Azione 27 del 5 luglio 2021

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Cooperativa Migros Ticino

Società e Territorio Le città del futuro dovranno essere a misura di donna: lo dice la geografa canadese Leslie Kern

Ambiente e Benessere La dottoressa Tessiatore spiega l’importanza della prevenzione vaccinale contro il papilloma virus

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXIV 5 luglio 2021

Azione 27 Politica e economia A 20 anni dal G8 di Genova cerchiamo di capire cosa ne è stato del movimento no-global

cultura e Spettacoli Al MASI in mostra la stupefacente collezione fotografica di Thomas Walther

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c’era una volta (a) Lugano

Archivio storico della Città di Lugano

di Manuel Rossello pagina 35

La tv futura forse è quella del passato di Alessandro Zanoli Svolgendo una ricerca nell’Archivio dei quotidiani pubblicato sulla pagina web del Sistema bibliotecario ticinese (lo conoscete? è una miniera di scoperte) ci è capitato sott’occhio un riquadro, in un giornale degli anni Settanta, con «I programmi tv della giornata di oggi». Improvvisamente chi scrive si è ricordato che è esistito un periodo in cui le emissioni televisive erano trasmesse solo dal primo pomeriggio in poi. Niente tv al mattino. I canali televisivi a disposizione erano solo tre: Tsi, Rai 1 e Rai 2. Leggendo l’agenda delle trasmissioni proposte sono tornati a galla titoli di serie, testate di programmi di informazione e persino di rubriche che sembravano dimenticate e sono invece conservate incredibilmente nei neuroni, con una nitidezza sorprendente. Dai ricordi, leggendo alcuni titoli, hanno fatto capolino certe trepidazioni pomeridiane: in famiglia a volte non si vedeva l’ora di accendere l’apparecchio per seguire la puntata settimanale di uno sceneggiato, la trasmissione di approfondimento con il giornalista famoso, il quiz del giovedì sera. Persino lo Scacciapensieri del sabato era un avvenimento.

Il paragone con le attuali proposte televisive è del tutto impossibile. E altrettanto imparagonabile è il tono di quella televisione. Visto con gli occhi di oggi era paternalista, piccolo borghese, ingessato, come si usa dire. Al confronto con la televisione «globalista» che conosciamo oggi, in cui possiamo seguire le sventure alimentari di un gruppo di obesi statunitensi oppure le peripezie di una copia di personaggi nudi dispersi in una foresta, al confronto con le centinaia di canali tematici che toccano le più varie forme di argomenti e interessi, quella tv era poco più di un circolo parrocchiale. La rivoluzione della «reality tv», di cui alle nostre latitudini si è cominciato a parlare dopo l’arrivo sui teleschermi del Grande fratello e di tutte le sue filiazioni susseguenti, ha stravolto la compassatezza e serietà delle vecchie emittenti. L’arrivo in grande stile dei canali specializzati a pagamento, come Netflix, Amazon Prime, Disney+, per non parlare di Youtube, ha stravolto ancora di più le abitudini. L’offerta si è centuplicata ed è ormai umanamente impossibile vedere gran parte dei contributi televisivi a disposizione degli utenti (o anche solo sapere che esistono). Eppure per molte persone il sapore della vecchia tv è insostituibile.

Basta guardare come diversi canali facciano ricorso alle serie di telefilm del passato per arricchire il loro palinsesto e mantenere il contatto con il pubblico (a favore dei propri inserzionisti evidentemente). Chi scrive si è trovato ad esempio davanti agli occhi in prima serata vecchie puntate delle comiche di Stanlio e Ollio proposte dall’emittente di Stato italiana, addirittura sul suo canale culturale. Filmetti, a pensarci, girati la bellezza di cent’anni fa. Per non parlare degli innumerevoli ritorni, in momenti strategici della giornata, di vecchie commedie di Totò, Alberto Sordi, Nino Manfredi & Co. Caso ancora più emblematico, quello di un’emittente che da oltre un anno sta programmando a rotazione infinita, all’ora dei pasti, la serie della Casa nella prateria. Tutte le puntate una dietro l’altra e quando il ciclo finisce, si riprende da capo. È uno spazio tranquillizzante, pura evasione in un mondo di fine Ottocento che racconta, con ambizioni educative, di dilemmi morali, questioni etiche, discussioni filosofiche sul senso della vita, il tutto in piccole, prevedibili dosi: puro stile televisivo del passato. Nel Far west della vita quotidiana quella casa nella prateria è per molti una certezza che consola. Chissà, forse la vecchia tv ha un futuro...


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 luglio 2021 • N. 27

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Attualità Migros

Dal Ticino un grande aiuto allo sport locale

Support your sport Grande successo nel nostro cantone dell’iniziativa proposta da Migros nelle scorse settimane

L’attività fisica è uno degli elementi fondamentali per il mantenimento della salute. Oltre a questo, praticare uno sport è un modo tra i migliori per vivere piacevolmente e costruire relazioni personali significative, sentendosi parte integrante della comunità in cui si vive. Detto questo, come sanno benissimo i molti responsabili dei sodalizi attivi sul territorio, ogni attività sportiva si collega necessariamente con una importante serie di problemi logistici e organizzativi. A cominciare dalla gestione degli spazi fisici, del calendario di allenamento, per passare alla ricerca dei soci e dei monitori, e al coordinamento necessario magari per partecipare a competizioni regionali e nazionali. Tra tutte queste, e molte altre necessità pratiche, una di quelle fondamentali e ricorrenti è la ricerca di fondi. E dove non arrivano i sostegni economici offerti dalle istituzioni pubbliche ecco che sorge la necessità di ricorrere al sostegno di sponsor privati, fonte importantissima e essenziale di legame con il territorio in cui le varie associazioni operano. Quest’anno, per la prima volta in Svizzera, Migros, che da sempre si impegna per sostenere l’impegno nel volontariato e le associazioni attive sul territorio elvetico, ha pensato di proporre ai suoi clienti un’azione volta proprio a coinvolgere le società attive in ambito sportivo. Con la campagna «Support your sport» ha di fatto inventato una raccolta fondi che vuole andare proprio a stimolare la solidarietà in questo settore. «Support your sport», che si è tenuta durante la primavera, si è dimostrata un grande successo: invitati ad assegnare i buoni ottenuti con i propri acquisti alle società iscritte al sito

Si sono annunciate ben 370 associazioni ticinesi.

web dell’iniziativa, i clienti di Migros hanno contribuito alla raccolta in tutta la Svizzera di ben 33 milioni di questi coupon arancioni. In Ticino ne sono stati raccolti 1,2 milioni, assegnati dai clienti ad un totale di 370 associazioni. E sono stati proprio gli affiliati alle società partecipanti, insieme ai loro genitori, amici e parenti, a impegnarsi concretamente nella raccolta i buoni. Un bottino che andrà a sostenere l’attività sportiva annuale di ognuna delle associazioni che si sono iscritte

alla campagna. In Ticino il gruppo più votato è stato quello di Gym Elite Mendrisiotto. Come ci spiega il suo presidente Gregory W. Preti «GEM nasce dalla collaborazione di ben 5 SFG (Sfg Balerna – Chiasso – Mendrisio – Morbio – Stabio), una grande comunità sportiva unita e motivata che guarda verso lo sviluppo futuro in modo attento e deciso. Oltre alla promozione dell’evento da parte della nostra associazione c’è stata una spontanea partecipazione di molti, che ringraziamo di

cuore. Ovviamente la partecipazione di Migros non può che essere gradita e molto importante. La destinazione dei benefici provenienti da ’’Support your sport’’ è destinata alla Fondazione Sport Academy, creata appositamente da componenti del GEM, Dojo (Arti Marziali) e SAT (arrampicata), al fine di realizzare una sede sportiva, nonché ad altre attività sportive che ne richiedano l’utilizzo futuro». Il secondo arrivato è invece il Gruppo Paraplegici Ticino, un suc-

cesso è ancora più significativo, perché sembra mostrare una particolare attenzione del pubblico per lo sport inteso anche come momento di integrazione sociale. «Come prima cosa abbiamo contattato tutti i membri attivi e passivi del Gruppo Paraplegici Ticino via email dicendo loro di assegnare i buoni raccolti al nostro club e pregandoli di inoltrare l’email ai loro parenti e conoscenti. Tutti i membri di comitato e anche buona parte degli altri membri del GPT hanno inoltrato la richiesta via Whatsapp, email e social media a tutti i loro contatti privati e in parte anche professionali». Nicola Canepa, Presidente di GPT ci ha spiegato come sono stati sensibilizzati soci e simpatizzanti del sodalizio. «Pensiamo sia una buona cosa che Migros si impegni a favore di associazioni senza scopo di lucro che permettono a giovani e meno giovani di svolgere attività sportive in ambito amatoriale. La cifra raccolta la useremo per organizzare una nuova attività per bambini e ragazzi con disabilità motorie. L’idea è quella di organizzare un’attività polisportiva regolare il sabato mattina destinata ai bambini e ragazzi in carrozzella. Inoltre stiamo mettendo in piedi una squadra di power chair hockey (hockey su sedia a rotelle elettrica)». Più che positivo, quindi, a detta degli stessi responsabili delle associazioni, l’effetto dell’iniziativa, che sembra aver colpito il bersaglio, essere andata in rete, aver tagliato il traguardo con successo, centrato il canestro, superato gli ostacoli, raggiunto la meta, eccetera... Insomma: a tutte le società partecipanti dedichiamo idealmente una metafora vincente per le attività in cui si sono iscritte a «Support your sport». E in bocca al lupo!

Il Premio etico svizzero al progetto di BioTerra ecologia L’iniziativa «Giardinieri in erba», che dal 2016 vuole sensibilizzare le giovani generazioni

sul tema dell’ambiente, ha ricevuto il prestigioso riconoscimento Lo «Swiss Ethic Award» è un premio indipendente creato nel 2005 dalla Scuola superiore di tecnica e management del Canton Vaud (HEIG-VD) e intende sostenere l’impegno di chi si impegna per trovare un collegamento tra etica d’impresa e sviluppo sostenibile nella strategia imprenditoriale di aziende private e pubbliche. Sono premiate organizzazioni che si sono messe in luce negli ambiti della Corporate Social Responsibility e dello sviluppo sostenibile, e i cui progetti sono diventati esempi per altre iniziative. Tra i premiati di quest’anno troviamo l’Associazione Bioterra, il cui programma «Giardinieri in erba» è stato insignito dalla Giuria del secondo posto. Oltre a questo, «Giardineri in erba» ha ricevuto il premio «Coup de Coeur» da parte della giuria che rappresentava gli studenti dell’istituto. Nina Kunz, responsabile di «Giardineri in erba» per Bioterra è molto contenta del risultato. «I bambini e le bambine sono i consumatori del doma-

ni. Se riusciamo a sensibilizzare loro, i loro genitori e le loro famiglie in modo da stimolare un rapporto positivo e attento con la natura, e soprattutto li rendiamo attenti al valore degli alimenti prodotti in modo biologico, aiutiamo anche l’economia a diventare maggiormente sostenibile». Il progetto «Giardinieri in erba» permette ai bambini e alle bambine di scoprire il piacere nella coltivazione

Azione

Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Romina Borla, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

della terra, di seguire da vicino il ciclo naturale della crescita e di imparare ad apprezzare il valore della verdura coltivata secondo le regole dell’agricoltura biologica. L’iniziativa è proposta in circa sessanta località svizzere: oltre alle attività legate al corso delle stagioni sono proposti dei pomeriggi nell’orto in sei giardini regionali e viene offerto un sostegno alle attività di insegnamento nei giardini scolastici. Ogni

Un orto per imparare In Ticino il giardino dell’orto Lortobio è parte del progetto «Giardinieri in erba» di Bioterra. Il giardino dell’orto biologico è situato nelle vicinanze di Bellinzona e offre con la sua diversità delle specie, una grande varietà di piante rare e animali, un posto speciale per vivere la natura per i bambini. Lortobio è un luogo di pratica orticola bio-

La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

logica, in uno spazio d’incontro dove capire e sperimentare l’importanza di curare la terra in modo collettivo, con una particolare attenzione alla valorizzazione delle specie rare, alla produzione di semi e alla salvaguardia della biodiversità e della permacultura. Lortobio è sostenuto dal Percento culturale di Migros Ticino. editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31

anno «Giardinieri in erba» accoglie circa 4000 bambini e bambine e fino a 15 classi scolastiche. In questo contesto, vengono formate annualmente circa 100 persone nel ruolo di responsabili dei giardini. «Giardinieri in erba» è un progetto di utilità pubblica finanziato dall’Associazione Bioterra e da contributi privati tra cui il Percento culturale di Migros e la Federazione delle cooperative Migros. Bioterra è la principale organizzazione che si occupa di giardinaggio bio e naturale in Svizzera ed è editrice della rivista omonima. L’associazione conta circa 1600 iscritti e promuove la coltura biologica e la cura dei giardini e delle superfici verdi secondo regole sostenibili. L’impegno è rivolto al mantenimento della biodiversità e della flora e fauna autoctona. Sono affiliati e certificati da Bioterra oltre 140 orti e giardini naturali biologici. I 30 gruppi regionali dell’associazione offrono circa 200 corsi all’anno per diffondere nozioni di giardinaggio biologico e vicino alla Tiratura 101’262 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch

Per informazioni su Lortobio: www.lortobio.ch.

natura. Con i suoi 60 orti per bambini Bioterra si impegna affinché anche le generazioni di domani imparino ad apprezzare la natura e la qualità di piante e verdure sane e biologiche. Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 luglio 2021 • N. 27

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Società e Territorio Una nuova strategia per i castelli Per rilanciare l’immagine del suo patrimonio Unesco, Bellinzona vuole potenziare l’offerta legata ai monumenti e ai musei, in particolare rilanciando le murate

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Shutterstock

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Le professioni digitali La tecnologie informatiche offrono nuove prospettive di lavoro che l’associazione ated-ICT Ticino vuole far conoscere grazie anche al progetto Women4digital

Le città a misura di donna

Studi di genere I luoghi dove viviamo sono fatti per gli uomini. Per Leslie Kern, professoressa associata

di Geografia e ambiente alla Mount Allison University, in Canada, serve un cambiamento Stefania Prandi Le città non sono per tutti. La loro struttura e organizzazione, dal modo in cui sono gestiti i mezzi pubblici alle strade, persino alle case, sono a misura di uomo e non di donna. Offre uno sguardo inedito sui luoghi dove viviamo Leslie Kern, professoressa associata di Geografia e ambiente e direttrice del programma di studi sulle Donne e di genere alla Mount Allison University, in Canada. In italiano è appena uscito il suo ultimo libro sul tema, La città femminista. La lotta per lo spazio in un mondo disegnato da uomini, edito da Treccani. Leslie Kern perché, secondo lei, le città non sono pensate per le donne?

Innanzitutto abbiamo un problema di rappresentanza. In molti casi, dalle amministrazioni comunali agli studi di architettura, ingegneria e costruzione, non ci sono donne in posizioni di potere. Le donne non sono nelle stanze dove si prendono le decisioni su come le nostre città devono essere progettate e fatte. Di conseguenza manca il punto di vista femminile, con le necessità e i desideri specifici, su come debbano essere pensati gli spazi che abitiamo.

Se consideriamo la situazione da una prospettiva storica, dalla rivoluzione industriale a oggi, ci rendiamo conto che le città sono state concepite perché le donne venissero collocate nella sfera privata e non pubblica. Quali sono i principali limiti di genere?

Sicuramente la sicurezza è una delle grandi questioni: le città sono ancora luoghi dove le donne subiscono molestie e aggressioni. Dobbiamo stare molto attente a dove andiamo, con chi, a che ora, a che cosa indossiamo, quali spazi sono considerati off limits per noi. I trasporti sono una delle chiavi per la sicurezza, ma in molte città sono ancora organizzati per portare l’uomo breadwinner (che mantiene la famiglia, ndr), dalle aree residenziali al centro per lavoro, nelle ore di punta. Questo non è il modo in cui le donne usano i trasporti dato che tendono a essere meno lineari. Devono, infatti, destreggiarsi tra il lavoro pagato e quello di cura, e usano soprattutto i mezzi pubblici e i percorsi pedonali, per raggiungere le fermate, anche con i passeggini, per portare e prendere i bambini. Eppure, molti dei nostri sistemi di mobilità sono organizzati dando priorità alle auto, alle quali le donne tendono ad avere meno accesso.

Un altro limite di genere è la casa: per come è concepita, nasconde tutto il lavoro domestico, di solito ancora quasi sempre femminile, e occulta la violenza nelle relazioni familiari. Non abbiamo ancora abitazioni alternative diffuse, che vadano ad esempio incontro ai bisogni dei nuclei non tradizionali o che siano a buon mercato. Quali «categorie» sono maggiormente penalizzate?

Le ineguaglianze si intersecano con le condizioni di classe, abilità, etnia, sessualità e così via. Alcune donne, pur sperimentando gli svantaggi della città, riescono comunque a mantenere una condizione di privilegio. Avere accesso a una casa è uno dei principali fattori di divario, soprattutto per chi fa parte della classe operaia, per le madri single e per le migranti. Nelle città i prezzi sono saliti molto negli ultimi anni, rendendo per le donne difficile trovare soluzioni adatte. come si può cambiare la situazione?

Occorre innanzitutto un cambio di mentalità e di priorità. Per molto tempo le questioni legate alle donne nelle città sono state viste come faccende di poco conto invece di essere considerate qualcosa che influenza oltre il cinquanta per cento della popolazione. Se rendiamo le città migliori per le

donne, le rendiamo adeguate a tutti, incluse le persone con problemi di disabilità e gli anziani. Quindi, invece di pensare alle donne come a un gruppo marginale, dovremmo portarle al centro della riprogettazione. Anche chi ha privilegi beneficerebbe del cambiamento. Quali sono le possibili soluzioni?

Bisogna che tutte le comunità che abitano le città vengano consultate. Per le questioni sulla sicurezza, occorre parlare con le persone attraverso un processo dal basso. Servono poi linee di intervento specifiche sui trasporti che devono essere adattati alle esigenze delle donne, con percorsi pedonali e ciclabili sicuri, e un’organizzazione comoda dei mezzi pubblici, che dovrebbero essere economici per tutti e gratuiti per i bambini. Abbiamo anche bisogno di un sistema abitativo davvero accessibile in contesti vicini ai servizi necessari, in modo che le donne non debbano impiegare le loro giornate andando da una parte all’altra. I quartieri dove queste dimensioni sono integrate diventano più sicuri, perché non sono soltanto aree dormitorio o di uffici. E i posti pubblici, come ad esempio le toilette, dovrebbero essere più accoglienti, riconoscendo che le persone sono corpi, che c’è il lavoro di cura

femminile, dall’allattamento al cambio dei bambini.

Quali sono gli esempi di città pensate per le donne?

Non so se esista davvero una sola città pensata per le donne. Ci sono, però, dei piccoli esempi di città che stanno facendo le cose nel modo giusto. Il quartiere di Aspern a Vienna è in un processo di riprogettazione con un approccio di genere. C’è stata una consultazione con la comunità per capire cosa funziona davvero per le donne. Stanno facendo in modo che ci siano i servizi di prossimità, come scuole, asili nido, alloggi e lavoro. Hanno chiamato le piazze e le strade con nomi di donne. Hanno un design abitativo flessibile, in modo che gli appartamenti possano essere adattati sulla base delle esigenze dei diversi tipi di famiglia. C’è anche Copenaghen, con un’ottima infrastruttura di piste ciclabili, dove tutti usano la bici, che facilita le donne che si destreggiano tra lavoro retribuito e di cura. E un altro ottimo esempio è quello di Parigi, cambiata negli ultimi anni, seguendo il modello dei «15 minuti», secondo il quale ciò di cui abbiamo bisogno nella quotidianità, dal luogo di lavoro, alle scuole, al supermercato, dovrebbe essere raggiungibile in quindici minuti da casa, a piedi o in bicicletta.



Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 luglio 2021 • N. 27

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Idee e acquisti per la settimana

Meraviglia per carnivori

Attualità Impossibile resistere al sapore e alla tenerezza della costata di manzo alla griglia

Azione 30% costata di manzo alla Fiorentina IP-SUISSe per 100 g, in self-service Fr. 4.60 invece di 6.60 dal 6 al 12.7

Un taglio succulento

Croccante fuori, tenera, succosa e al sangue all’interno: così dovrebbe essere la cottura perfetta della bistecca di manzo alla fiorentina. Conosciuta anche come T-Bone Steak per via della presenza del caratteristico osso a forma di T, questo prelibato taglio è ricavato dalla schiena del bovino, più precisamente dalla parte posteriore della lombata, comprensivo del filetto e del controfiletto, quest’ultimo di dimen-

sioni più grandi rispetto al primo. A dipendenza dallo spessore, una costata può pesare tra il mezzo chilo e oltre il chilo. Una porzione corrisponde ca. 500 g, compreso l’osso. Perfetta per la griglia

La cottura alla griglia valorizza al meglio la qualità di questo pregiato taglio. La presenza dell’osso, come pure delle sottili venature di grasso che si sciolgono durante la cottura (marez-

zatura), conferiscono alla costata una nota gustativa caratteristica, come pure una tenerezza senza pari. Il delicato sapore si sprigiona alla perfezione riducendo al minimo l’utilizzo di condimenti. Per preparare un’ottima costata fate marinare la carne qualche minuto in olio evo e poco pepe macinato di fresco. Mettete la carne sulla griglia ben calda, cuocendola per una decina di mi-

Fondente delizia

Novità Gorgonzola DOP Bio Arrigoni: un’eccellenza casearia

realizzata secondo i dettami dell’agricoltura biologica

Il caseificio bergamasco Arrigoni Battista è un’azienda con pluriennale esperienza nella produzione dei migliori formaggi della tradizione lombarda. Tra i suoi principali prodotti figura il Gorgonzola, uno degli erborinati più noti al mondo, che si ritiene sia nato intorno al X-XII secolo nell’omonima località alle porte di Milano. Da oltre vent’anni Arrigoni si è distinto anche per la sua Linea Biologica, di cui fa parte il Gorgonzola DOP Bio, lavorato esclusivamente con latte vaccino proveniente da aziende agricole certificate e valutate per il benessere animale. Si tratta di un formaggio molle dal sapore dolce, con pasta cruda bianca o paglierina, burrosa e fondente, screziata per lo sviluppo di muffe. La stagionatura dura minimo 50 giorni. Per esaltarne il gusto e le caratteristiche organolettiche, prima del consumo si consiglia di lasciarlo a temperatura ambiente per almeno mezz’ora. Il Gorgonzola si presta bene per la preparazione di gustose salse, sughi e creme, oppure da solo come antipasto su crostini o accostato ad altri formaggi dal sapore deciso. È ottimo anche per raffinare risotti o paste.

nuti e girandola a metà cottura. La temperatura al cuore ideale dovrebbe situarsi pressappoco tra i 50°C e 55°C (usate un termometro per carne per determinare il grado di cottura). Conditela con del sale o fleur de sel solo verso fine cottura. Togliete la carne dalla griglia, avvolgetela nella carta alu e lasciatela riposare per ca. 10 minuti, in modo che le fibre si rilassino e i succhi si possano distribuire in modo omogeneo nella carne.

carne IP-SUISSe

Per ottenere un ottimo risultato, è importante anche scegliere della carne di qualità. La carne di manzo IP-SUISSE proviene da allevamenti svizzeri rispettosi degli animali e risulta ben frollata all’osso. Gli animali delle fattorie IPSUISSE sono allevati conformemente alla specie, sono alimentati con foraggi sani e hanno un accesso regolare all’aria aperta. Gli antibiotici sono utilizzati solo in caso di effettiva necessità.

La pianta antizanzare

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Molto decorativa e dalla chioma rigogliosa, la Catambra è una pianta a crescita veloce che si caratterizza per le foglie ricche di catalpolo, una sostanza dall’effetto repellente nei confronti delle zanzare (anche la famosa tigre) ma innocua per l’uomo e gli animali. È ottima sia per gli spazi interni che esterni, non teme il freddo ed è parti-

colarmente facile da curare. Si consiglia di trapiantare la Catambra in un mastello più capiente con del terriccio o in giardino in modo che possa svilupparsi meglio. Posizionando più piante ad una distanza di ca. 2 m l’una dall’altra, si otterrà una migliore protezione. Tenere il terriccio umido e concimare regolarmente.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 luglio 2021 • N. 27

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Società e Territorio

Un nuovo concetto per la Fortezza Bellinzona Il progetto di promozione del complesso legato ai tre castelli della capitale viene aggiornato

ed esteso alle murate, sulla scia anche del risveglio di interesse riscontrato lo scorso anno

Nicola Mazzi Nel dizionario la Fortezza è «un’opera di fortificazione costituita essenzialmente da una cinta di mura di notevole spessore e di opere addizionali aderenti o avanzate (torri, caponiere, rivellini)». Questo è il significato alla base del nuovo concetto che rinchiude in sé i tre castelli di Bellinzona, la murata e la cinta muraria. Quindi non più le varie edificazioni separate, ma un’unica fortezza con un proprio logo. Un cambio di paradigma che ha diverse origini. Da un lato la volontà di segnare un nuovo passo dopo alcuni anni (tra il 2010 e il 2017) segnati da alcuni problemi finanziari, con scoperti accumulati di oltre mezzo milione di franchi. D’altro lato è un segnale concreto verso l’iniziale richiesta dell’Unesco secondo la quale il patrimonio storico di Bellinzona va considerato nel suo insieme, e quindi composto dai tre castelli (Castelgrande, Montebello e Sasso Corbaro), ma pure dalla murata e dalla cinta muraria. È utile ricordare in questo senso che il complesso difensivo medievale di Bellinzona con i suoi tre castelli e le imponenti mura merlate è patrimonio dell’umanità dal 2000. Lo scopo del cambiamento è quello di fare di questo complesso monumentale un luogo privilegiato per l’apprendimento e la divulgazione – anche e specialmente per un ampio pubblico – della storia di questo particolare territorio e allo stesso tempo realizzare un veicolo

di efficace promozione turistico-culturale della regione e del Cantone. La città sta lavorando da tempo al nuovo concetto Fortezza. Infatti, già nel marzo di quest’anno il Consiglio comunale aveva stanziato per valorizzare l’intero complesso un credito di 1,8 milioni di franchi. A questi si è aggiunto un nuovo messaggio del Municipio per un credito di 1,3 milioni. Fondo che servirà per l’ampliamento e un nuovo sistema di illuminazione della Fortezza. Come ha ricordato il sindaco Mario Branda l’attuale illuminazione ha più di 30 anni e oltre il 40% delle lampade non funziona più. Lampade che non possono essere sostituite perché non più fabbricate. L’obiettivo del progetto non è la sola sostituzione tecnica delle lampade, ma l’impegno è volto a valorizzare maggiormente i monumenti stessi. Si intende perciò potenziare e migliorare le attuali superfici illuminate, mettere in rilevo importanti elementi architettonici che non erano stati presi in esame nel progetto originale, come per esempio i bastioni a valle del castello Montebello. Infine, si prevede l’illuminazione di alcune parti come la murata in Piazza del Sole, che dovrà essere considerata all’interno della nuova illuminazione della piazza, e alle mura della Cervia e inserite nella riqualifica totale a seguito della nuova stazione ferroviaria prevista a Piazza Indipendenza. Un progetto globale, quindi, che dovrebbe essere completato entro la fine del 2022. Il nuovo concetto inglobante è an-

che in linea con le proposte marketing dell’OTR Bellinzonese e Alto Ticino. La Fortezza è infatti – più di prima – uno dei principali attrattori turistici non solo del comprensorio, ma di tutto il Cantone. Grazie alla qualità dell’offerta espositiva e a una promozione mirata è stato possibile ottenere nel 2020 dei numeri record per quanto riguarda l’affluenza a mostre ed esposizioni. Nonostante la delicata situazione pandemica, il numero raddoppia se si guarda ai visitatori complessivi del patrimonio Unesco. Turisti che provengono principalmente dal mercato interno e, oltre alla Svizzera tedesca, dallo scorso anno c’è stato un importante aumento anche dei turisti romandi. Secondo i responsabili delle campagne turistiche questi sono ancora i mercati di riferimento principali delle campagne di comunicazione e di promozione dell’anno in corso. Persone che, oltre alla visita, possono godere dei ristoranti presenti all’interno dei tre manieri. Non da ultimo il Cantone, attraverso l’Ufficio dei beni culturali, ha ideato un’applicazione per smartphone che offre la possibilità di avere una guida in quattro lingue della mostra archeologica situata al castello di Montebello. Il nuovo percorso espositivo ripercorre la storia del maniero medievale e gli interventi di restauro che lo hanno caratterizzato, nonché le principali tappe che hanno segnato la storia dell’uomo ricostruite grazie ai reperti archeologici riportati alla luce nella regione.

