Azione 28 del 12 luglio 2021

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Cooperativa Migros Ticino

Società e Territorio Nella storia dell’umanità il lavoro non ha mai avuto il ruolo che occupa oggi. Intervista all’antropologo James Suzman

ambiente e Benessere La soluzione per regolare la pressione nei pazienti affetti da una lesione del midollo spinale è solo uno dei diversi progetti condotti al NeuroRestore di Losanna

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXIV 12 luglio 2021

azione 28 Politica e economia L’alleanza dei sovranisti europei strizza l’occhio a Vladimir Putin e si aggrappa al passato

cultura e Spettacoli Una mostra a Palazzo Strozzi di Firenze invita alla scoperta dell’arte americana

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Shutterstock

cosa c’è oltre lo smartphone

di Rocco Bianchi pagina 10

Un esperimento politico da seguire di Alessandro Zanoli L’entrata in scena del Movimento 5 Stelle, bisogna ammetterlo, era stata clamorosa. Caratterizzata dalla spinta «dal basso» di centinaia di migliaia di insoddisfatti del sistema politico italiano, indirizzata e aizzata dalla verve polemica e provocatoria di un comico, organizzata dalla piattaforma informatica «Rousseau» ideata da un guru della comunicazione, nel 2009 aveva portato sul mercato politico un prodotto decisamente nuovo. L’esperimento italiano aveva suscitato l’interesse e anche lo sdegno di osservatori politici da tutto il mondo. Ricordiamo una divertente copertina dell’«Economist» che sottolineava la loro entrata in Parlamento nel 2013: un fotomontaggio in cui Silvio Berlusconi era affiancato da Beppe Grillo, sormontati dal titolo «Let in the clowns». Al di là di tutto, il fenomeno era degno di essere osservato perché indicativo, forse, di una metamorfosi ideologico-digitale: il partito (o meglio, il movimento) che si confronta e discute le sue istanze su Facebook, che si riunisce in teleconferenza, che decide di imporre ai suoi eletti la rinuncia a una parte degli emolumenti loro assegnati e la

limitazione a due anni per i loro mandati, lasciava presagire forme di gestione della cosa pubblica e della partecipazione politica degli elettori fuori dalle logiche usuali. Erano i tempi, qualcuno ricorderà, della nascita nel nord Europa dei «Partiti pirati», formazioni che mettevano le istanze legate alla comunicazione digitale al centro della loro proposta elettorale. I 5 Stelle si ponevano apparentemente su un piano analogo: uno dei loro cinque postulati fondamentali (da cui prendevano il nome) era la libertà di connessione a internet per tutti. Molti osservatori nel nostro Cantone, cercando di capire, confrontavano proprio i 5 Stelle e i «Pirati», ma, di fatto, la protesta incarnata dal movimento difficilmente si prestava a paragoni. Nata specificamente come reazione ai problemi sistemici della politica italiana, (consociativismo, corruzione, connivenze tra politica e malavita, cattiva gestione amministrativa, clientelismo, favoritismo della casta) la formazione si proponeva una rivoluzione culturale, un cambiamento di paradigma nella gestione della cosa pubblica. E del resto, nelle file dei 5 Stelle sono confluiti vari tipi di elettore. Quelli alla ricerca di un modello di partecipazione politica che usasse come arma la libera espressione

(il web era ritenuto una sorta di risolutore di ogni problema di rappresentanza e un’istanza di inevitabile democratizzazione); quelli che semplicemente volevano svincolarsi dalle rigide definizioni, uscire dalla logica destra-sinistra per riprendere in mano la gestione concreta della realtà sociale. Se ci torna alla mente la genesi così originale dei 5 Stelle oggi, è perché stiamo assistendo proprio in questi giorni a una fase di grande confusione e di frattura interna che conduce il Movimento a nominare una commissione di sette saggi, ai quali affidare la futura personalità dello schieramento. Dopo il fallito tentativo di normalizzazione affidato a Giuseppe Conte, il «garante» (e proprietario dello stemma elettorale) Beppe Grillo ha investito alcuni membri storici del Movimento di un compito difficile. I sondaggi non sono favorevoli, le prossime tornate elettorali si preannunciano come molto difficili. Di nuovo, questo esperimento politico italiano si presterà come oggetto per interessanti osservazioni e sorprese. Quel che è certo è che la loro modalità di comunicazione, dapprima criticata, è stata poi adottata dai politici di tutti gli schieramenti. I 5 Stelle insomma hanno fatto scuola. Resta da vedere ora se sapranno inventarsi un futuro.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 luglio 2021 • N. 28

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Società e Territorio le Terre di avegno Una passeggiata in Vallemaggia attraverso le frazioni Gésgia, Vinzótt e Lüdint per riscoprire luoghi legati al passato rurale della valle: dai grotti alla tinaia, dal vecchio torchio alla roggia pagina 7

Nell’era della realtà aumentata Tutte le Big Tech stanno investendo nella realtà aumentata, una tecnologia che permette di potenziare la visione della realtà «vera» con altri elementi puntando su sensazioni ed emozioni: sarà la fine dello smartphone? pagina 10

«In Occidente il lavoro è diventato un fattore identitario dopo che gli esseri umani si sono trasferiti nelle città, allontanandosi dalle campagne». (Shutterstock)

Siamo nati per lavorare?

Intervista Secondo l’antropologo James Suzman, durante il novantacinque per cento della storia dell’umanità

il lavoro non ha avuto il ruolo sacro che occupa adesso. E con la pandemia forse la situazione sta cambiando Stefania Prandi Il lavoro definisce la nostra posizione nella società, determina dove e con chi trascorriamo gran parte della nostra giornata, è il mediatore della nostra autostima e un mezzo per trasmettere i valori in cui crediamo. Siamo sempre più indaffarati e occupati, a discapito del tempo libero. Ma lavorare fa davvero parte della nostra natura? Secondo l’antropologo James Suzman, per il novantacinque per cento della storia dell’umanità, il lavoro non ha avuto il ruolo sacro che occupa adesso. Dopo avere trascorso quindici anni vivendo con il popolo Ju/’hoansi della Namibia, una delle poche società ancora dipendenti dalla caccia e dalla raccolta, Suzman ha scritto Lavoro. Una storia culturale e sociale (Il Saggiatore), appena pubblicato in italiano. Il testo spazia dalle origini ai nostri giorni, tra antropologia e zoologia, fisica e biologia evolutiva, economia e archeologia. come mai il lavoro è così legato alla nostra identità?

Se consideriamo il lavoro attraverso le varie culture, osserviamo che benché tutti capiscano cosa sia, il suo significato cambia profondamente in base ai luoghi e alle persone. Storicamente

in Occidente il lavoro è diventato un fattore identitario dopo che gli esseri umani si sono trasferiti nelle città, allontanandosi dalle campagne, dove l’idea di lavoro era legata al sostentamento. Questa transizione ha portato a un’enorme fioritura di professioni diverse, perché non c’erano più i bisogni primari di produzione del cibo, di quando abitavamo in campagna, da soddisfare. E così quello che abbiamo fatto è stato formare comunità basate su esperienze, conoscenze, modi di fare le cose e status sociali condivisi. È interessante notare come con la pandemia, forse, stiamo iniziando ad allontanarci dal modello che si è instaurato nel corso dei secoli. Per la prima volta ci siamo ritrovati a trascorrere meno tempo di prima con i colleghi, negli uffici, per stare invece con le nostre famiglie, in casa. Abbiamo ridimensionato il ruolo del lavoro e realizzato che siamo anche altro. Quindi la pandemia sta cambiando la nostra idea sul lavoro?

Per il momento, dato che abitiamo ancora nelle città, ci confrontiamo con chi ha le nostre stesse esperienze e continuiamo a identificarci con le nostre professioni. Viviamo in società dove il patto sociale è basato sul fatto che tutti dobbiamo lavorare: abbiamo l’idea

che chi non produce non contribuisca davvero allo sviluppo, una visione che trovo in molti modi malsana. Non è semplice cambiare, siamo creature abitudinarie. Basta pensare che il lavoro da remoto, flessibile, che abbiamo sperimentato per forza durante la pandemia, sarebbe già stato possibile da vent’anni grazie all’uso diffuso della banda larga e all’espansione di Internet. Ma non è mai stato adottato prima a livello generale semplicemente perché c’era la credenza, dei datori di lavoro, che un cambiamento avrebbe portato a un crollo. Abbiamo dovuto sottoporci a questo vasto esperimento dell’ultimo anno e mezzo per capire che il telelavoro non è veramente terribile. Si è visto che la produttività non è diminuita in maniera sostanziale, anzi, in alcuni ambiti è addirittura aumentata perché le persone non si sono più dovute sottoporre a spostamenti lunghi e difficili nei centri delle città. Abbiamo capito che anche se, nelle economie occidentali, abbiamo lavorato meno di qualsiasi altro periodo recente, le nostre economie non sono precipitate. Inoltre, la pandemia ci ha fatto riflettere profondamente sul senso della vita. Uso una citazione molto conosciuta: nessuno, mai, sul letto di morte dice che, ripensandoci, avrebbe

voluto lavorare di più. Quindi stiamo iniziando a chiederci: è necessario fare come in passato? Cosa conta davvero? Ho la sensazione che il cambiamento possa partire proprio da qui. anche le paure che avevamo sull’automazione del lavoro sono cambiate?

Dalla rivoluzione industriale in avanti c’è sempre stata paura delle tecnologie. Adesso ci troviamo in una quarta rivoluzione e abbiamo bisogno di affrontare il passaggio epocale in cui le macchine sono in grado di realizzare molte più cose di quanto avremmo mai immaginato possibile fino a venti o trent’anni fa. Se capiamo come sfruttare la ricchezza prodotta dalle economie automatizzate, allora non priveremo le persone del lavoro ma daremo loro la possibilità di occupare il tempo in modi più significativi. Penso, ad esempio, al numero incredibile di artisti, musicisti, scrittori, fotografi che semplicemente non possono guadagnare abbastanza facendo ciò che amano e sono costretti a sprecare il tempo in lavori banali perché sono stati sfortunati, dato che viviamo in un sistema nocivo che non prende il meglio delle persone. Nel suo libro spiega che per la maggior parte della nostra storia, mentre eravamo cacciatori-raccoglitori,

avevamo molto tempo libero. Quali sono le differenze rispetto ad oggi?

I cacciatori-raccoglitori, i nostri antenati, incentravano i loro sforzi nel soddisfare i propri bisogni di base. Erano molto abili in quello che facevano, conoscevano il posto dove vivevano, sapevano come trovare il cibo e avevano fiducia nell’ambiente che li circondava. Faticavano per le necessità a breve termine, per il sostentamento quotidiano. Non si preoccupavano di accumulare grandi eccedenze dato che erano costantemente certi di farcela. Così si concentravano sul presente, non erano ostaggio di aspirazioni future. Una volta che il lavoro era finito, erano liberi di godersi il tempo libero. L’arte, la musica, la creatività e tutto il resto derivano dal tempo in eccesso che le persone hanno avuto nel corso della storia dell’umanità, perché una volta che avevano appagato le esigenze di base, usavano le energie in altro modo. Al contrario, col passare dei secoli, siamo diventati una specie ossessionata dalla scarsità, mai abbastanza soddisfatta e sempre proiettata sul futuro. Lavoriamo per qualcosa che ci fornisce valore non adesso ma sempre in un altrove temporale e abbiamo la sensazione perenne di dovere fare continuamente di più.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 luglio 2021 • N. 28

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Prima bambini, poi migranti

Socialità Per celebrare i 10 anni di attività l’associazione Franca presenta il progetto Amani dedicato ai minorenni

migranti non accompagnati: una storia di dieci episodi in podcast arricchita da interviste e schede didattiche Stefania Hubmann «Sono bambini, sono migranti, non sono accompagnati». L’associazione Franca di Arbedo ha deciso di portare all’attenzione della società con un progetto innovativo questa condizione di tripla vulnerabilità in cui si trovano diversi minorenni che approdano in Svizzera dopo aver lasciato il loro Paese per sfuggire alla guerra, alla miseria, alla mancanza di una speranza per il futuro. Le autorità devono per legge assicurare loro un’accoglienza rispettosa della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, le associazioni si prodigano per migliorare ulteriormente la loro situazione, ma è necessario risvegliare la sensibilità della popolazione tutta, affinché una realtà ancora poco conosciuta diventi visibile e parte di un processo di inclusione. L’associazione persegue questo scopo in occasione dei dieci anni di attività attraverso la storia di Amani – un’adolescente eritrea il cui nome significa speranza – protagonista di un podcast in dieci episodi. La sua realizzazione è frutto delle competenze narrative e creative dell’associazione Nucleo Meccanico. Completano il progetto altrettante interviste ad esperti sulla tematica dei minorenni non accompagnati (MNA) e schede infografiche di approfondimento.

Amani è un’adolescente eritrea, la sua storia è raccontata nel podcast firmato da Monica De Benedictis e Flavio Stroppini «Sono innanzitutto bambini e poi migranti». Francesco Lombardo, presidente dell’associazione Franca, non si stanca di ripeterlo durante l’intervista ad «Azione». I minori non accompagnati sono per lo più adolescenti di 16-17 anni e la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo – approvata dall’Assemblea generale dalle Nazioni Unite nel 1989 e ratificata dalla Svizzera nel 1997 – lo ricorda bene nel suo primo articolo che fa rientrare in questa categoria tutte le persone con un’età compresa fra 0 e 18 anni. «Il fenomeno migratorio tende a polarizzare il dibattito – prosegue il presidente Lombardo – mentre il nostro progetto va oltre, concentrandosi sull’esperienza di vita dei suoi protagonisti. Questi ultimi per certi versi non sono completamente soli. Sono accompagnati dai sogni tipici della loro età: l’amore e la speranza di una vita migliore». Formato e contenuto del podcast portano la firma di Monica De Benedictis e Flavio Stroppini, fondatori di Nucleo Meccanico. L’associazione Franca da parte sua ha collaborato intensamente con gli autori offrendo testimonianze dirette, consulenza e supervisione, riferimenti bibliografici o ancora scegliendo di prestare attenzione alla differenza

azione

Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938

Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Romina Borla, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

Oltre al podcast il progetto Amani propone delle schede didattiche che permettono l’approfondimento delle tematiche affrontate negli episodi. (www.associazione franca.ch)

di genere optando per una ragazza nel ruolo di protagonista. Senza svelare il percorso personale di Amani, possono essere evidenziati punti forti quali l’indifferenza generale della gente, le paure e le avversità che hanno segnato il «viaggio della speranza» della giovane eritrea condizionando la sua percezione del presente, le forme di integrazione, il ruolo dell’educatore al quale è affidata. I dieci radiodrammi sono ascoltabili sul sito dell’associazione Franca (www.associazionefranca.ch), così come le interviste ad affermati professionisti vicini alla tematica della migrazione. Fra questi il vicepresidente del Comitato ONU per i diritti dell’infanzia Philip Jaffé e don Giusto Della Valle, parroco di Rebbio con un ruolo di primo piano nell’emergenza migranti registrata a Como nel 2016. «Il materiale che abbiamo realizzato – precisa

Francesco Lombardo – è destinato, da un lato, agli adulti interessati a capire la complessità delle procedure e la sorte dei minorenni non accompagnati una volta entrati sul nostro territorio, dall’altro a un lavoro didattico in ogni ordine di scuola a partire dal secondo biennio di scuola media. Come associazione siamo già presenti nel settore scolastico con altre iniziative e tematiche, ma riteniamo questo progetto opportuno ed emergente, quindi di particolare importanza per sensibilizzare le giovani generazioni». Il formato – in parte dettato dalle limitazioni imposte dalla pandemia – rispecchia il trend attuale riguardo ai mezzi utilizzati per informarsi, soprattutto da parte dei giovani. Sostenuto dal Dipartimento della sanità e della socialità e dal Dipartimento delle istituzioni, il progetto

Flavio Stroppini di Nucleo Meccanico e Francesco Lombardo presidente dell’Associazione Franca. Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31

Amani rappresenta un contributo concreto per riaffermare che i minorenni che arrivano in Svizzera soli, lontani dalle loro famiglie, senza permessi e senza protezione, devono essere considerati prima di tutto «bambini» ai sensi della Convenzione ONU. Francesco Lombardo: «Come tali devono beneficiare di tutti i diritti e di tutte le garanzie previste nelle leggi. Sembra ovvio, ma durante la lavorazione ci siamo resi conto che, in Svizzera come in Europa, confusione, mancanza di strutture e mezzi, insufficienza di personale adeguato e mancanza di coordinazione transnazionale sono pure una realtà. La presa a carico offerta nel nostro Paese, pur essendo di qualità, è sicuramente migliorabile, come sottolinea regolarmente il Comitato ONU per i diritti dei bambini. Esso ha il compito di esaminare con spirito costruttivo i progressi compiuti dagli Stati che hanno ratificato la Convenzione nell’attuare i diritti dei minori segnalando i margini di miglioramento». Non va infatti mai dimenticato che «il bambino è una persona competente e soggetto di diritto». Con questa frase l’associazione Franca riassume il suo impegno a favore dell’infanzia (e delle famiglie) con l’obiettivo di rafforzare le competenze personali e sociali dei bambini. Si concentra in particolare sui concetti di promozione e partecipazione, sanciti dalla Convenzione ONU, attraverso attività didattiche e di animazione (come la colonia diurna attualmente in corso), rivolgendosi anche agli adulti tramite incontri pubblici

e formazioni mirate. L’associazione è stata fondata su iniziativa del suo presidente Francesco Lombardo per ricordare la sorella Franca, prematuramente scomparsa nel 2007 e come lui impegnata socialmente a favore del rispetto dei diritti del bambino. Il nome richiama però anche la volontà di esprimersi liberamente e con franchezza, come pure di favorire un approccio di genere. Nella persona del presidente sono riunite, oltre all’impegno sociale, qualificate competenze professionali. Già docente di sostegno pedagogico, nel 2010 ha ottenuto un advanced master in diritti del bambino nella Svizzera romanda. Oltre alla lunga esperienza sul campo con ragazze e ragazzi in difficoltà, ha seguito per conto dell’organizzazione «Terre des hommes» progetti all’estero in Paesi come Togo, India ed Ecuador. Con il progetto Amani l’associazione richiama il dovere di permettere a tutte le bambine e i bambini, anche a coloro che si trovano nella condizione di migranti non accompagnati, di poter esercitare sempre i loro diritti e di beneficiare delle misure di protezione a loro destinate. Lo fa raccontando una storia ricca di sentimenti ed emozioni diffusa attraverso un mezzo di comunicazione che rispecchia le nuove abitudini della società. Società chiamata a posare lo sguardo su situazioni complesse affinché prevalga il diritto umanitario prima di ogni altra considerazione.

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abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 luglio 2021 • N. 28

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Idee e acquisti per la settimana

Sono tornate le ciliegie svizzere

attualità I dolcissimi e invitanti frutti rossi indigeni sono un classico della tavola estiva. Ora disponibili alla tua Migros

Grandi, polpose e aromatiche: le amate ciliegie svizzere sono nella loro piena stagione e offrono ai consumatori il meglio delle caratteristiche qualitative e gustative poche ore dopo essere state colte dall’albero. Le principali varietà coltivate in Svizzera sono la «Kordia» e la «Regina», che si distinguono per le grosse dimensioni, l’aspetto cuoriforme, il colore rosso scuro brillante, la consistenza croccante e il sapore dolce-acidulo. La raccolta delle ciliegie è un’operazione che dipende molto dalle condizioni atmosferiche. Se prendono la pioggia durante la raccolta si rischia di non poterle più vendere come frutta da tavola. L’acqua infatti tende a far scoppiare i frutti. Per questo motivo i coltivatori coprono i propri alberi con dei teli di plastica 3-4 settimane prima dell’inizio della raccolta. In aggiunta vengono protetti anche con delle reti contro la grandine e gli insetti e uccelli particolarmente voraci di queste delizie. Le principali regioni di produzione sono il nord-ovest del paese (cantone di Basilea), il Seeland Bernese e la Svizzera Centrale. Ogni anno in Svizzera si producono tra le 3000 e 4000 tonnellate di ciliegie da tavola. Il consumo pro capite si attesta sui 1.1 kg (fonte: Swissfruit). alcune curiosità sulle ciliegie

La raccolta delle ciliegie avviene manualmente, un raccoglitore esperto ne riesce a cogliere ca. 20 kg all’ora. Dopo essere state colti, i frutti non maturano più. Lasciando il picciolo si mantengono fresche più a lungo. Anche i piccioli si possono consumare: utilizzati in un infuso, si ritiene che possano svolgere un’azione antinfiammatoria, antimicrobica e disintossicante per l’organismo. Le ciliegie sono ricche di fruttosio – il quale fornisce rapida energia al nostro organismo – e offrono un buon mix di vitamine e sali minerali.

Pancake alle ciliegie

Ingredienti per 8 pezzi ca. 2 uova di latte 2 dl 1 cucchiaino di lievito in polvere 3 cucchiai di zucchero 150 g di farina di ciliegie rosse o nere 150 g 3 cucchiai di burro zucchero a velo Preparazione 1. Separate i tuorli dagli albumi. Lavorate i tuorli con il latte, il lievito e lo zucchero. Unite la farina setacciata e mescolate fino a ottenere una pastella chiara. Montate gli albumi a neve ferma e incorporateli lentamente alla pastella. 2. Dimezzate le ciliegie e snocciolatele. Mettete da parte alcune ciliegie e unite il resto alla pastella. Fate sciogliere un po’ di burro in una padella antiaderente. Versate 3-4 cucchiai di pastella e dorate il pancake a fuoco medio ca. 1 minuto per lato. Procedete allo stesso modo con il resto della pastella. Servite i pancake con le ciliegie messe da parte e spolverizzateli di zucchero a velo.

Il Diario scolastico della Svizzera italiana 2021-2022 Novità Nelle maggiori filiali di Migros Ticino è in vendita l’82ma edizione della storica pubblicazione dell’iet

Come da tradizione, anche la nuova agenda scolastica non mancherà di attirare l’attenzione degli scolari ticinesi e del Grigioni italiano. La pubblicazione di 160 pagine edita dall’iet (Istituto Editoriale Ticinese), curata da Sara Groisman e Juliane Roncoroni, quest’anno tratta un tema particolarmente sentito: l’evoluzione dell’abbigliamento nel tempo. Un viaggio all’esplorazione del linguaggio dei vestiti che affronta storia, significati e retroscena del vestiario sotto diversi punti di vista e mostra come gli abiti siano stati importanti nel cambiare la nostra società. Nella pubblicazione vengono approfondite diverse tematiche che ruotano attorno a questo affascinante mondo, tra cui per esempio il rapporto tra abbigliamento e ambiente con consigli per un guardaroba sostenibile; una breve storia dell’industria della moda e dell’etichetta firmata; il ruolo dei pantaloni nell’emancipazione femminile e quello delle gonne per gli uomini; la funzione delle uniformi e delle divise e il fascino che rivestono tuttora. E che dire di capi universali come la tuta sportiva e le sneakers, presenti oggigiorno ormai dappertutto? Oppure ancora, si può scoprire come nasce la moda degli abiti strappati e qual è il rapporto tra abbigliamento e le varie culture. Nel Diario c’è ancora spazio per la presentazione

di un progetto della STA di Lugano (Scuola specializzata superiore di abbigliamento e design della moda) per ridare vita all’opera di una stilista ticinese del ’900, Elsa Barberis, e per 5 «pagine ospiti» a cura di Easyvote, Città dei mestieri, Infogiovani, Pro Juventute e Pro Natura Ticino. Il Diario copre il periodo dal 16 agosto 2021 al 14 agosto 2022 e contiene naturalmente anche l’immancabile calendario scolastico con l’indicazione delle vacanze in Ticino e nel Grigioni

italiano, le 13 pagine doppie illustrate, degli spazi dove indicare la pagella, l’orario e altri interessanti dati, come pure molti link utili per manifestazioni culturali, sportive e formative, curiosità varie e qualche simpatico gioco. Infine, il Diario strizza l’occhio anche alla sostenibilità e all’ambiente: è infatti stampato su carta riciclata al 100% e gli inchiostri sono a base di materie prime rinnovabili e privi di oli minerali. Il Diario è in vendita ad un prezzo particolarmente vantaggioso.

