono portavoce, sono inspirational. Insomma, quella davanti a noi è una generazione di ambientalisti, pronta a difendere i diritti gay e l’amore fluido («Non mi innamoro di una femmina o di un maschio ma della persona»), con una sensibilità particolarmente spiccata verso i valori, compreso quello della famiglia, e schierata contro il body shaming (il giudizio sul corpo delle persone). È un mood generazionale che a Il caffè delle mamme rilancia un interrogativo: «Ma perché noi genitori li abbiamo delusi?». Forse, per non continuare a farlo, dobbiamo ascoltarli di più. Anche quando parlano di Luis e del Luismo!
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 giugno 2021 • N. 26
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Le nuove competenze e la formazione professionale
Intervista Di sfide e opportunità future abbiamo parlato con Barbara Fontanellaz direttrice dell’Istituto Universitario
Federale per la Formazione Professionale del convegno nazionale NewSkills Stefania Hubmann Come sarà l’insegnamento del futuro? Quali competenze dovrà trasmettere la formazione professionale per assicurare l’entrata nel mondo del lavoro delle nuove generazioni? La pandemia ha evidenziato il ruolo chiave della digitalizzazione, fornendo un impulso innovativo anche al settore formativo. Alla sfida delle nuove competenze e alle prospettive di sviluppo in questo settore l’Istituto Universitario Federale per la Formazione Professionale (IUFFP) ha dedicato il convegno nazionale NewSkills, svoltosi lo scorso maggio e durante il quale è pure stato assegnato il premio Enterprize 2021, che ha ricompensato l’associazione basilese ICT Scouts/Campus, la quale ricerca e promuove i giovani talenti nel campo dell’informatica. La formazione professionale si muove però anche in altre direzioni, come ha rilevato l’incontro nazionale sul quale abbiamo interpellato la direttrice dello IUFFP Barbara Fontanellaz. Signora Fontanellaz, anche il convegno NewSkills quest’anno ha dovuto essere organizzato in modalità online. Quale bilancio trae da questa applicazione pratica dell’innovazione tecnologica? Quale ruolo riveste quest’ultima nella formazione professionale?
L’interesse per le nuove competenze nel nostro settore è molto elevato e con il convegno abbiamo voluto approfondire diversi aspetti: come si sviluppano le professioni in relazione alle innovazioni, quale bagaglio di qualifiche necessitano lavoratrici e lavoratori e se è possibile delineare approcci generali a fronte di esigenze settoriali diverse. Ol-
tre al programma principale, diffuso in tre lingue, i circa 750 partecipanti hanno potuto scegliere tra dieci programmi paralleli collegandosi alle cosiddette «transfer room» dedicate ad esempi pratici. Se da un lato una manifestazione online facilita la partecipazione individuale, dall’altro anche al termine di questo evento abbiamo sentito la mancanza degli scambi interpersonali in presenza. Si tratta di una conclusione evidente che vale anche per l’insegnamento e l’apprendimento, non solo nella formazione professionale. Quali sono le principali sfide della formazione professionale in relazione all’accelerazione dell’innovazione tecnologica?
Barbara Fontanellaz durante il convegno che si è tenuto online lo scorso 25 maggio. (IUFFP / Ben Zurbriggen)
Come per altre questioni la sfida principale è costituita dalla ricerca di un equilibrio dinamico e sostenibile, come quello fra i necessari tempi di adattamento e la qualità della formazione o quello del numero di ore in ogni luogo di formazione (azienda, corsi interaziendali, scuola). O ancora, a scuola, l’equilibrio tra l’insegnamento delle materie professionali e quello di cultura generale. La pandemia ha dato una grande spinta all’impiego degli strumenti digitali per cui nell’insegnamento a distanza si sono potute raccogliere nuove e preziose esperienze. Ora il compito è quello di sviluppare forme di insegnamento sensate, al passo con i tempi e pedagogicamente valide. Un buon insegnamento richiede però sempre anche relazioni sociali positive. I migliori strumenti online non possono sostituire il contatto personale, sono semplicemente mezzi ausiliari. Anche qui sarà necessario trovare un nuovo equilibrio per impiegare in futuro i vantaggi dell’apprendimento digitale in modo ottimale.
Questo dimostra come tutte le sfide rappresentino al tempo stesso delle opportunità. Quali le sembrano le più importanti nel contesto della formazione professionale?
Abbiamo l’opportunità inaspettata di trovare forme di insegnamento moderne, collaborative; l’opportunità di trovare un nuovo modo di interagire con le persone in formazione, di promuovere nuove culture dell’apprendimento nelle quali esse possano lasciarsi coinvolgere completamente, lavorando e sviluppandosi su un piano di parità con le persone formate. La formazione professionale deve svilupparsi costantemente, sia a livello di contenuto, sia di sistema. A tale scopo, Confederazione, Cantoni e settore economico lavorano
L’innovazione tecnologica da sola non basta L’innovazione tecnologica, pur rimanendo al centro dello sviluppo della formazione professionale, deve essere abbinata ad altre competenze, non da ultimo quella di un pensiero critico. Al convegno nazionale l’attenzione su questo aspetto è stata richiamata da Fabio Merlini, direttore dell’Istituto regionale dello IUFFP per la Svizzera italiana. Nel suo contributo ha sottolineato come non si debba «confondere l’innovazione tecnologica con l’emancipazione. Non vi è nessun automatismo che dalla prima consenta di passare alla seconda». Il passaggio avviene se si inscrive l’innovazione «in campi d’azione capaci di promuovere il bene comune, il rispetto verso le diverse forme di vita, la generatività sociale e ambientale».
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938
Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Romina Borla, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Da noi sollecitato sul ruolo della formazione professionale a questo livello, Fabio Merlini risponde: «Nelle scuole professionali esistono gli strumenti per stimolare gli allievi a riconoscersi e attivarsi come cittadini prima che come utenti dei servizi tecnologici. Ne è un esempio la materia d’insegnamento “Cultura generale” il cui compito è anche quello di aiutare a chiarire i nodi con i quali è confrontata la società. In questo modo la formazione assicura nel contempo istruzione e educazione». Un ulteriore elemento rilevante, secondo il direttore regionale dello IUFFP, è l’attuale trasformazione, perlomeno a livello di principi, del modello economico tradizionale verso forme di produzione sostenibili
nei confronti dell’ambiente e della società. Fabio Merlini: «In questo ambito la scuola può mostrare nuove vie percorribili all’interno delle singole professioni. Rispondere alle esigenze del mercato del lavoro resta la base della formazione professionale, cui si affianca però il compito di sensibilizzare sull’impatto della produzione a livello generale. Il nostro Istituto regionale, con sede a Lugano, promuove già da diversi anni questa riflessione anche attraverso incontri pubblici. La formazione professionale assume così un ruolo propositivo, contribuendo ad indicare quali, fra i diversi modelli economici, siano i migliori candidati a favorire benessere ed emancipazione dal punto di vista sia sociale sia ambientale».
Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch
editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11
La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
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in stretta collaborazione. In qualità di principale centro di expertise della Confederazione e scuola universitaria vogliamo sfruttare questa opportunità. Partecipiamo pertanto a progetti innovativi tra l’altro con fondazioni, aziende, organizzazioni del mondo del lavoro e scuole professionali.
Da un’altra prospettiva, quale spazio deve riservare la formazione professionale alle soft skill?
Sebbene l’obiettivo di una formazione professionale resti quello di acquisire in un determinato settore abilità specialistiche tali da poter esercitare la professione con competenza, nell’esercizio vero e proprio le soft skill assumono un’importanza sempre maggiore. Mi riferisco a competenze sociali, comunicative – plurilinguismo incluso – competenze personali e la capacità di dare il meglio di sé in un team. Per avere successo nella propria professione sul lungo termine, occorre essere in grado di far fronte ai rapidi sviluppi, in poche parole occorre la volontà di imparare. Come hanno sottolineato il presidente della Confederazione Guy Parmelin e il direttore del Laboratorio federale di prova dei materiali e di ricerca Empa Gian-Luca Bona, la curiosità è probabilmente il prerequisito fondamentale di tutte le soft skill e personalmente aggiungerei anche l’apertura. Il convegno ha affrontato il tema delle nuove competenze in maniera globale, includendo politica, economia, formazione e ricerca. Come trovare un buon equilibrio fra le diverse esigenze di questi settori?
La ricetta per bilanciare con successo queste esigenze è racchiusa in una parola: dialogo. La politica e l’economia hanno sempre lavorato a stretto Tiratura 101’262 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch
contatto nella formazione professionale. Questo partenariato è unico nel suo genere a livello mondiale e funziona molto bene, come abbiamo potuto di nuovo constatare nell’attuale pandemia. In quanto task force «Prospettive tirocinio 2020», i vari attori della formazione professionale hanno lavorato insieme per gestire al meglio la situazione, che si trattasse di garantire l’accesso all’apprendistato o di assicurare la conclusione della formazione. La collaborazione si rivela però impegnativa anche al di fuori dell’attuale situazione eccezionale, in particolare quando si tratta di accordarsi sulle esigenze richieste per l’ulteriore sviluppo di una professione. Il presidente della Confederazione Guy Parmelin nel suo intervento ha sottolineato il ruolo essenziale del «lifelong learning», vale a dire dell’apprendimento permanente. Secondo lei è un’attitudine che va promossa maggiormente?
Non lo possiamo sottolineare abbastanza: la costante riqualifica professionale, e di riflesso anche personale, è sempre più importante. Nella formazione professionale le possibilità sono numerose. Già oggi, circa la metà di chi conclude una formazione professionale con attestato federale di capacità, cinque anni dopo esercita un’altra professione, mentre un quarto lavora in una professione con un livello di qualifica superiore. Questa tendenza si accentuerà. L’apprendimento lungo tutto l’arco della vita, anche affiancato al lavoro, è un privilegio meraviglioso che può aprire sempre nuove prospettive. Il fatto stesso di restare aperti e confrontarsi a tali opportunità è presumibilmente la «nuova competenza» più importante ed esigente. Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 giugno 2021 • N. 26
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Idee e acquisti per la settimana
Deliziose bacche ticinesi
Attualità La frutticoltrice Sevenja Krauss produce per Migros Ticino squisiti lamponi
di qualità extra. Li trovate nelle maggiori filiali
Un vero amore per le bacche: dopo le apprezzate fragole, da qualche giorno nelle serre della ventiduenne Sevenja Krauss a S. Antonino stanno maturando i suoi dolcissimi lamponi, che i consumatori possono già trovare sugli scaffali dei negozi Migros nella vaschetta da 250 grammi e saranno in vendita almeno fino al mese di settembre. I lamponi sono dei frutti molto delicati e bisogna maneggiarli con molta cautela per non danneggiarli. «La raccolta inizia al mattino molto presto e avviene esclusivamente a mano, un’attività svolta da personale ben istruito che seleziona accuratamente i lamponi prelevando solo i frutti che abbiano raggiunto il giusto grado di maturazione», spiega Sevenja. Per poter garantire la massima freschezza, grazie ad una logistica ben rodata entro 24 ore dalla raccolta i lamponi nostrani sono già disponibili nei supermercati Migros. I lamponi prodotti dalla giovane frutticoltrice appartengono alla categoria «extra»: «Si tratta di una varietà di qualità superiore che risulta più grande rispetto alla media e presenta un calibro uniforme. Inoltre, a livello gustativo è particolarmente dolce e aromatica». Una volta acquistate, le piccole bacche dovrebbero essere consumate il prima possibile e tenute in un luogo fresco: contrariamente alle fragole, i lamponi perdono infatti pochissimo del loro aroma se conservati nel frigorifero. Poco prima del consumo, lavateli brevemente sotto l’acqua corrente, ma non lasciateli immersi nell’acqua altrimenti deperiranno velocemente. Per poter approfittare a lungo della loro
Lasciatevi tentare dal nostro sushi del mese
Per tutto il mese di luglio gli amanti della cucina giapponese potranno gustare sia a casa che fuori un’irresistibile specialità pronta al consumo: il sushi Fuzuki. Preparato artigianalmente in Svizzera con ingredienti di prima scelta da un’azienda specializzata da molti anni in cucina asiatica, è composto da nigiri di tilapia e tonno, hoso-maki ai gamberetti, chu-maki di surimi e chumaki di pollo teriyaki. Come vuole la tradizione, la pietanza è accompagnata dai classici condimenti, vale a dire salsa piccante al wasabi, salsa di soia e lamelle di zenzero. Buono a sapersi
Il wasabi è una salsa verde saporita, ma
pungente, tipica della cucina giapponese. È ottenuta dalle radici della pianta «wasabia japonica», che appartiene alla stessa famiglia di cavoli, rafano, senape e ravanello. Il wasabi conferisce una caratteristica nota piccante alle pietanze, ma attenzione a non esagerare: ne basta una punta. Un uso eccessivo può infatti far lacrimare gli occhi. Anche troppa salsa di soia rischia di mascherare e rovinare il sapore proprio del pesce: mettetene un po’ di una ciotolina e immergete brevemente i bocconcini di sushi prima di gustarli. Lo zenzero sottaceto, dal canto suo, non è un vero e proprio condimento, ma serve piuttosto a neutralizzare i differenti sapori dei sushi.
La produttrice di lamponi Sevenja Krauss.
squisitezza, si prestano bene anche al congelamento: distribuiteli separatamente su una teglia e collocateli in congelatore. Una volta congelati, trasferiteli nei sacchetti per surgelati e di nuovo in congelatore. In questo modo manterranno la loro bella forma. I lamponi si possono apprezzare in molti modi diversi: in primis da soli al naturale, ma sono ottimi anche per preparare coulis, confetture, sorbetti, sciroppi, mousse, torte e altri golosi dessert, oppure, perché no, si possono anche accostare a carni e insalate. Sono tra i frutti più idonei per la preparazione di marmellate e gelatine, in virtù dell’alto contenuto di pectina. Da un punto di vista salutare, le piccole bacche sono un’importante fonte di nutrienti, tra cui vitamina C, manganese, fibre alimentari e polifenoli dalle proprietà antiossidanti sull’organismo.
Nuovi orari e regole nei Ristoranti Migros
Conformemente alle ultime disposizioni emanate dalla Confederazione, nei Ristoranti Migros è stato revocato l’orario ridotto di apertura e chiusura e sono state aggiornate le regole di comportamento. Le consumazioni all’interno sono consentite da seduti, mentre all’esterno l’obbligo è revocato; registrazione dei dati di una persona per gruppo tramite codice QR applicato sui tavoli solo all’interno; mascherina da indossare per gli spostamenti; revocato il limite di persone per tavolo sia all’esterno che all’interno.
I nuovi orari dei ristoranti sono i seguenti: Ristorante Serfontana
LU-VE dalle 8.30 alle 19.00/GI dalle 8.30alle21.00/SAdalle8.30alle18.30 Ristorante S. Antonino
LU-VE dalle 8.00 alle 19.00/GI dalle 8.00 alle 21.00/ SA dalle 8.00 alle 18.30 Ristorante Agno
LU-VE dalle 8.00 alle 19.00/GI dalle 8.00 alle 21.00/ SA dalle 8.00 alle 18.30 Ristorante Grancia
Sushi Fuzuki 290 g Fr. 15.90 In vendita nelle maggiori filiali Migros
LU-VE dalle 8.00 alle 19.00/GI dalle 8.00 alle 21.00/ SA dalle 8.00 alle 18.30
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 giugno 2021 • N. 26
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Idee e acquisti per la settimana
Smalti curativi Formula Pura
Novità Unghie perfette grazie a 4 prodotti innovativi firmati dal noto marchio Deborah Milano
I nuovi smalti curativi di Deborah Milano sono arricchiti con un’altissima percentuale di preziosi ingredienti naturali e oli biologici e rappresentano un autentico trattamento curativo e preventivo per unghie più sane e forti. In caso di unghie fragili, la soluzione è Formula Pura «Indurente» con olio biologico di noce. Questo trattamento con il 78% di ingredienti naturali da utilizzare con o senza smalto protegge delicatamente le unghie limitandone la rottura. Formula Pura «Rafforzatore» con il 76% di ingredienti di origine naturale e olio biologico di oliva è uno smalto in grado
di rinforzare le unghie deboli ed eliminare il pericolo delle sfaldature. Possiede un’azione levigante che facilità l’applicazione dello smalto. Grazie ad una formulazione con l’82% di ingredienti naturali e pregiato olio biologico di jojoba, Formula Pura «All in one» è il rimedio 5 in 1 per delle unghie sempre al top. Si può utilizzare come base indurente, rafforzante, nutriente e top coat ultra-brillante. Infine, con ben il 98% di ingredienti di origine naturale e olio biologico di cocco, Formula Pura «Olio unghie e cuticole» nutre e idrata le unghie, ammorbidisce le cuticole e ne facilita la
rimozione. Facile da applicare, è un alleato prezioso per una manicure veloce e unghie e mani sempre perfette. Tutti i prodotti sono esenti da formaldeide, toluene e canfora. Deborah Milano Formula Pura Smalti Curativi al pezzo Fr. 12.50 In vendita nelle maggiori filiali Migros
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Martedì 29 giugno Festa di SS. Pietro e Paolo
Tutti i punti vendita Migros in Ticino saranno aperti dalle ore 10.00 alle 18.00 Ecco come proteggerti e come proteggere gli altri
Evita di fare la spesa all’ultimo momento.
Pianifica con anticipo i tuoi acquisti ed evita gli orari di punta.
Se possibile, solo una persona per economia domestica dovrebbe fare acquisti.
Mantieni almeno 1,5 m di distanza.
Disinfetta bene le mani ogni volta che entri in filiale.
Quando entri nei negozi, indossa sempre la mascherina.
Segui le istruzioni dei nostri collaboratori.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 giugno 2021 • N. 26
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Società e Territorio
Promuovere talenti scientifici Giovani L’European Talent School si rivolge alle ragazze e ai ragazzi delle scuole
postobbligatorie e propone una settimana di laboratori e workshop scientifici
I fumetti dedicati ai matematici Web Continuano
le avventure di Ellie Sul nostro sito è online da oggi la nuova puntata dei fumetti creati nell’ambito del progetto Matematicando del Centro competenze didattica della matematica del Dipartimento formazione e apprendimento della Supsi. Si tratta dei viaggi nel tempo che la giovane Ellie compie grazie agli occhiali virtuali costruiti in laboratorio dal geniale zio Angelo. Ellie incontra così i personaggi che nel passato hanno fatto la storia della matematica. Questa nuova puntata è dedicata a Ipazia. I fumetti si trovano sul sito www.azione.ch/societa, sezione «Vivere oggi» (oppure inserendo la parola «matematicando» nel campo di ricerca del sito).
Dal 30 settembre al 3 ottobre ad Alpbach ci si potrà immergere nel mondo della ricerca scientifica. (Shutterstock)
Guido Grilli Non è richiesta una pagella con voti alti e neppure occorre possedere doti particolari. Una sola qualità è necessaria: la curiosità. È questa la carta d’ingresso per partecipare all’European Talent School in agenda all’inizio del prossimo anno scolastico, dal 30 settembre al 3 ottobre ad Alpbach, suggestivo villaggio austriaco nel Tirolo. Di cosa si tratta? Di un progetto di cooperazione transfrontaliera in ambito di ricerca scientifica rivolto ai giovani che frequentano le scuole del post obbligo: scuole tecnico-professionali, licei, commercio, e che si ritengono appassionati di materie scientifiche: scienze, matematica, tecnica e ricerca.