Un percorso espositivo archeologico è stato inaugurato lo scorso 12 giugno. (ti.ch)

I primi risultati positivi stanno arrivando. E proprio nelle scorse settimane è stato presentato il bilancio del 2020, il primo sotto il diretto controllo della città. La gestione della Fortezza di Bellinzona ha infatti fatto registrare un avanzo d’esercizio. L’utile di 204’000 franchi è stato conseguito anche grazie alla numerosa presenza turistica nonostante la chiusura forzata a causa delle misure sanitarie di marzo e aprile. In particolare, è stata azzeccata la programmazione degli eventi per l’animazione dei tre castelli cittadini (in collaborazione con l’Organizzazione turistica regionale Bellinzonese Alto Ticino) che si

è focalizzata tanto sulla qualità degli allestimenti, quanto su personaggi di richiamo quali ad esempio la mostra 3D a Sasso Corbaro dedicata a Leonardo Da Vinci. L’idea di quest’anno è quella di ripetere la formula e, si spera, le cifre record, con l’esposizione dedicata a un altro grande artista italiano, Raffaello, che sarà sempre in 3D e visitabile fino al mese di novembre. Il tutto è simboleggiato dal logo, che attraverso un segno grafico esplicita il nuovo corso. Infatti, oltre alla triade di merli che richiamano i tre manieri della città è indicata anche una piccola porzione di mura a rappresentare la cinta e la murata. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 luglio 2021 • N. 27

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Società e Territorio

Women4digital A colloquio con Cristina Giotto, per parlare di una iniziativa

che vuole stimolare l’interesse nelle tecnologie informatiche e nelle loro applicazioni concrete al mondo del lavoro Alessandra Ostini Sutto Scorrendo gli annunci di offerte di lavoro si vedono comparire ruoli quali E-commerce Specialist, Cyber Security Expert, Web Designer, Data Scientist, Social Media e Content Creator, Digital PR, ecc. Si tratta di professioni digitali, relativamente nuove, che riguardano quindi preminentemente chi si sta formando e sta per entrare nel mondo del lavoro e sono accomunate dall’avere a che vedere con la crescente ingerenza del web nella vita collettiva. In quest’epoca di grandi trasformazioni digitali sono molte le opportunità lavorative che si possono aprire. Ne abbiamo parlato con Cristina Giotto, direttore di ated-ICT Ticino. Con «trasformazione digitale» si intende il processo di integrazione delle tecnologie digitali in tutti gli aspetti del business. Un processo che comporta cambiamenti sostanziali a livello tecnologico, culturale, operativo e di generazione di valore e la cui velocità lo porta ad essere una vera e propria rivoluzione; motivo per cui è necessario soffermarsi a riflettere sullo scenario sempre più complesso e sfidante in cui ci si trova a lavorare, come pure sulla formazione adeguata per essere attivi nel miglior modo all’interno di esso. Ed è quello che si propone di fare Women4digital di ated-ICT Ticino con il ciclo di incontri «Donne che ispirano le donne», che ha preso avvio alla fine di maggio con la serata intitolata proprio Nuovi mestieri digitali e profili più richiesti in Svizzera. «Si tratta di una serie di appuntamenti con donne attive in settori sulla frontiera dell’innovazione e della tecnologia, che si rivolgono ad un pubblico ampio e trasversale, non solo femminile» ci spiega Cristina Giotto, fondatrice di Women4digital. «Gli esempi forniti si spera possano essere

ated-IcT Ticino Fondata nel 1971 a Lugano, ated – ICT Ticino è un’associazione indipendente aperta a tutte le persone, aziende, organizzazioni e scuole interessate alle tecnologie dell’informazione e comunicazione (ICT). L’associazione ha lo scopo di fornire servizi ai propri associati, favorire l’impiego delle nuove tecnologie e promuovere l’etica professionale fra gli operatori del settore. Dalla sua fondazione, ated ha organizzato oltre 1000 manifestazioni con più di 13’000 partecipanti a conferenze, giornate di studio, visite e viaggi tematici, corsi settimanali. Da diverso tempo collabora con l’Università della Svizzera Italiana (USI), la Scuola universitaria professionale della Svizzera Italiana (SUPSI) e la Scuola Superiore di Informatica di Gestione (SSIG). Da ated e dal gruppo Girl Geek Dinners Ticino è nata women4digital (www.ated.ch/women_4_digital. php) con l’obiettivo di incentivare il networking tra donne attive nel settore ICT, come pure far emergere nuove figure femminili nelle professioni legate alla tecnologia. Altro progetto interessante è ated4Kids (www.ated.ch/progetto_ ated4kids.php), le cui attività sono dedicate a ragazze e ragazzi dai 6 ai 15 anni che desiderano avvicinarsi al mondo della tecnologia e dell’informatica. Il meritevole obiettivo dell’associazione in questo ambito è trasformare i giovani da consumatori passivi in giocatori attivi.

Piccole aziende casalinghe hanno trovato un’opportunità durante la pandemia. (Shutterstock)

per qualcuno d’ispirazione per rimettersi in gioco grazie alle nuove tecnologie o per rimodulare il proprio profilo sulla base delle nuove competenze richieste dal mercato». Dalla psicologa diventata marketing manager, all’economista ora fashion blogger, le donne invitate da Women4digital, che del digitale hanno fatto il proprio lavoro, si mettono inoltre a disposizione, anche dopo l’evento, per essere contattate da altre donne che magari hanno bisogno di un consiglio o un incoraggiamento. «L’idea alla base di Women4digital è proprio quella che più siamo, più creiamo rete, aiutandoci a vicenda. Io stessa dall’anno scorso ho creato cinque posti di lavoro in associazione. Siamo tutte donne, con profili diversi, lavoriamo a tempo parziale e ci incontriamo un giorno a settimana. In quest’occasione facciamo mezza giornata in ufficio e un pranzo di team building, durante il quale tracciamo il punto della situazione, ci confrontiamo, ci raccontiamo. Ciò permette ad ognuna di imparare qualcosa dell’altra, in termini di competenze, mentre scaturiscono nuove idee ed iniziative. Una condivisione che unisce e porta alla crescita e all’innovazione. Inoltre, per “i nuovi acquisti” del team è arricchente ricevere consigli e potersi confrontare con chi ha maggior esperienza; ed è proprio quello che vorremmo ricreare con gli incontri di cui parlavamo» commenta Cristina Giotto. Il tema dell’incontro tra generazioni si ritrova quando un giovane professionista digitale entra in un’azienda di tipo tradizionale. «Nel momento attuale – che corrisponde ad una fase di transizione – trovo importante che le aziende capiscano che ci sono ragazzi in gamba. Se introdotti in maniera adeguata, possono portare grandi competenze, le quali, combinate a quelle di chi era già presente, possono rivelarsi vincenti», continua la direttrice di ated-ICT, associazione che sta proprio lavorando ad un progetto con il quale vorrebbe che le aziende prendessero coscienza che attraverso l’impiego delle nuove tecnologie, e quindi di persone che lavorino in maniera nuova, sia possibile fare un business diverso. «Per il 2021, anno del nostro cinquantesimo anniversario, abbiamo ideato “ated virtual network”, un prodotto di ultimissima generazione, che diventerà un’expo virtuale. Darà la possibilità alle aziende che lo vorranno di avere la loro postazione, il loro showroom, il

loro piccolo market place. Oltre a ciò ci saranno delle aree incontro, un’arena eventi interattiva, una sala cinema On demand. Per fare tutto ciò, io stessa sto imparando un nuovo mestiere, usando quella tecnologia che molti dicono essere del futuro, ma che in realtà è già qui, e questo anche come dimostrazione del fatto che abbiamo già tantissimi strumenti per poter fare la differenza, basta saperli usare» spiega Giotto. «Purtroppo, considerate le difficoltà con le quali molte aziende si sono dovute confrontare a causa della pandemia, si fa meno formazione, e questo va a precludere l’introduzione di nuove metodologie di lavoro attraverso la tecnologia. D’altra parte alla pandemia si deve attribuire il merito di aver accelerato il processo del ricorso all’home office, anche se non sempre con la giusta coscienza dei pericoli della rete. Un conto è la persona singola che vuole cimentarsi nel web, per vedere se le piace quel genere di attività e se trova effettivamente delle opportunità, un altro è un’azienda, la quale, se improvvisa, corre un rischio e qualcuno, in effetti, si è fatto male; cosa che non è successa a chi si è informato e dotato della tecnologia adeguata» ricorda la nostra interlocutrice. «Un altro effetto della pandemia, per alcune attività ed aziende, è stato quello di dover potenziare i propri reparti web per far fronte ad una maggiore richiesta, facendo ricorso ad un’aumentata forza lavoro nel campo digitale. In conseguenza alle tendenze viste, le professioni digitali saranno sempre più richieste, comprese le soft skill ad esse legate. A mio avviso, le competenze personali e trasversali necessarie per lavorare nell’ambito digitale giocano a favore delle donne» continua la direttrice di ated-ICT. «Molto semplicemente lo vediamo nelle nostre attività con i bambini: di fronte ad uno stesso compito le bambine reagiscono mettendo in atto una serie di competenze (intelligenza emotiva, sensibilità, empatia, gusto, propensione a lavorare in team,…) che fanno la differenza nell’ambito di cui stiamo parlando». Il digitale si tinge quindi di rosa. «Favorendo il telelavoro, si viene incontro alle donne, che tutt’oggi restano più legate alla famiglia e alla casa. Oltre a ciò, favorisce il “gentil sesso” con dei mestieri in cui le sue rappresentanti sono particolarmente brave. Mi riferisco soprattutto agli ambiti del digital marketing e della programmazione, dove la donna può trovare un’occupa-

zione che la integri in azienda in maniera diversa» puntualizza Giotto. Infine, la trasformazione digitale è anche una sfida per le donne che vogliono scoprire le numerose opportunità ad essa connesse per ricollocarsi nel mondo del lavoro ed essere attive in modo autonomo. «Se una donna sa usare il pc, non è difficile avere una base da cui partire da autodidatta. Poi, ovviamente, si possono incrementare le proprie competenze con delle formazioni, anche online» afferma la fondatrice di Women4digital. «A volte si comincia per gioco; per farne un’attività, piccola o grande che sia, l’importante è che poi ci sia interesse, volontà e una certa intuizione. Sul nostro blog la scorsa estate abbiamo presentato quelle che abbiamo chiamato “le persone visionarie”; per esempio delle commesse che durante il lockdown hanno aperto la loro pagina Instagram, hanno sperimentato – a fotografare in un certo modo, usare il linguaggio e gli hashtag giusti, ecc. – e sono riuscite addirittura a vendere tutto l’inventario, senza alcuna competenza in digital marketing» spiega Cristina Giotto. Dal momento che questa sarà, con ogni probabilità, la modalità di lavoro della commessa del futuro, le competenze per vendere sul web andranno introdotte nella formazione primaria. «In generale in questo ambito bisogna ripensare alla formazione, che, secondo noi, deve mettere in atto una forma di collaborazione tra scuola e aziende» afferma Giotto. «Già ora comunque trovo che la Svizzera in quanto ad opportunità di formazione di base in questo settore abbia il vantaggio di avere l’apprendistato duale, che, lo dico sempre, è un gioiello. Oggi anche le piccole e medie imprese, come quelle che predominano nel nostro Cantone, dovrebbero di principio avere qualcuno che si occupi della comunicazione, dei social network, del digital marketing e del sito web. Nella realtà dei fatti però spesso queste aziende non hanno la forza di dotarsi di tali figure. La soluzione potrebbe essere quella di creare rete in modo che certi servizi possano essere condivisi da più aziende, secondo il principio del co-working, traslato dalla condivisione dello spazio a quella delle figure professionali. Da questa condivisione potrebbero nascere delle collaborazioni, delle sinergie tra le aziende che farebbero capo agli stessi professionisti e, di conseguenza, un nuovo e diverso modo di fare business» ipotizza Cristina Giotto.

Un concorso sonoro Torna anche quest’anno il SONOHR Radio & Podcast Festival e lo fa con il concorso annuale per opere audio attuali prodotte in Svizzera e con una open call dedicata a «Audible Spaces». Il festival, sostenuto anche dal Percento culturale Migros, celebra la creatività, il coraggio e la magia delle storie audio, offrendo a produttrici/produttori e autrici/autori la possibilità di comunicare e incontrare il pubblico. Secondo gli organizzatori l’audio sta conquistando una posizione sempre più importante nella cultura contemporanea per questo motivo SONOHR si impegna «affinché abbia un’importante vetrina pubblica». Per la 12° edizione del concorso nazionale, che si terrà dal 25 al 27 febbraio 2022, il SONOHR Radio & Podcast Festival cerca opere audio e trasmissioni podcast di finzione, documentaristiche e artistiche tra cui anche forme miste in cui forma, contenuto e lunghezza si mescolano in modo convincente e che sfruttano le possibilità specifiche di elaborazione uditiva. La lunghezza prevista è da 1 a 60 minuti, ma sono ammessi anche estratti da serie più lunghe. Il bando di concorso 2022 è ora consultabile sul sito sonohr.ch, il termine è fissato per lunedì 20 settembre. Per la sua prossima edizione SONOHR sta anche cercando il «suono dello spazio»: «Quale suono producono i confini, la distanza, la vicinanza e la separazione? Quali suoni si nascondono nello spazio e dove ci porta il suono dello spazio sconfinato?». Potranno concorrere opere audio non puramente musicali (documentari, fiction o sperimentali), performance dal vivo, formati interattivi, live-podcast, itinerari acustici e Soundwalks o altri formati innovativi (Anche formati online) oppure Idee formative nell’ambito dell’audio (per professioniste/i e neofite/i). Il termine di partecipazione alla open call è il 19 luglio, il modulo di partecipazione si trova su sonohr.ch. © Samuel Paul Gäumann

Le nuove professioni esistono

Notizie in breve

concorso per opere d’arte per i campus USI e SUPSI Opere d’arte originali da collocare nei nuovi campus dell’USI e della SUPSI all’esterno ma anche all’interno degli edifici, è questo il desiderio del Dipartimento dell’Educazione, della cultura e dello sport (DECS) che comunica di avere indetto un concorso in questo senso. Il bando, pubblicato sul Foglio Ufficiale del 9 giugno 2021, è rivolto ad artiste e artisti – singoli, coppie, collettivi – ticinesi o residenti in Ticino da almeno tre anni. I candidati possono proporre liberamente progetti di opere destinate ai campus SUPSI di Mendrisio e USI-SUPSI di Viganello. La selezione si svolgerà in due fasi. Per la prima fase gli interessati sono invitati a svolgere sopralluoghi direttamente sui siti e a inviare i progetti di massima. Chi sarà selezionato per la seconda fase riceverà 2000 franchi per lo sviluppo del progetto. Le opere vincitrici riceveranno fino a 25’000 franchi ciascuna. Le candidature sono da inviare all’indirizzo decs-sc@ti.ch entro il 25 luglio 2021 con la menzione «Opere d’arte destinate ai campus universitari».


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 luglio 2021 • N. 27

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Società e Territorio Rubriche

Approdi e derive di Lina Bertola La dignità dei bambini va protetta Aeroporto delle vacanze. Transito. Uno di quei luoghi a ragione chiamati non luoghi, spazi di passaggio di tante vite, senza condivisione, senza risonanze. Solo attesa, caldo e stanchezza. Nel vuoto di questi momenti può accadere che un bimbetto si avvicini con il tipico sorriso timidamente indagatore che, se sai accoglierlo, crea una magica complicità. È francese e si chiama André. Così iniziamo un gioco. Chi ci sarà su quell’aereo che sta decollando, e dove andrà? André non ha dubbi: va sulla luna, riporta a casa gli extraterrestri. Magnifico questo altrove dei bambini. E l’aereo che sta atterrando proprio davanti alla nostra vetrata? Un po’ di esitazione e un sospiro, poi si allarga in un sorriso e dice: c’è la nonna che è andata in cielo e ora sta tornando. Fantasie intrecciate al vissuto, a sentimenti, pensieri, emozioni, senza mediazioni. Pura poesia. Quando andrà a scuola, il mio compa-

gno di attesa imparerà che gli extraterrestri forse non esistono, e comunque noi non li abbiamo mai visti e che sulla luna non possono atterrare. Questo lo sappiamo con certezza, ci siamo già andati in esplorazione e sappiamo anche che attualmente non ci vive nessuno. Quanto alla nonna, imparerà che cosa significa andare in cielo senza poter più tornare. Imparerà le logiche del tempo e il senso della vita. Con la conoscenza potrà modulare le sue fantasie, le sue emozioni e i suoi sogni. Se incontrerà buoni maestri diventerà una persona capace di riconoscere la realtà ma anche di saper guardare sempre oltre. L’educazione, o meglio la possibilità di educarsi, lo dice la parola stessa, è una straordinaria occasione per dar forma alla propria vita, per far sbocciare il proprio daimon, il proprio talento, le proprie potenzialità. Così, all’improvviso, l’allegro panorama vacanziero si cancella e lascia posto,

nei miei pensieri, a tutt’altra realtà: alla dolorosa realtà dei tanti bambini che non possono andare a scuola. Oltre la vetrata, nel cielo, scompaiono gli aeroplani e mi vengono incontro le inaccettabili vergogne del nostro mondo. Qualche settimana fa, in occasione della giornata mondiale del lavoro minorile, l’organizzazione internazionale del lavoro e l’Unicef hanno pubblicato un Rapporto in cui si dice che il lavoro di bambini e adolescenti è tornato a crescere. Sono 180 milioni questi bambini, quattro milioni in più in quattro anni. Inversione di tendenza, dunque, rispetto ai «miglioramenti» degli ultimi vent’anni. Di questi bambini, settantanove milioni, sei milioni e mezzo in più, svolgono lavori pericolosi che possono danneggiare la salute e lo sviluppo psicofisico e morale. Nell’Africa sub sahariana, ma anche in Asia, nel Pacifico e in America latina. Numeri e statistiche, la cui freddezza e oggettività, come spesso accade

in questo mondo sempre più dominato da misure e algoritmi, rischia di non farci più sentire la presenza delle persone nella loro concreta fisicità. Bambini in carne ed ossa diventano numeri, numeri difficili perfino da immaginare nella loro mostruosa grandezza. Il rischio di questa, pur importante, descrizione puntuale del problema è quello di produrre un’ulteriore forma di oggettivazione del mondo. La conoscenza, come accade fin dalla rivoluzione scientifica, crea una distanza tra noi e le cose studiate. Questo è certamente un vantaggio per la conoscenza scientifica ma laddove si calcola e si misurano persone e sofferenze umane il rischio è quello che la distanza riesca in qualche modo ad anestetizzare le nostre coscienze. Il Rapporto spiega anche che sono scelte delle famiglie, scelte disperate di famiglie in difficoltà. Poi arriva la pandemia e le scuole chiudono completamente.

Penso al piccolo André, ai suoi sogni e alle sue fantasie, e al cammino di crescita che incontrerà nella sua vita. E poi penso a questi bambini privati della loro infanzia, schiacciati su un presente che imprigiona il loro corpo e il loro animo. Bambini privati della loro dignità di bambini. Privati del tempo dell’educazione, senza conoscere e abitare il tempo dell’educarsi, con calma, come sosteneva Rousseau. Certo, sapranno ridere e giocare forse con più entusiasmo e stupore di quello che non riusciamo più a trasmettere ai nostri figli del benessere. Ma questo è solo moralismo consolatorio. I bambini hanno tante risorse e sanno sorridere anche in faccia alla sofferenza. E nemmeno i tanti zeri di 180’000’000 riescono a farci percepire la tragica grandezza di queste sofferenze. Nemmeno il piccolo André saprebbe ospitarli tutti sul suo aeroplano dei sogni per portarli in un mondo migliore.

arrivano i filetti di pesce persico posti a corona intorno a una collina di frites esili grossomodo come fiammiferi. Pescati da Jean-Charles Bensadoun di Founex, si sciolgono in bocca; però anche l’argenteria di un tempo, la tovaglia bianca seria, il Brassus che scorre gioviale per via degli acquazzoni di questi giorni, lo spirito della star del villaggio che aleggia ancora, fanno la loro parte. Abitava a trecento metri di qui, in una villetta semplice che non dà nell’occhio. Nessun Oscar (nonostante sette nomination) e nessun taxi, dunque, dopo le bevute con Roger Fillistorf, patron dell’epoca assieme a sua moglie Mireille. Crème brûlée e via, vado a trovarlo al cimitero. Céligny ha pure la particolarità di avere due cimiteri. Il vecchio cimitero è indicato con un cartello, tra i prati e campi dove cammino con la testa tra le nuvole che oggi sono in stile fiammingo, cumulonembi del tipo van Ruisdael. Risalente al 1841, è nascosto nel bosco, a fianco del Brassus, ritrovato un poco più a monte, che si sente scorrere più in basso. Spingo la pesante porta in

ferro ed ecco un graziosissimo cimitero all’inglese, quasi shakespeariano. Ombra boschiva armoniosa, lapidi storte, cancelli arrugginiti, l’erba alta, il sopravvento – misurato come un sonetto – della natura sull’uomo. La tomba di Richard Burton è la seconda a sinistra: una pietra tombale come un dolmen. Nessun fiore a parte peonie appassite da settimane, solo qualche conchiglia raccolta dalla baia di Swansea. Sepolto con le poesie di Dylan Thomas (uno dei miei poeti preferiti) sul petto, il posto libero accanto, si sa, sarebbe stato per Liz Taylor. A nove passi scopro che riposa Roger Fillistorf (1946-2003), l’amico oste del Buffet de la Gare. La tomba accanto è quella di Alistair MacLean (1922-1987), romanziere scozzese autore della sceneggiatura di Dove osano le aquile (1968) interpretato tra l’altro da Richard Burton. Problemi di alcool anche lui, nessun nesso con Céligny se non l’aver visitato Richard Burton qui al cimitero. Luogo segreto che rapirebbe anche un marziano, il cui legame con il Buffet de la Gare è sancito dal ruscellare soave del Brassus.

Ad un certo punto è più conveniente e più economico per l’azienda dire ad Amazon di sbarazzarsi della merce che aspettare l’arrivo di un nuovo ordine. Tra l’altro, come racconta lo stesso Richard Pallot, anche se si tratta pratiche ambientali ed etiche profondamente scorrette, quello che sta facendo Amazon non è illegale. Certo fanno sorridere le dichiarazioni rilasciate dall’azienda secondo cui il colosso dell’e-commerce di Jeff Bezos starebbe lavorando all’obiettivo di azzerare lo smaltimento dei prodotti dando priorità al riuso, riciclo e alle donazioni dei prodotti invenduti alle organizzazioni benefiche. Fa sorridere anche il fatto che a soli 64 km a sud di Dunfermline si arriva a Glasgow e proprio qui in Novembre si terrà la più grande conferenza climatica del mondo. Intanto Philip Dunne, Presidente del Comitato per il Con-

trollo Ambientale, grida allo scandalo e dice che Amazon deve affrontare la questione. Ora ci saranno delle indagini e proprio a queste fa riferimento il titolo dell’articolo sul Washington Post firmato da Jennifer Hassan. Avete letto bene, la notizia è stata ripresa proprio dal giornale di Jeff Bezos. Nell’articolo si dice che i legislatori britannici stanno chiedendo un appuntamento con il country manager di Amazon e riporta tutti fatti raccontati da ITV News. Riporta anche le dure critiche espresse da Greta Thunberg sui social media e, non potevo credere ai miei occhi quando l’ho letto, conclude così «Le accuse alle politiche di Amazon in fatto di distruzione di prodotti in buone condizioni non sono nuove. Nel 2019 “Le Monde” raccontava che Amazon nel 2018 si era disfatto di più di tre milioni di prodotti invenduti titolando: Amazon, venditore di distruzione di massa».

Passeggiate svizzere di Oliver Scharpf Il Buffet de la Gare a céligny Liz Taylor, tre giorni dopo il funerale di Richard Burton (1925-1984) al quale non è potuta andare perché la famiglia e la quarta moglie non volevano un circo mediatico, cerca un momento di raccoglimento davanti alla tomba del grande amore della sua vita. Capelli mesciati, occhialoni da sole, orecchini d’oro, camicetta a righe e jeans chiari, il dodici agosto 1984 aspetta fuori dal vecchio cimitero di Céligny, sotto le fronde degli alberi che lasciano entrare appena un filo di sole. Una truppa di paparazzi è appostata dentro, tiene sotto mira la tomba del famoso attore gallese, una guardia del corpo tenta invano di trattare cinque minuti di pace per lei. Ci prova la sua segretaria ma i fotografi-avvoltoi non mollano la preda e così, scuotendo più volte la testa, Liz Taylor se ne va. Sbarcato per caso a Céligny nel 1957, l’attore nato a Pontrhydyfen, villaggio di minatori e appasionati di rugby non lontano da Swansea, compra una casa in questa enclave ginevrina nel distretto vodese di Nyon. Settecentonovantanove anime, lievemente in collina quel tanto che ba-

sta per vedere un pezzettino di Lemano con una certa prospettiva distensiva come adesso, all’ora di pranzo di una bella giornata mutevole di luglio. Forte bevitore, l’attore shakespeariano dalla straordinaria voce baritonale definita da un critico teatrale «di velluto nero» e da lui stesso precisata meglio come «cosparsa di polvere di carbone e pioggia» tipica degli abitanti di quella zona del Galles, lo si vedeva spesso al Buffet de la Gare (391 m). Il ritrovo, color rosa oleandro, reputato per i filets de perche a partire dagli anni cinquanta, epoca in cui è nata la ricetta dei signori Fillistorf poi imitata in tutta la regione lemanica fino a diventarne il piatto simbolo, è situato proprio in faccia alla gare. La stazione di Céligny dove da anni non si ferma più nessun treno. Non ho riservato e per fortuna, sulla terrazza ombreggiata dagli ippocastani, c’è ancora un ultimo tavolo. Uno dei tre sotto una pergola in legno a losanghe color ostrica con edera, a ridosso del ruscello. Il Brassus, una presenza benvenuta, tonica, amichevole. I filets de perche, serviti con le frites allumettes, è un piat-

to di quelli che scatena molti ricordi, tutti legati all’estate e tanti risalenti a una mia ex che mi ha iniziato a questo rito sulle terrazze ombreggiate più o meno lacustri. Butto un occhio dentro, dove l’ambiente retrò invita a venirci non solo in estate, in cerca del tavolo di Burton. Trovato subito grazie a una foto – incorniciata in oro, sullo sfondo la carta da parati floreale – appesa lì sopra. Richard Burton, la faccia provata da notti insonni, dolcevita nero e giacca di velluto chiara, sta entrando qui con a fianco l’ultima vera diva di Hollywood vestita come una zingara. Bandana batik in testa, collanone indiano al collo, soliti occhialoni a nascondere i suoi incredibili occhi viola per i quali è forse celebre, la maglietta israeliana della Coca-Cola. Immortalati con estrema naturalezza, tra gli stessi ippocastani che impreziosiscono ora come allora il luogo, non riesco a staccare gli occhi da questo scatto che cattura tutta la turbolentissima storia d’amore sbocciata a Roma sul set di Cleopatra (1963), intralciando il viavai delle cameriere. Dorati nel burro come Dio comanda,

La società connessa di Natascha Fioretti Amazon, abbiamo un problema C’è un servizio di ITV News, il notiziario della rete televisiva britannica indipendente, che sta facendo il giro del mondo e suscitando molto interesse. D’altra parte quella che solleva il giornalista Richard Pallot è una questione calda e di non poco conto. Vuoi perché tutti almeno una volta nella vita abbiamo acquistato su Amazon, vuoi perché le sorti dell’ambiente ci riguardano e sempre più da vicino. Grazie a riprese fatte con una telecamera nascosta Richard Pallott ha potuto filmare come uno dei più grandi centri di stoccaggio di Amazon a Dufermline in Scozia ogni settimana mandi al macero 130’000 prodotti in perfette condizioni. Si tratta dunque di prodotti nuovi, spesso inutilizzati. Per intenderci parliamo di smart TV, droni, asciugacapelli, computer, auricolari di ultima tecnologia, migliaia di mascherine ancora chiuse nelle confezioni, bizzeffe

di libri intonsi. Tutti gettati in box contrassegnati con l’etichetta «destroy» che vengono caricati e portati alla più vicina discarica. Se pensiamo che tutta l’Inghilterra di magazzini così ne conta 24, se ognuno di questi opera allo stesso modo pensiamo alle quantità industriali di spazzatura da smaltire e, soprattutto, all’indicibile spreco che si traduce in uno schiaffo alla povertà o alle famiglie che durante la pandemia non hanno potuto permettersi un pc per i propri figli che seguivano le lezioni scolastiche da remoto. È il caso di Chelaine Young, che vive nella periferia sud di Londra. Si dice disgustata. Per mesi i suoi figli hanno dovuto seguire le lezioni sull’iphone. Damian Griffiths di Catbytes, un’organizzazione non profit che promuove l’apprendimento digitale nelle comunità della periferia londinese lo definisce «un totale spreco». Alle loro voci si

aggiunge lo sconcerto di Sam Chetan Welsh, attivista politico di Greenpeace «un’ inimmaginabile quantità di inutile spreco. È scioccante vedere che un’azienda multi-miliardaria si liberi in questo modo delle sue scorte» e invoca l’intervento del governo di Boris Johnson che però per ora si riserva di approfondire la questione e poi valutare il da farsi. A confermare i filmati ci sono anche le dichiarazioni e i racconti di due ex dipendenti e un whistleblower «Di settimana in settimana il nostro scopo era quello di distruggere 130’000 prodotti senza motivo. Dai purificatori d’aria della Dyson ai MacBook e gli Ipad. Per il 50% si tratta di prodotti mai aperti, per l’altra metà resi in ottime condizioni. In verità però un motivo c’è che spiega tutta l’operazione. Più un prodottto rimane invenduto, più l’azienda produttrice paga Amazon per lo stoccaggio nel suo magazzino.