Diario scolastico della Svizzera italiana Fr. 9.95 In vendita nelle maggiori filiali Migros


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 luglio 2021 • N. 28

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Società e Territorio

le tre frazioni di avegno

appello ai soci della cooperativa Migros Ticino

Passeggiate In Vallemaggia scopriamo le Terre di Avegno, ricche di luoghi legati al passato

rurale, dai grotti alla tinaia, dalla strada romana al mulino fino alle fontane dei monti Elia Stampanoni Situato all’imbocco della Vallemaggia, Avegno potrebbe sfuggire all’attenzione, sia perché la strada aggira fortunatamente il paese, sia perché, provenendo da Locarno, si tratta della prima frazione del più esteso Comune di Avegno-Gordevio. Il suo territorio ha però molto da offrire ai visitatori, a partire dalle sue tre Terre, ossia le tre frazioni che formano Avegno e che in passato erano delle entità ben distinte: Gésgia, Vinzótt e Lüdint. Oggi sono quasi «ricucite» dalla crescita edilizia, ma ognuna ha mantenuto le sue peculiarità che le caratterizzano e pure i torrenti, che le dividono, restano un evidente limite naturale. Vinzótt, pure denominata Terra di fuori, è la parte alta e anche solo «perdersi» tra le strette vie del nucleo (cará) è una piacevole esperienza, durante la quale ammirare le case in pietra, molte ristrutturate mantenendone lo stile. In piazza troneggiano le vestigia del vecchio torchio, messe lì in mostra all’interno della piccola rotatoria alle porte della frazione. Si tratta delle parti in sasso di un torchio che era precedentemente collocato nella parte settentrionale di Vinzótt, in un edifico chiamato «al Molin», come leggiamo nell’opuscolo Avegno e la tinaia uno dei percorsi pedestri della serie «Sentieri di pietra» edita da Vallemaggia Turismo, APAV (Associazione per la protezione del patrimonio artistico e architettonico di Valmaggia) e Vallemaggia Pietraviva. Furono trasferite qui nel 1982, in occasione dell’assegnazione al comune di Avegno del Premio Wakker, riconoscimento conferito annualmente da Patrimonio Svizzero ai comuni che s’impegnano nel favorire uno sviluppo dell’abitato e degli insediamenti in linea con gli attuali orientamenti pianificatori. Al centro di Vinzótt splende la vasta piazza, con i suoi ciottoli, le sca-

La frazione di Lüdint. (E. Stampanoni)

linate e gli edifici ricchi di muri e tetti rigorosamente in pietre e piode. Sulla piazza s’affaccia anche l’oratorio della Trinità con il campanile, mentre poco distante ci s’imbatte in una roggia, affascinante testimonianza del passato. In questa zona c’erano infatti diversi mulini e il canale sospeso, pure in sasso, serviva anche per l’approvvigionamento idrico delle abitazioni. Nell’altra direzione e sopra la frazione si trova la zona dei grotti di Vinzótt, oggetto di un importante progetto di valorizzazione storicopaesaggistica tra il 2014 e il 2018, come ci indica Simone Stoira, segretario del Patriziato di Avegno, promotore degli interventi congiuntamente al Comune di Avegno Gordevio. Celati nella pietraia, sono una dozzina le strutture create con fatica in questa zona ombrosa, alcune costruite in parte, altre interamente sottoroccia, con tetti in piode che affiorano dal terreno. Edifici che servivano principalmente allo stoccag-

I grotti di Vinzótt. (E. Stampanoni)

gio e alla conservazione dei prodotti, possibile grazie alla temperatura fresca e costante durante tutto l’anno. Con gli anni i grotti assunsero anche una funzione aggregativa e sociale. Oggi, dopo i lavori di recupero, hanno ripreso splendore ed emergono tra i castagni secolari della selva, ai piedi dell’imponente versante roccioso. I grotti si possono raggiungere con una breve passeggiata dal nucleo di Vinzótt, seguendo il sentiero che va verso Cimetta e Cardada, per poi svoltare a sinistra al cartello indicatore. Le costruzioni emanano tuttora una piacevole frescura e si possono visitare liberamente in pacato silenzio, anche aprendo (e poi richiudendo) le porte, con i tavoli e le panche di sasso collocate sul pianoro che invitano a una sosta. Per spostarsi alle altre Terre di Avegno si può seguire il sentiero romano, denominazione che richiama l’antica presenza in valle di questa civiltà e a cui è dedicato un secondo pieghevole. La stradina s’incunea nel bosco con i suoi castagni e, a tratti circoscritta da muretti a secco, scende lentamente superando anche i torrenti che dividono le tre frazioni. S’arriva così alla Terra di dentro, Lüdint, dove s’incontra un’altra zona di grotti che, seppur già in buono stato, sarà oggetto d’interventi di recupero conservativo. Poco lontano si trova anche una radura circondata da un suggestivo bosco di castagno, dove è stata allestita l’area di svago del Pianásc, oggetto del terzo prospetto nell’ambito del progetto paesaggio. In paese troviamo invece l’antico forno e il lavatoio, altre cappelle, di

cui Avegno è particolarmente ricco, e quindi la tinaia. Collocata in un edificio nel centro della frazione, presenta al primo piano una piccola e breve esposizione sulla viticoltura e sull’uva, con anche un accenno all’APAV, alla Vallemaggia e ad altri temi. I pannelli espositivi danno delle brevi descrizioni, mentre al piano inferiore, sono ancora presenti ed esposti gli attrezzi tipici della vinificazione: un tino di sasso di circa mille litri, un torchio a vite, botti di legno e altri oggetti. La passeggiata può proseguire tra le suggestive abitazioni di Avegno, tra cui anche tipiche case cinquecentesche, con il porticato a pianterreno e il loggiato superiore, disposto lungo il lato più lungo della casa, come pure un’antica abitazione contadina risalente al 1683, completamente restaurata. La via ciottolata e a traffico limitato conduce a La Gésgia, la Terra di mezzo, dove spicca la chiesa parrocchiale con la sua imponente torre campanaria, alcuni affreschi, altre cappelle e tanto altro da scoprire. La visita può poi continuare verso i monti di Avegno, dove il locale Patriziato ha voluto verificare lo stato delle fontane esistenti, allo scopo di capire dove sarebbe più opportuno posarne delle nuove. Un progetto che, nato sullo spunto dell’assemblea patriziale, ha censito una ventina di fontane, distribuite tra Monti «di dentro» e «di fuori». L’intento è ora quello di mantenere e riparare le strutture esistenti, posarne di nuove e apportare migliorie ai bacini per l’approvvigionamento dell’acqua.

Gentili cooperatrici, egregi cooperatori, nel corso della tredicesima settimana che segue questo avviso, si rende necessario procedere all’elezione suppletiva del/la rappresentante di Migros Ticino in seno al Consiglio di amministrazione della Federazione delle cooperative Migros, per un mandato dal 1° dicembre 2021 al 30 giugno 2024. Il candidato o la candidata deve fare parte o della Direzione o del Consiglio di amministrazione o del Consiglio di cooperativa. Le elezioni si svolgeranno secondo le disposizioni dello Statuto e del Regolamento per votazioni, elezioni e iniziative della Cooperativa del 5 giugno 2021. Quali soci potete consultare questi documenti (presentando la vostra quota sociale o la tessera di socio) in tutte le nostre filiali nonché presso la sede della Cooperativa a S. Antonino. I soci della Cooperativa possono presentare proposte elettorali, che devono soddisfare le disposizioni previste dallo Statuto (art. 35) e del Regolamento (art. 27) ed essere inoltrate entro il 31 luglio 2021. Inoltre, conformemente allo Statuto, il Consiglio di cooperativa e il Consiglio di amministrazione della vostra Cooperativa, così come il Consiglio di amministrazione della Federazione delle cooperative Migros, hanno il diritto di proporre candidature. In applicazione dell’art. 30 dello Statuto, il Consiglio di amministrazione ha nominato un Ufficio elettorale che oltre a ricevere le proposte elettorali, sorveglia lo svolgimento dello scrutinio. Esso è così composto: ■ avv. Filippo Gianoni, Bellinzona, presidente; ■ Roberto Bozzini, Sementina, membro; ■ Pasquale Branca, Giubiasco, membro; ■ Myrto Fedeli, Cadenazzo, vicepresidente; ■ Giovanni Jegen, Locarno, membro. Le proposte elettorali e tutta la corrispondenza destinata all’Ufficio elettorale devono essere indirizzate al suo presidente. Sant’Antonino, 12 luglio 2021 Cooperativa Migros Ticino Il Consiglio di amministrazione Annuncio pubblicitario

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Ecco cosa fare per una buona igiene orale! Perché è importante usare ogni giorno il collutorio Per una corretta igiene orale occorre spazzolare bene e regolarmente i denti, ma spesso non basta. Di seguito, ti illustriamo perché dovresti integrare un collutorio alla tua igiene orale e come farlo. Igiene orale quotidiana Si può pensare che per una buona igiene orale sia sufficiente lavarsi i denti. Ma i batteri arrivano ovunque – sulla lingua, sulle gengive e anche sul palato. Se trascurati, possono causare la formazione di placca dentale, o biofilm. La placca, a sua volta, è il principale agente causale della carie e delle patologie gengivali, come la gengivite e la malattia parodontale (parodontite). I denti costituiscono solo il 25% circa della nos-

tra bocca. Non importa quanto sia corretto il modo in cui spazzoliamo i denti: è impossibile rimuovere tutti i batteri della bocca utilizzando solo lo spazzolino da denti. Cosa fare per una buona igiene orale: la profilassi tripla I dentisti raccomandano quindi di pulire non solo i denti, ma anche la linea gengivale e tutti gli spazi interdentali più difficili da raggiungere. Per questo, un’igiene orale completa deve comprendere non soltanto lo spazzolamento dei denti, ma anche l’utilizzo del filo interdentale o degli spazzolini interdentali. A com-

pletare la corretta prassi igienica vi è l’uso quotidiano di un collutorio antibatterico, che agisce sulle zone irraggiungibili sia con lo spazzolino che con il filo interdentale. Listerine® offre anche una gamma completa di colluttori che prevede l’impiego di oli essenziali per una profilassi tripla quotidiana, così da ripulire quelle aree che non possono essere raggiunte da spazzolino e filo interdentale. Grazie alla loro formulazione unica, i collutori Listerine®, se utilizzati 2 volte al giorno, rimovono fino al 97% dei batteri che sfuggono allo spazzolamento dei denti.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 luglio 2021 • N. 28

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Società e Territorio

Dopo lo smartphone

Tecnologia Tutte le Big Tech stanno investendo nella realtà aumentata che permette di potenziare

la visione della realtà «vera» con altri elementi, puntando su sensazioni ed emozioni

Rocco Bianchi Smartphone addio? Il prossimo passo dello sviluppo tecnologico potrebbe presto rendere obsoleti iPhone, iPad, Galaxy e qualsiasi altro dispositivo dotato di un display? Forse, magari, probabile, possibile… pur con tutti i distinguo, gli avverbi e gli aggettivi del caso, è proprio questo lo scenario cui stanno lavorando e si stanno preparando i grandi dell’economia 4.0 (ormai quasi 5). Che realtà virtuale e realtà aumentata siano due prodotti in forte espansione da alcuni anni è cosa nota, per lo meno agli esperti del settore; a esplicitare per primo dove questa forte espansione e il suo conseguente sviluppo tecnologico potesse portare è stato un anno fa l’amministratore delegato di Facebook Mark Zuckerberg: far comunicare le persone tra loro senza più impiegare schermi.

Le applicazioni più note di realtà aumentata sono quelle impiegate nel settore culturale e nell’intrattenimento mentre siamo agli albori delle smart factory Ovvio, dirà qualcuno, Zuckerberg gli smartphone mica li produce, per cui è normale che cerchi di bypassare un settore in cui lui non è presente e mai lo potrà essere se non al prezzo di onerosissimi e dunque inutili investimenti. Non per nulla la sua ricerca è orientata alla creazione di un dispositivo indossabile di realtà aumentata, tipo occhiali intelligenti o visori come quelli indossati dai protagonisti di Ready player one, il penultimo film di Steven Spielberg (un omaggio alla cultura pop di fine XX secolo in chiave futuristica). Obiettivo, permettere alle persone di essere connesse sempre ed ovunque. Obiezione corretta, a prima vista, se non che anche i CEO di tutte le altre Big tech si stanno orientando su questa strada. Anche quelli che all’inizio erano ferocemente scettici, come Tim Cook della Apple, che proprio poche settimane fa in un’intervista ha defini-

to la realtà aumentata come il futuro, la strada che potrebbe cambiare il mercato e, di conseguenza, le nostre vite. Meglio prepararsi. E magari cominciare ad interrogarsi sulle conseguenze etiche, filosofiche e sociali dell’ennesima rivoluzione tecnologica prossima ventura. Perché, con buona pace dei visionari e dei creativi di alcuni decenni fa che sognavano una specie di universo parallelo digitale (è la realtà virtuale), la realtà aumentata, in sigla AR, non ricrea un ambiente completamente digitalizzato, ma permette di potenziare la visione della realtà «vera» (a questo punto le virgolette sono d’obbligo) con altri elementi. Informativi soprattutto, ma non solo, che si punta anche a sensazioni e dunque ad emozioni. Per capirci, Microsoft ha appena vinto un contratto da 22 miliardi di dollari per costruire visori per la realtà aumentata per le forze armate USA, mentre Zuckerberg sta sviluppando un braccialetto in grado di interpretare i segnali del polso che potrebbe rivoluzionare l’interfaccia e dunque il modo di accedere e controllare l’AR. Insomma, a suo dire un braccialetto e un paio di occhiali non troppo ingombranti ma anzi piuttosto simili a quelli normali su cui arriveranno informazioni e ologrammi digitali sarà tutto quello di cui avremo bisogno tra qualche anno per comunicare e interagire con il mondo. Dandoci per di più la sensazione di essere effettivamente in presenza, benché a distanza, dunque permettendoci di vivere le nostre esperienze in modo vivido e «reale». Se non è il de profundis di smartphone e tablet, poco ci manca. In attesa che Zuckerberg o chi per lui ci rivoluzioni il futuro, come detto la realtà aumentata sta conquistando sempre più fette di mercato, e le sue applicazioni pratiche, sia pure ancora appena abbozzate rispetto alle visioni dei suoi creatori e alle prospettate possibilità, aumentano di giorno in giorno. Perché gli orizzonti applicativi di occhiali interattivi, specchi speciali, riviste digitalizzate, quadri che prendono vita, parabrezza intelligenti che ti guidano nel traffico e chi più ne ha più ne inventi, sono pressoché infiniti. Siamo infatti, come detto, allo stadio embrionale del suo ipotetico sviluppo, non fosse che per il fatto che smartphone e tablet sono ancora necessari: si inquadra un oggetto qualunque

Nella smart factory i prototipi non saranno più prodotti ma elaborati e sperimentati con la realtà aumentata. (Shutterstock)

e sul display appaiono informazioni aggiuntive (testi, immagini, filmati…), un nuovo livello di comunicazione che si va ad aggiungere e in alcuni casi sovrapporre a quello che i nostri occhi vedono, potenziando appunto la quantità di dettagli e di dati. Per questo si sta diffondendo in modo sempre più rapido non tanto o non solo nell’industria dell’intrattenimento, o infotaiment che dir si voglia, ma in ambito industriale, che in questo senso si sta preparando a migrare definitivamente dall’homeworking allo smartworking, aggiungendo appunto al normale lavoro nuovi livelli informativi e nuove possibilità di interazione con colleghi e ditte collegate. Il tutto in tempo reale. Già oggi poi con delle soluzioni AR le aziende del settore manufatturiero possono ridurre i tempi di fermo macchina non pianificata e i tempi di manutenzione, comprimendo di conseguenza i costi, mentre in altri casi la realtà aumentata sta già giocando un ruolo nella pre-produzione (perché, ad esempio, produrre prototipi reali

quando posso lavorare, elaborare e sperimentare in AR?), riducendo i tempi di sviluppo e di conseguenza anche in questo caso i costi. Siamo agli albori delle smart factory. Senza dimenticare le possibilità offerte nella vendita online, con i clienti catapultati in una realtà in cui sarà loro possibile visualizzare e forse addirittura provare i prodotti desiderati, e nell’assistenza da remoto, con un tecnico apparentemente al nostro fianco a spiegarci cosa fare e come farlo per risolvere il problema (manuali di istruzioni, addio!). Oggi siamo ancora a una simulazione animata sullo schermo, domani chissà. Last but not least, la realtà aumentata ben si adatta e si è adattata a questi tempi pandemici e di distanziamento, dato che non richiede contatto fisico. Al grande pubblico tuttavia le applicazioni più note di realtà aumentata – in realtà spesso ancora solo mondi e ricostruzioni virtuali con eventualmente alcuni inserti di AR – oggi sono quelle impiegate nell’industria culturale e

con la forza nella giungla della vita; la zia di Yazel che non perde occasione per farla sentire un peso, anche per quell’handicap, la sordità, di cui la bambina è affetta, e che, pur mitigata dalle protesi tecnologiche, la fa sentire una «diversa». Entrambi, Victor e Yazel, vivono dentro «gabbie» che non permettono loro di diventare davvero ciò che desiderano essere. E allora dalle gabbie si fugge, per trovare se stessi. L’avventura si dipana on the road, tra alberghi, autogrill, ristoranti, città da esplorare; l’amicizia tra i due si fa sempre più profonda, naturalmente e apprezzabilmente senza nessuna love story, anche perché lei è una bambina e lui forse è gay, e l’uno aiuterà l’altra a scoprire la propria forza. Un romanzo, questo, meno lieve del precedente, e forse un po’ appesantito dall’esigenza di veicolare dei «messaggi». Tuttavia Contromano (bel titolo nella traduzione italiana di «nos mains en l’air», «le nostre mani in alto») resta comunque un romanzo interessante, con ottimi momenti umoristici, a cui l’autrice avrebbe potuto affidarsi anche di più.

emanuele luzzati, Alì Babà e i quaranta ladroni, Interlinea. Da 4 anni «Chi lo sa, chi non lo sa / questa è la storia di Alì Babà / che per passare il tempo allegramente / faceva di tutto per non far mai niente». Nel centenario della nascita del grande artista genovese, che si formò in Svizzera (dove trovò rifugio durante le leggi razziali) all’École des Beaux-Arts et des Arts Appliquées di Losanna, la casa editrice Interlinea sta ristampando molti dei suoi capolavori, tra cui questo Alì Babà, forse il più celebre, in nuova edizione speciale (tra l’altro inserita nel catalogo Nati per Leggere Italia). La storia tradizionale persiana viene qui rivisitata, e messa a misura di bambino, con ironia e humour, con la forza ritmica del testo, e soprattutto con l’energia delle immagini, dove colori, contorni, e dinamismo di ogni scena (Luzzati è stato un grande scenografo), conferiscono vivacità ad ogni pagina. Il linguaggio non sempre è facile, ma questo può anche essere un punto di forza, perché il termine inconsueto, e adeguatamente presentato dall’adulto

di intrattenimento. In particolare nei musei. Sempre il nostro Zuckerberg ad esempio a fine aprile ha annunciato di aver camminato «fisicamente» nel mausoleo di Augusto, pur essendo comodamente seduto nel suo ufficio a Menlo Park. In generale l’idea è di coniugare cultura e divertimento attraverso nuovi percorsi cognitivi ed emozionali. Altro aspetto da non sottovalutare per il futuro, oltre a infotaiment e smart factory, sono le smart city: tutte le pubbliche amministrazioni infatti in futuro comunicheranno con i loro cittadini attraverso una serie di oggetti che diventano parlanti o di uffici virtuali, con assistenti e impiegati non sappiamo se più efficienti di quelli fisici, ma sicuramente sempre disponibili. Vada come vada, una cosa è certa: la realtà aumentata trasformerà le nostre vite, poiché ci darà la possibilità di ampliare non solo le nostre conoscenze, ma anche le nostre possibilità di interazione con la vita reale. Ammesso poi che reale lo resti davvero. Ma questo è un altro discorso.

Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani coline Pierré, Contromano, eDT Giralangolo. Da 13 anni Avevamo apprezzato l’autrice Coline Pierré per il bel romanzo Fuga in soffitta, storia di una fuga da casa in casa, una fuga a chilometro zero, in soffitta appunto, perfetta metafora sia di quell’esigenza contrapposta di erranza e rintanamento tipica dell’adolescenza, sia del bisogno di ritirarsi in se stessi, prendendosi una pausa dal mondo, per ritrovarsi e per poter crescere davvero. Ancora di una fuga si tratta in questo nuovo romanzo della scrittrice francese, stavolta però di una fuga più «canonica», per così dire: due ragazzi in auto, dalla Francia verso l’Italia, Lago di Garda, Venezia, e da lì verso l’Est, verso la Bulgaria, dove la dodicenne Yazel – in fuga dalla freddezza affettiva degli zii con cui vive – vorrebbe disperdere le ceneri dei genitori, morti anni prima in un incidente. Con lei c’è Victor, un ventenne la cui delicata sensibilità è incompatibile con la rude virilità e la violenza che gli vengono imposte in famiglia, una famiglia che vive di furti con scasso e rapine a mano ar-

mata. Come possono incontrarsi una bambina che vive in una villa lussuosa e un giovane ladro riluttante? Ovviamente nel momento in cui lui cerca di commettere un furto a casa di lei. E quell’incontro sancirà il bisogno, per entrambi, di fuggire da quella sensazione di infelicità e inadeguatezza che caratterizza le loro rispettive vite. Entrambi si sentono inadeguati rispetto alle (inique) aspettative dei loro adulti di riferimento: il padre di Victor che lo vorrebbe un duro sopraffattore dei più deboli, in grado di primeggiare

che legge ad alta voce, cattura l’attenzione del bambino e arricchisce il suo bagaglio espressivo. Alcuni brani, poi, potranno diventare dei divertenti refrain nella lettura ad alta voce condivisa, specialmente quelli giocati sulle parole tronche, con l’accento finale, che identificano i personaggi centrali: il protagonista, Alì Babà («e adesso? Cosa si fa? / Son tutte case di Alì Babà?»), e l’antagonista, Mustafà («e Mustafà che fa? / Nella mia storia nessuno lo sa / ma credo proprio che sarà / ancora là seduto sul sofà).


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 luglio 2021 • N. 28

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Società e Territorio Rubriche

l’altropologo di Cesare Poppi Morte di un dio venuto dal mare Alle prime luci dell’alba, non appena la marea punta verso il mare aperto, una nave di Sua maestà Britannica vira di bordo e lentamente punta la prua verso l’Atlantico lasciandosi alle spalle il porto di Plymouth. Al comando del Resolution, una carboniera di 462 tonnellate convertita in nave da esplorazione, era l’ormai attempato Capitano James Cook, il leggendario esploratore dei mari del Sud, al suo terzo e fatalmente ultimo viaggio. In appoggio al Resolution vi era la Discovery, al comando di Charles Clarke che avrebbe salpato il 1. agosto. Si trattava di un’altra carboniera ristrutturata di 299 tonnellate. Navi robuste e marine, le carboniere. Il progetto iniziale dell’Ammiragliato era stato di affidare il comando al più giovane Clarke affiancato da Cook in veste di Consulente, ma alla fine si erano preferita esperienza e prestigio per quello che nelle intenzioni era un viaggio ai limiti dei mari incogniti. La ragione ufficiale –

quella consegnata alla stampa – era che lo scopo della spedizione era di riportare a casa l’ormai popolarissimo Omai. Era questi un giovane Tahitiano di grande bellezza (il suo ritratto per mano di Sir Joshua Reynolds avrebbe spuntato cifre da record alle aste) che aveva ammaliato con le maniere, cortesia e il buonumore l’aristocrazia britannica fin da quando Cook lo aveva salvato da una morte quasi certa per poi introdurlo ai maggiorenti londinesi come una sorta di souvenir di viaggio vivente al termine del suo Secondo Viaggio, nel 1774. Tahiti era, infatti, uno degli approdi previsti nelle buste sigillate da aprirsi solo in mare aperto (prudenza suggeriva che gli equipaggi non sapessero a terra per dove e per quanto avrebbero dovuto navigare) che Cook portò a bordo personalmente assieme a varii cronografi sperimentali e al sestante col quale avrebbe effettuato misurazioni di rotta accuratissime a soli pochi anni dalla scoperta del metodo

per calcolare la latitudine che sono in uso ancor oggi. L’unica cosa certa che si sapeva è che si sarebbe dovuto stare in mare per anni e che occorreva vestire gente ignuda: settecento paia di braghe, ottocento paia di scarpe e una quantità di pecore e maiali la dicevano lunga ai più scafati fra i marinai… Dunque le istruzioni erano di andare a cercare il famigerato Passaggio a Nordovest, a Nord, verso i ghiacci dell’Artide che da sempre lo bloccavano e che solo il recente riscaldamento globale ha ahinoi aperto alla navigazione riducendo grandemente i tempi di navigazione. Plymouth, Tenerife, Cape Town, Nuova Zelanda, poi l’interminabile passaggio alle Isole Hawaii su fino alla costa Nordoccidentale degli Stati Uniti e – finalmente – a esplorare lo Stretto di Bering alla ricerca di un Passaggio che si sarebbe rilevato inesistente. Il 18 gennaio 1778 Cook e i suoi uomini furono i primi europei a mettere piede alle Hawaii,

che Cook denominò «Isole Sandwich» in onore del Capo dell’Ammiragliato. Dopo una sosta di tre settimane, Cook riprese la rotta per il Nord. Successivi e temerari tentativi lo persuasero che il passaggio oltre lo Stretto di Bering era bloccato dai ghiacci. Il 26 novembre era dunque di ritorno alle Hawaii. Fu costretto a circumnavigare l’arcipelago per ben otto settimane alla ricerca di un’ancoraggio sicuro. Il 17 gennaio 1779 finalmente fecero fonda nella baia di Kealakekua. Qui furono abbordati dagli indigeni festanti che recavano alle navi di Cook doni di ogni sorta. Il Grande Capo Palea in persona salì a bordo il Resolution e scortò Cook e i suoi uomini a terra. Qui furono trattati con tutti gli onori: banchetti, doni, donne… Cook non poteva sapere di essere capitato nel pieno dei festeggiamenti Makahiki in onore del dio Lono. Con questi Cook era stato identificato dagli isolani e trattato come tale anche per via di certi

strani segni e coincidenze interpretati come prove della divinità di Cook. Non appena partito da Kealakekua, Cook si trovò costretto a tornarvi per riparare l’albero di trinchetto che si era spezzato. Ma se la sua «Prima Venuta» era stata interpretata come Segno Propizio del Dio che Viene, il suo Ritorno al di fuori del tempo rituale fu interpretato come nefasto sconvolgimento dell’ordine cosmico. Quanto in quelle concitate circostanze poi successe è poco chiaro e ancora controverso. Sta di fatto che, in seguito ad una scaramuccia con gli isolani scoppiata dopo una giornata di incomprensioni e malintesi, al seguito di alcuni piccoli furti seguiti da una rissa, il cadavere di Cook rollava nella risacca della baia di Kealakekua sotto lo sguardo esterrefatto ed incredulo degli Uni e degli Altri. Morale altropologica per il Postino? Mai suonare due volte allo stesso campanello.