Il progetto è nato dalla collaborazione della comunità di lavoro Arge Alp con la Fraunhofer Gesellschaft di Monaco L’opportunità formativa è possibilità tangibile anche alle nostre latitudini, dal momento che il Canton Ticino appartiene alla comunità di lavoro Arge Alp, che in collaborazione con la Fraunhofer Gesellschaft di Monaco di Baviera organizza la Scuola europea dei talenti. I partecipanti saranno chiamati a confrontare idee e approcci scientifici fra coetanei. E con il supporto di esperti ricercatori internazionali – in una parola, scienziati – potranno cimentarsi in applicazioni pratiche all’interno di quattro workshop a scelta: matematica, giochi e «machine learning»; corso di base di hacking; esperimenti di fisica sulle tracce di Fraunhofer, il fisico e astronomo tedesco vissuto fra Settecento e Ottocento; nonché un laboratorio incentrato sulla tutela dell’ambiente e sul bilancio ecologico. Giosia Bullo Schmid si occupa per la cancelleria dello Stato del Canton Ticino di seguire l’operatività e la gestione dei progetti di Arge Alp, comunità di lavoro fondata nel 1972 che geograficamente abbraccia le Alpi centrali e riunisce 10 regioni di quattro Paesi: Austria, con i Länder Tirolo, Salisburgo e Vorarlberg; Germania con la Baviera; Italia con Lombardia, province autonome di Trento e Bolzano-Alto Adige; e Svizzera con i Cantoni Ticino, Grigioni e San Gallo. Quale riscontro ottiene la proposta? «Alla European Talent School partecipano ogni anno in media,
complessivamente, tra i 60 e gli 80 giovani. Questa iniziativa formativa rappresenta una bella opportunità, intanto perché si tratta di un soggiorno all’estero che offre oltretutto la possibilità di praticare il tedesco, sebbene sia comunque prevista durante il soggiorno la presenza di interpreti. La partecipazione dei ticinesi è tuttavia solitamente un po’ timida, perché, contrariamente agli altri Paesi coinvolti, in Ticino la settimana in cui si svolge l’European Talent School, tra il 30 settembre e il 3 ottobre, non coincide con le vacanze scolastiche autunnali e pertanto non tutti sono disposti ad assentarsi dalle lezioni. Trattandosi di una formazione per i partecipanti è comunque possibile ottenere dalla propria direzione scolastica una richiesta di assenza giustificata». Calendario alla mano, l’edizione 2021 si sovrappone solo in parte alla griglia oraria ticinese, svolgendosi da giovedì a domenica. La quota di partecipazione è modesta (80 euro) e comprende vitto e alloggio, laboratori, lezioni, la partecipazione a un’escursione e al programma ricreativo. In casi particolari può essere richiesta una riduzione o la cancellazione della quota. La Fraunhofer Gesellschaft, partner assieme ad Arge Alp dell’organizzazione della Scuola europea dei talenti, rappresenta un ente di prestigio: l’organizzazione tedesca raccoglie infatti 60 istituti di scienza applicata, garantendo un elevato livello di divulgazione scientifica, alla stessa stregua di un politecnico. L’European Talent School si propone di offrire ai partecipanti competenze puntuali: «comprendere la ricerca, ampliare i propri orizzonti, risvegliare la propria creatività», immergendosi negli affascinanti mondi delle scienze naturali, dell’informatica, della tecnologia e della ricerca. E le nozioni impartite agli studenti non saranno esclusivamente di natura teorica, bensì orientate anche alla pratica nei vari campi di conoscenza appena citati. Più concretamente i «talenti», o aspiranti tali, potranno mettersi alla prova nei workshop – evidenziano i promotori dell’evento internazionale – con lavori pratici e indipendenti, sperimentazione, costruzione di semplici dispositivi scientifici in autonomia e al contempo scambio di idee con gli stessi coetanei e con gli esperti, trattando inoltre temi attuali della scienza. Fin qui gli aspetti principalmente didattici, ma l’esperienza formativa all’estero in agenda il prossimo autunno rappresenta pure un’occasione uni-
ca per stringere nuove amicizie con coetanei sia connazionali sia di altri Paesi e per lanciare idealmente nuovi ponti culturali e, chissà, proficue sinergie nel solco di affinità elettive comuni. Le iscrizioni alla European Talent School sono da inoltrare individual-
mente compilando il modulo online entro il 21 settembre al seguente indirizzo: https://www.fraunhofer.de/de/ jobs-und-karriere/schueler/europeantalent-school.html. Qualora la situazione pandemica dovesse perdurare l’evento si svolgerà in remoto. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 giugno 2021 • N. 26
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Società e Territorio
Un atelier dal Giura alla Lavizzara
Incontri In estate apre i battenti nell’ex scuola comunale di Peccia l’Atelier de Cuir, originale iniziativa
di produzione artigianale di imbragature per cani guida che accompagnano persone cieche o ipovedenti Mauro Giacometti Entro l’estate concretizzerà il suo sogno: avviare un’attività indipendente nella sua valle, la Lavizzara. Un’impresa artigianale piuttosto originale, la sua: produrre pettorine per cani guida. Alessandro Kaufmann, 36 anni, origini malcantonesi ma trapiantato per amore di moglie e figli in Lavizzara, insieme al suocero e al padre sta completando i lavori di ristrutturazione, realizzando e sistemando i banconi dei macchinari per la lavorazione del cuoio con cui si producono le speciali «imbragature» per i cani che accompagnano ciechi o ipovedenti. Il suo «Atelier de Cuir», questo il nome scelto per l’attività artigianale, ha la sua sede nell’ex scuola di San Carlo sul Piano di Peccia, storico edificio degli anni 50 costruito in sasso ma oramai abbandonato da decenni. Il Comune di Lavizzara, proprietario dello stabile, dopo alcuni interventi di risanamento e l’imminente installazione di nuovi serramenti isolanti, oltre che di una stufa «ibrida» che funzionerà a pellet e legna rigorosamente a chilometro zero, ha accettato di affittare a «prezzo politico» al neo-imprenditore della valle alcuni locali al pian terreno e al primo piano delle ex scuole. «Credo che le autorità comunali, ma anche gli altri enti loca-
li e regionali che mi hanno sostenuto, abbiano soprattutto apprezzato il mio sforzo di avviare una nuova impresa in questa valle che come tante altre registra un costante spopolamento e l’abbandono di aziende e commerci – ci dice Alessandro Kaufmann in una pausa dei lavori di sistemazione che vorrebbe concludere entro la fine di luglio –. Sono innamorato di questi luoghi, della natura ancora incontaminata e a volte aspra che ci circonda, nonché appassionato escursionista. Da qualche anno cercavo una soluzione che ci permettesse di continuare a vivere qui ed evitare di fare il pendolare per lavoro». Di professione ingegnere meccanico, impiegato in aziende della Svizzera interna e ticinesi, Alessandro cercava da tempo un’idea per avviare un’attività in proprio e poter mantenere la sua famiglia senza doversi spostare ogni giorno per decine di chilometri o addirittura centinaia quando lavorava in una ditta elettromeccanica di San Gallo. L’Alta Vallemaggia e la Lavizzara, com’è noto, sono dei caposaldi dell’estrazione e della lavorazione del marmo e del gneiss. Ma oltre a questo tipo di «core business» e al settore agricolo e turistico, con annessi e connessi, c’è poco altro che può dare da vivere ad una giovane famiglia. «Mio padre,
Cani guida: quattro scuole in Svizzera e un’«antenna» in Ticino L’UCBC (Unione centrale svizzera per il bene dei ciechi), stima che in Svizzera ci siano circa 325’000 persone che sono affette da handicap visivo. Per molte di queste il cane guida rappresenta il primo e unico contatto con il mondo esterno, oltre che uno splendido animale da compagnia. Il percorso formativo è lungo e portato avanti minuziosamente, arrivando a costare anche 65’000 franchi pro-cane. Le razze che negli anni sono state preferite per accompagnare le persone con problemi di vista sono i Pastori Tedeschi, i Labrador e i Golden Retriever. In alcuni casi, però, anche i Pastori Scozzesi e i Pastori Belga si sono rivelati ottimi cani guida. Generalmente si tratta di cani di taglia media, dal carattere buono e coraggiosi, facili da addestrare, fedeli al loro padrone e molto attenti.
Attualmente in Svizzera si contano circa 350 cani guida assegnati a persone cieche o ipovedenti addestrati nelle quattro scuole riconosciute a livello federale. Si tratta della basilese Schule für Blindenführhunde di Allschwil (www.blindenhundeschule.ch), fondata nel 1972, la prima in Svizzera. Sempre nella regione di Basilea Campagna troviamo la Blindenhund di Liestal (www.blindenhnund. ch) aperta nel 1986. Nella Svizzera orientale, a San Gallo, troviamo la Ostschweizerische Blindenführhundeschule (www.o-b-s.ch), mentre la Romandia è rappresentata dall’Ecole Romande pour chiens-guides d’aveugles (www.chienguide.ch). Proprio quest’ultima, ha permesso al Ticino di avere una sua antenna d’istruzione di cani guida a Magliaso (Tel. 091 252 06 40).
L’ex scuola comunale di San Carlo di Peccia sarà la sede dell’atelier. (M. Giacometti)
uno dei primi viticoltori in Ticino che ha contribuito alla rinascita del Merlot, conosceva una coppia nel Giura che appunto da una trentina d’anni produceva queste pettorine per cani guida. Alla soglia della pensione, i coniugi dell’Atelier de Cuir di Le Bois, che nel tempo si erano guadagnati la fiducia d’importanti clienti del mercato svizzero e non solo, mi proposero dunque di rilevare l’attività e anche il marchio. Ne parlai con mia moglie, cercammo di individuare in valle una possibile sede dell’atelier e quindi incontrammo il Municipio che ci sottopose, tra le varie soluzioni, i due piani dell’ex scuola elementare di San Carlo di Peccia. Considerando le spese di ristrutturazione dell’immobile e quelle di avviamento dell’attività, chiedemmo la disponibilità a venirci incontro, cosa che è stata accettata prima dal Municipio stesso e poi dal Consiglio comunale. Così dallo scorso gennaio mi sono licenziato ed è cominciata questa nuova avventura in proprio», spiega il futuro artigiano della Lavizzara. C’è così tanta necessità di «rivitalizzare» le regioni periferiche che il progetto di atelier del cuoio di Alessandro Kaufmann ha trovato subito alcuni «sponsor» istituzionali: dalla Fondazione Lavizzara all’Ente regionale di sviluppo fino alla Berghilfe (Aiuto svizzero alla montagna), fondazione con sede ad Adliswil (ZH) finanziata esclu-
Alessandro Kaufmann vive con la famiglia a Prato-Sornico. (Giacometti)
sivamente da donazioni, che si è data quale scopo quello di migliorare le basi esistenziali e le condizioni di vita nelle regioni alpine. «Tutto questo consenso anche concreto sul nostro progetto ci ha fatto capire che eravamo sulla strada giusta. Ora si tratta di concludere i lavori preparatori, realizzare il campionario e cominciare a raccogliere gli ordini», dice ancora il 36.enne che vive con la sua famiglia a Prato-Sornico, sede del Comune aggregato della valle e distante pochi chilometri da San Carlo di Peccia. E che aggiunge: «Spero che questa iniziativa possa anche portare possibilità di impiego per i giovani della valle». Le pettorine per cani giuda sono progettate tenendo conto delle specifiche sfumature del lavoro svolto dal
cane a stretto contatto con una persona non-vedente. Devono essere realizzate con cuoio di alta qualità (in commercio ci sono anche modelli in nylon ma decisamente meno confortevoli) e dotate di una maniglia corta e di un’altra più lunga per condurre e farsi condurre dal cane. Insomma, le pettorine per cani guida devono possedere una serie di caratteristiche particolari che ne fanno un prodotto artigianale di qualità. Cosa che non spaventa certo Alessandro Kaufmann che con la «manualità» e le macchine utensili ha sempre avuto una certa confidenza. «Abbiamo acquistato dall’atelier giurassiano il macchinario specifico e il parco fornitori, che sono di ottima qualità sia per quanto riguarda il pellame che gli accessori. Quindi si tratta solo di mettersi sotto con la produzione. In Svizzera ci sono quattro scuole per cani guida, che già si servivano dal precedente Atelier de Cuir, con una produzione di circa un centinaio di pettorine l’anno, che in linea di massima rappresenteranno la nostra base di lavoro. Ma evidentemente dovremo cercare di allargare il nostro mercato e punteremo anche alla produzione di altri articoli in pelle, come cinture e borselli. Intanto però facciamo un passo alla volta, non vedo l’ora di iniziare a far girare le macchine per realizzare le prime pettorine per cani guida «made in Lavizzara»», conclude Alessandro Kaufmann.
Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Luca Novelli, Marco Polo e l’incredibile Milione, collana «Lampi di genio», editoriale Scienza. Da 8 anni «Leggete questo libro dove le troverrete tutte le grandissime maraviglie e gran diversitadi delle genti...» Questo libro è Il Milione, di Marco Polo. Lo straordinario resoconto del suo viaggio in Asia, intrapreso con il padre e lo zio, dal 1271 al 1295. Marco era un adolescente alla partenza da Venezia e divenne un uomo attraverso avventure mirabolanti e incontri con le diversità di popoli, lingue e culture: i Polo mossero inizialmente verso Acri, in Terrasanta, per poi dirigersi in Anatolia, Armenia, Iran, Afghanistan, e in molte altre terre, con l’obiettivo di raggiungere la Cina, dove furono ricevuti alla corte del sovrano assoluto di tutti i territori d’Oriente: il Kublai Khan. «Kublai molto mostrò grande alegrezza, e dimandò chi era quel giovane ch’era con loro. Niccolò rispose: “Egli è vostro uomo e mio figliuolo”. Allora Kublai assentì: “Egli sia il benvenuto, e
molto mi piace”». Marco si guadagnò la stima del Khan, che lo nominò ufficiale governativo e lo inviò in missione in molti paesi, dal Tibet, alla Birmania, all’India. I suoi viaggi, per terra e per mare, i pericoli che dovette scongiurare, gli assalti di pirati e di guerrieri, la bellissima principessa da scortare nella traversata verso il promesso sposo, gli strabilianti incontri con usanze sconosciute, sono il contenuto del Milione, racconto che egli fece a Rustichello, scrittore pisano, durante il periodo di prigionia a Genova, città marinara che aveva sconfitto Venezia. E queste
meravigliose avventure sono anche il contenuto di un libro per ragazzi appena uscito nella collana «Lampi di genio» di Editoriale Scienza. Questa collana comprende biografie scritte e illustrate da Luca Novelli, divulgatore scientifico di grande esperienza. I personaggi da lui raccontati nei «Lampi» sono ormai molti, e sono tradotti in più di venti lingue: dopo aver dato voce a filosofi come Aristotele o Pitagora, o a scienziati come Lorenz, Newton, Edison, Tesla, Mendel, Hawking e tanti altri ecco il «Lampo» dedicato a Marco Polo. Un Marco Polo ragazzo che si racconta ai ragazzi. Un Marco Polo che con il suo libro ha regalato al mondo «l’idea che sotto ogni cielo c’è una sola umanità». Cori Doerrfeld, Un bravo cucciolo, Il Castoro. Da 3 anni Questo delizioso albo è la dimostrazione di come si possa raccontare una storia bella, appassionante e commovente con pochissime parole e in totale semplicità.
C’è un cagnolino, un cucciolo randagio. E c’è una bimba, sul seggiolino della bicicletta della sua mamma, che lo nota, mentre la sua mamma pedalando sfreccia nel traffico. La bimba lo saluta e gli sorride, il cucciolo nota la bimba, si accende una scintilla di amore, ma la bimba non può fermarsi, non è lei che pedala, lei è solo una bimba su un seggiolino di bicicletta. Il cucciolo non si arrende, la segue, la perde di vista, si smarrisce, si spaventa tra le auto che gli rombano accanto, la ritrova in una pasticceria, dove lui riesce a rubare un po’ di cibo, perché ha tanta fame, ma viene sgridato, poi la segue ancora, tra
varie peripezie, fino al parco giochi, che bello giocare con i bambini, ma viene sera, vanno tutti via, però la bimba ha dimenticato al parco il suo peluche, e il cucciolo è molto intelligente... Una storia costruita con sapienza e calore, piena di azione, da tenere col fiato sospeso. Eppure è semplicissima, e la costruzione dell’azione è geniale perché è senza verbi, che pure sarebbero il fulcro dell’azione, se è vero che un verbo definisce cosa «fa» un personaggio. Non ci sono verbi, ma solo aggettivi, che pagina dopo pagina accompagnano il sostantivo cucciolo: cucciolo randagio, cucciolo smarrito, cucciolo spaventato, cucciolo affamato, cucciolo triste, cucciolo speranzoso, eccetera, in una sequenza narrativa efficacissima, dove l’aggettivo non dice cosa fa il cucciolo, ma come si sente, quali sono le sue emozioni. Le azioni sono invece affidate alle immagini, che integrano con ritmo perfetto ogni aggettivo. Davvero un albo di grande qualità, di un’autrice/illustratrice che già avevamo apprezzato per l’albo Ascolta.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 giugno 2021 • N. 26
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Società e Territorio Rubriche
L’altropologo di Cesare Poppi La danza di San Giovanni Il giugno del 1374 era stato particolarmente caldo in tutta Europa. Nella stessa città tedesca di Aachen, ai confini del Belgio e non lontano da Colonia le temperature erano salite a livelli anomali per la stagione. Si temevano siccità e carestie. La gente scrutava il cielo in attesa di piogge improbabili. Nelle chiese le Confraternite avevano cominciato tridui di preghiera mentre le autorità ecclesiastiche aiutavano l’opportunità – sempre rischiosa poiché esposta al fallimento – di far entrare in campo la formidabile batteria di reliquie conservate nelle chiese della città e farle marciare in processione per impetrare la pioggia. All’improvviso, nella calura della controra, a coincidere con quel panico meridiano che i Greci attribuivano alle incursioni di Pan, alcune donne cominciarono a danzare. O meglio, ad agitarsi in maniera più o meno scomposta fra grida ed urla incomprensibili. Presto furono affiancate da altre
danzatrici e danzatori ai quali presto si associarono musicanti i quali dettavano in qualche modo un ritmo ed una disciplina coreutica a quello che presto diventò un fiume di gente a vari stadii di frenesia ed allucinazione: si muoveva come un serpente per le strade della città contagiando nella furia coreutica chiunque si trovasse lungo il percorso. Il Priore del convento dei Domenicani, vista la massa sfilare sotto le sue finestre, non ebbe dubbi: anche quest’anno il Solstizio Estivo si sarebbe concluso con una crisi sociale fra le più temute in tutta la cristianità – quella conosciuta come il Ballo di San Giovanni: libera nos Domine. Il Ballo di San Giovanni, altresì conosciuto come Ballo di San Vito, è uno dei fenomeni ancora meno compresi della cultura popolare dell’Occidente cristiano. Noto alla medicina ufficiale come coreomania, il fenomeno è associato agli stati isterici ed allucinatori. Riguarda soprattutto le donne che
spesso sono le prime a dare il via alle danze – letteralmente – prima di coinvolgere anche gli uomini che, peraltro, a leggere le fonti, ci davano poi dentro con gusto. Non se ne conoscono né i sintomi e nemmeno le cause. Alcuni hanno voluto farne una forma di erpes zoster – il Fuoco di Sant’Antonio – ma l’evidenza portata a supporto dell’ipotesi non è conclusiva. Altri autori hanno tirato in ballo l’ergotismo, una forma di intossicazione allucinatoria provocata da una muffa che si sviluppa sulla segale umida o mal conservata – la cosiddetta «segale cornuta», mentre c’è anche chi ha chiamato in causa l’epilessia. La verità è che da un punto di vista medico clinico il fenomeno è di difficile spiegazione. Rientra infatti in quella vasta serie di afflizioni psichiche che vanno dalla possessione da parte di agenti spirituali nota soprattutto in Africa, nel Subcontinente Indiano ed in Indonesia, alla trance sciamanica per congiungersi con il tarantismo me-
diterraneo e l’argia sarda. Potremmo chiamarli con il termine collettivo di afflizioni psichiche con forti componenti specifiche di natura culturale – espressione che ahimè – parola di Altropologo – non aiuta molto a capirne la natura ma almeno la porta fuori dai pantani della psichiatria ufficiale. Sta di fatto che San Giovanni e San Vito – così come spesso accade secondo la logica della religiosità popolare – sono al contempo i mandanti e i pompieri della sindrome coreutica a loro associata visto che la scatenano – e la curano – a loro piacimento con l’aiuto della musica che sempre fa da contorno a queste forme di movida d’antan – proprio come un DJ che decida quando sia ora di accendere le luci ed andare tutti a nanna. Crisi di coreomania sono documentate fino dal VII secolo e sembrano sparire completamente nel 1600. Le date scatenanti il fenomeno coincidono spesso con le grandi feste religiose – Natale in
particolare. La severità del contagio andava dalle poche decine alle centinaia ed anche migliaia di persone coinvolte. Spesso la danza era accompagnata da invettive e scurrilità, fino alla perfomance di atti sessuali in pubblico. Basilea, Zurigo, le Fiandre, Strasburgo, Augsburg, il Lussemburgo: si vedeva gente cadere a terra esausta da giorni e giorni di danza – altri morivano d’infarto… nel 1278 un ponte sulla Mosa crollò sotto il peso di duecento persone in preda alla crisi: molte furono curate nella vicina cappella di San Vito e tornarono a danzare in suo onore… Sembra che le esplosioni di coreomania collettiva finissero improvvisamente così come improvvisamente potevano ripartire. Un’Europa che viveva sospesa fra carestie e pandemie, pogrom di ebrei e caccia alle streghe – e le occasionali esplosioni di coreomania tanto per fare un po’ di ricreazione… Il Covid 19? Acqua fresca, parola di Altropologo.
professore più influente, l’allenatore, il sacerdote che si occupa dei giovani, sarebbe opportuno perché a quell’età si cercano riferimenti autorevoli, testimoni credibili. La Scuola non può far finta di niente perché tutto ciò che ostacola l’educazione e la formazione degli allievi la riguarda. Non si tratta tanto di convincere Aldo che non c’è ragione di rinunciare a vivere, né di subissarlo con ricette, consigli e avvertimenti attendendosi che da un giorno all’altro tutto torni come prima. Si tratta piuttosto di ammettere le privazioni e le perdite, di imparare a sostare nella sofferenza, a far buon uso di lievi stati di depressione. Ogni giorno la pubblicità cerca di indurci, con mille suggestioni, a vivere in un perenne stato di euforia, senza mai smettere di sorridere a 32 denti, far saltellare, ridere e canticchiare. Ma non è così e non tutti sono in grado di recitare questo copione. Aldo di sicuro no. Probabilmente il suo temperamento malinconico rifugge la maniacalità e si racchiude piuttosto
in se stesso facendo muro con la sua fragilità. Non sentitevi in dovere, per aiutarlo, di adottare atteggiamenti allegri, di emanare positività a tutti i costi, esprimete piuttosto i vostri problemi, le vostre incertezze, le vostre ansie: il ragazzo si sentirà meno solo. Non dobbiamo considerarci falliti solo perché siamo in crisi e ci sentiamo «scarichi» ma attendere e resistere sostando nel disagio. Le difficoltà della vita chiedono tempo per essere superate ma, se sono state elaborate e assimilate, costituiscono una buona base da cui ripartire. Certo è difficile convincere persone che non hanno mai imparato ad attendere, del tutto ignare che nel palazzo dell’esistenza la sala d’aspetto è quella più grande.
dell’era consumista, farne insomma un’esperienza utile. Missione impossibile: ne è convinto Rainer Moritz, saggista e romanziere tedesco, che, sulla «NZZ», il 17 giugno scorso denunciava il fenomeno «Vacanze esageratamente sopravvalutate». Un titolo, chiaramente controcorrente, che però non metteva sotto accusa la società contemporanea, le forzature pubblicitarie, i voli low cost, e via enumerando le pressioni di cui, oggi, saremmo vittime. In realtà ne siamo complici consapevoli, e da sempre. L’autore cita nomi illustri, a partire da Pascal: «l’essere umano è incapace di rimanere fermo in una stanza». Tutto ciò per spiegare e, in fondo, assolvere il viandante, il conquistatore di ieri e il turista di oggi, che cede alla tentazione di andarsene, attirato da nomi che suonano bene, tipo Samarcanda, Namibia, Coimbra, Santorini. Mete che magari non
mantengono le promesse da dépliant, aprendo un capitolo particolare nel vissuto del vacanziere: secondo Rainer Moritz, nei confronti di disagi e delusioni prevale un’istintiva dimenticanza. Raramente, se ne parla al rientro. La vacanza, infatti, rappresenta una scelta individuale di libertà, rispetto al lavoro dipendente e subito. Una prova fallita,da non raccontare. Non mancano, del resto, i rinunciatari in assoluto. Quelli che dal lavoro non riescono a staccare. Quelli che l’altrove riescono a inventarselo nel tran tran normale. È il privilegio di un’esigua minoranza. «Ulisse resta a casa» raccomandavano gli scrittori torinesi Fruttero e Lucentini, scandalizzati dai turisti che avevano lasciato rifiuti sull’Everest. Si era nel 1985, quando la parola ambientalismo era quasi sconosciuta. Con ciò, un po’ Ulisse siamo tutti quanti, e meno male.