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Ambiente e Benessere La sirena di Procida Faravelli raccoglie e decifra il linguaggio segreto del luogo poetico che è l’Isola di Arturo

Piogge acide sulle Alpi Tanto belli, sono i nostri paesaggi naturali, tanto a rischio è la loro salute pagina 16

Alto Adige in tavola Il giro gastronomico delle regioni d’Italia arriva a nord, in Alto Adige pagina 19

pagina 14

Passione alfista Festeggiati di recente i 111 anni della casa automobilistica tricolore

pagina 21 La pediatra Patrizia Tessiatore durante una visita medica. (Stefano Spinelli)

Prevenzione del carcinoma della cervice Vaccini L’evoluzione di un vaccino che dimostra la sua grande efficacia

Maria Grazia Buletti Lisa ha vent’anni e durante il regolare screening di Pap test ha scoperto di avere «una leggera alterazione» delle cellule al collo dell’utero. Il Pap test (test di Papanicolaou, dal cognome del medico che lo ha inventato) si effettua a titolo preventivo su donne sane con lo scopo di individuare precocemente tumori del collo dell’utero o alterazioni che, col passare degli anni, potrebbero diventare tali. «Per ora nulla di preoccupante, ma la situazione deve essere monitorata dal suo ginecologo ogni mese e mezzo». A parlare è la mamma di Lisa che esprime due riflessioni scaturite da questa situazione: sua figlia è stata vaccinata all’età di 13 anni con il primo vaccino (due dosi di Gardasil) introdotto in Svizzera nel 2007 a protezione da quattro ceppi del papilloma virus responsabile delle cosiddette forme precancerose che potrebbero condurre al carcinoma del collo uterino. Ciononostante, la madre osserva che «oggi Lisa presenta queste alterazioni cellulari che la obbligano a controlli periodici e a sostenere la relativa spesa sanitaria per ogni visita medica di controllo». A partire dalle statistiche, la pediatra Patrizia Tessiatore, con un perfezionamento in ginecologia

dell’infanzia e dell’adolescenza, chiarisce la genesi di questo vaccino: «Si stima a oggi che in Svizzera il papilloma virus comporti 5mila nuove diagnosi all’anno di lesione precancerosa, di cui 250 evolvono in carcinoma e 80 in decesso. Fortunatamente dal 2007 è stato introdotto nel nostro Paese il primo vaccino contro il papilloma virus che copre da quattro suoi ceppi oncogeni (6, 16, 11 e 18) responsabili di forme precancerose. Da gennaio 2019 ha fatto seguito un secondo vaccino che protegge dai quattro ceppi precedenti più altri 5 (31, 33, 45, 52 e 58)». Prima di ricordare l’importanza di questi due vaccini bisogna capire di cosa stiamo parlando, comprenderne le differenze, e soprattutto il procedere per chi ha ricevuto il primo vaccino ma si chiede se è possibile completare il ciclo con il secondo. «Il papilloma virus colpisce l’essere umano (senza distinzione di genere) nell’arco della sua vita, a partire dal primo rapporto sessuale». Così esordisce la specialista che spiega come nella maggior parte dei casi l’infezione passi benevolmente, combattuta con successo dal sistema immunitario. Ma non è sempre così e ciò spiega l’importanza di sottoporsi regolarmente alla prevenzione con l’esame del pap test, per poi dare un senso al

vaccino di cui stiamo parlando: «Parecchi studi scientifici sulle donne (cui si aggiungono quelli degli ultimi anni sull’uomo) stimano che oltre il 70% di quelle sessualmente attive viene infettata durante il corso della sua vita. Il 6% di queste sviluppa lesioni cosiddette precancerose, l’1% di queste ultime sviluppa un carcinoma». Come già accennato, a complicare la situazione sono i numerosi tipi di cui è composta la famiglia del papilloma virus: «I ceppi più frequenti sono HPV 16 e HPV 18, considerati responsabili a livello mondiale del 70% di tutti i casi di tumore alla cervice». Ciò che è pure noto: «Il papilloma virus infetta dopo i primi rapporti sessuali e impiega circa almeno 5-10 anni a sviluppare forme precancerose o tumorali, 20-30 anni per evolvere in tumori. Dal 1960 è stato introdotto in Svizzera lo screening che ha avuto il pregio di abbassare del 60% l’incidenza del cancro al collo dell’utero». Malgrado il decorso dell’infezione spesso benevolo, la dottoressa Tessiatore mette in guardia sul fatto che non basta aver avuto la malattia per risultarne immune: «L’immunità naturale dà anticorpi in minore quantità rispetto a quelli indotti dal vaccino che protegge da 10 a 20 volte di più: già con la prima somministrazione si stima

una durata temporale maggiore di 20 anni o a vita (gli studi sono ovviamente ancora in corso)». A copertura contro il papilloma virus emerge nuovamente l’importanza della prevenzione vaccinale, nello specifico del Gardasil e del Gardasil 9 (questi i nomi del primo e del secondo vaccino): «In Svizzera questa vaccinazione è raccomandata dal 2007 a tutte le ragazze e ai ragazzi, come vaccino di base per la prevenzione dello sviluppo di tumori legati all’HPV come quello al collo uterino». Infatti, sulla base delle odierne conoscenze scientifiche, anche l’Ufficio federale salute pubblica ribadisce oggi l’importanza di estendere la vaccinazione ai ragazzi e ai giovani uomini tra gli 11 e i 26 anni (preferibilmente tra 11 e 14), prima dell’inizio dell’attività sessuale. Oggi il primo vaccino (Gardasil che copre quattro ceppi) non è più in commercio e si vaccina direttamente con il secondo (Gardasil 9 che copre contro i quattro più altri cinque). C’è da chiedersi se chi ha avuto il primo ciclo vaccinale possa accedere al secondo più completo. Su questo punto alla madre di Lisa che ha già terminato il primo ciclo, è stato detto che sì, è possibile ma a proprie spese: «La Cassa Malati non ne riconosce il rimborso e sono circa 500

franchi che bisogna pagare personalmente». Anche l’Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp) ribadisce questo concetto, mentre ai giovani che hanno ricevuto solo una prima dose consente di completare il ciclo con il nuovo vaccino. Dal canto suo, anche la dottoressa Tessiatore rassicura su questo aspetto. Sembrerebbe quindi legato a questioni di politica sanitaria il fatto che l’Ufsp non lo raccomandi: «Le raccomandazioni dell’Ufsp e della Commissione federale per le vaccinazioni non prevedono la somministrazione di dosi supplementari dopo il completamento del primo piano vaccinale». Complessivamente, la protezione contro HPV offerta da una vaccinazione con Gardasil 9 (ndr: l’unico ora in commercio) è superiore poiché essa è efficace e più completa che in precedenza. A conclusione, la nostra interlocutrice afferma che «l’obiettivo è quello di proteggere la popolazione dalle forme precancerose legate a HPV (si stima fino al 90% mediante il nuovo vaccino), evitando così sia degenerazioni maligne che potrebbero tradursi in decessi altrimenti evitabili, sia risparmi sui costi sanitari che una vaccinazione davvero così efficace potrebbe oggi chiaramente evitare».


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Ambiente e Benessere

Il dono della sirena Viaggiatori d’Occidente Un’esplorazione poetica dell’Isola di Procida

Stefano Faravelli, testo e immagini «La mia isola […] ha varie spiagge dalla sabbia chiara e delicata, e altre rive più piccole, coperte di ciottoli e conchiglie, e nascoste fra grandi scogliere. Fra quelle rocce torreggianti, che sovrastano l’acqua, fanno il nido i gabbiani e le tortore selvatiche, di cui, specialmente al mattino presto, s’odono le voci, ora lamentose, ora allegre. Là, nei giorni quieti, il mare è tenero e fresco, e si posa sulla riva come una rugiada. Ah, io non chiederei d’essere un gabbiano, né un delfino; mi accontenterei d’essere uno scorfano, ch’è il pesce più brutto del mare, pur di ritrovarmi laggiù, a scherzare in quell’acqua» così, Elsa Morante nel suo romanzo L’Isola di Arturo. Commentando il celebre passo dell’Odissea che narra l’incontro tra Ulisse e le sirene, il mitografo greco Licofrone (IV secolo a.C.) racconta che le figlie di Calliope si gettarono in mare da una rupe in preda alla disperazione, per non essere riuscite con il loro canto a sedurre l’eroe. Nel testo omerico le sirene sono donne alate, come le arpie. Forse fu quello il momento in cui le penne diventarono pinne e la sirena assunse corpo di pesce; ed è in questa nuova forma che l’iconografia medioevale ne consegnerà l’immagine alla cultura popolare. Licofrone ci racconta ancora che le correnti marine condussero i corpi delle sirene in luoghi diversi, ciascuno dei quali ricevette così il dono di una genialità sirenica. Questi luoghi esprimono un’energia profonda che caratterizza il paesaggio e si esprime in un linguaggio fatto di segni, di metafore e chiavi di vario tipo. Il mito ne è sovente la trascrizione in termini simbolici. Partenope, la «Vergine», è il nome di una delle sirene menzionate da Licofrone; le correnti ne trasportarono il corpo tra le isole dell’arcipelago campano per questo detto in antico partenopeo. L’Isola di Arturo, come l’ha battezzata Elsa Morante nel suo capolavoro del 1957, è tra tutte le perle dell’arcipelago la mia preferita, anche per aver meglio resistito al turismo che ha invece travolto le più mondane (e pur bellissime) Capri e Ischia. Mi sollecita la sua indole di isola letteraria, non per nulla Capitale italiana della cultura 2022 (ma attenta Procida! Come disse un poeta: «Miglior cibo, peggiore indigestione»). Di Procida amo soprattutto quella sua coda a semicerchio (perfettamente sirenica!) che è l’incontaminata Vivara, riserva naturale integrale, scrigno di intonse biodiversità. E prediligo, assai più delle celebri spiagge dai nomi pur incantevoli (Corricella, Chiaiolella), le selvagge calette rocciose sul versante meridionale. Sono questi gli scenari ideali delle mie cacce sireniche. Quest’estate però la gioia del primo bagno nella caletta di Punta Solchiaro, con le sue acque oltremarine e all’orizzonte il profilo tormentato di

Capri, è stata offuscata dall’incontro con il cadavere di una bellissima tartaruga marina. Ci sono animali la cui estrema rarità ne rende l’avvistamento un’esperienza memorabile. È appunto il caso della tartaruga Caretta caretta, fortemente minacciata e anzi prossima all’estinzione in tutto il Mediterraneo. Tanto più doloroso è stato dunque in-

contrare quell’animale barbaramente straziato dall’elica di una barca. Ho tirato in secca la tartaruga e l’ho disegnata. È il mio modo di procrastinare l’inevitabile scomparsa delle cose che amo, di sottrarle al fluire del tempo, conservandone la memoria in un’immagine. Mai però questo surrogato d’immortalità mi è parso tanto inadeguato.

Così ho pensato a un risarcimento un po’ meno virtuale e sono andato in pescheria. Non speravo di riscattare una tartaruga naturalmente, ma sapevo che qualcosa avrei trovato nella «vasca dei condannati». Lì i miei occhi hanno incrociato quelli tristi (tristi!) di uno scorfano in attesa della sentenza, boccheggiante tra aragoste e qualche pesce

moribondo. Ecco lo scorfano Arturo − mi sono detto − il pesce con il quale s’identificava il protagonista del romanzo della Morante. L’ho comprato e chiuso in un sacchetto con un po’ d’acqua; a casa gli ho cambiato l’acqua più volte. L’ho anche dipinto, naturalmente, ed era bello vedere quel magnifico rosso accendersi di nuovo, laddove nella vasca della pescheria pareva stinto. Infine l’ho portato al mare e l’ho liberato. Per parecchie ore è rimasto immobile sul crinale roccioso, tanto che ho pensato che non si sarebbe ripreso. Poi con uno scatto e un colpo di coda si è allontanato verso il fondale. All’alba del giorno dopo mi sono tuffato e proprio lì dove avevo lasciato lo scorfano c’era una conchiglia bellissima e ricercata, la rara Cymatium parthenopeum (parthenopeum!), volgarmente detta Tritone gigante peloso. Per me, biologo mancato e appassionato raccoglitore di conchiglie, un vero miracolo, tanto più perché la conchiglia era priva di mollusco (non raccolgo molluschi vivi!) e a portata di una banale immersione. In quel momento ho sentito gli occhi della sirena Partenope posarsi su di me. Quella conchiglia, il cui nome, sconosciuto ai più, è già un segno mi è davvero apparso come un dono, un premio. Le sirene sanno essere generose, ma solo con chi riesce a cogliere e a decifrare il linguaggio segreto dei luoghi.


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Ambiente e Benessere Lago Bianco (2076 m), circondato dalle bellissime pareti rocciose scoscese della Val Bavona. Sul sito www.azione. ch si trovano altre immagini. (Franco Banfi)

La fragilità e lo splendore dei paesaggi alpini

Piogge acide L’acidificazione dei laghetti di montagna causata dall’inquinamento atmosferico continua

a mettere a rischio la biodiversità e la salute di una delle nostre migliori risorse naturali Sabrina Belloni Nell’estate delle vacanze a chilometro zero, sono stati e presumibilmente saranno ancora centinaia i ticinesi che hanno riscoperto e scopriranno mete locali per una salutare passeggiata, così come molti sono i connazionali che si dedicano a trekking più impegnativi, articolati in diversi percorsi collegati gli uni agli altri, con il desiderio di scoprire i nostri territori, lo stupore di vedere e di essere in ambienti recentemente ben valorizzati (sia con iniziative private, sia cantonali) e la riscoperta di ambienti montani che sanno coniugare genuinità, natura, accoglienza e organizzazione. La vacanza a chilometro zero è stata l’anno scorso una scelta consapevole, e molti si aspettano una replica anche per quest’anno, sia per motivi di precauzione sanitaria, sia per aiutare l’economia di casa nostra in un settore, quello turistico, tra i più colpiti dalla crisi economica conseguente alla pandemia da CoVid-19. In montagna si respira una sensibilità per l’ambiente che trascende le tendenze o le ideologie, e che denota piuttosto un profondo rispetto e una piena consapevolezza di cosa significhi convivere con la natura. Victor Hugo diceva che solo gli spiriti semplici potevano reggere alla vista sconvolgente del paesaggio delle Alpi: scenari grandiosi, visioni spettacolari dove «si assapora il fremito del assoluto», ghiacciai immensi, orridi crepacci, tumultuose cascate, vallate ammantate di neve, baite di legno ingentilite da essenze e fiori alpini, erte praterie, pascoli e boschi silenziosi. Di tali paesaggi grandiosi ci occuperemo in questo articolo, con uno sguardo alle precipitazioni e agli inquinanti, all’acqua e alla sua capacità erosiva, che modifica lentamente ma incessantemente la morfologia del territorio,

sia con la propria forza fisica, sia con la co-partecipazione di alcune sostanze chimiche che ne arricchiscono l’azione. Il Canton Ticino, soprattutto nell’area settentrionale, è interessato da fenomeni abbastanza consistenti di inquinamento atmosferico trasportato dalle goccioline sospese nelle nuvole e dalle masse di aria che transitano sulla Pianura Padana per poi scontrarsi contro le Alpi e precipitare al suolo. La situazione è stata peggiore negli anni Ottanta, quando il settore industriale in Val Padana era in piena attività e l’energia elettrica era prodotta da centrali termiche alimentate a carbone. È tuttavia presente ancora oggi, nonostante la significativa riduzione dell’inquinamento, resa possibile dalla maggiore diffusione ed efficienza degli impianti di depurazione e neutralizzazione delle emissioni gassose industriali, dall’utilizzo di catalizzatori sui mezzi di trasporto e del gas naturale come combustibile negli impianti di riscaldamento. Le problematiche ambientali sono monitorate da molti anni, con la partecipazione della Svizzera in progetti europei di grande respiro: i due principali sono EMERGE (European Mountain Lake Ecosystems Regionalisation Diagnostic & Socio-economic Evaluation) e ICP Waters (International Cooperative Programme on Assessment and Monitoring Effects of Air Pollution on Rivers and Lakes). In Canton Ticino, l’Ufficio del monitoraggio ambientale, tramite il Progetto OASI (Osservatorio Ambientale della Svizzera Italiana) reca un importante contributo nell’analisi dei campioni raccolti ogni settimana in vari siti (a differenti latitudini e altitudini) e nell’elaborazione dei dati. Ne risulta che i territori dell’alta Valle Maggia sono particolarmente sensibili al fenomeno della acidificazione, quel processo attraverso il quale le sostanze (prevalentemente ossidi di

Fiume Bavona, nei pressi del Lago di Robiei. (Franco Banfi)

Laghetto di Sassolo (2074 m), situato nella Corte dei Laghetti, nella regione del Narèt. (Franco Banfi)

carbonio e di azoto, polveri sottili, metalli pesanti e idrocarburi incombusti) emesse in atmosfera dalle attività umane, trasformatesi in acidi, alterano le caratteristiche chimiche degli ambienti naturali compromettendo gli ecosistemi di acque, foreste e suoli. In quest’area, i bacini imbriferi sono circondati da rocce acide poco solubili (gneiss), che non sono in grado di tamponare le precipitazioni (le cosiddette piogge acide) trasportate dalle correnti d’aria provenienti dalla Pianura Padana. Ne consegue una acidificazione progressiva dei suoli, delle acque dei laghi e dei torrenti. Negli anni più recenti, i laghi alpini del Canton Ticino mostrano segni di ripresa. L’analisi chimica evidenzia un aumento dei valori di pH e alcalinità, con tendenza a tornare ai valori preesistenti al processo di acidificazione (Rogora et al., 2003; Steingruber e Colombo, 2006). Tuttavia, essi continuano ad accumulare altri inquinanti dall’atmosfera, soprattutto i composti dell’azoto e del fosforo, che sono potenti fertilizzanti e

stimolano la rapida crescita delle piante acquatiche e la fioritura di alghe microscopiche (il fitoplancton) sulla superficie lacustre. Mentre le fioriture di fitoplancton sono ben tollerate in acque turbolente e ossigenate, esse causano danni ambientali (ipossia e acidificazione) in bacini poco profondi, privi di rimescolamento, dove l’acqua è stratificata e la superficie si scalda repentinamente. Il fitoplancton eccedente, non essendo consumato dai predatori primari (zooplancton, molluschi e pesci lungo la catena alimentare), si decompone e viene degradato dai batteri con un processo chimico che richiede grandi quantità di ossigeno disciolto nell’acqua. La copertura della superficie (con le microalghe in estate e il ghiaccio/ neve in inverno), determina da un lato una diminuzione della capacità della luce solare di raggiungere gli strati d’acqua più profondi, dall’altro limita lo scambio gassoso con l’esterno e quindi anche il passaggio in soluzione dell’ossigeno atmosferico nell’acqua. Quando le alghe muoiono e si decom-

pongono, ne consegue una ulteriore forte diminuzione di ossigeno a causa dei processi di putrefazione e fermentazione, i quali liberano grandi quantità di ammoniaca, metano e acido solfidrico, rendendo l’ambiente totalmente inospitale alle altre forme di vita. Al posto dei microrganismi aerobici (che hanno bisogno di ossigeno) subentrano quelli anaerobici (che non hanno bisogno di ossigeno) che sviluppano sostanze tossiche e maleodoranti. Questo fenomeno è il fenomeno della eutrofizzazione. Un progressivo e duraturo miglioramento chimico atmosferico è pertanto il presupposto indispensabile sia per il miglioramento biologico dei bacini alpini, con il ripopolamento degli organismi più sensibili, sia per la fruizione di ambienti sani e in naturale equilibrio. L’acqua ha un valore inestimabile ed è un patrimonio che va difeso e protetto, considerando particolarmente l’aumento della richiesta di acqua potabile (incremento della popolazione) e la diminuzione della sua disponibilità.


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Ambiente e Benessere

I vitigni secondo Virgilio e columella

Scelto per voi

Vino nella storia A confronto i punti di vista di un poeta e di un agronomo ante-litteram

Davide Comoli Nell’età aurea di Roma, in seguito alla stabilizzazione delle condizioni politiche, fu reso possibile e s’incoraggiò il ritorno alle campagne; la viticoltura e l’enologia rappresentarono due aspetti importanti per la vita economica e sociale di quel periodo. Già antecedentemente, personaggi come Catone (234-149 a.C.) e Varrone (116-27 a.C.), avevano composto trattati di agricoltura, ma nell’epoca più fiorente dell’impero si aggiunsero Publio Virgilio Marone (70-19 a.C.) e Lucio Giunio Moderato Columella (I sec. d.C.). Come sottolinea quest’ultimo, il vino oltre che prodotto per la necessità famigliare come alimento, diventa un mezzo di scambio e un indubbio reddito sia per chi lo produce che per chi lo commercia. Con calcoli precisi e dettagliati, Columella sottolinea i vantaggi economici che può dare un vigneto «per chiunque sappia unire la scienza alla diligenza». Il guadagno che può dare un vigneto, secondo quanto afferma, è molto superiore a quanti sono aggrappati alla produzione di ortaggi. L’agronomo, così potremmo chiamarlo ai giorni nostri, fa una distinzione fra le uve da vino e le uve da tavola, e nella sua classificazione divide le uve da

vino in tre gruppi, a seconda del vino che si ottiene. Le più pregiate – Columella è un grande estimatore delle uve italiche – erano le Aminee, coltivate in Campania e in Sicilia, dalle quali si ottenevano i vini Amineo, Lucano e Murgentino. Nello stesso gruppo aveva posto le uve provenienti dall’Etruria, chiamate Apianae, perché attiravano le api, e le uve Eugeniae, coltivate sui Monti Albani, entrambe molto dolci. Nel suo trattato, De re rustica, suggeriva per ogni vitigno il terreno più adatto, consigliava pure di impiantare varietà diverse sullo stesso terreno, e di tenerle separate per ottenere vini più pregiati. La vendemmia partiva ad agosto e arrivava fino a novembre con la piena maturazione delle uve. Le uve venivano cernite e pigiate nel «calcatorium» e quindi torchiate nel «torcularium»; infine il mosto veniva messo nei «dolia». Il «mostum lixivium» era il mosto che, prima ancora della pigiatura, usciva a seguito della compressione delle uve le une sulle altre: mescolato al miele, era impiegato per produrre il dolcissimo «mulsum». Columella a parte, nell’età di Augusto, si affermò nel campo letterario un mantovano figlio di proprietari terrieri. Aveva studiato retorica a Roma, dove aveva avuto come condiscepoli

Un antico torcularium per la doppia spremitura di vino e olio. (Stefano Uberti)

il futuro Cesare Ottaviano Augusto e Marco Antonio: stiamo parlando di Publio Virgilio Marone. Nella Roma di allora era molto popolare, possedeva una casa sull’Esquilino donatagli dall’imperatore, sebbene preferisse risiedere nello splendido e più tranquillo golfo di Napoli. Il grande vate della poesia latina nutrì una particolare sensibilità nei confronti della natura (ai giorni nostri sarebbe di sicuro un leader nel movimento Verde): sensibilità che pur essendo già presente nelle sue Bucoliche, si esprime in modo compiuto nelle Georgiche. Nei quattro libri delle Georgiche parla della coltivazione dei campi, di coltura degli alberi, dell’allevamento del bestiame e dell’apicoltura. Ma quest’opera non è un vero e proprio manuale di agricoltura come invece è il De Re Rustica di Columella; Virgilio è un poeta non un agronomo. Nel suo lavoro Virgilio canta i doni di Cerere e di Libero (Bacco), di Fauni e Driadi e dei numi agresti che proteggono i campi. Così l’aratro, i graticci di corbezzolo, i segnali della grandine, i venti, i terreni, i giorni propizi per i lavori nei campi diventano poesia. L’opera delle Georgiche inizia con l’intento di cantare Bacco e, attraverso di lui, i pampini autunnali e i vini che spumeggiano nei tini durante la vendemmia. Ammettiamo che leggendo Virgilio abbiamo avuto l’impressione che i versi componessero un’opera sì di un grande poeta ma, ad esser sinceri, anche che l’autore non fosse stato un grande intenditore e nemmeno un buon bevitore. Il poeta invita il padre Leneo, uno dei tanti nomi di Bacco, a tingere con lui le gambe nude nel mosto nuovo. Con questa immagine introduce l’argomento, in tutto 160 versi, del libro delle Georgiche. Per quanto riguarda i vitigni, Virgilio accosta quelli italici ai celebri vitigni della Grecia. In poche parole spiega che i frutti della vite non sono gli stessi dappertutto, c’è uva e uva, c’è vino e vino, ma l’uva e i vini italici non sono secondi a nessuno: «Ci sono le uve di Taso, ci sono le uve di Marea, bianche, s’addicono queste a

terreni grassi, quelle a terre più fini; e la psitia migliore per il passito e il Lageo leggero, che alla fine fa barcollare e impaccia la lingua, le uve purpuree e quelle precoci, e come ti potrò cantare o Retica? Però non sfidare le cantine del Falerno! Vi sono anche le viti Aminee, vini robustissimi, a cui cedono il passo quello di Timolo e persino il Faneo, re dei vini; e l’Argitide, quella più piccola, quella con cui nessun’altra può rivaleggiare o per quantità di succo o per durata di anni». Virgilio continua dicendo che le specie e i nomi dei vitigni e dei vini sono così numerosi che non si possono citare tutti, né si può indicare il loro numero. Chi volesse conoscerlo dovrebbe sapere «Quanti grani della pianura libica si agitano allo Zefiroo, quando l’Euro si abbatte più furioso sulle flotte e sapere quante sono le ondate dello Jonio che arrivano sulle sponde». Molto probabilmente con le Georgiche voleva rinnovare la letteratura del poeta greco Esiodo (le Opere) collegandosi alla tradizione latina della letteratura e poesia, composte di parti didascaliche (opere in prosa e in versi) con l’intenzione di celebrare Roma. Per questo tra i suoi progetti vi era un poema che si sarebbe intitolato Res Romanae, e c’era pure l’intenzione di celebrare le imprese di Augusto. Queste idee, ampiamente discusse con Mecenate (Arezzo 69 circa a.C. – Roma 8 d.C.) munifico protettore di molti artisti, condussero alla realizzazione dell’Eneide. Pure in una sua parte l’Eneide contiene alcuni momenti dedicati al vino, in quest’opera che è la celebrazione virgiliana dell’epopea di Roma: partito dai desolanti lidi di Troia, Enea brinda con il vino alla realizzazione delle profezie «Ora libate a Giove con coppe, invocate pregando il padre Anchise, e ancor ponete sulle mense il vino». L’Eneide è un’opera da leggere d’un fiato, soprattutto per gli amanti delle fiction; oltre che avvincervi, rinfrescherà i vostri ricordi scolastici. Virgilio dedicò dieci anni a quest’opera, ma la morte gli impedì di finirla: si spense a Brindisi nel 19 a.C.

Oeil de Perdrix / Les Petits crêts

Coltivati tra i 430/600 m d’altitudine, i vigneti del Canton Neuchâtel (sesto cantone vinicolo), beneficiano della presenza del lago. Questo, infatti, funziona da tampone termico contro il calore estivo e i rigori dell’inverno. Essendo appoggiato ai contrafforti delle Alpi Jurassiane, il vigneto che copre quasi 600 ettari è anche protetto dalle piogge e dalle correnti umide che arrivano da ovest. La Caves des Coteaux si trovano tra i villaggi di Boudry e Cortaillod, i vigneti crescono su terreni formati da vecchie rocce ricche di calcare e molasse sabbiose. La cantina produce una vasta gamma di vini, l’Oeil de Perdrix che oggi vi proponiamo è composto da solo «Pinot Nero» vinificato in rosato, dal piacevole colore che ricorda il rosa salmone, le sue note olfattive ricordano il melone, le pesche bianche e tra i fiori il geranio, morbido e fresco in bocca, è un vino elegante. L’ Oeil de Perdrix è un vino da bere giovane e potrebbe accompagnare tutto un pasto, ma noi lo raccomandiamo con piatti un po’ esotici, provatelo con il pollo al curry. / DC Trovate questo vino nei negozi Vinarte al prezzo di Fr. 17.50. Annuncio pubblicitario

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Ambiente e Benessere

Speck, crauti e polente rustiche

Alto Adige o Südtirol? Comunque la si chiami, la caratteristica di questa cucina è un forte legame con le tradizioni e vanta un’impronta mitteleuropea: condivide infatti ovviamente numerosi piatti con la confinante Austria e con la Germania. Colonne portanti sono l’allevamento di maiali e mucche e la coltivazione di mele, patate, cavoli e cereali, tra i quali è regina la segale, protagonista del pane della Val Venosta: l’UrPaarl, inconfondibile grazie all’aroma conferitogli da semi di cumino, carvi e trigonella (o fieno greco). Il prodotto più noto e apprezzato è lo speck, prosciutto crudo affumicato, aromatizzato ed essiccato all’aria di montagna. In Val Pusteria, con la farina di segale si realizza la sfoglia per i ravioli, farciti poi con ricotta ed erba cipollina oppure con spinaci, verza o crauti.