è forte ma pochi hanno poi il coraggio di rompere il matrimonio e abbandonare la famiglia. Su questa indecisione puoi intervenire con una strategia di riconquista di quello che consideri, mi sembra, il tuo uomo. Non trascurare il sospetto che qualcosa tra di voi non andasse già da prima nel verso giusto, che la quotidianità avesse steso un velo di insignificanza e indifferenza sulla vostra relazione e riparti per combattere. Frenata l’irruenza, metti a punto una strategia. Nessuna garanzia di vincere ma vale sempre la pena di provarci. Se non altro per vostra figlia che sarebbe inevitabilmente coinvolta. Non credere a chi dice che gli adolescenti hanno la loro vita e che dei problemi dei genitori non gliene importa niente. Quando il contenitore «famiglia» si frantuma c’è dolore per tutti. Probabilmente Victoria, a 16 anni, sta delineando la sua identità, sta cercando di distanziarsi dai genitori mantenendo il suo posto di figlia, un compito particolarmente delicato soprattutto quando, come nel vostro caso, il senso di appartenenza e protezione non è mai venuto meno. Se la coppia entra in crisi, sarete voi genitori a occupare la scena della famiglia, il problema sarete

voi, non lei. Una sostituzione che costa cara ai ragazzi che perdono sicurezza, fiducia in se stessi, speranza nel futuro. Ma prima di fasciarsi la testa, cara Barbara, prendi in considerazione anche l’ipotesi che quella lettera sia solo uno scherzo maligno, che non ci sia nulla di vero in una denuncia vigliaccamente anonima. Ciò nonostante credo che nulla accade per caso e che questo episodio vada considerato come un avvertimento che il vostro matrimonio ha bisogno di manutenzione. Il senso di colpa che provi per tanti trascurati scricchiolii dell’edificio «famiglia» devono indurti a cambiare, a dedicare più attenzione a tuo marito, più innovazione alla vita di coppia. Non ci resta che augurare alla storia un lieto fine sperando che a Venezia, sulla gondola che procede dondolando sul Canal Grande, accanto a tuo marito ci sia tu e non la giovane temuta rivale.

la stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi l’infedeltà svelata da una lettera anonima Cara Silvia, sono ancora scossa. Questa notte non ho dormito. Ieri mentre stavo correggendo i compiti dei miei allievi, mia figlia sedicenne era in palestra e mio marito in viaggio, ricevo una lettera anonima che mi rivela, cosa che non avevo mai sospettato, che mio marito è da due anni l’amante della sua segretaria e che, quello che credevo un viaggio di lavoro, è in realtà un festa di fidanzamento perché lui, portandola a Venezia, intende prometterle di andare a vivere insieme. D’impulso straccio la lettera, la getto nel cestino e quasi automaticamente mi rimetto a correggere i compiti, ma la testa è altrove. Che cosa sta succedendo? Mi vedo davanti agli occhi una giovane donna vivace e ridente e mi tornano alla mente tanti piccoli allarmi di crisi matrimoniale, possibile che non mi sia mai accorta di niente? Possibile che mio marito, prossimo ai sessanta, un po’ calvo, la pancetta, uno che si addormenta davanti alla Tv, sia per un’altra donna un amante appassionato? È vero che da qualche tempo s’interessa meno anche a nostra figlia Victoria, ma credevo fosse il nuovo incarico direttivo ad allontanarlo momentaneamente, invece... Il mondo

mi crolla addosso e chiedo a lei, che conosce tante storie, come gestire la mia. Grazie. / Barbara Cara Barbara, ci è stato insegnato a non tener conto delle lettere anonime ma poi, quando ci riguardano, non possiamo non esserne colpiti. Non conosco il testo ma qualche indizio deve averti convinta che chi scrive non è un anonimo qualsiasi, una persona che, invidiosa della vostra felicità familiare o della recente promozione di tuo marito, intende soltanto farvi del male. Deve essere comunque qualcuno che vi conosce e che è informato sulla vita professionale di tuo marito. Viviamo in una società competitiva che alimenta invidie e gelosie, dove le fake-news sono all’ordine del giorno. Tuttavia cestinare la lettera e comportarsi come nulla fosse non è possibile in quanto le emozioni hanno una vita propria e continuano ad assalirci nonostante i nostri tentativi di annullarle. Non ti resta che tirar fuori tutto il tuo coraggio e, quando tuo marito ritorna (non quando ha ancora la valigia in mano per carità!) raccontargli quanto avvenuto. Lui negherà – gli

uomini ci provano sempre – ma, se è in buona fede, non gli sarà difficile trovare le prove della sua innocenza. A questo punto sarai tu a doverti scusare di non aver fiducia in lui, di aver dubitato della sua lealtà. Ma è un problema di lusso di fronte alla minaccia di veder crollare un rapporto di coppia che ha una storia, un senso e un domani. Nell’ipotesi che la spia anonima avesse ragione, non cedere alla collera e allo sconforto. Non c’è matrimonio che non incontri qualche momento di crisi. Un mio amico storico mi faceva notare come un tempo i matrimoni fossero naturalmente brevi perché molte giovani spose morivano di parto. Ora invece la coppia coniugale si trova ad affrontare insieme molte stagioni della vita: la giovinezza, la maturità, la vecchiaia, ognuna con le sue esigenze, le sue fragilità. Se ho ben capito, tu e tuo marito, state entrando nel periodo più delicato, soprattutto per gli uomini quando, raggiunta la méta che si proponevano, temono di imboccare la fase discendente dell’esistenza. Reagiscono allora cercando, sostiene sempre il mio amico, di ringiovanire facendo la media matematica tra la loro età e quella di una nuova giovane compagna. La tentazione

Informazioni

Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6901 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch

Mode e modi di Luciana Caglio edgar Morin: centenario senza età Lo scorso 8 luglio Edgar Morin ha compiuto cent’anni. È un traguardo che, nell’anagrafe attuale, non rappresenta più un’eccezione. Almeno, alle nostre latitudini, in paesi benestanti, dove la sanità, pubblica o privata che sia, funziona. La Svizzera è del novero e il Ticino vanta addirittura il primato della longevità femminile sul piano nazionale. Tanto che, nelle cronache, questo compleanno a tre cifre è una notizia, per così dire, ricorrente. D’altro canto, questo supplemento di vita, su cui oggi si può contare, giustifica preoccupazioni, per le ricadute d’ordine finanziario, logistico e assistenziale, e soprattutto, per il rischio di decadenza fisica e mentale che rende i grandi vecchi ignari sopravvissuti. Ne è immune Edgar Morin, per la sua e la nostra fortuna. Nei suoi confronti, abbiamo tutti un debito di gratitudine. Proprio lui impersona, esemplarmen-

te, la figura del senza età. Cioè, una condizione fisica e soprattutto mentale che assicura il contatto permanente con la contemporaneità. Nel suo caso, è la materia prima di una ricerca sul presente alla luce, però, del passato, condotta senza emanare assoluzioni o condanne o cedere al rimpianto. Meglio lo ieri o l’oggi? Non sta qui il problema. Quel che conta, è riuscire a convivere con la propria epoca, attraverso la conoscenza, abbinata alla curiosità, che continua a sollecitarlo. «Amo conoscere»: inizia così il suo ultimo saggio Conoscenza, ignoranza, mistero (Cortina editore), pubblicato nel 2018, in cui conferma il bisogno e il piacere di cimentarsi con l’ignoto, senza la pretesa di dominarlo. Morin non monta in cattedra. Paradossalmente, è diventato un maestro suo malgrado. Difficile collocarlo in una categoria

precisa: associa, infatti, le prerogative del sociologo, del filosofo, dello storico, del critico, amalgamandole. Si potrebbe definirlo l’esploratore di un territorio in incessante mutazione: il nuovo che coglie impreparati, affascina o irrita, e disarma. Come avvenne, nel dopoguerra, con l’arrivo della società di massa, che aprì prospettive frastornanti. La televisione che portava il mondo in casa, il turismo popolare che annientava le distanze, l’industria culturale che produceva intrattenimenti a iosa, i fermenti politici che proclamavano ideologie rivoluzionarie. Persino la celebrità cambiò connotati. Non era più l’esclusiva di regnanti, potenti e talenti consolidati. Spettava anche a campioni sportivi, stilisti di moda, complessi musicali giovanili, attori e presentatori, capaci di bucare lo schermo, insomma gente comune dotata di qualche vago talento e

di faccia tosta. Erano gli «Olympiens», i nuovi inquilini dell’Olimpo, come li definì Edgar Morin, nel saggio L’esprit du temps, pubblicato da Grasset nel 1962. Un’autentica primizia, nel settore della letteratura socio-culturale, che s’impose sul piano internazionale, alla stregua di un bestseller. All’inatteso successo aveva contribuito sia il linguaggio accessibile, da precursore della comunicazione, sia l’indipendenza nei confronti delle ideologie dominanti. «Nazismo e anche bolscevismo sono falliti» osò dichiarare in pieno ’68. Ciò non significa astenersi, isolandosi nella propria gabbia, per sentirsi protetto. Anzi, in un’epoca di conquiste scientifiche e tecnologiche prodigiose, Morin avverte più che mai un’esigenza anche d’ordine morale: appropriarsi del cambiamento senza lasciarsi sopraffare, consapevoli dei limiti del pensiero razio-

nale e, non da ultimo, del mistero: «Ho forte il senso dell’invisibile nascosto dietro ciò che vediamo». Per gli addetti ai lavori dell’informazione e dell’educazione, Morin rimane un punto fermo, un prezioso aiuto professionale. Nel corso dei decenni, dopo averlo letto e citato tante volte, ho avuto la fortuna di ascoltarlo, dal vivo, a Lugano, nel 1990, durante il simposio per il trentesimo della Fidinam, dedicato al tema «Rapporti tra cultura, storia, contemporaneità». Morin in persona coincideva con le sue pagine e i suoi pensieri. Affabile, niente parolone oscure, perché «la conoscenza implica chiarezza». E deve trasmettere cordialità, persino senso dell’amicizia. Il suo ciao, lanciato agitando la mano, fuori dal finestrino del taxi, mentre lasciava Piazza Indipendenza rimane un gran bel ricordo.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 luglio 2021 • N. 28

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ambiente e Benessere Samba Festival a coburg Ricordi di una festa passata, in attesa di tornare a ballare per le vie dell’Alta Franconia

I 44 giorni di Palle Huld Ricordi di un tempo in cui fare il giro del mondo faceva ancora notizia tanto da ispirare personaggi come Tintin pagina 14

Il miglior tiramisù estivo Basta una crema alle pesche e qualche amaretto per conferire a questo dessert autunnale una nota fresca e fruttata

al servizio dell’uomo Ci è utile la spiccata attitudine alla sorveglianza dei cani da protezione delle greggi

pagina 16

pagina 17

Jamani Caillet EPFL

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Una scintilla di vita

Medicina NeuroRestore, il nuovo centro di ricerca nel settore della bioingegneria di Losanna punta a sviluppare

«Electroceuticals», un dispositivo che vuole utilizzare l’elettricità per trattare diverse condizioni mediche

Stefano Castelanelli Il futuro è elettrico. Nell’agosto 2019, il Consiglio federale ha dichiarato di voler essere clima-neutrale entro il 2050. Per promuovere la decarbonizzazione dell’economia, la Svizzera dovrà puntare sull’elettricità e sulle energie rinnovabili. Questo richiede importanti trasformazioni di interi settori economici come l’edilizia, l’industria e la mobilità. La crisi climatica ha aperto gli occhi sul ruolo centrale dell’elettricità. Ma l’elettricità è sempre stata al centro della nostra vita. L’elettricità gioca un ruolo fondamentale nel funzionamento del nostro corpo. Non è un segreto che le cellule del sistema nervoso («neuroni») trasmettono la corrente elettrica dal corpo al cervello e viceversa, permettendoci di muoverci, pensare e comunicare. Ma come funzionano queste cellule? Ogni neurone è coperto da uno strato protettivo, la membrana, che permette solo a certe sostanze di passare attraverso il nucleo della cellula, creando una barriera che separa gli ioni di carica positiva all’esterno da quelli di carica negativa all’interno

della cellula. Questo crea un potenziale elettrico attraverso la membrana cellulare. Vari meccanismi possono quindi innescare un flusso di ioni positivi all’interno della cellula, generando un segnale elettrico che si propaga in tutto il sistema nervoso. Se il segnale elettrico è danneggiato, questo può causare diversi problemi. Forse la malattia più conosciuta legata a un malfunzionamento della corrente elettrica è l’arresto cardiaco. Per pompare il sangue in tutto il corpo, il cuore deve essere stimolato elettricamente a un ritmo regolare. Se per qualche motivo lo stimolo elettrico al cuore è irregolare, può impedire ai muscoli del cuore di contrarsi, causando l’arresto cardiaco. Altri campi di applicazione della ricerca medica sull’elettricità includono l’ictus, il Parkinson e le lesioni del midollo spinale. Su quest’ultimo punto, un team internazionale di scienziati guidato da Grégoire Courtine dell’EPFL e CHUV e Aaron Phillips dell’Università di Calgary, ha sviluppato un trattamento che migliora la vita delle persone che hanno subito una lesione del midollo spinale.

Molte persone in Svizzera soffrono di una lesione del midollo spinale. Le cause sono molteplici: cadute sul lavoro, incidenti d’auto o di moto o colpi durante le attività sportive. Non importa come sia successo, il fatto è che la lesione cambia completamente la vita delle persone affette. Sì, perché soffrire di una lesione del midollo spinale non significa solo vivere su una sedia a rotelle con gli arti inferiori paralizzati e forse anche quelli superiori. Altre funzioni del corpo sono ugualmente colpite, come il mantenimento di una pressione sanguigna stabile. Ed è proprio qui che entra in gioco la nuova tecnologia sviluppata all’EPFL. «Una grave conseguenza delle lesioni del midollo spinale è la pressione sanguigna instabile», riferisce il dottore Aaron Phillips in un comunicato stampa dell’EPFL. Le persone colpite subiscono cali di pressione durante il giorno a livelli irregolari che non permettono loro di avere una vita sana. «Purtroppo», continua Phillips, «non ci sono terapie efficaci per trattare la pressione sanguigna instabile. Tuttavia, abbiamo sviluppato la prima piattaforma per capire il meccanismo alla base della

pressione sanguigna instabile durante una lesione del midollo spinale». Ma cosa ha fatto il team? «Questo lavoro con Courtine e Phillips – riferisce il PhD Jordan Squair co-autore del progetto – si basa sulla ricerca che ha permesso a diverse persone con lesioni del midollo spinale di camminare di nuovo attraverso l’applicazione della stimolazione elettrica epidurale (EES): una corrente elettrica continua impostata sulla parte inferiore del midollo spinale per consentire alle persone paralizzate di muovere nuovamente la gamba». Tuttavia, invece di mirare alla regione del midollo spinale che produce i movimenti delle gambe, il team ha somministrato la EES nella regione contenente i neuroni che regolano la pressione sanguigna. «Abbiamo inizialmente testato il metodo in modelli preclinici di roditori e primati non umani – dice Squair – per capire i meccanismi che interrompono la modulazione della pressione sanguigna dopo una lesione del midollo spinale, e per identificare dove e come i modelli di stimolazione dovrebbero essere applicati per ottenere le risposte desiderate.

Dopo questi test iniziali, abbiamo provato questo meccanismo di controllo su un paziente umano. In tutti i casi abbiamo scoperto che possiamo ripristinare completamente la stabilità del livello di sangue quando il nostro sistema è in funzione». Il loro lavoro è così innovativo che è stato persino pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica «Nature» all’inizio di quest’anno. La soluzione per regolare la pressione nei pazienti affetti da una lesione del midollo spinale è solo uno dei diversi progetti condotti al NeuroRestore. Il nuovo centro con sede a Losanna e istituito dalla Fondazione Defitech, l’Ospedale Universitario di Losanna (CHUV), la Facoltà di Biologia e Medicina (FMB) dell’Università di Losanna (UNIL) e l’EPFL che mira a creare una sinergia tra le diverse competenze per sviluppare «Electroceuticals», un tipo di dispositivo che invece di usare pillole o raggi uv o x utilizza l’elettricità per trattare diverse condizioni mediche. Forse l’elettricità non solo risolverà la nostra attuale crisi climatica, ma fornirà anche alcune soluzioni mediche innovative per una vita più sana.


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Danze travolgenti in alta Franconia

Reportage Il secondo festival di samba più importante al mondo quest’anno ha marcato presenza online,

ma un giorno tornerà per le vie Simona Dalla Valle Migliaia di ballerini sfrenati al ritmo di una musica allegra, scandita dal rullare dei tamburi e dal suono dei fischietti. A una prima impressione si potrebbe pensare di trovarsi in America Latina, forse siamo al Carnevale di Rio de Janeiro? Basta uno sguardo all’ambiente circostante per capire che no, questi palazzi sono quelli tipici dell’architettura bavarese. Ma quindi dove ci troviamo? Un mistero presto svelato: siamo a Coburg, una pittoresca cittadina di circa 41mila abitanti situata a poco più di 90km a nord di Norimberga. Ogni anno, nel mese di luglio, qui si svolge il secondo festival di samba al mondo con i suoi duecentomila visitatori, un evento che da quasi trent’anni si svolge senza interruzione. O quasi. L’edizione del 2020 è stata cancellata a causa dell’epidemia da coronavirus, ma gli organizzatori avevano annunciato che i biglietti acquistati in prevendita lo scorso anno sarebbero rimasti validi per l’edizione del 2021, che ha avuto luogo online dal 9 all’11 luglio. Per dar forza a questa importante e colorata festa, abbiamo voluto ripescare dall’archivio le immagini che ne raccontano la storia dal vivo. Nato nel 1992 da un’idea folle degli organizzatori Rolf Beyersdorf e Christof Pilarzyk, con il passare degli anni la fama del festival ha viaggiato ben oltre i confini della Germania e nel 2014 a Rio de Janeiro è stato insignito del Premio Edison Carneiro per il miglior evento di samba fuori dal Brasile. Sono oltre tremila i performer che normalmente diffondono la festosa atmosfera sudamericana tra i vicoli e le piazze della città dell’Alta Franconia, arricchite da una decina di palchi sparsi nel centro dell’antica città ducale per dar vita a programmi ricchi di eventi che spaziano dall’atmosfera medievale dello Steinweg fino ai bucolici Hofgarten; ma il momento clou del festival è sempre l’allegra sfilata di samba di cento gruppi che si svolge la domenica pomeriggio. Il festival è diventato anche una grande pubblicità per la città, migliorandola a livello di immagine, ma anche stimolandone l’economia: nel 2011 il festival ha ricevuto il premio bavarese per l’esportazione dal Ministero

Su uno dei tanti palchi del Festival. Sul sito www.azione.ch si trova una più ampia galleria fotografica. (Sambaco)

dell’Economia della Baviera. I calcoli dimostrano che nel fine settimana «ballerino» la città bagnata dal fiume Itz guadagna 4,5 milioni di euro in più, a beneficio soprattutto di alberghi e ristoranti. Ciò a dimostrazione di quanto la pandemia è costata anche a questa città, come a tante altre. Durante il finesettimana del Festival infatti le strade di Coburg sono normalmente invase da bancarelle di articoli di abbigliamento, bigiotteria e accessori tipici, oltre che da stand dove assaggiare cibi prelibati come feijão (a base di fagioli), pasteles (frittelle di pastella accompagnate da carne o formaggio), coxinha (un antipasto simile agli arancini siciliani) e cocktail come la famosa caipirinha. A far da cornice alle sessioni di danza sono workshop e iniziative di bellezza, oltre a programmi per bambini. E a proposito di bambini, fin dalla sua fondazione il festival ha sostenuto

diversi progetti per i bambini di strada in Brasile, spesso abbandonati dai genitori a causa della povertà o di problemi di dipendenze e privi di una rete di assistenza da parte dello Stato. Ma cosa sappiamo di questa ballo? La samba è uno stile di musica e di danza originario del Brasile e le sue origini si intrecciano alle storie di colonialismo e schiavitù. Si pensa che il nome «samba» derivi da semba, parola dell’Africa occidentale, usata per indicare una spinta dell’ombelico o del bacino, un movimento forse legato alle celebrazioni religiose e comunitarie. Nel XVI secolo, uomini e donne dell’Africa occidentale furono deportati come schiavi nello stato di Bahia in Brasile dai commercianti portoghesi. Gli schiavi mantennero le usanze della madre patria, compresa la tradizione del tamburo e della danza, nonostante i tentativi dei colonizzatori europei

di proibire tali manifestazioni, da loro considerate volgari. Per tutto il XVII e XVIII secolo la musica e la danza sono sopravvissute nelle celebrazioni private di schiavi ed ex-schiavi a Bahia. A metà del XIX secolo il Brasile abolì la schiavitù e i discendenti degli schiavi si trasferirono nelle favelas di Rio de Janeiro, i quartieri più poveri delle colline che circondano la città. Continuarono a ballare a ritmo delle percussioni e svilupparono la samba che si è tramandata fino a oggi a partire da un mix di stili tra cui il maxixe (simile al tango) e la marcha, entrambi brasiliani, l’habanera cubana e la polka tedesca. La prima registrazione della musica samba, avvenuta nel 1914, la portò a un più ampio riconoscimento. A partire dagli anni Venti e fino all’apice dell’era radiofonica degli anni Trenta si assistette a una predilezione della melodia sul ritmo, con risultati più lenti e romantici, portando al sot-

togenere del samba-canção. Negli anni Cinquanta, nei morros, le zone povere delle colline, iniziò a svilupparsi uno stile più percussivo e ritmato; inizialmente chiamato samba de morro che diventò noto in seguito come sambade-batucada ed enfatizzava i suoni poliritmici di più strumenti a percussione. Questa potente forma musicale sarebbe diventata col tempo il ritmo del carnevale di Rio, la cui diffusione avvenne grazie a gruppi organizzati ancora oggi conosciuti come escolas de samba (scuole di samba). In realtà questi gruppi sono più simili a comunità fraterne e ancora oggi rappresentano alcune delle più importanti istituzioni culturali del paese. Le escolas si preparano praticamente tutto l’anno per la sfilata del carnevale, e i membri si esibiscono in sfilate adornati da costumi elaborati. Con lo sviluppo della bossa nova alla fine degli anni Cinquanta, l’enfasi si spostò verso gli aspetti melodici e vocali del samba in uno stile più lento e romantico la cui popolarità crebbe con artisti come Antonio Carlos Jobim e João Gilberto. Negli anni Settanta la samba vide la sua ascesa nell’era della MPB (música popular Brasileira) quando artisti come Milton Nascimento, Djavan e Ivan Lins modernizzarono lo stile più dinamico della batucada con l’armonia e la strumentazione contemporanea, fondendo la samba con il rock, il jazz e altre forme, e portando finalmente lo stile nella musica mainstream. Si tornerà ballare… e l’anno prossimo ricorrerà il suo trentesimo anno dalla fondazione. Informazioni

L’angolo della capoeira, non solo per adulti. (Simona Dalla Valle)

Il Brasile anche nei costumi. (Sambaco)

www.samba-festival.de


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ambiente e Benessere

Il giro del mondo di un boy-scout Viaggiatori d’Occidente Un giovane viaggiatore danese fu il modello di Tintin?

Fari letterari e mitologici Bussole Inviti a

letture per viaggiare

Claudio Visentin «Cerchiamo un ragazzo di circa quindici anni, in buona salute, che conosca l’inglese e il tedesco, e voglia fare il giro del mondo in quarantasei giorni senza usare l’aereo...». Suonava così l’annuncio pubblicato all’inizio del 1928 sul quotidiano danese «Politiken» per celebrare i cent’anni dalla nascita di Jules Verne, l’autore de Il giro del mondo in ottanta giorni e di molti altri Viaggi straordinari. In realtà il popolare scrittore francese, al pari del nostro Emilio Salgari, si allontanò raramente da casa e viaggiò soprattutto sulle pagine degli atlanti, nello spazio protetto delle biblioteche. L’unica eccezione a questa biografia stanziale risale proprio a quando Verne era un ragazzino. Nel 1839, a undici anni, Jules s’imbarcò in segreto come mozzo sulla nave a tre alberi «Coralie», con l’intenzione di recarsi nelle fantastiche Indie e tornare con una collana di corallo per sua cugina Caroline. Il padre Pierre Verne arrivò appena in tempo per far fallire l’avventuroso progetto; al primo scalo del veliero, ancora in terra francese, si riprese il figlio e gli fece promettere che da allora avrebbe viaggiato «solo nella sua immaginazione». E così fu. Nei primi decenni del Novecento i giornali organizzavano spesso sfide per attirare l’attenzione del pubblico e aumentare i lettori. Per esempio, nel 1907, il quotidiano francese «Le Matin» aveva organizzato la gara automobilistica Pechino-Parigi invitando gli

«Proprio adesso, da qualche parte si sta scrivendo un libro sui fari che non leggerò, perché non verrò a sapere della sua esistenza o non avrò modo di procurarmelo o non saprò la lingua o non avrò il tempo di leggerlo…».