La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi Un figlio rimasto «bloccato» Cara Silvia, scusa se ti do del tu ma dopo tanto tempo che leggo la tua rubrica e discuto tra me e me i tuoi suggerimenti, ti considero un’amica. Ora passo dal leggerti allo scriverti perché mi sento profondamente in crisi. Siamo una famiglia come tante altre (marito, moglie, due figli maschio e femmina, Aldo e Lucia, di 16 e 18 anni), una famiglia senza troppi problemi, unita e serena, almeno prima del Covid. Questo demonio ci ha messo in crisi rivelando una fragilità che non avevamo mai sospettata. Le lezioni a distanza sono state accettate male da tutti e due i ragazzi. Stare in casa tutto il giorno, abituati com’erano a girare in bici per salutare gli amici, praticare sport, seguire spettacoli, fare viaggi, incontrarsi per una pizza…, hanno preso male gli «arresti domiciliari». Ma credevo che tutto sommato se la fossero cavata. Lucia infatti sta riprendendo la vita di prima mentre Aldo è rimasto bloccato: non vuole uscire, non vede gli amici, si rifiuta di riprendere lo sport, sta tutto il giorno rintanato in camera
sua (in tuta) davanti al computer. Io e mio marito l’abbiamo spronato, sgridato, gli abbiamo offerto di fare un viaggio, di programmare le vacanze, di invitare degli amici ma non c’è stato niente da fare. Siamo confusi e demoralizzati e chiediamo qualche consiglio per capire e, se possibile, intervenire positivamente. Grazie Silvia. / Mariarosa Cara Marirosa, innanzitutto grazie per la fiducia che mi accordi ma ti confesserò che anche gli «esperti» sono confusi. In fondo è la prima volta che – non nella storia dove molti ricordano ancora la «spagnola» – ma nella nostra vita affrontiamo circostanze così travolgenti. Dalla primavera scorsa il tempo è rimasto sospeso e molti orologi dell’esistenza sembrano, come quello di tuo figlio, essersi fermati. Che cosa paralizzi Aldo rimane enigmatico ma spesso ciò che non si vede disturba la nostra mente più del visibile. Molti giovani, in tutto il mondo, sono colpiti da stati d’ansia, turbe di umore e di comportamento. Le
restrizioni e le rinunce sono state così dure e prolungate da risultare a loro intollerabili. L’assenza dalla scuola non ha penalizzato tanto l’apprendimento, che si può sempre rimediare, quanto le occasioni di incontro e di confronto tra coetanei, la condivisione di interessi e di passioni, le opportunità di amicizia e di innamoramento, queste sì difficili da recuperare. La causa più grave dell’attuale disagio è stata probabilmente la paura di soffrire. In fondo questa generazione, amata, protetta, accontentata in tutto per tutto, non aveva mai affrontato il dolore, non era stata vaccinata contro la sofferenza e le improvvise restrizioni l’hanno trovata impreparata. Ora inconsapevolmente cerca, con sintomi fisici, psichici o di comportamento di rendere visibile e condivisibile il suo malessere. Paradossalmente vostro figlio cerca, isolandosi, rifiutando contatti e aiuti, di esprimere il suo disagio ma, mentre vi respinge, vi chiama. Credo che l’intervento del padre o di altre figure paterne, come il
Informazioni
Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6901 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch
Mode e modi di Luciana Caglio La vacanza in cerca di giustificazioni La luce in fondo al tunnel, per dirla con un luogo comune del momento, si è accesa: ed è la vacanza, abbinata al viaggio oltre frontiera. Per gli svizzeri, come dichiara persino il presidente della Confederazione Guy Parmelin, significa ritrovare il mare, qualcosa, soggiunge, che si era costretti a immaginare al di là delle nostre meravigliose montagne. Il via libera ha avuto un seguito immediato. Negli ultimi giorni, la rete delle relazioni abituali si sta diradando: amici, colleghi, conoscenti, ovviamente vaccinati, sono partiti alla volta della Sardegna, dell’Elba, della Grecia. Tutto come prima, allora? Il rito delle ferie, conquista sociale e diritto democratico inalienabile, continua ad appartenere alle nostre priorità? Compresi gli eccessi dell’overtourism, che avevano reso infrequentabili Venezia, Barcellona, Lucerna, prese d’assalto da cinesi, giapponesi, indiani? Interroga-
tivi tutti aperti, in attesa di conferme o smentite. In realtà, a prima vista, le vacanze non sembrano più quelle che erano. Forse, come auspicavano i moralisti di turno, dalla prova della pandemia siamo usciti migliori, comunque diversi. In grado di modificare usi e consumi all’insegna di una saggezza, in cui anche l’ecologia ha la sua parte. Fatto sta che, osservando le strade, le piazze, la spiagge di un Ticino invaso da ospiti provenienti, per lo più da oltre Gottardo, si coglie l’immagine di una folla, in prevalenza di sportivi: scarponcini e zainetto, bastoncini da escursione. Non si tratta soltanto di vestiario, che tuttavia rimane un indizio, ma di comportamenti. La vacanza coincide sempre più spesso con un’impresa volontariamente faticosa. La bici, munita di ruote pesanti, ne è il simbolo. Non soltanto i giovani, ma intere famiglie con prole, hanno
raggiunto i nostri laghi, pedalando. «I bambini devono imparare a soffrire un po’ per meritarsi la vacanza» mi spiegava, con fierezza, un papà, mentre aiutava i figli a superare, bici in spalla, il sottopassaggio a gradini che, a Lugano, collega via San Gottardo e via Cantonale. Ma anche gli ospiti arrivati in treno sono, per lo più, muniti di zaini voluminosi, che contengono l’equipaggiamento destinato a un soggiorno autonomo, vestiario ridotto al minimo indispensabile, sacco a pelo e vasellame da pic-nic. Certo, non si deve generalizzare. Per la salvezza di albergatori, ristoratori e proprietari di boutiques, esiste pur sempre la categoria dei turisti che optano per le comodità tradizionali. Rimane, però, un’élite poco rappresentativa. Mentre, a fare tendenza è il turista cosiddetto responsabile, capace di riscattare la vacanza dalla banalità e dagli sprechi
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 giugno 2021 • N. 26
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Ambiente e Benessere Sulla via del ritorno ai viaggi Le varianti dell’epidemia sembrano sotto controllo, ma il percorso non è certo lineare
Rispetto ed educazione in natura Dieci ottimi consigli per visitare i nostri boschi senza disturbare la natura in un opuscoletto trasformato in video pagina 14
Filetti di pesce profumati Così si prepara un’insalata estiva che ha il profumo della Sicilia, ed è addolcita con uva sultanina pagina 16
pagina 13
GP Città di Lugano Una corsa ciclistica che vorrebbe far riappassionare i giovani a uno sport un po’ fuori moda
pagina 17 Il primario di urologia dell’ORL (EOC) Andrea Gallina. (Stefano Spinelli)
I tumori nell’apparato urogenitale Medicina Superare il tabù di genere sulla prevenzione per una diagnosi precoce
Maria Grazia Buletti Tumore prostatico, della vescica e dei reni toccano l’apparato urogenitale e meritano particolare attenzione perché piuttosto comuni. «La neoplasia prostatica è un tumore urologico molto frequente: prima diagnosi in assoluto nei maschi sopra i 50 anni e seconda causa di morte; il tumore alla vescica rappresenta la settima causa di morte nella popolazione maschile, mentre quello del testicolo è per fortuna più raro, anche se sovente diagnosticato nella popolazione maschile fra i 20 e i 40 anni», l’urologo Andrea Gallina è primario all’Ospedale Regionale di Lugano e parla di «numeri stabili da anni, che mostrano una chiara epidemiologia dei tumori urogenitali, per i quali oggi si può comunque vantare un’informazione migliore, adeguata e capillare, insieme alla divulgazione scientifica e all’avanzamento delle tecniche diagnostiche e terapeutiche». Tutto passa dalla condizione essenziale di una diagnosi precoce: «Lo stadio in cui si diagnostica un tumore fa la differenza sulla prognosi!». Egli punta il dito sui tabù di genere che ancora bisogna infrangere perché l’uomo giunga dal medico in tempo per riuscire a diagnosticare un tumore di questo tipo in fase iniziale. «Viviamo ancora
una netta contrapposizione fra maschi e femmine per le quali è normalissimo recarsi dal ginecologo già dalla giovane età e per tutta la vita, sottoponendosi a quei controlli periodici (ginecologico e mammografico) a beneficio di una concreta prevenzione e dell’individuazione di eventuali neoplasie in fase estremamente precoce». Sottolineando la ben radicata consapevolezza nell’ambito femminile dei potenziali rischi, lo specialista lamenta invece ancora una mancanza di adeguata sensibilizzazione maschile verso la prevenzione. Cosa che porta a minimizzare eventuali sintomi da parte dell’uomo: «Atteggiamento imputabile all’alone di tabù che ancora associa i problemi urologici a una perdita di identità culturale dell’uomo legata alla virilità». Ma con questi tumori non si scherza. La prognosi è migliore tanto prima viene individuata la neoplasia, tanto più che l’avanzamento delle tecniche mediche permette una buona presa in carico. «Così come, ad esempio, avviene con lo screening mammografico per la donna e con il tumore al colon per il quale si effettua lo screening a partire dai 50 anni». Per analogia, anche l’uomo dovrebbe imparare a non nascondere i sintomi per un pudore fuori luogo dettato dal retaggio culturale. Un grosso limite facilmente
superabile: «Più parliamo di queste patologie, più le conosciamo e meno ci spaventano». La prevenzione è essenziale: «Senza fattori di rischio o di famigliarità, a partire dai 50 anni si consiglia una visita urologica all’anno con prelievo di sangue: un modo per ridurre significativamente il rischio di una diagnosi tardiva di tumore alla prostata. Mentre nei pazienti con famigliarità bisogna iniziare dai 45 anni». Oggi la multidisciplinarietà della presa a carico permette alle differenti figure specialistiche di analizzare ogni singolo eventuale caso tumorale diagnosticato: «Ne consegue un approccio individualizzato e idoneo a offrire la migliore soluzione con minore impatto sulla qualità di vita, con una migliore gestione della patologia e un aumento della sopravvivenza». La visita di prevenzione, soprattutto per il tumore prostatico, è essenziale anche per il fatto che si tratta di un tumore subdolo che il medico definisce «killer silenzioso» perché non dà segni e sintomi particolari: «Ma si nasconde dietro gli stessi sintomi dell’ipertrofia prostatica benigna e quando i segni specifici si dovessero manifestare sarebbe troppo tardi perché essi sono legati alla fase metastatica della malattia (ndr: dislocazioni del tumore avanzato)».
Ciò non significa che una prostata ingrossata (che ad esempio fa alzare di notte a urinare più spesso) sia sinonimo di tumore, ma dovrà essere valutata dall’urologo che esprimerà il rischio, basso o significativo che sia. Per il tumore della vescica, va sempre indagato ogni episodio di sangue visibile nelle urine: «Unico segno visibile di un tumore potenzialmente devastante, con la prognosi peggiore in assoluto dell’apparato urologico, ma se si riesce a diagnosticare precocemente è possibile limitare trattamenti invasivi che alterano la qualità della vita del paziente». Anche qui, rivolgersi al medico per dei controlli periodici permette di scongiurare un decorso ben più infausto. Infine, nel tumore renale non esistono segni o sintomi specifici: «Molto spesso viene diagnosticato in modo incidentale perché fa male un fianco, c’è una colica della colecisti e l’ecografia individua una piccola lesione al rene. Ciò permette però di salvare delle vite perché all’ecografia faranno seguito approfondimenti medici ed esami specifici che caratterizzano la lesione e la relativa scelta terapeutica adeguata». A questo proposito, chiediamo lumi al dottor Gallina (specializzato in chirurgia robotica) sul trattamento chirurgico che dice essere «spesso
parte integrante della terapia»: «La chirurgia robotica ha ridotto l’invasività, diminuendo il carico del fisico e con gli stessi risultati finali della chirurgia convenzionale». Ma non è la panacea generale, malgrado la migliore prestazione dovuta al braccio robotico estensore della capacità, la migliore visibilità, maggiore mobilità degli strumenti, «il grande chirurgo è colui che dà l’indicazione giusta, per la patologia giusta, per il paziente idoneo all’intervento sulla neoplasia in questione; non esegue un intervento molto difficile se non è il momento giusto. Perciò oggi la multidisciplinarietà, (ovvero la cooperazione fra diverse conoscenze mediche di altissimo livello) rappresenta il centro nevralgico del trattamento delle neoplasie urologiche». L’apertura al lavoro multidisciplinare specialistico include urologi, radioterapisti e oncologi ma coinvolge anche i servizi di radiologia e patologia, con l’apporto fondamentale di infermieri dedicati e l’indispensabile supporto psicologico che riveste un ruolo cardine nei pazienti che affrontano diagnosi oncologiche. Un approccio che rappresenta una nuova arma a beneficio del paziente che, a sua volta, ha il compito di fare un passo avanti ed entrare nell’ottica della prevenzione. Senza tabù di sorta.
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Ambiente e Benessere
Noi, contenuti e contenenti
Il seme nel cassetto Ciò che il mondo vegetale ci insegna sul nostro «essere-nel-mondo» nel libro
La vita delle piante. Metafisica della mescolanza del filosofo Emanuele Coccia Laura Di Corcia Ho letto e recensito per questo settimanale tanti libri sul tema delle piante, che tentano, in poche parole, di spostare il nostro sguardo di esseri umani, di decentrarlo rispetto all’antropocentrismo e anche allo zoocentrismo per convincerci che quella forma di vita che abbiamo sempre considerato accessoria, passiva, elementare rispetto a quella «tutta azione» posta in essere dagli animali e dall’animale che consideriamo principe, l’essere umano (un trofeo che a onor del vero ci siamo attribuiti da soli), la forma di vita che riguarda i vegetali, intendo, contenga in nuce, invece, forme di saggezza da scoprire, da conoscere, una via maestra da seguire per vivere forse in maniera più felice e consapevole su questo pianeta. Fra questi libri, pochi mi hanno colpito come La vita delle piante. Metafisica della mescolanza del filosofo nonché professore associato all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi Emanuele Coccia, che ho avuto il piacere di seguire lo scorso anno, in occasione degli Eventi letterari del Monte Verità di cui è stato ospite. Un libro meraviglioso, quello pubblicato dalla casa editrice Il Mulino, non solo perché porta il tema su un piano filosofico (quella filosofia che pure risente dell’antropocentrismo e che mostra delle miopie, generosamente messe in luce in questi anni da parecchi studiosi, soprattutto statuni-
tensi, ma non solo), ma perché riesce a spiegare attraverso l’analisi delle varie parti che compongono la pianta e con un linguaggio più vicino alla poesia che alla trattazione saggistica che cosa il mondo vegetale ci insegna sul nostro «essere-nel-mondo». Un’esperienza che l’autore descrive nei termini dell’immersione – la stessa esperienza che il pesce fa nel mare. Spiego brevemente, rischiando la banalizzazione ma puntando sulla chiarezza: siamo immersi in un ambiente che ci contiene, ma che al contempo conteniamo (pensiamo all’aria che entra ed esce dai nostri polmoni). Scrive Coccia: «In ogni clima la relazione fra contenuto e contenente è costantemente reversibile: ciò che è luogo diventa contenuto e ciò che è contenuto diventa luogo. L’ambiente si fa soggetto e il soggetto ambiente. Ogni clima presuppone questa inversione topologica continua, un’oscillazione che disfa i contorni tra il soggetto e ambiente e ne inverte i ruoli». Chi ci insegna queste verità? La foglia, la quale «è la forma paradigmatica dell’apertura: la vita capace di essere attraversata dal mondo senza esserne distrutta». Ma la foglia «è anche il laboratorio climatico per eccellenza – precisa Coccia – la storta chimica che libera nello spazio l’ossigeno, l’elemento che rende possibile la vita, la presenza e la mescolanza di una varietà infinita di soggetti, corpi, storie e mescolanze mondane. I piccoli limbi verdi che po-
Immagine tratta dalla copertina del libro. (Il Mulino)
polano il pianeta e catturano l’energia del sole sono il tessuto connettivo cosmico che permette, da milioni di anni, alle vite più disparate di intrecciarsi e mescolarsi senza fondersi reciprocamente l’una con l’altra». Questa è la parola chiave: mescolanza. L’idea di soggetto come monade isolata, autonoma, si sgretola, se usciamo dallo zoocentrismo e se osserviamo quello che le piante insegnano. Vivere è
un’esperienza immersiva dove soggetto e non-soggetto continuano a fondersi, a mescolarsi, a ritrattare le proprie identità diventando altro e altro ancora (non è un caso che Coccia abbia scritto anche un libro dal titolo Métamorphoses, di cui attendiamo con ansia la pubblicazione in Italia). La verità è che non esiste un ambiente che contiene soggetti e oggetti, dal momento che ogni cosa, in que-
sto mare in cui fluttua l’essere, cambia in continuazione, ma non solo: non esistono nemmeno dei veri e propri oggetti. «Il mondo dell’immersione – spiega il filosofo – è una distesa infinita di materia fluida secondo gradi di velocità e rallentamento variabili, ma anche e soprattutto di resistenza o permeabilità. Perché tutto nel movimento mira a penetrare il mondo e a essere da lui penetrato. La parola chiave è permeabilità: in questo mondo tutto è in tutto». E se la radice ci insegna che la pianta non punta solo al cielo, ma ha una spinta opposta, ctonia, che affonda nel centro della Terra, il fiore spiega che l’amore o la sessualità significa farsi mondo, ovvero mescolarsi, aprirsi all’altro. «Ogni essere sessile deve farsi mondo per il mondo» scrive il filosofo. «Questo è quanto chiamiamo sesso: la forma suprema della sensibilità, quella che consente di concepire l’altro nello stesso momento in cui l’altro modifica il nostro essere e ci obbliga ad andare, a cambiare, a diventare altro». Il fiore, in fondo, «è un attrattore. Invece di andare verso il mondo, lo attira a sé. Grazie ai fiori, la vita vegetale diventa il luogo di un’esplosione inedita di colori e forme, e di conquista del dominio delle apparenze». Un libro, questo di Emanuele Coccia, che non può mancare nelle biblioteche degli appassionati e di chi si interessa a queste tematiche, accanto a quelli scritti da Pia Pera, Gilles Clément, Stefano Mancuso e altri e altre. Annuncio pubblicitario
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Ambiente e Benessere
«Non fatevi prendere dal panico»
Viaggiatori d’Occidente In attesa che tutto si rimetta in marcia, ci sono sempre i viaggi lenti, vicini, sostenibili,
nella natura e le riunioni familiari allargate…
Claudio Visentin Stampato a grandi caratteri sulla copertina della Guida galattica per gli autostoppisti di Douglas Ada, era il motto «Non fatevi prendere dal panico». Risalente alla fine degli anni Settanta, questo appello si applica bene anche alla nostra situazione, dove le inquietudini non mancano. Proviamo a ricapitolare, in vista delle ormai imminenti vacanze estive. Le varianti dell’epidemia sembrano sotto controllo (anche se le sorprese sono sempre possibili) e i numeri nelle terapie intensive sono rassicuranti. La vita all’aria aperta e la percentuale crescente di vaccinati indica chiaramente la direzione d’uscita dalla crisi. E tuttavia il percorso non è certo lineare. Per superare l’emergenza è stata creata una vasta macchina burocratica che ora non è facile smantellare gradualmente o riconvertire. C’è un senso di perenne ritardo, forse inevitabile, tra la realtà e la sua descrizione ufficiale. I ricordi ancora freschi della malattia e le lunghe piogge primaverili hanno tenuto a bada l’impazienza, ma ora che l’estate mette in scena il suo consueto spettacolo, senza mezze misure, è difficile adattarsi ai lenti ritmi di uscita dalla pandemia. Pensiamo soltanto al passaporto vaccinale europeo (Green Pass). L’idea è semplice e chiara: certificare lo stato di salute dei viaggiatori (vaccinazione, risultato negativo del test molecolare entro le quarantotto ore o guarigione
Una segnaletica, lungo la tratta ferroviaria nel deserto marocchino tra Oujda e Bouarfa. (Photo Ma.Ma.)