Colonne portanti sono l’allevamento di maiali e quello di mucche oltre alla coltivazione di mele, patate, cavoli e cereali Altri cereali danno vita a piatti tipici come le Riebl, frittelle ottenute impastando grano saraceno – altro cereale tipico – con il latte, o gli Spätzle, gnocchetti fatti con un impasto relativamente fluido di farina, acqua e uova: si servono a contorno, per esempio, di uno stufato di capriolo. La farina di mais, spesso mescolata con quella di grano saraceno, dà vita a gustose e rustiche polente tra cui la Mus, cotta con latte e acqua, che può essere condita con semi di papavero, burro e zucchero. Un altrettanto cereale d’elezione è l’orzo, usato per esempio nella Gerstensuppe, completata da speck e verdure aromatiche. La Gulaschsuppe è invece una minestra preparata con

carne di manzo, paprica, pomodori, alloro, cumino e maggiorana. A Bolzano si prepara una zuppa con trippa, panna acida, erbe e spezie, che si serve con la polenta o, come in Val Venosta, con i crauti. Questi ultimi sono un altro caposaldo della cucina regionale e costituiscono un contorno molto apprezzato per i piatti di carne o per i wurst; possono essere preparati con cavolo cappuccio sia bianco sia rosso. Manzo, maiale e selvaggina costituiscono le pietanze più importanti: il primo può essere bollito e servito con salsa di rafano e mele (Tafelspitz); con il maiale si prepara invece il Bauernschmaus, sostanzioso piatto unico a base di carré affumicato, lingua salmistrata, salsicce di fegato e wurstel serviti con crauti e Knödel. Questi ultimi sono grossi gnocchi ottenuti da pane – bianco o nero – raffermo: possono essere insaporiti da speck, formaggio o verdure come spinaci o erbette; si gustano sia in brodo, come minestra, sia asciutti, come contorno di molte pietanze. Tra la selvaggina è apprezzato il camoscio. Numerosi e saporiti sono i formaggi, di stagionatura variabile a seconda dei tipi. È fresco l’Eisacktaler, proveniente dalla valle dell’Isarco; più stagionato lo Sterzinger, dell’area di Vipiteno. Tra i dolci eccelle lo Strudel, preparato con le mele o con i semi di papavero, ma non sono meno ghiotte altre preparazioni come le Strauben, ampie frittelle di pasta aromatizzata alla grappa e servite con frutta cotta o marmellata, i Mürbe, un involucro di pasta di segale farcito con marmellata e fritto, la Buchteln, una focaccia dolce con marmellata d’albicocche, il Gugelhupf, una sorta di panettone «con il buco» – poco dolce, ma ingentilito da panna, burro, uvetta e mandorle e la semplice e saporita Kaiserschmarrn, una frittata dolce cucinata con uvetta e mele, spezzettata e servita cosparsa di zucchero a velo e accompagnata da marmellata.

cSF (come si fa)

Pxhere.com

Allan Bay

Pixabay.com

Gastronomia D’impronta mitteleuropea, la cucina dell’Alto Adige affonda le proprie radici nella tradizione

Qualche giorno fa un’amica cara mi ha chiesto di prepararle un risotto che fosse piatto unico e che fosse «molto, molto creativo», perché a lei così piace. Pensa e ripensa, ho preparato questo. Vediamo come si fa. Risotto con aragosta, cotechino e aglio nero. Gli ingredienti sono per 2 persone (ma era un piatto unico!): 200 g di riso Carnaroli, 1 aragosta piccola,

surgelata che ho fatto decongelare, 1 cotechino da 200 g, 4 spicchi di aglio nero, soffritto di cipolle, brodo vegetale, prezzemolo, pepe, spinaci, chiodi di garofano, vino bianco, olio di oliva, burro, sale e pepe. Cuocete il cotechino a vapore per 2 ore (o per il tempo previsto), levatelo, spellatelo, tagliatelo a dadini, fate intiepidire e conservate. Mettete in una casseruola 1 litro di brodo vegetale e unite 2 bicchieri di vino, 1 cipolla mondata e spezzettata, qualche chiodo di garofano e 1 manciatina di grani di pepe. Portate al bollore, tuffateci l’aragosta e fatela lessare per 10 minuti. Spegnete, lasciatela riposare nel liquido di cottura per qualche minuto, scolatela e apritela a metà per il lungo. Vicino alla testa troverete il fegato di colore verdognolo e, se l’animale è femmi-

na, talvolta anche le uova: levateli ma conservali mentre eliminate il budellino scuro, che funge da stomaco. Sgusciate la polpa della coda, tagliatela a dadini, unite il fegato e le uova. Filtrate il brodo di cottura e usatelo per il risotto. Frullate l’aglio nero con un po’ di brodo, fino ad avere una crema relativamente liquida. Tostate il riso in una casseruola fino a quando sarà rovente. Aggiungete un primo mestolo di brodo poi 2 cucchiai di soffritto frullato. Portate a cottura unendo il brodo bollente necessario. 2 minuti prima che sia pronto unite i pezzi di aragosta, il cotechino, prezzemolo tritato. Regolate di sale e di pepe, spegnete. Mantecate col burro, quindi fate riposare coperto per 2 minuti prima di impiattare e profumare con schizzi di aglio nero.

Ballando coi gusti Oggi due ricette saporite di gnocchi di patate, che piacciono a tutti.

Gnocchi al ragù di salsiccia

Gnocchi con cozze e vongole

Ingredienti per 4 persone: 600 g di gnocchi · 300 g di salsiccia · 200 g di salsa di pomodoro · 1 spicchio di aglio · rosmarino · 4 chiodi di garofano · pepe nero · ½ bicchiere di brodo di carne · ½ bicchiere di vino bianco · 2 cucchiai di olio di oliva.

Ingredienti per 4 persone: 600 g di gnocchi a piacere · 500 g di vongole veraci già

Togliete il budello alla salsiccia e sgranatela. In una padella scaldate l’olio e l’aglio e aggiungete la salsiccia. Mescolate e rosolate, poi sfumare con il vino e cuocete per 4 minuti. Unite il pepe, i chiodi di garofano, il mazzetto di rosmarino legato con poco spago da cucina, la salsa di pomodoro e il brodo. Proseguire la cottura a fuoco vivace fino alla ripresa dell’ebollizione. Abbassate la fiamma e lasciate cuocere per 1 ora almeno, a fuoco dolce. A fine della cottura regolate di sale e levate il rosmarino. Lessate gli gnocchi finché vengono a galla, scolateli nella padella e saltateli brevemente. Con delicatezza. Serviteli subito.

In una padella versate 2 cucchiai di olio, unitevi l’aglio spellato e il peperoncino. Fate soffriggere e aggiungete le cozze e le vongole. Sfumate con poco vino, coprite e cuocete a fuoco vivace, fino a far aprire le valve. Scolate i mitili in una ciotola e filtrate il liquido di cottura. Fate raffreddare leggermente e poi togliete gran parte dei gusci. Rimettete le cozze e le vongole in padella, unite il fondo di cottura regolato di sale, un filo di olio e cuocete per un minuto. Lessate gli gnocchi in acqua bollente, scolateli nella padella e saltateli brevemente. Serviteli ben caldi guarniti con prezzemolo.

spurgate · 500 g di cozze già spurgate e pulite · 2 spicchi di aglio · 1 peperoncino secco · prezzemolo · vino bianco · olio di oliva · sale e pepe.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 luglio 2021 • N. 27

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Ambiente e Benessere

111anni per l’Alfa Romeo

Motori Star del singolare compleanno è la Giulia GTA, la berlina sportiva più performante

mai prodotta dal brand italiano Mario Alberto Cucchi Centoundici anni sono passati dal 24 giugno 1910. Dal giorno in cui nasceva A.L.F.A. (Anonima Lombarda Fabbrica Automobili). Le auto erano rosse perché qualche anno prima era stato assegnato all’Italia questo colore per le automobili da corsa. Lo stesso rosso che a fine giugno ha colorato il museo Alfa Romeo di Arese, Milano (nella foto). Quattro giorni di Kermesse per festeggiare il compleanno di uno tra i marchi più amati.

Nei programmi per il futuro c’è anche la «Tonale», un’elettrificata che aspira a essere la macchina perfetta Automobilisti con il cuore sportivo, gli alfisti. Automobilisti che da tempo amano le Alfa Romeo a prescindere da tutti i loro possibili difetti. Automobilisti che in alcuni casi arrivano a spendere vere fortune per il proprio sogno. Protagonista della prima giornata di festa sono state la Giulia (GTA e GTAm). Il Museo di Arese è stato scelto per la consegna dei primi esemplari di questa straordinaria vettura. Sicuramente esclusiva dato che è stata prodotta in sole 500 unità numerate. Per

pochi, anche il prezzo: circa 200mila franchi. A questi appassionati è stata dedicata una parata esclusiva che non ha però permesso loro di sfruttare il possente motore 2,9 V6 Bi-turbo in grado di erogare una potenza massima di 540 cavalli. Ma per quello ci sarà la pista. D’altra parte, le prestazioni sono

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dal brand italiano. E Le sue parole non lasciano dubbi: «Mi piace molto. Stiamo parlando di un’auto che puoi utilizzare tutti i giorni, ma che puoi anche portare in circuito, e divertirti parecchio». Un modello che riporta in vita una pietra miliare della storia del Marchio: la Giulia GTA del 1965, la «Gran Turi-

Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku

Cruciverba Secondo alcune ricerche scientifiche, pare che le zebre non vengano morse né da tafani, né da mosche tse-tse perché queste ultime non… Trova il resto della frase leggendo, a cruciverba risolto, le lettere nelle caselle evidenziate. (Frase: 11, 2, 6, 7)

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stratosferiche. Basti pensare che il rapporto peso potenza è di 187 cavalli/ litro. Un mezzo che ha impressionato anche un esperto pilota di Formula 1 come Kimi Räikkönen che è tornato pochi giorni or sono presso il Centro Sperimentale di Balocco per valutare di persona il lavoro fatto sulla berlina sportiva più performante mai prodotta

smo Alleggerita» che collezionò successi sportivi in tutto il mondo. Il compleanno di Alfa Romeo è stato anche l’occasione per sentire Jean Philippe Imparato, il nuovo Ceo di Alfa Romeo in arrivo dal gruppo Psa. Un grande appassionato di Italia. Un grande appassionato di Alfa Romeo. Solo lui poteva svelare i programmi per la casa tricolore del futuro. «Tonale arriverà a giugno 2022 e sarà presentata in Italia» ha svelato Imparato. «Sarà elettrificata e dovrà essere una macchina perfetta». Imparato non fa numeri, ma assicura che Alfa dovrà produrre profitti perché nel gruppo Stellantis nessuno potrà permettersi di non guadagnare, tanto meno un brand premium come Alfa. E proprio al profitto si lega il futuro di Alfa in Formula 1. «Sono interessato alla Formula 1 e anche molto appassionato a un campionato che, non dimentichiamo, è già elettrificato da parecchi anni» continua il CEO. «Quello che conta però è il ritorno degli investimenti. Non ho detto che la Formula 1 costa troppo, ma deve supportare il marchio». Insomma si capisce che a Imparato la Formula 1 piace ma costa troppo per quanto vale oggi Alfa Romeo. Da gennaio a maggio, in Europa sono state vendute meno di 10mila Alfa (9789 per la precisione), vale a dire duemila al mese. Troppo poche per spendere milioni di euro in Formula 1. Ma siamo convinti che con la nuova Tonale elettrificata i soldi arriveranno.

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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «Azione» e sul sito web www.azione.ch

I premi, cinque carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.

ORIZZONTALI

1. Un attore famoso 4. Tra il ginocchio e la caviglia 9. Consapevolezza di sé, della propria

identità 10. Un reato 11. Abbreviazione di piazzale 12. Isole dette anche Lipari 13. Due volte in sospeso 14. Attrezzo agricolo manuale dalla lama ricurva 15. Affatto in tedesco 16. In mezzo al caos 17. Alato carme 18. Si ripetono ogni anno 19. Isola spagnola dell’omonimo arcipelago 21. L’arma delle Amazzoni 22. Le iniziali dell’attrice Rossellini 23. Spiacevoli, sgradevoli 25. Due in moto 26. Dice eresie

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Scoprire i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.

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1. Corrotto, pervertito 2. La casa più fredda 3. La... precedono a tavola 4. Preposizione articolata 5. Gioco detto anche filetto 6. Andate alla latina 7. Un avverbio 8. Li rifiutava Cincinnato 10. Gli alimenti inglesi 12. Persona parsimoniosa 13. Società in Accomandita Semplice 15. Estremi di genere 19. Ha fegato da vendere!... 20. Piccolo gruppo 22. Desinenza verbale 24. Le iniziali della cantante Tatangelo Partecipazione online: inserire la

soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la so-

Soluzione della settimana precedente

«Carla è vero che hai iniziato una dieta?» «Sì quella del religioso…» Resto della frase: «…MANGIO OGNI BEN DI DIO E POI SPERO IN UN MIRACOLO». M O G I O E N T I

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P I L O R N I C O T R E N E O D I D I E R O T O S P I N O S E A N P E R O L M A N I E O A C I C O R L E S O N D

O B O E S I R I A

luzione, corredata da nome, cognome, indirizzo, email del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 6315, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 luglio 2021 • N. 27

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Politica e economia Genova vent’anni dopo Cosa successe nella città ligure durante le contestazioni del G8 e dov’è finita la rete no-global?

Deludono Macron e Le Pen Le elezioni regionali francesi non premiano i partiti dei due leader. Astensionismo a livello da record

Quell’astio verso gli inglesi Torna ciclicamente a farsi sentire la voglia di indipendenza degli scozzesi

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Tra reggenti e incompresi Il politologo Adrian Vatter traccia i profili dei consiglieri federali e propone delle riforme per migliorare il loro lavoro pagina 30

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L’imperatore rosso e le sue debolezze L’analisi Continua la deriva di Xi Jinping

verso la tirannide e questo crea le condizioni per l’instabilità futura della Cina. Qual è il ruolo dell’Occidente?

Federico Rampini Come intende celebrare Xi Jinping il centesimo anniversario dalla fondazione del Partito comunista cinese (Pcc) che cade in questo mese? La notizia che la Cina costruisce cento nuovi «silos» per missili intercontinentali con testata nucleare non è rassicurante. Si aggiunge alla distruzione dello Stato di diritto a Hong Kong e alle molteplici violazioni dello spazio aereo di Taiwan nel sottolineare il nazionalismo aggressivo e il riarmo accelerato della seconda superpotenza mondiale. C’è qualcosa che si possa fare per arginare i suoi impulsi più pericolosi? Se si osserva la storia in una prospettiva di lunghissimo periodo, fermare la Cina suona come un obiettivo velleitario, offensivo, grottesco. Questo popolo e questo Stato-civiltà, cementato da una cultura antica molto prima di essere diventato una Nazione, si sta riprendendo quella centralità e quel peso dominante che furono quasi sempre le sue prerogative. Un «secolo cinese» non sarà una gran novità, ce ne sono stati tanti in passato, nei quali l’Impero celeste era il numero uno. Ma un conto è pensare la storia nell’arco dei millenni, altra cosa è cercare di decifrarne le palpitazioni contemporanee. I cento anni di vita del partito comunista, in quest’ottica, sono una minuscola frazione, un episodio recente e ancora breve nella storia cinese. Certo, rispetto agli avvicendamenti frenetici di forze politiche diverse al Governo delle nostre democrazie, la stabilità cinese può sembrare stupefacente, incute un timore reverenziale (tendiamo comunque a dimenticare che i comunisti governarono ancora più a lungo in Unione sovietica). Ma quella del Pcc a Pechino è una stabilità solo apparente. L’orgia di retorica con cui Xi celebra questo centenario, nasconde una realtà: il Governo comunista della Repubblica popolare ha già conosciuto ribaltamenti e congiure, golpe interni, incluso un diktat militare, insurrezioni e guerre civili. Ha avuto fasi talmente diverse, dal primo Mao Zedong alla «conversione americana» di Deng Xiaoping, che solo la propaganda può inventarsi una perfetta continuità. Perché il futuro dovrebbe esse-

re diverso? Tutte le dinastie imperiali hanno avuto una fine e questa dinastia rossa non farà eccezione. Nella discontinuità che segna le varie fasi del comunismo cinese, l’autocrate Deng aveva tentato di introdurre una riforma politica. Pur avendo le mani macchiate del sangue dei giovani di Piazza Tienanmen, Deng tentò di porre dei limiti alla deriva dittatoriale. Edotto dalla sua tragica esperienza come vittima delle persecuzioni maoiste, voleva impedire lo scivolamento dall’autoritarismo alla tirannide. Due furono le novità politiche più preziose dell’era post-Deng: la norma costituzionale che imponeva un termine inderogabile al mandato del leader supremo e la regola non scritta che istituiva una direzione collegiale. Può sembrare poca cosa. Tuttavia era un tentativo di introdurre dei correttivi all’interno del primato assoluto del partito unico. È vagamente simile al concetto di «checks and balance», poteri e contropoteri, controlli e bilanciamenti, che è il fondamento della liberaldemocrazia americana. Ne abbiamo visto le virtù all’opera di recente durante la presidenza Trump e nei sussulti eversivi della sua agonia finale. In Cina i correttivi introdotti da Deng hanno garantito dal 1989 in poi delle transizioni indolori da una leadership all’altra. Non ci fu spargimento di sangue nei passaggi delle consegne ai vari Jiang Zemin, Hu Jintao, fino a Xi. Se ci fossero stati i limiti al mandato e la direzione collegiale ai tempi di Mao forse i cinesi si sarebbero risparmiati delle stragi, come la guerra in Corea, la carestia del Grande balzo in avanti, la carneficina della Rivoluzione culturale. L’uomo solo al comando può sbagliare a lungo, senza che nessuno riesca a correggerlo. Nelle gloriose celebrazioni del centenario del Pcc è proibito fare i conti sulle vittime di Mao: superano quelle di Hitler e Stalin messe assieme. Nel 2018 è successo uno strappo gravido di conseguenze. Xi ha imposto una nuova Costituzione nella quale è scomparso il termine obbligatorio al suo mandato. Questo coincide con una deriva verso la tirannide: accentramento di potere nelle mani di un leader forte, riscoperta del culto della personalità. Non accadeva dai tempi di Mao che

Xi Jinping (in alto con la mano alzata) a una cerimonia per il 100. anniversario della nascita del Partito comunista cinese. (AFP)

funzionari di Stato e militanti comunisti dovessero studiare «il pensiero del leader supremo», ora è tornato in auge. Una eminente studiosa che era stata docente alla scuola di formazione del partito comunista, Cai Xia, si è esiliata in America ed esprime il suo dissenso verso la deriva tirannica fino a definire Xi come l’equivalente di un «boss mafioso». Il giurista Xu Zhangrun che insegnava nella più prestigiosa università di Pechino – la Tsinghua – fino al suo licenziamento nel 2020, denuncia: «La tirannide finisce col corrompere l’intera struttura di Governo e indebolisce un sistema tecnocratico che era stato costruito per decenni». Sul fronte internazionale Xi ha reintrodotto (come ai tempi di Mao) un’alta dose di paranoia nella politica estera del suo Paese. È un fabbricante di fake-news su larga scala, ha riportato in auge teorie di complotti

americani dietro ogni evento sgradito. Per puntellare la coesione nazionale alimenta la visione di una Cina accerchiata dall’America che vuole ricacciarla indietro. Avendo cancellato dalla Costituzione il limite al suo mandato, e abbandonato ogni sembianza di una direzione collegiale, Xi crea le condizioni per l’instabilità futura. Non è dato sapere quando, come, in base a quali regole si svolgerà la successione. L’attuale «imperatore rosso» sembra impegnato in una corsa contro il tempo, per consolidare il suo potere personale e al tempo stesso la potenza della Repubblica popolare nel mondo, approfittando del declino americano, prima che esplodano le crisi nascoste nel sistema cinese. Tutto questo ci riguarda più di quanto crediamo. Fermare Pechino ha un senso, se alludiamo alla necessità di

limitare i danni che Xi può infliggere al resto del mondo; fissare delle linee rosse che la sua smisurata ambizione non deve oltrepassare; proteggere i nostri interessi vitali e i nostri valori. La tragica vicenda di Hong Kong potrebbe insegnarci qualcosa. È un segnale d’allarme in molte direzioni. Xi ha distrutto quella piccola oasi di regole garantiste e diritti umani, eppure non sta pagando alcun prezzo. A garantirgli l’impunità non ci sono solo le nostre multinazionali e grandi banche per le quali «pecunia non olet». Anche nella società civile, nei mezzi d’informazione, tra gli intellettuali e tra i giovani, tanti fra noi pensano che i «valori dell’Occidente» siano un’espressione ipocrita, un mito da sfatare, un’impostura da smascherare. Ragion di più perché Xi sia certo che nessuno riuscirà a fermare Pechino.


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Quel sogno che ritorna

Politica e economia

Anniversario A 20 anni dalle contestazioni del G8 di Genova ripercorriamo la storia del movimento no-global.

Insieme al medico e attivista Vittorio Agnoletto cerchiamo di capire cos’è rimasto delle istanze che lo animarono

Romina Borla Vent’anni fa Genova diventò per qualche giorno il centro del mondo. Tra il 20 e il 22 luglio 2001 ospitò infatti il G8 – il vertice degli otto «grandi» della Terra – e il variegato popolo dei no-global che lo contestava. «Un altro mondo è possibile», era lo slogan dei manifestanti che sognavano una società diversa basata sulla giustizia sociale, sul rispetto dei diritti fondamentali e sul rifiuto della cruda logica del profitto. Il 19 luglio sfilò il primo corteo dedicato ai migranti: una festa. Però il giorno dopo il clima si incrinò. Iniziarono gli incidenti e le violenze dei black bloc, gruppo eterogeneo di individui che agivano ai margini del movimento pacifista con l’obiettivo di creare disordini. Intanto la polizia caricava la folla e i contenuti del «movimento dei movimenti» passarono in secondo piano. Ma quali erano le istanze che portarono alla formazione della rete di contestazione attiva in quegli anni e cos’è rimasto? Lo abbiamo chiesto a Vittorio Agnoletto – medico, professore universitario e attivista – all’epoca portavoce del Genoa social forum (Gfs). «Negli anni Novanta, in Italia e non solo, si verificò un gran proliferare di associazioni attive negli ambiti più disparati», spiega il nostro interlocutore. «Realtà che ad un certo punto si accorsero di avere degli avversari in comune e della necessità di unirsi per riuscire a cambiare le logiche inique che governavano il mondo». È così che nacque la rete noglobal. Agnoletto entra nel merito della sua esperienza, ritenendola esemplificativa. «Nel 2000 ero presidente della Lega italiana per la lotta contro l’Aids (Lila) e coordinavo la campagna europea di solidarietà al Sudafrica di Nelson Mandela, impegnato in un braccio di ferro con l’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) e big pharma per l’accesso ai farmaci contro l’Aids. In Sudafrica il 30 per cento delle donne dai 14 ai 40 anni era sieropositiva e i medicamenti antiretrovirali erano costosissimi. Mandela con una legge autorizzò le industrie locali a produrre i preparati scavalcando i brevetti. Allora una quarantina di multinazionali del farmaco fece ricorso all’Omc, bloccando la legge». Nell’aprile 2001, in seguito alla campagna internazionale di solidarietà nei confronti di

Mandela, le multinazionali si sedettero al tavolo delle trattative. Alla fine, comunque, i «grandi» della Terra decisero a favore dei brevetti e parallelamente crearono un Fondo globale per la lotta contro l’Aids, la tubercolosi e la malaria. Azione che l’intervistato definisce una pillola di carità che non poteva in alcun modo sostituirsi al diritto. «In quegli anni toccammo con mano il peso degli organismi internazionali che, pur non essendo eletti, incidevano sulla vita di miliardi di persone: oltre all’Omc, la Banca mondiale (Bm) e il Fondo monetario internazionale (Fmi). Ad esempio quest’ultimo spingeva i Paesi poveri a tagliare sulla sanità e sull’istruzione pubbliche in cambio di prestiti. Anche gli interventi economici promossi dalla Bm tendevano a trasformare il sistema sanitario di diverse Nazioni secondo logiche basate sul profitto. Capimmo insomma che la lotta per i farmaci contro l’Aids doveva passare per un cambiamento del ruolo degli organismi internazionali, i quali agivano sotto la regia del G8». Così la Lila – come molte altre realtà – aderì al movimento no-global. Un’espressione fuorviante, secondo Agnoletto: «Siamo stato il movimento più globale che l’umanità avesse incontrato fino a quel momento. Contestavamo la globalizzazione basata sulle iniquità, sui profitti enormi di pochi e la miseria della stragrande maggioranza della popolazione. Ci battevamo per una globalizzazione che mettesse al centro i diritti di tutte e tutti». La rete di contestazione globale salì agli onori della cronaca nel 1999, in occasione delle decise proteste contro il vertice dell’Omc in corso a Seattle, negli Usa. Poi, nel gennaio del 2001 in Brasile, a Porto Alegre, decine di migliaia di persone da tutto il mondo diedero vita al primo Forum sociale mondiale in contrapposizione al Wef di Davos. Nel luglio dello stesso anno arrivò Genova. Oltre 1200 associazioni costruirono il Gsf, dice il nostro interlocutore. Realtà diversissime s’incontrarono, dai centri sociali ai gruppi di missionari. «L’evento cominciò il 16 luglio con la seduta di apertura durante la quale l’economista filippino Walden Bello parlò di sfruttamento indiscriminato delle risorse del pianeta, di cambiamento climatico, di catastrofi imminenti. Ed è proprio dalla

Gli attimi di tensione tra attivisti e forze dell’ordine descritti dai testimoni ticinesi nell’articolo in calce. (Keystone)

deforestazione e dagli allevamenti intensivi che si sono sprigionate le peggiori epidemie degli ultimi 20 anni... Mentre la politologa Susan George avvertiva che se non fossimo riusciti a fermare il dominio della finanza sull’economia saremmo andati incontro a una crisi economica e sociale senza precedenti. E così è stato, dal 2007». A Genova si toccarono tanti altri temi ancora aperti: dal dramma annunciato dei migranti alla tobin tax (l’imposta sulle transazioni finanziarie), dalla cancellazione del debito estero dei Paesi poveri alla battaglia contro le disparità di genere, dalla necessità di difendere la democrazia al disarmo ecc. «Avevamo compreso verso quale disastro stava correndo il pianeta e cercavamo di avanzare delle proposte per cambiare il corso delle cose», osserva l’attivista. Ma qualcosa non ha funzionato e il movimento si è sfaldato pochi anni dopo. Come mai? Qualcuno mette in evidenza le difficoltà di tenere insieme le differenti anime che lo componevano e di avanzare proposte concrete, coerenti. Per Agnoletto è stata la violenza a bloccare l’entusiasmo. «Parlo della

L’esperienza dei ticinesi nella città ligure «Partimmo per Genova, in bus, il 21 luglio 2001», racconta una luganese allora 18.enne. «Era un viaggio promosso da un insieme di organizzazioni politiche e sociali attive in Svizzera. Non dissi nulla ai miei genitori per paura di essere bloccata visto quel che era accaduto il giorno prima: la morte di Carlo Giuliani. Dovevo andare. Bisognava esserci per tentare di cambiare un mondo che non funzionava. Partimmo all’alba ma in dogana ci fermarono. Ci fecero scendere tutti, fummo perquisiti e il nostro passaporto venne registrato». Era quasi divertente, continua la nostra interlocutrice: «Pareva di essere in un film ambientato in America Latina e ci sentivamo un po’ Che Guevara in missione, con le guardie di confine che ci osservavano in cagnesco. Alla fine trattennero in dogana alcuni ragazzi. Noi decidemmo di continuare il viaggio. All’arrivo ci aspettava un sole caldissimo e gente di ogni sorta: giovani, anziani, bambini. Persone di diverse sfumature politiche, rappresentanti di centri sociali ma anche suore, preti coi loro fedeli che pregavano per un mondo più giusto. Una folla immensa in attesa di diventare un solo

corpo, un corteo». Sul bus ticinese c’era anche Paolo, del Sopraceneri. «Il clima era buono, nonostante la tensione palpabile. Striscioni ovunque, bancarelle improvvisate. Si discuteva senza sosta». Mentre la città, ricorda l’uomo, era blindata. Transenne e militari ovunque. C’è chi parlava di 20 mila agenti schierati a difesa degli 8 «grandi» asserragliati nella zona rossa. «Era la meta del nostro corteo. A quel punto la fame si fece sentire. Nessun negozio aperto, figuriamoci i ristoranti. Ma dalle case la gente ci offriva acqua, panini, biscotti… Alcuni li calavano dalle finestre con le corde. Infine trovammo una pizzeria aperta. Il gestore era contento di poter soddisfare la fiumana affamata. Diceva di non avere mai fatto affari d’oro come in quell’occasione». Poi il corteo partì per conquistare la città accaldata. Sembrava andare tutto bene… Sembrava. «All’improvviso il clima cambiò», ricorda un’altra ticinese, Anna. «Mi voltai di scatto e vidi la folla dividersi nettamente in due. Nel mezzo, isolati, degli individui vestiti di nero, i famigerati black bloc, con spranghe e incappucciati. Che aria minacciosa! Avevano già messo

a ferro e fuoco la città…». Dal canto loro – prosegue Anna – i manifestanti pacifici iniziarono a urlare: «Andatevene, la violenza non la vogliamo». E le squadre nere svanirono nelle retrovie. «Ma le forze dell’ordine che, intervenendo, avevano diviso il corteo in due tronconi non parevano curarsene. Non sembravano cercare i black bloc. Attaccavano invece chiunque si trovasse sul loro cammino, anche gente innocua che nel frattempo si era fermata, anzi retrocedeva, con le mani alzate. Manganelli a destra e a manca, insomma, mentre dall’alto cominciarono a piovere lacrimogeni lanciati da un elicottero. Tentavamo di scappare ma eravamo troppi. Non si capiva più niente. Vedevo a pochi metri da me ragazzi a terra, sanguinanti. I miei occhi bruciavano terribilmente. L’ansia saliva. Il cordone di sicurezza impedì che succedesse di peggio, che la gente si schiacciasse». Qualcuno era paralizzato dalla paura, dice la nostra interlocutrice. Altri continuavano a scattare fotografie e girare video come forsennati. «Non siamo mai arrivati dove volevamo, ai limiti della zona rossa, e siamo stati testimoni di un deciso atto di violenza». / RB

repressione di piazza ma anche della brutalità mediatica che, salvo rare voci, si scatenò contro il movimento con l’obiettivo di spaccarlo. Poi arrivò l’11 settembre che modificò totalmente lo scenario: fino a quel momento la battaglia era tra liberismo e movimento altermondialista, dopo l’attacco alle Torri gemelle la narrazione si trasformò in Occidente contro terrorismo islamico». Così le varie realtà che diedero vita al «movimento dei movimenti» tornarono alle loro attività di sempre, afferma l’intervistato. «Ma le istanze che animarono le proteste degli anni Novanta sopravvissero e riemersero, anche se isolate, in più occasioni. Pensiamo al Comitato referendario per difendere l’acqua come bene comune o alle mobilitazioni contro il nucleare. Senza dimenticare Occupy Wall street, il movimento ambientalista Fridays for future, Black lives matter ecc.». Per Agnoletto oggi è più che mai necessario «riprendere quei discorsi ancora attualissimi e ritrovare il filo che

univa le realtà del Genoa social forum. Adesso un altro mondo è necessario, non solo possibile. Non fosse altro per la piramide sociale che vede il 9% della popolazione mondiale possedere il 84% della ricchezza globale (dati Credit Suisse 2018) e le marginalità diffuse anche all’interno dei Paesi ricchi». L’emergenza sanitaria ci offre un’ulteriore opportunità di riflessione, conclude Agnoletto che è tra i promotori della campagna Nessun profitto sulla pandemia la quale si propone di raccogliere le firme per chiedere alla Commissione europea di liberare i brevetti sui vaccini anti-Covid. «Quello che accade oggi richiama ciò che avvenne 20 anni fa: miliardi di persone in attesa dei vaccini, un pool di multinazionali che detiene i brevetti e alcuni Governi che si oppongono alla proposta di sospenderli. Le logiche del mondo non sono cambiate, in certi casi sono addirittura peggiorate. Per questo è necessario tornare a Genova, per ripartire da quei contenuti, attualizzarli e guardare al futuro».