Palle Huld nella Piazza Rossa di Mosca, 1928.

equipaggi a partecipare con un celebre annuncio: «C’è qualcuno che accetti di andare, nell’estate prossima, da Pechino a Parigi in automobile?». La sfida si proponeva di mettere

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Sostituta/o redattrice/ redattore capo Tasso occupazione 100%. Data di inizio Da convenire. Mansioni Supportare, sostituire in assenza, il Redattore Capo ed i colleghi nelle attività necessarie al funzionamento della redazione; Redigere articoli in aderenza con la linea editoriale del giornale; Fungere da riferimento per tutte le questioni tecniche e informatiche; Assicurare il coordinamento con i servizi Comunicazione, Marketing, Percento culturale; Gestire agenda, concorsi e altre attività promozionali per i lettori. Competenze professionali Formazione accademica in ambito umanistico (Giornalismo, Scienze della comunicazione, Lettere, Filosofia, Scienze Politiche, ecc.) preferibilmente con specializzazione «media e giornalismo»; Esperienza redazionale di almeno 8 anni; Ottime conoscenze dell’italiano, tedesco, francese ed inglese; Facilità nell’uso di programmi di editing, trattamento immagini e pacchetto office. Competenze sociali Mentalità innovativa e propensione a generare nuove idee; Buone capacità di leadership e coordinamento di gruppi di lavoro; Proprietà dialettiche e disinvoltura nell’esprimersi in modo chiaro e comprensibile; Capacità di operare autonomamente scelte efficaci, assumendosene le responsabilità; Resistenza a importanti picchi di lavoro e rigido rispetto delle scadenze. Offriamo prestazioni contrattuali all’avanguardia, ambiente di lavoro dinamico in un’équipe redazionale affiatata e interessanti possibilità di carriera. Candidature da inoltrare in forma elettronica, collegandosi al sito www.migrosticino.ch, sezione «Lavora con noi» – «Posti disponibili» includendo la scansione dei certificati d’uso.

alla prova il nuovo mezzo di trasporto lungo quindicimila chilometri di strade poco o nulla tracciate, anche attraverso i deserti. Subito il «Corriere della sera» affiancò il suo inviato più famoso, Luigi Barzini senior, al concorrente italiano, il principe Scipione Borghese; si rivelò una scelta azzeccata quando Borghese vinse la gara alla guida della sua potente Itala. Ma torniamo al «Politiken». Alla fine il giornale danese ricevette centinaia di candidature e scelse un quindicenne boy scout danese, Palle Huld. Il primo marzo 1928 il ragazzo partì verso occidente; il più famoso giro del mondo raccontato da Jules Verne aveva preso invece l’altra direzione e in quel caso proprio questa circostanza apparentemente irrilevante permette lo scioglimento finale quando il protagonista Phileas Fogg, ormai rassegnato alla sconfitta, scopre di aver guadagnato un giorno viaggiando verso oriente.

Tintin, celebre personaggio dei fumetti, fu inventato proprio nel 1929, dal disegnatore belga Georges Rémi, in arte Hergé Dopo una breve sosta in Inghilterra e in Scozia, Palle navigò l’Atlantico sino al Canada. Aveva solo l’imbarazzo della scelta. Il periodo tra le due guerre infatti è l’età dell’oro dei transatlantici dal nome leggendario: «Mauretania», «Île de France», «Normandie», «Queen Mary», «Rex»… Dopo aver attraversato l’intero continente americano sino alla costa occidentale, Palle affrontò il Pacifico. Ormai sulla via del ritorno visitò il Giappone in ascesa, la Corea, la Manciuria cinese sconvolta dalla guerra, la nuova e misteriosa Unione sovietica a bordo della Transiberiana. Trovò la via di casa attraverso la Polonia e la Germania. Naturalmente a Palle furono risparmiate le straordinarie peripezie di Phileas Fogg e le sue memorie sono piuttosto una raccolta di aneddoti divertenti. Gli indiani del Canada occidentale mostrarono molto interesse per il suo scalpo rosso, ma non anda-

rono oltre. Sul lussuoso piroscafo con il quale attraversò il Pacifico rifiutò di farsi rammendare la biancheria ma rimpianse questa decisione quando in Giappone fu ammesso alla presenza del famoso ammiraglio Togo e dovette togliersi le scarpe, rivelando un grosso buco in un calzino. Per inciso il Giappone fu il Paese prediletto tra tutti quelli visitati. Palle viaggiò in solitaria, come richiedeva lo sponsor, ma quasi ovunque gli furono offerti aiuti e piccoli doni (per esempio una macchina fotografica); strada facendo imparò a gestire sempre meglio l’insistenza della stampa e le continue domande dei giornalisti. La rete delle ambasciate danesi nel mondo lo protesse con discrezione e al suo arrivo in patria fu accolto da ventimila concittadini in festa. Poco dopo il suo ritorno, Palle visitò il gran capo degli scout, il generale Robert Baden-Powell, in Inghilterra e sulla via del ritorno rese omaggio alla tomba di Jules Verne ad Amiens. L’anno seguente pubblicò il racconto della sua impresa (Il giro del mondo in 44 giorni), tradotto in undici lingue. Nonostante la giovane età, Palle seppe mettere a frutto con saggezza gli ultimi bagliori della fama. Prima della partenza aveva lasciato gli studi per lavorare come impiegato presso un rivenditore di auto; ora, grazie anche alla notorietà conquistata, divenne un attore del Teatro reale danese e recitò in una quarantina di film. Palle è morto nel 2010 a 98 anni, dopo aver raccontato infinite volte il suo grande viaggio di gioventù. Ma per certi aspetti continua a vivere in un personaggio famoso. Infatti proprio nel 1929, quando tutti parlavano di lui, il disegnatore belga Georges Rémi, meglio conosciuto come Hergé, inventò il personaggio di Tintin, un giovane e coraggioso reporter giramondo davvero assai simile a Palle Huld: il volto rotondo, le lentiggini, il naso piatto, i capelli rossi ribelli col ciuffo, i caratteristici pantaloni corti (plus-four) insieme allo spolverino da viaggio e al berretto. Inoltre una delle prime avventure di Tintin («Tintin nel Paese dei soviet», 1929) sembra ispirarsi proprio al viaggio di Palle, incluso il trionfale ritorno in patria. Ne ha fatta di strada, sulla terra e sulla carta, quel ragazzino danese.

Tutti i libri ci parlano, è nella loro natura, ma a volte sembrano rivolgersi proprio a noi, come se avessero letto nella nostra mente. È quello che ho pensato quando mi sono imbattuto in queste righe di Jazmina Barrera. Anch’io infatti sto scrivendo un libro sui fari, per una singolare coincidenza o forse semplicemente una passione condivisa da molti: dopo tutto chi non ha mai subito il fascino dei fari? Da tempo i sistemi di navigazione satellitare delle navi hanno reso superflue queste torri luminose, erette dall’uomo sulle rive del mare o su una roccia al largo. Eppure i fari continuano a essere ricercati, visitati, raccontati. Per esempio Paolo Rumiz nel suo libro Il Ciclope (2015) ha raccontato un «viaggio immobile», un lungo soggiorno in un faro per condividere la vita dei suoi custodi e per sperimentare un più stretto rapporto con la natura, la solitudine, la frugalità, il ritmo della luce, la propria interiorità. Al di là della loro funzione pratica i fari risvegliano emozioni profonde,

parlano la lingua stessa dei simboli. Sono una linea verticale tracciata dall’uomo sulla distesa orizzontale del mare. Presidiano il confine tra civiltà e natura, immobili nel perpetuo movimento delle onde e nella furia delle tempeste. La loro luce aiuta i naviganti, ai quali segnalano un pericolo e al tempo stesso indicano la via per fuggirlo. I guardiani del faro poi, la cui immagine è spesso deformata da una prospettiva romantica, sono descritti come personaggi solitari, taciturni, enigmatici, anche se sappiamo bene che nella realtà un guardiano non era mai solo e il requisito più importante per ottenere l’impiego era la capacità di andare d’accordo coi compagni di giorni sempre uguali negli stretti spazi del faro. I fari insomma hanno saputo creare una mitologia, alla quale si ispira anche la giovane e promettente scrittrice messicana. Una scrittura curata intreccia una curiosità insaziabile per i fari con le vicende della sua vita, aprendo una riflessione sul collezionismo, sulla letteratura, sulla solitudine e sulla memoria. / CV Bibliografia

Jazmina Barrera, Quaderno dei fari, La Nuova Frontiera, pp. 128, € 15.–.


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ambiente e Benessere

I dettami estetici della società

Passaia in azione

la nutrizionista Un male silenzioso,

ma neanche troppo, che porta molti a non sentirsi all’altezza o ancora peggio a sentirsi giudicati dagli sguardi altrui

13. 7 – 19. 7. 2021 21

Nuovo

ZERO

Laura Botticelli

«Questo corpo non è... perfetto» ma per chi lo è? (Trougnouf)

lamente e oserei dire pericolosamente viene posta sempre più in alto dal bombardamento mediatico. C’è chi assolutamente deve perdere dieci chili e chi invece deve prenderne. Forzano la loro genetica, non la assecondano ma le fanno battaglia perché i dettami di oggi ci suggeriscono – ma magari in realtà ci impongono – che dovremmo essere fatti in un certo modo. E non va bene. Non va bene perché ritengo che la nostra società sia già abbastanza vincolante di suo, e non trovo corretto che noi si viva male il nostro aspetto fisico. Quante donne tra voi si sono magari sentite chiedere se sta per arrivare un altro figlio, vedendo magari quel poco di pancetta rimasta dalla prima gravidanza? Sono cose che fanno male, perché la domanda segue il giudizio fondato solo su ciò che vedo, ignorando completamente cosa avvenga nella testa altrui. Magari è una persona che davvero si sta impegnando, che ha già perso parecchi chili e che dopo una domanda simile cadrà in una frustrazione incredibile. Allo stesso tempo, l’uomo esile si abbufferà di pollo e riso (grandi pilastri di chi pratica culturismo) e passerà giornate in palestra, magari contro voglia, per «mettere su massa» perché così piacerà di più. Però mi chiedo: «piacerà a chi?». E perché l’uomo esile o la donna un po’ formosa si devono vergognare? Perché devono magari addirittura invidiare altri? Non è sempre stato così, e ciò significa che qualcosa è cambiato attorno a noi: mangiare non è più solo un piacere necessario, ma è spesso finalizzato a come poi ciò si traduce nelle nostre forme. Nel mio studio, ogni tanto sono in difficoltà nel trovarmi di fronte a una persona che oggettivamente è sana, fa tutto giusto e malgrado ciò si vive male. Tento di valorizzare la sua alimentazione corretta, il suo fisico e il suo sano movimento, ma la convinzione di non piacere e di non piacersi è già così radicata che il mio arsenale si esaurisce in fretta. La domanda che sarebbe opportuno porsi è: vale veramente la pena investire così tanto nel perseguire dettami transitori ed effimeri? Il tuo fisico ti appartiene: lo devi trattare bene e se sai di averlo fatto ciò ti deve bastare, non devi rendere conto a nessuno. Passiamo la vita a rendere conto di un sacco di cose: saremo ben liberi di apprezzarci così come siamo?

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Informazioni

Avete domande su alimentazione e nutrizione? Laura Botticelli, dietista ASDD, vi risponderà. Scrivete a lanutrizionista@azione.ch Le precedenti puntate si trovano sul sito: www.azione.ch

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Oggi non prenderò in esame una delle vostre domande – che regolarmente giungono, con mia somma gioia – alle quali tento, spero con vostro interesse, di dare una risposta esaustiva. Il campo dell’alimentazione è vastissimo e copre gli ambiti più disparati, dalla chimica pura alla medicina, dall’economia alla psicologia. La storia stessa è ricca di fatti concernenti l’alimentazione, e il futuro ne sarà altrettanto toccato. E l’«oggi», beh, l’oggi è sicuramente uno dei temi più in voga. Si dice che siamo ciò che mangiamo, e ritengo che in parte sia vero, non fosse altro che per il nostro semplice, ma fondamentale, assumere sostanze nutrienti e nutritive. Se ci pensate, non c’è un solo grammo del nostro corpo che non sia il risultato di ciò che ingeriamo. Sin da subito: il feto si nutre attraverso il cordone ombelicale – e da qui la grandissima importanza data all’alimentazione della futura mamma – e in seguito attraverso il latte materno, o comunque attraverso ciò che oggi la medicina e il sapere in ambito alimentare ci insegnano. E poi via, ci s’incanala verso quella che sarà la nostra alimentazione. Andremo per gusti; apprezzeremo cibi e ne gradiremo meno altri. In tenera età, non sarà solo il sapore a dettare il nostro gradimento, ma anche il colore e la consistenza. Immagino che chiunque tra voi abbia degli esempi, dove spesso e volentieri è la povera e bistrattata verdura a pagare il prezzo. Magari prima o poi, se me lo concederete, tornerò su quest’argomento. Ci saranno anche i «credo» e le tendenze, secondo cui non è corretto, per esempio, nutrirsi di carne o dei suoi derivati; ci saranno le patologie direttamente legate al consumo, come per esempio il glutine, e via dicendo. Vorrei parlarvi di uno dei motivi che oggi sempre più inducono le persone a rivolgersi a un professionista in ambito alimentare. Ovvero, vorrei spendere due parole sull’aspetto fisico. Sull’apparenza. Come mi vedo io e come penso che gli altri mi vedano. Come il contesto sociale ci indirizza verso un canone piuttosto che un altro. Ecco, l’aspetto fisico è indubbiamente uno dei motivi che spinge sempre più persone, di ogni età e in perfetta salute, a bussare alla mia porta, oggi. Il punto non è che cosa sia giusto e cosa no, fortunatamente viviamo in una società in cui una persona è libera – chiaramente coi dovuti limiti – di pensare e agire come meglio crede. Il suo ragionare gli appartiene, e tentare di fargli cambiare idea può andare bene finché non diventa una forzatura. Però sarebbe bello fermarsi un momento a pensare al nostro «grosso fondoschiena» e alle nostre gambe un po’ cellulose. All’uomo con le «maniglie dell’amore» e il doppio mento. Insomma, penso sia chiaro il concetto. La realtà, cari lettori, è che ci sono persone che malgrado mangino in maniera sana, seguendo la famosa «piramide alimentare» non avranno mai il fisico da copertina. Non soddisferanno mai i (loro) criteri per la prova costume. Ci sono persone che passano un’intera vita a lottare con la bilancia e con quella maledetta pancetta che non sparisce. Corrono, camminano, mangiano bene. Sono un po’ grassottelli o magari, al contrario, troppo magri e non si piacciono. Si vergognano di loro stessi malgrado sappiano di fare tutto correttamente. Spesso cerco di riposizionare quell’asticella, che piano piano, subdo-

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 luglio 2021 • N. 28

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ambiente e Benessere Migusto La ricetta della settimana

Uno spezzatino Tiramisù alle pesche d’agnello e aglispeciale amaretti Piatto Dessert principale

migusto.migros.ch/it/ricette Per diventare membro di Migusto non ci sono tasse d’iscrizione. Chiunque può farne parte, a condizione che un membro della sua famiglia possieda una Carta Cumulus.

Ingredienti per 8 4 persone: 4800 pesche g di spezzatino · 100 g di zucchero d’agnello, · 2ad rametti esempio di timo spalla limone · sale · pepe 500 g· di 2 cucchiai mascarpone d’olio· di 180colza g di HOLL latte acidulo · 4 spicchi · 1 cd’aglio di zucchero · 2 cipolle · 1 bustina grosse · 8dipomodori zucchero secchi vanigliato sott’olio · 1 limone · ½ cucchiaio · 200 g di disavoiardi farina · 4· dl 3 cdidibrodo sciroppo di manzo di pesca· 50 · 2 cg d’acqua di olive nere ·2c snocciolate d’Amaretto··4200 fette g d’amaretti di prosciutto crudo · 2 cipollotti · 1 limone. secchi.

1. Dimezzate Condite la le carne conprivatele sale e pepe e rosolatela bene nell’olio in una padella. pesche, del nocciolo e tagliatele a dadini. Mettetele in Dimezzate grossolanamente le cipolle. una pentolal’aglio, con lotritate zucchero e il timo limone, quindiAggiungete sobbollire ilaglio, tuttocipolle a fuocoe pomodori spolverizzate con la e bagnate con il brodo. medio per alla circacarne, 10 minuti, rimestando di farina tanto in tanto. Allontanate la Mettete pentola il coperchio e stufateintiepidire. a fuoco medio-basso per circa 50 minuti. Lasciate coperdal fuoco e lasciate Con un frullatore a immersione frullateilparzialchio leggermente per permettere al da vapore fuoriuscire mente la compostaaperto e mettetene 4 cucchiai partediper guarnire.dalla padella, in modo il liquido si riduca. 2. Conche la frusta mescolate il mascarpone assieme al latte acidulo, lo zucchero e lo 2. Tagliatevanigliato. le olive e iUnite cipollotti a rondelle il prosciutto a dadini.finemente Ricavate zucchero a questo punto sottili, anche la scorza grattugiata delle listarelle dalla scorza del limone. Mescolate tutto. del limone. 3. Spremete la metà del limone. Condite spezzatino il succolodisciroppo limone, sale Accomodate la metà dei savoiardi in lo una pirofila. con Mescolate con el’acqua pepe eedistribuite sulla l’Amarettolae gramolata distribuitene la carne. metà sui savoiardi. Sbriciolate grossolanamente gli amaretti sui savoiardi. Distribuite metà della composta e della crema Un biscotti. piatto gustoso che puòi savoiardi essere accompagnato pasta o semplicemente con sui Accomodate rimasti sullacon crema, bagnateli con il liquido fette di pane. rimasto e sbriciolate il resto degli amaretti sui savoiardi. 4. Ricoprite con la crema, poi distribuite la composta messa da parte con un cucPreparazione: 20 minuti; brasatura: circae mettete 50 minuti. chiaio, creandocirca dei motivi decorativi. Coprite in frigo per 2 ore circa. Per porzione: circa 47 g di proteine, 27 g di grassi, 13 g di carboidrati, 520 kcal/2150 kJ. Preparazione: circa 40 minuti; refrigerazione: circa 2 ore; raffreddamento delle pesche: circa 45 minuti. Per persona: circa 9 g di proteine, 25 g di grassi, 69 g di carboidrati, 640 kcal/2650 kJ.

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ambiente e Benessere

Cane da protezione delle greggi Mondoanimale Una professione al servizio dell’uomo che vale la pena conoscere

Maria Grazia Buletti Di quest’anno pandemico c’è chi ha fatto di necessità virtù e, complice la bella stagione già avviata, molte persone hanno scoperto (e riscoperto) il piacere delle passeggiate in montagna, a piedi o in bicicletta. Alla fine dello scorso mese di maggio si è pure riaccesa la polemica che narra dei conflitti fra gli escursionisti e i cani da protezione delle greggi: veri guardiani a quattro zampe. Per la verità, il problema è ciclico e, per esempio, già a maggio del 2018 i media riportavano la disavventura di un ciclista che sul Monte Bar si era trovato in mezzo a un gregge prontamente protetto dal suo guardiano: «Mi sono fermato e davanti a me ho visto un grosso cane che si avvicinava abbaiando, non ho fatto in tempo a girarmi che da sinistra ne è arrivato un altro che mi ha morso la natica strappandomi i vestiti… Ho messo in moto la bici (elettrica) e sono scappato verso la capanna». Allora i media titolavano: «Morsicati sul Monte Bar, la convivenza si fa difficile»; da qui il nostro compito di esporre e cercare di comprendere qual è il compito dei cani da protezione delle greggi e come lo svolgono, proprio in questo periodo che ci vede tornare all’aperto per fare escursioni. Ci rechiamo a Lostallo da Alberto Stern, veterinario e formatore di cani da protezione, per farci spiegare il «punto di vista» di questo cane al servizio dell’uomo, ma che potrebbe mettere in difficoltà i passanti. È una gior-

nata calda come tante, aria fina e molto verde attorno al sentiero dove, sulla destra, vediamo un grosso cane bianco apparentemente sdraiato a riposare, non fosse che si trova attorniato da un nutrito gregge di pecore. Pur senza batter ciglio, il cane ci osserva arrivare ed è attento ai nostri movimenti. «Si tratta di un cane da protezione delle greggi che si occupa di curare le nostre pecore al pascolo», ci spiega Alberto Stern accingendosi a raccontarci che questi meravigliosi cani mettono al servizio dell’essere umano la loro attitudine alla sorveglianza. «Il ritorno del lupo è certamente una delle ragioni per le quali il suo lavoro è utilissimo, ma non solo: l’agricoltore che si avvale dell’aiuto di questi cani non lo fa solo per proteggersi dai grandi predatori, bensì anche dalle volpi o dai corvi che si fiondano sugli agnelli, solo per citare due esempi». È pomeriggio e osserviamo i movimenti di quel cane di razza Montagna dei Pirenei, mentre ci avviciniamo con calma, come Stern ci spiega di fare. A sua volta, il cane osserva i nostri movimenti senza scomporsi, come se stesse valutando il da farsi. Non succede nulla, anche perché ci siamo attenuti scrupolosamente alle regole del cartello posato a bordo sentiero che indica chiaramente come bisogna comportarsi per non disturbare il gregge e non mettere in allarme e in difesa il cane guardiano di cui attaccamento e lealtà nei confronti del gregge stesso sono assoluti, «anche se quando si istruisce si cerca sempre di sortire una qual tolleranza

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nei confronti dell’essere umano con cui lo si fa socializzare». Ma non dimentichiamo che il cane esegue comunque il lavoro che è chiamato a fare. Giusto per non imbattersi in brutte avventure, è dunque determinante leggerli bene questi cartelli, posati sempre in posizione ben visibile dove un cane da protezione gregge presta servizio. Per conoscere comportamento e regole da adottare nel caso ci si imbattesse in un gregge sorvegliato da cani, questi cartelli indicano di restare calmi e lasciare tempo al cane per assicurarsi che non rappresentiamo un pericolo per il suo gregge: «Naturalmente

bisogna evitare di disturbare gli animali e tenersene a distanza, possibilmente aggirando il gregge». È buona norma allontanarsi ignorando il cane da protezione che, ci racconta Stern, potrebbe seguirci per un breve tratto prima di tornare alle sue pecore: «Non fare movimenti bruschi che potrebbero spaventare pecore e cani». E per gli escursionisti: «Rallentare il ritmo, se si è in bici (come il malcapitato citato) è meglio scendere e spingerla a piedi per quel tratto di sentiero, non dare da mangiare ai cani e non accarezzarli: loro devono restare accanto al loro gregge». Infine: se si è a spasso

Informazioni

www.protectiondestroupeaux.ch/it/

Vinci una delle 3 carte regalo da 50 franchi con il cruciverba e una delle 2 carte regalo da 50 franchi con il sudoku

Cruciverba Il cantautore statunitense Jim Morrison coniò questo aforisma: «La vita è come uno specchio…» Scopri il resto della frase a cruciverba risolto, leggendo le lettere evidenziate. (Frase: 2, 7, 2, 2, 6, 10)

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Un cane di razza Montagna dei Pirenei. (Programma nazionale protezione delle greggi)

con il proprio cane: «Bisogna tenerlo al guinzaglio e liberarlo solo in caso vi sia un reale confronto fra i due cani, in modo da permettere loro di definire i loro rapporti». Va da sé che un gregge protetto non deve essere attraversato insieme al proprio cane, ma aggirato comunque e sempre. Mentre in caso di dubbio è saggio tornare indietro. Quello dei cani da protezione delle greggi è un nobile impiego che però richiede la nostra complicità che sta nella consapevolezza di doverlo lasciare lavorare e, soprattutto, nella conoscenza del suo agire e delle regole di comportamento che dobbiamo assumere per evitare spiacevoli avventure e malintesi. «Questi cani difendono il loro gregge contro ogni pericolo grazie a un comportamento protettivo innato che l’uomo favorisce e promuove coscienziosamente; comportamento che esprimono attraverso un’attitudine dissuasiva e con il loro abbaiare» riassume Alberto Stern in occasione della nostra visita, ricordandoci in ultima battuta che dovunque i cani da protezione delle greggi prestino servizio, sono come detto affissi ben visibili i cartelli che ci indicano il comportamento adeguato da assumere. Leggeteli. E se potete date un’occhiata anche a questo bel fumetto: https://bit. ly/3zm9bk2 creato dal Programma nazionale di protezione delle greggi.

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Regolamento per i concorsi a premi pubblicati su «azione» e sul sito web www.azione.ch

I premi, cinque carte regalo Migros del valore di 50 franchi, saranno sorteggiati tra i partecipanti che avranno fatto pervenire la soluzione corretta entro il venerdì seguente la pubblicazione del gioco.