dalla malattia negli ultimi sei mesi). Ma proprio qui sta il problema. Il diavolo non ama le grandi strategie e si annida piuttosto nei dettagli, nelle procedure dove, complici le burocrazie, può manifestare tutto il suo potere, tra dati sensibili, privacy, diversità di modelli nazionali. Ora l’obiettivo sembra raggiunto, riducendo ragionevolmente le ambizioni di controllo, e anche la Svizzera ha adottato un certificato digitale compatibile con quello europeo. Meglio tardi che mai ma certo siamo già in ritardo; giugno è quasi scivolato via e difficilmente la macchina organizzativa del turismo sarà a pieno regime prima di agosto, tanto che per molti un prolungamento autunnale sembra inevitabile. Dunque, partiremo, come già l’anno scorso del resto, ma per dove? E
Una guida contro i pregiudizi Bussole Inviti a letture
per viaggiare
come viaggeremo? Io credo che sarà un tempo di forti contrasti e anche di qualche paradosso. Vogliamo provare a stilare un elenco provvisorio? Per qualcuno è già tardi, per altri ancora presto. Chi ha scelto vacanze sicure (case in affitto, agriturismi, camper eccetera), restando in Svizzera o sulle coste dei Paesi vicini (Spagna, Italia, Grecia), deve muoversi molto per tempo perché l’offerta è limitata e quindi i prezzi parecchio elevati. Ma chi ha maggiore libertà professionale, personale o familiare, insomma chi può rischiare un’improbabile quarantena (nel caso la vostra destinazione finisse nella lista nera proprio mentre siete là), deve ancora aspettare. Per esempio, solo a fine luglio sapremo se la meta dei miei desideri, il Marocco, si aprirà ai turisti internazionali già quest’anno,
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Funghi dolci Red Band 29.6 – 3.7. 2021
«Non se ne può più di sentir ripetere la famosa frase di Orson Welles nel Terzo uomo. Quella che dice che in Italia per trent’anni sotto i Borgia ci furono guerre e carneficine, ma ne uscirono Leonardo, Michelangelo e il Rinascimento. E che da cinquecento anni di amore fraterno in Svizzera è venuto fuori solo l’orologio a cucù. È una battuta ormai logora che rinnova, ogni volta, il solito pregiudizio sulla Svizzera…». Perché mai uno svizzero dovrebbe voler leggere una guida dedicata al suo Paese? Per cominciare le guide Passenger sono curate e con un formato origi-
nale. Invece delle solite informazioni turistiche propongono infografiche, inchieste, reportage, approfondimenti affidati a scrittori e giornalisti. Uno sforzo sincero di comprendere e superare gli stereotipi e i luoghi comuni sempre ripetuti, per disegnare invece un più ampio orizzonte nel quale inserire anche l’esperienza della propria visita. Inoltre il turismo contemporaneo è in larga misura un gioco di sguardi incrociati, anche perché i ruoli di visitatori e locali si scambiano facilmente. Per questo è interessante sapere cosa si racconta di noi all’estero e magari confrontarlo con quanto sappiamo (o crediamo di sapere) del nostro Paese. Per esempio la Svizzera dei turisti è ancora in larga parte un Paese di montagne, popolate da rudi e austeri valligiani, anche se in realtà la maggior parte della popolazione vive modernamente nelle città dell’altopiano centro-settentrionale. Tra la geografia dei turisti e quella reale c’è insomma uno scarto, come se due Paesi diversi convivessero nel già ridotto spazio della Confederazione. Un ultimo, ulteriore motivo d’interesse − ma solo per i nostri lettori − è che alcune pagine di Passenger scritte da Oliver Scharpf, dedicate al turismo e ai suoi miti, sono apparse per la prima volta proprio su «Azione». / CV Bibliografia
La copertina della guida che cerca di smontare i cliché sulla Svizzera.
The Passenger, Svizzera, Iperborea, Ediciclo, pp. 192, € 19.50.
come pare probabile, o rimanderà tutto al 2022. Chi accetta una certa dose di rischio potrebbe poi essere ricompensato quando si troverà nella piacevole condizione di pagare poco e non avere quasi altri turisti intorno. Un altro esempio? Chi ha perso il lavoro non pensa certo alle vacanze, si capisce, ma altri in questi anni agli arresti domiciliari hanno avuto meno opportunità di spesa (per esempio per cene al ristorante e altre mondanità) e quindi hanno a disposizione un buon budget. Nel frattempo, alcune tendenze già evidenti prima della pandemia si sono rafforzate e sono molto cresciute: viaggi lenti, vicini, sostenibili, nella natura… Ma, assembramenti permettendo, c’è anche molta voglia di feste, balli, vita di
spiaggia eccetera. Insomma, comportamenti più virtuosi sul lungo periodo potrebbero essere preceduti da un’esplosione di allegria. E ancora, qualcuno viaggerà meno aspettando la fine di tutte le complicazioni, ma per altri ci sono viaggi arretrati da recuperare, a cominciare naturalmente dai viaggi di nozze. Molti nei lunghi mesi passati hanno avuto il tempo di immaginare progetti decisamente ambiziosi e ora sono ansiosi di tradurli in realtà. Ma forse la tendenza più importante riguarda le riunioni familiari allargate. In America è una tradizione e secondo recenti ricerche quest’anno ci sta pensando oltre il 70% degli intervistati. Le agenzie di viaggio hanno passato tutto il 2020 creando itinerari socialmente distanziati riservati strettamente ai «congiunti», ora la domanda sembra spostarsi su viaggi multigenerazionali (per Club Med il 16% nel 2021 rispetto al 3% del 2019) con nonni, genitori, cugini, zii, nipoti: si affittano abitazioni vicine, i grandi si rivedono, i bambini giocano tra loro. In mezzo a tutte queste vicissitudini, una nuova sensibilità è cresciuta, un diverso apprezzamento per il viaggio e l’incontro. In passato, al tempo dell’iperturismo, abbiamo dato troppo per scontato il piacere di muoversi, quando sembrava che niente potesse impedirlo. Siamo stati spesso viaggiatori bulimici, frettolosi, distratti. Un nuovo senso del viaggio sarà la vera eredità di questi mesi difficili?
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Ambiente e Benessere
Benvenuti nel bosco!
Sensibilizzazione Un opuscolo con dieci consigli per visitare il bosco nel pieno rispetto della flora e della fauna,
ora anche in italiano, e un video, grazie all’impegno della Comunità di lavoro per il bosco
Elia Stampanoni La Comunità di lavoro per il bosco ha elaborato dieci consigli per visitare il bosco nel rispetto della flora e della fauna, già nell’autunno del 2018. Ne è scaturito un opuscolo che è ora disponibile anche in italiano e che è stato presentato dallo stesso gruppo di lavoro in collaborazione con Bosco Ticino, l’associazione dei proprietari di bosco. Il piccolo pieghevole s’intitola Benvenuti nel bosco e presenta, grazie a dieci brevi frasi e alle altrettante illustrazioni di Max Spring, semplici consigli di comportamento per chi s’appresta a «entrare» in un bosco. Uno spazio di vita che è sempre più apprezzato e ricercato, come viene spiegato nella presentazione del progetto: «Sempre più persone si rilassano nel bosco e l’emergenza sanitaria ha accentuato il fenomeno. In questi momenti di svago possono però crearsi delle situazioni di conflitto fra i visitatori del bosco e l’ecosistema, oppure fra gli ospiti e i proprietari del bosco». La Comunità di lavoro per il bosco ha voluto elaborare i dieci consigli di comportamento allo scopo di prevenire eventuali scontri e per sensibilizzare la popolazione sulle esigenze della foresta, che è pur sempre l’habitat di molte specie animali e vegetali. Essendo il bosco in generale di libero accesso, ad eccezione di poche limitazioni, non deve divenire il luogo dove si può fare tutto ciò che
si vuole. La piccola guida per comportarsi bene nel bosco si prefigge infatti di fornire un semplice contributo affinché tutti possano usufruirne senza attriti. La prima regola da tener presente è che il bosco è la casa di piante e animali. I primi consigli ricordano infatti alcune regole generali, come il divieto di circolazione per i veicoli a motore oppure le disposizioni per la protezione della natura o il pericolo d’incendio a cui ci si deve attenere. Ai visitatori si indica in seguito di rimanere sui sentieri per non disturbare inutilmente la flora e la fauna, rimandando anche a uno degli slogan della pubblicazione: Rispettiamo le piante e gli animali perché il bosco è la loro casa. I suggerimenti successivi, sempre presentati in calce alle simpatiche illustrazioni, precisano cosa fare con i rifiuti, come comportarsi riguardo al lavoro forestale, ai pericoli del bosco, ai cani che si portano a passeggio e come regolarsi quando si vogliono raccogliere piante, funghi o bacche non protette, ma anche rami o pigne, invitando qui a informarsi sulle prescrizioni locali e comunque a voler agire con moderazione. L’opuscolo ricorda anche che, di regola, nei boschi non si può e non si deve costruire nulla senza un permesso (come capanne o trampolini per esempio), «perché ogni bosco ha un proprietario o una proprietaria». Il pieghevole conclude rilevando un punto di cui forse non tutti sono
Un particolare del manifesto di Benvenuti nel bosco.
consapevoli: all’imbrunire e durante la notte sono i momenti in cui molti animali del bosco hanno bisogno di uno spazio vitale indisturbato, quindi «rimaniamo sui sentieri ed evitiamo rumori e luci fastidiosi».
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L’opuscolo, utilizzato in occasione di giornate e attività didattiche nel bosco, escursioni o esposizioni, è stato distribuito in oltre 120mila esemplari nella sua versione in tedesco e in francese. La versione italiana è disponibile sia come volantino sia come manifesto e si può visualizzare, scaricare oppure ordinare visitando il sito della Comunità di lavoro o di BoscoTicino. Ma non finisce con l’opuscolo, perché nel frattempo è stato sviluppato anche un nuovo video. Sullo slancio della pubblicazione, oggi è dunque possibile guardare un divertente filmato che ne ricalca i contenuti (https://youtu.be/ CGnbgePO1i4). In quattro minuti d’animazione, il clip riprende con umorismo il «problema» e la «soluzione» per ognuna delle regole indicate nell’opuscolo. Le immagini del vignettista Spring sono state animate dalla figlia Anna Lena che vi ha aggiunto alcuni rumori e suoni per ricreare l’atmosfera della foresta. C’è per esempio la scena di un tasso sbigottito davanti all’escursionista che fa razzia di tutte le bacche, la coppietta costretta da un simpatico animale a raccogliere i propri rifiuti, oppure il podista indifferente che scavalca un nastro di divieto rischiando di rimanere schiacciato da un albero. Tutto questo è stato possibile grazie a un importante gruppo nato per discutere sul bosco. La Comunità di lavoro per il bosco è un’organizzazione attiva a livello nazionale e a cui sono affiliate una trentina d’organizzazioni. Fondata nel 1964 come gruppo di lavoro della Società Forestale Svizzera, si definisce oggi soprattutto come un forum di discussione con interessi a livello ecologico, sociale ed economico legati al bosco svizzero. Normalmente vengono organizzati dei momenti d’incontro e discussione su temi d’attualità legati alla selvicoltura, che si tengono solitamente all’aperto, nella foresta o in natura. Uno degli ultimi appuntamenti annullati a causa della pandemia indirizzava per esempio i suoi interessi sulle infrastrutture ecologiche e sulle misure per la riduzione del calore in città, dato che anche la foresta periurbana svolge un ruolo importante. Gli obiettivi della Comunità di lavoro per il bosco concernono in generale anche la discussione di conflitti che riguardano la foresta e la conseguente ricerca di soluzione da proporre. Le priorità, come riportato sul loro sito internet, sono la conservazione del bosco
e delle sue varie funzioni, tra cui l’essere parte del paesaggio, spazio vitale per molte specie vegetali e animali, area ricreativa a contatto con la natura, fonte della materia prima «legno» e di altri prodotti, ma anche fornitore di «servizi ecosistemici» e di protezione contro i pericoli naturali. Anche in Ticino si trova una sorta di antenna, vale a dire l’associazione BoscoTicino, per la salvaguardia e lo sviluppo delle funzioni del bosco. È una realtà dal 2016, quando l’allora Associazione Forestale Ticinese, nata nel 1984, decise per un cambiamento degli statuti nell’ottica di un riposizionamento strategico con scopi più in linea con le attuali mansioni del bosco, e per garantire la funzione più importante che rimane comunque quella protettiva in sintonia con l’ambiente e la natura. Parallelamente si scelse pure il nuovo nome e un nuovo logo, in linea con i cambiamenti in atto anche a livello nazionale da parte dell’associazione BoscoSvizzero, che pure si pose nuovi obiettivi con una revisione dei suoi statuti nel 2015. Il rinnovo avvenuto a livello svizzero ha coinvolto e raggruppato anche dal lato grafico quasi tutte le altre 23 sezioni cantonali che, con BoscoTicino, sono membri di BoscoSvizzero, il quale è a sua volta affiliato alla Comunità di lavoro per il bosco. Come si legge nell’introduzione del sito internet, «BoscoTicino sostiene la formazione del personale forestale, promuove la salvaguardia e lo sviluppo delle funzioni del bosco, dando particolare importanza all’utilizzo di legname ticinese». Per ottemperare ai suoi scopi, l’associazione organizza manifestazioni legate al settore bosco-legno, tra cui il noto Pentathlon del Boscaiolo che, giunto alla sua 30a edizione, ha dovuto essere annullato nel 2020. Previsto a Faido, l’evento sarà riproposto sabato 11 settembre 2021, sempre nel borgo leventinese. L’anno scorso BoscoTicino ha pure promosso la conoscenza della foresta attraverso una campagna incentrata sulle sue funzioni, un’iniziativa che si può pure vedere sul sito web dell’associazione. Link utili
Comunità di lavoro per il bosco: www.afw-ctf.ch/de/wald-knigge/ italiano Bosco Ticino: www.boscoticino.ch
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Ambiente e Benessere Migusto La ricetta della settimana
Uno spezzatino Insalata di tonnod’agnello alla siciliana speciale Piatto principale estivo
migusto.migros.ch/it/ricette Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.
Ingredienti per per 44persone: persone:800 100g di g di spezzatino fagioli bianchi d’agnello, secchi ad esempio · 2 zucchine spalladi· sale circa· 200 g· ciascuna pepe 2 cucchiai· 1d’olio dl d’olio di colza d’oliva HOLL · 1 peperoncino · 4 spicchi d’aglio rosso··22cipolle cipollotti grosse · 4 c· 8d’aceto pomodori balsecchi samicosott’olio bianco · 4½ccucchiaio d’uva sultanina di farina · sale · 4 ·dlpepe di brodo dal macinapepe di manzo · 50 2 mazzetti g di olived’erbe nere snocciolate ·miste, aromatiche 4 fettead di esempio prosciutto prezzemolo crudo · 2 cipollotti o coriandolo · 1 limone. · 2 vasetti di filetti di tonno sott’olio da 200 g, peso sgocciolato 155 g. 1. Condite la carne con sale e pepe e rosolatela bene nell’olio in una padella. 1. Dimezzate Il giornol’aglio, prima,tritate ammollate grossolanamente i fagioli in le abbondante cipolle. Aggiungete acqua fredda. aglio,Ilcipolle giornoe seguente pomodoriscolateli alla carne, e lessateli spolverizzate in acquacon fresca la farina per circa e bagnate 30 minuti, con ilfinché brodo.risultano Mettete il coperchio morbidi. Scolate e stufate e lasciate a fuoco raffreddare. medio-basso per circa 50 minuti. Lasciate il coperchio 2. Tagliate leggermente le zucchine aperto a fette per permettere di circa 5 mm al vapore leggermente di fuoriuscire oblique.dalla Fatele padella, rosolare in modo poco per chevolta il liquido nella si metà riduca. dell’olio per circa 3 minuti da entrambi i lati. 2. 3. Tagliate Dimezzate le olive il peperoncino e i cipollottiper a rondelle il lungo,sottili, privatelo il prosciutto dei semi ae dadini. tagliatelo Ricavate a striscioline. delle listarelle Sminuzzate dalla scorza i cipollotti. del limone. Mescolate Mescolate l’olio tutto. rimasto con l’aceto balsamico, il 3.peperoncino, Spremete la metà l’uvadel sultanina limone.eCondite i cipollotti. lo spezzatino Condite con consale il succo e pepe. di limone, Spezzettate sale grossolanamente e pepe e distribuite le la erbe. gramolata sulla carne. 4. Estraete i filetti di tonno dall’olio e serviteli con i fagiolini, le zucchine, le erbe. Un piattocon gustoso che può essere accompagnato con pasta o semplicemente con Condite la salsa. fette di pane. Preparazione: circa 15 minuti; ammollo per tutta la notte; sobbollitura: circa Preparazione: circa 20 minuti; brasatura: circa 50 minuti. 30 minuti. Per porzione: circa28 47ggdi diproteine, proteine,38 27ggdi digrassi, grassi,32 13ggdi dicarboidrati, carboidrati,580 kcal/ persona: circa 520 kJ. 2450kcal/2150 kJ.
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Ambiente e Benessere
Ticino, terra di ciclisti
Sport Da tempo non lo è più, ma un gruppo di irriducibili prova a rilanciare la passione attraverso
il Gran Premio Città di Lugano
Giancarlo Dionisio «Ticino, terra di ciclisti» era lo slogan dei Campionati Mondiali del 2009 a Mendrisio; un prestito dal mondo della cultura. L’originale Ticino, terra d’artisti fu una felice intuizione del grafico Orio Galli, sul manifesto campeggiava la casa rotonda di Mario Botta sovrapposta con discrezione a un affresco medievale. Il Ticino, ancora oggi, è indiscutibilmente una Terra d’artisti. Lo è per il patrimonio secolare che si è tramandato nel tempo. Lo è per il fermento che anima chi, ancora oggi, s’incammina sulla via della creatività. Terra di ciclisti, purtroppo, non lo è più, nonostante la pandemia abbia notevolmente contribuito a incrementare la vendita di biciclette. In verità, anche nel 2009 stava cessando di esserlo, se pensiamo al movimento di punta. Allora, in gruppo, avevamo due soli corridori professionisti: Rubens Bertogliati, e il ticinese di adozione Oliver Zaugg. Tutti gli altri erano oramai degli ex. Da allora, nessun nostro ciclista è mai più approdato in una squadra del circuito World Tour. Ci sono, qua e là, delle sacche di resistenza, come ad esempio a Lugano e a Mendrisio, dove i rispettivi Velo Club hanno instaurato una piccola forma di collaborazione, per tentare di mantenere in sella i pochi giovani che abbracciano questa disciplina sportiva. Ai piedi del Monte Tamaro, una decina di anni fa, si sono invece convertiti alla Mountain Bike. Con successo. Il loro movimento è flo-
Scatto-ricordo di una vecchia edizione del GP Città di Lugano. (Velo Club Lugano)
rido, e il loro atleta di punta, Filippo Colombo, fra i migliori al mondo, ha ricevuto pochi giorni fa il biglietto per i Giochi Olimpici di Tokio. Come mai questo disamore nei confronti del ciclismo? Sarebbe forse più corretto parlare di atteggiamento bipolare: mi piace, lo seguo, ma non lo pratico. Credo ci siano due ragioni principali. Da un lato, allenarsi sulle nostre strade è diventato, se non impossibile, quanto meno molto difficile. Troppo traffico, troppi rischi, convivenza problematica con gli altri utenti, automobilisti, motociclisti, camionisti, pedoni. D’altro canto, la creazione di percorsi ciclabili protetti procede con
Giochi Cruciverba «Carla ma è vero che hai iniziato una dieta?» «Sì cara è quella del religioso…». Trova il resto della frase rispondendo alle definizioni e leggendo nelle caselle evidenziate. (Frase: 6, 4, 3, 2, 3, 1, 3, 5, 2, 2, 8)
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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch
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I premi, cinque carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.