Seattle, carlo Giuliani e le torture ■ No-global. Movimento assai variegato di gruppi e associazioni che a partire dalla fine degli anni Novanta si oppose al neoliberismo economico e al processo di globalizzazione, considerati fonte di inaccettabili diseguaglianze tra nord e sud del mondo e all’interno delle singole Nazioni. I suoi militanti posero in particolare sotto accusa il potere delle multinazionali e le politiche portate avanti da Fondo monetario internazionale (Fmi), Organizzazione mondiale del commercio (Omc) e Banca mondiale (Bm). La rete no-global – balzata agli onori della cronaca nel 1999 in occasione delle contestazioni del vertice dell’Omc a Seattle – promuoveva la democrazia diretta e partecipativa, la giustizia sociale ed economica, il consumo critico, lo sviluppo sostenibile, il rispetto per l’ambiente e la pace. ■ Genoa social forum (Gsf). Organizzato dalla rete no-global, è stato il vertice alternativo al G8, il foro di cooperazione tra i Paesi più industrializzati del mondo (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Gran Bretagna, Russia e Usa), in programma dal 20 al 22 luglio 2001 a Genova (padrone di casa l’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi). In quei giorni il clima era molto teso e in più occasioni scoppiarono gravi disordini tra dimo-

stranti e forze dell’ordine. Il 20 luglio Carlo Giuliani, un giovane manifestante, perse la vita. Fu un carabiniere a sparare al 23.enne in procinto di lanciare un estintore contro i militari che presidiavano Piazza Alimonda. In generale le autorità non esitarono a usare i manganelli ufficialmente «in risposta alle violenze dei black bloc», tra l’altro totalmente estranei alle forze raccolte dal Gsf. Ricordiamo due episodi particolarmente cruenti: l’assalto alla scuola Diaz (21 luglio), che ospitava diversi attivisti per la notte, e le violenze perpetrate nella caserma di Bolzaneto, sede del reparto mobile di Genova, dove furono condotti i manifestanti fermati durante gli scontri di piazza. Amnesty international definì i fatti di Genova «la più grave violazione dei diritti umani occorsa in una democrazia occidentale dal dopoguerra». Senza contare le sentenze di condanna delle violenze contro i dimostranti e i pronunciamenti della Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale parlò di «atti di tortura» compiuti dalle forze dell’ordine e condannò lo Stato italiano per non aver condotto un’indagine efficace in merito. ■ Gli eventi nel 2021. Tra il 18 e il 22 luglio si terranno a Genova una serie di eventi per capire che cosa è accaduto 20 anni fa e per ragionare sul presente.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 luglio 2021 • N. 27

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Politica e economia

In Francia vince il disinteresse Prospettive I partiti di Emmanuel Macron e Marine Le Pen escono con le ossa rotte dalle elezioni regionali.

Mentre le formazioni tradizionali riguadagnano terreno ma il dato che più sorprende è il forte astensionismo

Marzio Rigonalli Negli ultimi quattro anni il sistema politico francese si è concentrato principalmente su due nomi: Emmanuel Macron e Marine Le Pen. Il presidente in carica e la presidente del Rassemblement national sono stati i due finalisti dell’ultima elezione presidenziale nel 2017 e la maggior parte dei sondaggi prevedevano il ripetersi del duello anche all’elezione dell’anno prossimo, programmata nel corso del mese di aprile. Alle altre forze politiche e ai loro leader venivano riservati ruoli di secondo piano, se non addirittura marginali. In particolare, ai vecchi partiti dominanti, quelli del centro destra e della sinistra, come i gollisti e i socialisti, veniva annunciata la loro progressiva scomparsa. Eppure, come è noto, sono partiti che sono sempre stati centrali nell’elezione dei presidenti della Quinta Repubblica, fino all’arrivo di Macron. L’elezione delle autorità delle Regioni e dei Dipartimenti territoriali, avvenute nelle due ultime settimane, ha costituito una novità. Ha portato una boccata d’ossigeno in un sistema che appariva chiuso, quasi ingessato, e adesso mette sul tavolo ipotesi che potrebbero far sorgere dubbi sul tanto annunciato duello.

Non è facile prevedere in che misura i risultati delle elezioni regionali potranno influire sull’elezione presidenziale della prossima primavera Due sono stati i principali vincitori di queste elezioni regionali e altrettanti sono stati i principali sconfitti. Tra i vincenti spiccano i Repubblicani (Les Républicains, Lr), che sono riusciti a conservare le sette regioni su tredici che detenevano prima dello scrutinio, e i socialisti che sono rimasti alla guida di cinque regioni. In altre parole i due principali vecchi partiti hanno dato un segnale forte a tutti coloro che annunciavano il loro funerale. Tra i perdenti Marine Le Pen e Emmanuel Macron si dividono il primo posto. Il Rassemblement national non ha raggiunto nessuno degli obiettivi che si era posto, in particolare quello di conquistare almeno una regione. Ha perso terreno un po’ dappertutto e l’ambizione di Marine Le Pen di trasformare quest’elezione in un trampolino verso il futuro appuntamento presidenziale, è stata vanificata. La République en marche del presidente Macron ha dovuto accontentarsi delle briciole, come era già successo alle elezioni comunali del 2020. Non è riuscita a concludere alleanze elettorali regionali e, dati gli scarsi risultati del primo turno, inferiori al 10%, non ha potuto presentarsi al secondo turno in quasi tutte le regioni. Il partito del presidente ha una sola attenuante: quella di essere un movimento che ha soltanto quattro anni e che finora ha poche radici nel territorio. In che misura i risultati di queste elezioni regionali potranno influire sull’elezione presidenziale della prossima primavera? Il duello Macron-Le Pen potrà essere annullato dalla presenza di uno o due altri candidati? Il ritorno in primo piano di un vecchio partito è un’ipotesi seria che merita di essere presa in considerazione? Sono le domande che si pongono un po’ tutti gli osservatori e alle quali non è facile dare una risposta. Due almeno sono i

L’astensionismo si spiega anche con le difficoltà legate alla pandemia. (AFP)

fatti che meritano di essere considerati prima di abbozzare possibili proiezioni. Il primo è la forte astensione che ha caratterizzato questo appuntamento elettorale. Due francesi su tre non hanno votato, né al primo né al secondo turno, nonostante le numerose sollecitazioni degli Stati maggiori dei partiti tra i due turni. È un risultato negativo dalle proporzioni inconsuete per la Francia, che mostra un importante fossato tra gli elettori e i loro rappresentanti, in cui molti hanno visto un sisma politico. Le ragioni sono diverse, legate in parte al difficile momento vissuto con la pandemia e in parte attribuibili a un preoccupante disinteresse per la politica e per l’offerta politica che i partiti riescono a presentare. L’alto numero dei non votanti lascia incerta la previsione sul loro futuro ritorno alle urne e su come voteranno in una prossima occasione. Il secondo fatto importante riguarda la natura della consultazione. Le Regioni hanno poteri limitati, ben inferiori a quelli detenuti per esempio dalle Regioni tedesche o da quelle italiane. Possono agire sullo sviluppo economico, sui trasporti, sui licei e sullo sviluppo del territorio. Pur toccando problemi della realtà quotidiana degli elettori, lo scrutinio regionale non riesce a suscitare neanche una parte dell’interesse e della partecipazione, ricca anche di emozioni, che possono caratterizzare l’elezione presidenziale. La scelta del presidente è molto personalizzata e determinante per cinque anni. Risulta quindi difficile tracciare legami tra un’elezione regionale e quella che viene definita la regina delle elezioni della Quinta Repubblica. I risultati delle elezioni regionali hanno reso il quadro politico più complicato e intralceranno il tentativo di Emmanuel Macron e di Marine Le Pen di attirare gli elettori della destra repubblicana. Macron tenta di convincere gli elettori liberali, centristi ed europeisti. Le Pen mira a sedurre gli elettori più radicali e anti-europeisti. È ormai probabile che almeno due altri candidati riusciranno a svolgere un ruolo importante al primo turno di fronte al presidente uscente e alla leader del Rassemblement national. Il primo candidato sorgerà dai Repubblicani. Tre sono i pretendenti e sono tutti presidenti di regione. Sono stati rieletti una settimana fa e hanno otte-

nuto un risultato che li rafforza: Xavier Bertrand, presidente dell’Alta Francia; Valérie Pécresse, presidente dell’Îlede-France e Laurent Wauquiez, presi-

dente dell’Alvernia-Rodano-Alpi. La battaglia tra i tre potenziali candidati si annuncia accesa e rischia di lasciare ferite all’interno del partito. La scelta

definitiva avverrà probabilmente nel corso del mese di novembre. Il secondo candidato potrebbe arrivare dalla sinistra, se le forze che formano questo schieramento riusciranno a mettersi d’accordo e a designare un loro unico rappresentante. Trattasi dei socialisti, che hanno superato bene lo scoglio delle regionali, dei verdi (Europe ecologie les verts), che hanno perso un po’ di slancio, dopo i lusinghieri successi ottenuti alle elezioni europee nel 2019 e alle elezioni comunali del 2020, e della France insoumise, il movimento creato nel 2016 per sostenere la candidatura di Jean-Luc Mélanchon nell’elezione presidenziale del 2017. Mélanchon si è già proclamato candidato alcuni mesi or sono. Mancano ormai un po’ meno di dieci mesi all’attesa elezione presidenziale. Adesso molto dipenderà da quello che succederà nei prossimi mesi. In primo luogo dalla capacità di Macron di gestire la fine della pandemia, di favorire il rilancio dell’economia, di ridurre le disuguaglianze economiche e sociali, nonché di proporre soluzioni condivisibili in settori come il clima e le riforme interne. Anche le opposizioni, ovviamente, hanno un ruolo da svolgere. Chi riuscirà a profilarsi, a convincere, e quindi a rappresentare un’alternativa, potrà dare molto fastidio al presidente uscente e rendere incerto l’esito finale. Annuncio pubblicitario

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Politica e economia

La rivincita dei talebani

Il punto Con il ritiro delle truppe occidentali il Paese torna in balia degli estremisti islamici che avanzano, distretto

dopo distretto. Per contrastarli si organizzano delle milizie locali e il rischio di una guerra civile è sempre più alto

Daniele Raineri Alcune settimane fa il ministro della Difesa italiano, Lorenzo Guerini, è andato alla cerimonia dell’ammaina bandiera nella base di Herat, nell’Afghanistan occidentale. Davanti ai due file di soldati italiani, albanesi e americani – e dentro l’hangar degli elicotteri per ripararsi dai 40 gradi del tardo pomeriggio – ha elogiato «la missione di stabilizzazione» nel Paese e poi ha annunciato un’altra missione, molto più piccola, per portare in salvo i traduttori e tutti gli afghani che hanno aiutato in questi anni i militari italiani. Potrebbero essere più di 600 persone, tutte evacuate dall’Afghanistan e portate in Italia per sfuggire alla vendetta dei talebani. Due traduttori erano presenti fuori dall’hangar e hanno spiegato che rischiano la vita perché i fanatici potrebbero trattarli come collaborazionisti e ucciderli. Anche gli altri contingenti stanno portando avanti operazioni simili per i loro traduttori, dopo che alcuni sono stati assassinati. La contraddizione tra questi anni di cosiddetta stabilizzazione e l’annuncio dell’evacuazione dei traduttori è molto chiara ed è anche la prova di un segreto conosciuto da tutti: il ritiro delle truppe americane e della Nato equivale a dare un’enorme chance di vittoria ai talebani, che non vedono l’ora di riprendersi con la violenza il Paese, che fino al 2001 era in gran parte sotto il loro controllo.

I talebani sono per loro natura irriducibili e impermeabili al compromesso, vogliono solo vincere Su una porta del comando militare dentro la base di Herat c’è scritto a lettere cubitali «Winners never quit, quitter never win»: i vincitori non mollano e chi molla non vince mai. I talebani non potrebbero essere più d’accordo. E proprio su questo concetto si basava fin dall’inizio della guerra la loro strategia a lungo termine: aspettare che i contingenti stranieri dopo decenni di sostegno al Governo di Kabul lasciassero il teatro delle operazioni. Sapevano che prima o poi la ragione politica della presenza in Afghanistan sarebbe diventata incomprensibile agli elettori di Paesi lontani e che sarebbe tornato il loro momento. Così, dopo essere stati cacciati 20 anni fa dall’accoppiata micidiale dei bombar-

Truppe statunitensi nella base operativa in provincia di Paktika in procinto di tornare a casa. (Keystone)

damenti americani dal cielo e dalle forze dell’Alleanza del nord a terra, si sono riorganizzati anche con l’aiuto del Pakistan e adesso stanno devastando le linee di difesa dell’esercito afghano. Sono sopravvissuti a decenni di guerriglia contro i soldati occidentali, per loro adesso è iniziata la discesa. Ogni giorno conquistano nuovi distretti e ne perdono altri, questo rende il conteggio provvisorio. I numeri più affidabili dicono che il 29 giugno i talebani controllavano 157 distretti degli oltre 400 nei quali è diviso l’Afghanistan. Quindi da quando hanno cominciato l’offensiva per approfittare del ritiro americano, il primo di maggio, hanno preso 80 distretti. I pochi soldati occidentali in Afghanistan da tempo non uscivano più a combattere ma avevano un ruolo cruciale. Guidavano i bombardamenti, raccoglievano informazioni, usavano la loro tecnologia superiore e facevano da tappo contro l’avanzata talebana. In un certo senso per loro la guerra era già finita da anni, come risulta chiaro dal fatto che non c’erano più perdite. In Occidente si parlava ancora di «guerra in Afghanistan» ed era materia di dibattito politico, ma il conflitto sul campo era stato lasciato da molto tempo ai soldati afghani. Tolto il tappo ora la guerriglia dilaga. Eppure non doveva essere così,

secondo i piani. L’Amministrazione Trump aveva presentato il ritiro dall’Afghanistan come l’occasione per una riconciliazione politica tra i talebani e Governo centrale di Kabul. Per alcuni mesi se ne è parlato come se fosse un’ipotesi realistica e Trump voleva addirittura invitare i capi talebani a Camp David negli Stati uniti per siglare un accordo di pace. In teoria i guerriglieri avrebbero dovuto accettare un patto di convivenza col Governo. In cambio avrebbero ottenuto concessioni e un ruolo nell’amministrare l’Afghanistan. Sarebbero diventati l’ala dura e intransigente della politica afghana. Poi la faccenda è stata messa a fuoco meglio. Non c’è alcuna riconciliazione in vista tra talebani e Governo centrale, i talebani sono per loro natura irriducibili e impermeabili al compromesso, non vogliono entrare in una grande coalizione politica e fare la parte del partito religioso. Vogliono vincere la guerra civile e massacrare chi si oppone. Il ritiro americano non è un accordo che a questo punto si basa sulle condizioni, nel senso che non ci sono più richieste che i talebani devono soddisfare altrimenti si annulla tutto. Ormai il ritiro si basa soltanto sul calendario e i talebani sono liberi di fare quello che vogliono. E in effetti fanno già quello che vogliono, con l’accortezza di non attaccare

le truppe straniere per non creare ritardi nel ritiro (i talebani devono avere una loro variante locale del proverbio «al nemico che fugge ponti d’oro»). Distretto dopo distretto, i soldati afghani lasciati senza rinforzi e senza munizioni si arrendono agli estremisti e consegnano loro tutto l’equipaggiamento militare – lo stesso fornito dagli americani in molti casi – in cambio della vita. Così la guerriglia sta cavalcando una valanga in via di ingrossamento che porta verso le città più grandi del Paese. Il Governo afghano in questi anni aveva adottato una strategia fallimentare: aveva deciso di proteggere le città e le grandi arterie e non aveva investito, in termini militari, nella difesa e nella caccia ai talebani nelle immense aree rurali del Paese. Il risultato è stato che i talebani hanno infestato le campagne e ora, da padroni della situazione, si affacciano sulle strade che portano verso la capitale e verso i centri urbani. Ora, non è così scontato che i guerriglieri un giorno riescano a conquistare di nuovo Kabul e altre città, perché è vero che stanno facendo grandi progressi nelle zone rurali, ma i centri urbani sono molto meglio difesi. Ci sono molti afghani che non hanno alcuna intenzione di tornare a vivere sotto il controllo dei talebani e si stanno organizzando in milizie con lo scopo di fare quello che l’esercito non

riesce più a fare: contenere i guerriglieri. Prima dell’arrivo degli americani il nord del Paese si era già organizzato in questo modo e resisteva da solo agli estremisti, è molto probabile che vedremo di nuovo una spaccatura simile dell’Afghanistan. Settimana scorsa anche il generale americano, Austin Miller, ha ammesso che il rischio della guerra civile nel Paese è dietro l’angolo. Gli americani hanno ammonito: se i talebani continuano a fare pressione e ad avanzare, rallenteremo il ritiro. Alla Casa bianca si rendono conto che la fine della missione militare in Afghanistan dopo vent’anni di cosiddetta «guerra senza fine» piace agli elettori, ma se ci fossero massacri quando ancora i soldati americani sono nel Paese allora la storia comincerebbe a essere raccontata come una scommessa perduta in politica estera. Inoltre il Governo di Kabul si sta guardando attorno. Se gli americani e la Nato se ne vanno, ci sarà qualche altro Paese che avrà interesse a mantenere una presenza militare in Afghanistan in cambio della posizione – che è strategica, in mezzo all’Asia – e della possibilità di sfruttare le risorse. La Cina, la Russia o l’Iran potrebbero tendere la mano a Kabul, anche per combattere contro il vivaio prossimo venturo di estremisti che si sta creando così vicino a loro. Annuncio pubblicitario

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Politica e economia

Dagli highlanders a Sturgeon

corsi e ricorsi La Brexit ha fatto riemergere l’irresistibile pulsione anti-inglese che caratterizza il popolo scozzese.

Quell’astio collegato anche alla volontà di Londra di imporre l’anglicanesimo all’intera Gran Bretagna Alfredo Venturi Il Regno unito ha lasciato l’Europa? E noi lasceremo il Regno unito! Per gli indipendentisti scozzesi la questione è molto semplice, intenzionati come sono a usare la Brexit per sbarazzarsi della sovranità britannica. Una prima volta il tentativo fallì, il 18 settembre 2014 prevalse il no al clamoroso disimpegno scozzese. Ma ora, dopo che la Gran Bretagna nel suo insieme è uscita dall’Unione europea, ci vogliono riprovare e si mostrano assai sicuri del fatto loro. Siamo maggioranza, finalmente ci libereremo di Londra! Il miraggio è tenace, legato a una sofferta nostalgia, la evocano i versi dell’antica ballata che canta una battaglia perduta seguita dalla strage dei vinti. Sono versi carichi di malinconia: «Sulla brughiera soffia un vento freddo, fiammeggiano i fuochi che scaldano il nemico. È questo il raccolto di Culloden: qui crescono il dolore, la paura, la morte». Il 16 aprile 1745 la battaglia di Culloden pose fine al sogno di una Scozia sovrana, oltre che alle ambizioni di Carlo Edoardo Stuart, il pretendente cattolico che voleva insediarsi sul trono inglese al posto di Guglielmo II di Hannover. Sono passati poco meno di tre secoli dalla cruenta disfatta dei giacobiti e quel sogno viene ora trasferito dalla storia all’attualità dopo che la Gran Bretagna si è congedata dall’Unione europea. Il fatto è che quel 23 giugno del 2016, il giorno in cui il 52 per cento dell’elettorato britannico volta le spalle all’Europa, in Scozia prevale la scelta opposta del remain. È vero che più tardi viene respinta per referendum dal 55 per cento degli elettori la proposta di abbandonare il Regno unito e ricreare lo Stato sovrano, ma il 6 maggio 2021 il Partito nazionale scozzese della combattiva Nicola Sturgeon stravince le elezioni affermandosi come principale forza politica nel Parlamento scozzese. Ecco allora riaffacciarsi la prospettiva di un recupero spettacolare della sovranità, del distacco da Lon-

dra, del ritorno fra le braccia dell’Unione europea. Per molti, fra le brughiere, le alte terre e la splendida Edimburgo, è una pulsione irresistibile, non tanto filoeuropea quanto anti-inglese. La storia lascia spesso tracce incancellabili. Il secondo referendum richiesto da Sturgeon si deciderebbe con un margine contenuto al di sopra e al di sotto del cinquanta per cento ma segnerebbe il destino dei Paese: si vota pro o contro la secessione. L’esito potrebbe privare la union jack, il vessillo britannico, della croce bianco-blu di sant’Andrea, lasciandovi solo il rosso e il bianco delle altre due croci, l’inglese di San Giorgio e l’irlandese di San Patrizio. Sempre che anche i nord-irlandesi non se ne vadano, visto quanto costa la Brexit per via del confine con l’Irlanda rimasta nell’Unione. E sempre che non prevalga la tesi di Londra secondo cui non si cambierebbe nulla perché la bandiera dalle tre croci ha segnato la storia sventolando su tutti i trionfi britannici, dalla conquista dell’impero alla sconfitta di Napoleone alle due guerre mondiali. Del resto agli indipendentisti il destino della union jack non interessa più di tanto, a loro basta liberarsene inalberando il blu e il bianco dei colori nazionali. In fondo perché mai la Scozia dovrebbe prendere ordini dagli inglesi? Non è forse il Paese che a differenza del resto della Britannia seppe resistere ai romani, tanto che dopo i vani tentativi di conquista fu separato dalle terre sottomesse con una poderosa linea fortificata? Il Vallo di Adriano era presidiato da reparti scelti, legionari incaricati di difendere il limes dalle incursioni dei caledoni, i bellicosi antenati degli scozzesi. Agli ordini di Londra il fiero Paese degli highlanders, gli uomini delle alte terre le cui furibonde cariche seminavano scompiglio e morte nelle file nemiche? Anche a Culloden quegli impetuosi guerrieri si avventarono urlando contro gli ordinati reparti del duca di Cumberland, ma il loro slancio s’impantanò nel

La bandiera scozzese: la croce bianco-blu di sant’Andrea. (Shutterstock)

terreno acquitrinoso, mentre i moschetti degli inglesi sparavano nel mucchio. Una giornata tragica, quella dell’ultima battaglia combattuta sul suolo britannico. Ben diversa dal combattimento di poco più di mezzo secolo prima a Killiecrankie, dove agli highlanders bastò una decina di minuti per travolgere le forze del generale MacKay. Fu quello il loro ultimo successo, a Culloden solo «il dolore, la paura, la morte». Dopo la sconfitta, la strage. Lord Cumberland, che cavalcava agitando la spada rossa di sangue, non ordinò forse di massacrare feriti e prigionieri? Non si guadagnò forse l’osceno titolo di butcher? Proprio così, macellaio, per lui

i giacobiti non erano altro che ribelli e traditori. Quel che accadde dopo Culloden assomiglia molto a ciò che un giorno si chiamerà genocidio. Stragi nei villaggi, strutture di potere decapitate. Proibito parlare gaelico, proibito indossare il kilt, distrutta la cultura dei clan e del tartan. Vietati i culti diversi dall’anglicano. Addio alla cornamusa, ora quel suono lamentoso si sente soltanto nei reggimenti scozzesi inquadrati negli eserciti del re d’Inghilterra. Perché la Scozia non fu mai compatta, la frammentazione del potere è un suo tratto distintivo, come nella tradizione che voleva ogni clan individualmente sovrano. Persino a Culloden c’erano

reparti scozzesi fra le truppe lealiste. È la stessa situazione che si registra oggi nella pacifica battaglia del voto: indipendentisti da una parte, lealisti dall’altra, la maggioranza che oscilla attorno alla barra del cinquanta per cento. Perché la Scozia non è abitata soltanto da scozzesi, non tutti sono sensibili al retaggio storico come i fautori dello Stato sovrano. Ora il successo di Nicola Sturgeon segnala uno spostamento dell’equilibrio verso coloro che aspirano alla sovranità e al rientro nell’Unione europea. Di qui la prospettiva del secondo referendum per riproporre al mondo una Scozia indipendente. Come l’antico Regno che dal Medioevo attraversa i secoli fino all’inizio del Seicento, quando l’accesso del sovrano scozzese Giacomo VI Stuart al trono d’Inghilterra come Giacomo I porta all’unione personale dei tre Regni. Invano insorge la popolazione a Edimburgo e nel resto del Paese anticipando le rivolte giacobite come quella finita nel sangue di Culloden, ormai il meccanismo della successione ha offerto un supporto giuridico alle mire inglesi sulla parte settentrionale dell’isola. Un secolo più tardi i tre Stati si dissolvono nel Regno unito di Gran Bretagna e Irlanda, poi ristretto nell’attuale Regno unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord. La Brexit ha fatto riemergere dalle brume del tempo la secolare rivalità anglo-scozzese, legata anche al dissidio religioso scaturito dalla pretesa di imporre la chiesa anglicana all’intera Gran Bretagna. Sullo sfondo la parentesi cattolica impersonata dagli Stuart a cominciare da Maria Stuarda, regina di Scozia fin da neonata e secondo il partito legittimista vera sovrana inglese, che Elisabetta I, usurpatrice secondo questo punto di vista, manderà al patibolo. È anche in nome della sventurata regina che si protrae nei secoli fino al disastro di Culloden la grande ossessione giacobita: collocare uno Stuart, cattolico e scozzese, sul trono d’Inghilterra.

Tendenze attuali del mercato immobiliare La consulenza della Banca Migros Annica Anna Pohl

Annica Anna Pohl Responsabile del settore commercializzazione presso CSL Immobilien. www.csl-immobilien.ch

Nell’ultimo anno il settore abitativo ha assunto ancora più importanza. I prezzi di affitto e acquisto negli agglomerati svizzeri hanno subito un ulteriore aumento rispetto al semestre precedente. Nel mercato locativo restano sempre molto apprezzate le aree urbane, per quanto l’offerta tenda a mantenersi bassa, come indica chiaramente la quota di abitazioni vuote che si attesta sotto allo 0,5%. In diversi quartieri cittadini si è registrato un aumento degli affitti dovuto alla scarsità dell’offerta e alla domanda elevata. La situazione è totalmente diversa nelle aree non urbane dove, in controtendenza rispetto alle città, il numero di giorni di inserimento degli annunci è salito. L’offerta, decisamente più alta, non riesce più a essere assorbita dal mercato, fenomeno dovuto anche al gran numero di nuove costruzioni erette negli ultimi anni: i potenziali affittuari hanno ampie possibilità di scelta e il mercato appare chiaramente saturo. Un’altra tendenza del mercato degli alloggi è l’esigenza di più camere e di una superficie abitativa maggiore. Tuttavia, per soddisfare questo desiderio bisogna allontanarsi dal centro: in città occorre scendere a compromessi scegliendo appartamenti più piccoli.

Livelli di affitto nelle 5 maggiori città svizzere

Anche il mercato delle abitazioni di proprietà mostra un trend evidente: i prezzi di acquisto elevati e la minore durata degli annunci sono riconducibili alla carenza dell’offerta. Nonostante l’offerta limitata e le condizioni di fi-

nanziamento vantaggiose non si assiste necessariamente a un aumento degli interessati, che si dimostrano selettivi e prudenti quando si tratta di acquistare una proprietà. Dati i nuovi modelli di lavoro emergenti, dalla possibili-

tà parziale di home-office agli orari flessibili, il tragitto casa-lavoro non è più un criterio di scelta determinante. Tuttavia, molti potenziali acquirenti escludono del tutto di spostarsi in un altro Cantone.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 luglio 2021 • N. 27

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Politica e economia

eleggere il consiglio federale in blocco per rafforzare la collegialità Berna Il Governo svizzero è composto da tanti solisti, ciascuno con personalità e percorsi differenti. Il politologo

AdrianVatter ne traccia i profili e propone alcune riforme per migliorare il loro lavoro e l’intero sistema

Luca Beti Che profilo hanno i consiglieri federali? Quali tratti della personalità li distinguono? E a quali riforme va sottoposto il governo? A questi e a molti altri interrogativi risponde la pubblicazione Der Bundesrat di Adrian Vatter. Si tratta della prima monografia sul Consiglio federale in Svizzera. L’opera può essere suddivisa in tre parti. Nella prima il professore di scienze politiche dell’Università di Berna presenta una visione d’insieme del Governo, nella seconda traccia sei profili da un punto di vista delle scienze sociali sulla base di un sondaggio svolto tra ex e attuali consiglieri federali. «Quasi tutti hanno risposto alla mia lista di domande, anche quelli in carica», spiega Vatter. «Alcuni li ho incontrati personalmente. Ad esempio ho raggiunto Flavio Cotti e sua moglie a Locarno dove ho trascorso con loro un piacevole pomeriggio». Infine, nella terza parte, il politologo illustra alcune riforme per migliorare l’organizzazione e il lavoro in seno al Consiglio federale. Signor Vatter, nel suo libro delinea sei profili per classificare tutti o quasi tutti i membri del consiglio federale. A quale profilo può essere abbinato Ignazio cassis?

Non è facile classificare i consiglieri federali ancora in carica perché il loro profilo cambia con il passare degli anni. Qual è il profilo di Ignazio Cassis? È difficile rispondere a questa domanda perché ha diversi tratti della personalità. Per esempio, è molto popolare, soprattutto in Ticino, ha tratti da reggente e allo stesso tempo non è un tipico amministratore e politico della concordanza. A volte ho l’impressione che appartenga alla categoria degli incompresi. Ma è anche un tipico consigliere federale del suo tempo, un’epoca caratterizzata da una forte polarizzazione, mediatizzazione, internazionalizzazione e personalizzazione della politica. ci sono dei consiglieri federali che si possono associare a un profilo preciso?