ORIZZONTalI

1. Tubercolosi polmonare 5. Terrificante, spaventosa 10. Misero, meschino 12. Preposizione articolata 13. Sillaba sacra ai buddisti 15. L’impugnava D’Artagnan 17. Un po’ di gusto 19. Difetti 21. Antica danza classica indiana 24. Sensazione dell’olfatto 26. Fu il primo in assoluto 27. Fanno rima ... con ma 29. Il settentrione d’Italia... 30. Una lirica come Il 5 maggio 32. Suffisso di diminutivi maschili

plurali 34. Prefisso che vuol dire dieci 36. Le iniziali della Clerici 37. Impressionabile, sensibile Verticali 1. Quattro romani 3. Residuo della coagulazione 4. Fiume della Baviera 6. Le iniziali del noto Arbore 7. Inflessibili 8. Nota musicale 9. Liquido che protegge il feto 11. Le iniziali dell’attore Solfrizzi 14. Si dice a «Sette e mezzo» 16. Le iniziali dell’attore Occhipinti 18. Hanno già avuto dei proprietari 20. Le iniziali del Duca della Vittoria 22. Il sì di Tolstoj 23. Le iniziali dell’attore-regista Muccino 25. Comandò la strage degli innocenti 28. La stessa cosa 31. La ninfa che amò Narciso 33. Sigla di rendimento azionario 35. Lo... rendono alto Partecipazione online: inserire la

soluzione del cruciverba o del sudoku nell’apposito formulario pubblicato sulla pagina del sito. Partecipazione postale: la lettera o la cartolina postale che riporti la so-

Sudoku Soluzione:

Scoprire i 3 numeri corretti da inserire nelle caselle colorate.

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Soluzione della settimana precedente

Pare che le zebre non vengano morse da tafani e mosche tse-tse perché queste ultime non… Resto della frase: …DISTINGUONO LE SAGOME STRIATE. D E P R A V A T O

I V O S G O F U L E O L O N C O L O O D E O N S R C O I A M A R T A T E

T I N R T O I E A G M E T R I O

C O N S O A R S I

luzione, corredata da nome, cognome, indirizzo, email del partecipante deve essere spedita a «Redazione Azione, Concorsi, C.P. 6315, 6901 Lugano». Non si intratterrà corrispondenza sui

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 luglio 2021 • N. 28

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Politica e economia l’offensiva contro Big tech I giganti digitali si stanno attirando le ire dei Governi di Washington e Pechino

Mosca sotto pressione La Nato avanza verso il Cremlino che reagisce guardano alla Cina. Ma la disintegrazione della Federazione russa avrebbe conseguenze incalcolabili

alla ricerca di nuove idee Dopo la sconfitta in votazione della legge sul CO2 si cercano ora altri modelli fiscali per una riduzione delle emissioni pagina 24

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I «patrioti» che sfidano l’europa

l’analisi L’inquietante tentativo di creare

un’alleanza occidentale che strizza l’occhio aVladimir Putin e si aggrappa al passato

Anna Zafesova Foto di famigliole, con bambini e con cani, sul divano e in cucina. Coppie che si abbracciano, anche composte di partner dello stesso sesso. Per una settimana la rete russa di supermercati VkusVill è diventata un inatteso faro progressista per aver equiparato nella propria pubblicità diversi modelli di famiglia. Ma una settimana dopo le immagini sono state eliminate e la società – la cui proprietà, secondo alcune voci moscovite, risale alla cerchia degli amici del Cremlino – si è scusata per aver «offeso dipendenti, clienti e fornitori». La paura del possibile boicottaggio da parte della clientela ha prevalso sui timori di fare brutta figura tra l’élite moscovita (i croissant alla mandorla di VkusVill sono diventati un cult tra i giovani dopo essere apparsi nei post di Alla Gutnikova, l’influencer agli arresti domiciliari del giornale studentesco «Doxa»), dopo una valanga di commenti di odio e minacce di violenza fisica apparsi sui social. Un episodio che fino a qualche anno fa sarebbe stato attribuito all’arretratezza culturale della Russia, al pesante retaggio del passato totalitario, alle difficoltà del cammino verso l’Europa, insomma, a un passato che getta ombre sul cammino verso il futuro. Ma mentre in Georgia la comunità Lgbt+ è stata costretta a cancellare la parata del Pride, che rischiava di venire attaccata nelle strade di Tbilisi da gruppi di picchiatori intenzionati a difendere la tradizione del machismo caucasico, tra Parigi, Roma, Budapest e Varsavia si sta delineando una alleanza politica la quale fa temere che quel che sembrava un passato da superare potrebbe rappresentare un possibile futuro. Vladimir Putin non viene menzionato nel manifesto per una «Unione dei patrioti» («Appello per il futuro dell’Europa»), scritto da Marine Le Pen e condiviso da Viktor Orban, dal Partito diritto e giustizia (PiS) di Jaroslaw Kaczynski in Polonia, dalla Lega di Matteo Salvini e dai Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, insieme ad altre forze nazionaliste e sovraniste di Spagna, Belgio, Finlandia, Austria, Grecia, Estonia e Lituania. Ma l’ombra del lea-

der russo si delinea chiaramente dietro la sfida che i «patrioti» lanciano all’Unione europea. Famiglia tradizionale da difendere dal movimento Lgbt+, incentivi a fare figli «autoctoni» per bloccare l’immigrazione, richiami alle radici nazionali e religiose per «un’Europa dei popoli» invece di un «super Stato senza più Nazioni». I leader euroscettici abbandonano almeno per il momento la minaccia di una «exit» dall’Europa unita, per formare un fronte interno che di fatto rappresenta un’alternativa valoriale, ancora prima che politica, all’Unione europea, con la sua idea fondante di diritti individuali e confini sempre più aperti. La nuova alleanza politica vorrebbe, nelle sue ambizioni, contare su 115 voti al Parlamento europeo, diventando il terzo gruppo dopo i popolari e i socialdemocratici. Un progetto ancora tutto da costruire. Ai «patrioti» non si sono unite formazioni di destra importanti come l’Alternative für Deutschland tedesca, il Partito della libertà dell’olandese Geert Wilders, ormai un patriarca del movimento xenofobo, e altri gruppi influenti, mentre all’interno del gruppo dei firmatari non mancano i contrasti. Alcuni di loro – come Salvini nella recente intervista al «Financial Times» – hanno lanciato contemporaneamente messaggi più moderati, sperando di mostrarsi più vicini all’establishment europeo e di avvicinarsi al contrario al Partito popolare europeo (Ppe), con il quale ha rotto invece Orban. Al di là dei giochi politici resta un segnale inquietante: il tentativo di far nascere un’alleanza continentale di forze che mettono in discussione la natura stessa del modello europeo e che non a caso guardano quasi tutti a Mosca. Molti leader sovranisti hanno ricevuto aiuti politici o economici diretti dal Cremlino, e altri eleggono a loro modello il suo ruolo di paladino delle tradizioni e le tentazioni autoritarie. La destra italiana si schiera contro le proposte di legge di penalizzare i crimini di odio razziale o sessuale (Legge Zan). La legislazione sull’aborto imposta dal PiS è addirittura molto meno liberale di quella russa e le pressioni sulla stampa e sulla giustizia indipendente in

La Russia di Vladimir Putin diventa un modello per i conservatori. (AFP)

Ungheria e Polonia ricordano molto la discesa verso la censura della Russia di Putin (anche se a Varsavia il sentimento anti-russo rimane molto intenso). Ma soprattutto a trionfare è l’idea di un mondo a somma zero, dove per avere qualcosa bisogna toglierlo agli altri, dove la concessione di maggiore libertà per le persone Lgbt+, le donne, gli immigrati, viene vissuta come una riduzione di libertà per chi si sente privato dei propri privilegi ereditari. Una sindrome di assedio, un rifiuto del cambiamento che hanno accomunato, in un’alleanza stranissima, la «vecchia» Europa occidentale di Jacques Chirac, ancora perplessa riguardo all’allargamento a est ritenuto troppo povero e autoritario, e la «nuova» Europa post-comunista ancora sotto shock per quello che ha scoperto oltre il Muro. Il sovranismo e l’euroscetti-

cismo sono in buona parte frutto della rabbia per l’allargamento a est, ma la nostalgia di un passato all’ombra del Muro unisce partner che altrimenti si troverebbero spesso agli antipodi. E la Russia avvinghiata al passato diventa un modello per i conservatori, paradossalmente in maniera speculare all’Unione sovietica che rappresentava per un pezzo di sinistra europea un esempio di futuro. Ma nell’apparente convergenza delle due metà europee del sovranismo si nasconde in realtà un movimento che porta in direzioni molto diverse. L’Europa dell’est possiede delle attenuanti: sta vivendo la stessa sindrome post-traumatica che dopo il crollo del Muro ha portato al potere personaggi come Vladimir Putin e Alexandr Lukashenko, nostalgici restauratori dell’Unione sovietica, ma anche le fe-

rite inflitte a un’identità stravolta dalle guerre e dai massacri del Novecento. Una storia spesso ignorata dai cugini d’Occidente, così come il fatto che Kaczynski e Orban si scontrano nei loro Paesi con un’opposizione serrata, che fa sperare in un’evoluzione spinta anche da un cambio generazionale (lo stesso che sta facendo vacillare il consenso per Putin e Lukashenko). L’Europa dell’est non ha ancora completato la sua difficile traversata verso il futuro europeo, mentre si imbatte in un pezzo dell’Europa occidentale che viaggia in direzione opposta, che quel futuro lo rifiuta. Un mix di traumi e paure che potrebbero annientarsi a vicenda, oppure diventare una miscela esplosiva per l’Europa, e la cui sorte dipenderà anche dal Cremlino, in particolare dalla sua capacità di rimanere un modello di passato impossibile.


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Washington e Pechino contro Big tech

Politica e economia Fra i libri di Mattia Bertoldi Vaclav Smil (tradotto da Giacomo Manconi), I numeri non mentono (einaudi, febbraio 2021), 376 pagine

Il punto Dalla nomina di Lisa Khan alla tassa minima globale: giganti digitali sotto pressione

negli Usa. Intanto Bezos fa un passo indietro e Xi se la prende con la versione cinese di Uber

Davanti al Campidoglio di Washington un manifesto con il volto di Jeff Bezos e la scritta: «Tassami se riesci!». (Shutterstock)

Federico Rampini Grandi cambiamenti incombono sull’economia digitale nel mondo intero. Vittima del suo stesso successo, avendo incassato profitti stratosferici durante la pandemia, ora si attira le ire dei Governi da Washington a Pechino. Dalla nomina di una giovanissima e molto aggressiva giurista (Lisa Khan, 32 anni) come capa dell’antitrust americano, fino alla global minimum tax, l’idillio fra democratici Usa e Big tech sembra in crisi. Mentre a Pechino prosegue implacabile l’offensiva di Xi Jinping contro i suoi miliardari del digitale. Dopo avere usato il pugno duro contro Alibaba, l’equivalente cinese di Amazon (ma ancora più grossa) ora Xi se la prende con Didi, la gemella cinese di Uber, sabotandone il collocamento in Borsa.

Nel 2020, anno di pandemia e dei lockdown, il titolo in Borsa di Amazon è cresciuto del 70 per cento Il sovrano dell’Impero digitale d’Occidente ci ha lasciati la settimana scorsa. Il ritiro di Jeff Bezos era un evento annunciato ma coincide con i primi rovesci della sua storia imprenditoriale: il sì di principio a una tassa minima globale e la nomina di una giurista molto aggressiva alla testa dell’antitrust, due svolte che portano la firma di Joe Biden. Per l’uomo che ha rivoluzionato la nostra vita quotidiana ed è balzato ai vertici del capitalismo mondiale non è un’uscita di scena totale. Pur lasciando la carica di amministratore delegato di Amazon, si tiene quella di presidente. Il passo indietro di Bezos simbolicamente chiude un’era: l’ascesa trionfale della regina del commercio online,

dalla vendita di libri alla vendita di quasi tutto, ha coinciso con la storia di questo personaggio geniale e controverso. Bezos se ne va – come i campioni più astuti – dopo avere assaporato l’ultimo dei suoi trionfi: il 2020 grazie ai lockdown ha segnato un’apoteosi per Amazon, il cui titolo in Borsa in quei dodici mesi tremendi è cresciuto del 70%. Senza indulgere nelle teorie del complotto, i numeri sono così strabilianti che Big tech sembra quasi avere anticipato il Coronavirus: è come se la tragedia della pandemia fosse stata prevista vent’anni prima da chi aveva progettato un universo di consumi fatto per ordinare tutto sullo schermo, evitando le piazze e i centri commerciali (idem per lo smartworking e il videostreaming). Eppure agli esordi pochissimi avevano creduto in lui. Bezos traversò l’America dalla East Coast fino a Seattle sulla costa settentrionale del Pacifico, per pagare meno tasse possibile e pescare talenti in una città «allevata» da Microsoft nell’era di Bill Gates. La mania di eludere le imposte è un peccato originale che segna la storia della sua azienda, tuttora inseguita da diversi Governi per le macchinazioni anti-fisco. Con il senno di poi Bezos teorizza che cominciò vendendo libri perché questo business gli consentiva di catturare il massimo d’informazioni sui gusti dei clienti. Si allargò ai Cd, alla musica, ai prodotti elettronici, e poi progressivamente a quasi tutto ciò che si può voler comprare. Per molti anni non fece profitti, tuttora non ama distribuire dividendi: il teorema Bezos era proiettato verso la conquista di una posizione di mercato dominante. Ha fatto incursioni nel mondo della grande distribuzione tradizionale, comprando i supermercati alimentari «salutisti» della catena Whole foods. Ha inventato l’assistente digitale Alexa. Ha avuto contrasti accesi con Donald Trump, di cui Amazon

ha censurato i seguaci facendo scomparire il social media di destra Parler. È diventato una potenza della Tv e del cinema. Al termine di quei 12 mesi folli in cui la maggioranza degli americani soffriva per la pandemia e lui diventava sempre più ricco, Bezos ha creato anche 500 mila nuovi posti di lavoro. Ha coronato il suo trionfo economico aggiungendoci una vittoria politica: nella primavera del 2021 non è passato il referendum per ammettere il sindacato dentro uno stabilimento di distribuzione Amazon in Alabama. Finora nessuna sede Amazon ha organizzazioni sindacali al proprio interno. Ironia della sorte, Bezos passa per essere un pilastro dell’establishment progressista: come editore del «Washington Post» ha sostenuto l’opposizione contro Trump. Di recente si è scoperto ambientalista e ha creato un fondo di 10 miliardi per la lotta al cambiamento climatico. In futuro però si delinea all’orizzonte una sconfitta politico-economica targata Biden. L’elusione fiscale di Amazon, e delle sue consorelle come Apple, è all’origine della spinta verso una global minimum tax, da aggiungersi alla digital tax. L’accordo al G7 e al G20, più la nomina della giovane Lisa Khan alla testa dell’antitrust, una giurista nota per essere un «falco», potrebbero aprire nella storia di Amazon un nuovo capitolo meno ricco di successi. Forse Biden riuscirà a spezzare il connubio tra i Bezos e la sinistra americana, nel qual caso il percorso dei giganti digitali si farebbe più accidentato in futuro. Da parte sua Xi Jinping sta sabotando le aziende tecnologiche cinesi che si quotano in Borsa a Wall Street. Cominciò con Ant (braccio finanziario del gruppo Alibaba) e ora se la prende con Didi, l’equivalente cinese di Uber. Finora l’unico settore che era passato indenne attraverso le tensioni tra Washington e Pechino era la Borsa. Anche su quel fronte si chiude un’era? Dal 2012 le società cinesi che si sono

collocate in Borsa scegliendo i listini americani vi hanno raccolto più di 75 miliardi di dollari. Solo dall’inizio del 2021 ben 36 matricole cinesi si sono collocate per la prima volta in Borsa, sempre scegliendo un listino azionario americano. La progressione è evidente perché nei primi sei mesi di quest’anno si sono registrati altrettanti nuovi collocamenti che in tutto il 2020. La vendita di azioni di Didi per 4,4 miliardi di dollari era il secondo maggiore collocamento di una società cinese in America dopo quello di Alibaba nel 2014 che raccolse 25 miliardi. Ma il Governo di Pechino è intervenuto contro Didi con un agguato dell’ultima ora che ricorda quello ai danni di Ant, la filiale finanziaria di Alibaba. L’authority cinese che regola il cyberspazio ha improvvisamente ordinato a tutti gli app-store – i negozi digitali da cui compriamo e scarichiamo le app – di sospendere il servizio Didi. La reazione della Borsa è stata immediata, il titolo della neo-quotata ha perso il 20%. L’authority cinese sostiene che la concorrente locale di Uber avrebbe raccolto dati personali sui clienti in violazione delle leggi sulla privacy. L’altolà a Didi rientra comunque in una offensiva molto più vasta. Il Governo di Xi Jinping ha di recente rilevato un insieme di nuove direttive per regolare e frenare «i flussi di dati oltre confine e la fuoriuscita di altre informazioni confidenziali», sempre in nome della «sicurezza». Il documento governativo descrive un «paesaggio economico e finanziario» segnato da una crescente violazione delle regole, donde la necessità di controlli più stringenti. L’offensiva di Pechino contro Big tech è ambivalente. Da un lato è un’operazione politica con cui Xi vuol far vedere ai suoi capitalisti chi comanda davvero. D’altro lato però è anche «la via cinese all’antitrust» e in questo le due superpotenze rivali stanno muovendosi nella stessa direzione.

È più forte di me, se entro in una libreria devo uscire con un volume tra le mani. Così, durante un viaggio in Islanda alla fine del 2018 ho acquistato per 800 corone un libro di seconda mano, Cod: a biography of the fish that changed the world, un saggio di Mark Kurlansky che, partendo dal merluzzo, racconta la storia dell’umanità tra diete medievali, viaggi di esplorazione transoceanici e metodi di conservazione del cibo. Non sono però qui a parlarvi di questo libro, bensì di un altro volume che sposa la stessa filosofia: raccontare i cambiamenti del mondo partendo da cose piccole, ma ben documentate. In I numeri non mentono, Vaclav Smil – professore di scienze ambientali dell’Università di Manitoba a Winnipeg, in Canada – ha raccolto dati di tutti i tipi per scrivere 71 capitoletti che tracciano relazioni e paragoni talvolta inaspettati. Per esempio, si scopre che è la sudorazione ad aver dato un vantaggio decisivo all’essere umano, trasformandolo in predatore diurno capace di cimentarsi in lunghe battute di caccia, anche durante le giornate più calde. Oppure l’autore ci spiega con dati alla mano perché le finestre a triplo vetro possono essere la chiave per abbattere i consumi energetici sia negli Stati uniti, sia nell’Unione europea. Smil, autore di oltre 40 libri e circa 500 articoli su energia, ambiente e tecnologia, collabora anche con «Spectrum», la principale rivista della più grande organizzazione professionale al mondo dedicata all’ingegneria e alle scienze applicate. È quindi ovvio che una parte del libro sia dedicata alle invenzioni che hanno dato forma al mondo moderno, a partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento e rivoluzionato la nostra esistenza: l’energia idroelettrica (1882), la turbina a vapore (1884), la formula della Coca cola (1886) e l’installazione del primo ascensore elettrico (1889). L’analisi di Paesi come Giappone, India, Cina, Russia e Stati uniti – nonché gli approfondimenti dedicati a elettricità, trasporti e cibo – completano la panoramica di argomenti ai quali l’autore dedica sempre poche pagine arricchite da un grafico, una fotografia o una tabella. Una brevità che è figlia di un’attenta selezione dei dati («dati certi», scrive Smil nell’introduzione) per capire meglio il mondo che ci circonda. Proprio come i merluzzi di Kurlansky, questo libro invita i lettori a seguire strade insolite ma ha dei vantaggi: pesa solo 350 grammi (quindi molto meno di un merluzzo che può arrivare a 40 chili), si trasporta facilmente e può restare lì sul comodino anche per giorni, senza emanare cattivi odori.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 luglio 2021 • N. 28

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Politica e economia

Nel libero Kashmir non c’è libertà

la testimonianza Parla Aziz, nato e cresciuto in una regione occupata dal Pakistan e costretto a fuggire in Svizzera

poiché perseguitato dagli estremisti islamici. «Sono stato arrestato per blasfemia e torturato, mi vogliono morto»

Francesca Marino «Sono nato e cresciuto nel Jammu e Kashmir occupato dal Pakistan e sono membro della Jammu and Kashmir national student federation (Jknsf), un’organizzazione socialista rivoluzionaria che lotta per la libertà del cosiddetto “azad” (libero) Kashmir e per i diritti fondamentali delle persone che ci vivono. L’organizzazione si batte anche contro l’estremismo religioso e promuove una lotta politica pacifica». La storia di Aziz, che adesso vive in Svizzera come rifugiato politico, comincia da qui. «Fin dal 1996 – spiega – ho lavorato per smascherare gli estremisti religiosi e i loro principi che stanno riportando il Paese all’età della pietra. Il Kashmir pakistano difatti, il cosiddetto “libero Kashmir”, è il posto in cui agli estremisti islamici viene lasciata mano libera dal Governo. È il posto in cui si reclutano adolescenti per combattere la jihad contro le forze indiane, in cui si fa ai ragazzi il lavaggio del cervello, gli si dà un minimo di addestramento militare e poi li si manda a morire in nome di Dio dall’altra parte del confine. Ogni volta che qualcuno perde la vita gli estremisti guadagnano più seguaci. Promettono il paradiso nell’altro mondo e denaro alle famiglie in questo». I cosiddetti «martiri» vengono osannati via social media e nelle comunità. Ogni morte porta più denaro alla causa, e più morte. Lo schema viene felicemente applicato dalle organizzazioni terroristiche suddette (le stesse di cui Islamabad si affanna a negare l’esistenza spacciandole per organizzazioni umanitarie), tanto da aver indotto la comunità internazionale a includere di recente il Pakistan (assieme alla Turchia) nella Child soldier recruit list: la lista dei Paesi che si servono di bambini-soldato. Aziz e i suoi, via social media e con conferenze e dibattiti, cercavano dunque di promuovere una visione alternativa al martirio per forza e alla jihad.

Di promuovere un futuro in cui pianificare la propria vita e non soltanto il miglior modo in cui morire. «All’improvviso ci siamo accorti che il nostro seguito sui social media aumentava – dice Aziz – ma che le organizzazioni in questione, supportate da simpatizzanti in tutto il Paese, avevano cominciato contro di noi una vera e propria campagna di diffamazione accusandoci principalmente di essere contrari alla religione e contro i principi islamici. A un certo punto, nel settembre del 2016, la Jamaat-ud-Dawa (un’organizzazione terroristica, secondo le Nazioni unite) ha cominciato una vera e propria campagna persecutoria nei miei confronti, accusandomi di aver piazzato in alcune delle loro moschee e delle loro madrasa (scuole religiose) del materiale anti-islamico». È interessante notare che, mentre Muhammad Hafiz Saeed (il terrorista più amato dai servizi pakistani) e i suoi facevano campagna contro Aziz, il ragazzo non si trovava nemmeno in Pakistan ma in Arabia Saudita per lavoro. «Quando sono tornato in Pakistan non avevo idea di cosa stesse succedendo», afferma. «Non avevo idea che stessero cercando di accreditarmi come leader del gruppo e di dare quindi un esempio a tutta la comunità, accusandomi di blasfemia». Essere accusati di blasfemia in Pakistan è peggio, molto peggio di essere accusati di omicidio. Secondo la legge islamica, difatti, se ammazzi qualcuno te la puoi sempre cavare pagando il cosiddetto «prezzo del sangue». Se ti accusano di blasfemia, invece, la pena di morte è quasi certa. Aziz è stato dunque denunciato dai terroristi della Jamaat-ud-Dawa per essere ateo, comunista e quindi blasfemo per definizione: «Sono andati nelle scuole, nelle università e nelle madrasa chiedendo la mia impiccagione immediata e minacciando di eseguire la sentenza personalmente se io non fossi stato condannato. Alcuni partiti progressisti

«In Pakistan non abbiamo libertà di parola, di religione o di coscienza», dice Aziz. (AFP)

hanno cercato di sostenermi e hanno organizzato manifestazioni a mio favore, ma sono stati attaccati da uomini armati della Jaish Muhammad e della Jamaat-ud-Dawa. La polizia è dovuta intervenire per evitare un bagno di sangue». Così Aziz è stato arrestato ma il suo arresto è stato ufficialmente registrato soltanto dopo cinque giorni. Cinque giorni durante i quali è stato torturato, mentalmente e fisicamente, dalla polizia e dai servizi segreti. Dopo, per colmo di ironia, è stato mandato a Muzzaffarabad e prodotto davanti a una Corte dell’Antiterrorismo. A Muzzaffarabad è rimasto due mesi, due mesi in attesa che le accuse fossero formalizzate perché: «Nessun avvocato voleva rappresentarmi. Siccome sono stato arrestato per blasfe-

mia, temevano di poter essere incriminati per lo stesso reato soltanto per avermi difeso». Trovato un avvocato coraggioso, Aziz è stato rilasciato su cauzione. La polizia però ha chiarito alla famiglia che il ragazzo doveva abbandonare il Paese immediatamente, altrimenti sarebbe stato arrestato ancora una volta, su pressione dei gruppi jihadi, o ammazzato senza tanti complimenti. «Sono stato nascosto da amici per quindici giorni, mentre la mia famiglia cercava disperatamente di farmi ottenere un visto di espatrio. Finalmente nel febbraio 2017 sono fuggito: prima in Arabia Saudita e da lì in Svizzera». Dove cerca adesso di dare voce a coloro che sono stati meno fortunati di lui. A quelli che non ce l’hanno fatta a scappare, a quelli che non

hanno molta altra scelta che diventare jihadi o morire per mano dei jihadi suddetti. A quelli che scompaiono ogni giorno nel nulla. Secondo l’Alto commissario delle Nazioni unite per i diritti umani ci sono «informazioni credibili» sulle sparizioni forzate di cittadini del Kashmir pakistano e «in quasi tutti i casi le vittime affermano che le agenzie di intelligence pakistane sono responsabili delle sparizioni». Conclude Aziz: «Il Pakistan è un Paese che sopprime le libertà fondamentali dei propri cittadini. Nel “libero” Kashmir non abbiamo alcuna libertà: non abbiamo libertà di parola, non abbiamo libertà di religione o libertà di coscienza». Le uniche libertà rimaste sono, a quanto pare, quella di morire o di scappare via.