Partecipazione online: inserire la
soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la so-
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14. Cerimonia religiosa 16. Il Matteo di Terence Hill 18. Riscattate dal peccato 20. Ventre prominente 22. Malvagia in poesia 23. Coscienziosi, diligenti 24. Un consesso mondiale (Sigla) 25. Piccole insenature 26. La sua capitale è Damasco 27. Organi statali 28. Quiete assoluta 30. Il piccolo Fauntleroy 32. Comune... è mezzo gaudio 33. L’Umberto più letto 36. Le iniziali del giornalista Alessi 38. Sul pulsante dell’accensione
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35. Abitavano la punta sudorientale della penisola balcanica 37. Complessi polifonici 39. Modello perfetto 40. Strumento per esplorazioni Verticali 1. Avvilito, triste 2. Anagramma di gaio 3. Le iniziali dell’attrice Grimaudo 4. Avverbio di tempo 5. Tipi di alberi 6. Ghiaccio inglese 7. Un articolo 8. Un medico specialista abbreviato 9. Strumento a fiato 11. Il Fiano sopravvissuto ad Auschwitz
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composte che significa via, strada 17. Fantoccio mascagnano 19. Cadevano dopo le calende 20. Lo onora la patria 21. Ripido, scosceso 23. Rotazione inglese 24. Lo alimenta il rancore 25. L’attore Connery 27. Eroe troiano 28. Si scrive tra due fattori 29. Sono grassi per natura 31. Suora inglese 32. Aumentano in età avanzata 34. Le iniziali di Respighi
turbino eccessivamente il normale fluire del traffico. È il gatto che si morde la coda. Non ci sono più corse poiché non ci sono più corridori, oppure il contrario? Entrambe le risposte non modificherebbero di una virgola l’assunto iniziale. Non siamo più una terra di ciclisti. Resiste tuttavia un baluardo, una sorta di irriducibile villaggio gallico, in cui Asterix e Obelix assumono le fattezze di Andrea Prati e di Elio Calcagni, rispettivamente Presidente e Presidente Onorario dell’Axion SWISS Bank Gran Premio Città di Lugano, andato in scena ieri con un «parterre» di tutto rispetto, fra campioni mondiali in carica, ex iridati,
Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku
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1. Un frutto 5. Orifizio dello stomaco 10. Cambia nome a mezzanotte 11. Importò in Europa l’uso del tabacco 12. Una consonante 13. Teatri all’aperto 15. Primo elemento di parole
una lentezza da far invidia al più placido dei bradipi. Rispetto a molti altri cantoni siamo ancora al Medioevo. Bisogna riconoscere che il nostro territorio è angusto e che non sempre si trova il modo di ritagliare strisce di percorso in cui i ciclisti possano viaggiare in sicurezza. Tuttavia, a prescindere da queste difficoltà oggettive, va detto che la politica si sta muovendo a rilento, anche là dove sono stati stanziati crediti per la realizzazione di percorsi sicuri. La conseguenza di tutto ciò è che in Ticino si organizzano corse ciclistiche con il contagocce. Non è facile ottenere i permessi e individuare percorsi che non
vincitori del Tour de Suisse e trionfatori di tappe nei tre Grandi Giri. Viene da chiedere: «Chi ve lo fa fare?». Sento rimbalzare chiaramente la loro risposta: «La passione, l’amore per il ciclismo, l’auspicio che da questa corsa si possa ricavare qualche spicciolo per alimentare il lavoro che il nostro Club svolge con i giovani». Quest’anno non sarà così scontato. I due leader gallici hanno validi compagni di battaglia e generosi alleati, tuttavia Mister Covid ha intiepidito alcuni sostenitori. Inoltre, ha posto gli organizzatori di fronte a una serie di spese supplementari da inserire sotto la voce «sicurezza sanitaria». Ciò nonostante, nel villaggio degli irriducibili, si guarda avanti, all’edizione del 2022, quando, con un anno di ritardo, verrà festeggiata la 75° edizione, con cinghiali allo spiedo in abbondanza e cervogia a fiumi. Dal Giubileo gli organizzatori si aspettano molto. Magari, di nuovo, un super vincitore, come in passato era accaduto con Sean Kelly e Paolo Bettini. Inoltre, si spera nella presenza dei migliori svizzeri (Hirschi, Küng, Mäder, Bissegger e Schmid), che ultimamente hanno riscoperto il gusto del successo. Sì, perché, partendo dai modelli, da un autografo, un selfie, qualche giovane ticinese potrebbe trovare nuovi slanci e nuove motivazioni. Probabilmente non torneremo a essere una terra di ciclsiti. Ma tra i fasti di un tempo e il vuoto di oggi, una sana via di mezzo sarebbe più che gradita.
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Soluzione della settimana precedente
UN NOME CURIOSO – La còrea di Sydenham è un tipo di encefalite che più comunemente viene chiamata: BALLO DI SAN VITO.
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luzione, corredata da nome, cognome, indirizzo, email del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 6315, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui
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concorsi. Le vie legali sono escluse. Non è possibile un pagamento in contanti dei premi. I vincitori saranno avvertiti per iscritto. Partecipazione riservata esclusivamente a lettori che risiedono in Svizzera.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 giugno 2021 • N. 26
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Politica e economia egitto e etiopia ai ferri corti La grande diga sul Nilo costruita dall’Etiopia potrebbe scatenare una guerra con l’Egitto, che teme per le sue risorse idriche pagina 21
Graziati i separatisti catalani Il primo ministro spagnolo Sánchez ha concesso l’indulto a nove leader indipendentisti catalani, ma la destra spagnola insorge e alcuni separatisti chiedono di più pagina 23
Saluto tra presidenti in occasione del recente incontro a Ginevra. (Keystone)
Putin e la strategia del dialogo
Russia La Federazione russa sta vivendo una fase di debolezza ed è costretta a cercare appoggio
un po’ su tutti i fronti, dall’Oriente all’Occidente. In gioco c’è la sua sopravvivenza futura
Lucio Caracciolo La Russia cerca di uscire dall’assedio. Nel giro di un paio di settimane, Putin ha prima incontrato Biden a Ginevra, poi ricevuto con compiacimento l’invito franco-tedesco a un incontro con l’Ue, cui hanno aderito anche Italia e altri paesi europei, per ristabilizzare il continente. Niente di clamoroso, ma la volontà su entrambi i fronti di ristabilire un dialogo decente fra Russia e Occidente. Sono sette anni che i rapporti fra Nato e Russia hanno subìto un netto peggioramento. Tutto è cominciato nel 2014 con la crisi ucraina e con il colpo di mano anglo-americano a Kiev, culmine di un vasto movimento di piazza, che ha liquidato la leadership filo-russa (o presunta tale). Da allora, e per il tempo visibile, l’Ucraina è fuori dalla sfera d’influenza russa. In extremis Putin ha recuperato manu militari la Crimea, mentre continua a sostenere i ribelli del Donbass, la regione più povera e
più «russa» dell’Ucraina, nella guerra a bassa intensità contro Kiev. Gli americani non avevano però calcolato la conseguenza strategica di questo loro successo. Privo di riferimenti in Occidente, con le spalle al muro, a Putin non restava che recarsi, cappello in mano, da Xi Jinping per iscriversi al partito cinese nella competizione Pechino-Washington sulla leadership mondiale. Operazione dolorosa, certo non spontanea. La diffidenza, quando non l’ostilità reciproca fra russi e cinesi, due civiltà prima ancora che due imperi, segna la storia non solo moderna del continente eurasiatico. Quella mossa ha maturato nel tempo una strana ma effettiva intesa fra Mosca e Pechino, che altera a favore della Cina il rapporto di forze con l’America. Fra l’altro, i russi stanno armando fino ai denti i loro provvisori partner orientali, trasferendo loro tecnologie e conoscenze di primo livello anche in campo spaziale. Non è facile prevedere quanto l’attuale accordo possa continuare.
Fatto è che la Federazione Russa vive una fase di speciale debolezza. Sul fronte dell’impero esterno, dopo la perdita della Ucraina potrebbe toccare presto anche alla Bielorussia, con ciò portando il confine fra occidentali e russi quasi in vista delle mura del Cremlino. È dalla fine dell’Unione Sovietica (1991) che la cortina di ferro, tutt’altro che smantellata, si è scoperta mobile. A senso unico. Avanza infatti, passo dopo passo, ben dentro lo spazio ex sovietico. Considerando la scarsa affidabilità del provvisorio partner cinese, la pressione da sud di islamisti armati, il rapporto molto ambiguo con la Turchia – nemico di sempre – e soprattutto la decisione americana di considerare nefando e avversario il regime di Putin, ce n’è abbastanza per dubitare che la Federazione Russa possa conservarsi integra nei prossimi anni. Si aggiunga che lo zar è entrato nella fase finale e discendente della sua parabola senza che all’orizzonte appaia un successore, e la diagnosi può appari-
re quasi sentenza di morte annunciata. È in questo contesto che Putin sta cercando di dividere gli occidentali, secondo una tecnica di sperimentata matrice sovietica. Prima il cauto dialogo con Biden, comunque un passo avanti rispetto agli insulti e ai reciproci solipsismi dominanti negli ultimi anni, poi l’intesa con gli europei occidentali, che non vogliono isolare la Russia. Non perché l’amino, ma in base a calcoli di sicurezza e di utilità. Il collasso di quell’immenso paese, difficilmente concepibile in termini pacifici, aprirebbe un vuoto enorme. Con rischio di dispersione dell’arsenale nucleare e, in prospettiva, di avanzamento della Cina verso Occidente, attraverso la Siberia. Si aggiunga l’interdipendenza gasiera, e si intuisce perché Parigi e Berlino abbiano tentato la sortita negoziale. I paesi dell’ex blocco sovietico in Europa non l’hanno presa bene. Quanto agli ucraini, sono infuriati. Ma è tutta la «Nuova Europa» che vede nel dialogo russo-americano, prima, e in
quello euro-russo, poi, conferma del sospetto di sempre: gli occidentali non moriranno per noi se i russi ci attaccheranno. E siccome molti di loro sono convinti che l’attacco sia ben possibile, se non imminente, la conferma risulta assai preoccupante. La Nato è appena uscita da un vertice destinato a ostentare compattezza, che al primo stormir di vento si conferma illusoria. Alla fine la palla è in casa russa e americana. Saranno Mosca e Washington a stabilire se, e in che misura, una fase di distensione sia possibile oggi. Cominciando per esempio dal controllo degli armamenti strategici. Gli europei, se vorranno, seguiranno. Rigorosamente divisi. Perché alla fine in Europa ci dividiamo fra chi considera i russi degli europei un po’ speciali, piuttosto irritabili e prepotenti, ma utili e razionali (la Vecchia Europa), e chi li tratta da barbari asiatici (la Nuova Europa). Non sarà un vertice in più o in meno ad alterare percezioni tanto opposte.
Tutti quanti hanno il diritto a sentirsi belli. Questo è un tema che ci sta particolarmente a cuore. «Respect Everybody’s Beauty» è un’iniziativa per promuovere una condotta più rispettosa e meno violenta in rete. Acquistando i prodotti dei nostri marchi*, ci aiutate a sostenere i progetti patrocinati da Pro Juventute contro il cyberbullismo. respect-everybodys-beauty.ch
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 giugno 2021 • N. 26
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La diga della discordia
Africa La Grande Diga della Rinascita Etiopica è quasi completata e le tensioni fra Egitto
e Etiopia crescono, poiché il Cairo teme di non avere più abbastanza acqua per i suoi bisogni
Politica e economia
Tutto il potere ai falchi Iran Eletto presidente
Ebrahim Raisi, con il peggior risultato di sempre
Pietro Veronese Quando la si avvicina dal cielo, tremolante nel calore che si sprigiona dal suolo rovente della pianura, la Grande Diga della Rinascita Etiopica, o GERD nella sigla in inglese, non sembra un oggetto di questo mondo. L’enorme manufatto appare fuori contesto e fuori proporzione con la natura che lo circonda. Se non fosse un aggettivo proibito, a causa delle tensioni che la sua stessa esistenza ha generato tra l’Etiopia e l’Egitto, verrebbe da definirla faraonica. E davvero, la diga fa venire in mente le Piramidi, 2500 chilometri più a nord, per quell’aspetto alieno, fantascientifico, che sembra quasi il frutto di una civiltà diversa e superiore a quella umana. È il più grande sbarramento fluviale d’Africa, di gran lunga; il settimo al mondo. Ma no, sono proprio uomini quelle formiche che si vedono andare e venire in più punti dello smisurato cantiere, ormai quasi completato. E umano è il sogno visionario, concepito per la prima volta oltre mezzo secolo fa, che ne è all’origine e la cui realizzazione è ormai imminente. Questione di settimane, e le prime due delle sedici smisurate turbine alloggiate ai lati della muraglia di cemento entreranno in funzione, generando elettricità. Nel preciso momento in cui questo avverrà, tuttavia, il sogno rischia di tramutarsi in un incubo. I Paesi attraverso i quali il Nilo scorre a valle dell’Etiopia – Sudan ed Egitto – sono da anni in allarme. Sentono vivo il pericolo che la diga possa perturbare l’afflusso di acqua e minacciare la loro stessa sopravvivenza. Fanno molta fatica ad accettare l’idea che qualcuno abbia in pugno il rubinetto che regola la loro esistenza, alimenta la loro agricoltura e disseta decine di milioni di persone all’interno dei loro confini. Da tre regimi a questa parte – già ai tempi di Mubarak, poi con Morsi e adesso sotto al Sisi – l’Egitto in particolare ha fatto sapere senza possibilità di dubbio che considera la diga GERD un potenziale casus belli. L’ultima volta che ne ha parlato, circa due mesi fa, al Sisi è stato esplicito. «Nessuno prenda una goccia d’acqua egiziana», ha ammonito: «Chi lo farà, causerà nella regione un’instabilità inimmaginabile». A quanto scrivono i corrispondenti esteri dal Cairo, l’uomo della strada nella megalopoli egiziana è convinto che la guerra per la diga ci sarà. L’effigie di Anubi, divinità egizia della morte, dal volto di sciacallo, ha ampio corso sui social media egiziani, accompagnata da slogan che invitano a «liberare il Nilo» se il livello delle sue acque dovesse abbassarsi. Attraverso le capitali nordafricane ed europee, le voci di un imminente attacco egiziano si sono susseguite nei tempi recenti, debitamente riferite dai servizi d’informazione, senza trovare per fortuna conferma nei fatti. Almeno finora. Il fiume più lungo del mondo ha una doppia origine. Nilo Bianco e Nilo Azzurro si incontrano solo nella capitale sudanese, Khartoum, da dove scorrono maestosamente in un unico
La Grande Diga della Rinascita Etiopica, in una foto d’archivio del 2017, durante i lavori di costruzione. (Keystone)
grande corso d’acqua fino al Mediterraneo. Il Nilo Bianco ha le sue fonti molto più a sud, tra i ruscelli di montagna di Ruanda e Burundi, lungo il remoto spartiacque che lo divide dal bacino del fiume Congo. Poiché questo è il ramo più lungo, viene considerato il Nilo vero e proprio. Ma prima di raggiungere Khartoum, esso si perde nelle sconfinate paludi del Sudd, dove la sua acqua si espande, s’infiacchisce e quasi ristagna. Senza l’apporto vitale del Nilo Azzurro, che scende impetuoso dall’altopiano etiopico, più giovane, possente, e con una quantità d’acqua maggiore, non troverebbe mai la forza di arrivare fino al mare. È dunque sul Nilo Azzurro, poco prima che il fiume attraversi il confine sudanese, che l’Etiopia ha costruito la sua diga. Il sito era già stato individuato ai tempi del Negus, negli anni Cinquanta. Era l’epoca in cui l’Egitto di Nasser aveva avviato il grande progetto della diga di Assuan e l’imperatore etiopico – uomo complesso, strenuo difensore del suo potere feudale ma anche appassionato di modernità – ambiva a non essere da meno. Una diga significava elettricità, e l’elettricità sviluppo. Ma occorreva denaro, molto denaro e soprattutto buoni rapporti di fiducia con i Paesi a valle della diga. A differenza infatti della celebre favola di Esopo, in cui a monte c’è il lupo e giù in basso il più debole agnello, la nazione egiziana, che controlla l’ultimo tratto di fiume prima del mare, è di gran lunga la più forte dal punto di vista militare. Il consenso dei suoi leader è indispensabile a chiunque intenda alterare il flusso dell’acqua del Nilo.
La visione imperiale fu cancellata dal colpo di Stato che depose e poi uccise Hailé Selassié. Il progetto fu accantonato. Abbattuto a sua volta il regime militar-comunista succeduto a quello imperiale, sul finire del secolo ventesimo si ricominciò a parlare della diga, che presto divenne un grande obiettivo patriottico. Il suo costo, almeno cinque miliardi di dollari, andava ben oltre le possibilità dell’Etiopia. Per finanziare l’impresa fu lanciato un prestito nazionale, al quale per i comuni cittadini era praticamente impossibile sottrarsi. La realizzazione fu affidata all’impresa italiana Salini (poi Salini Impregilo e oggi Webuild S.p.A.). All’inizio, l’Etiopia si propose di adottare un atteggiamento trasparente, invitando i governi di Sudan ed Egitto a inviare propri tecnici che assistessero alla fase di progettazione e poi di costruzione dell’immane sbarramento idroelettrico. Ma presto le cose cominciarono ad andare male e oggi il dialogo è totalmente interrotto. L’impresa non era semplice. Il Nilo Azzurro garantisce da solo il 97 per cento del fabbisogno idrico egiziano: è una questione di vita o di morte, con in gioco la sorte di decine di milioni di individui. Qualunque ipotesi che preveda una diminuzione del suo flusso disegna scenari apocalittici: carestie, migrazioni di massa, un’ondata destabilizzatrice destinata fatalmente a colpire anche l’Europa. Negli ultimi anni, la questione è stata resa maledettamente complicata dai successivi passaggi di regime in tutti e tre i Paesi coinvolti, con i conseguenti sommovimenti geopolitici. In Egitto, dopo la parentesi demo-
cratica con la presidenza Morsi, sono tornati al potere i militari, guidati da al Sisi. In Sudan, viceversa, al regime di al Bashir ha posto fine due anni fa una rivolta popolare che ha riportato una ventata di libertà, ma anche avviato il Paese in una lunga e incerta transizione. Il Sudan si conferma il più fragile dei tre contendenti: ma nella crisi della diga GERD questo significa un allineamento pieno con la posizione egiziana, mentre in tempi migliori i governanti sudanesi avrebbe potuto svolgere un ruolo più positivo, per non dire di mediazione. Resta l’Etiopia, il principale responsabile, che al momento è anche quello più nei guai. Il suo primo ministro Abiy Ahmed, andato al potere nel 2018 come uomo del cambiamento, subito corso al Cairo a stringere la mano ad al Sisi in un gesto d’amicizia e buona volontà, insignito l’anno dopo del Nobel per la Pace, si ritrova adesso infognato in una conflitto armato fratricida contro la provincia del Tigray e accusato di orribili crimini di guerra. Il numero dei suoi amici internazionali si è molto assottigliato, il consenso interno infragilito. Ma proprio per questo Abiy Ahmed sembra impossibilitato a imporre una battuta d’arresto all’avvio della diga. Un gesto che potrebbe tradire una debolezza mortale. Il suo ministro dell’Energia ha annunciato che, con l’arrivo della stagione delle piogge, il riempimento del lago artificiale alle spalle dell’impianto è ripreso. In luglio dovrebbe essere abbastanza pieno da consentire l’accensione delle prime due turbine. Così la «linea rossa» di cui tante volte ha parlato il presidente egiziano sarà varcata.
Con l’elezione di Ebrahim Raisi alla presidenza, le forze radicali e conservatrici controllano ora di nuovo tutte le principali istituzioni del potere in Iran, per la prima volta negli ultimi dieci anni. La vittoria dell’attuale ministro della giustizia, candidato preferito della guida suprema della rivoluzione islamica ayatollah Ali Khamenei e considerato suo probabile successore, era stata ampiamente prevista, poiché tutti i candidati più popolari delle forze riformiste erano stati esclusi dalle elezioni. Con soli 18 milioni di voti, una partecipazione al voto del 48 per cento (di cui un 13 per cento di voti non validi) Raisi ha ottenuto il peggior risultato di ogni presidente che lo ha preceduto dalla rivoluzione islamica del 1979, a dimostrazione della scarsa popolarità di cui gode nel paese. Succederà a Hassan Rohani, esponente dell’ala moderata riformista, in agosto. Ebrahim Raisi, 60 anni, è noto per essere da sempre esponente dell’ala più radicale del regime. Fin da giovane ha partecipato, come vice procuratore generale e in seguito come giudice e ministro della giustizia, a repressioni sanguinose, ordinando torture e mandando al patibolo migliaia di persone. In particolare, ha partecipato attivamente agli assassini di migliaia di oppositori compiuti nel 1988 su ordine dell’allora ayatollah Khomeini nelle carceri iraniane, in seguito alla sollevazione dei mujaheddin del popolo, come pure alle esecuzioni ordinate, anche di minorenni, dopo le proteste popolari del 2018 e del 2019. Per il suo ruolo nei massacri del 1988, le Nazioni Unite lo hanno posto nel 2019 sulla lista delle persone sottoposte a sanzioni. Con la sua nomina, la facciata democratica del regime iraniano perde ogni credibilità internazionale. Benché Raisi abbia affermato di sostenere i negoziati in corso con gli Stati Uniti per la rivitalizzazione dell’accordo sul nucleare, il timore è che con la sua entrata in carica possano naufragare, motivo per cui è in corso un’accelerazione delle trattative per giungere ad un nuovo accordo prima del suo insediamento in agosto.
