Azione 47 del 16 novembre 2020

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Cooperativa Migros Ticino

Società e Territorio Le donne faticano a rientrare nel mondo del lavoro dopo una pausa dedicata all’accudimento dei figli. Con la pandemia la situazione è peggiorata

Ambiente e Benessere Tra le tecniche diagnostiche del carcinoma prostatico, pure l’innovativa Fusion biopsy real time: una biopsia avveniristica che fonde le immagini della risonanza magnetica e quelle ecografiche

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXXIII 16 novembre 2020

Azione 47 Politica e Economia Lacune previdenziali sono frequenti fra le donne. Ma c’è modo di evitarle o limitarle

Cultura e Spettacoli Vale la pena di parlare di una mostra chiusa? Senza dubbio, specie se il focus è su Enzo Mari

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La volontà di unione L’America di Biden ostacolata dal trumpismo e la sete di normalità Non lo ammetterà mai, il suo ego non se lo può permettere, se vuole restare integro. Ma lo sa anche lui che ha perso, che: you’re fired. Come lo ha sempre saputo in passato quando i suoi deal si sono rivelati sfavorevoli, quando una sua società è fallita. Sa di non essere l’uomo di successo (economico) che vanta di essere, ma ha la straordinaria capacità occulta di convincere milioni di persone del contrario. Solo che adesso questo ostinato, puerile rifiuto di riconoscere la sconfitta, facendo credere a decine di milioni di cittadini che le elezioni sono state truccate e che gli è stata rubata la vittoria, è l’ultimo ma grave attacco al sistema democratico americano, che rende ancora più profondo il fossato fra gli oltre 72 milioni (attualmente oltre 9 milioni in più del 2016) che hanno votato Trump e i 77 che hanno scelto Biden. Le voci insistenti che voglia continuare a influire sulla politica nazionale, restando di fatto il leader dei repubblicani, magari sognando un secondo mandato nel 2024, non aiutano a credere che Joe Biden possa essere il presidente che riporta unione nella nazione. Anche perché il presidente non è l’unico ad essersi radicalizzato: è dai tempi di Obama alla Casa Bianca che, con la nascita del movimento ultraconservatore Tea Party nel 2009, il partito repubblicano ha vieppiù assunto posizioni contrarie ai principi democratici, rafforzatesi sotto Trump. Una ricerca dello svedese V-Dem Institute che misura l’aderenza ai principi democratici dei partiti con l’ausilio di 600 politologi in tutto il mondo, constata fra i repubblicani una crescente tendenza a demonizzare gli avversari, persino ad aizzare alla violenza, con una retorica che è più vicina a quella di partiti autoritari (come l’AKP di Erdogan in Turchia e Fidesz in Ungheria, si cita). Per ricreare unione devono volerlo entrambe le parti, e negli ultimi 10 anni questa volontà nei repubblicani non si è vista. Trump dovrà lasciare la Casa Bianca, ma il trumpismo non è finito. E forse l’eredità più tossica che lascia a tutto il mondo, poiché trova emuli in ogni dove, è l’arte della menzogna. Il termine fake news, paradossalmente lanciato da Trump contro i media che lo smascheravano, è entrato nel lessico mondiale. Gli alternative facts sono stati elevati a realtà equivalente, come se verità e menzogna fossero interscambiabili. Nella sua rappresentazione della realtà viene negata ogni evidenza e veicolata qualsiasi fandonia, anche la più incredibile (come questa sulle elezioni rubate; per la cronaca, nessuna denuncia avanzata dagli uomini di Trump è stata accolta in alcuno Stato americano). Trump può permettersi di mentire e smentirsi senza che ciò incrini la sua credibilità presso i suoi elettori. Se ad una democrazia serve un’educazione fondata sulla capacità di analisi e di critica della realtà, che cosa ci possiamo aspettare da chi si identifica in questo messia politico? Per quale motivo dovrebbero improvvisamente smettere di credere in Trump, come recuperarli ad una dialettica politica che non sia fatta di demonizzazione bensì di dialogo? Se poi ci mettiamo le frange più radicali dei democratici, altrettanto restìe a dialogare con i repubblicani, il quadro attuale della società civile e politica degli Stati Uniti non presenta tinte brillanti. Se sul piano interno lo spettro di Trump resterà presente, perlomeno su quello internazionale Biden potrà più facilmente dimostrare la volontà di restaurare l’ordinamento mondiale liberale, di assumere nuovamente il ruolo di guida (almeno politica) e di responsabilità che spettano alla prima potenza mondiale. L’agenda mondiale è fitta, i problemi innumerevoli, in quattro anni il mondo non è rimasto fermo, numerose potenze regionali si presentano più aggressive e determinate, il conflitto ideologico-egemonico con la Cina e in diverso modo con la Russia chiedono nuove risposte, la definizione di una strategia più chiara. Dove può agire positivamente, e Biden lo farà da subito, è nella lotta al riscaldamento globale, rientrando negli Accordi di Parigi sul clima del 2015. Che è anche il piano su Speciale Feste cui Obama e Xi Jinping si erano trovati, Idee e trucchi forgiando (sulla carta) un’alleanza che per un Natale 2020 doveva servire da faro, poi dissoltasi davvero magico con Trump. Si potrebbe ripartire da lì.

di Venturi, Rampini, Marino, Raineri, Nocioni

pagine 23-24-25-27

Keystone

di Peter Schiesser


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