Gli effetti dell’avanzata della Nato in Oriente

l’analisi La nuova cortina di ferro si sposta sempre più verso il Cremlino che reagisce guardando alla Cina.

Mentre l’Occidente sembra incapace di valutare le conseguenze della possibile disintegrazione della Federazione russa Lucio Caracciolo Lo spazio è la misura primaria dell’identità russa. Quanto più il nemico si avvicina al centro del potere, tanto più il russo arretra e arrocca. Almeno mille anni di storia confermano questo postulato. Mai però, almeno da un secolo, la minaccia era percepita così prossima. Il progressivo allargamento della Nato verso Oriente e il conseguente spostamento della nuova cortina di ferro ver-

so il Cremlino hanno instillato un nuovo senso di insicurezza nella leadership e nella popolazione russa. Consideriamo solo che fino al 1994 l’esercito russo era a Berlino. Oggi è arretrato fino alla Crimea. Ce ne è abbastanza per risvegliare i peggiori fantasmi della storia e della geopolitica russa. Proviamo a osservare la questione dal punto di vista occidentale. Ridotta all’essenziale si prospetta così: fino a che punto ci conviene stringere la Federazione russa

Piazza Maidan, simbolo della rivolta di Kiev, nel 2014. (Shutterstock)

nell’angolo? E nel caso si disintegrasse sotto la nostra pressione, ci converrebbe? E se ci convenisse, e quindi continuassimo a premere verso Mosca, cosa ne faremmo di quell’immenso spazio che continua fino all’Estremo oriente siberiano? Non sembra che americani e alleati europei abbiano davvero considerato le conseguenze dell’espansione nella canonica sfera di influenza russa. La svolta decisiva è stata l’Ucraina nel 2014 , quando gli Usa – dribblando la patetica mediazione europea (leggi franco-tedesca) – hanno prima finanziato e sostenuto, poi cavalcato la rivolta di Euro Maidan. Fino al colpo di Stato che ha messo in fuga il presidente Janukovich, piuttosto inefficiente e impresentabile fantoccio di Putin. Da allora, l’allarme rosso nelle stanze del potere russo si è fatto permanente. La tensione lungo tutta la nuova cortina di ferro, sempre più militarizzata, può involontariamente sfociare in un incidente capace di accendere l’incendio Nato-Russia. Ma la conseguenza più importante della perdita dell’Ucraina, al di là del suo enorme valore simbolico e strategico per Mosca, è il fatto che quella avanzata occidentale si è tradotta in un regalo per la Cina. Vladimir Putin era andato al potere nel 2000 dichiarandosi pronto ad aderire alla Nato. Proposta mai presa in con-

siderazione da Washington, in quanto considerata ridicola o provocatoria. Reazione comprensibile e scontata, perché l’integrazione della Russia nell’Alleanza atlantica avrebbe reso incomprensibile la presenza militare americana in Europa, sigillo e premessa del suo impero globale. L’effetto strategico dell’avanzamento americano verso Oriente è stato la formazione della strana coppia Cina-Russia, due civiltà prima che due potenze di primo rango, che la storia ha quasi sempre diviso se non opposto. È difficile quindi immaginare che gli strateghi di Washington abbiano considerato nel 2014 questa decisiva conseguenza della vittoria in Ucraina. Ora però sono di fronte al fatto compiuto. Immaginare il contenimento della Cina senza che la Russia vi partecipi in un modo o nell’altro – magari solo implicitamente – è impossibile. È invece non solo possibile, anzi ormai fattuale, che lo scarrellamento della Russia verso l’Impero del centro abbia moltiplicato la potenza cinese. Mai prima Mosca aveva ceduto a Pechino armamenti di punta, tecnologie sofisticate anche i ambito spaziale e cyber, oltre allo scontato approvvigionamento di gas e materie prime siberiane. Certo questa apparente eccezione della storia è reversibile. Ma non finché america-

ni e altri occidentali continueranno a premere e avanzare verso Mosca, passando magari per Minsk, capitale della Bielorussia. Paese di fatto satellizzato dai russi, tanto che il confine con la Federazione non è demarcato. Bisogna inoltre considerare che i Paesi della fascia di prossimità antirussa – non solo appartenenti alla Nato – sembrano culturalmente e strutturalmente incapaci di valutare le conseguenze globali della disintegrazione della Russia. Essi stessi potrebbero contribuire in caso estremo ad accendere quella miccia che porterebbe a un conflitto di possibili dimensioni nucleari. Sarebbe utile per gli strateghi di Washington recuperare nei loro archivi l’esercizio «Solarium», con cui nel 1953 il presidente Eisenhower spiegò ai suoi tecnocrati e leader politici perché all’America non convenisse la guerra globale contro l’Urss. Con tre argomenti decisivi. Primo, non c’è niente di peggio che la vittoria in una guerra globale, perché ci obbligherebbe a militarizzare la società americana. Secondo, noi americani non abbiamo nessun interesse a gestire lo smisurato Continente sovietico (russo). Terzo, questa guerra significherebbe probabilmente la fine dell’umanità. La visione dell’ex comandante in capo alleato in Europa conserva una certa attualità.


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Politica e economia

Tasse vincolate anche dopo il no alla legge sul cO2?

Fiscalità e ambiente La restituzione dei contributi percepiti è già applicata e diverse aziende industriali

praticano modelli che prevedono un calo delle emissioni e anche notevoli risparmi di denaro Ignazio Bonoli Uno dei motivi per i quali una risicata maggioranza di votanti ha respinto la legge sul CO2 era sicuramente il previsto aumento (in parte anche sovrastimato) del prezzo della benzina. Ora, mentre i vincitori dicono di non ammettere nessun aumento del prezzo del carburante, c’è già chi prevede che comunque questo prezzo aumenterà e chi già propone un aumento di un franco al litro entro il 2035. Lo fa il Club svizzero del traffico ricordando che un terzo delle emissioni di gas con effetto serra proviene dal traffico. Questo anche perché gli svizzeri comprano sempre più auto di grossa cilindrata, per cui l’emissione di gas sulle strade, nonostante i progressi tecnici e i minori consumi, restano sempre allo stesso livello. Tuttavia molti dei punti deboli della legge, volta come si sa a raggiungere l’ambizioso obiettivo di zero emissioni nel 2050, era quello dell’uso delle cosiddette «tasse vincolate» (in tedesco Lenkungsabgaben). Tasse che prevedono, in questo caso, la restituzione alla popolazione. Tasse che sono state spesso usate in Svizzera, ma la cui percezione sembra essere peggiorata. Probabilmente il popolo crede sempre meno a una restituzione di quanto pagato per la tassa sotto varie forme, ma a mesi o

anni di distanza e in modo poco visibile. Per esempio per una riduzione dei premi di cassa malati, che però aumentano comunque. Eppure il Club svizzero del traffico torna a proporre simili tasse in un piano detto «Traffico senza fossili». Già nel 2020 aveva commissionato uno studio alla Infras con lo scopo di contribuire all’applicazione concreta della legge sul CO2. Oggi ovviamente il clima politico in questo campo è peggiorato, tanto più che la legge prevedeva anche altre restrizioni (30km/h negli agglomerati, riduzione del numero di posteggi) in modo da ridurre del 27% il numero di chilometri percorsi per persona. In teoria le tasse vincolate dovrebbero essere un buon metodo per raggiungere gli obiettivi anche in questo campo, comunque meglio di sussidi e divieti. Secondo il Club, sono misure efficaci e socialmente sopportabili e comunque uno stimolo a rivolgersi verso il traffico pubblico o i motori elettrici o la bicicletta. Inoltre, mantenendo l’idea di una restituzione ai cittadini e alle imprese. Ma per ottenere l’effetto voluto è necessario che entro il 2035 si arrivi (per piccoli passi) all’aumento di un franco al litro sulla benzina. L’ammontare da restituire sarebbe di 460 franchi per persona. Il 55% delle famiglie ne sarebbe beneficiario netto, poiché riceve-

rebbe più di quanto pagato come tasse. Il loro numero salirebbe al 67% nel caso dei redditi più bassi. Ma in questo caso anche le tasse vincolate avrebbero un peso maggiore sui redditi percepiti. La legge respinta prevedeva aumenti per un massimo di 12 centesimi, ma non come tassa vincolante da restituire. L’aumento serve a finanziare, per gli importatori di carburanti, i costi della compensazione delle emissioni di gas. Di questi aumenti saliti, quest’anno del 12%, all’automobilista viene fatturato 1,5 centesimi al litro. Oggi, senza la legge, manca la base legale per la compensazione delle emissioni di gas. La commissione dell’ambiente del Nazionale si occupa già del problema di mantenere questa possibilità finora di 5 cts il litro di benzina. Non tutti sono però d’accordo. Per non tradire il voto popolare, ci si dovrebbe limitare all’attuale 1,5 cts. La soluzione transitoria dovrebbe durare fino al 2024 poi ci vorrà una nuova legge. Per l’industria la caduta in votazione della legge sul CO2 ha messo in forse anche il modello di riduzione delle emissioni in atto da vent’anni: su base volontaria le aziende industriali possono già adottare gli obiettivi stabiliti dalla Agenzia dell’economia per l’energia (Aee) o quelli dell’Agenzia Cleantech svizzera. Esse si impegnano così ad applicare misure di risparmio energetico.

Oggi paghiamo 1,5 cts al litro come compensazione delle emissioni. (Keystone)

Circa la metà delle aziende industriali svizzere ha aderito a questi modelli e già ridotto del 30% circa in media le emissioni. Le quasi 4100 imprese interessate hanno così potuto ridurre le emissioni di circa 2,5 milioni di tonnellate di CO2. Emissioni che, nel periodo più recente, dal 2013 al 2021, sono state ridotte di 678’972 tonnellate, risparmiando anche 383 milioni di franchi, tramite un uso più efficiente dell’energia. Non solo, ma un ammontare quasi uguale è

stato risparmiato grazie alla restituzione della tassa sul CO2 e del supplemento di rete. Con la legge sul CO2 queste possibilità sarebbero state estese a tutte le aziende svizzere. Per questo la Commissione del Consiglio nazionale ha proposto di prorogare il termine del modello attuale fino alla fine del 2024. Ora, con un progetto per la «decarbonizzazione», l’Aee vuole proporre alle imprese il raggiungimento autonomo dell’obiettivo di zero emissioni entro il 2025, con circa 500 aziende interessate. Annuncio pubblicitario

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Politica e economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi che cosa ci ha portato alptransit? Alla fine del 2016 è stata aperta al traffico la galleria ferroviaria di base del S. Gottardo. La galleria ferroviaria di base del Lötschberg era entrata in funzione nove anni prima. I due grandi progetti ferroviari avevano suscitato molte speranze in Vallese e in Ticino. A bocce quasi ferme si può affermare che mentre la galleria di base del Lötschberg ha avviato un periodo di forte sviluppo delle attività economiche in Vallese, in particolare nella zona tra Visp e Briga, le ricadute economiche della nuova trasversale ferroviaria in Ticino sono state molto più contenute. In effetti il periodo nel quale avrebbero dovuto manifestarsi le conseguenze positive dell’apertura della galleria ferroviaria di base, ossia quello dal 2017 a oggi, ha visto la popolazione del Cantone diminuire e ha registrato anche un rallentamento della crescita del numero di addetti. Il

Prodotto interno lordo che, dal 2010 al 2015 era cresciuto a tassi superiori a quelli medi nazionali, ha ricominciato a crescere a tassi inferiori alla media. L’unico settore che sembra abbia potuto approfittare dei vantaggi offerti dalla galleria ferroviaria di base è il turismo. Come rivelano i risultati di uno studio dell’Ufficio federale dello sviluppo territoriale, tra il 2016 e il 2019, il traffico passeggeri sull’asse del San Gottardo è cresciuto del 28%. Ma attenzione: stando al parere dell’Ufficio in questione dal 60 all’80% dei passeggeri della nuova trasversale ferroviaria è costituito da persone che hanno scelto il treno per questo viaggio, abbandonando l’automobile. Se togliamo la quota degli exautomobilisti, il tasso di crescita del numero di passeggeri in treno scende a qualcosa che sta tra il 5 e l’11%. Se fossero andati tutti ad aumentare i

pernottamenti il turismo ticinese ne avrebbe di sicuro tratto giovamento. Quando prendiamo però in considerazione l’evoluzione dei pernottamenti, dal 2016 in poi, ci accorgiamo che, dopo un aumento pari al 7% nel 2017, i pernottamenti in albergo in Ticino hanno continuato a diminuire. Di fatto sembra quindi che l’effetto positivo della nuova trasversale ferroviaria sul turismo di soggiorno sia durato, come già fu il caso negli anni ottanta dello scorso secolo, quando fu aperta la galleria di base autostradale, «l’espace d’un matin». È però certo che l’apertura della galleria ferroviaria di base ha fatto aumentare in modo significativo il turismo di giornata. Altrettanto certo è che l’apporto di questo tipo di turismo all’economia del Cantone non è eccezionale. Per quel che riguarda il resto dell’economia ticinese l’accertamento del con-

tributo che ha potuto dare l’apertura della galleria ferroviaria di base è più difficile. In generale possiamo dire che se il tempo di percorso tra due località diminuisce, anche i costi del trasporto diminuiscono. Questo significa che le due località diventano maggiormente attrattive per nuove attività economiche. L’effetto della galleria di base sulle attività extra-turistiche dell’economia ticinese può quindi essere misurato dalla variazione dell’effettivo delle aziende insediate in Ticino. Ora se consideriamo l’evoluzione di questo effettivo, nel corso degli ultimi dieci anni, ci accorgiamo che lo stesso è dapprima aumentato in modo rapido, arrivando a un effettivo di 39’019 aziende nel 2016. Dopo questa data l’effettivo in questione è leggermente diminuito per assestarsi nel 2018 (ultimo anno per il quale esistono informazioni per il momen-

to) sulle 38’953 aziende. La variazione dell’effettivo delle aziende è però data dalla differenza tra il numero delle nuove aziende create e il numero delle aziende chiuse o trasferite fuori Cantone. Se consideriamo l’evoluzione di queste due componenti ci accorgiamo che, dopo il 2015, essa è stata determinata soprattutto dall’aumento del numero delle aziende chiuse o trasferite. Rispetto all’evoluzione dell’effettivo delle aziende possiamo quindi affermare che un eventuale effetto positivo, dovuto all’apertura della galleria ferroviaria di base, è stato più che compensato da effetti negativi determinati da altri cambiamenti, in particolare, a partire dal gennaio 2015, dalla rivalutazione del franco rispetto all’euro. La morale di questo commento è che solo i vallesani sanno come far fruttare gli investimenti nell’infrastruttura dei trasporti.

e molto interesse. Il suo editore gli ha detto che non lo pubblicherà perché è un manifesto politico e questo cambia la natura del loro accordo. Lo scontro ha fatto sì che Zemmour potesse giocare il ruolo del «cancellato», che gli piace molto perché si sente, come tutti i sovranisti e populisti, perennemente censurato dall’establishment, e soprattutto ha fatto pensare che questa questione dell’ambizione presidenziale non sia soltanto un pettegolezzo. Ma si candiderà? I più lo danno per sicuro. Soprattutto dopo che si sono svegliati una mattina di fine giugno e hanno visto su alcuni muri le affissioni «Zemmour président» (sfondo nero, il suo volto in primo piano) messe dai ragazzi di «Géneration Z», che dicono di averne appese 10 mila in 86 città. Questi giovani dicono di non aver alcun contatto diretto con Zemmour, la loro passione è spontanea e non diretta dall’altro: hanno fatto i cartelli, si vedono agli «Z apéro» per guardare insieme la trasmissione su Cnews, fanno mobilitazione

online con #DemainAvecZemmour, si tengono pronti per quando sarà il momento. Attorno ai giovani gravitano altre figure molto più timide in questo momento che fanno capo a ex gollisti e a ex lepenisti: la galassia Zemmour non è ancora ben visibile, ma tutti assicurano che si sta già organizzando. A tenerli insieme è Zemmour stesso, il suo carisma e la sua popolarità, ma anche i rancori e le delusioni del passato, assieme a una visione della Francia molto precisa: il declino. Ammorbata dalla sinistra, dall’immigrazione, dalla sottomissione alla cultura mainstream liberale, la Francia ha rinunciato alla sua grandezza. Al momento, nei sondaggi esplorativi, Zemmour è dato al 5 per cento dei consensi. Ma anche qui i suoi sostenitori hanno la risposta pronta: quando Macron annunciò la candidatura alle presidenziali del 2017, con il suo nuovo partito En marche!, aveva più o meno lo stesso peso, e poi sappiamo come è andata a finire.

no Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio». Confessa che avrebbe piuttosto dovuto parlare di futuro, perché «in prospettiva della costruzione del vostro futuro avete lavorato per quattro anni e in quel futuro state per immergervi». Poi approda al tema accennato con un consiglio: «Coltivate la memoria anche delle persone che vi hanno in qualche modo deluso» (e fra loro include anche i docenti che forse non hanno saputo valorizzare le qualità dei loro allievi). Infine esorta i giovani a coltivare «anche la memoria difficile, il ricordo delle situazioni complicate, che vi hanno arrecato disagio, rabbia, sconforto, dolore». Ah, mi dico: che bello se il professore (Massimo Chiaruttini) potesse elargire questi inviti a tanti altri nostri giovani. Ritrovo così la contraddizione fra lo striminzito «streaming» per un fine liceo e la miriade di microfoni, immagini e megafoni mediatici per

manifestazioni di piazza, importanti, comprensibili o opportune che esse possano essere. Mi pesa l’assenza di proporzione, intellettuale prima ancora che emotiva, fra il silenzio o il minimo indispensabile per l’impegno di mille giovani che si laureano e le trombe (anzi: le vuvuzela) per il frastuono di chi contesta. Sopra tutto, però, mi sfugge il senso di un giornalismo che sempre più artatamente trascura chi costruisce il proprio futuro. La cerimonia del Liceo 1 si completa con un altro intermezzo musicale e con uno studente (Davide Leonelli) che parla a nome dei maturandi. Rivolto non solo agli amici presenti ma a tutti i giovani, fa scattare un abbagliante flash: «Siamo stelle in un buio che ci lega allo spazio tra di noi. E questo è uno di quei momenti in cui girarti e guardare al tuo fianco, guardare le persone attorno a te, vedere e sentire con loro ciò che hai dentro». Grazie, nipote.

affari esteri di Paola Peduzzi Il polemista di estrema destra che sogna l’eliseo Per Eric Zemmour «Marine Le Pen è sempre stata di sinistra» e questo basta per capire perché il più noto polemista di Francia, un milione di telespettatori ogni giorno sulla tv sovranista CNews, alimenta da settimane le voci su una sua candidatura alle presidenziali del prossimo anno. Secondo lui c’è spazio politico per giocarsela. Vista da fuori, la destra francese sembra affollatissima: ci sono i gollisti con i loro tanti aspiranti candidati (faranno le primarie o si metteranno d’accordo su un nome?), Marine Le Pen e il suo Rassemblement national, la nipotina Marion Maréchal-Le Pen, attivissima con convegni, scuole, think tank. Eppure per Zemmour no, c’è spazio, per sé stesso, per una campagna elettorale anti sistema, con l’aiuto della «Generazione Z», i suoi sostenitori più giovani che già sono un gruppo e riempiono i muri di cartelloni in cui fanno sembrare che la candidatura del loro idolo sia una cosa vera. Sessantatré anni a fine agosto, Zem-

mour si definisce gollista e bonapartista ma si posiziona nell’estrema destra, con una linea più radicale di quella della Le Pen. Parla spesso della teoria della «grande sostituzione» etnica dello scrittore Renaud Camus (la popolazione europea sarà sostituita dai migranti), ha partecipato nel 2019 alla conferenza delle destre organizzata da Marion Maréchal ed è stato condannato più volte: nel 2011 per istigazione alla discriminazione razziale, nel 2018 e nel 2020 per istigazione all’odio contro i musulmani. Ad aprile, il sito d’inchiesta Mediapart ha raccolto le testimonianze di alcune donne che accusano Zemmour di molestie. L’articolo con il resoconto delle accuse si apriva con la citazione di un passaggio del pamphlet di Zemmour Le premier sexe pubblicato nel 2006, un lamento per la scomparsa del maschio: «I peli sono un’impronta, un segnale, un simbolo. Del nostro passato di uomini delle caverne, della nostra bestialità, della nostra virilità. Della differenza tra i sessi. Ci ricorda

che la virilità va di pari passo con la violenza, che l’uomo è un predatore sessuale, un conquistatore». Di recente Zemmour ha paragonato i trattamenti ormonali per il cambiamento di sesso alle pratiche naziste. Come è facile intuire, la presenza di un tipo come Zemmour nella campagna elettorale (lunga, si vota ad aprile 2022) impensierisce un po’ tutti, perché fa saltare il dualismo che tutti prevedono, quello tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen, come nel 2017; perché frammenta il voto di destra; perché costringe il presidente Macron a guardare a sinistra, che come è noto non è un orizzonte per lui sereno. Come tutti gli outsider poi Zemmour fa emergere molti elementi del dibattito che altrimenti resterebbero più circoscritti, ancor più se si pensa che ha una visibilità enorme, garantita dalla televisione e dalla presenza costante sul quotidiano «Le Figaro». Sta anche per pubblicare un nuovo libro di cui non si sa quasi nulla ma che gli ha già portato molti titoli sui giornali

Zig-Zag di Ovidio Biffi Siamo stelle in un buio che ci lega Sabato 26 giugno. Ligio al «solo in streaming» a causa della pandemia, verso le 15 parto, nel senso che inizio a smanettare sul Mac, alla ricerca della cerimonia di consegna dei diplomi di maturità del Liceo 1 di Lugano. Sono più di mille in Ticino i giovani che ogni fine giugno vivono uno dei momenti più marcanti della loro vita. Quest’anno, come detto, sono in «streaming», videoripresi un po’ in tutto il cantone nelle varie sedi delle scuole superiori o private, quindi visti e seguiti (da genitori, nonni, fratelli o sorelle, amici) su nuovi televisori, computer, telefonini o tablet. Da sempre un po’ esclusiva, la cerimonia della matura delle quarte delle scuole superiori un carattere elitario per fortuna lo conserva ancora, nonostante le mazzate della massificazione. Anzi, grazie proprio a questa diavoleria digitale resa obbligatoria dalla pandemia, la cerimonia sembra più accessibile, in qualche modo meno elitaria. Pensando a questa condizio-

ne immagino la festa dei duecento del Liceo 1 di Lugano e dei mille di tutte le scuole superiori diffusa nelle piazze del cantone, magari con cori e striscioni per rivendicare un futuro magari «alternativo». Di sicuro sarebbero circondati da una foresta di telecamere e microfoni! Invece capita il contrario: come sempre giornali e media online (inutile tirare in ballo il servizio pubblico di radio e tv) faticheranno a dedicare loro attenzione; come ogni anno ci sarà qualche stitico elenco di nomi, rigorosamente in ordine alfabetico, meticolosamente suddivisi per classi e per sedi; oppure si confezionerà la solita selezione delle migliori medie raggiunte dai più bravi e, se proprio andrà di lusso, vedremo qualche fotina con mecenati e sponsor assieme ai giovani premiati. Tutto il resto, cioè quattro anni di impegno, ansie, aspirazioni, conquiste, scoperte, progetti, il bagaglio necessario per accedere all’università, al lavoro e alla vita, non fa notizia. Di loro non ci si

cura, che si consolino con lo «streaming». Anche l’atletico giovane che ha fatto incetta di premi riservati ai «super bravi»: diventi prima qualcuno in campo sportivo, come spera di fare, e poi avrà la sua bella intervista. Torno al Liceo 1 di Lugano dove, sempre per le ragioni che impedivano riunioni, gli appuntamenti di tutte le «quarte» avvenivano in tre momenti del pomeriggio. La cerimonia che seguo inizia con la direttrice Valeria Doratiotto Prinsi che si rifà a un racconto di Daniele Del Giudice per ricordare che la matura liceale equivale al brevetto di pilota: il maestro si congeda e i giovani acquisiscono la facoltà di scegliere mete e rotte, liberi di librarsi in volo, di avventurarsi nella vita. Intermezzo musicale. Dopo di lei tocca a un docente rivolgersi agli ormai ex-liceali. Introduce il tema della memoria partendo da una fulminante immagine di Garcia Marquez: «... di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aurelia-


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 luglio 2021 • N. 28

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Idee e acquisti per la settimana

PieDi Belli peR l’eSTaTe Estate, sole, sandali: appena diventa caldo, si possono nuovamente indossare le scarpe aperte. Alcuni consigli su come curare i piedi a casa e prepararli per la stagione calda

Usate una crema per i piedi quotidianamente Affinché i piedi abbiano una sufficiente idratazione e la pelle rimanga ben morbida: applicate una crema tutti i giorni. Meglio se una crema idratante specifica per i piedi. Infatti, la pelle dei piedi ha meno ghiandole sebacee, rimane più secca e fragile e si screpola facilmente sui talloni. La cura dovrebbe contenere grassi – come gli oli vegetali – e sostanze che legano l’acqua come urea e glicerina. Esistono anche creme speciali che deodorano o riducono la formazione di calli. Contro i cattivi odori sono d’aiuto i deodoranti spray per i piedi, che regalano una piacevole sensazione di freschezza. E perché mentre vi spalmate la crema non vi concedete un bel massaggio? Massaggiate le dita singolarmente e successivamente tutto il piede con vigore, in questo modo sciogliete e rilassate i muscoli del piede. Oppure applicate la crema la sera e indossate delle calze di cotone durante la notte, in modo che possa essere perfettamente assorbita.

