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Subdolo fegato grasso
Medicina ◆ Prevenzione e depistaggio sono le migliori armi per contrastare la steatoepatite
Maria Grazia Buletti
«Nella nostra popolazione adulta il per cento delle persone ha un fegato grasso, una malattia che progredisce nel tempo e può condurre a una cirrosi o a un tumore epatico». Così il professor Andreas Cerny, epatologo e direttore dell’Epatocentro Ticino (nella fotografia), si esprime su una patologia «che colpisce in modo silente un certo numero di persone, fra le quali alcune rischiano di ammalarsi gravemente, soprattutto se ad aggravare la situazione c’è un eccessivo consumo di alcol e la presenza di obesità o diabete».
Il fegato grasso, o steatosi epatica, è caratterizzato da un eccessivo accumulo di grasso nell’organo: «In alcune persone con steatosi il fegato comincia a infiammarsi (si parla di steatoepatite) e in seguito inizia anche a cicatrizzare (ndr: fibrosi del fegato) perdendo sempre più cellule in grado di svolgere le sue diverse funzioni». La conseguenza di questa situazione: «Si riconosce nello sviluppo della cirrosi epatica e dei suoi effetti; in particolare si potranno sviluppare tumori o si prospetterà la necessità di un trapianto».
L’alto tasso di frequenza è aggravato dal fatto che questa patologia non dà disturbi particolari, «se non nello stadio avanzato, quando ci possono essere sintomi non specifici, che si possono però pure riscontrare anche in altre circostanze, come stanchezza, prurito o aumento della circonferenza addominale». Cerny spiega che di regola gli accertamenti sono indotti dalle analisi di routine (effettuate dal medico di famiglia) che mostrano test epatici elevati, e sottolinea: «La steatoepatite è più frequente nelle persone che consumano alcol regolarmente, con sovrappeso o obesità, diabete, colesterolo elevato o con ipertensione arteriosa».
Questo a qualsiasi età, per cui il professore invita le persone a sottoporsi a una visita di controllo generale dal proprio medico di famiglia già a partire dai trent’anni. A fronte di esami del sangue che mostrano alterazioni dei valori epatici, il paziente sarà visitato dall’epatologo per una presa a carico specialistica adeguata nel tempo e interdisciplinare.
È una malattia subdola, dagli sviluppi pesanti, in cui il peggioramento della funzione epatica è riconducibile a diversi fattori: «Ad esempio, abitudini alimentari particolarmente dannose sono un eccessivo consumo di grassi saturi e grassi di origine animale e vegetale industriale, nonché l’eccessiva assunzione di carboidrati, soprattutto di prodotti con un alto contenuto di zuccheri semplici (in particolare il fruttosio). Pure l’abitudine di bere grandi quantità di bevande zuccherate è nociva».
Oltre ai fattori di stile di vita modificabili, ci possono essere cause genetiche, dunque non modificabili: «Attraverso analisi genetiche si sono messe a confronto persone con e senza fegato grasso. Ciò ha portato all’identificazione di fattori genetici che possono favorire l’eccessivo accumulo di grasso anche nelle persone che conducono uno stile di vita sano».
Lo specialista spiega come le persone affette da queste varianti genetiche hanno una mutazione di un enzima, la adiponutrina, che diventa difettoso: «Nel fegato normale questo enzima è responsabile dello scioglimento delle goccioline di grasso che si formano dopo un pasto ricco di grassi. I portatori di questo difetto fanno perciò fatica a sciogliere il grasso depositato e sono a maggior rischio di sviluppare la steatosi epatica, la steatoepatite non alcolica, la cirrosi epatica e il diabete. Questo si accentua se si consumano eccessive quantità di alcol».
A ogni modo, la prevenzione di questa patologia, che progredisce nel tempo con un decorso così pesante, passa per il depistaggio (test DNA) e un’igiene di vita sana: «Dobbiamo ricordare che la stessa steatoepatite rappresenta a sua volta un fattore di rischio cardiovascolare indipendente dagli altri come fumo, diabete e ipertensione: fattore determinante per la presa a carico del paziente nel depistaggio di malattie come diabete, trattamento dell’ipertensione arteriosa e del colesterolo, in quanto questi pazienti vedono aumentare parecchio il rischio di progressione del fegato grasso nelle patologie indicate, fino alla necessità di un trapianto epatico».
Oltre agli esami del sangue, se dimostrano valori epatici elevati, la diagnosi si avvarrà di un’ecografia del fegato, che se fosse grasso sarebbe «evidenziato da una brillantezza maggiore perché assorbe maggiormente gli ultrasuoni. Il metodo CAP (Control attenuation parameter) permette una misurazione precisa del tenore di grasso epatico a basso costo e velocemente, e serve per seguire l’evoluzione nel tempo».
Alla diagnosi seguono accertamenti votati a capire se la steatoepatite è associata ad altre malattie del fegato: «Lo specialista deve escludere ad esempio la celiachia, la sindrome di apnea del sonno, l’epatite C, il morbo di Wilson». Individuate le cause, bisogna intervenire sui fattori modificabili: «Migliorando l’alimentazione se obesi, limitando o non consumando alcol, praticando sano movimento, e via dicendo».
Per le forme genetiche e nei casi in cui i fattori non sono modificabili: «Entra in linea di conto la somministrazione della vitamina E (farmacologica) che in alcuni pazienti produce un effetto anti-infiammatorio e blocca, o almeno rallenta, il decorso naturale della steatoepatite non acolica». A fronte di questa patologia, la buona notizia è data dall’assidua ricerca nel campo della steatoepatite e dei disturbi correlati: «Sono in via di sviluppo test non invasivi per la diagnosi della steatoepatite, e questo potrà semplificare il depistaggio».
Cerny ricorda l’unità di ricerca della Fondazione Epatocentro Ticino che si sta dedicando a quattro, sei studi su diversi tipi di nuove sostanze che agiscono nella riduzione dell’accumulo di grasso, sulla fibrosi e sull’infiammazione: «Per poter sviluppare trattamenti più efficaci di quelli di cui oggi disponiamo è fondamentale capire meglio il meccanismo che conduce al danno epatico».
Sono perciò in via di sviluppo diversi farmaci: «Ad esempio, stiamo studiando delle molecole che correggono i processi infiammatori all’interno del fegato o farmaci che rallentano la fibrosi. In certi casi la malattia è associata all’obesità, e per questi stiamo valutano un gruppo di farmaci molto interessanti (i GLP agonisti) sviluppati oltre quindici anni fa per il diabete: fanno pure perdere peso agendo sul senso di sazietà, hanno un effetto positivo sul colesterolo, sulla pressione arteriosa e sulla steatoepatite non alcolica».
Si parla di medicamenti relativamente cari che ancora non sono compresi nella LaMal per la cura del fegato «in quanto questa indicazione deve ancora essere riconosciuta». La speranza è che presto potranno essere ad appannaggio di tutti questi pazienti.
Spinelli Stefano