Ebrahim Raisi, nuovo presidente dell’Iran, in carica da agosto. (Keystone) Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 giugno 2021 • N. 26
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Politica e economia
Molta grazia poca riconoscenza
Questione catalana Il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez ha concesso l’indulto ai nove leader indipendentisti,
sperando di normalizzare le relazioni tra Barcellona e Madrid. Una decisione coraggiosa che apre alla riconciliazione ma che però lascia una parte del secessionismo ancora insoddisfatto
Gabriele Lurati Era il segreto di Pulcinella. In Spagna tutti sapevano che prima o poi questo momento sarebbe arrivato ed alla fine il governo di Pedro Sánchez ha preso la decisione più difficile del suo mandato, quella di dare l’indulto ai nove leader indipendentisti catalani, liberi da mercoledì scorso dopo quasi quattro anni di carcere. Una decisione che Sánchez stava preparando da mesi, sapendo che avrebbe generato enormi polemiche nella società spagnola (prevalentemente contraria a questa misura) e nel mondo politico. Per l’opposizione, formata dalle destre del Partito popolare, Ciudadanos e dai neofranchisti di Vox, si è trattato di un «attacco alla democrazia» e hanno subito chiesto le dimissioni del premier. Per gli indipendentisti, invece, questa misura non è considerata sufficiente in quanto auspicano un’amnistia per tutti (sono migliaia le persone sotto inchiesta per cause giudiziarie legate al procés) e un referendum di autodeterminazione concordato con lo Stato spagnolo.
Il destino politico di Sánchez e della Catalogna sono sempre più interconnessi ed entrambi possono trarne un beneficio politico Quest’ultima è la vera novità politica nelle relazioni tra Barcellona e Madrid. Per la prima volta Esquerra Republicana de Catalunya (ERC), il primo partito indipendentista per numero di voti alle ultime elezioni regionali di febbraio, non ha parlato chiaramente di secessione. Attraverso una lettera scritta ad inizio giugno dal carcere, il leader di ERC Oriol Junqueras aveva già fatto una certa autocritica, rinunciando alla via unilaterale verso l’indipendenza, preferendo un referendum concertato con lo Stato spagnolo, sul modello di quanto avvenuto in Scozia. Forte di questa apertura fatta da Junqueras e della «benedizione» verso gli indulti venuta dalla Chiesa (i vescovi catalani) e dal mondo dell’economia (il presidente degli imprenditori spagnoli e i sindacatati si sono espressi favorevolmente), Sánchez ha scelto il momento più adatto per cercare di normalizzare lo scontro politico tra Madrid e Barcellona che dura dal 2006 (anno in cui il Pp presentò un ricorso contro il nuovo Statuto catalano) e che è esploso con gli eventi dell’autunno del 2017. Nel suo discorso il premier ha giustificato questa misura di grazia basandosi sul concetto di «utilità pubblica», affermando che vuole aprire una nuova tappa di dialogo con la Catalogna e ritenendola la miglior soluzione sia per i catalani che per la Spagna per poter vivere in armonia e concordia. Anticipando le possibili critiche degli ambienti nazionalisti spagnoli, il primo ministro Pedro Sánchez ha sottolineato che l’indulto è solo parziale (viene condonata infatti solo la parte rimanente della pena da scontare), è reversibile (qualora le persone indultate dovessero commettere gravi reati) ma, soprattutto, prevede l’interdizione da tutte le cariche pubbliche per un lungo tempo per i nove alti dirigenti (ad esempio lo stesso Oriol Junqueras non potrà ripresentarsi come candidato alla Generalitat prima del 2031). Pedro Sánchez ha scelto quindi di affrontare la questione catalana con le armi della politica e non più solo attraverso la via giudiziaria, opzione
22 giugno 2021, Pedro Sánchez annuncia la concessione dell’indulto ai separatisti catalani in prigione da 4 anni. (Keystone)
preferita da tutta l’opposizione. Nelle intenzioni del premier socialista solo con l’uscita dal carcere di questi leader, si può avanzare sulla via del dialogo. Il clima dovrebbe diventare in futuro meno incandescente tra il governo e gli indipendentisti, tant’è che già questa settimana si svolgerà un incontro istituzionale alla Moncloa, sede del governo spagnolo, tra il premier e il nuovo presidente della Generalitat Pere Aragonès. Quest’ultimo è un esponente di ERC, il partito della sinistra repubblicana il cui appoggio esterno in Parlamento è di fondamentale importanza per Sánchez per poter governare. Invece l’altro grande partito separatista, i borghesi di Junts per Catalunya (JxCat), non hanno mai dato l’appoggio parlamentare a Sánchez e sono sempre stati molto più critici nei confronti del premier. Il partito dell’ex presidente Puigdemont si è sempre dimostrato massimalista nelle sue richieste e molto meno pragmatico di ERC. Ad esempio, subito dopo l’annuncio del conferimento degli indulti, JxCat non si è accontentato e ha chiesto non solo di applicare l’amnistia per tutti gli implicati nel procés, ma anche di ritirare la richiesta di estradizione per il loro leader Carles Puigdemont. Ma Sánchez ha subito chiarito che la sentenza del Tribunale Supremo spagnolo del 2019 non è in discussione, e la grazia è solo per chi si è preso la responsabilità delle proprie azioni, quindi non per chi è fuggito all’estero come Puigdemont e altri quattro politici catalani. Junts ha sempre puntato molto sull’internazionalizzazione della crisi catalana, basandosi sul fatto che la fattispecie di reato contestata ai leader indipendentisti (la sedizione) non è contemplata in molti degli ordinamenti giuridici europei (ad esempio in Belgio, Regno Unito e in Svizzera dove risiedono gli «esuli») e che le pene comminate dalla magistratura spagnola fossero sproporzionate (parere peraltro condiviso da eminenti giuristi europei). Secondo il partito di Puigdemont, la giustizia europea (nello specifico la Corte europea dei Diritti Umani di Strasburgo presso la quale JxCat ha presentato ricorso) cancellerà la sentenza del Tribunale Supremo spagnolo. Confortante per gli uomini di Puigdemont è il fatto che un’organizzazione internazionale come il Consiglio d’Europa abbia approvato proprio in questi giorni un rapporto in cui si critica duramente la magistratura spagnola per come ha gestito il processo agli indipendentisti. Tuttavia gli avversari di Sánchez
non si trovano solo sul fronte indipendentista ma includono anche tutti i partiti dell’opposizione, i liberali di Ciudadanos, la destra dei popolari fino all’estrema destra di Vox. Questi partiti si sono mobilitati invano contro la concessione della grazia. Nelle settimane
precedenti l’indulto, forti dell’opinione popolare maggioritariamente contraria alla grazia, avevano organizzato delle manifestazioni nelle principali città spagnole in cui chiedevano di non liberare i protagonisti della tentata secessione, considerata come «un golpe
contro la democrazia e la Costituzione». Il numero dei manifestanti però non è stato così imponente come quello di due anni fa e anche la raccolta di firme contro gli indulti è stata un mezzo fallimento. Tutti i tre partiti dell’opposizione hanno comunque dichiarato che faranno ricorso contro questo indulto ma le possibilità che questa decisione governativa possa essere annullata sono scarse. Sanchez si trova quindi in mezzo a due fuochi: quelli dell’opposizione e quelli provenienti dai separatisti (Junts in particolare). La sua decisione di concedere la grazia ai leader catalani comporta notevoli rischi politici ma si è basata su una certa Realpolitik. È stata presa infatti nel momento a lui più favorevole, dato che il governo di Madrid si appresta a ricevere gli ingenti finanziamenti del Recovery Fund (che dovrebbero favorire la ripartenza economica del Paese). Inoltre mancano più di due anni alla fine della legislatura, un tempo sufficiente per riguadagnarsi le simpatie degli spagnoli, visto che gli attuali sondaggi lo danno in calo. Il destino di Sánchez e della Catalogna sono sempre più interconnessi ed entrambe la parti possono trarne un beneficio politico ed economico nel medio termine. Esquerra Republicana e il mondo imprenditoriale catalano (e spagnolo) l’hanno capito, Junts per Catalunya sembra di no. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 giugno 2021 • N. 26
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Politica e economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi La perequazione tra i Cantoni è efficace? È stata pubblicata, una decina di giorni fa, la nuova tabella con i dati concernenti la ripartizione dei fondi della perequazione intercantonale. Si tratta di un montante che la Confederazione raccoglie nei Cantoni ricchi e ridistribuisce, secondo una chiave di ripartizione abbastanza complicata, agli altri Cantoni. La somma da ripartire nel 2022 sarà pari a 5,3 miliardi, vale a dire 91 milioni in più di quanto verrà distribuito quest’anno. La pubblicazione dei dati sulla perequazione intercantonale ha suscitato commenti critici del tipo: «Ogni vallesano costa agli abitanti della Svizzera esterna (è così che i vallesani definiscono gli abitanti dell’Altipiano) più di 2000 franchi all’anno». Questo perché il Vallese capeggia la classifica dei Cantoni riceventi. Ma con il Vallese ci sono altri 19 Cantoni i cui abitanti riceveranno (si fa per dire)
almeno da qualche decina a qualche centinaio di franchi a testa. I Cantoni che pagano, invece, saranno solo sei. Che i gettiti pro-capite dei Cantoni, come pure i loro redditi pro-capite, siano distribuiti in modo largamente ineguale è un dato di fatto. Che con la perequazione si cerchi di correggere queste disparità è quindi un’espressione più che positiva della solidarietà confederale. Le critiche ai Cantoni riceventi sono quindi fuori luogo. Il problema è piuttosto quello di sapere se la perequazione finanziaria sia efficace. I montanti ridistribuiti non sono così elevati. Per alcuni essi rappresentano solo un primo modesto contributo alla correzione delle disparità, molto più importanti, determinate dalla distribuzione della spesa della Confederazione tra i Cantoni. Purtroppo i dati che ci consentono di fare questa
affermazione sono vecchiotti perché risalgono al 1999. In quell’anno un terzo della spesa della Confederazione si concentrava nei Cantoni di Berna e di Zurigo. Se questa chiave di ripartizione fosse ancora valida la Confederazione spenderebbe in questi due Cantoni, nel 2022, circa 26,4 miliardi, un importo che è praticamente cinque volte superiore a quello che verrà distribuito come perequazione intercantonale. Come metteva in evidenza il consigliere agli Stati Theo Maissen in una sua interpellanza del 2010, l’80% delle spese della Confederazione toccava ai Cantoni dell’Altipiano mentre la quota dei Cantoni del Giura e della regione alpina (Ticino compreso) non era che del 20%. Maissen trovava che, alla luce di questi dati, la perequazione tra i Cantoni non bastava. La Confederazione avrebbe dovuto fare due cose.
In primo luogo aggiornare i dati della statistica sulla ripartizione della sua spesa tra i Cantoni e, in secondo luogo, cercare di ridurre le disparità che induceva la ripartizione della spesa tra i Cantoni. La Confederazione rispose all’interpellanza Maissen nel modo in cui i burocrati rispondono a questo tipo di interventi. La statistica che riguardava la distribuzione della spesa della Confederazione tra i Cantoni era stata sospesa a partire dal 2003 nel quadro di un ampio programma di risparmi amministrativi, sostanzialmente per tre ragioni. Dapprima perché la stessa non era attendibile. In pratica, sostenevano gli autori della risposta governativa, anche conoscendo l’indirizzo del destinatario delle poste di spesa della Confederazione non era possibile accertare dove questi flussi di denaro esercitavano effettiva-
mente il loro influsso positivo sull’economia cantonale. In secondo luogo la statistica era superflua. Per accertare le differenze tra i Cantoni nelle risorse pro-capite bastava la statistica sulle risorse fiscali degli stessi che veniva allestita per fissare i contributi della perequazione. Nella stessa figurava come indicatore il reddito imponibile. Siccome era da prevedere che la spesa della Confederazione facesse aumentare il reddito del Cantone destinatario ecco che i suoi effetti erano quindi praticamente già tenuti in conto nel calcolo delle risorse finanziarie dei Cantoni e non necessitavano di essere quantificati ulteriormente. L’ultimo argomento che veniva fatto valere dagli estensori di questa risposta è che una statistica sulla destinazione dei flussi di spesa della Confederazione costava troppo, in tempo e in denaro. Figuriamoci!
particolare perché grande parte del suo lavoro che non è digitale: è logistica). Il paper si intitolava Amazon’s Antitrust Paradox (https://www.yalelawjournal. org/note/amazons-antitrust-paradox) e proponeva un cambiamento di paradigma nell’affrontare le politiche sulla concorrenza: da decenni ormai queste si concentravano sui prezzi. Tradizionalmente, gli atteggiamenti cosiddetti monopolistici hanno un impatto sui prezzi, che aumentano per i consumatori. In assenza di concorrenza, le aziende caricano di più l’utente finale che quindi vede aumentare il prezzo di un servizio o prodotto che, in un regime di concorrenza, costerebbe di meno. Ma il paradosso di Amazon è proprio qui: i prezzi sono bassi, anzi spesso sono i più bassi ritrovabili sul mercato. A maggior ragione le piattaforme social, come Facebook, non hanno un impatto sui prezzi: offrono anzi la gratuità come loro elemento fondativo. Eppure sono «Big», eccome, sono quasi dei monopoli. Il problema allora sta altrove. Secondo la Khan,
«anche quando i servizi sono buoni per i consumatori, possono comunque danneggiare un altro tipo di interesse, che sia quello dei lavoratori, della formazione e sopravvivenza delle altre aziende, della democrazia in senso generale». È questa la distorsione del mercato operata oggi da Big Tech: non si vede perché lo strumento di lettura è solo il prezzo, ma c’è. Le aziende più piccole non riescono a competere e quindi muoiono; le condizioni dei lavoratori sono spesso pessime, come dimostrano le continue inchieste interne alle aziende tecnologiche: da ultimo, il «New York Times» ha pubblicato un enorme lavoro giornalistico frutto di centinaia di conversazioni dentro Amazon in cui emergono inefficienze nella gestione del personale tali che qualcuno è stato licenziato perché secondo il sistema automatizzato interno non risultava al lavoro quando era soltanto in un altro blocco dello stabilimento. La battaglia per avere un sindacato dentro lo stabilimento Amazon in Alabama è fallito, ma il
fatto che le condizioni di lavoro non fossero molto accoglienti (eufemismo) è comunque emerso con chiarezza. Dal punto di vista sistemico, quello che la Khan indica come un problema per la democrazia stessa riguarda il fatto che l’infrastruttura digitale americana (e globale) dipende da poche aziende che sono anche quelle che definiscono le regole: l’impatto è enorme per quel che riguarda il dibattito pubblico (politico e culturale) e per quel che riguarda per esempio la privacy e la gestione dei dati. Secondo la Khan l’approccio dell’Antitrust deve cambiare perché quello attuale non è adattabile a prodotti e servizi dell’èra digitale: propone però di recuperare un’ispirazione antica, che era quella del presidente Teddy Roosevelt, che andava lui stesso contro i grandi monopoli. Le tecniche sono moderne ma il metodo no: l’interventismo del Big government è di nuovo considerato vitale, in questo caso «Big» non costituisce per la Khan un problema.
day open, molto open, dove non si sa come deprimersi definitivamente». Sino ad arrivare a una vera e propria sentenza contro la perdita di sacralità della festa: «Tutto cominciò a morire quando, di domenica, ci si vestì con la tuta». A far riflettere su questi mutamenti culinari c’è, perlomeno sui calendari svizzeri, il paradosso del non mangiare: il Digiuno federale della terza domenica di settembre, festa che ormai nessuno più ricorda (figuriamoci l’osservanza... che al sud non è mai esistita). Noi della generazione dei settantenni, cioè di chi si è buttato sul vivere trascurando incertezze e timori, ci lamentiamo della perdita del senso della festa forse non tanto perché sentiamo nostalgia per camicia, cravatta e scarpe «belle» (ormai fanno ridere solo vedendole negli armadi), ma piuttosto per impedire una omologazione riconducibile alla ferialità, alla tuta, alla quotidianità. Inutile negare che la nostra è una battaglia sempre più da retroguardia e anche un po’
surreale. Per consolarci, arriviamo persino a credere che in fondo non abbiamo perso il senso delle feste, ma unicamente rinunciato a certi riti. Quelli religiosi in primis, ma anche la miriade di attività un tempo «proprie» della domenica e dei giorni non lavorativi: dalle partite allo stadio in città a quelle sui viali delle bocce nei paesini, dall’aperitivo in piazza alle orchestrine che arrivavano in valle. Così, dopo le scorribande mentali in cui ti rivedi bambino felice «del dì di festa» poi giovane e genitore che inizia a captare la perdita di sacralità delle domeniche, alla fine arrivi agli auguri che solitamente segnano il momento del pensionamento: «ora la settimana avrà sette domeniche», «tutti i giorni saranno di festa» ti dicono un po’ tutti. Meglio gradirli con qualche riserva: a parte che in ballo ci sono percezioni soggettive, mi sa che la perdita del senso della festa ha finito per rendere un po’ negativo, se non proprio esiziale, anche quell’abituale e sincero augurio.