Sì, certo. Per esempio, Adolf Ogi è stato un ministro «popolare». Era un ottimo comunicatore, una caratteristica che gli permetteva di essere molto convincente durante le campagne elettorali o in vista di una votazione. I «popolari» sono consiglieri federali in cui la gente si identifica. Sono socievoli, estroversi, carismatici e su di loro si narrano curiosi aneddoti. Ad esempio, Ogi aveva l’abitudine di regalare un cristallo dell’Oberland bernese ai capi di Stato in visita in Svizzera. A questa categoria appartengono anche Willy Richard, Doris Leuthard, Giuseppe Motta o Nello Celio. Poi ci sono gli «intellettuali». Si occupano volentieri di questioni di filosofia politica e di politica statale. Di regola hanno un’ottima formazione accademica, danno molta importanza alle loro apparizioni in pubblico e ai loro discorsi. La gestione dell’amministrazione del loro dipartimento ha un ruolo secondario. Tipici rappresentanti degli «intellettuali» sono stati Moritz Leuenberger, Giuseppe Lepori e Stefano Franscini. I «reggenti» sono personalità dominanti, maschi o donne alfa, sono animali politici che vogliono esercitare potere e influenza. Amano il confronto, la provocazione e la polemica. A questo gruppo appartenevano Miche-

Il suo Der Bundesrat è la prima monografia politica sul Consiglio federale.

line Calmy-Rey, Pascal Couchepin ma anche Flavio Cotti o Kurt Furgler.

Rudolf Friedrich o Alphons Egli sono tipici rappresentanti di questo profilo.

Assolutamente. Ha caratteristiche tipiche di questo profilo. Ma come Elisabeth Kopp, anche lui fa parte di quei consiglieri federali che non possono essere associati a un unico profilo. Blocher godeva di grande popolarità e, nonostante sedesse in Consiglio federale, continuava ad essere l’ideologo e leader dell’Udc.

Se escludiamo le ministre attualmente in carica, finora solo sei donne hanno occupato un seggio in Governo. Le possiamo abbinare a tutti i profili: abbiamo avuto una «reggente» con Calmy-Rey, una «popolare» con Leuthard, una «amministratrice» con Widmer-Schlumpf, una «mediatrice» con Dreifuss. Non c’è però mai stata una consigliera federale «incompresa». Ciò significa che una donna deve avere tutte le carte in regola per essere eletta in Consiglio federale.

christoph Blocher non può essere considerato un «reggente»?

ed eveline Widmer-Schlumpf che gli subentrò in consiglio federale?

Lei è una tipica «amministratrice». Più che governare, questi consiglieri federali gestiscono l’Amministrazione e danno molta importanza alla loro funzione di capi dipartimento. Sono molto ligi al dovere, pragmatici, concilianti, gran lavoratori.

Lo studioso ha elaborato sei tipologie in cui si possono iscrivere le attitudini dei vari Consiglieri ci mancano ancora i «mediatori» e gli «incompresi».

Ruth Dreifuss è stata una «mediatrice». Con intelligenza e pragmatismo ha saputo trovare delle maggioranze che le hanno permesso, ad esempio, di concretizzare la politica in materia di droghe basata sui quattro pilastri, strategia considerata ancora oggi pionieristica. Ma anche Samuel Schmid, Kaspar Villiger e Arnold Koller hanno tratti della personalità che corrispondono a questo profilo. Per gli «incompresi» la carica di consigliere federale è in primo luogo un peso e non un’opportunità per dare la propria impronta alla politica della Svizzera. Di solito sono coscienziosi e introversi. Non amano prendere decisioni e non sono dotati di uno spiccato istinto politico. Per questo motivo sono spesso bersaglio di giochetti di partito e intrighi. Pierre Aubert,

e cosa ci può dire delle consigliere federali donne?

Da più di un anno il consiglio federale è confrontato con una crisi senza precedenti. Quali debolezze ha evidenziato la pandemia?

Da una parte trovo che il Governo se la stia cavando egregiamente. Dall’altra la crisi ha fatto emergere alcune debolezze strutturali. In una situazione critica si deve decidere in fretta, ma in un consesso di sette persone serve indubbiamente del tempo per operare delle scelte. In certi momenti mi è mancata una guida chiara da parte del Consiglio federale. Gouverner c’est prevoir, ma il Governo non ha definito chiaramente come intende affrontare le sfide principali in una strategia politica sul lungo termine. Anche nella gestione della pandemia si è notata una certa mancanza di lungimiranza. colpa anche dell’attuale composizione del Governo? Servivano ministri con altri profili?

Anche se non perfetta, l’attuale combinazione in Consiglio federale non è male. Alain Berset è una sorta di capo branco, Simonetta Sommaruga e altre consigliere federali sono politiche votate alla concordanza, poi ci sono ottimi «amministratori». Ciò che si nota è una certa difficoltà a prendere una decisione. È una debolezza dell’attuale composizione che emerge anche nell’ambito della discussione sull’accordo quadro. Durante la pandemia e nonostante la forte pressione, in generale l’Esecutivo ha continuato

a funzionare molto bene, non si è spaccato e si è presentato quasi sempre come un organo collegiale.

ci sono stati invece momenti in cui la composizione governativa era tutt’altro che ideale?

Tra il 2004 e il 2007 sedevano in governo tre «reggenti», una donna e due uomini alfa: Micheline Calmy-Rey, Christoph Blocher e Pascal Couchepin. Tre capibranco sono troppi in Governo. Uno o due sono il massimo che può tollerare un sistema collegiale. È stato un periodo difficile per tutti i consiglieri federali. Se da una parte, come dice lei, il consiglio federale se l’è cavata egregiamente durante questa crisi, dall’altra avrebbe potuto fare meglio. Quali riforme propone?

Secondo me sarebbe opportuno riformare il sistema di elezione del Governo. L’attuale procedura promuove l’individualismo, l’egocentrismo, i solisti che si concentrano solo sul loro dipartimento. La mia idea è di introdurre un’elezione in blocco di tutti i membri dell’Esecutivo. L’intento è rafforzare il gruppo e la collegialità. Per migliorare la capacità di coordinazione e pianificazione del Consiglio federale sarebbe auspicabile creare un dipartimento presidenziale, come lo si conosce in alcune città e Cantoni. Infine, per migliorare la coerenza in seno al Governo sarebbe utile introdurre una specie di contratto di concordanza in cui vengono definite le priorità politiche del Governo per la prossima legislatura. Da decenni si discute su un’altra riforma del consiglio federale per migliorare la rappresentanza linguistica e regionale. c’è chi propone di aumentare il numero di membri da sette a nove, o addirittura a undici. che ne pensa di questa idea?

L’equa rappresentanza in Governo è una richiesta giustificata, ad esempio espressa da due iniziative cantonali presentate in passato dal Canton Ticino. Se paragonato con gli Esecutivi di Austria, Italia, Germania o Francia, composti da 15 fino a 25 ministri, il

Consiglio federale è molto piccolo ed è confrontato con un enorme carico di lavoro. Aumentare il numero di membri comporterebbe indubbiamente dei vantaggi. Nel contempo però, il nostro è un Governo collegiale. C’è una teoria, illustrata per la prima volta nel 1971 dall’allora cancelliere Karl Huber, secondo cui un consesso non gerarchizzato funziona ed è efficiente soltanto se non supera i sette membri. Aumentare il numero dei consiglieri federali richiederebbe una gerarchizzazione all’interno dell’Esecutivo che minerebbe il principio della collegialità.

Le ultime elezioni federali hanno modificato i rapporti di forza tra i partiti in parlamento. I Verdi reclamano ora un posto in Governo. e visto che ad essere in pericolo è uno dei due seggi del Partito liberale radicale, si ha l’impressione che cassis e Keller-Sutter siano già in campagna elettorale. Una situazione che non rafforza di certo la collegialità.

L’elezione in blocco obbligherebbe il Governo a presentarsi come un gruppo coeso. Il sistema attuale è in contraddizione con il principio della collegialità. Visto che vengono eletti singolarmente e uno dopo l’altro dal Parlamento, i consiglieri federali puntano spesso la loro attenzione sul proprio dipartimento e fanno di tutto affinché i media gettino una buona luce sul loro operato. L’elezione in blocco ridurrebbe la rivalità tra le ministre e i ministri e avrebbe un effetto positivo sul lavoro del Consiglio federale. Biografia

Adrian Vatter è direttore dell’Istituto di scienze politiche e titolare della cattedra di politica svizzera dell’Università di Berna dal 2009. È commentatore ed esperto delle elezioni del Consiglio federale per la Radiotelevisione svizzero tedesca Srf. Il libro Der Bundesrat è stato pubblicato da NZZ Libro alla fine del 2020. Nel 2018, Vatter aveva dato alle stampe l’opera Das Parlament in der Schweiz.


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Politica e economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Frontalieri: una conseguenza della crescita economica È stato accolto con interesse lo studio sui frontalieri pubblicato di recente dall’Ufficio federale della statistica. Dapprima, pensiamo, perché cerca di fare il bilancio dello sviluppo di tale contingente di lavoratori dalla fine del secolo scorso a oggi. È così capace di mettere in evidenza il forte influsso che ha avuto sulla crescita dei frontalieri la realizzazione della libera circolazione. È probabile che in questo primo periodo la crescita dell’effettivo dei frontalieri sia avvenuta anche per sostituzione di altri gruppi di lavoratori. Questa affermazione è nostra: non la trovate nello studio dell’UFS. Se consideriamo i tassi di aumento annuale del loro contingente dobbiamo però ammettere che l’influsso della liberalizzazione dell’accesso al nostro mercato del lavoro è venuta esauren-

dosi durante il primo decennio di applicazione della libera circolazione. Il secondo risultato di questo studio da prendere in considerazione è la constatazione che, negli anni più recenti, l’aumento dell’effettivo dei frontalieri deve invece essere piuttosto attribuito alla crescita delle economie dei Cantoni di frontiera. Da questo punto di vista è importante accennare a una correlazione sulla quale insiste lo studio dell’Ufficio federale di statistica. La crescita del contingente di frontalieri è correlata positivamente con la crescita del prodotto interno lordo del nostro paese. Tuttavia non è, come si pensava fino a poco tempo fa, che l’aumento dei frontalieri possa essere considerato araldo della crescita economica. Le stime eseguite dall’Ufficio federale di statistica hanno infatti messo in evi-

di statistica mostrano anche che la risposta del frontalierato alla crescita del Pil è andata declinando nel tempo. Ciò significa che per un 1% di crescita del Pil reale l’aumento del contingente di frontalieri sarà oggi, in percentuale, minore di quanto poteva invece essere ancora dieci anni fa. Questo succede perché negli ultimi anni si è manifestato, anche nei Cantoni di frontiera, un aumento significativo della produttività. Il capitale viene quindi, come fattore di produzione, a sostituire il fattore lavoro. A livello nazionale è probabile che l’apporto dei frontalieri all’offerta di lavoratori non sia rilevante. La loro quota nel totale degli occupati era, nel 2020, pari al 6,7%. Nei Cantoni di frontiera però il loro apporto all’offerta di manodopera è molto più significativo. Stando allo studio dell’UFS in Tici-

no, per fare un esempio, i frontalieri rappresentano oggi circa 1/3 del totale degli occupati. Come sappiamo vi sono rami dell’economia ticinese che non potrebbero continuare l’attività senza il loro sostegno. E non si tratta solo di rami che fanno ricorso a manodopera poco qualificata. Nel corso degli ultimi due decenni la presenza del lavoratore frontaliero è diventata insostituibile anche in molti rami dei servizi che richiedono ai loro collaboratori un livello di competenza e di esperienza molto elevato. Lo studio dell’UFS mostra comunque che la crescita dell’effettivo dei lavoratori frontalieri sta diventando un fenomeno asintotico. Questo significa che per lo stesso esiste un livello di espansione massima al quale, in Svizzera come in Ticino, ci stiamo sicuramente avvicinando.

non direttamente con la Casa bianca, almeno con l’ambasciata Usa, la Nato, i centri di potere, l’intelligence, per presentarsi come interlocutori affidabili, quando non servizievoli, nella speranza che questo possa giovare alla carriera. Accadeva in passato, quando alcuni leader democristiani pagarono a caro prezzo le loro perplessità sull’egemonia americana (ogni riferimento ad Aldo Moro e pure a Bettino Craxi è voluto). Accade a maggior ragione adesso che i partiti non esistono quasi più. E non si vede come gli americani possano trattarli da pari a pari, quando vedono come s’offrono, a vari livelli, i politici europei. Biden non ha particolare simpatia per Vladimir Putin. Ma è evidente che non lo considera il principale nemico. Sa che la Russia ha un forte esercito, e soprattutto – a differenza dei Paesi dell’Unione europea – non esita a impiegarlo sul terreno: in Cecenia, in Georgia, in Crimea, nel Donbass (la regione filorussa dell’Ucraina), in Siria, in Libia. Ma Biden sa che il vero confronto dei prossimi decenni si giocherà con la Cina. Pechino è stata molto abile a non

rompere con i Governi europei, a cominciare da quelli più importanti (Parigi e Berlino), e nello stesso tempo a coltivare i rapporti con i movimenti sovranisti e populisti che sono cresciuti in questi anni. Sul blog di Beppe Grillo, ad esempio, è comparso un articolo inquietante, in cui si sminuiva la persecuzione che subiscono gli uiguri, la minoranza turcofona che è però storicamente maggioritaria nello Xinjiang, la regione dell’Asia centrale che per l’impero cinese è stata storicamente terra di conquista, proprio come il Tibet. Gli uiguri però sono musulmani e quindi non godono di buona stampa. E questo è solo uno dei molti esempi che si potrebbero fare. La politica americana non si è trasformata di molto con il cambio alla Casa bianca. Già Trump aveva messo la Cina nel mirino. Biden fa lo stesso, ma cercando l’appoggio dell’Europa, Russia compresa. Trump segnava un cambiamento anche antropologico nella politica. Il suo modello non è mai stato Bush o Reagan o Nixon o Eisenhower. Il suo modello è Hulk Hogan, il re del wrestling, la lotta in cui nessuno si fa davvero male. I suoi non sono

comizi, sono show, e uno show è stato il suo comizio di rientro, nello Iowa. Trump ha passato quattro anni a dire in sostanza due cose: l’America non è mai stata tanto forte, ricca, potente nella storia; eppure l’America è in pericolo e deve essere protetta. Tutta la sua politica va letta come un’alternanza tra orgoglio e paura, tra senso di superiorità e allarme per l’impoverimento della classe media e la perdita di sovranità a favore del mondo globale. Sentimenti estranei all’élite che studia, viaggia, compete con l’estero, ma molto vivi nelle classi popolari, in particolare i bianchi poveri. Biden ha cercato di rassicurare una parte dei ceti che avevano sostenuto Trump, senza perdere il contatto con i valori dei democratici delle ultime generazioni, a cominciare dall’apertura al mondo. Non a caso sia Wall Street sia la Silicon Valley hanno votato per lui. La sua partenza è stata brillante, ma il difficile viene adesso. La speranza degli italiani e anche di qualche europeista di altri Paesi è che, vista l’uscita di scena della Merkel e le difficoltà di Macron, l’interlocutore degli americani diventi Mario Draghi.

dendo dall’arena politica sia i partiti che il parlamento. Un esempio tra i tanti possibili: «Elezione: corruzione. È la ferrea legge della democrazia dei partiti e del suffragio universale. La quale è pel Ticino una peste che ne svelle le virtù, ne perpetua i mali, ne sugge le facoltà cerebrali e volitive». Gli echi dei regimi totalitari giunsero anche in Ticino, seminando zizzania all’interno degli schieramenti centristi presidiati dai liberali e dai cattolici conservatori. I radicali antifascisti condussero la loro battaglia dalle colonne del giornale «Avanguardia», mentre i conservatori dovettero assistere alla disgregazione della «Guardia Luigi Rossi». Fu questo circolo giovanile a fornire i quadri dirigenti dei nuovi movimenti di estrema destra sorti nel 1933, l’anno di ascesa di Hitler al potere in Germania. Nel giro di pochi mesi videro la luce la Lega Nazionale, capeggiata da Alfonso Riva, e la Federazione fascista ticinese, diretta prima dall’ingegner Nino Rezzonico,

il «duce di Porza», e poi dall’avvocato Alberto Rossi. Dalla stampa d’oltre confine, le testate d’area – «L’Idea Nazionale» e il «Fascista svizzero» – ripresero gli stilemi, la retorica truce, l’argomentazione minacciosa, la titolazione cubitale in uso nella pubblicistica nazifascista. Le due formazioni rimasero comunque ai margini e scomparvero presto dalla scena politica del cantone. La spallata di cui gli squadristi ticinesi vollero rendersi protagonisti nel gennaio del 1934 al termine di una chiassosa «marcia su Bellinzona» si spense in un’ignobile gazzarra sotto le finestre del Palazzo delle Orsoline. Una sconfitta bruciante che finì per avvelenare anche i rapporti tra i «comandanti» del movimento. Rossi, irritato per il comportamento del duce di Porza (che si era ritirato a Milano), scagliò contro il rivale un sarcastico libello, Rivoluzione nel Ticino!, al quale Rezzonico rispose a tono con Battaglie, volumetto in cui rivendica-

va i suoi meriti. Alla fine la contesa si risolse in rissa tra i due, come puntualmente riferì il «Corriere del Ticino» nell’edizione del 1. dicembre del 1936: «Una violenta baruffa è avvenuta ieri sera in Piazza Indipendenza, di fronte alla Tipografia “Tessin Touriste” verso le ore 19. Il signor Nino Rezzonico, di Porza, che era stato attaccato in un opuscolo fatto stampare dall’avv. Alberto Rossi, affibbiava a quest’ultimo alcuni colpi di staffile. La reazione dell’avv. Rossi ha dato in seguito origine a nutrito scambio di colpi fino a quando alcuni presenti riuscirono a separare i contendenti». Finiva così, ingloriosamente, con una scazzottata tra camerati, il fascismo ticinese. Che però sopravvisse in alcune cerchie influenti della politica e del giornalismo, in forme diverse, spesso larvate, sedotte dal piglio autoritario e liberticida dei regimi dittatoriali e, nel contempo, atterrita dai successi dell’Unione Sovietica di Stalin.

denza che prima viene la crescita e solo in seguito, addirittura con il ritardo di un anno, si manifesta l’aumento del numero dei frontalieri. Grazie a questa verifica sappiamo oggi che se l’effettivo dei frontalieri aumenta, per esempio nel primo trimestre dell’anno, questo non dice niente sul possibile andamento dell’economia nei tre trimestri successivi. L’aumento in questione è infatti da attribuire all’effetto che ha avuto la crescita dell’economia, durante l’anno precedente, sulle aspettative dei datori di lavoro. Se le cose stanno così hanno meno peso le preoccupazioni di coloro che temono l’invasione del mercato del lavoro da parte del frontalierato. Il frontaliere, oggi, viene a lavorare da noi solo se esiste una richiesta di lavoratori da parte delle aziende. I dati pubblicati dall’Ufficio federale

In&outlet di Aldo Cazzullo Il rapporto sbilanciato tra Usa ed europa In un’Europa ancora scioccata dalla Covid e distratta dall’Europeo di calcio non si è parlato molto della prima missione di Joe Biden, significativamente incentrata su Ginevra, quindi sulle Nazioni unite e sul multilateralismo. Il che rappresenta un’inversione

Joe Biden intende avvalersi dell’Europa in fuzione anti-cinese. (Shutterstock)

di rotta rispetto all’epoca di Donald Trump, che puntava tutto sui rapporti bilaterali, da Stato a Stato o meglio, da leader a leader. Però il rapporto di forza tra l’America e l’Europa è ancora troppo sbilanciato. Lo era con Trump, primo presidente dichiaratamente anti-europeo, che tifò Brexit e mise i dazi, e lo è con Joe Biden, che intende avvalersi dell’appoggio europeo per contenere la Russia e affrontare la Cina (dopo avere separato Mosca, potenza innanzitutto militare, da Pechino, potenza globale). Per fornire un ulteriore dato, al momento i cittadini americani sono benvenuti in Europa, dove gli operatori del turismo sperano di ripartire grazie ai loro dollari, mentre i cittadini europei non possono entrare negli Stati uniti. Una situazione abbastanza umiliante. Purtroppo il rapporto dell’establishment e dell’opinione pubblica europea con l’America non è ancora maturo. Non soltanto ogni Paese cerca di giocarsi in proprio le relazioni con Washington; all’interno della classe politica europea – e in particolare italiana – c’è una corsa a posizionarsi, se

cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Un fascismo da avanspettacolo Nelle manifestazioni che si sono tenute negli ultimi mesi a Lugano, Locarno e Bellinzona, in relazione al destino dei centri autogestiti, è riapparso l’epiteto «fascista», appioppato alle autorità municipali e alla polizia. Fascista è termine (in questo caso, insulto) pesante, che ridesta i peggiori fantasmi del Novecento: la violenza sistematica, l’annientamento dell’avversario politico (considerato nemico), le persecuzioni, le deportazioni, i campi di concentramento e di sterminio. È quindi una parola che più di altre trafigge l’anima del destinatario, rinserrandolo nelle categorie dell’abominio. Bisognerebbe invece distinguere, precisare i concetti, affinare il linguaggio, e soprattutto contestualizzare. Impresa ardua in una cornice che ormai vive quasi esclusivamente nel presente e sull’onda di una comunicazione ad alta intensità emotiva. «Fascista» non dice nulla sulle forme e le modalità di controllo che la società tecnologica ha sviluppato dopo

la guerra fredda; è muta sugli algoritmi che ha saputo perfezionare per meglio organizzare sia il mondo del lavoro, sia la gestione del tempo libero attraverso la raccolta dei dati personali. La «società della sorveglianza» è già operativa e sempre più capillare e multiforme. Ma torniamo al fascismo storico. Fenomeno la cui matrice fu essenzialmente italiana, nato all’indomani della Grande Guerra, a Milano, con la fondazione dei Fasci di combattimento (1919). La bibliografia sull’argomento è vastissima e a questa rimandiamo (segnaliamo, tra le ultime pubblicazioni, i saggi di Emilio Gentile e di Mimmo Franzinelli). Meno noto è invece il capitolo elvetico di questa vicenda, che ebbe nel cosiddetto «frontismo» la sua punta di lancia a cavallo degli anni Trenta. Trainato dai successi del fascismo prima e del nazismo poi, il frontismo credette di poter trapiantare anche sul suolo elvetico l’idea dello Stato autoritario e dell’organizzazione corporativa, esclu-


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Idee e acquisti per la settimana

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Vacanze in riva al lago, in montagna oppure in spiaggia? Chi viaggia dovrebbe essere ben equipaggiato. A seconda della destinazione, è consigliabile mettere in valigia una protezione adeguata contro le zanzare, pratiche bende o un kit di primo soccorso per le piccole ferite. Ecco alcuni consigli per la farmacia da viaggio, in modo che possiate godervi le vacanze spensieratamente.

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Punture di zanzare

Piccole ferite Una piccola escoriazione, un taglio o un graffio sul braccio o sulla gamba – durante le escursioni ci si può ferire con facilità. Rimuovete i piccoli detriti con una pinzetta. Disinfettate la ferita con uno spray per ferite e proteggetela con un cerotto o una medicazione rapida.

Distorsioni Scivolati o inciampati? In caso di distorsioni o contusioni, gli impacchi freddi possono essere d’aiuto, per esempio con del ghiaccio. Durante l’escursione: raffreddate la parte interessata con dell’acqua molto fredda. Particolarmente pratici sono i panni autoraffreddanti in microfibra: inumidite il panno con un po’ d’acqua, scuotetelo e avrete un effetto rinfrescante di lunga durata. I gel rinfrescanti da spalmare sulla zona interessata aiutano contro le contusioni dolorose. Una benda autoaderente sostiene muscoli e articolazioni.

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Diarrea Per prevenire le malattie diarroiche, in viaggio non dovreste consumare frutta, insalata o verdure crude non lavate. Se dovesse comunque succedere: bere molto per eliminare le tossine. Una borsa dell’acqua calda sulla pancia ha un effetto antispasmodico e aiuta ad alleviare il disturbo.

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cultura e Spettacoli Il libro delli dinari di Lucchese Da un quadernetto del 1600 un tuffo in un passato che ci appartiene

Un bilancio sincero e impietoso Nel suo nuovo romanzo Lidia Ravera dà voce e corpo a una protagonista della militanza negli Anni Settanta

Quale tormentone? I tormentoni musicali sono parte integrante di ogni estate che si rispetti: scopriamoli

pagina 39

Punk e femministe Riot Grrrl: un fenomeno musicale tenace e arrabbiato che canta per una maggiore parità pagina 43

pagina 41 pagina 37 Un’immagine del lungolago scattata prima dell’arginatura, cominciata negli anni 60 del 1800. (Archivio storico della Città di Lugano)

Quel che resta, a Lugano

Pubblicazioni Il giornalista Jonas Marti ha dato alle stampe un’imperdibile guida che invita alla scoperta

della città sul Ceresio Manuel Rossello

Per una fortuita quanto felice coincidenza, due recenti iniziative permettono di approfondire la conoscenza di Lugano in molti dei suoi aspetti più interessanti. La prima riguarda la posa, davanti agli edifici più significativi della città, di cinquantacinque pannelli o «totem» storico-culturali. I testi, molto accurati, sono a cura dell’Archivio storico e rappresentano un invito a esplorare il patrimonio architettonico apprezzandone appieno le peculiarità. La seconda (ed è su quest’ultima che vogliamo soffermarci) è un sorprendente volume di Jonas Marti (Lugano, la bella sconosciuta. Una città inaspettata e curiosa), che con piglio agile ma senza mai rinunciare alla completezza delle informazioni, guida il lettore in un affascinante tour alla scoperta di innumerevoli luoghi, edifici, monumenti, episodi, personaggi, aneddoti e storie curiose, dal passato più lontano della città fino agli anni recenti. Un piacevolissimo viaggio che in quasi duecento voci da Piazza Riforma (che nel Settecento si chiamava Piazza Grande)

si spinge fino ai 1541 metri del passo di San Lucio. L’acribia indagatrice dell’autore è tale che anche per coloro che come il sottoscritto sono nati e cresciuti a Lugano, le sorprese non sono poche. Quante volte, per esempio, si è passati lungo la murata di Via Zurigo senza notare che lì incastonata c’è ancora l’entrata del comando della protezione antiaerea durante la Seconda guerra mondiale? Oppure quanti sanno (io lo ignoravo) che al primo piano del bar Argentino si trovava la cosiddetta «Sala Nera», covo dei fascisti luganesi durante il Ventennio? O che fino al 1861 Capo San Martino faceva parte dell’enclave di Campione? In questa foresta pur così lussureggiante di informazioni (credo che il volume non sarebbe dispiaciuto a Mario Agliati), l’autore ha dovuto operare una selezione ed è perciò gioco facile, per chi legge (un gioco che potrebbe essere praticato anche online) aggiungere qualche personale chicca. Per quel che mi riguarda non riesco a trattenermi dal segnalare due «oggetti» forse degni di nota. Il primo è architettonico ed è la graziosa torretta che sormonta l’edi-

ficio del liceo e che un tempo ospitava un piccolo osservatorio astronomico: un fantastico belvedere sulla città e sul lago, per chi riesca ad accedervi. Il secondo è di ordine botanico e vuole segnalare il più bell’esemplare di corbezzolo di tutta Lugano, che si trova nel parco dell’ex municipio di Castagnola. Non si può tuttavia nascondere che leggendo questa ricchissima rassegna delle superstiti bellezze luganesi, cali un velo di malinconia per gli altrettanti, ne non più, segni della Lugano di un tempo che per qualche motivo non esistono più o che sono stati sacrificati sotto il rullo compressore dell’edilizia di speculazione, il vero cancro della nostra città (con beffarda ironia, in molti casi la furia cementificatrice che ha sostituito tante dimore ottocentesche con anonime palazzine ha risparmiato i cancelli in ferro battuto, spesso splendidi). Tra le molte bellezze grandi e piccole di Lugano che questo volume elenca manca infatti, necessariamente, la gemma più preziosa, che le è stata sottratta nel 1992: la collezione ThyssenBornemisza, ossia la più importante raccolta privata al mondo di pittura ri-

nascimentale. Tra le trecento tele esposte nella grande villa sul lago figuravano opere di Antonello da Messina, Caravaggio, Dürer, El Greco, Tiziano, Il Ghirlandaio, Giovanni Bellini, Paolo Uccello... Con una mobilitazione dei settori economici non sarebbe stato impossibile trattenerla a Lugano, se solo fossero stati presenti la consapevolezza del suo valore e la volontà di agire. Chi fu il sostanziale responsabile di questa catastrofe culturale non ha invece subito alcuna conseguenza per l’atto scellerato; anzi, ancor oggi si esibisce in narcisistici, senili sermoni con cui impartire lezioncine di buongoverno. Il fatto che il Lido sia un oggetto tutelato non ha per esempio impedito che venissero sciaguratamente eliminate le incantevoli docce a forma di tempietto greco (se ne veda l’immagine a p. 203 del volume). Si sono invece salvate due delle tre colonne Morris che abbellivano viale Castagnola e che ancora oggi gli danno un tocco parigino. E che dire della distruzione delle antiche stalle di villa Ciani, nel 1976, per far posto al Palazzo dei Congressi, con il suo banale stile internazionale? O ancora, molti

ricorderanno la graziosa edicola ottagonale verde che da sempre faceva bella mostra di sé accanto al busto di George Washington in Riva Caccia... Per il capitolo «prossime distruzioni» segnalo due gioielli assoluti a Besso: la villa liberty di via Coremmo e la casa realizzata in un eccentrico e fiabesco stile d’inizio Novecento in via Borromini. Possibile che nessuno si faccia sentire per salvarle? Ma smettiamola, altrimenti questa recensione diventa una geremiade, e tributiamo un plauso a Jonas Marti, che con il suo intelligente lavoro di scavo ci ha regalato un baedecker indispensabile per ogni luganese curioso e culturalmente avvertito. Un volume che ha scalato fulmineamente la classifica dei libri più venduti e che non finirà nel dimenticatoio, come invece accade a molte episodiche pubblicazioni dedicate alla nostra città. Bibliografia

Jonas Marti, Lugano, la bella sconosciuta. Una città inaspettata e curiosa, Fontana Edizioni, 2021, pp. 358.