Togliere i calli Il movimento quotidiano può causare la formazione di calli, soprattutto su talloni e calcagni. Rimuovete la pelle in eccesso dalle aree ispessite con una pietra pomice, una spugna per i piedi, una lima o una raspa. Se utilizzate un tagliacalli affilato, fatelo delicatamente e con attenzione per non tagliarvi. Sono disponibili anche degli specifici apparecchi elettrici, con cui lo strato di pelle indurita può essere rimosso rapidamente ed efficacemente grazie ad un sofisticato sistema Multimove. Di base non si dovrebbe rimuovere troppo, perché il callo forma uno strato protettivo naturale. Se le fibre di collagene della pelle vengono danneggiate, la produzione di duroni viene addirittura stimolata.


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Concedetevi un pediluvio Utilizzate una grande bacinella adatta per un pediluvio oppure la vasca da bagno. Riempitela d’acqua calda. Dovrebbe essere piacevole al tatto e non superare i 38 gradi. Aggiungete un prodotto per il bagno, per esempio un pediluvio alle erbe. I minerali e le erbe sprigionano un piacevole profumo e rinvigoriscono e rinfrescano i piedi stanchi e doloranti. Lasciate i piedi a bagno solo da cinque a dieci minuti, altrimenti la pelle raggrinzisce. Infine, asciugateli bene, anche tra le dita.

Rimettere in forma le unghie Dopo il pediluvio le cuticole sono belle morbide. Spingetele indietro con un bastoncino di legno, farà sembrare le unghie più grandi e pulite. Tuttavia, evitate di farlo se avete delle infiammazioni del letto ungueale o cuticole screpolate. Un olio per le unghie rende le cuticole più elastiche, evitando che si lacerino. Sul mignolo del piede la cuticola cresce sopra la lamina ungueale? È possibile rimuoverla con cautela utilizzando una lima fine. Quando si accorcia bisognerebbe tagliare le unghie dritte oppure arrotondare gli angoli solo leggermente. In questo modo si evitano le unghie incarnite.

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cultura e Spettacoli cannes, era ora! È finalmente ripartita una delle più importanti rassegne cinematografiche del mondo

Il grande valore di Warren Zenon Il cantautore, scomparso nel 2003, è un esempio di artista di raro talento il cui valore non è stato riconosciuto fino in fondo

lugano, quo vadis? Il commerciante e l’artista: Elio Bollag e Franco Cavani, due personaggi storici della città di Lugano, si raccontano pagina 33

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pagina 30 Roy Lichtenstein (NY 1923-1997), Artist’s Studio No. 1 (Look Mickey), 1973. (Minneapolis, Walker Art Center. Dono Judy e Kenneth Dayton e T.B. Walker Found. 1981). (© Estate of Roy Lichtenstein)

arte americana

Mostre A Palazzo Strozzi di Firenze l’esplorazione di un periodo tribolato Gianluigi Bellei Il centro propulsivo dell’arte moderna per lungo tempo è stato Parigi. Si è concentrato poi, nel secondo dopoguerra, negli Stati Uniti. Qui aprivano le gallerie maggiormente influenti, c’erano i critici più spudorati e soprattutto giravano moltissimi soldi. E l’arte ha riflettuto le contraddizioni della prima potenza mondiale e le sue incongruenze. A Palazzo Strozzi di Firenze una mostra indaga sugli anni cruciali che vanno dal 1961 al 2001. Il 20 gennaio del 1961 si insedia alla Casa Bianca John Fitzgerald Kennedy. Durante il suo giuramento esorta gli americani a «non chiedere cosa il vostro Paese può fare per voi. Chiedete cosa potete fare voi per il vostro Paese». Invita tutti a unirsi contro la povertà, le malattie e la guerra stessa. L’11 dicembre dello stesso anno Kennedy invia i primi elicotteri americani con 400 soldati a Saigon a sostegno del Vietnam del Sud. Quarant’anni dopo, l’11 settembre 2001, durante la presidenza di George W. Bush, quattro simultanei attacchi terroristici aerei di Al Qaeda mutano il pa-

radigma del mondo intero. Dei quattro aerei di linea dirottati due si abbattono contro le Twin Towers a New York, dove muoiono circa tremila persone, un terzo si schianta sul Pentagono a Washington e il quarto, destinato forse alla Casa Bianca, cade in Pennsylvania. La mostra fiorentina esplora questo periodo tribolato, fra arte e politica. Partendo dall’American Dream, il nuovo sogno americano che rappresenta il cambiamento in meglio dello status sociale della popolazione con il relativo benessere e consumismo. La Pop Art negli anni Sessanta incarna questo sogno con Andy Warhol e la sua famosa Campbell’s Tomato Juice Box o le scatole della Heinz o della Kellog’s. Per lui la «cosa più bella di Tokyo è McDonald’s. La cosa più bella di Stoccolma è McDonald’s. La cosa più bella di Firenze è McDonald’s. Pechino e Mosca non hanno ancora nulla di bello». Ma gli Stati Uniti sono anche un centro di diversità: neri, nativi americani, comunità LGBTQ, latinos, femministe. Il culmine artistico di queste rivendicazioni è la storica Whitney Biennal di New York del 1993 con installazioni e opere provocatorie. Molti gli artisti

di colore presenti ma anche personalità femministe come Lorna Simpson. A Firenze troviamo il suo Wigs (portfolio): 32 litografie su feltro rappresentanti parrucche femminili – ricce, mosse ma pure per bambole e un merkin, una parrucca pubica – che raccontano del loro rapporto con il corpo e la sua identità. Come non parlare della Selezione da Cremaster 2 di Matthew Barney uno dei più intriganti e visionari artisti del periodo. Cremaster è composto da 5 film «dal respiro epico e monumentale». Il cremastere è il muscolo che controlla l’abbassamento e l’innalzamento dei testicoli a seconda degli stimoli esterni: paura, temperatura… Ognuno dei film è incentrato su una serie di imprese atletiche per superare delle sfide sempre più difficili. Un lavoro sul corpo e i suoi mutamenti come recita Ovidio all’inizio delle sue Metamorfosi: «I corpi mutati in forme diverse io canto». Cremaster 2 si ispira a The Executioner’s Song che Norman Mailer dedica a Gary Gilmore giustiziato nel 1977 nello stato dello Utah per duplice omicidio. Essendo un mormone Gilmore sceglie la fucilazione per versare il proprio sangue sul terreno e ottenere così

l’espiazione dei peccati. Barney realizza un film surreale con dentro i temi fondanti della cultura americana: il mito, la violenza, la religione e la natura. Tutte le opere provengono dal Walker Art Center di Minneapolis. Vincenzo de Bellis in catalogo lo definisce un museo-culto. Sorto nel 1864 grazie all’uomo d’affari Thomas Barlow Walker aveva un approccio eclettico all’arte che spaziava dalle giade cinesi ai paesaggi francesi. Nel 1915 contava centomila visitatori all’anno. Dopo il 1935 subentrano i nipoti e diventa un esempio di centro artistico contemporaneo. Dal 1940 si distingue dagli altri musei perché espone arte contemporanea. Oggi è «riconosciuto a livello internazionale come modello unico di organizzazione artistica multidisciplinare e come leader nazionale per i suoi approcci innovativi nel coinvolgimento del pubblico». La mostra è suddivisa in 10 sezioni: da Changes – che rappresenta la transazione fra il vecchio e il nuovo mondo – con opere di Louise Nevelson e Mark Rothko, a Going West – con il viaggio al centro del sogno americano, i figli dei fiori, la controcultura hippy, l’amore

libero e gli allucinogeni – con lavori di John Baldessari e i temi politico-sociali della comunità LGBTQ, con Mike Kelley, McCarthy, Simmons e Mark Bradford che viene scelto come rappresentante degli Stati Uniti alla Biennale di Venezia del 2017. Le ultime sale sono dedicate a Kara Walker e alle sue opere controverse che rappresentano stupri, violenze e sopraffazioni. Nella silhouette di carta ritagliata Cut si vede una donna nera che si recide le vene dei polsi dopo uno stupro. Il cortometraggio Testimony: Narrative of a Negress Burdened by Good Intentions racconta la storia di alcuni schiavi di colore che inseguono uomini bianchi, li frustano, li imprigionano, ne abusano sessualmente e poi li linciano. Ottima la cronologia a fine catalogo, a cura di Ludovica Sebregondi, che affiancalevicendestoricheequelleartistiche. Dove e quando

American Art 1961-2001. A cura di Vincenzo de Bellis e Arturo Galansino. Palazzo Strozzi, Firenze. Catalogo Marsilio, euro 35. Fino al 29 agosto.


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cultura e Spettacoli

Un atteso ritorno

cannes 2021 Dopo la pausa forzata dell’anno scorso, per la gioia di molti, è ritornata

l’amata kermesse cinematografica della Costa Azzurra Nicola Falcinella L’eutanasia, la politica israeliana e le riflessioni sul cinema. Sono i temi in evidenza nei film dei primi giorni del 74esimo Festival di Cannes, in corso da martedì fino a sabato, quando si conoscerà il successore di Parasite nel palmares. Dopo un’edizione saltata a causa della pandemia, la manifestazione vuole con ottimismo celebrare il ritorno delle pellicole e delle star sulla Croisette, tanto da chiamare il regista coreano Bong Joon-Ho a inaugurare e ricollegarsi idealmente al 2019. L’inizio è stato interessante con tanti personaggi che, nonostante le mascherine e i tentativi di mantenere il distanziamento in spazi affollati, hanno mostrato vicinanza e voglia di ritrovarsi e vedere film. Jodie Foster, a 45 anni dalla sua prima volta con Taxi Driver, ha ritirato la Palma d’oro d’onore dalle mani di Pedro Almodovar, ringraziando in un francese perfetto che ha suscitato l’invidia di Spike Lee, presente nel ruolo di presidente di giuria. Un’altra Palma alla carriera sarà consegnata venerdì a Marco Bellocchio in occasione della presentazione del documentario Marx può aspettare sulla propria famiglia. Film d’apertura è stato Annette di Leos Carax regista di culto che non realizzava un lungometraggio dal 2012, da Holy Motors che fece innamorare i festivalieri proprio a Cannes, anche se non ottenne premi. Il cineasta francese, noto anche per Rosso sangue e

Gli amanti del Pont-Neuf, ha portato un musical molto ambizioso nel voler compendiare la storia del genere, dai classici fino a La La Land, e insieme voler andare oltre e creare qualcosa di nuovo. È un film che spiazza, ma in modo diverso rispetto ai suoi precedenti, in apparenza meno scoppiettante e con meno trovate. Henry (Adam Driver, come sempre calato nel ruolo) è un comico che non fa ridere e usa i suoi monologhi come provocazione: ma quanto è sfida e quanto invece è una confessione? Del resto forse in un momento lo ammette: «la comicità è l’unico modo per dire la verità senza essere ucciso». All’inizio le ombre della sua vita sono nascoste dall’amore travolgente per la celebre cantante Ann (Marion Cotillard), ma dopo la nascita della loro figlia Annette tutto cambia. La neonata è un po’ Pinocchio e un po’ bambola dei film horror e rivela fin da piccolissima un talento canoro che porta il padre a farla esibire in tutto il mondo richiamando grandi folle. Così dal pop-rock (le musiche sono degli Sparks) si passa all’opera di Verdi e Puccini a completare il melodramma. Un film assai complesso che merita di essere visto (e forse rivisto) e suscita riflessioni che non si fermano a un livello superficiale. Holy Motors ricorre spesso in The Story of Film: A New Generation di Mark Cousins, il regista irlandese noto per i 15 episodi della serie documentaria The Story of Film: An Odyssey (2011), che ripercorreva l’intera storia del ci-

Adam Driver e Marion Cotillard in una scena di Annette. (YouTube)

nema, riprende il discorso per parlare del nuovo e del cinema di oggi. Anche in questo caso una visione quasi frastornante, ricca di esempi e citazioni, che riflette sui cambiamenti che la tecnica (il digitale, le go-pro, i telefonini, il moltiplicarsi dei modi di ripresa e degli schermi) hanno portato nel linguaggio del cinema, portando a nuovi modi di realizzare commedie, film d’azione o horror. Cousins fa accostamenti, come tra Mad Max: Fury Road e The General di Buster Keaton, meno azzardati di quanto possa apparire e parla tanto di cinema orientale, da Bollywood al tai-

landese Apichatpong Weerasethakul al filippino Lav Diaz, perché parecchie novità recenti vengono da là. Un documentario bello e ottimista, che mostra la vitalità del cinema e la sua centralità anche nell’era dello streaming. In concorso anche Tout s’est bien passé di François Ozon, uno dei cineasti più prolifici in circolazione (Estate ’85 è dello scorso anno) che di prova in prova dimostra un’intelligenza e una sensibilità sempre più acute. Dal romanzo autobiografico di Emmanuèle Bernheim (interpretata da una convincente Sophie Marceau), racconta

la malattia dell’anziano padre e il suo desiderio di farla finita chiedendo aiuto alle figlie. Un film toccante sui legami famigliari, le cose belle della vita, l’affrontare la morte e l’eutanasia, senza prese di posizione aprioristiche ma con una grande partecipazione con i personaggi. Meno convincente Ahed’s Knee del franco-israeliano Nadav Lapid (già Orso d’oro nel 2019 con Synonymes), protagonista un regista che attacca in modo diretto le interferenze e le censure del governo di Israele verso gli artisti non allineati alla propaganda. Annuncio pubblicitario

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cultura e Spettacoli Warren Zevon in un ritratto giovanile. (Shutterstock)

Reti di insulti

Pubblicazioni Saggio abbondante

e documentato su un sentimento antico e le sue rovinose derive nella modernità

Stefano Vassere

Warren Zevon, una preziosa eredità

Musica La doverosa e tempestiva ristampa del suo più celebre album

diviene occasione per ricordare uno dei più grandi (e incompresi) cantautori statunitensi di sempre

Benedicta Froelich Sebbene il panorama rock angloamericano offra molteplici casi in cui un artista di raro talento è stato negletto in modo pressoché criminale dal grande pubblico, a tutt’oggi il caso di Warren Zevon (1947-2003) appare particolarmente grave. Per chi scrive è infatti inconcepibile che Zevon venga oggi ricordato quasi esclusivamente per la hit Werewolves of London, orecchiabile brano pop che ha finito per offuscare la genialità assoluta di un artista di ben altro spessore; ed è ironico che uno degli sforzi migliori di Warren sia proprio l’album che include quello storico tormentone da classifica, ovvero il capolavoro Excitable Boy – il quale, proprio in questi giorni, ha beneficiato di una ristampa rimasterizzata, condita da bonus tracks, e perfino di una raffinatissima versione su vinile per veri puristi del suono.

Il geniale Warren Zevon, scomparso nel 2003, è sicuramente situabile fra i più grandi e sottovalutati cantautori del mondo E dire che all’uscita di questo disco, nel lontano 1978, Warren Zevon era solo un promettente (e quantomeno eccentrico) giovane cantautore, dalla singolare storia personale: figlio di una mormone e di un tirapiedi mafioso, il geniale Warren (il cui quoziente d’intelligenza era pari a quello di Albert Einstein) si era fatto le ossa nel pianobar di un pub irlandese in Spagna e, soprattutto, come supporter dei leggendari Everly Brothers; e, dopo essere stato scoperto

nientemeno che da Jackson Browne, era infine riuscito a incidere il suo secondo album (1976) per la Asylum Records. Ma quel che, all’epoca, nessuno poteva immaginare era che questo ventenne occhialuto avrebbe portato sulla scena rock statunitense una visione a dir poco unica: refrattario alle mode del momento al punto da preferire alla chitarra elettrica la sicurezza offerta dal pianoforte dei suoi studi classici, dopo i timidi esordi giovanili Zevon stava infatti per trovare la propria voce, contraddistinta da un’ironia a dir poco graffiante e un sarcasmo caustico e spietato. Ancora oggi, il modernissimo Excitable Boy mostra infatti come l’irresistibile cinismo di Warren, accompagnato da un liberatorio anticonformismo, gli abbia permesso di scavalcare a pié pari l’enfatica drammaticità di più celebri contemporanei (su tutti, il «finto proletario» Springsteen) per buttarsi invece su una chiave espressiva totalmente inedita. Vista sotto questa luce, la title track dell’album appare rivoluzionaria nel suo voler stigmatizzare la tendenza piccoloborghese (non solo americana) a minimizzare, per quieto vivere, i segnali del più grave disagio psichico: il protagonista del brano, dai più liquidato con compassione come un semplice «ragazzo eccitabile», finirà infatti per violentare e uccidere l’amichetta del liceo. L’irresistibile humor nero di Warren fa così di Excitable Boy un album intriso di critica sociale – seppur in una forma mai del tutto apprezzata dal pubblico, forse perché la chiave interpretativa beffarda (eppure acutissima) di Zevon richiede un coraggio che non in molti possono vantare. Tuttavia, in quest’album come nell’arco di tutta la sua discografia, egli si dimostra in grado di passare con estrema disinvoltura da un registro all’altro: così, accanto a satire dissacranti come Lawyers, Guns and Mo-

ney (storia di un ragazzo viziato che, continuamente nei guai con la legge, chiede al ricco padre di inviargli «avvocati, armi e denaro» per cavarsi d’impaccio), troviamo pezzi drammatici e struggenti quali la ballata Accidentally Like a Martyr e il misconosciuto Veracruz, incentrato sull’ormai dimenticata occupazione della città messicana da parte degli americani (1914), vista attraverso gli occhi di chi fu costretto a fuggire davanti all’invasore. Per non parlare dell’epico inno rock Roland the Headless Thompson Gunner, versione moderna dell’ottocentesca leggenda del cavaliere senza testa firmata da Washington Irving, il cui protagonista è un mercenario che torna dalla tomba per vendicarsi di chi lo ha tradito durante una missione in Congo. In più, questa versione rimasterizzata contiene quattro tracce extra, che mostrano altre sfumature dell’inesauribile immaginario del cantante: su tutte, la spendida Frozen Notes, piccolo capolavoro di songwriting intimista. Certo è che, davanti a un album giovanile di tale livello, è davvero difficile spiegare perché Zevon sia stato trascurato dalla critica internazionale – soprattutto quando colleghi del calibro di Bob Dylan, Tom Petty e del già citato Springsteen lo stimavano sinceramente; a questo punto c’è quasi da essere grati per l’esposizione mediatica offerta dalla grave malattia che nel 2003 si portò via l’artista, permettendogli però di ottenere un ultimo guizzo di fama grazie a un magistrale album d’addio. Soprattutto, però, la vera eredità di Zevon, che questa ristampa riporta una volta di più alla luce, è quella della sua personale visione del mondo – destinata a rimanere inconfondibile nel panorama rock non solo americano, ma mondiale; il che dovrebbe essere sufficiente a restituire infine a Warren lo status che merita come uno dei più grandi, e sottovalutati, cantautori di sempre.

«Il dire male più corrosivo si manifesta per lo più in frasi strutturate, forbite, che accumulano il senso nella parte non esplicita, e grazie al filtro del sarcasmo presentano persino un’apparenza gentile. Dentro a un grazie, non serve che tu rimanga, può essere nascosto uno sprezzo che fa rigirare nel letto per anni». L’offesa, ma pure l’autostima, il narcisismo, la sensibilità, la frustrazione, sembrano essere fenomeni sociali tipici della nostra epoca forse più di altre. Eppure il passato ne aveva codificati funzionamento e pratiche risolutive, istituendo e istruendo per esempio l’abitudine del duello (alla fine dell’Ottocento, nella sua esemplare collana dei manuali, Ulrico Hoepli stampò un Manuale del duellante curato da Jacopo Gelli). Sta di fatto che queste ossessioni continuano a farci compagnia; basta pensare all’ormai sovrabbondante tema dell’offesa in Rete, in tutte le sue forme ma soprattutto nelle specializzazioni rispetto all’offesa tradizionale tout court.

Il tema dell’offesa nell’epoca della rete risulta più attuale e urgente che mai Risulta dunque in linea naturale con i tempi del dibattito l’uscita di Offendersi di Remo Bassetti, un libro molto ampio che affronta il mondo dell’offesa in modo sistematico lungo quasi trecento pagine e con generosità di esempi di prima mano e tratti dalla letteratura di ogni tempo: dai Greci (ovvi praticanti di parabole del comportamento degli uomini) fino agli autori contemporanei e al cinema. Lo stesso dominio temporale è come dilatato, dall’offesa in senso lato e generale

a quella più moderna e tecnologizzata che corre sulle reti sociali. Remo Bassetti è ricordato per essere stato a capo una ventina di anni fa della (troppo) breve stagione di un indovinato periodico che si chiamava «Giudizio universale», un mensile (è giustamente citato nel passo del libro dedicato alle recensioni e alle eventuali offese che ne seguono) che si occupava di recensioni di tutto, dai classici libri e cd a «ospedali, personaggi pubblici, scuole e potenzialmente qualunque cosa esista nel cosmo». Lo scopo era costringere i numerosi e qualificati collaboratori a formulare appunto un giudizio, con il rischio evidente di irritare, seccare, offendere, ma anche a condividere una sorta di «teoria del giudizio», provata negli ambiti più disparati. È chiaro che delle sfumature e dei meccanismi quell’impresa rappresentò una specie di banco di prova, che ha probabilmente fornito all’autore un’attrezzatura fuori dal comune sull’argomento. Spazio puntuale è quindi dato alla trattazione dei modi attraverso i quali si offende e ci si offende: l’insulto, la violazione dei confini interpersonali e fisici, il non accorgersi del prossimo rapportandocisi di conseguenza. Offendere può non implicare necessariamente intenzionalità e molta attenzione sarà rivolta al contesto dove è messo in scena il processo comunicativo. Del contesto fanno parte l’offensore e a pieno titolo l’offeso; e quest’ultimo ha un suo ruolo nella concezione o meno dell’offesa: è chiaro che l’offeso ci mette in questo senso del suo ed è parte attiva nei risultati complessivi. Offendersi ha infine suoi funzionamenti cognitivi e declinazioni culturali: lingue e paesi hanno corredi offensivi tutti loro. Per l’urgenza del tema, il lettore è portato a porre interessato occhio su alcune sezioni di questo libro: gli aspetti linguistici, il linguaggio d’odio e il politicamente corretto. Qui, tra le mille direzioni, è critico l’emergere di un paio di vie nuove da percorrere a proposito di domini sui quali già molto si è detto: l’importanza crescente del pubblico che assiste all’offesa, che nelle reti sociali è particolarmente qualificabile e identificabile e partecipa nella non secondaria sede dei commenti ai post, e la grave misoginia sessista degli insulti. Secondo «un’indagine dell’Osservatorio Italiano sui Diritti, solo il 6% degli insulti rivolti a un uomo sono sessuali contro il 59% di quelli rivolti a una donna» e «gli insulti verbali riguardano una donna anche quando il destinatario è un uomo», come nel caso di allusioni a rapporti dell’insultato con la propria madre o lo statuto sociale e professionale della madre stessa. Bibliografia

Il dito medio è purtroppo sdoganato in molti ambiti.