Affari esteri di Paola Peduzzi Ora i Big Tech tremano Trentadue anni, nata in Inghilterra da genitori pachistani, arrivata a New York a undici anni, Lina Khan è la nuova presidente della US Federal Trade Commission, l’agenzia americana per l’Antitrust che difende i consumatori e le aziende dalla concorrenza sleale. È un ruolo molto rilevante e alcuni pensavano che la Khan, pur facendo parte dell’Agenzia, non ne diventasse addirittura il capo: invece Joe Biden ha scelto così. Perché se c’è una cosa che in America unisce un pochino tutti, l’eccezione alla polarizzazione, è proprio lo strapotere delle grandi aziende, in particolare delle grandi aziende tecnologiche. «Big» è il problema, e la Khan è lì per risolverlo, assieme a un nutrito gruppo di deputati e senatori che, pur avendo idee e posizionamenti diversi, considera lo strapotere di Big Tech un problema non soltanto economico ma della tenuta stessa del dibattito democratico in America. La Khan ha un curriculum solidissimo ed è da sempre battagliera. Le cronache raccontano (lei è molto riservata: si sa
solo che è sposata con un cardiologo) che quando era al liceo organizzò la sua prima manifestazione contro Starbucks che vietava agli studenti della sua scuola di sedersi ai suoi tavolini perché li considerava troppo rumorosi. Gli studenti furono riammessi, la questione finì sulle pagine del «New York Times». Nel 2013, scegliendo le caramelle per fare «dolcetto-scherzetto» ad Halloween, si accorse che anche negli scaffali del supermercato c’era un problema riguardo al «Big»: moltissimi prodotti ma pochissimi produttori, Big Candy appunto. Scrisse in un suo studio che quella era l’ennesima dimostrazione che c’era un problema di concentrazione di potere e influenza che le leggi americane non erano più in grado di risolvere. Lo studio più importante della Khan però riguarda Amazon. Quando fu pubblicato dalla rivista della scuola di legge di Yale, nel 2017, fece drizzare i capelli a Jeff Bezos, patron di Amazon, e a tutti i grandi operatori del settore digitale (Amazon costituisce un caso
Zig-Zag di Ovidio Biffi C’è ancora un senso del dì di festa? Un mattino di inizio giugno al risveglio ho realizzato che iniziava una domenica, vale a dire quello che una volta era considerato giorno di festa. Nella mente arriva sparato un lungo «replay» di bellissime nostalgie che dalle domeniche della fanciullezza si spingevano sino a quelle condivise con moglie, figli e nipoti. Feste vere quelle della seconda metà del secolo scorso, eppure oggi quasi sparite, difficili persino da spiegare e da far capire. Per me, come per una moltitudine di ticinesi, la domenica era «giorno del Signore» segnato sin dal mattino da momenti e richiami (la messa, i vespri) legati alla religione e al «Ricordati di santificare le feste». Poi a partire dei decenni finali del secolo scorso l’imprinting del catechismo ha via via perso forza e carattere unificante, sino a cedere il posto a una sorta di «privatizzazione» del tempo libero con richiami «laici» e di evasione, legati soprattutto allo sport. (Parere strettamente personale: a guardare bene quel cambiamento
era antesignano del fenomeno quasi analogo che con qualche decennio di ritardo avrebbe toccato e mutato anche la politica, con declino dei dogmi dei partiti e conquista dei «vuoti» da parte dei populismi). Chi studia i fenomeni sociologici offre una spiegazione «tecnica» della perdita del senso della festa: in una società complessa come quella moderna, sempre più impegnata a incorporare o a fagocitare modelli culturali e mondi diversi, è normale che anche il tempo abbia iniziato a disarticolarsi in frammenti autonomi con funzioni e scopi differenti. A spanne, l’impressione che il senso della festa più che una perdita di forza ha gradatamente registrato una lenta contaminazione, simile al «mitridatismo»: domeniche e festività sempre più vuote e, soprattutto per le nuove generazioni, prive di senso tanto da essere vissute soltanto come una parentesi o una sosta del tempo del lavoro. Inevitabile che giungesse anche un declino delle feste
come riflesso della perdita di precisi richiami (obblighi), abbigliamenti («della festa»), addirittura con cibi «ad hoc» (il capretto pasquale!) o più «buoni», spesso abbinati a una convivialità legata alla famiglia o alle amicizie piuttosto che dettata dalla sola dimensione religiosa. I rimandi a famiglia e cucina (atmosfere che stranamente continuano a sopravvivere in messaggi anche modernissimi del marketing) mi ricordano un brano di Pierangelo Buttafuoco riferito proprio alla perdita del senso delle feste con tanto di colpevolizzazione del cibo e più precisamente del brunch. Dopo averlo condannato, perché talmente aperto da celare persino cosa si mette in tavola e quindi «immette un’idea di socialità intorno a un desco open», Buttafuoco nel suo apologo inserisce anche un ammonimento: «Ha anche una funzione il brunch: sfascia la domenica. Non è più considerato il giorno adatto per la lasagna robusta, né – figurarsi – per la preghiera, ma una forma di
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Cultura e Spettacoli Un sodalizio pericoloso L’attrice e musa Li Tobler e l’artista HR Giger erano legati da un sodalizio profondo ma turbolento e per certi versi malato, conclusosi con il suicidio di lei
Le api e la salvezza Esce anche in italiano Le api d’inverno, affascinante libro dell’autore tedesco Norbert Scheuer pagina 33
pagina 31
L’arte della rigenerazione sociale Mostre Ascona ospita una retrospettiva
dedicata a Michelangelo Pistoletto
Alessia Brughera Non è facile riuscire a sintetizzare la prolifica attività di Michelangelo Pistoletto, uno dei maggiori protagonisti dell’arte dalla seconda metà del Novecento a oggi. Meno complicato risulta invece spiegare il perché della sua lunga e apprezzata carriera, che lo ha sempre visto ai vertici del panorama contemporaneo internazionale. Da sessant’anni il maestro italiano, nato a Biella nel 1933 e tuttora infaticabile esploratore dell’esistenza attraverso l’arte, sviluppa una ricerca in continua evoluzione che trova la sua ragion d’essere nella relazione tra esperienza estetica e realtà. Un’indagine che nel corso dei decenni è stata capace di dilatare i confini dell’arte proponendo azioni concrete per superare le contraddizioni del sistema sociale, politico ed economico e per innescare un effettivo mutamento per l’intera collettività. Pistoletto ha tracciato un percorso coerente in cui ha saputo reinventarsi e sondare molteplici temi diventando promotore di una concezione dell’arte più attiva. E lo ha fatto fin dalle sue prime opere, quando, dopo essere entrato nel mondo dell’arte lavorando con il padre restauratore (e dopo un’incursione nella pubblicità al fianco di Armando Testa), realizza nel 1962 i suoi celebri Quadri specchianti, varchi che aprono a un’inedita dimensione spazio-temporale e a una diversa visione del legame tra arte e vita. L’adesione al movimento dell’Arte Povera, poi, di cui è esponente di spicco, rivela ancor di più la sua vocazione a instaurare «un nuovo rapporto con il mondo delle cose» tramite un approccio alla creazione teso a generare opere esperibili nel quotidiano e in costante trasformazione. Con la fondazione, nella sua Biella, della «Cittadellarte», luogo di incontro e di relazione nato per propagare il cambiamento, e con l’ambizioso progetto chiamato Terzo Paradiso, avviato nel 2003 e fulcro della sua attuale ricerca, Pistoletto non fa che rimarcare con forza l’idea di un’arte strettamente connessa ai differenti ambiti della società. L’ampio e composito lavoro del maestro italiano viene esposto in questi mesi estivi negli spazi del Museo Comunale d’Arte Moderna di Ascona, dove è stata allestita dai curatori Mara Folini e Alberto Fiz la più completa retrospettiva a lui dedicata in territorio elvetico. Le opere raccolte sono dipinti, quadri specchianti, installazioni, im-
magini d’archivio e video paradigmatici degli snodi principali che hanno caratterizzato il percorso di Pistoletto. È così che a inizio mostra troviamo alcuni oli su tela, come l’Autoritratto oro del 1960, presentati per documentare le prime riflessioni dell’artista sul concetto di identità, già elaborato in questi lavori secondo una modalità che travalica la sfera personale a favore di quella dell’essere umano. A nascere pochi anni dopo sono i già citati Quadri specchianti, veri e propri capisaldi dell’attività di Pistoletto nonché artefici del decollo internazionale della sua carriera dopo che Ileana Sonnabend e Leo Castelli, tra i più influenti galleristi dell’epoca, li vedono esposti alla Galleria Galatea di Torino nel 1963 e li acquistano in blocco. Su una lastra di acciaio inox lucidata a specchio l’artista applica immagini di persone (ma anche di oggetti) ricavate da fotografie a grandezza naturale e dipinte su carta velina, sostituite poi da serigrafie. Le sagome sulla superficie specchiante sono cristallizzate in banali atti quotidiani e appaiono spesso voltate di spalle, come fossero totalmente estranee a ciò che accade loro intorno (nella rassegna, Padre e madre, del 1968, è un esempio significativo). Nei Quadri specchianti, sempre rigorosamente collocati sul pavimento, l’interazione tra la figura rappresentata e quella riflessa dell’osservatore genera un’opera in continuo divenire, dove il tempo dinamico dello spettatore che modifica lo spazio reale si somma al tempo statico della fotografia e dove si consuma l’incontro fugace tra presenza e assenza. Della corrente dell’Arte Povera, che lo stesso Pistoletto definisce come un movimento capace di andare «profondamente nelle radici delle cose», la mostra asconese espone, tra gli altri, uno dei lavori più emblematici, quella Venere degli stracci, datata 1967, che è assurta a icona non soltanto della tendenza poverista ma più in generale della nostra contemporaneità, con la nivea statua della dea romana, simbolo della bellezza immutabile, rivolta verso un cumulo di stracci dai colori sgargianti, a incarnare l’armonia che si oppone al caos, la purezza che si oppone alla corruzione. Sezione interessante della rassegna è poi quella dedicata alle azioni collettive e alle performance teatrali che Pistoletto porta avanti nella seconda metà degli anni Sessanta. Con video e materiali fotografici viene documenta-
Michelangelo Pistoletto, Padre e madre, 1968, Velina dipinta su acciaio inox lucidato a specchio, Cittadellarte – Fondazione Pistoletto, Biella. (A. Osio)
ta ad esempio l’esperienza de «Lo Zoo», compagnia creata nel 1968 dall’artista insieme a cineasti, musicisti, poeti e attori che ha dato vita a numerosi spettacoli con l’obiettivo di abbattere ogni confine tra le discipline e avviare un dialogo più diretto con la gente. A proposito di coinvolgimento del pubblico, di quegli stessi anni è anche l’opera in mostra Sfera di giornali, una grande palla costituita da fogli di quotidiani pressati, che dal 1967, quando viene utilizzata da Pistoletto per la prima volta durante una performance a Torino, è stata fatta rotolare per le strade di molte città spinta dalle mani dei passanti, diventando espressione non solo della circolazione di idee ma anche della natura spesso sibillina dell’informazione, in bilico tra verità e menzogna. Del più recente progetto di Pistoletto, il Terzo Paradiso, che assorbe l’artista ormai da quasi vent’anni in un capillare lavoro condotto in colla-
borazione con numerosi enti e associazioni, si è fatto già un breve accenno a inizio articolo. Attraverso incontri, happening e azioni collettive, lo scopo è quello di portare l’attenzione su alcuni temi urgenti dell’attualità, primo fra tutti la sostenibilità ambientale, ponendo l’arte al centro di una trasformazione sociale responsabile. Il simbolo ideato da Pistoletto per questa opera collettiva sono tre cerchi consecutivi tracciati con una sola linea, i due esterni a rappresentare la natura e l’artificio, quello centrale a rappresentare il grembo di un’umanità più democratica e inclusiva. Nella rassegna, le grandi fotografie delle installazioni del Terzo Paradiso testimoniano come questo segno sia entrato a far parte del paesaggio contemporaneo, dalla sua realizzazione sulla Piramide del Louvre alla collocazione permanente di fronte al Palazzo delle Nazioni Unite a Ginevra, fino ad arrivare ai due ul-
timi interventi che lo vedono spiccare al Monte Verità e nel parco del Museo del Castello di San Materno ad Ascona, dove Pistoletto lo ha concretizzato con l’impiego di grossi sassi levigati dal tempo e con quasi cento piante. Due tracce del passaggio dell’artista nel borgo ticinese che appaiono come potente metafora della ricerca di una nuova estetica e di una nuova etica, di un più ampio senso dell’umano e della verità. Dove e quando
La verità di Michelangelo Pistoletto. Dallo Specchio al Terzo Paradiso. Museo Comunale d’Arte Moderna, Ascona. Fino al 26 settembre 2021. Orari: ma-ve 10.00-12.00/14.0017.00, sa 10.00-17.00; do e festivi 10.00-16.00, lu chiuso. Parco Museo Castello San Materno e Monte Verità sempre aperti. www.museoascona.ch
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 28 giugno 2021 • N. 26
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Cultura e Spettacoli
Il tormento di Li e Giger
Personaggi La vita breve e intensa della misteriosa Li Tobler, musa perlopiù dimenticata del celebre illustratore
H.R. Giger, la cui memoria rivive tuttora nei quadri dell’artista Benedicta Froelich Sebbene qualunque vero appassionato di arti grafiche conosca l’universo morboso e inquietante nato dalla matita di H.R. Giger (1940-2014), il geniale illustratore di fama mondiale originario di Coira, sono ben pochi a ricordarsi di una figura meno nota, eppure destinata a rivelarsi cruciale nello sviluppo dell’immaginario a dir poco inconfondibile dell’artista. Si tratta dell’attrice Li Tobler, musa di Giger nei suoi anni giovanili: colei che, come spesso accade con le compagne dei geni, avrebbe contribuito a fare del proprio amante una figura pressoché mitica, non solo tra gli estimatori dell’arte underground, ma anche tra la «crème de la crème» della scena artistica internazionale.
Il suicidio di Li Tobler sulle prime ebbe un effetto devastante sull’artistaamante H.R. Giger Oggi, qualsiasi gallerista di vaglia sa riconoscere il fascino esercitato dalle immagini da incubo di Giger, rappresentanti di una sorta di transumanesimo in cui ibridi umano-alieni e gelidi androidi appaiono come versioni cyberpunk del Maschinenmensch ideato da Fritz Lang in Metropolis. Ma nel 1966, quando Li lo incontrò a Zurigo, H.R. doveva ancora assurgere allo status di grande artista tormentato e controverso che gli sarebbe stato riconosciuto nella seconda parte della sua carriera; all’epoca, il neodiplomato della Kunstgewerbeschule era solo un aspirante illustratore terribilmente eccentrico (e, secondo alcuni, dalle tendenze vagamente necrofile e inquietanti), mentre l’appena diciottenne Li stava per iniziare la sua esperienza come attrice – dapprima al teatro Neumarkt e, in seguito, allo Stadttheater di San Gallo. Inizialmente i due erano semplici coinquilini all’interno dell’appartamento piccolo e sporco in cui vivevano con l’amico comune Paul Waibel, ma non ci volle molto prima che divenissero amanti e, dopo aver abitato come squattrinati abusivi in vari edifici abbandonati, si trasferissero nella casa di Oerlikon acquistata da Giger (la stessa in cui egli avrebbe trascorso i successivi
Li Tobler, immortale musa di H.R. Giger. (Keystone)
quarant’anni). Qui, oltre a sua modella e ispiratrice, Li divenne per H.R. una vera e propria musa, che l’artista avrebbe fotografato e poi ritratto in svariati dei suoi visionari quadri futuristici basati sull’idea dell’ibrido uomo-macchina. Tuttavia, lo stile di vita quantomeno bohémien dei due finì per riflettersi anche nella loro relazione: H.R. e Li erano una cosiddetta «coppia aperta», e nonostante l’evidente passione reciproca, la Tobler avrebbe spesso spiccato il volo lontano dal caotico studio d’artista di Giger per vivere avventure con altri uomini, e tentare di reggersi sulle proprie gambe. Come avvenne nel ’74, quando, stremata e pressoché esaurita da una lunghissima tournée teatrale attraverso la Svizzera, decise di partire per San Francisco in cerca di successo, accompagnata da un sedicente fidanzato americano; sarebbe rimasta negli States appena un mese, per poi fare ritorno a Zurigo e da Giger con la coda tra le gambe, i suoi sogni di successo apparentemente dimenticati.
Forse anche a causa di quest’apparente fallimento, in forte contrasto con il promettente periodo d’intensa attività creativa che il suo partner stava invece vivendo, Li iniziò a scivolare sempre più nella spirale della droga e dell’instabilità emotiva; da tempo vittima di una costante depressione, la giovane non venne probabilmente risollevata dal carattere quantomeno mortifero dell’arte del suo amante – il quale, tuttavia, cercò di incoraggiarla a lanciarsi in nuovi progetti, soprattutto nella gestione di una propria galleria d’arte locale. Purtroppo, nemmeno ciò fu sufficiente a scuoterla, e poco tempo dopo un primo tentativo di suicidio (nel 1974), H.R., infine impotente davanti a cotanto dolore, si trovò ad assistere all’inevitabile tragedia annunciata: il 19 maggio del 1975, nella casa di Oerlikon (da lei sempre odiata), Li si sparò un colpo di rivoltella in testa. Aveva solo 27 anni, e il suo biglietto d’addio recava una sola parola: «Adieu». Per Giger, l’impatto della morte di Li fu devastante, anche a causa del senso di
colpa che, inevitabilmente, l’accompagnò; e solo il supporto del fratello della Tobler, Paul, gli permise infine di scendere a patti con i propri fantasmi. Qualche anno dopo, l’artista incappò nella grande occasione che avrebbe reso il suo nome noto anche ai profani della graphic art: nel 1978 fu infatti incaricato di progettare il terrificante mostro protagonista del film Alien di Ridley Scott – un compito che, in effetti, calzava a pennello a Giger, responsabile dell’iconica creatura che, ancor oggi, tutti ricordano. E proprio durante la lavorazione del film, il cast e i collaboratori impegnati nelle riprese si convinsero che H.R. conservasse parti dello scheletro della compagna di un tempo tra i cimeli conservati in casa; e sebbene ciò fosse falso, Giger confessò infine al collega Bill Malone che uno dei quadri poggiati a terra tra le opere affastellate nello studio era il medesimo a poca distanza dal quale Li si era sparata – e che le macchie di colore rosso sulla tela non si dovevano a un tubetto di acrilico, ma agli schizzi di sangue.
Eppure, nonostante quella che in molti amano definire come «l’instabilità mentale» di H.R., non vi è alcun dubbio sul fatto che Giger sia rimasto emotivamente legato a Li per tutta la vita: non è un caso che molte delle androgine creature per metà umane e per metà robotiche rappresentate nell’opera dell’artista ricordino il suo viso. E sebbene la Tobler non amasse essere ritratta da Giger (pare abbia sfregiato con un coltello il primo dei celebri dipinti da lei ispirati, intitolato Li I), ciò nulla toglie all’influenza ch’ella ebbe sull’arte dell’illustratore. E chissà se, nei suoi momenti di peggiore depressione, l’infelice Li avrebbe mai immaginato di essere destinata a giocare un ruolo tanto importante nell’evoluzione dell’arte di Giger – e se questa consapevolezza sarebbe bastata a lenire il suo dolore esistenziale, dimostrandole come il suo ruolo di donna e compagna (e, a sua volta, artista) fosse, in realtà, ben più importante di quanto lei stessa potesse immaginare.
In nome della danza
In scena Il futuro della danza contemporanea è nella formazione dei giovani Giorgio Thoeni Per compensare il deficit formativo nella danza contemporanea in Svizzera, nel 2001 Corinne Rochet e Nicholas Pettit hanno fondato a Losanna la Compagnia Marchepied, un progetto con il quale i due coreografi, danzatori e pedagoghi propongono uno spazio e un periodo di creazione e formazione destinato a giovani danzatori, freschi di diploma e reduci da differenti percorsi. L’iniziativa è sostenuta da una convenzione di sovvenzione del Canton Vaud con, fra gli altri, il Percento culturale Migros. L’idea si può dire che nasce da esperienze che i fondatori hanno maturato alla corte artistica di Philippe Saire e Nicole Seiler e a tutti gli effetti è una vera occasione per giovani interpreti della danza contemporanea che vogliono inserirsi nel circuito professionale. Ai candidati selezionati dalla Compagnia, solitamente quattro, viene offerto uno stage pagato di 6 mesi con
l’obiettivo di valorizzare la loro visibilità professionale e artistica attraverso la creazione coreografica e la sua rappresentazione sulla scena internazionale. Il programma si caratterizza in un’immersione nell’apprendimento, ore di intenso impegno quotidiano per ottenere il rafforzamento dei requisiti richiesti dalla scena professionale che generalmente non fa sconti. L’esperienza della Compagnia Marchepied si svolge pertanto nel quadro di reali condizioni lavorative dove l’incontro coreografico avviene all’interno della rete delle compagnie svizzere e estere. Una vera manna per i fortunati prescelti che hanno così l’opportunità di consolidare abilità e talento su progetti concreti e destinati a girare. Come lo spettacolo visto recentemente al Teatro Dimitri di Verscio con due coreografie di notevole impatto: En avant e Soon. Ideato da Yanne Lheureux, En Avant esplora la nozione del tempo che passa, fra presente e futuro creando
La compagnia Marchepied si è esibita a Verscio. (CIE Marchepied)
nello spettatore una dimensione quasi esoterica in un continuum sonoro dove i quattro danzatori si muovono senza soluzione di continuità nella geometria centripeta di un continuo movimento: preciso, metodico, quasi onirico, dal concetto complesso e dalla realizzazione ambiziosa, trasognante. Immaginata come un dittico, la serata ha poi presentato Soon di Corinne Rochet e Nicholas Pettit. Una festa per il gruppo alla conquista dello spettatore con un gioco divertito e gioioso sul tema dell’esplorazione dei sensi e del calore. Un pretesto attorno al quale ogni danzatore si descrive mettendo in luce la propria personalità, le proprie caratteristiche, il proprio piacere per la danza. Un esempio di grande lavoro d’assieme dei quattro straordinari giovani danzatori, con Léna Bagutti. Jasmin Sisti, Neil Höhener e Calvin Tak Chi Ngan: tutti approdati alla Compagnia Marchepied dopo differenti percorsi internazionali.
Fajitas senza glutine con avocado e salmone (per 4 persone – pronte in 25 minuti)
Ingredienti:
Preparazione:
• 4 Pancho Villa™ Glutenfree Tortillas • 200 g di salmone affumicato a fette • 200 g di formaggio fresco • 1 avocado maturo, snocciolato e senza pelle, a fette • 5 uova • 2 cucchiai di latte • 15 g di burro • 2 lime, tagliati in quarti
1. Sbattere le uova e il latte in una ciotola piccola. Insaporire con sale e pepe nero appena macinato. 2. Sciogliere il burro in un‘ampia padella a fuoco medio. Versare il composto di uova e latte nella padella e cuocere a fuoco medio per 3-4 minuti, mescolando di tanto in tanto con una spatola. Rimuovere la padella dai fornelli e lasciar raffreddare le uova per 5 minuti. 3. Spalmare ogni tortilla con 50 g di formaggio fresco, lasciando libero attorno un bordo di 2 cm. Coprire ciascuna tortilla con una fetta di salmone affumicato. Distribuire omogeneamente le uova sulle tortilla e coprire con le fette di avocado. Insaporire con pepe nero appena macinato.
Altre ricette su www.pacho-villa.ch Disponibili da Migros
4. Piegare un lato di ogni tortilla per circa 2 cm sopra il ripieno e arrotolare saldamente per racchiudere completamente il ripieno. Tagliare ogni fajita a metà e servire con gli spicchi di lime. Suggerimenti: Per ottenere delle uova piccanti, aggiungere un peperoncino macinato finemente o un pizzico di salsa piccante. Per tortillas senza pesce è possibile sostituire il salmone con del prosciutto affumicato.