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cultura e Spettacoli

Li Dinari dei Lucchese da Melide acolombo, tu per tu Pubblicazioni Il fortunato caso del quadernetto che ha aperto una finestra

sulla quotidianità del Seicento

Matilde Fontana È la metà del 1600. Sulle rive dei laghi prealpini è ancora vivo il ricordo della peste, quella narrata dal Manzoni nei Promessi Sposi. A Melide, nel baliaggio di Lugano, si contano 170 abitanti all’incirca. Le famiglie sono quelle dei Castelli, dei Salvi, dei Pocobelli, dei Fontana: i Fontana discendenti di quel Domenico, emigrato al sud appena ventenne nel 1563, per assurgere al prestigioso status di architetto papale e di cui ancora oggi ammiriamo l’opera ingegneristica dell’erezione dell’obelisco in Piazza San Pietro. Il Fontana dell’obelisco non è che uno degli architetti, artisti e artigiani, che oggi si sfogliano sul sito www. artistiticinesi-ineuropa.ch. E fra i melidesi inseriti nel corposo elenco di maestranze d’arte spicca anche l’architetto e ingegnere Filiberto Lucchese, illustre figlio di un’altra dinastia, emigrata però al nord, autore di prestigiosi palazzi e opere militari tra Vienna, la Cechia e l’attuale Slovacchia. Il fratello di Filiberto, Giovanni Domenico, anche lui artista stuccatore in terre absburgiche, curava però soprattutto gli affari di famiglia in patria. Lo faceva diligentemente, annotandosi i conti di casa su un quadernetto che finì per abbracciare oltre un ventennio di contabilità domestica e non solo: un diario familiare che racconta di affari, di viaggi, di produzione agricola e di spese al mercato di Lugano. È il Libro delli Dinari, grazie al quale gli storici Jana Zapletalovà e Marino Viganò hanno potuto aggiungere un originale tassello biografico-familiare alla crescente storiografia dedicata all’opera dei magistri dei laghi lombardi disseminata per l’Europa. Giovanni Domenico Lucchese andava e veniva da Melide al cuore dell’Impero absburgico e annotava i viaggi sul suo libretto, come quello compiuto nel 1652 di ritorno da Vienna in compagnia del fratello Filiberto: partiti il 26 settembre arrivati il 19 ottobre, 800 chilometri

a cavallo passando per Innsbruck, l’Engadina, il Maloja, Chiavenna, il lago di Como e il lago di Lugano. Quella dei viaggi, lunghi o brevi che fossero, era una voce importante negli appunti dell’amministratore di casa Lucchese, che spesso se ne andava al mercato di Lugano (6 miglia via costa di San Martino, attraverso i territori di Campione, feudo dell’Abate di Sant’Ambrogio di Milano), a quello di Varese, traghettando da Morcote a Porto Ceresio, o a cavallo fino a quello di Luino. Fra ongheri, ducatoni e dobloni pagati e incassati, il libro dei conti ci porta dentro i possedimenti di famiglia, le colture degli appezzamenti affacciati sul lago, di cui si prendevano cura i fattori venuti fin dalla Valmaggia: prati, vigneti, uliveti, frutteti. I prodotti della terra non dovevano mancare in casa Lucchese, ma, a giudicare dalla lista della spesa, la famiglia mostrava raffinati gusti gastronomici. Al mercato, ma anche nelle botteghe luganesi (fra cui la gettonata macelleria Neuroni) non si badava a spese per le «molte cose mangiative» da mettere in tavola tanto nei giorni feriali che in quelli festivi: trote, persici, lucci, agoni e missoltini, formaggi, carni varie, fra cui polli, capponi e galline, olio, burro, sale, mostarda, frutta, vino, lumache, limoni, mandorle, riso, spezie… Se del fratello Filiberto si ricorda la grandeur architettonica di palazzi e fortificazioni mitteleuropee, quindi, a Giovanni Domenico si deve la minuzia amministrativa del curioso diario, che ci regala uno spaccato della vita quotidiana di un «migrante possidente» nelle secentesche terre dei laghi lombardi. Un’avventura plurisecolare, quella del Libro delli dinari, che si può definire un fortunato caso di archeologia cartacea. Lo racconta il protagonista della scoperta, Enzo Pelli, calligrafo e poeta, ma soprattutto curioso di professione. «Il quadernino manoscritto me lo aveva offerto un antiquario luganese. Secondo lui mi poteva interessare…

In scena Il racconto

perfetto di Ferruccio Cainero ospite del Longlake Festival

Giorgio Thoeni

Matthäus Merian, Castello di Ambras, 1649.

Lo aveva trovato mettendo ordine nella biblioteca di Pasquale Lucchini di Gentilino, acquistata e dimenticata da decenni in magazzino. L’ho preso in mano e la qualità della carta e della grafia mi hanno convinto subito: se proprio fosse stato di nessun interesse l’avrei utilizzato per i miei collages calligrafici. Decifrando non senza qualche problema l’italiano secentesco – continua Pelli – mi sono imbattuto subito in un viaggio a Vienna: Vienna combinata con la famiglia Lucchese ha acceso il mio interesse storico legato alle vicende migratorie degli artisti dei nostri laghi. Ho fatto una trascrizione del libricino, che poi è passata di mano in mano fino al fortuito incontro con Jana Zapletalovà, storica dell’arte dell’università di Olomouc, in Moravia, studiosa degli artisti «ticinesi» che hanno lasciato un segno in quelle terre. Durante una conferenza a Mendrisio, Jana cita Giovanni Domenico Lucchese; in sala c’è l’archivista Tamara Robbiani (una delle persone a cui avevo passato il testo),

che coglie subito l’aggancio a quel Libro delli Dinari. Una somma di fortunate coincidenze aveva finalmente portato il fortuito rinvenimento nella bottega dell’antiquario nelle mani giuste: quelle della lontana studiosa della famiglia Lucchese da Melide.» Ma qual è l’altrettanto fortunato itinerario che ha condotto il quadernetto nel corso dei secoli da casa Lucchese a Melide al deposito dell’antiquario luganese? Enzo Pelli una sua storia se l’è raccontata: gli piace pensare che le carte dei Lucchese di Melide, famosi costruttori, non potessero che finire fra quelle di Pasquale Lucchini, l’ingegnere che a Melide ha costruito il famoso ponte-diga. Bibliografia

Libro delli Dinari, Viaggi e affari di Giovanni Domenico Lucchese mastro stuccatore da Melide all’Europa 16481670, a cura di Jana Zapletalovà e Marino Viganò, Salvioni Edizioni, 2021

All’ombra della «domination masculine»

Narrativa In Adorazione di Alice Urciolo, le difficoltà e le contraddizioni

della vita piccolo-borghese Laura Marzi Non è affatto scontato che un romanzo d’esordio riesca a entrare «nella dozzina dello Strega», cioè nei dodici libri selezionati per l’importante premio letterario che verrà assegnato nei prossimi giorni. È successo quest’anno al romanzo Adorazione di Alice Urciuolo, edito da 66thand2nd. Il punto di partenza della storia è un avvenimento del passato: l’uccisione di Elena da parte del suo fidanzato Enrico. Seguendo una scelta narrativa molto interessante, Urciuolo racconta quello che accade dopo un femminicidio e attraverso questa prospettiva riesce a sottolineare ciò che Hannah Arendt definì magistralmente «la banalità del male». Adorazione racconta del gruppo di amici di Elena, che vivono in un piccolo paese della provincia italiana e nonostante la connotazione geografica nel romanzo sia così netta, ciò che il testo racconta delle dinamiche personali fra questi giovani è talmente preciso, che l’autrice riesce a trasformare quella provincia in un luogo universale. Vanessa, per esempio, da quando la sua migliore amica Elena è stata uccisa, non riesce più a sopportare la sua vita perfetta, il suo fidanzato che è il più ricco e il più gentile del paese, le regole impo-

Urciolo, fra le dodici finaliste/i del Premio Strega.

ste dalle famiglie di entrambi, la coppia eterosessuale in cui capisce per la prima volta di non essere felice. Vera è sua cugina, vivono nella stessa palazzina, dove sta anche la nonna, Stella, che è stata infelice con suo marito, perché non ha mai potuto fare altro che sopportare ciò che lui le imponeva, ma che non riesce a comprendere le ra-

con la storia

gioni della nipote, perché voglia lasciare Gianmarco se è vero che lui la tratta bene. Stella non conosce alcuna alternativa alla vita matrimoniale e nonostante questa idea possa essere tipica di una persona d’altri tempi, Urciuolo mostra che ancora nella vita di questi personaggi così giovani a dominare le scelte, a scatenare la rabbia, l’infelicità, le bugie, è ciò che la sociologia definisce in termini di rapporti di potere fra i sessi. Attraverso una capacità evidente di mettere in scena le vite dei suoi protagonisti – Urciuolo è una sceneggiatrice – leggendo risulta evidente che le azioni di queste ragazze e ragazzi sono determinate dalle malattie della società. In primo luogo, il femminicidio: Enrico ha ucciso Elena perché ha considerato che quella ragazza bellissima fosse una sua proprietà e che come tale non potesse esistere oltre lui, lasciandolo. Vera perde tutta la sua sicurezza, la sua autostima innamorandosi di Christian, che la desidera, ma che non vuole lasciare la sua fidanzata Teresa: è lei che lo aiuta a casa quando la madre depressa non si vuole alzare dal letto, che riesce a far parlare suo fratello e suo padre nelle cene insieme, altrimenti mute. Teresa percepisce che il suo ragazzo cerca altrove l’emozione e il desiderio, ma sceglie di negarlo e accetta di vivere una vita di dissimu-

lazione a diciotto anni. Diana, poi, trascorre la sua adolescenza all’ombra della macchia che le ricopre la coscia e parte del gluteo: l’unico modo che troverà per liberarsi dal complesso del suo difetto sarà di esporsi sui social, per ottenere l’apprezzamento di uomini sconosciuti, molto più grandi di lei, con cui avrà incontri sessuali potenzialmente pericolosissimi. Nella narrazione di queste vicende, l’autrice sceglie di non esistere né attraverso delle connotazioni di stile, né con delle considerazioni: non c’è un momento in cui il punto di vista non sia solo quello dell’osservazione, come l’occhio di una telecamera. Per questo, all’inizio del romanzo la sensazione dominante è quella dell’aridità. Poi, quei personaggi e quelle personagge iniziano ad agire come il vicino di casa, come l’amica dei tempi del liceo, come avremmo fatto noi stesse e ci accorgiamo che in loro si riflettono tutte le difficoltà, tutte le gabbie di una società fondata sui valori piccolo borghesi, della coppia e di quella che il grande sociologo francese Pierre Bourdieu definì «la domination masculine».

Il periodo che speriamo di esserci lasciati alle spalle ha generato ripercussioni sulla cultura in tutte le sue declinazioni, a cominciare dal Teatro per cui ora la parola d’ordine è: risollevarsi e guardare in avanti. Il contesto di crisi ha generato soluzioni di fruizione originali e molto streaming. Fra gli esempi regionali più rappresentativi ci piace ricordare Zona 30, la breve e seguita rassegna organizzata dal Teatro Sociale di Bellinzona e il progetto Lingua Madre. Capsule per il futuro, la ricca e premiata proposta (Hystrio Digital 2021) messa in rete dal LAC di Lugano, pronto a inaugurare il cartellone di LAC en plein air con la lettura di pagine scelte dell’Odissea per la regia di Luca Spadaro. Sempre sulle rive del Ceresio ha ormai preso piede l’undicesima edizione del Longlake Festival con un fitto calendario di proposte. Un’ulteriore opportunità per tutti quegli artisti rimasti forzatamente fermi sul piano produttivo. Ferruccio Cainero, troubadour e fantasista della narrazione, è così recentemente tornato alla ribalta del Boschetto Parco Ciani con il suo Cristoforo Colombo e le farfalle, spettacolo che, dopo il debutto al Sociale nell’ottobre del 2018, è rimasto forzatamente al palo e che va ad ascriversi nel lungo elenco delle sue numerose performance da solista. Che è anche la principale cifra stilistica dell’attore, autore e regista: appropriarsi della scena attingendo alla Storia e alla microstoria, particolarità del teatro di narrazione che, a differenza di altri interpreti più blasonati, Ferruccio ci restituisce permeandone i contorni con una dimensione intima, famigliare, creando un’empatia naturale a cui il pubblico ormai è affezionato e gli riconosce. Il suo Colombo è forse il miglior risultato di un attento e studiato percorso dove l’affabulazione si circonda di un arcobaleno divulgativo i cui colori tingono una parola misurata, puntuale, appassionata e coinvolgente. Un processo maturato in anni di esperienza, pronto per la grande platea come per l’incontro con le scuole. La storia del viaggio del navigatore, reso dall’attore attingendo anche a una perfetta cadenza xeneize in omaggio alla maschera di Gilberto Govi, si ispira in gran parte alle pagine del suo diario di bordo. Ma quella sospirata circumnavigazione da levante per il ponente nata pensando di arrivare alle Indie, non è solo il racconto strumentale di un’avventura, ma restituisce la cronaca drammatica di un genocidio che ha spopolato quelle terre in nome dell’avidità e di un profitto ammantati dal messaggio di redenzione. Uno scenario che già Conrad aveva immaginato come un cuore di tenebra e che Ferruccio fa volare sulle ali di mille farfalle con un racconto perfetto.

Bibliografia

Alice Urciuolo, Adorazione, 66thand2nd, pp. 352.

Ferruccio Cainero nel suo riuscito Cristoforo Colombo e le farfalle.


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cultura e Spettacoli

L’età folgorante

Incontri A colloquio con la scrittrice italiana Lidia Ravera, autrice di Avanti, parla, romanzo che fa i conti

(e forse anche pace) con il periodo degli «anni di piombo»

Simona Sala Il pubblico italofono l’aveva conosciuta nel 1976 attraverso Porci con le ali, romanzo-manifesto sessual-politico, in cui già si cristallizzava lo straordinario talento di un’allora venticinquenne Lidia Ravera. Ora, a quasi mezzo secolo di distanza, Ravera sembra da una parte avere fatto pace con il mondo, e dall’altra volere chiudere un cerchio, idealmente terminando la narrazione degli anni bui del secondo Novecento. Nel suo nuovo libro Avanti, parla, protagonista è Giovanna, una donna forte ma chiusa, senza alcuna indulgenza verso sé stessa e il proprio passato di militante di sinistra, incapace di concedersi il diritto all’oblìo, che vive un’esistenza dedita all’autoemarginazione. I giorni trascorrono uguali a sé stessi, a un ritmo destinato a rimanere immutato fino alla fine. Ma come spesso accade in questa vita, all’improvviso ecco spuntare un imprevisto: nell’appartamento di fianco a quello di Giovanna arriva un rumoroso e soprattutto giovane nucleo famigliare, che dal primo momento spariglierà le carte. Abbiamo incontrato Lidia Ravera, impegnata nella campagna promozionale di Avanti, parla in un’Italia che sta timidamente riaprendo piazze e luoghi d’incontro, per parlare con lei del suo intenso lavoro. Lidia Ravera, leggendo Avanti, parla, si ha l’impressione che si tratti di un libro che le sta particolarmente a cuore, sia perché sviscera alcuni aspetti legati alla sua vita, sia perché lei ora ha raggiunto un’età in cui si possono fare i bilanci, siano essi di natura personale o storica...

Infatti è proprio così: il bello di avere una lunga vita alle spalle è che si è stati testimoni di un tratto di storia patria. Una cosa che ad esempio mi intristisce è che stiano per morire o siano già morti i testimoni della Shoah. Noi siamo testimoni meno inquietanti e di un errore minore, ma sappiamo cosa sono stati gli anni 60 e 70 del secolo scorso, conosciamo i depistaggi, gli insabbiamenti, le stragi nelle banche, sui treni, nelle piazze: sono stati anni molto duri. Liquidarli come «anni di piombo» è superficiale, negli anni 70 c’era anche dell’altro. Nei miei circa trenta romanzi ho composto una sorta di autobiografia collettiva della mia generazione, raccontando la vita degli altri e la mia, ciò che abbiamo

preoccupazione. Ho qualche speranza verso i giovanissimi, ma le novità non provengono dall’Italia, Greta Thunberg infatti è svedese. La situazione nel nostro paese è pesante, e i nostri figli sono costretti a scappare all’estero.

condiviso e ciò che ci ha separati. Una specie di ritratto di famiglia cui io, attraverso ogni romanzo, aggiungo uno sguardo, un’angolazione, un campo di memorie. Questo romanzo mi sta a cuore anche perché è un romanzo coraggioso, ed è importante per il rapporto che io ho avuto con la violenza. Essere di sinistra a quell’epoca significava una cosa diversa dall’esserlo oggi, anche perché la sinistra è nel frattempo evaporata.

Siamo davanti a una situazione come quella di Tom e Betta, da lei magistralmente narrata nella nostra rubrica «Quaderno a quadretti»…

Infatti, tengo molto a quel romanzetto a puntate. La società di oggi è caratterizzata dalla rincorsa alla bellezza e da una specie di forma di «happycrazia», in cui bisogna essere tutti sempre felici e nascondere la sofferenza come se fosse una vergogna. Praticare la superficialità è l’unico modo per essere sempre allegri.

e come vi sentivate all’epoca?

Noi a 15, 16 anni ci sentivamo in qualche modo responsabili; il compito storico delle nostre giovinezze era di cambiare lo stato delle cose presenti. A 16 anni per farmi la mia opinione leggevo quattro o cinque quotidiani. Abbiamo cominciato sotto la spinta del desiderio alto e nobile di occuparci delle cose del mondo, poi alcuni di noi, una minoranza, sebbene non così sparuta, ha abbracciato la lotta armata pensando che l’insurrezione fosse vicina e volendo in qualche modo farla scoppiare. Con questa motivazione sono stati commessi dei crimini, verso i quali non ho nessuna compiacenza o voglia di giustificare. Ricordiamoci però che queste scelte sbagliate sono nate in seno alla gioventù migliore. Poiché io non riuscirei a fare del male a una mosca, quando molti miei amici hanno fatto quella scelta, ho sofferto molto, pur non riuscendo né a odiarli né a considerarli dei criminali comuni. La Giovanna del libro è dunque un suo alter ego?

Ho costruito la storia di una donna come me, che viene da quegli anni, ma da una scelta diversa dalla mia, cioè quella di abbracciare il fucile. La cosa che ci unisce è il desiderio di giustizia e il nostro essere entrambe vecchie. La vecchiaia è una strana stagione della vita, è la stagione della lucidità e del coraggio, ormai non hai più niente da perdere, e allora osi: osi pensare, giudicare te stessa e gli altri e remare contro tendenza. Nel suo libro si scopre però anche una forma di tenerezza o indulgenza verso le generazioni più giovani.

Nel libro racconto la storia di un’eremita volontaria che, avendo capito i propri errori e non essendo in grado di perdonarsi, decide di chiudersi al mondo. Questo suo progetto viene mandato all’aria dall’arrivo dei vicini di casa, una famiglia di «beniamini degli dei», composta da un giovane musicista, dalla sua graziosa moglie e dai due bambini, un ragazzino tredicenne (militante am-

Il suo sguardo è sempre attento: scrive per esorcizzare?

Sonomoltiiromanziincuigirointornoa questaetà,perchélatrovoappassionante. Èappassionantecominciareavedereil disegnodellapropriavitachesicompie. Èunpo’comeinunpuzzleda1000pezzi: nerestanoancorapochidaincastrare, lafiguraèquasicompleta.Laconsapevolezzanonportasolopensieripiacevoli però,equindilascritturaèliberatoria, perchéscrivendotinomini,enominando prendiledistanze.Faccioun’attenzione enormeallascrittura,moltopiùdiquanta nefacessiprima;inquestomodotrovole parolegiustepercondividere.Equando condividiunpeso,ilpesopesameno. Nella sua vita però non c’è «solo» la scrittura…

Lidia Ravera ha scritto oltre trenta romanzi.

bientalista) e una bambina di tre anni. Proprio la piccola, con la tipica grazia dei principianti, sarà la prima a rompere il ghiaccio con Giovanna. Questi vicini di casa, come molti della loro generazione, sembrano vivere di puro piacere... una cosa difficile, perché ti costringe a inventarti costantemente nuovi desideri e a soddisfarli velocemente. Noi avevamo progetti generosi, un motivo per stare al mondo e per incontrarci, per fare riunioni e manifestazioni, non andavamo a ballare o a fare gli aperitivi. Non invidio questi giovani senza progetto, consegnati all’immanenza, poiché non c’è nulla che li trascende. Per di più lottano con un precariato economico che finisce per minare anche i loro sentimenti. Però li amo molto e li trovo intelligenti. Oggi l’Italia sembra avere dimenticato il suo antico furore e si

dimostra poco attenta alle nuove militanze.

Alla base del silenzio generale delle nuove generazioni c’è sicuramente la fatica di sopravvivere. Gli spazi sono pochi, l’economia gira male e la classe politica è scadente e deludente al punto che nessuno si fida più. Non dimentichiamo che negli anni 70, soprattutto sulla spinta del movimento femminista di massa, è stato riscritto il diritto di famiglia, legalizzata l’interruzione di gravidanza e confermata la legge sul divorzio. Sono stati insomma anni che hanno visto degli scatti di civiltà sull’onda dei movimenti di massa, dando a tutti noi la sensazione di un protagonismo storico-politico. È difficile contrastare l’odierno senso di disfatta, in un’Italia che conta quasi sei milioni di poveri su 60 milioni di abitanti. Verso le persone venute dopo di me nutro quindi una grande e materna

Ho fondato anche una collana di romanzi d’amore tra persone che hanno più di sessant’anni: si chiama «Terzo tempo» e a gennaio uscirà da HarperCollins. Protagoniste sono le donne, con tutte le loro difficoltà… Sono storie ironiche a lieto fine, poiché desidero una vita che duri tutta la vita e non finisca trent’anni prima. Le autrici sono scrittrici (giornaliste, sceneggiatrici, ecc.), ma principianti nel mondo della letteratura. Sottopongo i loro testi a editing micidiali, perché le storie funzionano solo quando sono raccontate bene. Grazie al lavoro intenso mi sento come una che sta lavorando alla ridefinizione dell’ultimo tratto dell’esistenza umana, e di questo sono singolarmente orgogliosa, oltre a sentirmi al riparo da certe derive della malinconia. Bibliografia

Lidia Ravera, Avanti, Parla, Milano, Bompiani, 2021.

Quando la lingua diventa «liquida» La lingua batte L’italiano si sta adeguando a una società mutevole. Un esempio: il pronome personale

gli è diventato multifunzionale Laila Meroni Petrantoni Una lingua rispecchia la società che la parla? Partiamo anzitutto dal concetto di società. Di «società liquida», per la precisione, nella definizione coniata da Zygmunt Bauman e ormai diventata famosissima. È azzardato estrapolare solo uno degli aspetti di questa teoria, ma è quella che ora può fare al caso nostro. Il filosofo e sociologo polacco ha teorizzato l’idea di un mondo globale in cui tutto è mutevole e provvisorio: «liquido», appunto. Lasciamo per ora le riflessioni sociologiche, passiamo alla lingua e iniziamo da un esempio concreto da manuale di grammatica. «Se la maestra mi chiedesse oggi se sono felice, le risponderei senza alcuna esitazione; sarebbe davvero bello incontrare di nuovo, dopo anni, i miei compagni di scuola e fare loro la stessa domanda».

Frase corretta. Eppure oggi qualcuno potrebbe guardarvi male e rimproverarvi: «ma come parli?!» Difficile dire esattamente quando sia successo, però è successo. L’italia-

«Le» o «gli»? Questione di contesto; oppure no. (Shutterstock)

no contemporaneo non storce ormai quasi più il naso di fronte alla stessa frase formulata in questo modo: «se la maestra mi chiedesse se sono felice, gli risponderei […]; sarebbe bello incontrare di nuovo i miei compagni e fargli la stessa domanda». L’uso per il complemento di termine del pronome gli con riferimento plurale (loro) è oggi chiaramente accettato a quasi tutti i livelli della lingua italiana. Attenzione: non è una tendenza, è ormai una certezza. Gli al posto del pronome femminile le è sì ancora oggi guardato un po’ con sospetto, ma sembra che ormai fra parlanti nessuno rischi più il linciaggio di fronte a questa scelta. Si tratta di un’evoluzione ormai tollerata a quasi tutti i livelli dell’italiano. Per quanto riguarda loro/gli, anche Accademia della Crusca e Treccani se ne sono fatti una ragione; si mostrano invece un poco più prudenti per le/gli,

e infatti raccomandano ancora di seguire le regole delle grammatiche ufficiali. Chi fatica ad accettare l’evidenza su questo fronte – questa violazione della regola diventata a sua volta ormai una norma – potrebbe sfoderare l’argomento dell’ambiguità: il pronome loro è inequivocabilmente plurale, le è indiscutibilmente femminile, mentre gli diventa il classico coperchio per tante pentole. Subito, però, i fautori di questa modernità linguistica ribattono con una serie di motivazioni: che gli è decisamente meno pesante di (a) loro e molto pratico grazie alla sua natura di forma atona; che già si usano da tempo glielo e gliene anche per il plurale senza che nessuno si dica indignato; che infine nella storia della lingua italiana non sono rari gli esempi letterari, da Boccaccio a Manzoni. Il fenomeno linguistico di cui

ci stiamo occupando qui è citato fra le manifestazioni più appariscenti dell’italiano neostandard (secondo la definizione di Gaetano Berruto) o italiano dell’uso medio (come presentato da Francesco Sabatini): è l’italiano parlato ogni giorno, anche dalle persone colte come pure dai media, molto pratico e comunicativo, pronto a evolvere più velocemente della norma. Contro questa flessibilità della lingua, soprattutto dell’italiano medio parlato e di riflesso non di rado anche scritto, è oramai giusto non incaponirsi: così è, se vi pare. Del resto la lingua – almeno in parte – rispecchia la società, ed eccoci dunque di ritorno alla «società liquida» di Bauman, in cui i confini e i riferimenti si perdono, tutto diventa labile. Verrebbe da chiedersi, sull’onda del pensiero baumaniano: parliamo un italiano «liquido»?


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 5 luglio 2021 • N. 27

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cultura e Spettacoli

Qual è la migliore ricetta per un tormentone?