Remo Bassetti, Offendersi, Torino, Bollati Boringhieri, 2021. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 luglio 2021 • N. 28

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cultura e Spettacoli

Bollag-cavani 1:1

Onde e nuvole per un’Odissea

Incontri A colloquio con due personaggi imprescindibili del panorama luganese

In scena Un tuffo

Un’amiciziainimicizia che dura da decenni: Bollag (a sin.) e Cavani. (Sala)

nel mito di Ulisse per quattro voci

Giorgio Thoeni

Simona Sala, Alessandro Zanoli Elio Bollag e Franco Cavani, due persone che più diverse non si può, divise da fattori molteplici, che spaziano dalla politica al passato, dalle amicizie agli interessi. Di religione ebraica, ex commerciante e figura politica, eccentrico opinionista il primo, anarchico, disegnatore, attivista ed eccentrico osservatore il secondo. A unirli, però vi è forse di più di quanto non appaia a prima vista, laddove la «prima vista» è costituita da un battibecco continuo e senza tregua, che li porta ad alzare la voce, a prendersi anche a male parole, seppur con un’inconfondibile patina di affetto. Sono entrambi figli di una Lugano stravolta dagli anni di speculazione e demolizioni, da una storia recente che ha visto crollare, una dopo l’altra, le vestigia di un’antica eleganza apprezzata internazionalmente, che scaturiva da un mix di lusso e autenticità. E i loro sguardi sognanti raccontano fino in fondo la malinconia per un’atmosfera d’altri tempi, perduta per sempre, un po’ come la giovinezza. Da questa amicizia-duello è nato anche un libro, se questo non è amore… è un paltò, una raccolta di schizzi satirici che Cavani ha realizzato intorno a Bollag e ai corvi, prendendolo in giro (neanche tanto bonariamente, poiché caro gli è certo fumetto dissacrante francese) là dove fa più male. Bollag, dal canto suo, passa sopra a ogni presunta offesa, rincuorato e protetto dal proprio inscalfibile e ironico narcisismo. Li incontriamo in uno dei luoghi dove li incontra tutta Lugano ogni mattina, in uno dei caffè del centro. Bollag e cavani, come è nato il vostro libro?

Bollag: Purtroppo io ho un lato esibizionista, e le vignette di Cavani che mi vedono protagonista invece di offendermi mi hanno esaltato. Ci incontravamo sempre al caffè, e lui, con la sua mano benedetta disegnava qualcosa sul tovagliolo. La mia compagna Rita ha raccolto questi ritratti, e ci siamo ritrovati con la casa piena di disegni. A quel punto Rita, con il suo innato senso dell’ordine, ha pensato di mettere il tutto in un libro. Senza dirmi niente si è dunque recata in tipografia e ci ha fatto una sorpresa. Voi due litigate apertamente e di continuo, ma non potete fare a meno di incontrarvi ogni mattina… cosa vi lega?

Bollag: Una delle cose che ci lega di più è l’amore per i corvi… Cavani: Amore è forse un’esagerazione! Detesto queste smancerie sentimentali! Bollag: Amore per i corvi vuol dire avere allevato dei pulcini, e un corvo è

un po’ come una donna che ti mordicchia gentilmente l’orecchio, seppur con quel beccaccio enorme… Cavani: Per me, visto che sono molto legato alla cultura degli indiani d’America, il corvo e il lupo sono due animali totem per eccellenza. Per alcuni indiani d’America il corvo, oltre ad essere il messaggero tra il qui e l’aldilà, è colui che ha creato l’uomo tirandolo fuori dalla madre terra. Non dimentichiamo poi i corvi di Odino,

comune è il fatto di conoscere bene lugano come pochi e di essere stati testimoni dei cambiamenti degli ultimi decenni…

Bollag: Un tempo in via Nassa c’erano le boutique di lusso ma c’erano anche luoghi normali come l’osteria o il pescivendolo. Da bambino sono stato testimone della distruzione del quartiere di Sassello e quello è stato l’inizio, un sintomo di quella che sarebbe diventata Lugano. A un certo punto

Elio Bollag disegnato da Franco Cavani.

messaggeri degli dei. Bollag: Io ho 86 anni, sono ormai vecchio, ma ho sempre cercato amicizie difficili, che completavano una mancanza di me. In lui trovo cose che mi stimolano, ma lui non è mai contento e vince sempre, è abituato a vincere. Cavani: Guarda che vincere con te è come rubare le caramelle ai bambini, non è che ci voglia granché! Bollag: Troviamo sempre un argomento intorno a cui litigare, in questo momento è il Molino di Lugano. Io sono contro i Molinari mentre Franco è a loro favore. come vi siete conosciuti?

(Bollag scoppia a ridere) Cavani: Ci siamo conosciuti per motivi… ma perché ci siamo conosciuti? Bollag: Io ero nel Club del Centro, costituito da dieci commercianti liberali di Lugano. Avevamo organizzato un concorso per la realizzazione di una cartina del centro di Lugano, e Cavani lo vinse. È lì che abbiamo cominciato a romperci le scatole, negli anni 80. Un’altra cosa che però avete in

è arrivata una pioggia d’oro, e tutto è cambiato… il municipio ha sprecato tutto quello che entrava nelle casse continuando a buttar giù case per farne di nuove. E va ancora avanti. Cavani: In compenso avremo un nuovo polo sportivo, che per me è solo un’altra forma di speculazione cementizia che svuoterà ulteriormente il centro. Io nel 1968 avevo vent’anni e Lugano era una città magnifica in cui vivere: la gente abitava in centro e si poteva vivere 24 su 24, con un locale che chiudeva alle quattro di mattina e un altro che alle quattro apriva. Vi trovavi gli spazzini o i pescatori che tornavano dal lago e mangiavano spaghetti o busecca. Anche noi giovani, all’epoca debosciati e scapestrati, trovavamo sempre qualcosa da fare. Il clima era molto diverso. La vocazione turistica ne faceva una città estremamente vivibile e interessante. Bollag: Mio nonno era un albergatore, avevamo l’Hotel Kempler. cavani, anche la creatività, nella lugano degli anni 70 ha avuto dei

Ma allora lugano a questo punto cosa può diventare?

Il suono registrato del fragore di onde e nuvole poco rassicuranti (ma vere) che sfilano sulle ali di un vento di burrasca sopra le teste del pubblico dell’Agora. È lo scenario della prima delle due serate inaugurali di LAC en plein air, il nutrito cartellone estivo proposto dal polo culturale luganese. Onde, vento e nuvole sono sembrati così strumenti accostati ad arte per l’occasione, per creare attesa e tensione sulle prime parole. «Prima che il sogno (o la paura) ordisse mitologie e cosmogonie, prima che il tempo si coniasse in giorni, il mare, il sempre mare, era da sempre». Sono i versi di Borges per il suo mare a echeggiare rompendo il silenzio con una breve ma intensa poesia, ideale per entrare fra le braccia del mito per eccellenza raccontato dai canti dell’Odissea. L’antico poema epico di Omero è stato affidato al regista Luca Spadaro con l’obiettivo di ricavarne un’ora di racconto a più voci selezionando gli episodi più significativi. Tagli certamente non facili e che non sempre rendono giustizia alla grandezza di una narrazione, soprattutto di un’opera che ha cavalcato i millenni conservando intatto il suo fascino. Tuttavia il risultato non ha deluso le aspettative, anche se qualche purista sarà rimasto a bocca asciutta. Così è se vi pare: la versione integrale dell’opera sarà per un’altra volta, con sacco a pelo al seguito. E i microfoni schierati per – da sinistra a destra – Mirko D’Urso, Cristina Zamboni, Margherita Coldesina e Massimiliano Zampetti, hanno dato volume all’adattamento di Spadaro e alle imprese di quel «grand’uomo, straordinario giramondo» nel suo viaggio di ritorno in patria dopo la guerra di Troia. Dall’incontro con Polifemo alle malefiche pozioni della sensuale Circe, dall’irresistibile e insidioso canto delle sirene al ritorno a Itaca fra le braccia di un’incredula Penelope: una narrazione veloce, cadenzata da brevi stacchi musicali (La Folia di Vivaldi), a tratti punteggiata da slanci esuberanti per una lettura complessivamente ben distribuita, equilibrata e convincente. La celebre traduzione di Emilio Villa degli anni 60 ha certamente contribuito a sottolineare l’attualità del racconto delle avventure di Ulisse con una lingua chiara e avvolgente, lontana da versioni più classiche e impegnative, più consona a una resa teatrale. E sebbene le scelte abbiano necessariamente privilegiato alcuni episodi, non è mancato quello che Eco sbertucciava nel suo Diario minimo (1972): «La storia è bella, appassionante, piena di avventure (…) Ci sono colpi di scena, giganti monocoli, cannibali, e persino un po’ di droga…». Un generoso pubblico ha accolto i quattro eroi al microfono con numerosi e meritati applausi.

Oltre alle attività commerciali e agli edifici, da Lugano sono scomparsi per sempre anche molti ritrovi pubblici. Fra quelli rimasti in piedi, vi è la birreria del Quartiere Maghetti in cui Cavani mise piede per la prima volta a 13 anni, e che anche per questa strana coppia di amici, rappresenta uno degli ultimi collanti con il passato della città, e dunque della propria identità.

La locandina della rassegna LAC en plein air.

begli spazi… c’era il Panzini’s circus, ma anche tanto jazz…

Cavani: Io all’epoca lavoravo tra Lugano e Milano, sia per la televisione, sia per clienti privati. Nel maggio del 1968 apparvero alcune mie pagine su «Linus»: ero andato a Milano in Via della Spiga dove conobbi Oreste Del Buono e Giovanni Gandini, che mi spiegarono come per il mio mestiere non bastasse essere bravi, ma fosse necessaria anche l’assiduità. Io però avevo già cominciato a fare i cartoni animati per la TV, Storie di Franco, e così mi concentrai su altro. Ero un anarchico prestato alla rivoluzione e conoscevo gli esponenti più importanti della controinformazione. Erano altri tempi anche per l’Italia, perché era appena passato il 68, e ci sembrava di avere definitivamente cambiato il mondo, ma è stata una grossa illusione. Lugano era una città che viveva di grandi fermenti: di qui passavano molti personaggi provenienti dall’Italia, c’erano i contatti. Poi, negli anni 90, l’edonismo sfrenato ha cancellato tutto. Internet, nato per favorire il dialogo tra individui, ha invece creato il contrario, favorendo lo scontro. Penso che essere giovani oggi sia difficile… la globalizzazione ha perfino cambiato il modo di disegnare: grazie ai manga è ormai tutto standardizzato. Bollag: Ricordate il manifesto «Lugano città del mio cuore»? Lo feci realizzare io dal mio amico e grande grafico Herbert Leupin e lo slogan era mio! Allora l’ottimismo era imperante. La mia attività commerciale rimase aperta dal 1940 al 1998. Un giorno mi trovavo davanti al negozio e guardavo verso la strada, quando passò un mio conoscente ebreo e mi chiese se fossi in attesa del ritorno dei bei tempi, per poi aggiungere che non sarebbero tornati mai più. Quella frase mi fece riflettere… E così è andata. Pensate che un tempo a Lugano c’erano ben 14 negozi che il sabato restavano chiusi. Bollag: Ci si aspetta un’altra pioggia d’oro, ma sarà difficile che venga. Cavani: Io fondamentalmente sono ottimista, occorre avere nuovamente una visione che permetta a Lugano di sfruttare le sue vere caratteristiche, ma ci vuole un piano, un programma.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 12 luglio 2021 • N. 28

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cultura e Spettacoli Rubriche

In fin della fiera di Bruno Gambarotta Frank, un algoritmo per amico Sono fra i primi a possedere un algoritmo da casa. L’ho acquistato online e, per averlo scontato, l’ho preso di seconda mano. Colui che l’aveva comprato nuovo l’ha restituito perché sul cartone che lo conteneva c’era un piccolo graffio. Per averlo ho dovuto installare nel mio mini alloggio da single 24 telecamere accese giorno e notte. Mio fratello che è un passatista, mi ha fatto osservare che inquinano. Poverino, non è informato. Se leggesse i giornali saprebbe che il nostro presidente Draghi teorizza che non tutti i debiti sono eguali, esiste il debito buono e quello cattivo. Ne deriva che esiste anche la CO2 cattiva e la CO2 buona. Quella che produco io è la seconda. Fin dal primo giorno t’accorgi che non puoi più fare a meno dell’algoritmo di casa. Pensa lui a tutto, anticipa i tuoi desideri, ti guida e ti orienta. Appena l’ho acceso si è presentato: «Mi chiamo Frank con la cappa». «Piacere, io mi chiamo Bruno e...» Mi ha interrotto: «Lo so, so tutto di te, sei profilato, in

centrale sanno di te cose che neanche tu sapevi di sapere». Scrutando il mio viso e decodificando le mie espressioni prevede i miei movimenti prima che io li compia, anticipa i miei desideri se sono conformi al suo codice etico o li fa naufragare se lo contraddicono. Decide quali abiti devo indossare, facendo la media delle condizioni atmosferiche a Torino degli ultimi 300 anni, quali cibi devo cucinare e il peso dei singoli ingredienti, in base al peso, alla pressione e ai risultati dell’analisi del sangue che mi pratica ogni sera. Mi regola il sonno e la veglia. Ogni sera, quando sto per andare a letto, mi aggiorna sul mio punteggio giornaliero, consistente in due classifiche, una misura l’affidabilità e l’altra la partecipazione. Se risulta che ho perso dei punti Frank, per spronarmi a migliorare, mi mostra le classifiche di altri praticanti più bravi, comparabili a me su duecento parametri. Dedico le ore serali, quando ho soddisfatto tutti i miei doveri pratici, alla lettura. Per

migliorare il mio livello, se scopre che sto leggendo un romanzo sentimentale e commovente scritto da una di quelle autrici che si firmano con il doppio cognome, me lo fa sparire. Al suo posto trovo i Pensieri di Pascal o i Parerga e paralipomena di Arthur Schopenhauer. Frank stacca la luce quando ho superato la soglia del consumo di energia calcolato nella media di quella consumata da tutti gli italiani nati nel 1937 con un diploma di scuola media superiore che hanno fatto il servizio militare. La mattina faccio la doccia, mi asciugo e indosso l’accappatoio; voglio uscire dalla stanza del bagno ma trovo la porta bloccata. Cos’è successo? Semplice, mi sono dimenticato che prima devo pesarmi e comunicare il risultato a Frank che lo commenta con velenosi sarcasmi se il peso è aumentato. Governa i tempi di lettura del mio quotidiano, 3 minuti al massimo per ogni articolo e uno per i commenti sulla situazione politica dove, mi ha spiegato, basta leggere una riga su cin-

que. Per le interviste ai virologi basta la prima riga di ogni risposta, dopo è fuffa. Per tutelare la mia serenità, sapendo che fin da ragazzo sono un tifoso del Torino Calcio, fa sparire i servizi sulla squadra che quest’anno rischia di scendere in B. Torneranno leggibili solo quando il mio Toro sarà fra le prime tre squadre in classifica, cioè verso il 2055. Di più: sapendo dal mio profilo che la lettura di certe espressioni mi procura l’orticaria le cancella, così non incrocio più «quant’altro, non bisogna abbassare la guardia, vedere la luce in fondo al tunnel, assolutamente sì o assolutamente no», con il risultato che intere pagine di quotidiani hanno più buchi che parole. Appena entrato in casa ho cinque minuti di tempo per loggarmi, trascorsi i quali scattano le punizioni: 10 grammi in meno di spaghetti a pranzo, pane raffermo al posto della brioche a colazione... Ogni lunedì sera devo rivedere con lui che lo commenta il film Tempi moderni di Charlie Chaplin, parteggiando per la

catena di montaggio; se mi addormento non mi rimprovera ma capisco che soffre. Frank arriva a tutto. Un solo esempio. Per cucinare uso ancora il forno a gas e non avete idea di quante volte, dopo aver preparato timballi o torte o sformati, arrivato al momento di metterli in forno, scoprivo che la scatola dei fiammiferi era vuota. Dovevo umiliarmi e andarli a chiedere alla vicina di pianerottolo che è un’impicciona e vuol sapere per filo e per segno cosa sto cucinando. Frank, quando i fiammiferi stanno per finire, ne ordina una scatola. Online naturalmente, perché si risparmiano 2 centesimi. Trascorrono dieci o dodici minuti e un coro furioso di clacson di auto bloccate nel traffico mi avvisa che il fattorino è arrivato con il suo camion per portarmi la scatola. Adesso devo smettere di tessere i suoi elogi, Frank mi ricorda che devo aderire all’appello «Salviamo la terra», promosso da quella ragazzina svedese, come si chiama già? E dire che appeso in salotto ho il suo ritratto...

be. In un certo senso oggi è il padrone che è al suo servizio, gli fa da cuoco, lo lava, raccoglie i suoi escrementi. Così pure per lo schiavo antico. Né poteva fuggire come non può fuggire un cane o un bambino; vengono sempre ripresi. In fondo essere schiavi potrebbe essere un ideale, quello di avere qualcuno che pensa e decide per te. In fondo tante utopie nel corso dei secoli è questo che hanno promesso, evitando la parola schiavo che rimanda a maltrattamenti e sevizie. Pensate a una delle più recenti e fortunate utopie, il cosiddetto comunismo; in fondo prometteva al popolo il ritorno alla puerizia, a uno stato di minorità. Alcuni capi, che poi sono diventati tantissimi, si caricavano il peso di provvedere a tutti, dare un alloggio, un lavoro, il cibo, un’istruzione, decidere i libri leggibili e quelli vietati, come si fa coi bambini; non permettevano di andare a zonzo o trasferirsi altrove senza permesso,

come neanche i bambini possono fare; evitare le cattive compagnie, non dire bugie se no si viene messi in castigo, in modo che il bambino si ravveda. E altrettanto nell’utopia il castigo è a fini rieducativi. In fondo che qualcuno provveda a te è un ideale diffuso, lo si può chiamare schiavitù o ritorno all’infanzia, non c’è una gran differenza, però questi termini espliciti non si possono usare. Nelle nostre società occidentali c’è chi tiene di più alla libertà, con tutti i rischi e le incognite, con la soddisfazione di essere signore di se stesso, ma anche di poter finire barbone disperato in via di cancellazione. E c’è chi propende per una forma di schiavitù che però chiama stato sociale o socialista a seconda del grado di assistenza. Se l’assistenza è completa, è completa anche la schiavitù, che però è presentata come società ideale. E in effetti lo sarebbe, se chi dirige tutto fosse come un buon

padre di famiglia, pieno di tenerezza e perdono per i suoi figli. Però accade spesso che chi vuole dirigere lo faccia per il suo tornaconto e i cittadini siano più simili agli schiavi che ai figli. È differente anche la prospettiva: un figlio è schiavo transitoriamente, fino alla maggiore età. Un cittadino ad assistenza completa è schiavo per sempre e costretto a rimanerlo, almeno fino a che non si ribella accettando il rischio di diventare barbone. L’antichità greca aveva risolto questo dilemma con la filosofia cinica: non avere bisogni e vivere già come un barbone contento di esserlo, anzi come un cane randagio che non aspira alla domesticazione. Il che però non è facile al giorno d’oggi, perché tra la popolazione non c’è rispetto per la filosofia cinica, e un filosofo cinico che viva sotto un ponte non viene onorato, né le sue parole trascritte e antologizzate in un manuale di storia della filosofia.

apparire «à la page» e a loro volta simpatici. Via via la fenomenologia di Mike Bongiorno, proposta da Umberto Eco, che era un modo di leggere (allora si diceva «decodificare») il mondo della comunicazione televisiva, fu presa molto (troppo?) sul serio e Mike venne accolto come un mito non solo dalla casalinga di Voghera ma anche dai professionisti della cultura e dalle istituzioni (con tanto di funerali di Stato). «Sdoganare» divenne il verbo più praticato e Raffa a poco a poco fu promossa al grado di spirito-guida dell’antropologia nazionale. Certo, non aspirava a tanto, conservava una sua autenticità e per questo è rimasta simpatica, a differenza di alcune sue eredi, regine pop fino alla «influencer» social Chiara Ferragni, ultima aggiornatissima esponente di quel filone capace di trasformare in oro la propria mediocrità. Le ispirate orazioni, i ricordi e i contriti elogi funebri di oggi per Raffa sono comprensibili: è vero

che il suo ombelico nudo e le sue cosce sincere hanno contribuito allegramente a liberare e rimodellare l’immaginario sessuale italiano in anni di proibizionismo cattolico. Ma è anche vero che «Carramba che sorpresa» e il tormentone meridiano della conta dei fagioli erano quanto di meno edificante una televisione di Stato abbia mai offerto ai suoi abbonati. L’icona, il mito, il simbolo. Non sarà francamente troppo? È sempre una questione di misura e di distinguo nell’epoca dell’eccesso e della confusione, dove tutto è uguale a tutto, ma tutto è ancora più uguale (come i maiali di Orwell) se ha successo. L’epoca in cui Fedez (2) può assurgere a «opinion leader» (il Bobbio dei nostri anni?) dicendo quel che i suoi followers si aspettano che dica. Le differenze tra Raffa e Chiara Ferragni (2 anche all’altra metà della Ditta Ferragnez) non sono da sottovalutare: il lavoro da superprofessionisti che in un caso c’era e nell’altro no, così come l’allegria da una parte e la cupa

scaltrezza mercantile dall’altra. Ma infine la differenza più importante resta la riservatezza: per la showgirl del Tuca-Tuca e del caschetto biondoplatino l’esibizione era sul palco e/o sullo schermo; per gli influencer di oggi tutto va messo in piazza, anzi on line, 24 ore su 24, tutto ciò che contribuisce ad accrescere il gradimento social e dunque i milioni di incasso: la cucina di casa, la colazione, la cena, il bagno, il bimbo in culla, la stanzetta, la pappina, i pannolini, le mutande, il regalo di compleanno, il braccialetto, il diamantino, il vestito nuovo, lo smalto delle unghie, le lacrime, i desideri… Una questione di stile? Non solo. Intanto, al motto «io sono il mio business», l’influencer inglese Carla Bellucci (1) annuncia che partorirà in diretta sul sito OnlyFans per 12 mila euro. Basterà non molto di più, tra poco, perché qualcuno accetti di proporci il suo cancro autopromozionale e di agonizzare in streaming. E non sarà solo questione di stile.

Un mondo storto di Ermanno Cavazzoni la schiavitù Sembra che la schiavitù non sia poi così brutta. Nell’antichità esisteva la possibilità della schiavitù volontaria. Uno a un certo punto, per qualche ragione non riusciva più ad andare avanti, per un crollo economico, per uno stato di disoccupazione irrisolvibile, o perché impaurito dal mondo, dai soprusi, dalla ingiustizia, o anche solo per uno sconforto psichico grave, e allora si dava come schiavo a un ricco. E il ricco lo usava come voleva. Se sapeva leggere e scrivere lo impiegava come archivista o come contabile; se no come cameriere, come cuoco se sapeva cucinare, o come facchino addetto alla portantina, oppure lo mandava in campagna a zappare, falciare, mungere; se era robusto a spaccare le pietre, a selciare una strada, e così via, gli impieghi potevano essere tantissimi. Non riceveva stipendio o altre forme di emolumento, ma aveva garantito il vitto e l’alloggio, pur che non commettesse qualche ca-

volata o fosse eccessivamente scansafatiche. In tal caso veniva punito, come da regolamento, o come al padrone girava. Era schiavo, certo, socialmente al gradino più basso, però era come se avesse un contratto a tempo indeterminato; il padrone lo comandava, ma doveva anche provvedere a lui, prendersi le responsabilità, dirigergli la vita, cioè sobbarcarsi tutti i problemi che un uomo libero incontra. Lo schiavo volontario tornava nella condizione di un bambino e il padrone era una specie di padre. Rari erano i casi di maltrattamenti eccessivi, al padrone non conveniva. Lo schiavo su per giù era come un cane domestico: il cane cede la sua libertà di animale selvatico, e in compenso ha protezione, vitto e alloggio, con il compito leggero di abbaiare agli intrusi o di far compagnia. Il cane è uno schiavo, però mediamente vive benissimo, anche se non può disporre delle cagne che desiderereb-

Voti d’aria di Paolo Di Stefano le esequie solenni del Tuca-Tuca La cosa sconvolgente nella morte di Raffaella Carrà è stata la riservatezza con cui la più popolare delle showgirl (prima di lei si sarebbe detto «soubrette») ha tenuto nascosta la propria malattia. Nessuno ne sapeva niente, neanche gli amici più stretti. Ma la cosa ancora più sconvolgente è, in opposizione rispetto a quella riservatezza, l’eco di magniloquenza con la cornice solenne delle commemorazioni e del triplice corteo funebre degno di un capo di Stato o di un pontefice. Un caro amico regista di teatro, negli anni 80, definiva raffaellacarrà chiunque fosse un mediocre di successo. In effetti Raffaella non era un genio della danza e ballava, non era giornalista ma intervistava, non brillava nella musica ma cantava, non era un’attrice ma recitava, non era particolarmente bella ma seduceva il popolo televisivo maschile e non solo maschile. Questo suo non eccellere in niente, di cui sembrava consapevole, ne aumentava la simpatia: la gente si

riconosceva in quella sua aurea mediocrità domestica, affabile, allegra, dietro cui si celava una professionalità maniacale. La simpatia e la leggerezza un po’ sfrontata erano i suoi veri pregi visibili (5+), quello invisibile era il lavoro. Tanto per dare l’idea, ricordo che quel mio amico definiva Francesco Alberoni (4–) la raffaellacarrà della sociologia e Alberto Bevilacqua (5–) la raffaellacarrà della letteratura almeno quanto Raffaella Carrà era la raffaellacarrà della televisione. Per lui ogni settore artistico aveva la sua raffaellacarrità… Certamente era un modo un po’ elitario, forse snobistico e grossolano, per distinguere il talento commerciale dal genio dell’arte che se ne frega del riscontro e del consenso. Era un tempo in cui non ci si vergognava di tenere separati il cosiddetto alto e il basso-pop: il postmoderno banalizzato non aveva ancora irrorato il pensiero comune degli opinionisti e gli intellettuali non dovevano ancora fare l’occhiolino al mainstream per


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