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Cultura e Spettacoli
La salvezza giungerà dalle api
Lunga vita al faraone
Archeologia Tremila anni di Egitto
guerra mondiale raccontata attraverso le api
in seicento reperti: nuovo allestimento all’Antikenmuseum di Basilea
Blanche Greco
Marco Horat
«Le situazioni difficili da sopportare diventano piacevoli da raccontare, Aspera perpessa funt iucunda relatu,» annota nel suo diario Egidius Arimond in una gelida notte di gennaio del 1944, mentre insonne, pensa alle sue api che palpitano nella casetta in fondo al giardino, al loro brusio sommesso, disciplinato, a quella mirabile organizzazione che hanno raggiunto in milioni di anni e che garantirà loro la sopravvivenza sino a primavera, mentre lui non sa quale sarà il suo destino. Le api d’inverno di Norbert Scheuer (Die Sprache der Vögel 2015) è la storia di un microcosmo perso nella campagna al centro del quale c’è Egidius e quel ronzio «flebile e armonioso» che ha accompagnato la sua infanzia, come quella di suo padre prima di lui e adesso lo conforta esorcizzando per un po’ il rumore sordo delle squadriglie di caccia e di bombardieri che solcano il cielo sopra la sua testa, nella regione dell’Eifel, sull’Urft, e che si dirigono verso Berlino, Colonia e le altre città tedesche tra i colpi della contraerea. Quel lembo di terre poco lontano dal confine della Germania con il Belgio è un universo rurale sperduto, svuotato dei suoi uomini validi e, tra la primavera del 1944 e quella del 1945, è percorso dai sussulti della guerra, con la polizia militare e le SS perennemente a caccia dei piloti nemici sopravvissuti agli schianti, dei traditori e dei «criminali» ebrei che cercano di passare la frontiera. Norbert Scheuer racconta le vicissitudini di Egidius, ex professore di liceo che ha chiuso la sua carriera anzitempo ed è tornato al paese e agli sciami di api, vita e passione della sua famiglia da secoli, per sopravvivere a quella guerra, ma soprattutto per trovare rifugio dall’odio che l’ideologia nazista ha seminato. La sua umanità e la sua ragione si aggrappano ai ritmi e ai riti delle api che accudisce con devozione: loro sono l’oggetto del suo studio, la fonte della sua meraviglia e dei suoi guadagni, ma soprattutto le agguerrite custodi dei suoi ricordi più cari e dei suoi segreti più oscuri, come scrive nel diario di quell’ultimo anno di guerra, che nasconde in una delle arnie assieme a tutto ciò che ha valore per lui. Tra le annotazioni da apicoltore, i brandelli della sua infanzia, le sue ricer-
L’Antico Egitto continua a mantenere immutato il fascino che esercita sui mortali da millenni. Senza andare troppo indietro nel tempo, pensiamo alle scoperte ottocentesche che hanno fatto la storia dell’archeologia, alle spedizioni e ai viaggi di personaggi famosi con resoconti e immagini affascinanti, agli studi scientifici e agli innumerevoli reperti presenti nelle collezioni di tutti i musei del mondo: il Cairo, Louvre e Torino compresi. Ancora recentemente ha fatto notizia il ritrovamento di un antico insediamento civile nella Valle dei Re. Luoghi, nomi, paesaggi che sono entrati a far parte dell’immaginario collettivo. Ecco quindi che giocare la carta dell’Egitto faraonico con tutte le sue sfaccettature può diventare una scommessa vincente per un museo che voglia conquistare il grande pubblico. Lo ha fatto l’Antikenmuseum di Basilea, grazie a un nuovo spettacolare allestimento delle sue collezioni egizie (e a un’esposizione temporanea, dedicata alla musica nell’antichità classica). «L’obiettivo del rinnovamento – dice il direttore Andrea Bignasca – è quello di rendere attento il visitatore al rapporto tra la vita e la morte dal punto di vista degli antichi egizi. Nel nostro opulento mondo occidentale abbiamo riscoperto il tabù della morte a causa della pandemia. Gli Egizi ci ricordano invece che le Parche sono dietro l’angolo, che tutto ciò che comincia deve finire ma per ricominciare con rinnovata energia». Per coinvolgere il pubblico sono state impiegate le più moderne tecniche dell’audiovisivo e dell’interazione così da mettere in gioco tutti i sensi, lungo un percorso diviso in sei sezioni riconoscibili dai sei colori della scenografia: il blu per l’uni-
Narrativa Al centro del romanzo di Scheuer la follia della Seconda
La suggestiva immagine di copertina del libro di Scheuer.
che sul monaco benedettino antenato degli Arimond che alla fine del 1400 arrivò nella regione grazie al suo sciame di api, emerge la dolcezza di quest’uomo mite, solitario eppure amato da tutte le donne che lo incontrano, così sole, bisognose di affetto, di attenzioni, di baci e di carezze, vogliose per un po’, del conforto di quella leggerezza nascosta sotto i modi colti e riservati del misterioso Egidius. Le api in inverno è un libro che sembra un resoconto intimo e semplice, invece si rivela ben presto uno scrigno di storie, un giornale del tempo di guerra dove si accumulano dettagli, immagini, personaggi spesso protagonisti, o comparse di un affresco che un po’ per volta prende i colori del dramma e dell’avventura mentre sospetto, cattiveria e amore s’intrecciano. Egidius, pochi lo sanno, è epilettico, un «parassita» come vengono chiamati dai nazisti quelli come lui, e si è salvato dall’epurazione solo grazie alla fama di Alfons suo fratello, pilota della Luftwaffe, che cerca di fargli avere regolarmente le costose medicine senza le quali sarebbe preda di crisi sempre più gravi rischiando di perdere il controllo del proprio corpo, la memoria di sé, delle sue azioni e soprattutto del suo compito. Infatti lui è uno di quelli
che portano gli ebrei al confine con il Belgio, dando loro una possibilità di sfuggire all’orrore. L’organizzazione ogni volta lo contatta lasciandogli dei messaggi in codice a mo’ di segnalibro in vecchi e dimenticati testi della Biblioteca Comunale. E lui grazie alle sue conoscenze di apicoltore ha escogitato un sistema quasi infallibile per passare attraverso le perquisizioni e i controlli della polizia, un’idea temeraria che richiede ogni volta un lungo e faticoso lavoro preparatorio e nervi saldi: nasconde i fuggitivi tra le sue api regine in false arnie contornate da altre con sciami agguerriti che porta a pascolare nei campi vicino al confine belga. Norbert Scheuer racconta delle api per parlare dell’uomo e della follia della guerra, lo fa in modo sommesso, sognante, poetico, con una storia dai toni di leggenda, perché le api sono l’arma segreta della natura che costruisce, ricrea, rammenda ciò che l’uomo distrugge e sono la magia di Egidius: il suo modo di sfuggire alla realtà e soprattutto di credere in un possibile futuro.
Dove e quando
Bibliografia
Norbert Scheuer, Le api d’inverno, Neri Pozza, 2021
verso delle divinità, il rosso per l’incontro con il mondo greco e romano, il celeste per il mondo dei morti ecc. «Abbiamo cercato di rendere la visita immersiva a livello di messa in scena, di opere e di immagini, continua Bignasca, i temi trattati servono ad aprire spiragli inattesi. Prendiamo il tema della vita quotidiana: tutto ha inizio dalla figura del Faraone naturalmente, che è la punta della piramide. Sotto di lui si struttura la società con sacerdoti, funzionari, impiegati, scribi, artigiani e via dicendo, che garantivano il funzionamento dell’intero regno. Grazie al fatto che i reperti dell’epoca si sono conservati perfettamente, possiamo esporre la scultura della testa del Faraone, la statua dello scriba, il sarcofago dipinto di un notabile accanto alla ciabatta infradito del garzone che trasportava ceste di orzo, il manico in legno della vanga del contadino o ancora gli strumenti con cui si truccavano uomini e donne. Sembra, insomma, di toccare con mano una realtà nascosta dietro la facciata della regalità e cioè la vita di tutti i giorni della gente comune che svolgeva gli stessi lavori che fa ancora oggi». Interessante anche il tema attuale della globalizzazione del Mediterraneo al momento dell’incontro con il mondo greco e romano. «È il momento dello scambio di merci, idee, persone, tecniche, informazioni che cancellano la linea che divideva tradizionalmente Occidente e Oriente, per veder nascere una nuova cultura mista che si estende da Marsiglia ad Alessandria». Come esempio dell’incontro di due tradizioni culturali è in esposizione una mummia che proviene dall’oasi di El Fayyum, dove un nobile romano venne sepolto con i simboli egizi legati alla morte: il dio civilizzatore Osiride, Neftys che accoglie il defunto nell’aldilà e Anubis protettore dei defunti e dei cimiteri. Ma il cadavere era rivestito con i suoi abiti romani e sul volto era stata posta una tavoletta dipinta con il ritratto naturalistico del defunto; tratti culturali estranei alla tradizione locale.
Un nuovo allestimento della collezione egizia per l’Antikenmuseum di Basilea.
Egitto, 3000 anni di cultura lungo il Nilo (mostra permanente). Basilea, Antikenmuseum. Orari: ma-me-sado 11.00-17.00; gio 11.00-22.00. La mostra Musica nelle civiltà antiche resterà aperta fino al 19 settembre 2021. antikenmuseumbasel.ch Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta Samantah la valletta «Mammina carissima, ce l’abbiamo fatta! Quasi fatta. Sono stata selezionata nel gruppo di ragazze che parteciperanno al Gran Gala dell’Eleganza e della Signorilità. Titolo: Valletta cosa fai? Me la dai o non me la dai? La nostra esibizione sarà preceduta da quella di un gruppo di ragazzi che giocheranno a strizzarsi i testicoli l’uno con l’altro. È il saluto che si scambiano i maschi alfa. Arbitro della competizione sarà il famoso Bertramino Ognibene in arte Bertra, il decano dei conduttori televisivi. Io aspetterò dietro una porta il segnale di entrare, attraversare tutto lo studio seguendo una pista tracciata sul pavimento ma senza abbassare gli occhi e uscire dalla porta sul lato opposto, sorridendo con ingenua malizia o con maliziosa ingenuità, a scelta. Per aiutarmi a superare questa difficile prova, l’agenzia mi ha messo al fianco, tramite il mio personal trainer e oltre al responsabile della mia immagine e all’addetto stampa che mi fornirà le risposte alle domande che mi verranno fatte nelle
interviste concordate, anche una coreografa per insegnarmi a camminare e una psicologa specializzata nei disturbi del comportamento delle vallette. Gira voce che una mia rivale disponga anche di un dietologo vegano (cosa significa vegano?) e di padre Barnabò, un servita che le insegnerà a pregare. Tutto a posto, dunque. Quasi tutto. Manca ancora un piccolo dettaglio. Il mio press agent dice che la mia biografia da mandare alle redazioni è troppo piatta, senza originalità. Lui sostiene che ai giornalisti devi dargli qualcosa da mordere, una storia. Suggerisce una soluzione: per come è fatto il taglio dei miei occhi potrei benissimo essere la figlia di un cosacco anziché di un vigile urbano. Un brav’uomo, un padre affettuoso, ma una figura poco eroica. Nell’estate del 2002 avevi sostituito la custode di un palazzo nobiliare che andava in ferie. Un giorno avevi scoperto un agente segreto russo nascosto in portineria per spiare un diplomatico che abitava nel palazzo. Fra voi due era scoccata una
fatale scintilla. Solo dopo, quando lui era già tornato in patria hai saputo che era un principe decaduto. Non è una bella e credibile storia? Tua Samantah». «Carissima Samantha, quante volte dovrò ancora ricordarti che l’acca del tuo nome va messa dopo la t e non in fondo com’è per Deborah? È vero che nel mese di agosto del 2002 ho sostituito la custode di una casa signorile che andava in ferie. Ho acceso il computer, sono andata su Google e ho battuto la voce «agente segreto dell’est europeo». È venuto fuori che sul loro contratto c’era il divieto assoluto di nascondersi in una portineria, pena il licenziamento in tronco. E poi ti immagini le reazioni delle mie amiche quando venisse fuori la notizia? Hai nascosto in portineria un principe cosacco e non ce l’hai fatto conoscere? Mi dispiace ma non se ne parla. La tua mamma che ti vuole tanto bene». «Carissima mamma, non puoi spingermi così in alto e poi abbandonarmi alla soglia del successo. Il mio press agent
suggerisce di provare con lo scambio delle culle. L’idea ce l’ha data uno degli autori del programma che è anche sceneggiatore della fiction Una vita vale l’altra ma io mi tengo la mia. Nel mio stesso giorno e nello stesso reparto è nata la figlia di uno sceicco arabo che aspettava con ansia un maschio per continuare la sua discendenza minacciata dal fratello che aveva già messo al mondo dodici maschi. Così il segretario dello sceicco, dando una mancia all’infermiera, è andato nella nursery e ha adocchiato il neonato che tu avevi messo al mondo. Tu desideravi tanto una bambina e così hai accettato la proposta di scambiare i neonati. Perciò io sono figlia di uno sceicco e per dimostrarlo è sufficiente controllare il registro dei bambini nati nel mio stesso giorno e lì scovare il nome della moglie dello sceicco. P.S. Cosa ne avete fatto dei dollari con i quali lo sceicco ha comprato il vostro silenzio? Spero tanto per voi che siano finiti in un conto a me intestato. Tua Samantah».
«Cara Samantha, giuro che è l’ultima volta che tento di spiegarti che l’acca del tuo nome va messo dopo la t. Ho controllato nei registri dell’ospedale. C’erano solo nomi di famiglie torinesi da secoli. E poi ti pare che la moglie di uno sceicco miliardario viene a partorire a Torino in una struttura pubblica? Tua mamma». «Cara mamma, mettiamo il caso che uno sceicco tra le tante mogli abbia sposato anche una ragazza di famiglia torinese, mettiamo che lei passava di lì per salutare i suoi anziani genitori e che, presa all’improvviso dalle doglie, sia stata ricoverata d’urgenza nel letto accanto al tuo. Ma tutto questo ormai non ha più importanza. Il mio art director ha avuto l’idea vincente. La mia scheda sarà una pagina bianca con la scritta “Samantah non ha ancora vissuto. La sua vita sarete voi a scriverla, se voterete per lei”. Adesso ti devo salutare perché mi stanno chiamando per la prova generale. La puoi vedere in streaming pagando dieci euro. Ci sentiamo dopo la diretta. Tua Samantah».
Tom aprì il frigorifero, lo richiuse. Aprire il frigorifero e mostrarne il vuoto equivaleva, da un bel lasso di tempo, a una accusa muta che rimbalzava dall’uno all’altra: di chi era la colpa se la loro vita era minacciata dal bisogno, tanto da ridurne il valore alla nuda prosa della sopravvivenza? Era colpa di Tom perché Tom era un uomo? L’assunto era politicamente così scorretto da mettere i brividi. Esther, che aveva generato Tom quarantatré anni prima, era una fervente femminista, predicava per le donne la parità assoluta. E una indipendenza economica che era, nello stesso tempo, un sudato diritto e un magnifico dovere. Dunque era anche colpa di Betta se il frigo mostrava i denti. Si guardarono, poi, come due galli da combattimento, che devono battersi ancora, perché qualcuno ha deciso così, anche se non ne hanno più voglia. Fu Betta a rompere l’incanto. «Bisognerebbe fare la spesa», disse.
Tom le allungò 50 euro. «Vai tu, visto che ti è tornata la voce». «Non l’ho mai persa». «Lo so». «Sto male in un altro modo, ma se tu non vuoi capire, non importa». Uscì, godendosi lo sguardo di Tom, sentendoselo addosso, pesante. Comperò poco e con una oculatezza nuova, studiata. Patate, carote, uova. Spalla cotta invece del prosciutto. La «Michetta dei poveri» , come chiamava le odiate pagnottelle filacciose chiuse nelle bustine di plastica. Vino da tavola in un recipiente di cartone. Olio di semi. Quando tornò a casa, restituì a Tom quattro banconote da dieci euro. Tom controllò il contenuto della borsa della spesa e provò a sorridere, anche se non era dell’umore. Si era fatto prestare dei soldi da Nicola, dopo avergli raccontato della vicedirettrice della Banca, del prestito, e di quanto avrebbe guadagnato, una volta che il documentario fosse stato girato montato
e venduto in tutta Europa. Erano soltanto 300 euro, ma gli dispiaceva averli scroccati a un amico. Anche i bilanci di Nicola ed Eva erano magri, ma non come i suoi. Nessuno era al verde come lui e Betta. «Hai imparato a fare la massaia?», chiese, stancamente, intascando il cospicuo resto. «Ho avuto un’ illuminazione. Dev’essere stata la febbre». «Hai avuto la febbre?» «Se preferisci pensare che mentissi…» Tom le posò una mano sulla fronte. Era un gesto di pace. Betta chiuse gli occhi, e lasciò scorrere due lacrime. «Non abbiamo talento, Tom. Né io né te. Non è vero che nessuno ci offre un’occasione di guadagno perché siamo marginali, è il contrario, siamo marginali perché nessuno ci offre un’occasione di guadagno, da 13 lunghi mesi. Abbiamo soltanto la nostra bellezza. Dobbiamo lavorare con quella. Finché dura».
più, fino al punto in cui il popolo umiliato si ribella e dà luogo a una rivolta. Sollevazione non solo comprensibile, secondo Young, ma perfino ragionevole: i meritevoli hanno finito per comportarsi esattamente come gli aristocratici. L’identità acquisita ha soppiantato l’identità ereditata, ma non si è liberata dei suoi vizi. Applicando acriticamente la retorica della meritocrazia, Young voleva dimostrare che se dobbiamo premiare, socialmente, economicamente, politicamente, chi ce l’ha fatta, il passo successivo è punire chi non ce l’ha fatta. Oggi sono in molti a sostenere che il mito della meritocrazia rischia di essere una trappola, come sostiene anche Daniel Markovits, professore a Yale e autore del libro The Meritocracy Trap (La trappola della meritocrazia, Penguin Press): «(La meritocrazia) rifà la vita come una competizione senza fine che assicura i ricchi ed esclude gli altri, incoraggiando lo sviluppo del “capita-
lismo umano”, il regime economico in cui la formazione e le competenze dei lavoratori sono la più grande fonte di ricchezza della società. Questo sviluppo porta le élite a investire nelle scuole per i propri figli, in modo che l’istruzione si concentri nelle famiglie ricche. Allo stesso tempo, ristruttura il lavoro piegando l’innovazione tecnologica per favorire proprio quelle professionalità che solo l’istruzione d’élite fornisce. Queste trasformazioni precludono alla maggior parte delle persone – poveri e classe media – un accesso significativo ai vantaggi sociali ed economici». L’idea che ciascuno venga ricompensato per ciò che fa, e questo costituisca un criterio portante per l’organizzazione della società, è di per sé un bene, ma nell’eseguire questa trasformazione non si sono tenuti adeguatamente in conto gli ultimi, verso i quali i meritevoli hanno pur sempre delle responsabilità. Si tratta, insomma, di un problema di giustizia distributiva
che necessita di un correttivo. La società meritocratica è davvero l’ideale di una società buona e giusta? Un sistema meritocratico dovrebbe prevedere pari opportunità e premiare chi quelle opportunità le ha sfruttate meglio con l’impegno, lo studio e il lavoro, ma esistono davvero queste pari opportunità? Chi nasce in una famiglia ricca ha le stesse opportunità (o almeno delle opportunità simili) a quelle di chi nasce nella povertà? No. C’è il grosso rischio che la meritocrazia stia diventando la nuova religione del nostro tempo, una religione però priva di misericordia: in una società meritocratica, competitività e aggressione trionfano a tutto svantaggio di doti come la gentilezza e il coraggio delle persone, la loro immaginazione e sensibilità, simpatia, mitezza e generosità, mentre giovani privi di esperienza, saggezza e maturità, possono vantarsi dei loro meriti e spadroneggiare su persone più mature ma meno privilegiate.
Quaderno a quadretti di Lidia Ravera Le nuove povertà/20 Non fu un litigio uguale a tutti gli altri, quello che seguì alla comparsa di Tom. Non divampò subito, come era sempre capitato, obbedendo all’impulso di colpire, sempre indissolubilmente intrecciato con quello di toccarsi, a pugni, a carezze, mordendosi come animali, ma senza far uscire il sangue. Tom guardò Von Arnim che guardava Betta, con quel sorriso aristocratico da intenditore d’arte e raggelò la rabbia in un tono mondano. «Vedo che stai meglio», disse. Betta tossì, come una bambina al cospetto della maestra, per giustificare una assenza. Von Arnim tese a Betta un sacchetto di plastica ecocompatibile. «Le sue medicine, tolgo le mie», disse, dopo aver estratto una confezione di Deltacortene, lasciando a Betta aspirine e vitamina C. Si rivolse a Tom: «Ci siamo incontrati in farmacia». «Lei abita qui vicino?», chiese Tom, con quella che gli parve una intonazione sarcastica.
«Non proprio, abito a Via Giulia». «E si fa un paio di chilometri per andare a comprare le medicine?» Von Arnim rise, come se Tom avesse detto qualcosa di molto spiritoso. «No, no, no. Sono venuto appositamente fin qui, per invitarvi a una festa. Spero davvero che non mancherete». Si accomiatò con un cenno del capo. Una ritirata informale, ma militaresca, da generale in pensione, o almeno così parve a Tom, che restò a guardarlo camminare, la schiena diritta, il passo misurato ed elastico. Appena entrambi si sentirono al riparo delle pareti domestiche, l’uggia per quella guerra che non riusciva ad esplodere ma neppure a stemperarsi in una tregua, li spinse verso un silenzio risentito. Tom aprì la busta lasciata da Von Arnim. Ne estrasse un cartoncino, stampato in caratteri fioriti, che qualcuno aveva completato a penna con un nome « Betta Belardetti». Di Tommaso Sandrucci non c’era traccia.
A video spento di Aldo Grasso La nuova religione meritocratica È da poco uscito un libro molto interessante, La tirannia del merito di Michael J. Sandel, professore di Filosofia politica e Teoria del governo alla Harvard University. Siamo abituati a pensare che una società meritocratica sia la società giusta. Ma non di rado, dietro all’idea del merito, si nasconde un inganno. Senza pari opportunità, vincerà sempre chi ha più mezzi. Chi perde, invece, potrà incolpare solo sé stesso. Secondo Sandel, c’è un’idea molto radicata su entrambe le sponde dell’Atlantico: chi lavora sodo e rispetta le regole avrà successo e sarà capace di elevarsi fino a raggiungere il limite del proprio talento. È una retorica dell’ascesa, che anche il Partito democratico americano e i partiti della sinistra moderata europea hanno scelto come soluzione ai problemi della globalizzazione, primo fra tutti la disuguaglianza. Se tutti hanno le stesse opportunità, allora chi emergerà grazie ai propri sforzi o alle proprie capacità se lo sarà meritato. Se invece non riuscirà a emergere, la
responsabilità sarà soltanto sua. È questo il lato oscuro dell’età del merito. La meritocrazia è una distopia. Nel senso più stretto ed etimologico del termine. Quando Michael Young, nel 1958 pubblicò, non senza difficoltà, il suo The Rise of the Meritocracy, nelle intenzioni dell’autore il racconto doveva rappresentare l’evoluzione dell’Inghilterra del 2034, una società nella quale la tradizionale divisione in classi della popolazione (a partire dall’aristocrazia) veniva sostituita con una divisione basata sul merito, definito dalla combinazione di intelligenza e impegno. Come andarono le cose? La società organizzata secondo queste nuove linee guida finisce per dividersi in due tronconi: quelli che hanno un quoziente intellettivo superiore a 125 e tutti gli altri. I primi detengono il potere e tiranneggiano i secondi, giustificando la loro posizione con la superiore capacità di comprendere e agire. Il divario fra queste società parallele aumenta sempre
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