Musica Nel 1961, Nico Fidenco cantava Legata a un granello di sabbia, prima hit estiva italiana a ripetizione

in tutte le radio, poi arrivarono Edoardo Vianello con il twist e Gino Paoli con il sentimento

Enza Di Santo Torna l’estate: caldo, vacanze e insetti. Come tarli, i tormentoni estivi iniziano a ronzare nelle nostre orecchie da fine maggio/inizio giugno e quest’anno a volersi accaparrare il titolo radiofonico di «brano ascoltato fino alla nausea» ci sono tanti artisti. Primo fra tutti, Alvaro Soler, «defrostizzatosi» a marzo dopo il suo consueto letargo, ha lanciato Magia che non ha lo stesso successo di altre sue hit. Eppure lo aspettavamo e lui ha seguito la ricetta del tormentone! Mare, spiaggia, ritmo esotico – meglio latino per «shakerare» i fianchi – e ritornello almeno in tripla ripetizione con qualche interiezione tipo oh oh oh e na na na. Devono esserci amore fresco e avventura, magari pelle baciata dal sole, labbra, occhi, all’occorrenza viaggi in auto per mete da stabilire e sabbia q.b. Guarnire con un tramonto o meglio ancora con la luna. Forse il buon Alvaro non ha messo abbastanza latinità nel ritmo e l’aggiunta della montagna era da evitare – nel tormentone tra mare e montagna vince il mare, lo sanno tutti! – e citare Peter Pan (nominato pure da Shade in In un’ora)… no no no. Anche quest’anno non si sfugge ai ritmi pop e reggaeton, inoltre spadroneggerà la musica italiana complici

Sanremo ed Eurovision Song Contest. Zitti e Buoni dei Måneskin, ha vinto entrambe le competizioni e ora si trova nelle classifiche inglesi, quindi la sentiremo spesso. La Musica leggerissima di Colapesce e Dimartino, tormentone invernale meritevole, potrebbe ripresentarsi in una veste disco anni 70 ancor più stuzzicante e internazionale grazie al remix firmato niente meno che dal genio francese dell’elettronica Cerrone. Chissà quanto ci metteremo ad averne «piene le palpebre» del Movimento lento di Annalisa feat. Federico Rossi (quello di Benji e Fede, ora solista). Brano tutto sommato niente male, ma considerate che siamo appena a inizio luglio... Comunque con questo brano, e non solo (sono almeno tre quest’estate), si riconferma bevanda anti-calura quella citata in Bollicine (1983) da Vasco. Tornando a noi, non dobbiamo essere duri con i tormentoni latini o di stampo reggaeton: ci fanno ballare, ci insegnano lo spagnolo e quest’anno ci danno anche un’infarinatura di cultura generale con citazioni, cammei e omaggi di ogni sorta a registi, attori e altre canzoni. Per esempio, La Bamba, è citata dal duo J-Ax–Jake La Furia in Salsa, mentre in Señorita di Nina Zilli e Clementino cantano «io non son il capitan, tu non sei il marinero». Nessuno, eccetto Elettra Lambor-

Triade caliente: Fedez, Berti e Lauro con Mille. (YouTube)

ghini (Pistolero) e Sangiovanni con Malibù, vuole cantare da solo. Molte collaborazioni, più o meno indovinate: Carl Brave e Noemi, Gazzelle e Mara Sattei – chi? –, Samuel (forse lo ricordate nei Subsonica) e Francesca Michielin, nonché il collaudato connubio tra Giusy Ferreri e i produttori Takagi e Ketra, e il calcolato sodalizio 2021 tra Baby K e i principi dell’estate, Boomdabash. Cose che ci si aspetta come

i gavettoni in questo periodo, niente di particolarmente audace, ma… Un sabato sera su una cabrio nera ci sono Achille Lauro, Fedez e Orietta Berti,… sembra l’inizio di una barzelletta, invece non lo è affatto. Questo bizzarro trio spacca signori, spacca! Orietta, «L’usignolo di Cavriago», rivelazione dell’anno già a Sanremo nei suoi abiti da sirena, con la voce di 50 anni fa arricchita da qualche totalità

bassa in più, ci propone Mille, il twist retrò più innovativo che si potesse attendere, nel 2021, un crossover generazionale che ci piace tanto, tanto quanto L’allegria di Gianni Morandi scritta da Jovanotti. Sonorità contemporanee che si miscelano a quello stile anni 60 che ha reso celebre la canzone italiana. I nostalgici degli anni 80 potranno contare su Emma e Loredana Berté con Che sogno incredibile, oppure sulla travolgente traccia dance Never Going Home di Kungs. Infine, ma non in ordine di tollerabilità, il brano che, in una salsa o nell’altra, si sono cuccate tutte le generazioni, la canzone più coverizzata del panorama musicale di New Orleans e probabilmente tra le più riproposte al mondo. L’originale intitolata Jock-A-Mo (1953) di James «Sugar Boy» Crawford e i suoi Cane Cutters è stata plagiata e resa celebre dai Dixie Cups nel 1965. Etichettata sotto il genere Bubblegum pop (musica usa e getta) da allora è stata rifatta così tante volte che bisognerebbe coniare la recycling music. La versione di Justin Wellington – Iko Iko (My Bestie) – feat. Small Jam, è una chicca del 2019 dal ritmo caraibico con incursioni reggae riesumata un mesetto fa grazie a Tik Tok. Poco nuova, molto estiva e potenzialmente tormentante. Ma con così tanta musica che ripesca dal passato, come suona il presente? Annuncio pubblicitario

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cultura e Spettacoli

con la rabbia dei giusti

Personaggi Riot Grrrls, il sottogenere musicale nato dall’indie rock e dall’hardrock punk,

stravolgono il politicamente corretto Muriel Del Don Chi sono le Riot Grrrls, pioniere di un movimento (musicale e sociale) che dagli anni novanta non smette di influenzare le nuove generazioni? Difficile scegliere chi tra le sue ribelli capostipiti sia stata la più emblematica ma indubbiamente Kathleen Hanna si distingue dalla massa. Simbolo di un «femminismo anni novanta» che si stava affermando con forza e leader del gruppo punk Bikini Kill, Hanna non ha mai avuto paura di gridare quello che tanti (ma anche tante) non osavano nemmeno sussurrare. All girls to the front! invocava la cantante e attivista statunitense durante i concerti delle Bikini Kill, ricordando a tutte le ragazze presenti nel pubblico che la scena non è proprietà esclusiva del patriarcato ma uno spazio aperto alla diversità, un luogo dove esprimersi godendo di una libertà di parola che dovrebbe essere garantita a tutti.e.x. I concerti del gruppo diventavano

occasione privilegiata per incarnare ed espandere vere e proprie lotte politiche in favore di un femminismo inclusivo che intendeva esprimersi in nome dei gruppi oppressi di cui le donne fanno parte integrante. In molti dei loro testi, Hanna e compagne affrontano temi scottanti quali la violenza domestica o sessuale, i disturbi alimentari o ancora gli abusi subiti sul posto di lavoro e la libertà di fare del proprio corpo ciò che meglio si crede. Formate quasi esclusivamente da donne animate da una volontà rivendicata di affrontare temi scottanti che la società patriarcale vorrebbe sotterrare, le band appartenenti al movimento Riot Grrrls, nato agli inizi degli anni novanta nello stato di Washington, volevano anche rivendicare la loro legittimità musicale. Sì, perché Bikini Kill e compagne (L7, Bratmobile, Heaven to Betsy e successivamente Babes in Toyland o Hole) non sono solo delle guerriere che lottano per la parità dei diritti e l’abolizione del sessismo, ma anche delle musiciste carismatiche

che vogliono riappropriarsi di un genere, il punk, che fino ad allora sembrava essergli proscritto. Quello che accomuna tutte queste band è il desiderio spasmodico di liberare la parola proponendo un’immagine forte e alternativa del genere femminile (nel senso lato del termine). Le donne (gruppo ancora una volta da intendere secondo una prospettiva di genere e non in quanto fatto biologico), relegate troppo spesso al ruolo di comparse (o muse), diventano infine protagoniste del mondo della musica punk che trasformano in grido di battaglia e motore di un cambiamento sociale che intende spodestare il patriarcato in favore di un’eguaglianza non più fittizia ma reale. Le rivendicazioni delle Riot Grrrl non devono però essere confuse con quelle legate al femminismo essenzialista che ritrova nel corpo biologico il solo indizio di una femminilità innata e immutabile. Quello che le Riot vogliono è piuttosto decostruire l’immagine stereotipata e retrograda del genere femminile as-

Carrie Brownstein delle Sleater Kinney durante un concerto a Barcellona. (Shutterstock)

sociato alla sottomissione e a una docile accettazione, una «femminilità» infine libera dalla prigionia del corpo esclusivamente inteso come strumento di procreazione. Secondo la loro prospettiva, ogni forma di discriminazione: razziale, sessuale o di genere deve essere abolita in favore di una diversità accogliente, rivoluzionaria e chiassosa. Niente girl power mainstream di facciata quindi, ma piuttosto una volontà sincera di accogliere la diversità in tutta la sua splendente eterogeneità.

Le irriverenti esponenti del movimento musicale punk Riot Grrrl desiderano innescare un cambiamento sociale A portare avanti le rivendicazioni delle Riot Grrrls troviamo oggi molte artiste che dell’inclusività e dell’ambiguità hanno fatto il loro motto, delle artiste che non vogliono essere etichettate o imbrigliate in nessun genere, musicale ma non solo. Tra queste spicca l’artista scozzese Sophie, tragicamente deceduta in gennaio di quest’anno, che ha collaborato con pesi massimi dell’industria musicale quali Madonna o Charli XCX. Del movimento Riot Grrrls Sophie possiede la forza sovversiva che la spinge ad essere sé stessa fino in fondo. La musicista, che preferisce non essere definita attraverso pronomi binari, ha affermato che essere trans significa per lei «riprendere il controllo, considerare il corpo in linea con l’anima e lo spirito per fare in modo che entrambi smettano di combattere per sopravvivere». Già nel suo album di debutto (2018): Oil of Every Pearl’s Un-Inside la musicista scozzese affronta nei suoi brani problematiche a lei care legate all’identità, la non conformità e la reinvenzione di sé sulla base del proprio essere profondo. L’universo musicale di Sophie è unico come unica è la sua persona(lità): pop, trance e dance underground, il tutto condito da una dose massiccia di sonorità distorte e destabilizzanti che creano un sound riconoscibile tra mille. Sophie è riuscita

ad attraversare i confini della pop raggiungendo una sorta di trascendenza musicale che colpisce il cuore facendolo battere con rinnovata passione. Al pari delle Bikini Kill, l’artista di Glasgow ha utilizzato il palcoscenico per promuovere i diritti delle persone trans augurandogli e augurandosi «un futuro più variegato, stimolante e significativo per noi e le generazioni che verranno». La sua musica ha cambiato il volto della pop alternativa aprendo il dibattito su tematiche marginalizzate da una società ancora tristemente marcata dal patriarcato e dalle sue piccole certezze. Nella stessa corrente di rivendicazione identitaria ritroviamo la musicista e produttrice venezuelana Arca e la star dell’hip hop underground nonché performer, poeta e attivista Mykki Blanco. Imprevedibile, volutamente ambigua e mutante, Arca gioca con le sonorità e le referenze artistiche che vanno da David Cronenberg al seapunk fino ad arrivare all’arte barocca per creare un universo che appartiene solo a lei. Dichiaratamente trans e non binaria, Arca afferma nel suo brano Nonbinary di fare quello che vuole quando vuole, fregandosene di quello che pensa la gente. «Sono speciale, non mi potete definire altrimenti» grida dall’alto dei suoi tacchi a spillo: più punk di così non si può! Mykki Blanco cita invece esplicitamente il movimento Riot Grrrl, queercore (Bruce LaBruce in primis) e la drag queen Vaginal Davis come sue ispirazioni e punto di partenza di un universo musicale ed estetico che rivendica una transidentità vissuta con orgoglio e fierezza. Ad arricchire ancora ulteriormente questo reggimento di guerriere anticonformiste troviamo la rapper queer femminista svedese Silvana Imam, la diva goth-pop francese ma belga d’adozione Mathilde Fernandez e le sue sonorità imprevedibili tra canto lirico e techno hardcore o ancora la «regina mascherata della Milano by night» (come definita dal «New York Times») MYSS KETA, senza dimenticare la star dell’hip hop made in USA dichiaratamente agender e pansessuale Angel Haze. Riot grrrls are not dead, al contrario, la rivoluzione è appena iniziata!

Il meraviglioso fil rouge che non c’è

Fotografia Al LAC di Lugano fino al Primo agosto in mostra le straordinarie immagini

della collezione Thomas Walther Giovanni Medolago Tanto vale dirlo subito: quella in corso al LAC di Lugano, Capolavori della Fotografia moderna (1900-1940) è una delle mostre più interessanti proposte in questi ultimi anni. Eccitante addirittura. Non solo poiché la Collezione Thomas Walther del MOMA newyorkese approda per la prima volta in Europa, ma soprattutto perché è raro vedere affastellate in poche sale così tante opere (oltre duecento), parecchie delle quali divenute nel frattempo iconiche. Un confronto ravvicinato che mette spalla a spalla decine di Maestri di quell’arte riassunta solitamente con la locuzione «scrivere con la luce» (dai due vocaboli greci che compongono la parola fotografia). Lungo l’elenco dei Grandi presenti: da Manuel Alvarez Bravo a Paul Strand; dalla coppia di pionieri Edward Steichen a Edward Weston (con la sua compagna/musa Tina Modotti), sino ai soliti noti quali Walker Evans, Henri Cartier Bres-

son, Man Ray, Alexander Rodcenko (accanto a un altro costruttivista suo amico ma meno celebrato: El Lissitzky), August Sander e, tra gli altri, André Kertész. Altrettanto cospicua e formidabile la pattuglia femminile: Berenice Abbott, Florence Henri, Lucia Moholy (cui il marito Laszlo deve parecchio), Lore Feininger (primogenita del pittore espressionista Lyonel), la già citata Modotti, Gertrud Arndt (figura importante quanto misconosciuta del Bauhaus) e – non troppo dulcis… in fundo, viste le sue simpatie naziste – Leni Riefenstahl. Non è facile scoprire un fil rouge dietro le scelte di Thomas Walther. Da un lato è certo che iniziò il suo lavoro di collezionista in un periodo caratterizzato da un incredibile fervore immaginativo, quando – superata l’epoca del formidabile tridente d’inventori J.N. Niépce, W.F. Talbot e Louis Daguerre – la fotografia si buttava per così dire alla scoperta delle numerose possibilità offerte dal nuovo apparecchio e dall’incessante susseguirsi di novità (obiet-

che coglie l’artista/design Andor Weininger in una grassa risata; o ancora Kertész che dapprima ritrae in primissimo piano Piet Mondrian e poi – bona pesa! – si accontenta degli occhiali e la pipa del Maestro olandese. Non ci piace affatto l’indicazione/ ingiunzione «da vedere assolutamente» (difatti non la usiamo dai tempi in cui Berta NON filava ancora!), diventata ormai anodina dopo l’abuso che se n’è fatto. In occasione di questa mostra, tuttavia, è davvero il caso di rispolverarla: per gli appassionati sarà un indimenticabile piacere; per i neofiti l’occasione di un bel ripasso della Storia della Fotografia. Dove e quando

Berenice Abbott, Fifth Avenue, Anni 30 del 900. (Thomas Walther)

tivi, formati, altre tecniche di stampa ecc.). Dall’altro le sue scelte sembrano voler negare quella contrapposizione tra artisti figurativi e fotografi – che in realtà c’è stata, eccome. Ne è testimo-

nianza la presenza di parecchi ritratti di pittori: Man Ray che immortala Marcel Duchamp e Joseph Stella (primo futurista d’America, sebbene fosse figlio della Lucania), Walter Peterhans

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Svizzera, 2 x 101 g

34% 3.95

Prosciutto cotto Puccini prodotto in Ticino, affettato fine in vaschetta, per 100 g, in self-service

Prosciutto affumicato di campagna Malbuner

Se condo la rice tta orig inale ticine se di Mario Rape lli

invece di 6.–

Prosciutto crudo dalla noce prodotto in Svizzera con carne dalla Germania, per 100 g, in self-service

conf. da 2

Salsiccia ticinese Rapelli Svizzera, in conf. speciale, per 100 g

30% 5.50 invece di 7.90

Cipollata TerraSuisse 2 x 8 pezzi, 400 g


conf. da 2

30% 9.80

Alette Optigal marinate Svizzera, al kg

invece di 14.–

Hit 1.90 30% 4.60 invece di 6.60

25% 3.90 invece di 5.20

Migros Ticino

per 100 g, in self-service

Costata di manzo alla Fiorentina IP-SUISSE per 100 g, in self-service

Pancetta a dadini TerraSuisse in conf. speciale, 240 g

Costolette di maiale IP-SUISSE

Hit 4.90

Tartare di manzo prodotta in filiale con carne Svizzera, per 100 g, in self-service

Offerte valide solo dal 6.7 al 12.7.2021, fino a esaurimento dello stock


Pesce e frutti di mare

Bontà da gustare non solo di venerdì

CONSIGLIO DEGLI ESPERTI Spennella l'orata con una marinata di olio d'oliva, aglio e basilico. Arrostiscila in forno o alla griglia fino a quando la pinna dorsale non si stacca facilmente. A quel punto è pronta da servire.

invece di 13.40

Migros Ticino

Orata reale Grill mi M-Classic, ASC d'allevamento, Croazia, 720 g, in self-service

invece di 15.80

20% 2.45

conf. da 2

33% 8.95

30% 11.–

Bastoncini di merluzzo Pelican, MSC prodotti surgelati, 2 x 24 pezzi, 2 x 720 g

invece di 3.10

Tutto il pesce fresco MSC per es. filetto di passera, Atlantico nord-orientale, per 100 g, valido fino al 10.7.2021, al banco a servizio e in self-service


Pane e prodotti da forno

Delizie appena sfornate na: a im tt se a ll e d e n a p Il nost r o rata o d a st o r c a n u a h , o intre cc iato a man e all'inte r no ma è soffic

3.50

Treccia al burro TerraSuisse 500 g, confezionata

conf. da 2

25% 3.45 invece di 4.60

Migros Ticino

Pane Toast & Sandwich M-Classic chiaro, IP-SUISSE 2 x 620 g

Offerte valide solo dal 6.7 al 12.7.2021, fino a esaurimento dello stock


Formaggi e latticini

Più aroma nel piatto

C o n bat t e r i ac idola se le zionat i t t ic i

conf. da 6

–.50 di riduzione

2.50 invece di 3.–

Flan vaniglia, caramello o cioccolato, per es. vaniglia, 6 x 125 g

20% Tutti gli yogurt e i drink Bifidus

conf. da 12

20% 12.95 invece di 16.20

Migros Ticino

per es. drink alla fragola, 500 ml, 1.40 invece di 1.80

Latte intero Valflora UHT 12 x 1 l


CONSIGLIO DEGLI ESPERTI

20% 1.55 invece di 1.95

20% 1.75 invece di 2.20

Tilsiter alla panna bio ca. 250 g, per 100 g, confezionato

Formaggella Cremosa prodotta in Ticino, per 100 g, confezionata

30% 1.60

Estrai il Gorgonzola dal frigorifero circa 30 minuti prima del consumo, in modo che sviluppi tutto il suo sapore. Si sposa bene con vino, noci e frutta e dona un gusto raffinato a pasta, insalate e risotti.

Fontal Italiano per 100 g

invece di 2.30

21% 2.25 invece di 2.85

Parmigiano Reggiano DOP 700 g/800 g, per 100 g, confezionato

20x PUNTI

conf. da 3

20% 4.65 invece di 5.85

Migros Ticino

conf. da 2

Novità

21% Mozzarella Galbani

Cottage Cheese M-Classic

3 x 150 g

al naturale o all'erba cipollina, per es. al naturale, 2 x 200 g, 2.20 invece di 2.80

5.20

Gorgonzola bio, 200 g

Offerte valide solo dal 6.7 al 12.7.2021, fino a esaurimento dello stock


Dolce e salato

L’ideale per accompagnare il tè o il caffè

LO SAPEVI?

20% 1.80

Millefoglie con glassa di zucchero bianca 2 pezzi, 157 g, prodotto confezionato

invece di 2.25

I Leckerli sono realizzati secondo la ricetta e il procedimento originali di Basilea. L'impasto viene prodotto in grandi vasche: un impasto pesa ben 455 chilogrammi. Ogni anno vengono lavorate 510 tonnellate di impasto per Leckerli.

conf. da 3

25% 5.40 invece di 7.20

Tavolette di cioccolato Lindt al latte finissimo o al latte con nocciole, per es. al latte finissimo, 3 x 100 g

e Pe r g li amanti d cioccolato a partire da 2 pezzi

24% 11.95

invece di 15.90

Migros Ticino

Leckerli finissimi in conf. speciale, 1,5 kg, prodotto confezionato

20% Cioccolato Toblerone disponibile in diverse varietà, per es. Milk, 100 g, 1.80 invece di 2.20

l


conf. da 2

20% Wafer Viennesi, Japonais o Taragona M-Classic per es. Wafer Viennesi, 2 x 150 g, 4.40 invece di 5.50

Con ripie no c re ma di no alla cc iole conf. da 2

20% 3.50

conf. da 30

Hit

11.95

invece di 4.40

Branches Bicolor o Dark Frey

Magdalenas M-Classic marmorizzate o al limone, per es. marmorizzate, 2 x 225 g

per es. Bicolor, 30 x 27 g

conf. da 2

20%

20%

Chips o Corn Chips Zweifel

Noci e noci miste Party

per es. chips alla paprica, 2 x 90 g, 3.65 invece di 4.60

in confezioni speciali, per es. noci miste salate, 500 g, 5.40 invece di 6.75

Migros Ticino

Offerte valide solo dal 6.7 al 12.7.2021, fino a esaurimento dello stock


Bevande

Risparmia, brinda e assapora!

conf. da 6

33% 3.80 invece di 5.70

25% Acqua minerale San Pellegrino 6 x 1,25 l

20x

Summer Edition, 330 ml

20x PUNTI

Novità

7up Grapefruit Free 1,5 l o 6 x 1,5 l, per es. 1,5 l, 1.90

2.10

per es. senza anidride carbonica, 6 x 750 ml, 3.40 invece di 5.80

Novità

Moonspring Daydreamer o Sunsmuggler, per es. Daydreamer, 500 ml

20x

1.75

Evian+ Sparkling Drink lampone e ginseng, limetta e zenzero o pompelmo e basilico, per es. lampone e zenzero, 330 ml

20x

PUNTI

PUNTI

Novità

1.25

Tutto l'assortimento di acqua minerale Valais

PUNTI

Novità

Nocco Mango Del Sol

40%

20x

PUNTI

Novità

Migros Ticino

da 750 ml e 1,5 l, per es. ai lamponi, 750 ml, 1.65 invece di 2.20

20x

PUNTI

2.50

Sciroppi in bottiglie di PET

conf. da 6

Novità

Aproz ai fiori di sambuco bio 1 o 6 x 1 l, per es. 1 l

2.50

Volvic Essence arancia o limone, per es. arancia, 1,25 l


L e pr a t i c h mini lat t i e ne

conf. da 12

Hit 5.50

conf. da 10

Coca-Cola

33% 7.95

Classic o Zero, per es. Classic, 12 x 150 ml

invece di 12.–

Succo di mela M-Classic 10 x 1 litro

20x

20x

PUNTI

PUNTI

Novità

Novità

1.50

Ice Tea bio disponibile in diversi formati e varietà, per es. alle erbe delle Alpi svizzere, 1 l, 1.45

Oasis Tropical o alla pesca, per es. Tropical, 500 ml

c on Tè f re ddo t t i di ra olio e d e st anapa fiori di c

20x

20x

Migros Ticino

PUNTI

Novità

Novità

1.40

20x

PUNTI

PUNTI

Cannabis Ice Tea C-Ice 250 ml

2.80

Novità

Lemonaid Maracuja 330 ml

2.80

Tè freddo Charitea Mate 330 ml

Offerte valide solo dal 6.7 al 12.7.2021, fino a esaurimento dello stock


Scorta

Ottime azioni per fare un po’ di scorte

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50% È l' ora del l'ape ritivo

33% 7.60 invece di 11.45

Tutti i tipi di aceto e i condimenti Ponti

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Olive Anna's Best formaggio a pasta molle o aglio, in confezione speciale, per es. formaggio a pasta molle, 400 g

20x

per es. aceto balsamico di Modena, 500 ml, 2.25 invece di 4.50

conf. da 3

30%

15%

Tortelloni M-Classic

Il Pesto di Pra’

ricotta e spinaci o di manzo, per es. ricotta e spinaci, 3 x 250 g, 7.75 invece di 11.10

per es. genovese senza aglio, 90 g, 3.65 invece di 4.30

PUNTI

Novità

2.70

Olive italiane Cerignola bio 270 g, in vendita nelle maggiori filiali

30% Tutte le tortine e gli strudel M-Classic prodotti surgelati, per es. tortine al formaggio, 4 pezzi, 280 g, 1.85 invece di 2.65

Migros Ticino

Hit 8.90

conf. da 3

20% Mini Springrolls Vegi Asia-Snacks in conf. speciale, 20 pezzi, 500 g

30% Patate fritte o patate fritte al forno M-Classic surgelate, in conf. speciale, per es. patate fritte, 2 kg, 5.45 invece di 7.85

Asia Noodles Knorr Vegetable, Chicken o Curry, per es. Vegetable, 3 x 70 g, 4.30 invece di 5.40

conf. da 2

20% Kellogg's disponibili in diverse varietà, per es. Special K Classic, 2 x 600 g, 8.95 invece di 11.20


Bebè e bambini

Offerte grandiose per i più piccini

conf. da 3

20% Rio Mare disponibile in diverse varietà e in confezioni multiple, per es. Tonno all'Olio di Oliva, 3 x 104 g, 10.– invece di 12.60

20x PUNTI

Novità

2.20

Penne di spelta Alnatura

Con estrat to naturale bi ol di meliloto e amamelidog ic o e

500 g, in vendita nelle maggiori filiali

a partire da 3 pezzi

33% a partire da 2 pezzi

20x

Novità

4.20

Tutti i pannolini Pampers

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per es. Baby Dry 4, conf. da 46, 12.70 invece di 18.90

Tutti i pannolini e i prodotti trattanti Milette Naturals Salsa Smokey Chipotle Bull's-Eye

per es. gel detergente e shampoo per bebè, 200 ml, 3.45 invece di 4.90

Se nza zucc he ri ag giunti

300 ml, in vendita nelle maggiori filiali

20x PUNTI

conf. da 4

23%

Novità

4.95 Migros Ticino

a partire da 2 pezzi

Salsa Spicy Garlic Bull's-Eye 300 ml, in vendita nelle maggiori filiali

20%

Salviettine umide per bebè Milette, FSC per es. Ultra Soft & Care Sensitive, 4 x 72 pezzi, 9.– invece di 11.80

Tutte le pappe, gli snack e gli Yogolino Nestlé per es. pappa lattea al biscotto, 450 g, 8.65 invece di 10.80

Offerte valide solo dal 6.7 al 12.7.2021, fino a esaurimento dello stock


Bellezza e cura del corpo

Benessere e trattamenti da fare a casa

25%

20% Lame di ricambio Gillette in confezioni speciali, per es. Fusion 5 Proglide, 12 pezzi, 45.95 invece di 58.05

Tutto l'assortimento per la cura del viso L'Oréal Men Expert e tutto l'assortimento Bulldog per es. cura idratante Men Expert Hydra Energy, 50 ml, 9.60 invece di 12.80

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conf. da 2

Rasoio BiC Flex2 Hybrid con 8 lame di ricambio, il set

29% 3.95 invece di 5.60

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25% Deodoranti Rexona Men

Deodoranti Axe

Cobalt Dry o Stay Fresh, per es. deodorante spray Cobalt Dry, 2 x 150 ml

in confezioni multiple, per es. deodorante spray Africa, 2 x 150 ml, 6.75 invece di 9.–

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Nivea Magic Bars rinfrescante, illuminante, delicato, per es. rinfrescante, il pezzo

2.80

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Deodorante spray Rexona Estate

Deodoranti Rexona Maximum Protection

Limited Edition, 150 ml

per es. deodorante spray Clean Scent, 150 ml, 3.90


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33% conf. da 3

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Prodotti per la doccia I am Men

Tutto l’assortimento Maybelline

per es. docciaschiuma trattante Sport, 3 x 250 ml, 3.90 invece di 5.85

per es. Concealer Instant Anti-Age, 04 Honey, il pezzo, 8.95 invece di 14.90

33% Prodotti per la doccia Nivea Men in confezioni multiple, per es. docciaschiuma trattante Energy, 3 x 250 ml, 4.80 invece di 7.20

conf. da 3

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33% Fazzoletti o salviettine cosmetiche Tempo, FSC

33% 4.60 invece di 6.90

Shampoo I am per es. Intense Moisture, 3 x 250 ml

33% 7.90 invece di 11.85

Shampoo Belherbal per es. per capelli grassi, 3 x 250 ml

in confezioni speciali, per es. Classic, 42 x 10 pezzi, 6.85 invece di 10.35

Con 1 5 v e g e tali see st rat t i le zionat i

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33% Fazzoletti o salviettine cosmetiche Kleenex, FSC in confezioni multiple o speciali, per es. Original, 4 x 80 pezzi, 5.30 invece di 8.–

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Novità

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Actilife+ Biotina 2,5 mg 60 compresse

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Gocce amare Sanactiv 50 ml

Offerte valide solo dal 6.7 al 12.7.2021, fino a esaurimento dello stock


Varie

Dalla lettiera per gatti ai calzini da trekking

al adabile r g e d o i B

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20% Detergente Migros Plus in confezioni multiple o speciali, per es. crema detergente, 2 x 500 ml, 5.75 invece di 7.20

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50% Tutto l'assortimento Handymatic Supreme

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Hit 5.50

(sale rigeneratore escluso), per es. All in 1 in polvere, 1 kg, 3.95 invece di 7.90

Vaschette per grigliare in alluminio Tangan n. 106 22,8 x 17 cm

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Batteria di pentole Titan per es. padella a bordo basso, Ø 24 cm, il pezzo, 29.95 invece di 49.95

30% Tutto l'assortimento di bicchieri Cucina & Tavola (linea Prima e prodotti Hit esclusi), per es. bicchieri da vino Superiore Rosso, 3 x 48 cl, 10.50 invece di 14.95

40%

conf. da 2

20%

Carta per uso domestico Twist, FSC

Cestelli o detergenti per WC Hygo

Deluxe e Classic, in confezioni speciali, per es. Deluxe, 12 rotoli, 9.70 invece di 16.20

in confezioni multiple o speciali, per es. Flower Clean, 2 x 750 ml, 5.60 invece di 7.–

Migros Ticino

conf. da 5

21% 12.95 invece di 16.50

Cleverbag Herkules 35 l, 5 x 20 pezzi


Fiori e giardino

conf. da 2

50% 14.90 invece di 29.80

Hit Calze da trekking Salomon disponibili in nero e in diverse misure, per es. n. 39-42, in vendita nelle maggiori filiali

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Borsa da viaggio Titan disponibile in azzurro o antracite, taglia unica, per es. azzurro, il pezzo

1.–

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9.95 invece di 10.95

mazzo da 5 pezzi, il mazzo

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Girasoli M-Classic

Pigiama corto da donna bio con diversi motivi, tg. S–XL, per es. tg. M, il set

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20% Tutto l'assortimento di lettiere per gatti Fatto

Pigiama corto da uomo bio nero, disponibile nelle taglie S–XL, per es. M, il set

Hit 4.95

Minirose mazzo da 14 pezzi, lunghezza dello stelo 40 cm, disponibili in diversi colori, per es. gialle, il mazzo

per es. Plus, 10 l, 5.65 invece di 7.10

Migros Ticino

Offerte valide solo dal 6.7 al 12.7.2021, fino a esaurimento dello stock


¡Viva Mexico – viva la tortilla!

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Miscela di formaggio grattuggiato Tex Mex M-Classic

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Yucatan Salad Anna's Best

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300 g

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Cetrioli bio Svizzera, il pezzo, offerta valida dall'8.7 all'11.7.2021

Lonza di maiale marinata, IP-SUISSE per 100 g, offerta valida dall'8.7 all'11.7.2021, in self-service

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Tortillas senza glutine Pancho Villa 216 g

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Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. Offerte valide solo dal 6.7 al 12.7.2021, fino a esaurimento dello stock

Fajita Sauce El Sombrero 280 g

Tutti i burger prodotti surgelati, per es. Hamburger M-Classic, 2 x 90 g, 2.30 invece di 3.95, offerta valida dall'8.7 all'11.7.2021


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